Magazine EE nr 37

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Cerindustries SpA

numero 37 giugno 2015


N

elle notti più terse della bella stagione le stelle

On clear summer nights, the stars seem clo-

sembrano più vicine e in alcuni punti partico-

ser to earth. And in certain special places in

lari della Romagna, pure a quote non elevatissime,

Romagna, it’s as if you could reach out and

pare addirittura di potersi scottare il dito che le indica.

singe your fingertips on them. In one of these

In uno di questi luoghi eletti potrete trovare un os-

special places you’ll find an observatory bu-

servatorio astronomico eretto pietra su pietra da un

ilt by a group of friends in their spare time;

gruppo di amici, in un altro farete conoscenza con

in another, an elegant hill town whose walls

un elegante borgo che ha attraversato la storia portando sulle proprie mura i segni delle epoche che si sono succedute, come fossero tatuaggi. Sketches di una terra del saper fare, con un passato forgiato da industriosi artigiani di cui si è quasi persa memoria, capaci di ricavare dalla grezza materia prima capo-

bear the marks of each phase of its history like tattoos. Sketches of places where skills mattered, whose past was forged by hardworking craftsmen whose legacy has been all but forgotten. Craftsmen who made masterpieces of mechanical functionality and style out of the coarsest of materials, often using

lavori di funzionalità meccanica e stile aiutandosi solo

primitive tools they’d made themselves.

con primitivi strumenti spesso auto-costruiti. Sul solco

Nowadays, the most improbable manual skills

di questa tradizione nel presente non è raro imbattersi

- the ability to fold the metal of an old oil

in imprevedibili esiti di alto design che nascono nei

can, or a sheet of crêpe paper, for example

modi più insoliti, ad esempio dall’atto di piegare una

- can find itself in demand among the de-

vecchia lamiera o un foglio di carta crespa. Momenti

sign cognoscenti. Creations that embody a

di ispirata simbiosi in cui l’alto artigianato vuole farsi

symbiosis of craft raised to the level of art,

arte e l’arte attinge a piene mani dalle pratiche arti-

and art restored to its meaning by the prac-

gianali, mettendole al servizio del proprio messaggio.

tice of craft. Perhaps it’s the ability to apply

Una parola chiave per racchiudere tutto ciò è, pro-

ourselves to a purpose that best encapsula-

babilmente, ricerca: la capacità di mettersi in gioco per uno scopo. Magari per trovare una sintonia tra questa terra e frutti che prima non vi erano mai maturati, metodi che non esistevano, prodotti che non c’erano, cercando di innescare un miglioramento. Una

tes all this. The ability to find the balance between our home soil and fruit that’s never before been grown here, or methods that hadn’t been used, products that didn’t exist, in search of the way forward. An enduring tension that’s even exemplified by exploits

tensione senza tempo che si nutre anche di esempi

best not imitated, such as the fate that befell

irraggiungibili, come quello dato due secoli fa da un

a famous Romagnol, Leonida Montanari, two

celebre Romagnolo: Leonida Montanari.

centuries ago.

EDITORIALE

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ea r th elem en t



Il firmamento si specchia su Monteromano L’ O S S E R v A T O R I O A U T O - C O S T R U I T O D E L G R U PP O A ST R O F I L I A n TA R ES D I R O M AG n A

manlio rastoni

immagini: archivio gruppo astrofili antares di romagna

Una bella sera del 1994, il signor Luigi Pozzi decise che il budget destinato alla propria tomba di famiglia sarebbe stato meglio investito se utilizzato per costruire un osservatorio astronomico. [4

Così, invece di farsi erigere l’ultima dimora terrena in attesa di fondersi con l’infinito, l’infinito preferisce osservarlo attraverso lo specchio di un grande telescopio riflettore nelle notti terse insieme agli altri membri del Gruppo Astrofili Antares di Romagna, di cui è divenuto da allora Presidente. Il Gruppo trae il proprio nome dalla stella alfa del-

la ricerca e la divulgazione delle scienze astronomiche. Tuttora la sede ufficiale degli Antares è a Cotignola, ma inizialmente l’unico centro operativo era rappresentato dal piccolo osservatorio astronomico intitolato al Prof. Giovanni Roccati (artefice della sua realizzazione) ospitato nella cupola posta sull’edificio del Liceo di Lugo, in provincia di

la costellazione dello Scorpione, che passa al meridiano proprio attorno alla mezzanotte del solstizio d’estate. Esiste dal 1982 come associazione scientifica e culturale senza scopo di lucro il cui oggetto sociale riguarda lo studio,

Ravenna. Come gli stessi membri del Gruppo ricordano, la scarsità di risorse strumentali era allora proporzionale alla grandezza della loro passione. Sentimento che li ha spinti a battere palmo a palmo il territorio di Ravenna per trovare

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di

Romagna


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ultimo verso dell’inferno della divina commedia di dante alighieri.

e quindi u s cim mo a

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il punto ideale dove sarebbe sorto il nuovo osservatorio. Il sito idoneo doveva soddisfare presupposti di diversa natura: essere facilmente raggiungibile da Cotignola, possedere le infrastrutture di base, essere caratterizzato da condizioni meteorologiche mediamente favorevoli nel corso dell’anno e, caratteristica necessaria ancor più rara, es-

Un magnifico punto panoramico, posto a una delle quote più alte della provincia di Ravenna (765 m slm), da cui si gode una vista che abbraccia la Romagna, dall’Adriatico al crinale dell’Appennino Tosco-Romagnolo. In questo luogo nei giorni più limpidi lo sguardo si spinge a nord fino alla catena alpina, a tutto l’alto Adriatico, dal Delta del

sere esposto il meno possibile all’inquinamento luminoso. Quest’ultimo è forse la forma più subdola di contaminazione dell’ambiente da parte dell’uomo. I membri del Gruppo Antares sono unanimi nel definirlo un’aberrazione della nostra civiltà, uno spreco ingiustificato di denaro e risorse della comunità, oltre che una sorta di attentato alla memoria del cielo. Per raggiungere il luogo che soddisfa questi presupposti dovrete percorrere la strada che da Brisighella porta verso Marradi, oltrepassare la località San Cassiano e, al bivio prima del ponte sulla statale che segna il confine con la provincia di Firenze, voltare a destra seguendo la direzione San Martino in Gattara. Dopo 200 metri voltare nuovamente a destra e salire seguendo la direzione per Monteromano. Qui giunti oltrepassate l’abitato e, dopo circa due chilometri, giungerete sul cocuzzolo del podere La Pianta, ove sorge l’Osservatorio.

Po fino alle isole della Croazia, chiudendosi all’orizzonte sud-orientale con i monti delle Marche. Ma sono ovviamente le notti più terse ad interessare gli astrofili. I lavori di fondazione sono iniziati nel 1994, l’Osservatorio è stato interamente auto-costruito attraverso anni di duro lavoro svolto nel tempo libero dei soci. Pietra dopo pietra, la struttura ha preso forma rivelando una sagoma che ricorda quella di un’astronave, la cui “prua” è orientata a sud, in direzione del meridiano terrestre. Questa sezione dell’Osservatorio è adibita a sala Panoramica ed è dotata di uno speciale tetto in cristallo che la rende una sorta di planetario naturale capace di ospitare oltre 20 persone. La sezione principale è invece costituita da un corpo cilindrico del diametro esterno di cinque metri che sostiene una cupola girevole realizzata in vetroresina. Completa il complesso una sezione semi-interrata che contiene il laboratorio.

