Magazine EE nr 33

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Cerindustries SpA

numero 33 febbraio 2014


M

e n t re l a p e niso l a i tali ca, co nsi d e ra ta n e l

Taken as a whole, Italy is a country that finds

su o i nsi e m e, fa t i ca a ra g g iu n g e re l a pi e n a

it difficult to fully comprehend the extent of

co nsa p evo l ez za d i t u t t i i teso r i s t i p a t i t ra l e

the treasures contained within its confines.

A lpi e i su oi t re m a r i, u n a mi cro - re g i o n e ch e

And yet there’s one small region of Italy –

l a co m p o n e: l a Ro m a g n a p a re d e te r mi n a ta a

Romagna – that seems determined not to mislay

n o n sm a r r i re l e p ro p r i e e re d i tà. Siano queste

its inheritance. Whether it’s represented by

rappresentata

atavica,

an ancient tradition, an archaeological find,

un reper to archeologico, un dono della terra,

a gift of the earth, a landscape, or the still-

u n p a esa g g i o o d all’ill u mi n a n te ese m pi o

glowing example of certain people who came

lasciato da chi ci ha preceduto. Se dav vero ciò

before us. If Romagna succeeds, the credit

av viene, il merito principale va ai suoi abitanti,

will go to its inhabitants. For it’s due precisely

i romagnoli, che proprio grazie ad una di queste

to one facet of their cultural inheritance –

eredità: la propria cultura di appar tenenza,

a sense of belonging that transcends the need

senza bisogno di sposa re n essu n a ca usa,

to embrace one cause rather than another,

a nim a t i n e l mi gli o re dei casi da quello che

a spirit of what we might call “micro-patriotism”

potremmo def inire “micro-patriottismo”, sono

– that the people of Romagna have a natural

naturalmente predisposti alla salvaguardia

inclination to the protection and preservation

e alla valoriz zazione d e ll a l o ro te r ra. E oltre

of the place they call home. And not only

a conser vare il proprio patrimonio culturale,

do they preserve their cultural heritage,

riescono, almeno talvolta, in un compito di

they even succeed – sometimes at least – in

gran lunga più a r d u o: q u e l l o d i a r r i c c h i r l o.

a far more difficult task: that of enriching it.

da

una

tradizione

EDITORIALE

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ea r th elem en t



Le Marmitte dei Giganti A S A R S I N A , U N PA R C o T U T e L A qUeSTI PITToReSChI feNoMeNI eRoSIVI franco de pisis

immagini: gianpaolo bernabini

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Il loro nome è un omaggio alle antiche credenze popolari, che identificavano in queste incavature regolari aperte nella roccia gli enormi calderoni usati dalla stirpe dei giganti per cucinare il proprio pasto. La realtà geologica dietro alle Marmitte dei Giganti è naturalmente meno fantasiosa, ma non necessariamente meno sorprendente. Sono infatti necessari interi millenni ai detriti trascinati dalla turbolenza d’un corso d’acqua per abradere la roccia, fino a formare le cavità ellittiche, ampie fino a qualche metro, che prendono questo nome. L’impetuosità dei torrenti di montagna, infatti, trascina sempre una grande quantità di pietrisco. Nel punto in cui si formano i vortici, come quelli in cui l’alveo è irregolare o molto inclinato, tipicamente ai piedi delle cascate, i ciottoli vengono scagliati con forza contro la parte rocciosa, incidendola sistematicamente, sempre compiendo la medesima traiettoria. In Italia, le Marmitte dei Giganti sono piuttosto rare e si possono osservare, oltre che in Romagna, solo in determinati siti ubicati in Trentino, Lombardia, Valle d’Aosta e Marche. I

Sensi

Molte delle cavità presenti in queste zone sono però in realtà pozzi glaciali e si distinguono per la forma pienamente subcilindrica. I due fenomeni che è possibile osservare nei pressi di Sarsina, sono invece propriamente del tipo ellittico. Per trovarsi al loro cospetto sarà sufficiente una breve passeggiata lungo il corso del rio Crocetta e del rio Montalto, negli immediati dintorni della cittadina che diede i natali a Plauto (vedi ee n. 2). Una delle caratteristiche delle Marmitte è la loro fragilità; possono infatti essere distrutte dalla stessa azione erosiva che le ha generate. Allargandosi costantemente finiscono per fondersi, oppure può erodersi la soglia della parete posta verso valle. Attraverso questo processo di continua formazione, disfacimento e rinnovamento delle cavità, detto “di evorsione”, secondo alcuni geologi si compirebbe l’approfondimento del letto dei torrenti e la conseguente formazione di profonde gole. di

Romagna


CAU LdR o N S o f Th e G I A N T S A park in Sarsina dedicated to a fascinating natural phenomenon

Proprio per tutelare l’integrità delle Marmitte presenti nel comprensorio di Sarsina, è stata istituita una zona protetta a loro intitolata, delimitata dalle testate di tre crinali locali che si dipartono a pettine dal crinale secondario di spartiacque tra i bacini del fiume Savio e del fiume Borello. Un’area che include, oltre alle Marmitte, suggestivi quadri paesaggistici come la rupe di Sarsina, fitti boschi di conifere e un sottobosco popolato da una rigogliosa flora spontanea. Il Parco si snoda su un tratto di viabilità storica relativo all’antico percorso di fondovalle del Savio e lungo il suo corso si possono incontrare anche manufatti tipici della storia locale, come l’antico percorso con le relative opere di contenimento, il rudere di un ponte in pietra e i resti di due case coloniche storiche. Insomma, basta fare quattro passi dalla centrale piazza Plauto di Sarsina, per trovarsi in uno scenario fiabesco, plasmato da secoli e secoli di felice simbiosi tra uomo e natura. Territorio

quello che vedo. hen ere g n ri pi ro i d us se au

5]

te en ni

mi

e nd re

The geological facts behind the “Giants’ Cauldrons” are naturally more prosaic than the legend, but that doesn’t make them less interesting. It takes thousands and thousands of years for the sediment carried along in the turbulence of a watercourse to abrade the rock into the smooth cavities, some of them a metre wide, that we now find in Sarsina. Mountain torrents always carry significant quantities of sediment. At the points where vortices form in the stream – where the bed of the stream is irregular, for instance, or unusually steep, as at the foot of waterfalls – grit and small stones are repeatedly driven against the bare rock, always striking it from the same angle. Phenomena similar to the Giants’ Cauldrons of Sarsina are relatively rare in Italy, and outside of Romagna are to be found only in Trentino, Lombardy, Valle d’Aosta and Marche. Many, however, are of glacial formation and can be identified by the fully cylindrical shape of their cavities. The two specimens in Sarsina, formed by erosion, are elliptical in shape. They can be found on the courses of two streams, the Crocetta and the Montalto, not far from the town that was the birthplace of the Roman dramatist Plautus (see ee issue 2). One of the characteristics of the formations found in Sarsina is their fragility: the same erosion that made them can also destroy them. As they gradually grow wider, they end up collapsing on themselves, or in some cases the wall on the downstream side gives way. According to some geologists, this process of constant formation, disintegration and renewal, known as “evorsion”, is responsible for the deepening of river beds and the formation of deep potholes. A protected area has been created to help preserve the specimens near Sarsina, and is delimited by the three ridges which branch off a secondary watershed dividing the basins of the rivers Savio and Borello. It’s an area whose attractions don’t stop at the cauldrons. The hills around Sarsina are scenically impressive, and the densely packed conifer woods conceal some riotously colourful spontaneous undergrowth. The park follows part of the route of an ancient path along the floor of the Savio valley, and there are some interesting remnants of local history along the way, such as the embankments of the original path, the ruins of a stone bridge and the remains of two ancient farmhouses. A fairy-tale landscape shaped by centuries of happy symbiosis between man and nature: and it’s all just a few minutes away from piazza Plauto in the heart of Sarsina.

sservare l ome o a n e c c at i ur fel a ì s e co

Their name is a tribute to the popular beliefs of old, which likened these evenly-worn rock cavities to cooking pots used by the giants of legend to cook their meals in.


Storie di Cusercoli U N PA eS e I N CU I Co N f LU I S Co N o S To R I CI Tà e S U G G eS T I o N I

luca biancini

immagini: archivio pro loco chiusa d’ercole, archivio provincia di forlì-cesena, dervis castellucci

Arroccato su un imponente sperone di roccia calcarea, che sbarra la valle del Bidente e costringe il fiume a deviare dal corso principale, si erge l’antico borgo di Cusercoli, dominato dal massiccio castello medioevale. [6

l suo nome, almeno secondo alcune fonti, deriverebbe dalla leggenda popolare che attribuisce nientemeno che al mitologico eroe ercole la creazione della formazione rocciosa su cui sorge il paese, facendolo derivare dalla locuzione Clusum erculis: ossia chiusa di ercole. Una leggenda di cui è impossibile stabilire l’origine temporale, dato che il primo nucleo abitato di questa frazione di Civitella, abbarbicata sugli appennini forlivesi, risale all’epoca tardo-romana. di certo la roccia su cui sorge è tanto inadatta allo sfruttamento agricolo quanto fertile di leggende. Molte nel tempo sono infatti le testimonianze secondo cui il “palazzo fortissimo, sopra il fiume Acquedotto e sopra la strada maestra per la quale si va in Toscana”, come lo definì il cardinale Anglico nel 1371, ospiterebbe esoteriche presenze. dopotutto tra i suoi passati castellani non mancano nomi ben “accreditati in questo senso”: qui, nel XIII secolo, visse Paolo Malatesta di Giaggiolo, immortalato dal V canto dell’Inferno dantesco con l’amante francesca uccisa insieme a lui (vedi ee n. 19) e gli ultimi proprietari del maniero furono gli stessi Conti Guidi che possedevano anche il Castello di Montebello, situato sopra Rimini, tristemente noto per ospitare il fantasma di Azzurrina (vedi ee n. 10). C’è chi giura che dopo il tramonto, nelle grandi stanze finemente affrescate ed ormai abbandonate a se stesse del castello di Cusercoli siano state avvistate strane ombre e si sia udito echeggiare il suono di canti gregoriani accompagnati da un organo. eventi ulteriormente inspiegabili in virtù del fatto che la chiesa di San Bonifacio, inglobata dalle mura del maniero, non è dotata di alcun organo. oltre all’opinabile componente soprannaturale, di sicuramente straordinario il castello offre una invidiabile vista panoramica su tutta la valle circostante che spazia tra vigneti, campi di grano, prati e boschi pedemontani. Un colpo d’occhio che, contrariamente alle sopraccitate tetre atmosfere crepuscolari, restituisce l’immagine di una terra florida e ridente, capace di sedurre, oltre alla vista, anche il palato con delizie tipiche come il prugnolo (squisito fungo primaverile di prato) e il pregiatissimo tartufo, per celebrare le quali si tengono annualmente a Cusercoli due importanti sagre. Se poi vi preoccupa eccessivamente l’eventualità di imbattervi in un fantasma, niente paura; curiosamente la principale attività caratteristica legata a questo micro-territorio è la produzione di coroncine e di rosari, realizzati con i più svariati materiali ed esportati in tutto il mondo. Non avrete quindi difficoltà a munirvi delle contromisure necessarie ad evitare spiacevoli téte-à-téte spettrali. I

Sensi

di

Romagna


il vero amore è come i fantasmi: tutti ne parlano, ma pochi li hanno visti. françois de la rochefoucauld

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TA L eS f R o M CU S eR Co L I Village of contrasts Perched on an imposing outcrop of limestone that juts into the valley of the Bidente and forces the river to detour around it is the ancient village of Cusercoli, dominated by its formidable medieval castle. According to some sources, the village takes its name from a popular legend that attributes to none other than the mythological hero Heracles the creation of the rocky formation on which the village stands, and which was formerly known as Clusum Erculis: the enclosure of Heracles. It’s impossible to pinpoint the exact origins of the legend, but we do know that the earliest settlement on this spot in the northern Apennines dates from the late Roman period. While the outcrop on which the village stands is hardly suited to agriculture, it’s certainly provided fertile ground for legend. Down through the centuries, the “redoubtable fortress standing above the river Acquedotto and the principal highway leading to Tuscany” (as it was described by cardinal Anglico in 1371) has often been said to host mysterious presences. And some of the former occupants of the castle lend credence to the legend as “initiates in these things”: here, in the 13th century, lived Paolo Malatesta di Giaggiolo, immortalized in Canto V of Dante’s Inferno together with

his beloved and companion-in-death, Francesca (see ee issue 19). The last owners of the stronghold were the counts of Guidi, among whose other possessions was the castle of Montebello near Rimini, sadly famous for its ghost named Azzurrina (see ee issue 10). According to local lore, strange shadows have been sighted in the abandoned castle of Cusercoli, stalking the derelict halls whose delicate frescoes have long since fallen into disrepair. Noises have been heard too: the echo of Gregorian chant and the sound of an organ. Phenomena which are all the more inexplicable if we consider that the church of San Bonifacio which stands inside the castle compound has no organ. While the supernatural goings-on are open to debate, one thing that everyone can agree on is the impressive views over the surrounding valley, with its vineyards, wheat fields, meadows and woodlands, that the castle commands. After the gloomy, crepuscular atmosphere of the castle itself, it’s a view which restores the soul to a pleasant, fertile place that seduces not only the eyes but also the palate, with local delicacies including the prugnolo (an exquisite meadow mushroom that grows in spring) and the much-prized truffle, to which Cusercoli dedicates not one but two annual festivals. And if you’re still worried about running into a ghost, take heart: for curiously enough, the principal local industry is the production of rosary beads, which are made from all kinds of materials and exported all over the world. So if you do find yourself face-to-face with some unsavoury local spectres, at least you’ll have something to defend yourself with.

Territorio


La freccia di faenza fRANCeSCo L AMA: I N d I M e N T I C ATo Ce N TAU R o R o M AG N o Lo

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La proverbiale fama del talento che i motociclisti romagnoli riescono ad esprimere in sella non è solo storia recente, nasce anzi parallelamente alla diffusione stessa del motore a scoppio in queste terre.

I

Sensi

di

Romagna

la velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo. milan kundera

manlio rastoni immagini: archivio manlio rastoni


Parliamo di tempi ormai remoti in cui era più facile assemblare una motocicletta di fortuna piuttosto che acquistarne una, in cui le competizioni assomigliavano più a singolar tenzoni che non a un circo tecnologico e in cui meccanico, pilota e manager sportivo erano sovente la stessa persona. Il faentino francesco Lama calcò proprio questa “scena”, arrivando a diventare uno dei campioni di motociclismo più noti nell’Italia degli anni Trenta. Correva l’anno 1919, quando l’allora dodicenne francesco riuscì in qualche modo a piazzare un motore sulla bicicletta del padre e, testando il mezzo così ottenuto, a portare lo scompiglio lungo le strade bianche della campagna faentina. A 14 anni è già in sella a una vera moto, anche stavolta messa a punto in prima persona, con cui miete vittorie nelle gare amatoriali di paese e comincia a farsi un nome. La sua abilità di pilota cresce di pari passo con la sua perizia di meccanico. Mentre si forma il suo stile di guida, estremamente pulito come in perenne progressione sulla linea di traiettorie mirabilmente pennellate, che gli valse il soprannome di freccia di faenza, passa le notti nel capannone della casa paterna, da lui tramutato in officina. quando debutta ufficialmente, non ancora ventenne, nella massima categoria sul glorioso Circuito del Savio in sella a una Solarea 500, ha già un nutrito seguito di supporter. Non li deluderà. Taglierà il traguardo guadagnandosi un terzo podio disputato contro nomi del calibro di Nuvolari, Varzi e Bandini (vedi ee n. 6). Cavalcando un climax, continua a vincere come pilota su Velocette ed apre nel centro di faenza un concessionario di motocicli. dopo ogni vittoria comunica il risultato alla famiglia, che lo aspetta a casa, tramite un piccione viaggiatore. dovrà però presto affidare le sue missive al telegrafo man mano che la sua carriera ingrana portandolo sulle piste di tutt’Italia. diventa pilota principe nella categoria 175, nel 1928 vince su Velocette 350 a Mantova, trionfa sul circuito Redipuglia e conquista il record per il giro più veloce a Verona. All’inizio degli anni Trenta la casa costruttrice bolognese MM (Mazzetti Morini) gli affida una moto ufficiale. Sulla Morini o su Benelli vincerà a Treviso, Imola, Bologna e Reggio emilia, venendo anche chiamato a far parte della prestigiosa Scuderia ferrari. Taglia per primo il traguardo al Gran Premio delle Nazioni nel Circuito dell’Aeroporto di Roma, nel 1934 domina il Gran Premio delle Colonie di Napoli e guadagna pure una Targa florio. Nel 1937 approda in Gilera, su cui nel ‘39 si laurea campione assoluto d’Italia. Con la guerra si chiude anche il suo periodo aureo, senza però che il testamento spirituale di Lama venga smarrito, uno degli indispensabili cromosomi di cui è formato il dNA dei campioni romagnoli del nostro tempo, come Gresini, Melandri, Simoncelli, dovizioso, e dei tanti che si stanno allenando per diventarlo. Storia

T h e A R R ow o f fA eN z A francesco Lama: an unforgotten Romagna hero The proverbial fame of the motorcyclists of Romagna is no recent phenomenon. In fact its origins go right back to the early days of motorcycling, and have evolved in parallel with the sport. In those now-distant days it was easier to put together a motorcycle out of disparate elements than to buy one, and motorcycle competitions had more in common with the duels of old than the technological circuses of today: for mechanic, rider and manager were usually the same person. Faenza-born Francesco Lama was one of these pioneers, and in the 1930s became one of Italy’s most famous motorcycling champions. Back in 1919, the twelve-year-old Lama managed to mount a motor on his father’s bicycle and took his contraption for a testdrive along the quiet roads of the Faenza countryside, sowing alarm and confusion along the way. By the age of fourteen Francesco was on the saddle of a real motorcycle, even though it was still one he had assembled himself, and making a name for himself in local amateur motorcycle races. His success as a rider grew in step with his expertise as a mechanic. As his riding skills evolved, he gained the nickname of the “Arrow of Faenza” for the peculiar impression he created of flying in pursuit of a target in the distance that only he could see. During this early period, he’d spent the nights in the barn of his parents’ house, which he’d transformed into a motor workshop. Lama was not yet twenty when he made his official racing debut on the Savio racing circuit at the controls of a Solarea 500, the most powerful category in the competition. By this time he already had a well-established fan base. He was not to let his fans down. He first made the podium in third place in a race contested by riders of the calibre of Nuvolari, Varzi and Bandini (see ee issue 6). He continued his winning ways after switching from a Climax to a Velocette, and soon opened as motorcycle dealership in the centre of Faenza. Lama would inform his family of his wins by sending a carrier pigeon to his parents’ home, where they anxiously awaited news. As his career took off and he began riding circuits up and down Italy, however, he had to switch to telegrams. By now the leading rider in the 175 cc category, in 1928 he won in Mantua on a Velocette 350; this was followed by a win on the Redipuglia circuit and a record-breaking lap of the Verona circuit. In the early 1930s, Bologna motorcycle manufacturers MM (Mazzetti Morini) presented him with an official bike. Riding his Morini or a Benelli, he recorded further wins at Treviso, Imola, Bologna and Reggio Emilia, and even made it onto the prestigious Scuderia Ferrari racing team. After winning the Italian Grand Prix in Rome, in 1934 he was first across the line at the Grand Colonial Prize in Naples. He even won a Targa Florio road race. In 1937 he switched to Gilera, and it was riding a Gilera that in 1939 he was crowned outright champion of Italy. The outbreak of war marked the end of Lama’s golden age. But his memory and heritage live on as key chromosomes in the genetic makeup of so many of the champions Romagna has since produced, like Gresini, Melandri, Simoncelli, Dovizioso, and many others whose fame still lies in the future.

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alessandro antonelli immagini: archivio ammi

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ecce Musicalia IL MUSeo dI MUSICA MeCCA NICA A V I L L A S I LV I A - C A R d U C C I Nella villa appartenuta alla contessa Silvia Pasolini Zanelli, che sorge nei dintorni di Cesena e ospitò nell’Ottocento uno dei salotti culturali più eminenti d’Italia, spesso frequentato dal poeta Carducci, è stato recentemente inaugurato il Museo Musicalia istituito dall’AMMI (Associazione Italiana Musica Meccanica).

museo dedicato ai pionieri della “musica senza musicisti”. Uno spazio ove, sull’esempio di simili iniziative europee, riportare a nuova vita gli strumenti musicali meccanici che a lungo accompagnarono i nostri antenati, nonni e bisnonni, con le loro note, facendoli danzare, permettendogli di guadagnare qualche soldo in terra straniera, allietando feste e romantizzando corteggiamenti. Sette anni dopo quel museo è divenuto una realtà e si propone come un viaggio lungo cinquecento anni attraverso il racconto di un grande fermento culturale. Il 4 maggio scorso è stato infatti inaugurato un percorso museale che insegue le orme lasciate dagli antichi strumenti nei vicoli, nelle strade, nelle piazze, nelle dimore in cui echeggiò la loro musica. Sette sale che ripercorrono i momenti qualificanti della storia della musica meccanica: dalla sua invenzione alle diverse fasi del suo svilupparsi e imporsi nella società, fino al declino dovuto alla comparsa del grammofono e degli altri moderni mezzi di diffusione sonora.