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Quando l’Osservatorio Astronomico di Monteromano ha iniziato ufficialmente la propria attività correva l’anno 1999 e cadeva (si potrebbe dire “a fagiolo”) il quadricentenario del primo utilizzo del cannocchiale nell’osservazione del cielo da parte di Galileo Galilei. Il telescopio che inizialmente la cupola ebbe l’onore di ospitare fu lo storico Bartolotti (36 cm di specchio) realizzato negli anni Sessanta dal noto artigiano Marcon. Dopo 10 anni di onorato servizio è stato sostituito da un moderno telescopio donato dalla ditta Diemme di Lugo (sempre di produzione Marcon), inaugurato nel 2007 e completato recentemente con una strumentazione di ripresa all’avanguardia in grado di catturare straordinarie immagini degli oggetti celesti. Si tratta di un doppio strumento: lo specchio parabolico principale, dal ragguardevole diametro di 500 mm, può essere infatti utilizzato in configurazione newton o Cassegrain. Con il primo schema ottico, che prevede l’osservazione presso la punta del telescopio, la focale è di 2450 mm e si raggiungono ingrandimenti che vanno dalle 80 alle 300 volte,

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rendendola ideale per osservare nebulose, galassie ed amassi di stelle. La configurazione Cassegrain, che rimanda la luce al fondo del telescopio, prevede invece una lunga focale, circa 10 000 mm dimostrandosi ottimale per la ripresa planetaria e le osservazioni a forte ingrandimento. Un sistema automatico di puntamento movimenta con dolcezza e assoluta precisione gli oltre 900 chili di peso dello strumento. Ogni volta che il grande macchinario si muove da solo al buio per inquadrare un francobollo di cielo in cui brilla un tesoro celeste, condensando in pochi istanti il progresso compiuto dall’astronomia moderna in oltre quattro secoli, gli astrofili romagnoli vengono ripagati degli sforzi fatti per dare vita al loro sogno. Sogno che il Gruppo Antares è ben felice di condividere con chiunque fosse interessato o anche solo curioso durante le serate pubbliche e le aperture straordinarie, organizzando anche delle piccole lezioni di astronomia durante cui la volta celeste viene spiegata agli astanti grazie all’ausilio di potenti penne laser. Così a Monteromano è più facile avvicinarsi al cielo.

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ThE hE AvEnS REFLECTED In MOnTEROMAnO The self-built obser vatory of Romagna’s Antares stargazers One fine evening in 1994, Luigi Pozzi decided the money he’d set aside for building a burial vault for himself and his family would be better invested in an observatory. And so instead of a last earthly abode and a date with infinity, Pozzi and fellow members of the Antares Stargazers’ Group of Romagna, of which he is now president, can now contemplate infinity (on a clear night) through the mirror of a large reflecting telescope. The group takes its name from the brightest star in the Scorpius constellation, which passes the meridian around midnight on the Summer Solstice. It was founded in 1982 as a non-profit scientific and cultural association whose raison d’être was astronomy. The group’s headquarters are now in Cotignola, but in its early years it operated from the small observatory built by (and named after) professor Giovanni Roccati in a dome on the roof of a college in Lugo, province of Ravenna. As the group’s members fondly recall, in those early days their passion for astronomy was matched only by the scarcity of the resources at their disposal. Driven by their enthusiasm, they covered every inch of Ravenna province in their search of the ideal spot for an observatory. The site they were looking for had to satisfy several requirements. It had to be easy to reach from Cotignola, with the basic utilities, good meteorological conditions and - an even rarer characteristic - with as little light pollution as possible. Light pollution is perhaps the most insidious form of environmental pollution. The members of the Antares Stargazers’ Group are unanimous in condemning it as a scourge of civilization, an unwarranted waste of money and an affront to the memory of the sky. To reach the spot chosen by our amateur astronomers, you have to head southwest from Brisighella in the direction of Marradi, pass through the village of San Cassiano and, at the junction just before the bridge over the main road that marks the border with the neighbouring province of Florence, turn right in the direction of San Martino in Gattara. After 200 metres, turn right again and keep climbing, following the signs for Monteromano. Pass straight through the village and after about two kilometres you’ll come to the highest point of the estate of La Pianta, where the observatory stands. At 765 metres above sea level, this summit is one of the highest points in the province of Ravenna and offers magnificent, sweeping views that take in all of Romagna from the Adriatic to the crests of the

northern Apennines. On a clear day, you can see the Alps away to the north, the upper Adriatic from the Po delta to the islands of Croatia, and the mountains of the Marche to the south and east. But obviously our stargazers are more likely to visit on a clear night. The foundations of the observatory were laid in 1994, and the members continued building it in their spare time. It was an arduous task, but stone on stone the building gradually took shape, like a space ship whose nose points southwards towards the terrestrial meridian. This part of the observatory is a panoramic viewing room with a special glass roof that makes it a kind of natural planetarium with capacity for 20 people. The main part of the observatory is a cylinder of 5 metres’ diameter carrying a rotating fibreglass dome. The complex is completed by a semi-interred section which houses a laboratory. The observatory of Monteromano officially opened in 1999 - exactly four hundred years since Galileo Galilei had first squinted through a telescope at the night sky. The first telescope in the Monteromano observatory was the historic Bartolotti (with a 36 cm mirror), made in the 1960s by the prestigious telescope-makers Marcon. After 10 years’ distinguished service the original telescope was replaced by a modern telescope (also by Marcon) donated by Diemme, a Lugobased company. The new telescope entered service in 2007 and has recently been fitted with advanced image-capturing technology that has produced some extraordinary photographs of celestial objects. This is a dual-mode telescope: its primary parabolic mirror, with a diameter of 500 mm, can be used in the Newtonian or Cassegrain configurations. With the Newtonian configuration, the eyepiece is near the top of the telescope, and with a focal length of 2450 mm it can magnify images by between 80 and 300 times - making it ideal for observing nebulae, galaxies and star clusters. With the Cassegrain configuration, the focal point is near the bottom of the telescope. The focal length of nearly 10,000 mm makes this configuration ideal for viewing planets under high magnification. The telescope weighs over 900 kilograms, and is mounted on an automatic precision-tracking system. Every time this mechanical eye turns in the darkness, in search of a shining celestial treasure in a patch of sky the size of a postage stamp, it condenses into just a few seconds over four centuries of progress in modern astronomy: and the stargazers of Romagna are rewarded for all their efforts in turning a dream into reality. The Antares group is happy to share this dream with anyone who’s interested, and organizes special viewing sessions and evening openings for the public. It also gives astronomy lessons, using powerful laser pointers to indicate to onlookers the location of stars and planets in the celestial vault. Monteromano: your gateway to the stars.

le cose so no unite da legami invi sibili. no n puoi cogl iere un fi ore senza turbare un a stella. galileo ga lilei

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SALUDECIO

Risalendo la Valconca, mentre ci si lascia alle spalle il mare che bagna Rimini, sul dolce e allungato panorama collinare proteso verso le Marche si staglia l’elegante profilo di un borgo adagiato su un bel poggio.