Ci eravamo già occupati su queste pagine di un’altra iniziativa promossa da tale Associazione impegnata nello studio, ricerca scientifica, recupero, restauro, conservazione e persino costruzione degli strumenti musicali meccanici: il festival internazionale dell’antico organetto (vedi ee n. 12). evento capace di tramutare il paese di Longiano in una sorta di grande auditorium popolato di questi affascinanti dispositivi sonori analogici. In quell’occasione il suo Presidente, franco Severi, ci aveva già parlato del suo progetto di fondare un

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Sensi

di

Romagna


non sarebbe la musica una lingua perduta, della quale abbiamo dimenticato il senso, e serbato soltanto l’armonia? massimo d’azeglio

MUSICALIA The museum of mechanical music in Villa Silvia-Carducci Formerly the property of the countess Silvia Pasolini Zanelli, Villa Silvia-Carducci was the scene of one of Italy’s leading cultural salons of the 19th century. Among the figures who frequented the salon was the poet Carducci. It’s now the home of Musicalia, a museum operated by the Italian Association for Mechanical Music (AMMI).

La prima ci porta al cospetto di un antenato della musica meccanica: il tamburo da guerra di Leonardo da Vinci, ricostruito dai tecnici dell’AMMI sulla base delle informazioni ricavabili da testi e disegni dei Codici Leonardiani di Venezia e Parigi, ospitato in una tenda da guerra del Cinquecento. La seconda sala è dedicata invece agli organi da casa, vi sono esposti numerosi strumenti musicali meccanici appartenuti a famiglie dell’alta borghesia dal Settecento sino alle prime decadi del Novecento. Si trovano fra questi alcuni piccoli “gioielli” che suscitano particolare meraviglia: tabacchiere dotate di piccolissimi carillon, sax meccanizzati e gabbiette con uccellini meccanici animati. La terza sala è detta degli organi da strada; vi sono esposti gli strumenti musicali meccanici che popolavano più frequentemente le strade delle città fino ai primi decenni del Novecento. questi dispositivi sonori (spalloni, piani a cilindro e piani mandolini) venivano utilizzati per lo più da questuanti che, suonando per le strade, chiedevano l’elemosina per vivere.

Storia

The AMMI operates on various fronts – scientific research as well as the recovery, restoration, conservation and even construction of mechanical musical instruments. Its work was the subject of an earlier ee article on the international street organ festival of Longiano (ee 12). For the duration of the festival, Longiano becomes a kind of open-air auditorium with a street organ on every corner. At the time, the festival’s director, Franco Severi, spoke of his idea of founding a museum dedicated to the pioneers of “music without musicians”. A museum which would take its cue from similar initiatives elsewhere in Europe and give new life to the mechanical instruments our grandparents and great-grandparents were so familiar with from village dances, feasts and parades. Seven years on, Severi’s idea has become a reality, and offers visitors a journey through five hundred years of mechanical music. Inaugurated last May, the museum is divided into seven rooms. Each is dedicated to a key moment in the history of mechanical music, from its invention through the various phases in its evolution, to its heyday and eventual decline with the appearance of the gramophone and later methods of sound reproduction. The first room presents an illustrious forerunner of mechanical music: Leonardo da Vinci’s war drum, reconstituted by AMMI technicians on the basis of the descriptions and drawings of the codices in Venice and Paris, and displayed here inside a reproduction 16th-century campaign tent.

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Il loro suono delicato e soave era particolarmente apprezzato dai “palati” più raffinati: come Pascoli, Puccini, e, appunto, la stessa Regina Margherita. Le ultime sale riproducono due degli habitat più consoni agli organetti meccanici: la hall di un grand hotel dei primi del Novecento e una piazza. Nella prima è esposto uno strumento costruito in Germania per l’allora Grand hotel di Roma che, essendo stato progettato in un’epoca senza corrente elettrica, è azionato da un grosso contrappeso e si avvia introducendo una moneta da 20 centesimi. Nella seconda trovano invece posto i maestosi strumenti musicali che facevano bella mostra di sé nelle fiere paesane o all’interno di locali pubblici. fra questi spicca un organo da fiera Gavioli, di fabbricazione modenese, famoso per la potenza e la qualità del suono dei suoi strumenti, un Atlantic orchestrion e la ricostruzione di un teatro di marionette dotato al suo interno di un organo di barberia.

La quarta sala inscena il declino e la fine della musica meccanica in Italia, rappresentando l’antesignano delle odierne sale d’incisione. Con l’avvento del disco e dei grammofoni sparirono, infatti, gradualmente gli organetti. Prima dalle vie di città, successivamente dalle campagne e dalle grandi fiere paesane, che rappresentarono le ultime “riserve” per i suonatori ambulanti di musica meccanica. La sala che segue, dalla splendida struttura ovale, fu fatta affrescare appositamente, con motivi decorativi che rappresentano piccole margherite, dai Conti Pasolinizanelli in occasione di una prevista visita della regina Margherita di Savoia, che poi non si tenne. qui è conservato un piano melodico (strumento costruito a Bologna da Giovanni Racca e azionato da cartoni forati) appartenuto alla Sovrana. Gli strumenti meccanici costruiti da Racca si differenziano da tutti gli altri poiché la perfezione delle sue rifiniture ed i materiali prestigiosi di cui sono composti li destinavano esclusivamente ai salotti dell’alta borghesia.

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Sensi

di

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la sospensione del tempo, intesa come fine di ogni coercizione, è l’ideale della musica. theodor adorno

Completano la dotazione del Museo un piccolo teatro ricavato dalla sala nord della Villa e una biblioteca unica nel panorama italiano: la sola ad essere dedicata interamente alla musica meccanica di proprietà di un ente privato. Merita una visita anche il giardino del complesso. qui un percorso sonoro suddiviso in tre “stanze” en plein air conduce il visitatore alla scoperta della storia di Villa Silvia, del suo salotto letterario di fine ottocento e dei personaggi che lo animarono, fra cui naturalmente il poeta Giosuè Carducci. Al primo piano della Villa è visitabile anche la sua camera da letto, preservata dal volere testamentario della contessa Silvia, così come egli la lasciò dopo l’ultima visita. Sulla sua terrazza, che si affaccia sul viale di Cento Cavalieri, da cui si può apprezzare una pittoresca veduta di Cesena e delle sue colline, viene su richiesta servito un tè alla moda del Risorgimento. Aristocratico antenato del contemporaneo coffee break .

Storia

The second room is dedicated to domestic organs, and contains a number of mechanical musical instruments owned by well-to-do families from the 17th to the early 20th centuries. Among the exhibits in this room are some very small and especially marvellous exhibits, including musical snuff boxes, automatic saxophones and birdcages with mechanically-animated birds. The third room is dedicated to street instruments and contains a number of specimens which would have been a common sight on street corners through to the early decades of the 20th century. Most of these instruments (spalloni, barrel pianos and piano mandolinos) were played by mendicants who begged alms as they travelled from one place to another. The fourth room documents the decline and final demise of mechanical music in Italy, and prefigures the rise of the modern recording studio. With the advent of gramophone discs, mechanical musical instruments began to disappear: first from the streets of our cities, then from the countryside and the big rural fairs, which were the last redoubt of the itinerant organ-grinders of old. The next room has a splendid oval shape and was specially decorated by the counts of Pasolini-Zanelli with frescoes depicting daisies, to mark a planned visit by Queen Margherita of Savoy. The visit failed to materialize. This room does however have a piano melodico (built in Bologna by Giovanni Racca and operated by perforated cards) which belonged to the queen. The music boxes built by Racca are different from others in their perfection of detail and the valuable materials of which they are made: which means they would only have been found in the drawing rooms of the upper middle classes. Their suave, delicate timbres were especially appreciated by more refined musical “palates” such as those of Pascoli, Puccini, and Queen Margherita herself. The last two rooms in the museum recreate two environments in which mechanical organs were most frequently to be found: the lobby of a large hotel of the early 20th century, and a city square. The first of these rooms contains an instrument built in Germany for the Grand Hotel of Rome. Made for the pre-electric age, it’s operated by a bulky counterweight mechanism activated by inserting a 20-cent coin. The second and final room contains some of the majestic music machines that were typically seen in rural fairs or in public gatherings. They include a fairground organ built by Gavioli of Modena, whose instruments were famous for their loudness and quality of sound, an Atlantic Orchestrion, and a recreation of a puppet theatre with a built-in barrel organ. The museum’s attractions are completed by a small theatre built in the north room of the villa, and a library which is unique in Italy: it’s the only privately-owned collection to be entirely dedicated to mechanical music. The villa’s gardens are also worth a visit. There’s music here too: the gardens are divided into three open-air “rooms” which document the history of Villa Silvia, the literary salon which convened here in the late 19th century, and the figures who frequented it – including, naturally, the poet Giosuè Carducci. The bedroom on the villa’s upper storey is also open to visitors, and has been preserved intact at the request of its last occupant, Silvia Pasolini Zanelli. The terrace overlooking viale di Cento Cavalieri has good views of Cesena and the surrounding hills. Tea is served to visitors here, Risorgimento style: the more aristocratic forerunner of today’s coffee break.

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L A d o M U S d e I TA P P e T I d I P I e T R A

Camminare sullo splendore Ravenna è la città dei mosaici, della tomba del poeta Dante Alighieri, dello splendore che la fece capitale di Roma e di Bisanzio, nonché, in tempi più recenti, Patrimonio dell’Umanità. Insomma, una città con una storia e un’architettura ben definita, consolidata in una vocazione fatta di bellezza. Eppure uno straordinario ritrovamento ha recentemente compiuto appena vent’anni, confermando che la Capitale dell’Esarcato nasconde ancora inestimabili tesori. Nel 1993, durante gli scavi per la costruzione di alcune autorimesse sotterranee, a poca distanza dal centro compaiono alcuni reperti archeologici. Si intuisce subito che possano rappresentare qualcosa di straordinario per l’arte tardo antica e bizantina. Il proseguire dei lavori porta alla luce vari strati di reperti, databili a partire dal II secolo, fino al tesoro: un palazzo signorile bizantino dell’inizio del VI secolo.

paolo martini

immagini: archivio comune di ravenna

la bellezza, è un enigma. fëdor dostoevskij

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Le sue quattordici stanze e i tre cortili ospitano mosaici e intarsi marmorei di incomparabile bellezza. Il critico d’arte federico zeri, incaricato dalla Soprintendenza dei lavori di classificazione, li battezza con una sintesi perfetta: i tappeti di pietra. Così dal 2002 a Ravenna si può ammirare la domus che porta questo nome. Per accedervi occorre scendere sotto la chiesa di Sant’eufemia. dapprima vi troverete nella penombra, in un’atmosfera quasi sacrale, poi si schiuderà davanti a voi tutto il suo incanto. Uno spazio museale di oltre 1000 metri quadrati ove sono principalmente i pavimenti (pardòn: i “tappeti”) a mostrare la loro magnificenza. Un maestoso dispiegarsi di pietra incastonata da preziose tessere marmoree e ornata da squisiti motivi e cornici policrome. Poi il visitatore dovrà alzare gli occhi perché i due pezzi forti della collezione sono stati rimossi dal terreno ed esposti in verticale, autentici quadri di pietra. Si tratta di due mosaici. Il primo rappresenta un Buon Pastore, tema caro all’arte tardo antica (è presente anche nel mosaico del mausoleo di Galla Placidia), immerso in un eden stilizzato. Più avanti, al suono di una siringa, ossia una zampogna, interamente realizzata con tessere d’oro, farete conoscenza con la danza dei Geni delle Stagioni. Tema raro per l’età bizantina, potrebbe ascriversi alle forme classiche dell’età di Giustiniano e della sua sposa, Teodora, che fu attrice e ballerina, divenendo augusta, qui, sulle sponde dell’Adriatico. Piccoli dubbi che vengono dibattuti dagli esperti, i quali, peraltro, non dubitano minimamente di una cosa: la domus è unica. Unicità confermata dai numeri: il museo, inaugurato nel 2002, già nel 2010 festeggiava il mezzo milione di visitatori. Per la cronaca, il mezzo milionesimo biglietto è stato acquistato da una signora olandese. A vent’anni dalla scoperta, resta sconosciuta l’identità del proprietario della domus. forse fu un funzionario di corte, quasi sicuramente un notabile della società civile. Chiunque fosse, la favolosa dimora che fece edificare per sé è stata in grado di reggere il peso del tempo, per giungere fino a noi.

wALkING oN woNdeR The domus of the Stone Carpets Ravenna is the city of mosaics, of Dante’s tomb and the splendour that made it the seat of the Roman empire and the Byzantine Exarchate – and more recently has earned it World Heritage qualification. It’s a city with a clearly defined history and architectural heritage where beauty has always been a key element. And one discovery, made just twenty years ago, suggests that this former capital of the Exarchate still conceals inestimable treasures. In 1993, excavations for the construction of a vehicle repair shop not far from the city centre unearthed a number of archaeological artefacts. Right from the start it was suspected that these finds represented something truly extraordinary for the art of Late Antiquity and Byzantium. As the excavations continued, several layers of artefacts were unearthed, with the lowest layers dating from the 2nd century. And then, treasure was struck: the remains of a Byzantine villa from the early 6th century. In its fourteen rooms and three courtyards were mosaics and marble intarsias of incomparable beauty. The art critic Federico Zeri, who was put in charge of classifying the discoveries, came up with the perfect description of these mosaics: “the stone carpets”. Ravenna’s Domus of the Stone Carpets has been open to visitors since 2002. It’s entered through the church of Sant’Eufemia. As you descend into the gloom below the church, the first thing that strikes you is the almost sacred atmosphere of the place: and then its enchantment slowly reveals itself to your eyes. The museum area occupies over 1000 square metres, most of which is covered by the mosaic floors (or rather, carpets) gleaming magnificently. A majestic expanse of stone mosaics set with precious tesserae of marble and adorned with exquisite decorative polychrome motifs and frames. But the two star attractions of the museum have been removed from the floor are now exhibited vertically, on the wall, like paintings in stone. Both are mosaics. The first depicts a Good Shepherd, an allegorical theme especially popular in late Antiquity (it can also be found in a mosaic in the Mausoleum of Galla Placidia), in a stylized representation of the Garden of Eden. The second shows the “Dance of the Spirits of the Four Seasons”, in which four figures representing the seasons dance to the music of pan pipes entirely made of gold tesserae. This was an unusual theme for the Byzantine age, and its selection can perhaps be ascribed to the classical leanings of Justinian and his wife, Theodora, a former actress and dancer who was made empress here on the banks of the Adriatic. Although questions like these continue to divide the experts, there’s one thing that nobody disputes: the Domus is unique. To prove it, consider the numbers: after opening in 2002, by 2010 the museum had already welcomed half a million visitors. (For the record, admission ticket number 500,000 was bought by a Dutchwoman.) Twenty years after its discovery, the identity of the occupants of the Domus remains unknown. It may have been the home of a court functionary, and was almost certainly the residence of an important member of the community. Whoever he was, the fabulous house he built has weathered the onslaught of time and can now be admired by all of us.

Storia

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Suoni prodotti dalla terra C e R A M I C h e f I S C h I A N T I : T R A C U LT o P R o P I z I A T o R I o e R I T o d I PA S S A G G I o Ha un fascino elementare; primitivo. Serve ad emettere suoni acuti, oggi spesso anche ultrasonici. È il fischietto.

italo graziani – testo raccolto da alessandro antonelli

immagini: archivio fabiano sportelli, daniele ferroni

Uno strumento dai molteplici usi, da quelli ludici a quelli professionali. Ne esiste però anche una categoria legata, come attraverso un cordone ombelicale, ai colori e alla cultura del territorio romagnolo. I fischietti di questa “famiglia” sono spesso ornati di segni ancestrali, soprattutto quando riproducono il canto degli uccelli, legandosi, dunque, anche ai riti delle stagioni. Si amplifica così la loro valenza simbolica, oggi persa dalla maggior parte degli strumenti musicali, connessa all’atavico rapporto suono-natura-magia che permette loro di superare la semplice condizione di dispositivo sonoro, per trasformarli in figure, o meglio in personaggi. Per questo il fischietto nella cultura popolare ha sovente I

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una valenza benaugurale. Richiamando il suono della bella stagione propiziano l’abbondanza del raccolto e supportano tradizionalmente il corteggiamento amoroso. Una “stagione” è anche quella che attraversa ogni ragazzo quando giunge alla maturità e il segno che tradizionalmente demarca questo passaggio, oltre alla comparsa della barba, è per l’appunto la raggiunta capacità di modulare il fischio usando solo le labbra e la lingua. Il soffiare dei bimbi nell’ancia di un fischietto può dunque essere visto come una preparazione a quel momento. In Romagna il culto di questo strumento è più profondo nelle zone in cui è sviluppata l’arte fittile. Tra queste spicca certamente faenza, la città della di

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la tradizione non si può ereditare; e chi la vuole dove conquistarla con grande fatica. thomas stearns eliot

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SINGING CeRAMICS: Propitiatory cult and rites of passage

They have a primitive, elementary fascination. When blown, they emit an acute, sometimes even ultrasonic, note. These are the clay whistles known as fischietti. Their uses varied – they could be playthings, but they could also be used for more “professional” purposes. And one particular type of clay whistle has a very strong bond with the colours and culture of Romagna. The whistles in this “family” are often decorated with ancient symbols, especially those that reproduce the calls of certain birds: and thereby evoke the rites associated with the different seasons. These features enhance the symbolic value which most musical instruments have now lost, and which lies in the atavistic rapport between sound, nature and magic which these whistles embodied, and which raises them above the status of mere sound-producing devices to make each of them an individual with its own character. In popular culture, the whistle often has propitiatory associations. Its music evokes the birdsong of summer, and because of this it was believed to portend a good harvest. Birdsong also has amatory associations, as summer is the season for courting. There are natural seasons, and the seasons of life: when a young man reached physical maturity the sign that traditionally demarcated the passage from one “season” to another was (besides the appearance of a beard) his ability to modulate the sounds made by the whistle using only his lips and tongue. The blowing of children on the reed of a whistle can therefore be seen as a preparation for their approaching maturity. In Romagna, the cult of the whistle is stronger in the areas with an established tradition in ceramics. Naturally, first among these areas is Faenza, the town which gave its name to a type of ware now known all over the world. The ceramic whistles made in Faenza have evolved significantly from the earliest specimens. A skilful technique in the working of the clay combines style and function in a manner that strikes a subtle equilibrium between the formal elegance and the physical power of the whistle. A living witness to this long-standing niche tradition is Fabiano Sportelli, a craftsman from Bagnacavallo whose expertise in making and playing these small musical instruments makes him one of the few remaining cuccari (as itinerant whistle-players were formerly known in the dialect) in Romagna. Sportelli is often to be found selling his primitive yet ingenious instruments at local craft fairs. In today’s world, where the musical soundscape is dominated by highly sophisticated, often digitally created, sounds, the raw authenticity of the sounds produced by low-tech instruments like clay whistles and ocarinas is arousing a whole new wave of interest in objects that embody what’s most noble about the earth – as the mirror image of its most abject state, mud.

ceramica per antonomasia al mondo. qui ne è stata elaborata una forma pregevole dall’evocativo nome di ceramica fischiante, che rappresenta una significativa evoluzione nell’interpretazione del soggetto rispetto al semplice fischietto. Attraverso una sapiente manualità applicata alla lavorazione della semplice argilla si vuole coniugare l’aspetto stilistico con la controparte funzionale in modo da raggiungere un sottile equilibrio tra eleganza formale e doti sonore del fischietto. Il testimone di questa antica tradizione di nicchia è stato raccolto dall’artigiano bagnacavallese fabiano Sportelli che, unendo alla sua abilità nel plasmare questi piccoli strumenti musicali la propria perizia nel suonarli, rappresenta oggi uno

degli ultimi cuccari (questo il termine dialettale con cui venivano appellati anticamente i suonatori di fischietto ambulanti) a calcare il suolo della Romagna. Presenziando spesso alle fiere tradizionali in questi panni, con la missione di inserire un mezzo primordiale nella modernità del quotidiano delle persone. In uno scenario musicale contemporaneo dominato da suoni quasi sempre altamente sofisticati e/o di natura prettamente digitale, l’essenzialità di suoni come quelli dei fischietti d’argilla o delle ocarine riscuotono una nuova ondata d’interesse, venendo apprezzati anche come forma di conciliazione con la terra nel suo rango di materia nobile, opposto speculare della sua denigrazione a fango.