luca biancini

immagini: archivio assessorato turismo provincia rimini

[8 Sono i campanili, torri e mura che formano l’armoniosa composizione architettonica di Saludecio. Antico capoluogo della vallata, la sua origine viene per tradizione attribuita a Traiano Decio, imperatore romano, che avrebbe trovato scampo su queste colline, edificando qui la propria dimora, da cui salus Decii, esiste però una seconda ipotesi ottocentesca secondo cui il suo eponimo sarebbe stato il Santo titolare della vecchia Pieve: San Laodicio, che in volgare compare come Sanlodeccio in una novella del Decameron di Boccaccio. varcata l’antica porta orientata verso il mare si schiude all’occhio un mosaico di palazzi nobiliari e chiese di pregio che raccontano la costante evoluzione dell’abitato, sviluppatosi dal Medioevo si è sviluppata con soluzione di continuità fino alla fine dell’Ottocento mentre si alternavano a breve giro i padroni e le fazioni al governo. Il Borgo ha ospitato nei secoli molti intellettuali e artisti di chiara fama, come testimonia l’attività in loco del pittore Guido Cagnacci che ha lasciato opere di valore inestimabile. Consapevoli della propria eredità culturale, i saludecesi animano la vita del borgo organizzando eventi come Saluserbe (manifestazione di carattere naturalistico con riferimento all’erboristeria e alimentazione biologica). Per lungo tempo Saludecio ha poi ospitato l’800 Festival (manifestazione di rievocazione storica dedicata al XIX secolo), durante il quale venivano anche dipinti i murales che hanno permesso al Borgo di entrare a far parte delle Città dei muri dipinti. A pochi chilometri da Saludecio, inoltre, si trova il Castello di Cerreto, uno dei borghi rurali più apprezzati e meglio conservati di tutto il Riminese, che mantiene le vestigia delle proprie fortificazioni medievali. Incorniciato da un paesaggio fiabesco, è una sorta di “isola” amministrativa legata al Comune di Saludecio nonostante si trovi entro i confini delle Marche. Attualmente i suoi abitanti sono rimasti in pochissimi, ma un tempo Cerreto ospitava una comunità numerosa e vivace, ritenuta stravagante a causa delle strampalate leggende a carattere demenziale che la riguardavano. Una su tutte, intitolata Polenta nel pozzo, racconta che tanto tempo fa i cerretani decisero di fare la polenta, anziché ognuno nel proprio paiolo, tutti insieme nel pozzo sotto le mura. Per capire se era cotta, uno di loro si sarebbe tuffato nel pozzo per assaggiarla, subito seguito da tutti gli altri per evitare che se la mangiasse da solo. Ancora Oggi il Castello di Cerreto è noto per il suo particolare carnevale, in cui sfilano le caratteristiche maschere locali di origine antichissima, chiamate Pagliacci. Se qualcuno si domandasse da dove Federico Fellini attingeva la propria ispirazione, ecco un buono spunto.

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da una muraglia nera una finestra azzurra vuota come l’occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico roseo di sole nascente. maria grazia deledda

Un borgo collinare di alto profilo


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A h I L L TOw n T h AT CU TS A PR O F I L E Saludecio Making our way up the valley of the river Conca and leaving the seaside resorts behind, the hills unfold in the direction of the Marche and the elegant profile of a hilltop town looms before us. The belltowers, walls and keeps of Saludecio form a particularly harmonious architectural composition. Formerly the administrative centre of the surrounding valley, Saludecio’s origins are traditionally ascribed to the Roman emperor Decius, who is said to have built a house here, whence salus Decii. According to a rival hypothesis from the nineteenth century, however, the name comes from the saint to which the town’s old church was dedicated: San Laodicio, italianized as Sanlodeccio in one of the stories in Boccaccio’s Decameron. Entering the town through its east gate, we encounter a mosaic of palazzos and churches that attest to its constant evolution from the Middle Ages down to the late 1800s, against a backdrop of incessant factional strife. Over the centuries, Saludecio has been home to some noted intellectuals and artists, and one local painter, Guido Cagnacci, left works of inestimable value here. The inhabitants of Saludecio are well aware of their cultural heritage, and organize events like Saluserbe, a festival dedicated to herbal medicine and organic food. For many years, Saludecio hosted the 800 Festival, a historical pageant dedicated to the 19th century. The murals which were traditionally painted during this festival have since earned the town its moniker of “city of painted walls”. Not far from Saludecio is Castello di Cerreto. One of the best-preserved rural villages in Rimini, it still retains part of its medieval fortifications. Set in a fairytale landscape, Cerreto is a kind of exclave, administratively a part of the municipality of Saludecio but geographically part of the Marche. Nowadays the village has very few inhabitants, but at one time it was home to a large and thriving community whose supposedly eccentric character was celebrated in many odd and bizarrely comic tales. Polenta in the Well is one such tale. It tells of the time the inhabitants decided to make polenta, but instead of each household using its own pot, they decided to cook it all together, in the well below the castle walls. To test whether the polenta was cooked, one inhabitant dived into the bubbling cauldron - only to be followed by everyone else, fearful he’d have all the polenta for himself. Even today, Castello di Cerreto is known for its peculiar Carnival practices, which include a procession of ancient masks known as pagliacci. Anyone looking for Federico Fellini’s source of inspiration could do worse than start here.

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Archibugieri in Romagna roberto aguzzoni

immagini: roberto aguzzoni, enzo bertuzzi, cortesi foto

P R E Z I O S A E R E D I Tà C h E R I S C h I A L’ O B L I O

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La saga degli armaioli romagnoli nasce nel Seicento, e giunge ai giorni nostri. Le loro opere rappresentano una vera e propria eccellenza fra le produzioni artigianali italiane. campagne. Alcune di quelle officine ripararono anche le armi del Passatore. Il primo documento di riferimento per l’archibugieria romagnola risale a Cassiano Zanotti I°, il quale risulta costruttore di armi nel 1625 in contrada di Lugo (La Bruciata). Gli Zanotti hanno dato vita ad una vera e propria dinastia di armaioli, la più lunga e continua in Italia. Un ramo è tuttora presente con Stefano Zanotti che vive a Brescia. L’altra famiglia storica di armaioli romagnoli è rappresentata dai Toschi di villa San Martino di Lugo. Armaioli dal 1870, tuttora in attività con l’ultimo discendente Andrea Toschi. Coeve o successive alle due famiglie storiche nacquero altre famose botteghe: Cosmi, Cortesi, Fabbrizioli, Stanzani, Zaccaria e altri minori. L’attività degli armaioli artigiani romagnoli si è oggi ridotta in seguito alle mutate dinamiche sociali e commerciali, tuttavia è ancora attiva principalmente su tre località. Prosecutori dell’arte sono nerio Cortesi di vergiano di Rimini (www.fucilicortesi. com), Andrea Toschi di voltana di Lugo (www.toschiarmi. com), Mauro Battaglia di Ravenna (www.maurobattaglia. com), che tuttora lavorano con riconosciuta maestria in questa particolare nicchia artigianale, alfieri di un’arte antica nel terzo millennio. In un mondo che giorno dopo giorno dimentica le proprie radici, forse anche questa è storia.

nel campo delle armi da fuoco, l’Italia vanta una particolare tradizione. nel nostro Paese sono infatti nate, e tuttora rimaste attive, due fra le più stimate fucine storiche nell’arte dell’archibugieria europea. Una la valtrompia (Brescia), con origini legate alla Repubblica Serenissima di venezia, poi gradualmente giunta alle dimensioni odierne di polo industriale armiero italiano. L’altra la Romagna, fucina minore come dimensione, ma che occupa a pieno titolo un posto di assoluto rilievo. Scevra di vesti industriali, è rimasta tutt’oggi, come agli albori, artigianale a tutti gli effetti, forte di una cultura antica ed espressiva che ha spesso rivaleggiato con le più blasonate scuole armiere europee. Le origini romagnole della lavorazione dei metalli sono probabilmente eredità delle antiche popolazioni celtiche. nei secoli successivi, il passaggio dei vari eserciti delle Signorie di cui era tappezzata la Penisola, favorì certamente sul luogo lo sviluppo di conoscenze sulle armi da fuoco. Quasi certo è, comunque, che le radici di questa attività archibugiera attecchirono in località sparse lungo la dorsale tosco-romagnola. Quando, più tardi, le opportunità di lavoro e commercio fecero scendere quegli artigiani in pianura, l’attività di armaiolo ebbe un momento di successo, data la tradizione della caccia esistente nelle I