Passioni

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tutte le passioni esagerano, e sono passioni appunto perché esagerano. nicolas de chamfort

tatiana tomasetta immagini: archivio massimo missiroli

La terza dimensione della carta M A S S I M o M I S S I R o L I , M A e S T R o d e L P o P- U P [18

Quand’è che una pagina bianca diviene un’eternità? Uno spazio infinito dove tutto può apparire? Un teatrino magico dove il mare s’increspa per la tempesta, le foglie si muovono al vento, giovani e fanciulle in rilievo si trasformano in principesse e re?

Accade nell’immaginario dell’artista, nella sua visione della forma, nell’abilità dell’artigiano. Accade nella terza dimensione della carta. Animati e solidi, romantici e giocosi, i libri pop-up ispirano lo stupore di adulti e bambini, quando, sfogliandone le pagine, scoprono un mondo fatto di vibranti sorprese di carta che nascondono l’abilità necessaria per essere create. Un mondo incantato. Stupefacente. Lo stesso in cui vive Massimo Missiroli, designer, artista, paperengineer, riconosciuto oggi come Maestro del pop-up, in Italia e all’estero. Un primato a cui Massimo certamente non pensava quando, giovanissimo, iniziava come autodidatta a insegnare l’arte di quei manufatti di carta che tanto fanno sognare. da sempre appassionato all’immagine, nel tempo libero, nei week-end, di notte, in qualsiasi altro momento disponibile, Massimo afferrava gli strumenti congeniali, carta e forbici, dedicandosi alla passione della sua vita. Sono nati così, non libri ma vere opere d’arte, costruite nel tempo libero, inseguendo un talento naturale. Tutto ha inizio nel 1978, dopo l’incontro con I Gatti di Gattolica, riproduzione di un libro dell’ottocento di ernest Nister corredato dalle poesie di Roberto Piumini. da qui Missiroli inizia a collezionare, a studiare, a costruire e ad insegnare a costruire il pop-up. I

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PAPeR: The ThIRd dIMeNSIoN Massimo Missiroli, master of the pop-up When does a blank page become an eternity? An infinite space with room for everything? A toy theatre where the sea is whipped up by the storm, leaves move in the wind, and young men and women leap out of the page with the vivid power of real princes and princesses? That’s what happens in the imagination of the artist, in his way of envisaging form, in the skill of the craftsman. And it happens when paper is raised to its third dimension. Animated and tangible, romantic and playful, pop-up books delight grown-ups and children alike with their ability to surprise us as we turn their pages, and the craft that’s concealed in their folded cardboard pictures. An enchanted world full of marvel: not unlike the world inhabited by the designer, artist and paper engineer Massimo Missiroli, one of the world’s leading creators of pop-up art. It’s a position he could hardly have dreamed of attaining when as a boy Massimo began exploring the secrets of pop-up art. An art enthusiast since his earliest years, the young Massimo dedicated every scrap of his spare time – weekends, evenings, any other available moments – to what was to become his life’s passion. All he needed was paper and a pair of scissors. These free-time creations were no mere books, but works of art in themselves, and the mark of an exceptional talent. It all began in 1978, when Missiroli discovered a copy of I Gatti di Gattolica, a reproduction of the 19th-century picture book by Ernest Nister with poems by Roberto Piumini. From that moment on, Missiroli devoted his life to pop-ups: collecting them, researching their history, making them and teaching others how to make them too. His collection of pop-up art that began on that day is now one of the biggest and most complete in the world. Soon he was launched on the career that would make him the talent behind some of the world’s most famous pop-up books. To give just a few examples, Missiroli has worked with children’s author Richard Scarry (on a title which won the Children’s Book of the Month award in the US), in the pop-up editions of two German classics, Max und Moritz and Struwwelpeter, and a pop-up edition of La mucca Moka, a joint venture with the writer and illustrator Agostino Traini, published together with another pop-up title, Fred Lingualunga. These books exude all the pedigree of a tradition dating back more than a century. Curiously, though, they belong to a craft that has gone by different names in different periods. The term “pop-up” was coined by the Blue Ribbon Press in the 1930s, and was later extended to almost any book containing mobile parts. Recently there’s been a revival of interest in pop-up books, which are once again selling well. A man with many commitments, Missiroli has nevertheless found the time to create a centre for the promotion of pop-up publishing in Italy and the preservation and dissemination of Italian pop-up books.

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Comincia ad acquistare quei preziosi oggetti di carta che oggi compongono la sua collezione, fra le più ampie e complete al mondo. Poi le cose prendono la loro strada e Missiroli oggi è l’artefice di alcuni tra i più famosi libri del panorama internazionale. Come, solo per citarne alcuni, il pop-up illustrato da Richard Scarry (selezionato negli Stati Uniti come Children’s Book-of-the-Month) o l’interpretazione pop-up di due classici dell’editoria tedesca, Max und Moritz e Struwwelpeter (Pierino Porcospino), oppure come La mucca Moka pop-up, nata dalla collaborazione con lo scrittore e illustratore Agostino Traini, uscita in libreria insieme a fred Lingualunga pop-up. questi libri, in cui si respira l’aria di una tradizione nata oltre un secolo fa, vengono oggi classificati con gli appellativi più originali e curiosi. La definizione “pop up”, letteralmente “saltar su”, fu introdotta dall’editore Blue Ribbon Press negli anni Trenta ed estesa successivamente a quasi tutti i libri che contenevano qualche parte mobile. Solo recentemente, però, l’interesse per i libri pop-up è esploso commercialmente. Tra i suoi molti impegni, Missiroli ha comunque trovato il tempo necessario a fondare il Centro per la promozione dell’editoria pop-up in Italia, presente in Rete, che si impegna a preservare e a diffondere la cultura nazionale di questo genere editoriale. Passioni


Pane di bosco

In autunno, le selve castanili della media vallata del Santerno divengono veri e propri giacimenti di un pregiato frutto secco protetto dal caratteristico “scrigno” spinoso: il prelibato Marrone di Castel del Rio.

I MARRoNI dI CASTeL deL RIo alba pirini immagini: archivio comune di castel del rio, stefano calamelli

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Amministrativamente questa zona appartiene all’emilia, ma secondo la geografia dei sentimenti (vedi ee n. 13) la si può considerare, almeno parzialmente, romagnola. Tant’è che nel 1559 la valle del Santerno offrì in dono proprio al Governatore di Romagna “dodici paia di capponi, cento libbre di formaggio Marzola […] e sei corbe di Marroni”. Gli Alidosiani (così sono chiamati gli abitanti di Castel del Rio, in ossequio alla famiglia feudale che lungamente dominò queste zone) sono noti per la cura maniacale che dedicano ai loro castagneti, tramandandosi una virtuosa tradizione che perdura da secoli. Tradizionalmente però, fino a qualche decennio fa, ogni famiglia curava il proprio appezzamento in un ottica di autoconsumo e chiamava addirittura il castagno l’albero del pane; solo in anni di formidabile raccolto l’eccedenza veniva venduta ai forestieri, facendo così conoscere le qualità organolettiche e nutrizionali del Marrone di Castel del Rio fuori dai suoi confini. oggi, dopo aver ricevuto anche la denominazione IGP (Indicazione Geografica Protetta), il Marrone ha superato pure i confini nazionali, divenendo a pieno titolo una leccornia europea. Lo differenziano dalla comune castagna un gusto più dolce e fragrante che esalta gli aromi del bosco, la finezza della polpa, la forma oblunga e la maggiore pezzatura nonché la presenza della buccia bruna e della sottile pellicina che lo proteggono.

non è p iù mos to, il m arron è buono arrosto. are popol antico proverbio

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In comune con la castagna possiede invece l’alta conservabilità, che già nel Medioevo ha permesso a questi deliziosi frutti di giungere sulle tavole di luoghi lontani, come Parigi e Il Cairo. da tempo immemorabile le popolazioni montane hanno elaborato un naturale procedimento per conservare fino a primavera la squisitezza di questi frutti: è infatti sufficiente lasciarli immersi otto giorni in acqua per provocare una leggera fermentazione. I Marroni vengono poi fatti asciugare e raccolti in sacchetti di rete. oggi naturalmente è sufficiente metterli in freezer per poterli gustare tutto l’anno. È però in autunno che divengono l’ingrediente principe di tante preparazioni culinarie tipiche. Si possono ad esempio gustare brusè (incisi, cotti in una padella forata detta brusadûr e serviti caldissimi) o lessati in acqua salata con foglie di lauro. In qualunque modo preferiate consumarli, vi cederanno generosamente il loro ampio patrimonio di sostanze dietetiche e nutritive: amidi e zuccheri complessi, sali minerali (come fosforo e magnesio) ed un’altissima concentrazione di potassio, sostanza che combatte efficacemente la fatica. Viste le tante virtù di questo piccolo frutto non sarà un caso che secondo una credenza popolare locale i neonati, anziché sotto i cavoli, nascano nei grandi alberi cavi di castagno.

BRe Ad fRoM The woodS The chestnuts of Castel del Rio In autumn, the wild chestnut groves of the middle valley of the Santerno are strewn with the spiny jackets of the prized chestnuts of Castel del Rio. Administratively, this neck of the woods belongs to Emilia, but on the map of emotional geography (see ee issue 13) Castel del Rio belongs, at least partly, to Romagna. As early as 1559, in fact, the inhabitants of the Santerno valley made a gift to the governor or Romagna of “twelve brace of capon, a hundred pounds of Marzola cheese [...] and six baskets of chestnuts”. The Alidosiani (as the inhabitants of Castel del Rio are called, in allusion to the Alidosi, the family which long dominated these parts) are noted for the obsessive care with which they look after their chestnut groves, in continuation of a tradition that reaches back centuries. Until just a few decades ago, however, tradition also had it that each family tended its own plot of “bread trees” on a subsistence basis; only in years of exceptionally abundant harvest was the excess sold on the external market, making the flavour and nutritional properties of Castel del Rio chestnuts known outside their immediate zone of production. Nowadays, the chestnuts have IGP (Protected Geographical Indication) status and are exported all over Europe, where they’re appreciated as a delicacy. What makes Castel del Rio chestnuts different from others is their flavour (sweeter and more fragrant, with a marked woody undertone), their texture (exceptionally smooth), and their size and shape (bigger and more oblong than most chestnuts). The brown shell and inner lining are the same as other chestnuts. Like all chestnuts, those of Castel del Rio can be conserved for long periods, a quality that as early as the Middle Ages enabled these delicious nuts to grace tables in places as far away as Paris and Cairo. For longer than anyone here can remember, the inhabitants of Castel del Rio have used a natural conservation technique that keeps the chestnuts fresh through to the following spring. First the chestnuts are steeped in water for a week, during which time they undergo light fermentation. Then they’re left out to dry and collected in net bags. Today, of course, they can be stored in the freezer and enjoyed all year round. But autumn remains the season of the chestnut, the time of year when it’s used in countless traditional dishes. They can be enjoyed brusè (nicked with a knife and roasted in a perforated tin over embers and served piping hot), or boiled, flavoured with bay leaf. Whichever way you prefer them, chestnuts are a rich source of nutrition: they contain starches and complex sugars, minerals including phosphorus and magnesium, and have extremely high concentrations of potassium, a substance which is excellent for countering fatigue. With so much goodness in such a humble fruit, it’s no surprise that according to local tradition new-born babies are found not under a cabbage leaf as in other cultures, but in the bole of a chestnut tree.

Enogastronomia

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Tenuta Uccellina carlo zauli

immagini: archivio tenuta uccellina

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V I T I G N I B L A S o N AT I , R I T R o VAT I e A N C o R A d A R I S C o P R I R e Dalla metà degli anni Ottanta, Alberto Rusticali porta avanti con caparbietà la propria personale visione di vitivinicoltura. questa lo ha condotto negli ultimi anni ad affiancare alle tradizionali produzioni doC e doCG di Bertinoro (vedi ee n. 16), come Sangiovese ed Albana, la sperimentazione su alcuni antichi vitigni di cui si era persa, se non la memoria, quantomeno la pratica. oggi la tenuta comprende circa sette ettari di terreno vitato distribuiti tra le colline di Bertinoro e la piana ravennate. da questi ultimi, situati nei dintorni di Bagnacavallo (vedi ee n. 19), si è sviluppata la prima sfida che ha impegnato Rusticali, guidato dal raffinato enologo Sergio Ragazzini, all’attiva collaborazione finalizzata al rientro in pompa magna nei salotti buoni enologici del Bursôn. Vino oggi nuovamente celebrato per la sua corposità, che si ottiene dalle uve denominate Longanesi in onore di Antonio Longanesi. Soprannominato per l’appunto Bursôn, egli riuscì, negli anni Cinquanta, a moltiplicare una vite selvatica ottenendo per primo questo vino capace di raggiungere i 14 gradi, risultato sbalorditivo per quella zona di coltivazione.

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Per onorare degnamente il suo ritorno, ad ogni vendemmia la Cantina imbottiglia in magnum una serie limitata di Bursôn etichetta rossa “vestita” da una xilografia originale realizzata dall’artista multidisciplinare di origine romagnola Umberto Giovannini. L’attenzione della Cantina si concentra anche su altri vitigni rari. Tra questi, il famoso, che a dispetto del suo nome ha subito, a causa della sua aromaticità un tempo considerata eccessiva, un secolo di contrazione che lo ha portato al limite dell’estinzione e dalle cui uve nascono vini caratterizzati da intensi aromi, simili a quelli del Moscato. Il Canena, da cui si ottiene l’omonimo vino tradizionale (non confondetelo con la Cagnina) caratterizzato da un certo tasso zuccherino e il fortana, su cui matura un’uva che sviluppa poco grado alcolico e una spiccata mineralità. La Tenuta Uccellina offre così il suo apporto alla preservazione di un patrimonio tutto romagnolo di aromi e di biodiversità spesso ancora “in cerca di autore”.

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Bursôn – Etichetta Nera _ Ravenna Rosso IGT Riserva 2009 _ Uve/Grapes 100% Longanesi Dal vitigno autoctono Longanesi della pianura ravennate nasce questo vino particolarissimo, dotato di una formidabile ricchezza tannica annunciata da un colore rosso granato concentrato. Persistente al naso, fluttua tra note fruttate di ciliegia nera e visciola che si fondono alla vaniglia e il cioccolato dei legni. La sua potenza e struttura avvolgente investono il palato lasciando la tipica ruvidezza. Fermenta in fermentini termo-condizionati per almeno 10 giorni con frequenti rimontaggi e viene affinato per 18 mesi in particolari tonneaux a tre tipologie di legno. Temperatura di servizio 20-22 °C. È un vino che dimostra buone doti di conservazione e va accompagnato a piatti particolarmente saporiti come la cacciagione. Made from Longanesi grapes, a variety indigenous to the Ravenna plain, this highly distinctive wine has a formidable tannic structure, as its dense, garnet colour suggests. Persistent on the nose, its fruity notes oscillate between black and sour cherry, shading into the vanilla and chocolate notes imparted by the casks. A powerful, formidably structured wine that assails the palate, leaving a characteristic roughness. Fermented in temperature-controlled vats for at least 10 days with frequent pumping over the caps, followed by 18 months’ ageing in special tonneaux made from three types of wood. Serving temperature 20-22°C. A wine that keeps well and is best served with robustly-flavoured dishes such as game.

Bursôn – Etichetta Blu _ Ravenna Rosso IGT Riserva 2010 _ Uve/Grapes 100% Longanesi Il Bursôn base dell’Azienda si presenta d’un rosso violaceo leggermente meno concentrato rispetto alla riserva. Al naso rivela una nota verde di bacche di ginepro, mentre in bocca si diffonde una inaspettata morbidezza iniziale, rapidamente seguita dal caratteristico contributo tannico. Nel complesso, un vino coinvolgente, capace di concedere con immediatezza il suo bouquet. Come l’Etichetta Nera, attraversa una fermentazione in fermentini termo-condizionati per almeno 10 giorni con frequenti rimontaggi e viene poi affinato per 18 mesi in particolari tonneaux a tre tipologie di legno. Temperatura di servizio 18-20 °C. Abbinamento consigliato: alla scottiglia di carni bianche. Uccellina’s flagship Bursôn is reddish-purple in colour, a little less dense than the reserve wine. On the nose it has a fresh note of juniper berries, while in the mouth its initially surprising smoothness is followed by the characteristic tannin “kick”. Overall, an engaging wine that’s quick to reveal its bouquet. Like its reserve counterpart, Bursôn Etichetta Nera is fermented in temperature-controlled vats for at least 10 days with frequent pumping over the caps, followed by 18 months’ ageing in special tonneaux made from three types of wood. Serving temperature 18-20°C. Recommended pairings: white meats.

Ghineo _ Sangiovese di Romagna Superiore DOC Riserva 2009 _ Uve/Grapes 100% Sangiovese Ricavato dall’omonimo vitigno secondo pratiche tradizionali che si tramandano per via familiare, mostra un colore rubino con vivaci sfumature violacee. I suoi sentori di viola preludono ad un gusto asciutto e sapido. Fermenta con lieviti selezionati subendo sei rimontaggi al giorno e viene affinato in recipienti d’acciaio per sei mesi, prima di affrontare l’invecchiamento in botti di rovere. Temperatura di servizio 18-20 °C. Il Ghineo si rivela particolarmente adatto ad essere gustato con gli arrosti e le carni rosse in generale. Produced from the grape of the same name using traditional methods passed from generation to generation, Ghineo is a ruby-red wine with lively purple highlights. Its lean, tangy flavour is preceded by notes of violet. Fermented with selected yeasts and pumped over the caps six times a day before 6 months’ maturing in inox tanks, followed by ageing in oak casks. Serving temperature 18-20°C. Ghineo goes particularly well with roasts and all red meats.

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il vino e l’uomo mi fanno pensare a due lottatori tra loro amici, che si combattono senza tregua, e continuamente rifanno la pace. il vinto abbraccia sempre il vincitore. charles baudelaire

TeNUTA UCCeLLINA Vines of distinction: rediscovered for a new generation

Alberto Rusticali has been doggedly pursuing his own personal vision of winegrowing since the mid-1980s. It’s a vision that in recent years has led him to extend his production from the traditional DOC and DOCG wines produced in Bertinoro (see ee issue 16) like Sangiovese and Albana to experiment with older varieties of vine which, although not entirely forgotten in name, had no longer been cultivated for some time. His estate now comprises seven hectares of vines, divided between the hills of Bertinoro and the Ravenna plain. The latter parcel, on the outskirts of Bagnacavallo (see ee issue 19), was the scene of the latest challenge taken up by Rusticali, under the expert guidance of oenologist Sergio Ragazzini. The mission: to rehabilitate Bursôn as a wine worthy of the finest cellars. Newly celebrated for its full-bodied flavour, Bursôn is made from Longanesi grapes, named after Antonio Longanesi, known locally as Bursôn, the man who in the 1950s succeeded in cultivating a wild grape that yielded a wine with an alcohol content of 14%: an amazing achievement for the zone of cultivation. In honour of its return, at each harvest Uccellina produces a limited-edition magnum-bottled range of red-label Bursôn with an original label design featuring a woodcut by the multi-talented Romagnol artist Umberto Giovannini. But Uccellina also has its sights set on other rare grapes. Among these is Famoso, which despite its name gradually fell into disuse over the course of a century because it was considered overly-aromatic. Now rescued from the edge of extinction, it yields an intensely-flavoured wine that’s similar to Muscat. Another grape, Canena, makes a traditional wine of the same name (not to be confused with Cagnina) with a distinctively sweet twist. The Fortana grape yields a wine that’s low in alcohol and high on minerality. All these wines are Tenuta Uccellina’s contribution to the preservation of a cultural heritage and biodiversity that’s unique to Romagna – but whose value has yet to be fully recognized.