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GUnSMIThS OF ROMAGnA A priceless heritage now threatened with oblivion Firearms have been made in Romagna since the seventeenth century, and the tradition survives to the present day. The guns produced here are among the finest artisan-made firearms in Italy. Italy has a unique tradition in the field of firearms. Two of Europe’s leading historical centres in the production of firearms are located in Italy. Both are still in operation, though in different ways. One is Valtrompia (Brescia), whose history dates back to the days of the Venetian Republic. Valtrompia remains Italy’s leading centre of firearms production today. The other is Romagna, a smaller but no less important centre. Firearms have never been produced on an industrial scale in Romagna. Now as in the beginning, gun-making here is a thoroughly artisan process, the continuation of a time-honoured tradition of excellence that has often rivalled Europe’s other, better-known centres. Metalworking in Romagna is believed to date from the ancient Celtic populations. Guns didn’t appear until the Middle Ages, though. This was a period when Italy was a patchwork of different power blocs, and the comings and goings of rival armies must have done much to expand the knowledge and use of firearms. The earliest gunsmiths of Romagna were almost certainly based in various hill towns on the northernmost extensions of the Apennines. When at a later stage the lure of employment and trade brought these artisans down into the plain, their business flourished, driven by demand among the hunting fraternity. Some of them even repaired the weapons of Romagna’s best-loved bandit, Il Passatore. The earliest document attesting to the manufacture of firearms in Romagna dates from 1625 and refers to one Cassiano Zanotti, an arquebus manufacturer in La Bruciata, near Lugo. Cassiano Zanotti was the founder of what became Italy’s longest-surviving dynasty of firearms manufacturers. In Brescia, one of his descendants, Stefano Zanotti, is still in the business. Back in Romagna, the other historic family of firearms manufacturers are the Toschi of Villa San Martino di Lugo. Gunsmiths since 1870, the Toschi are still in business in the person of Andrea Toschi. Other reputed producers were coeval with these two dynasties: The names include Cosmi, Cortesi, Fabbrizioli, Stanzani, Zaccaria and other lesser-known producers. Changing social and commercial dynamics mean today’s gunsmiths in Romagna operate on a much-reduced scale, although we can still identify three main centres of production. Practitioners of the craft include Nerio Cortesi in Vergiano di Rimini (www.fucilicortesi.com), Andrea Toschi in Voltana di Lugo (www.toschiarmi.com), and Mauro Battaglia in Ravenna (www.maurobattaglia.com), all of whom are acknowledged masters of a niche market, standard-bearers of an ancient craft in a modern world. A world that’s increasingly forgetting its own roots.

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nelle città popolose, che sono la sede del commercio e dell’artigianato, le classi medie degli abitanti, che traggono il loro sostentamento dalla destrezza o dal lavoro delle loro mani, sono comunemente le più prolifiche, le più utili, e, in questo senso, la parte più rispettabile della comunità. edward gibbon

Storia


ascoltare con prudenza, credere con ragione, determinare con giustizia. scritto da leonida montanari sul muro del carcere che lo ospitò prima del supplizio.

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Il Leonida carbonaro ES E M P L A R E PAT R I OTA R O M A G n O LO bernardo moitessieri

immagini: archivio bernardo moitessieri

Prima di essere decapitato in Piazza del Popolo a Roma di fronte a tutta l’Urbe, Leonida Montanari era nato a Cesena, il 26 aprile del 1800.

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Il letterato e patriota suo contemporaneo Edoardo Fabbri ritrasse così la sua figura: era di povera ma onestissima famiglia; in età di soli 24 anni aveva già nome ne ll’arte chirurgica; era bello come uno de’ più belli Italiani. Aveva il cuore pieno di gentilezza, d’onore, d’amore della patria. Montanari aveva intrapreso gli studi in chirurgia a Bologna per poi terminarli a Roma sotto la protezione del principe Chiaramonti ed esercitava la professione a Rocca di Papa quando venne in contatto con la carboneria. Questa era una società segreta del tempo che perseguiva il programma di opporsi ai governi assoluti allo scopo di ottenere la concessione di uno statuto. nello specifico aderì alla “vendita” (riunione segreta carbonara), denominata Costanza, fondata dal bresciano Angelo Targhini, anche lui però cesenate per parte di madre. All’interno di tale “vendita” Montanari assunse in breve un ruolo chiave, ma quando a causa dei crescenti rischi iniziarono ad esserci delle defezioni, per timore che qualcuno potesse tradire la confraternita Targhini decise di punire uno dei transfughi perché fosse d’esempio. Tocco a Giuseppe Pontini, un carbonaro che aveva tradito divenendo una spia ai servizi delle autorità governative. L’episodio scatenò però una pioggia di delazioni cui seguirono una decina di arresti e condanne (tra cui quelle di altri tre Romagnoli). Papa Le-

one XII voleva lanciare un severo monito alla carboneria, così Leonida Montanari e Angelo Targhini furono incolpati dell’omicidio e condannati per “lesa Maestà” a morte tramite decapitazione. Come documentano gli storici, non esisteva alcuna prova contro Montanari, solo la delazione dell’ex carbonaro Garofolini e la testimonianza di uno dei carabinieri pontifici che trovarono Pontini ferito dopo l’aggressione. Questi riportò che cercando un medico per soccorrerlo si imbatté in Montanari il quale accettò di curarlo, ma secondo il carabiniere tentò invece di aggravare la ferita, fatto peraltro indimostrato. nella propria deposizione (non riportata integralmente negli atti processuali) Montanari si dichiarò estraneo tanto ai fatti del 4 giugno 1825 quanto alla militanza nella carboneria e, a differenza della quasi totalità degli altri inquisiti, non fece mai il nome di nessuno dei suoi compagni. Il processo fu rapido e secretato, la sentenza inappellabile. Il 23 novembre del 1825, Mastro Titta, boia dello Stato Pontificio, attendeva Montanari e Targhini sul patibolo di fronte a oltre 30 000 romani. Dopo aver entrambi rifiutato i conforti religiosi, come riporta lo stesso Titta nelle sue memorie essi ne salirono i gradini circondati dai confortatori, saltellando quasi. Le ultime parole di Leonida Montanari furono rivolte proprio al boia che salutò beffardamente sussurrandogli: “Addio collega”.

LEOnIDA MOnTAnARI A Romagnol patriot Leonida Montanari met his death by decapitation in front of a huge crowd in Rome’s Piazza del Popolo. A native of Romagna, he was born in Cesena on 26 April 1800. His fellow patriot, the author Edoardo Fabbri, wrote of him: “He came from a poor but extremely honest family; at the age of just 24 he had already made a name for himself as a surgeon; he was as handsome as the handsomest of Italians. His heart was full of kindness, honour, and love of his country.” Montanari began his studies in Bologna, completing them in Rome under the patronage of the Chiaramonti family. He was working as a surgeon in Rocca di Papa when he first came into contact with the carboneria. This was a secret society opposed to absolutist rule and determined to secure a written constitution. Montanari joined a carbonari vendita or cell named Costanza, founded by Angelo Targhini, a native of Brescia but with roots in Cesena on his mother’s side. Montanari was soon playing a key role in his vendita, but when the increasing risks led to a number of defections, Targhini decided to punish one of the deserters as an example. The man he chose was Giuseppe Pontini, a former carbonaro who had turned traitor by spying for the government authorities. The episode unleashed a flurry of denunciations, followed by a series of arrests and imprisonments (including those of three other Romagnols). Pope Leo XII was determined to teach the carbonari a lesson. Leonida Montanari and Angelo Targhini were accused of Pontini’s murder, found guilty of lèse majesté and sentenced to death by decapitation. There was no evidence against Montanari: only the claims of an ex-carbonaro turned informer, Garofolini, and the deposition of a carabiniere from the papal forces who found Pontini wounded after the attack. This witness claimed that while searching for a doctor to help the injured man he had chanced upon Montanari, who had agreed to help him: but according to the carabiniere, Montanari actually attempted to make the injured man’s condition worse. This claim was never proved. In his own deposition (which was never read in full at his trial), Montanari claimed he had nothing to do either with the events of 4 June 1825 or with the carboneria. Unlike nearly everyone else who was interrogated at the same time, he never revealed the names of any of his fellow conspirators. The trial took place behind closed doors. It was quick, and the verdict was final. On 23 November 1825, Mastro Titta, executioner for the Papal State, greeted Montanari and Targhini on his scaffold in front of over 30,000 Romans. After both had refused the last sacraments, Titta recalled in his memoirs how the two men, “surrounded by their supporters, almost skipped up the steps.” Leonida Montanari’s last mocking words were directed at his executioner: “Farewell, companion.”