Enogastronomia


BEYOND SURFACE

AU DELA DE LA SURFACE



la cultura ha la virtù di abbellire un volto più che il trucco e i cosmetici. jean bousquet

tatiana tomasetta immagini: archivio muky, maurizio galimberti, ermes ricci

Muky LA SIGNoRA deLLA CeRAMICA

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Un’artista diventa un’icona quando, oltre al talento, è il personaggio, il suo carisma e il suo cospetto, a contribuire al protagonismo di un territorio.

quando un’esistenza essenziale, espressione di una personalità trascinante, determina la classe artistica di una città, come nel caso dell’artista Muky, al secolo wanda Berasi, ceramista, poetessa, scrittrice, che a faenza arrivò intorno alla metà degli anni Cinquanta e qui si fermò, diventando musa dell’Informale, contribuendo alla crescita dell’identità culturale faentina, proteggendo l’arte della ceramica e coloro che vi si dedicavano e consacrando a queste “vocazioni” buona parte della sua esistenza. La dimora della signora Muky in piazza II giugno a faenza: la Loggetta del Trentanove, ha ospitato i più grandi pittori, scrittori e personaggi dello spettacolo e della cultura. Un salotto culturale che dal secolo scorso ad oggi mantiene vivo il confronto tra gli artisti della città manfreda e non, che ha per cornice uno degli edifici neoclassici più prestigiosi per il Settecento faentino, il cui nome deriva da quello del plasticatore Antonio Trentanove. Artista che fra il 1775 ed il 1780 ultimò le quattro grandi statue in stucco che ornano le nicchie del porticato pensile. ornata da ampie vetrate, la Loggetta è ben visibile anche dall’esterno e rappresenta un angolo unico che rimanda alla identità dei luoghi I

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dell’arte ma anche alla privacy artistica della proprietaria. Tuttora aperta al pubblico per mostre ed eventi culturali, la Loggetta espone anche le opere della padrona di casa, che decorano le pareti e gli spazi. Tra questi i celebri piatti bianchi della Muky, simili a pagine candide di un taccuino su cui lasciare un autografo. Tali piatti monocromatici sono fregiati dalle firme dei grandi artisti passati da qui: Ruggero orlando, Alberto Bevilacqua, enzo Biagi, Severo Pozzati, César, Vittorio Sgarbi, solo per citarne alcuni, e raccontano la storia dei cenacoli intellettuali che si sono tenuti tra queste mura. A differenza di ciò che ci si aspetterebbe considerando il profondo rapporto che lega Muky a questa terra, la signora della ceramica non è romagnola, nacque bensì a Trento nel 1926. Iniziò a dipingere giovanissima nell’ambito della Scuola Romana, conobbe e frequentò gli artisti più rappresentativi del suo tempo. dopo aver vissuto ed esposto tra l’estero e Roma, arrivò infine a faenza. Non gli studi, ma l’amore fece sì che questa giovane artista si fermasse nella città romagnola; un grande amore durato una vita, vissuto con lo scultore faentino domenico Matteucci. di

Romagna


2001 Usa - Afghanistan “L’attacco su New York e Washington 11 - 09 - 2001”

“ero giovane, acuta, precisa, tutte cose che vanno bene per le discipline, perché l’arte è anche mestiere - racconta di sé Muky in un’intervista concessa all’architetto franco Bertoni - facevo i bamboccini con la mollica del pane, ho iniziato a disegnare, poi ho pensato di andare a Roma all’Accademia Tedesca Villa Massimo, insieme ai grandi artisti. era il tempo di Mazzacurati, di Leoncillo, di Guttuso, che riempiva i salotti romani con la sua pittura forte, illustrativa e popolare. questi sono stati i miei maestri - afferma l’artista che divideva lo studio con lo scultore Leoncillo e racconta - Usavamo i forni elettrici, con le resistenze che si bruciavano di continuo e dovevo cambiarle frequentemente, ma sapevo fare anche queste cose”. A partire dal 1955, Muky frequenta lo studio ceramico di uno scultore di ampia fama locale, l’artista domenico Matteucci. “A faenza venni in treno per vedere la scuola d’arte e in viaggio incontrai il dottor Bruno Marabini, che mi parlò di questo grande artista che era Matteucci, una volta arrivati mi accompagnò in via Mameli dove Matteucci aveva lo studio, uno studio nero, affumicato, con le fascine di legna per terra e i topolini che giravano dappertutto.

Nel ventre di Manhattan mille cuori morti fumano ancora. Bombardieri americani partono. Terroristi si rintanano sulle alture. Inviano buste affrancate con spore candide che dilaniano i polmoni. Trema il Creato.

dopo aver iniziato a frequentare l’Istituto d’Arte, per una ricerca, fui convocata dal direttore, che mi redarguì perché indossavo i pantaloni jeans. Chiesi a domenico se potevo stare nel suo studio ed egli mi rispose che potevo fare ciò che mi pareva, nacque così lo studio Muky - domenico Matteucci. Lui era molto silenzioso – continua l’artista – i clienti venivano nello studio e chiedevano se potevano avere un’opera. domenico rispondeva di sì ma intendeva tra un anno, tre anni, dieci anni. Pensavo io a creare i pezzi e lui diceva sempre che ero bravissima. ero innamorata del cervello di domenico. Io facevo cose che sapevo sarebbero piaciute ai faentini, lui invece pensava alla realizzazione di grandi composizioni, i monumenti, le pale d’altare.

Arte

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MUky first lady of ceramics

Creava e ricreava, poteva passare un mese su un’opera e poi disfarla completamente, voleva cogliere l’anima di tutto, perché, semplicemente, era un poeta”. Per fare il ritratto della Muky ci mise otto anni. domenico Matteucci muore a faenza nel 1991 e la sua compagna Muky continua tutt’oggi a portare avanti il ricordo dell’Artista. questa originalissima signora seguita, infatti, ad animare la dimensione culturale di faenza, confermandosi una promotrice culturale infaticabile, capace di organizzare decine di mostre. Lei stessa ha esposto in numerose gallerie e musei, ha editato otto libri di poesia ed è stata insignita di molti prestigiosi premi in Italia e all’estero, sempre volgendo il suo interesse alla creazione di installazioni multimateriche in cui la ceramica svolge un ruolo centrale. È nota la sua propensione a donare le proprie opere ai musei; eloquente espressione della mentalità nobile di un’artista fedele ad un’idea di Arte che non può prescindere dalla sua stessa condivisione. I

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An artist achieves iconic status when not only her talent but her personality, charisma and presence lend prestige to the place that’s associated with her. Or when her way of being, the magnetism of her personality, determine the whole artistic temperament of a place. This is the case of the artist Muky Vajolet (born Wanda Berasi), a ceramist, poet and writer who arrived in Faenza in the mid-1950s and has never left. One of the muses of Informalism, she has made an invaluable contribution to the growth of Faenza’s cultural identity, fought to protect the ceramic arts and those who dedicate their lives to them, and devoted much of her own life to her many callings. Muky’s home in piazza II Giugno, Faenza is the Loggetta del Trentanove, a place which has played host to some of the greatest painters, writers and figures from the world of the performing arts and culture. A salon that even today continues to keep dialogue alive among the artists of Faenza and further afield. The Loggetta is an 18th-century building that’s one of the most prestigious examples of neoclassical architecture in Faenza. di

Romagna


of this great artist named Matteucci. When we arrived in Faenza he accompanied me to via Mameli, where Matteucci had his studio. It was a dark, smoke-blackened studio, with bundles of wood on the floor and mice running around all over the place. After I began attending classes at the art school I was summoned before the then-director, who threw me out for wearing jeans trousers. I asked Domenico if I could stay in his studio, and he told me I could do what I liked. Matteucci was a very silent person,” Muky remembers. “Clients would come to the studio asking for one of his works. He would answer yes, but by that he meant in a year’s time – or in three years’, or ten years’ time. I was in charge of firing the pieces, something he always said I did very well. I was in love with Domenico’s mind. I used to make things I knew people in Faenza would like, but he was more interested in large compositions, monuments, altarpieces. He’d make things and remake them, he might spend a month on a work and then completely take it apart. He wanted to get to the soul of things. Because, quite simply, he was a poet. It took him eight years to do my portrait.” Domenico Matteucci died in Faenza in 1991. His lifelong companion keeps his memory alive today. Original as ever, Muky continues to energize the local art scene. As an indefatigable champion of culture, she has organized scores of exhibitions. Muky has exhibited her own work in hundreds of galleries and museums, and has also published eight books of poetry. She has won several prizes in Italy and abroad, and is primarily involved in the creation of multimedia installations where ceramics play a central role. Muky has always been generous in donating her work to museums: an eloquent expression of the noble outlook of an artist who has remained faithful to an idea of art which depends on shared enjoyment for its fulfilment.

conta l’esperienza i nter sta, rti ior a 29] n e. u r ce e p sa a re nz pa ie ve r se pe s e ’

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It takes its name from the stuccatore Antonio Trentanove, who from 1775 to 1780 created the four large stucco statues that adorn the niches of the building’s upper gallery or loggetta. With its large windows, the Loggetta is clearly visible from the piazza. It’s a unique building which not only exudes a spirit of art but also embodies the tastes peculiar to its occupant. Open to the public for exhibitions and cultural events, the Loggetta is also decorated with Muky’s own works. Among these are her famous white plates, reminiscent of the white pages of a visitor’s book. And just like a visitor’s book, they’re embellished with signatures: of all the artists and writers who have visited Muky’s residence, figures such as Ruggero Orlando, Alberto Bevilacqua, Enzo Biagi, Severo Pozzati, César and Vittorio Sgarbi, to name just a few – names that testify to the rich intellectual ferment these walls have contained. Contrary to what we might expect in a woman with such a strong bond of affection to Faenza, Muky is not a native of Romagna. She was born in Trento in 1926. She began painting while a student of ceramics in Rome, where she met and frequented some of the leading artists of the time. After living abroad and in Rome, she finally came to Faenza. However, it wasn’t her studies that kept the young artist in Faenza, but love: a love affair that lasted a lifetime, with the Faenzaborn sculptor Domenico Matteucci. “I was young, sharp, diligent – all the things you need to learn the trade, for art is a profession too,” Muky remembered in an interview with the architect Franco Bertoni. “I made figurines out of moistened breadcrumbs, then I began drawing, then I decided to go to the Accademia Tedesca Villa Massimo in Rome to be beside the big artists. It was the time of Mazzacurati, Guttuso, who filled the Roman exhibition rooms with his vividly figurative paintings. They were my teachers.” In her Roman period, Muky shared a studio with a sculptor named Leoncillo. “We used electric ovens that were always burning out and so I had to change them constantly. But I knew how to do these things too.” In 1955, Muky began frequenting the studio of an artist with a strong local reputation, the sculptor Domenico Matteucci. “I took a train to Faenza to see the town’s art school, and during the journey I met Bruno Marabini, who told me

“Il mio amante è il sole”

esposto al mart di rovereto con altre 15 opere (dicembre 2012)

ritratto di muky di domenico matteucci Arte


Nicola Samorì: Arte come rifugio T R A IMM AGINI “ RISV eGL I AT e” dA L LoRo SoNNo B I d I M e N S I o N A L e e S CU LT U R e M U T I L AT e

tommaso attendelli

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immagini: archivio nicola samorì

Per esprimere la propria poetica, Samorì parte dalle immagini derivate dalla storia della cultura occidentale che i più assimilano all’immaginario generico di Arte per “scaraventarle” agli antipodi della loro originaria estetica d’appartenenza. Come ben evidenzia il critico e curatore Alberto zanchetta, l’Artista riesce dunque a invertire il déjà vu, che suscitano certi ritratti puristi talmente ripetitivi da confondersi tra loro, in un jamais vu, ossia un “mai visto” prima, attraverso un complesso processo di alterazione che la porta a divenire altra da a sé, disancorandola totalmente dal contesto passato in cui è nata. questo giovane artista forlivese, classe 1977, uscito nel 2004 dall’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha già alle spalle un nutrito numero di collettive e gli sono state dedicate esposizioni personali, oltre che in Italia, in Germania, Stati Uniti ed Australia. Segno di come le nuove figure che Samorì riesce ad ottenere da quelle iniziali cannibalizzate possiedano un magnetismo spiazzante e trasversale. Spingendo l’immagine verso la sua estinzione, secondo l’Artista in essa s’imprime una forma di bellezza estenuata, al limite. Il motore di questo processo artistico è la paura. Paura per la natura I

Sensi

fragile e disgraziata cui appartiene l’essere umano. espletata, per sua stessa ammissione, attingendo alla ritualità che affonda nelle sue origini contadine, quando nutrire e consumare creature era abituale e necessario. Violando la formalità di una precisa iconografia dell’arte pittorica e plastica, riesce così ad evocare una nuova vitalità. Processo, questo, non privo di drammaticità, in quanto presuppone una forte empatia dell’Artista con l’immagine primaria a cui egli dà forma, che degenera poi nell’accanimento con cui finisce per “profanarla”. I colpi di spatola inferti alla tela fino a scoprirne i “nervi” del legno retrostante, la sovrapposizione di strati di tessuti, lattice e plastiche, la rimozione chirurgica di porzioni mirate (talvolta ingenti) dell’immagine, la mutilazione delle sculture simboleggiano sempre un cosciente tradimento della tradizione a favore di una risorta irruenza semantica del linguaggio artistico. qualcosa di diretto e dirompente. di

Romagna


NICoLA SAMoRì: ART AS RefUGe from images “awakened” from their two-dimensional slumber to… mutilated sculptures In expressing his poetic vision, Nicola Samorì delves into the history of Western art and its “conventional” images, only to transmute them to the antithesis of their original aesthetic.

non c’è via più sicura per evadere dal mondo, che l’arte; ma non c’è legame più sicuro con esso che l’arte. johann wolfgang goethe

As the art critic and curator Alberto Zanchetta rightly points out, in doing so Samorì inverts the déjà vu of images so repetitive as to be indistinguishable from one another into a jamais vu, something we’ve “never seen” before, via a complex process of alteration which makes an image something other than itself, totally detaching it from the historical context in which it came into being. Nicola Samorì was born in Forlì in 1977 and graduated from the Accademia di Belle Arti in Bologna in 2004. His works have already been on show in many collective exhibitions, and have also been featured in one-man exhibitions in Italy, Germany, the United States and Australia. Success like this is indicative of how the new images Samorì obtains from his cannibalized originals have an unsettling magnetism that’s all their own. Pushing the image towards its own destruction, in Samorì’s view, achieves a kind of extenuated, limit-state beauty. The driving force behind this artistic process is fear: fear for the fragile and wretched nature of the human condition. On his own admission, Samorì gets over this fear by finding inspiration in a ritual act whose roots strikes deep into his peasant origins, when raising animals just to slaughter them was as customary as it was necessary. By violating the formal integrity of a well-defined artistic iconography, Samorì gives his images renewed vitality. It’s a process that’s not without a degree of performance, in that it requires the artist to strongly empathize with the original image – the better to tear it apart and “desecrate” it. Samorì slashes his canvases with his spatula until the “nerves” of the underlying panel show through, the superimposed layers of fabric, latex and plastic; he surgically removes certain (often enormous) portions of the image, mutilates his sculptures: gestures which symbolize a conscious betrayal of tradition in favour of a revitalized semantic impetuosity of the language of art. The result is something direct and disruptive in its impact. The skilfully contrived opposite of the idea of Art as decoration for well-to-do living rooms. In Samorì’s own words: “The resulting images are crisp and essential, and exude a sense of surface convulsion that challenges their formal serenity.” This convulsion has the effect of lifting Samorì’s pictures out of their two-dimensionality, cutting them loose from their backgrounds to take the observer by storm; in the sculptures, the material seems to experience its very own tragedy. There’s no social message in all this, no moral crusade. Just an alarm call sounded by an artist who refuses to assimilate the crushing implications of human mortality. Maybe that’s why Samorì makes room in the artistic dimension for a breathing space where he can take refuge. In his case, after “assassinating” an Old Master.

L’inverso, consapevolmente cercato, dell’idea di Arte come tappezzeria da salotto buono. Con parole sue: “Le immagini derivate, essenziali e decise, emanano una convulsione pittorica di superficie che sfida la loro serenità formale”. Una convulsione che porta le opere pittoriche di Samorì ad “uscire” dalla bidimensionalità, abbandonando lo sfondo per dare l’“assalto” all’osser vatore e quelle scultoree quasi a vivere di tragedie proprie. Nessun messaggio sociale in tutto ciò, nessuna denuncia morale. Solo l’allarme lanciato da un artista che non si rassegna ad assimilare le schiaccianti implicazioni della caducità umana. forse per questo Samorì individua nella dimensione artistica uno spazio d’agio in cui rifugiarsi. Nel suo caso, dopo aver “assassinato” un capolavoro.

Arte

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[0 4] TERRITORIO Le MARMITTe deI GIGANTI _ a sarsina, un parco tutela questi pittoreschi fenomeni erosivi CAULdRoNS of The GIANTS _ a park in sarsina dedicated to a fascinating natural phenomenon STo R I e d I CU S e R Co L I _ u n p a es e i n cu i co n f l u is co n o s to r i ci tà e su g g es t i o n i TA L eS f R o M CU S e R Co L I _ v i l l a g e o f co n t ra s t s

[08] STORIA L A f R eCCI A d I fA e N z A _ f ra n ces co l a m a: i n d i m e n t i ca to ce n ta u ro ro m a g n o l o T h e A R R ow o f fA e N z A _ f ra n ces co l a m a: a n u n fo rg o t te n ro m a g n a h e ro

eCCe M U S I C A L I A _ i l m u s e o d i m u s i ca m e cca n i ca a v i l l a s i l v i a - ca rd u cci M U S I C A L I A _ t h e m us e u m o f m e ch a n i ca l m u s i c i n v i l l a s i l v i a - ca rd u cci C A M M I N A R e S U L Lo S P L e N d o R e _ l a d o m u s d e i ta p p e t i d i p i e t ra wALkING oN woNdeR _ t h e d o m u s o f t h e s to n e ca r p e t s

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PASSIO NI

SUoNI PRodoTTI dALLA TeRRA _ ceramiche fischianti: tra culto propiziatorio e rito di passaggio S I N G I N G Ce R A M I C S: _ p ro p i t i a to r y cu l t a n d r i tes o f p a s s a g e L A T e R z A d I M e N S I o N e d e L L A C A R TA _ m a s s i m o m is s i ro l i, m a es t ro d e l p o p - u p PA P e R: T h e T h I R d d I M e N S I o N _ m a s s i m o m is s i ro l i, m a s te r o f t h e p o p - u p

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ENOGASTRONOMIA

PA N e d I B o S Co _ i m a r ro n i d i ca s te l d e l r i o B R e A d f R o M T h e wo o d S _ t h e ch es t n u t s o f ca s te l d e l r i o T e N U TA U CCe L L I N A _ v i t i g n i b l a s o n a t i, r i t rova t i e a n co ra d a r is co p r i re T e N U TA U CCe L L I N A _ v i n es o f d is t i n c t i o n: re d is cove re d fo r a n ew g e n e ra t i o n

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M U k y _ l a si g n o ra d e l l a ce ra m i ca M U k y _ f i r s t l a d y o f ce ra m i c s N I Co L A S A M o R ì: A R T e Co M e R I f U G I o _ t ra i m m a g i n i “r isve g l i a te” d a l l o ro s o n n o b i d i m e nsi o n a l e e s cu l t u re m u t i l a te N I Co L A S A M o R ì: A R T A S R e f U G e _ f ro m i m a g es “a wa ke n e d” f ro m t h e i r t wo d i m e n si o n a l sl u m b e r to… m u t i l a te d s cu l p t u res

I

Sensi

di

Romagna


Periodico edito da Cerindustries SpA 4 8 0 14 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I T A Ly v i a e m i l i a Po n e n te, 10 0 0 w w w.c e r d o m u s .c o m w w w.c e r d o m u s . n e t direttore responsabile Raf faella Agostini direttore editoriale Luca Biancini Progetto Carlo zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Laura zavalloni – Cambiamenti per divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Alessandro Antonelli Redazione To m m a s o A t t e n d e l l i franco de Pisis Italo Graziani Paolo Martini Alba Pirini Manlio Rastoni Ta t i a n a To m a s e t t a Carlo zauli foto Archivio AMMI Archivio Comune di Castel del Rio Archivio Comune di Ravenna A rchivio fabiano Spor telli Archivio Manlio Rastoni Archivio Massimo Missiroli Archivio Nicola Samorì A rchivio Provincia di forlì- Cesena Archivio wanda Berasi Stefano Calamelli der vis Castellucci Gianpaolo Bernabini daniele ferroni Maurizio Galimberti ermes Ricci Si ringraziano APT Rimini Associazione AMMI wanda Berasi Comune di Ravenna Gianpaolo Bernabini Alberto Capacci emiliano Ceredi daniele ferroni Umberto Giovannini Massimo Missiroli Provincia di forlì- Cesena Pro Loco Chiusa d’ercole Nicola Samorì fabiano Spor telli Si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca / divisione immagine Cerdomus Tr a d u z i o n i Tr a d u c o , L u g o Stampa fA e N z A I n d u s t r i e G r a f i c h e © Cerindustries SpA Tu t t i i d i r i t t i r i s e r v a t i A u t o r i z z a z i o n e d e l Tr i b u n a l e d i R a v e n n a nr. 1173 d el 19/12 / 2 0 01 (co n var ia z io n e iscr i t ta in d a ta 11/ 0 5/ 2 010)



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