Storia

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Prestigioso calessino L A “ D EC A P P OT TA B I L E ” D E L M O n D O R U R A L E italo graziani – testo raccolto da alessandro antonelli

immagini: archivio museo etnografico “sgurì” di savarna, mirco villa

Barroccino, biroccino, calesse, calessino, calabbasso, calamina, carrozzella, cocchio, landò; se questi nomi vi sembrano troppi per definire lo stesso mezzo di trasporto, posso aggiungere che mio nonno lo chiamava saleta ˘.

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per progresso s’intende più la velocità che la direzione. thornton niven wilder

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cab

cabRIOLET

Queste numerose definizioni servono a indicare un veicolo a trazione animale dalla connotazione generale piuttosto vaga, tante erano le sue declinazioni. Di certo non si trattava di un carro agricolo e possedeva una forte valenza di quello che oggi si definisce status symbol. Rappresentava infatti il cocchio eletto del ceto agiato. Chi ne reggeva le briglie era solitamente il padrone, il medico, il fattore, il veterinario, ovverosia le figure apicali di quella civiltà contadina dei tempi che furono, così lontana dalla nostra memoria collettiva pur distando dal presente meno di un singolo secolo. Dal punto di vista strutturale, il suo timone è costituito da due stanghe che, insieme ai finimenti del cavallo, completano il traino. Trattandosi ovviamente di un mezzo costruito artigianalmente, il suo allestimento veniva fortemente influenzato da mode, usanze e tradizioni, nonché, naturalmente, dalle caratteristiche dell’ambiente in cui avrebbe svolto il proprio servizio. Materiali, finiture e soluzioni tecnico-stilistiche adottate rendono ogni calesse un piccolo capolavoro funzionale. Guardandoli oggi rinchiusi negli etnomusei da cui forse non usciranno più nemmeno per una parata, salta all’occhio l’immensa capacità manuale che si rendeva necessaria alla loro realizzazione e le diverse abilità richieste per ogni aspetto della personalizzazione. Il calessino doveva infatti adattarsi al suo futuro padrone meglio di un vestito. Una delle varianti più evidenti del calesse è la presenza o meno del mantice di copertura. Un “optional” che ne sottolinea la preziosità, suggerendo un collegamento visivo con le odierne decappottabili di lusso. Pareva quasi che la perfetta “simbiosi” tra conduttore, calesse e cavallo desse vita a un nuovo soggetto capace di ricomprenderli tutti e tre, soggetto a cui era spesso affidata la reputazione del padrone. Come nei casi in cui due calessi si incontravano su una strada troppo stretta e uno dei due doveva cedere il passo. Grazie alle versioni con i cerchi ricoperti di gomma il calesse divenne anche oggetto di sfida e scommesse. Quando il ritmato calpestio degli zoccoli ne annunciava da lontano il passaggio, dalla cadenza del trotto si faceva a gara nell’immaginare quale aspetto avrebbe avuto. L’immagine più poetica che mi sovviene è però quella legata ai fiamètt: le luccicanti scintille che scaturivano dal contatto tra i ferri del cavallo e il manto ghiaiato delle vecchie strade bianche di campagna. Più il trotto era veloce, più brillavano i fiamètt, dando all’insieme una connotazione che agli occhi di un bimbo poteva parere addirittura “mitologica”: quella di un elegante centauro per un terzo uomo, per un terzo cavallo e per un terzo in legno.

CALESSInO: STATUS SyMBOL The convertible of the rural world

Barroccino, biroccino, calesse, calessino, calabbasso, calamina, carrozzella, cocchio, landò: we have so many names for the same type of vehicle, and that’s not to mention that my grandfather called it a saleta ˘. All of these names vaguely designate a carriage drawn by an animal, although such carriages came in many forms. But the calessino was not an agricultural vehicle: in fact it was what we would now call a status symbol. It was the coach of choice for the comfortable classes. The reins were generally held by a landowner, a doctor, an estate manager, a veterinary surgeon: one of those stock figures of rural society from a time long banished from our collective memory - though it wasn’t even a century ago. Structurally, the calessino essentially consisted of an axle and two shafts to which the horse was harnessed. As the calessino was obviously an artisan-built vehicle, all kinds of factors determined its final appearance: fashion, force of habit, tradition and obviously, the nature of the environment in which it was to operate. Materials, finishings and details of design and styling make every calesse a minor masterpiece of functionality. Looking at them today in the museums which they’ll perhaps never leave again, we’re struck by the manual dexterity that went into making them, and the different skills that each aspect of their personality embodies. For every calessino was made to fit its owner, just like a tailor made a suit. Some models have a folding top, others don’t. This “optional extra” has a strong visual affinity with the hoods on today’s convertibles, and offered added prestige. Together, driver, carriage and horse worked in perfect symbiosis, the three elements melding into a single thing which somehow embodied its owner’s reputation. When two carriages came face to face on a narrow road, for instance, one - the less imposing of the two - always had to give way. The calessino was also used for racing and betting, in its version with rubber-lined wheel rims. You could hear the horses’ hooves on the ground long before you saw them, and it was fun to imagine what the calessino would look like just from the cadence of the horse’s trot. But the most poetic image to remain with me is the fiamètt: the flurry of sparks that the horses’ hooves gave off as they struck the white gravel surface of the old country roads. The faster the horse went, the brighter the fiamètt shone, and to my child’s eyes this sight came to have a mythological quality: that of an elegant centaur that was one third man, one third horse and one third wood.

Storia

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v I B R A Z I O n I A R T- D E S I G n

Fusti di forte personalitĂ alessandro antonelli

immagini: archivio vibrazioni art design

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in natura, il materiale (genomico) ridondante non è quasi mai garbage, cioè rifiuti che si buttano via, ma quasi sempre junk, cianfrusaglie o ferrivecchi pronti a essere reinterpretati e riutilizzati. il riuso non è una strategia marginale, ma una strada maestra dell’evoluzione biologica. stephen jay gould

In epoca di piena disumanizzazione, almeno per il mondo occidentale, il “difetto”, precedentemente considerato elemento da eliminare ad ogni costo da qualunque oggetto, è divenuto, almeno in certi casi, perfino un valore aggiunto. non più ostacolo di una presunta perfezione da perseguire, ma testimone di un passato, narratore di storie. Da una simile visione è scaturita l’idea fondante di vibrazioni Art-Design, la “creatura” di Alberto Dassasso e Riccardo Zanobini che oggi è un’affermata realtà del design contemporaneo, conosciuta, quando non imitata, a livello planetario. Il concept è semplice quanto originale: utilizzare la lamiera dei vecchi fusti utilizzati in vari settori (dal petrolchimico all’alimentare) per rivestire mobili ed altri oggetti di design, sfruttando sia la combinazione di colori sgargianti e variopinte serigrafie sia la trasformazione estetica che gli agenti atmosferici nonché le vicissitudini attraverso cui è passato il bidone operano sulla sua “pelle”: graffi, ruggine, ammaccature. Il risultato è una collezione di texture inedite dal sapore squisitamente vintage-pop che rende ogni oggetto forgiato da vibrazioni Art-Design un pezzo unico in bilico, come suggerisce lo stesso nome, tra Design artigianale ed Arte. Quest’idea, nata senza le “spalle coperte”, si è sviluppata in una zona della Romagna (nello specifico della Bassa Romagna) che vanta un’illustre tradizione in ambito pioneristico, Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, è infatti il luogo in cui è nata la frutticultura industriale italiana. Qui, in un fienile ristrutturato, prendono forma le creazioni di Alberto e Riccardo, frutto tanto della mente progettuale che dell’energia creativa quanto del lavoro dei muscoli. Sgabelli, chaise-longue, armadi, luci, tavoli vengono assemblati tramite principi di giunzione meccanica di base: saldatura e rivettatura, che divengono parte integrante dell’estetica finale del prodotto. niente viene coperto, camuffato o nascosto; lo scheletro diventa estetica e viceversa. Il loro atelier è stato definito una bottega rinascimentale del terzo millennio, ma con uno sforzo di fantasia potrebbe essere paragonato ad una realtà ancor più primitiva. Alberto e Riccardo, infatti, cacciano le loro prede in tutto il globo: Messico, Brasile, Equador… e una volta “smembrato” il barile ne “conciano” la “pelle” a colpi di maglio.

Quando l’oggetto sarà assemblato, congeleranno la ruggine e ne renderanno omogenea la superficie con speciali vernici protettive. Così una materia prima recuperata dalle discariche del mondo (opportunamente bonificata nonché sterilizzata con procedure specifiche e successivamente dotata del certificato di eco-sostenibilità) lavorata artigianalmente secondo elevati standard qualitativi si trasforma in oggetti di culto, siglati, numerati e replicati in forme ricorrenti, riservati a un alto target di clientela in quello che è stato definito un cortocircuito del lusso. Le creazioni di vibrazioni Art-Design finiscono nelle ville patrizie, negli allestimenti degli studi televisivi, piacciono a fior di personaggi celebri (uno su tutti, valentino Rossi) e compaiono in situazioni specifiche, come l’allestimento del bar del Teatro Duse di Bologna durante lo svolgimento di ArteFiera. Lo strano caso dei due giovani designer viene ripreso dai media che lo presentano come un piccolo miracolo in tempi di crisi, ma a ben guardare dietro questa avventura che ha il sapore dell’innovazione si può avvertire anche un forte retrogusto di tradizione.

Passioni

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BARRELS OF PERSOnALIT y vibrazioni Ar t-Design In an age of rampant dehumanization (in the Western world at least), the “defective” - previously considered as something that had to be eliminated - has become, in certain cases at least, an element of added value.

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No longer an obstacle to the perfection of the object but rather the testimony of a past, a feature which tells a story. It was a similar vision which informed the creation of Vibrazioni Art-Design, the brainchild of Alberto Dassasso and Riccardo Zanobini which has made a name for itself on the contemporary design scene and is now known - and imitated - all over the world. The concept is as simple as it is original: to take the sheet metal from old oil cans used for storing lubricants, cooking oil etc. and use it as a covering for furniture and other objects of design. Everything else is already there: the gaudy colour combinations, the different kinds of lettering, even the aesthetic transformations - the scratches, rust and stains - that atmospheric agents have wrought on their appearance. The result is a collection of unique textures with an exquisitely vintage-pop character that makes every object knocked into shape by Vibrazioni Art-Design a unique piece that straddles the distinction between art and design, just as the name suggests. The idea took form in a part of Romagna (more specifically, Bassa Romagna) which boasts a long and illustrious tradition in pioneering thinking: Massa Lombarda, the place where fruit was first grown on an industrial scale in Italy. It’s here, in a converted hayloft, that Alberto and Riccardo’s creations take shape. It’s part hard work and part creative energy. Stools, chaises-longues, cupboards, luminaires, tables - everything is put together using the basic mechanical techniques of welding and riveting, which themselves become part of the final aesthetic of the product. Nothing is covered, camouflaged or concealed; the skeleton is the skin, and vice versa. Their workshop has been described as a Renaissance studio of the third millennium, but with an effort of the imagination it could be compared with something even more primitive. Alberto and Riccardo find their source materials all over the world, from Mexico and Brazil to Ecuador. And once they’ve dismantled their prey they set about “curing” its “skin” with hammer blows. Once the object has been put together, they freeze the rust and treat the surface with a special protective coating. And so waste material recovered from the world’s refuse yards (cleaned and sterilized using special procedures and then certified for eco-sustainability) and crafted to high standards of quality is transformed into objects of desire that are initialled, numbered and replicated in recurring forms. Exclusive creations whose target clients belong to the luxury (short) circuit. The creations of Vibrazioni Art-Design end up in patrician villas, TV studio sets, the homes of celebrities (one in particular: Valentino Rossi) and installations such as the bar of Bologna’s Teatro Duse during the ArteFiera festival. The story of these two designers has been taken up by the media, which tends to present their case as a minor miracle in times of crisis. Although their creations look innovative and ground-breaking, however, there’s more than a hint of tradition in their approach to their work. Dassasso and Zanobini themselves speak of their fascination with the old workshops that not so long ago dotted the countryside of the province of their birth, at a time when no-one even knew the meaning of “dehumanization”. In those days, the smith’s workshop was a gloomy and smoky cavern, occasionally illuminated by a blaze of sparks and pervaded by the acrid smell of burning iron. When they speak of their own work, they refer to their oil cans as objects with their own personalities and their own stories to tell: of when they were ore in the ground, then sheet metal, then dirty, greasy containers for dirty, greasy substances, like so many others. Right through to the present moment, and a capable pair of hands that restores their identity to them. If there are all kinds of built-in limitations to production on an industrial scale, for Vibrazioni Art-Design adding to their product range couldn’t be easier. The artisan method is one that invites experimentation, even fun. It’s difficult to say which description best fits the motorcycles that Alberto and Riccardo have been customizing for some years now, but they certainly reflect a deep-seated passion. The common denominator in two-wheeled creations such as Vibrazioni (a Honda), Motarda (a Ducati), Finale 1000 (BMW), Mezzolitro (Yamaha) and 110 (Harley-Davidson) is not just the fairings and bodywork made from old oil cans, although obviously that’s the signature style of Vibrazioni Art-Design: it’s also in the machinery and technology. Light units, air supply lines for brake pads, air filter housings: all are made by hand and designed to a high degree of accomplishment. These bikes are not just statues: they’re working machines that are not only eyecatching (as witnessed by their magnetic appeal at leading European motor shows) but make you want to ride them. As fast as possible. These ambassadors for the “factory” of Massa Lombarda perfectly embody the stylistic identity of Alberto Dassasso and Riccardo Zanobini: the visual contrast obtained by “loud” colour combinations and the juxtaposition of old and new elements. It all happens here, in the countryside of Romagna, among fruit orchards and red roofs, the metamorphosis of rusty old oil cans into style.

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penso all’arte come al livello più alto di creatività. per me è una delle maggiori fonti di divertimento. david rockefeller

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Sono gli stessi Dassasso e Zanobini a parlare della propria fascinazione per le antiche botteghe che punteggiavano la provincia rurale ove sono nati in un passato, non così lontano, in cui del termine “disumanizzazione” non si conosceva neppure il significato. Il laboratorio del fabbro era allora un antro buio e fumigoso, illuminato a tratti da vampate di scagliette infuocate e pervaso dall’acre odore del ferro bruciato. Parlando invece del proprio lavoro si riferiscono ai loro bidoni come a soggetti dotati di una propria individualità che cominciano a sciorinare di quando erano materia ferrosa e poi lamiera e poi contenitore sporco e untuoso di materia sporca e untuosa, e di tutte le botte prese negli anni. Fino al finale, fatto di scintille e di mani capaci di riassumere in unicità la loro identità. Se i sistemi produttivi su scala industriale sono soggetti a numerose auto-limitazioni, per vibrazioni Art-Design è invece facile ampliare le tipologie di prodotto, fare esperimenti e magari pure cimentarsi in semplici divertissement. non si sa bene a quale di queste categorie appartengano le motociclette special che Alberto e Riccardo hanno iniziato a realizzare da qualche anno, sicuramente sono figlie di una passione non improvvisata. Il filo condut-

tore che lega creazioni a due ruote come la vibrazioni (su base honda), la Motarda (su base Ducati) la Finale 1000 (su base BMw), la Mezzolitro (su base yamaha) e la 110 (su base harley-Davidson) non è infatti dato solo dalle carene e sovrastrutture realizzate con la lamiera dei vecchi fusti, cifra stilistica dell’officina, ma si può ritrovare anche nelle soluzioni tecniche originali. Gruppi ottici, convogliatore d’aria dei cerchi dei freni, alloggiamento del filtro dell’aria sono realizzati artigianalmente e dimostrano una specifica capacità progettuale. non solo belle sculture, dunque, ma bolidi che oltre a farsi guardare (hanno calamitato l’attenzione degli addetti ai lavori nelle principali fiere europee di settore) aspirano a farsi guidare, magari spalancando il gas per metterne alla prova la raffinata ciclistica. Queste ambasciatrici della “factory” di Massa Lombarda, incarnano al meglio la poetica di Alberto Dassasso e Riccardo Zanobini, che scaturisce dal contrasto visivo ottenuto attraverso accostamenti cromatici e unione strutturale di forme vecchie con altre nuove. In mezzo alla campagna romagnola, tra alberi da frutto, tetti rossi e ruggine, l’imperfetto diviene stile.

Passioni


tommaso attendelli

immagini: cristina bagnara

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Fiori nati dalle mani

A n D R E A M E R E n D I , P O E T A D E L L A C A R T A C R E S PA Amante dei fiori, siano freschi o di carta, il faentino Andrea Merendi è oggi un nome di riferimento, non solo entro i confini nazionali, nel variopinto universo del fiore di carta. L’antica tradizione delle composizioni floreali cartacee possiede in Italia radici profonde, solo per fare un esempio nei borghi sull’isola del lago d’Iseo ogni lustro si tiene la Festa di Santa Croce durante cui le arcate dei paesi vengono addobbate con fiori di carta preparati dagli abitanti del luogo secondo tecniche tramandate oralmente. negli ultimi quarant’anni, però, la cultura del fiore di carta come pregiato complemento d’arredo od opera di alto artigianato si è molto rarefatta, relegandone spesso la creazione al rango di gioco per bambini. In tale scenario è ancora più apprezzabile l’opera di Merendi, che con i suoi lavori ha contribuito a riportare quest’arte minore nel panorama contemporaneo inserendosi in una tendenza che da qualche anno vede risvegliarsi l’attenzione per questa particolare tipologia di design in buona parte d’Europa. La sua esperienza nasce quasi per gioco, quando gli viene commissionato l’allestimento della presentazione di un profumo ambientata negli elitari spazi de La Rinascente di Milano. Invece di progettarlo utilizzando fiori freschi, come nelle aspettative del cliente, sboccia l’idea di utilizzare fiori di carta. non riesce però a trovare un fornitore all’altezza della situazione e decide perciò, dimostrando di possedere un tratto tipico del carattere romagnolo, di cimentarsi egli stesso nella loro creazione. Scopre così di avere un talento particolare per questa pratica, che egli attribuisce alla propria profonda conoscenza dei fiori naturali. Oggi, dopo aver notevolmente affinato le sue capacità, rivela che non si tratta affatto di un lavoro “meccanico”. Oltre alla perizia tecnica e alla capacità di scegliere la materia prima più adatta, conta la disposizione d’animo con la quale ci si dedica alla composizione.

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FLOwERS MADE By hAnDS Andrea Merendi, a poet of crêpe paper Faenza-born Andrea Merendi loves flowers, whether they’re real or made of paper. His name is well known, not only in Italy but abroad, in the colourful world of paper flowers. The art of floral composition using paper flowers is a tradition with deep roots in Italy. As one example of many we can cite the festival of Santa Croce on the island of lake Iseo, where every five years the inhabitants of the island plaster the arcades of their villages with paper flowers made using a technique passed orally down the generations. In the last forty years, though, the art of paper flowers has been locked into a spiral of decadence that has often relegated it to the level of a pastime for children. All this only serves to make Merendi’s work even more remarkable, for he has succeeded in reinstating the prestige of this minor art form on the contemporary panorama, establishing himself as a leading exponent of a trend that in recent years has fuelled a resurgence of interest in this area of design in many parts of Europe. Merendi’s induction into the world of paper flowers occurred almost by accident, when he was commissioned to design a floral display for the presentation of a perfume in Milan’s upmarket department store, La Rinascente. Instead of using fresh flowers, as his client was expecting, Merendi hit on the idea of paper flowers. He was unable, however, to find a supplier for these flowers. And so in typically Romagnol fashion he set about making the flowers himself. In doing so he discovered he

had a natural aptitude for the craft, an aptitude he attributes to his extensive knowledge of real flowers. Since then he has considerably refined his abilities, and taken flower making well beyond the realm of mere “mechanics”. It’s not just a question of technical expertise or the ability to select the most suitable material. It’s also about the state of mind with which we approach the task of composition. The key moment is when the paper flower is opened and the finishing touches are put to the disposition of the petals with deft, caress-like touches. Merendi himself confesses there are days when his flowers refuse to take the desired form, no matter how much he tries: as if it were reproaching him for not putting his heart into it. It’s this approach to his art that has earned Merendi the nickname of the “crêpe paper poet”. And his creations are increasingly in demand. Every one of Merendi’s flowers is unique, specially designed for its intended setting, sometimes mounted on real twigs to accentuate the startling realism of the finished creation. His home town of Faenza recently held a one-man exhibition in honour of his work, and his designs have also been used in wallpaper with distinctively contemporary textures. It’s been a long winter, but it seems paper flowers are back in season.

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Passioni

se potessimo vedere chiaramente il miracolo di un singolo fiore, l’intera nostra vita cambierebbe. buddha

Il momento topico è infatti quello in cui il fiore di carta viene aperto e gli si dà la forma definitiva disponendone i petali con sapienti tocchi leggeri, quasi accarezzandoli. È lo stesso Merendi a confessare che ci sono giorni in cui pur ripetendo i gesti di sempre, i fiori sembrano non voler prendere la foggia desiderata, come se si ribellassero al suo stato d’animo inadeguato. Proprio per questo approccio è stato definito il poeta della carta crespa e i suoi lavori sono sempre più ricercati. Esclusivamente pezzi unici, inseriti in idee progettuali originali pensate espressamente per la cornice in cui compariranno, magari innestati su rami veri per accentuare l’impressione di realtà del risultato finale. Recentemente la sua città gli ha dedicato una mostra personale dal titolo Poesie di Carta Crespa e i suoi progetti sono stati anche utilizzati per una linea di carta da parati dalla texture fortemente contemporanea. Dopo un lungo “inverno”, sembra essere ritornata la stagione dei fiori di carta.


Anche ai mirtilli piace la Romagna

immagini: archivio rio del sol

L A C O LT I vA Z I O n E S P E R I M E n TA L E D I R I O D E L S O L Pure l’agricoltura è in qualche modo soggetta alle mode, influenzate dal gusto dei consumatori che cambia e dal rapporto tra domanda e offerta del mercato.

non ascolto ciò che dicono i critici d’arte. non conosco nessuno che ha bisogno di un critico per capire cos’è l’arte. jean-michel basquiat

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alba pirini

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Ciò può tradursi nello snaturamento di un frutto od ortaggio che viene coltivato lontano dal suo contesto originario oppure, come in questo caso, in una gradita sorpresa, quando una varietà ed un terreno che non si erano mai “incontrati” prima scoprono di piacersi a vicenda e insieme danno un frutto che piace a sua volta. Parlando dell’azienda Rio del Sol, l’incontro tra il terreno argilloso delle colline forlivesi, in località Petrignone, e la pianta del mirtillo non è stato accidentale. Questa è stata per decenni zona di kiwi, e quando la batteriosi ha cominciato a falcidiare gli impianti, la titolare Marika Servadei ha cercato a lungo una coltura in grado di valorizzare le qualità di questa terra. In occasione di un viaggio in Cile si è imbattuta in una delle, lì particolarmente diffuse, coltivazioni di mirtillo cominciando a conoscere da vicino le caratteristiche di questa specie, difficile da coltivare ma generosa di potenzialità. Tornata in Italia ha affinato la sua ricerca visitando alcune coltivazioni nazionali, contraendo definitivamente la “febbre del mirtillo”. Il “re dei piccoli frutti”, così chiamato per il suo valore in termini di proprietà organolettiche e nutrizionali, viene utilizzato sempre di più nell’alta cucina non solo per guarnire i dessert ma anche per accompagnare in forma di salsa le carni saporite o per conferire la caratteristica nota dolce/acidula ai più diversi piatti. La medicina popolare attribuisce virtù curative

sia alle sue foglie (che possiedono proprietà antisettiche, astringenti, antidiabetiche…) sia ai frutti, che esercitano attività antiossidante grazie agli antociani (sostanze capillaroprotettive, antinfiammatorie, antiedematose e antiflogistiche). In particolare il mirtillo nero si dimostra un toccasana per gli occhi, è documentato che durante la Seconda Guerra Mondiale veniva largamente usato dai piloti di caccia prima delle missioni notturne per migliorare le proprie facoltà visive. Un’altra qualità che lo contraddistingue è l’elevata conservabilità, dura infatti quasi un mese anche fuori dal frigorifero. Dal punto di vista della coltivazione si tratta però di una specie estremamente esigente: predilige terreni leggeri, ricchi di sostanza organica ma soprattutto privi di calcare; necessita inoltre di frequenti irrigazioni a causa dell’apparato radicale molto superficiale. nel 2011 Marika ha iniziato la propria avventura piantandone circa un ettaro e ottenendo risultati così promettenti che l’anno scorso ha deciso di raddoppiare l’area dedicata a questa coltura. Oggi ne coltiva tre varietà: Juke (la più precoce), Brigitta (l’intermedia) e Blue Crop (la più tardiva), in modo da poter avere mirtilli freschi per il più lungo periodo possibile, una parte del raccolto viene poi impiegata per ricavarne il succo o metterli in conserva. In questo modo il mirtillo “made in Romagna” si può assaggiare lungo tutto il corso dell’anno.

Ogni terra non produce ogni frutta. Virgilio

E vEn BLUEBERRIES LOvE ROMAGnA The experimental plantation of Rio del Sol

Even agriculture follows fashion to some degree, influenced by changing consumer preferences and the dynamics of demand and supply. This can result in the loss of identity of a fruit or vegetable that’s grown far from its place of origin; or it can yield a pleasant surprise, when previously “unacquainted” varietals and terroirs immediately hit it off in a rapport resulting, as in the present case, in some very tasty fruit. At Rio del Sol, near the village of Petrignone in the hills overlooking Forlì, the meeting of the blueberry plant and the local clayey soil was not accidental, however. For the last few decades this zone has been dedicated to the cultivation of kiwifruit, but when blight began to decimate her crop Rio del Sol’s owner, Marika Servadei, began to cast around for a new fruit that was worthy of the quality of the earth. It was on a trip to Chile, where the blueberry is extensively cultivated, that Servadei first encountered a blueberry orchard. She began to look into the characteristics of this prized yet difficult-to-grow fruit. Back in Italy, she visited a few blueberry plantations on home soil. And that’s when she contracted “blueberry fever”. Known as the “king of berries” for its rich flavour and nutritional properties, the blueberry is increasingly used in haute cuisine: not only in desserts but also as a sauce to accompany meats, and for the distinctive sweet-and-sour note it brings to all kinds of dishes. In traditional medicine it’s valued for the curative properties of its leaves (which are antiseptic, astringent and antidiabetic) and its fruit, which is a powerful antioxidant due to anthocyanin, a substance which helps prevent varicose veins, inflammation and skin complaints. One variety in particular, the whortleberry, is reputed to have miraculous effects on the eyes, and was widely used by World War Two fighter pilots to enhance their night vision. Another distinctive quality of the blueberry is its robustness: it keeps for almost a month without refrigeration. When it comes to cultivation, however, the blueberry is an extremely demanding plant: it prefers light soils that are rich in organic matter but not chalky, and it needs frequent irrigation on account of its highly superficial root system. Marika’s own blueberry adventure began in 2011 when she planted her first hectare. The results have been so promising that last year she decided to double the area dedicated to the fruit. At present she grows three varieties: Juke (the earliest), Brigitta (mid-season) and Blue Crop (the last to ripen). That way she has fresh blueberries for as long a period as possible, with part of the harvest used for producing juice and jam. Which means “made in Romagna” blueberries can be enjoyed all year round.

Enogastronomia

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carlo zauli

immagini: archivio birra viola

La birr a ti fa s ent ire com e d ovr esti sen tirt i s enz Hen a birr ry Law a. son

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Pluralità di luppoli BIRRA vIOLA Va come una viola! Recita un vecchio detto che allude alla fluidità dello strumento musicale ad arco per indicare qualcosa che funziona perfettamente. Maurizio Arduini, fondatore, anima e cuore del Birrificio Artigianale Birra Arduini, se lo sentiva ripetere spesso dal nonno Mario nella variante romagnola: và com’è nà viola! Proprio alla sua memoria Maurizio ha dedicato la recente avventura legata al mondo della produzione di birra artigianale nella quale si è lanciato, in ossequio alla storia della sua famiglia. Una famiglia cattolichina che, pur senza produrla direttamente fino ad ora, di birra se ne intende davvero per averla consigliata e commerciata all’ingrosso fin dagli anni Sessanta. Dopo aver rifornito per decenni con le più rinomate birre tedesche e belghe la costa romagnola, è nata così l’esigenza di dare il proprio apporto al crescente fermento delle birre artigianali italiane con un prodotto impostato sui gusti del proprio territorio. La passione e la creatività da cui è nato questo progetto sono una buona premessa, ma per raggiungere il risultato che si era prefisso Arduini si è avvalso della consulenza di mastri birrai di fama internazionale, che dosando sapientemente le migliori materie prime e utilizzando un ventaglio particolarmente ampio di luppoli, hanno creato una linea di birre composta attualmente da una bionda, una rossa e una rifermentata in bottiglia. Menzione speciale va al packaging di Birra viola: una bottiglia che pur avendo la pecca del vetro chiaro (meno indicato a schermare la birra dalla nociva luce del sole rispetto a quello scuro) si distingue per una foggia e un “vestito” particolarmente moderni e originali.

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Viola Bionda 5.6 _ Birra bionda a bassa fermentazione _ bottom-fermented pale lager Per ottenere questa chiara sono state utilizzate diverse varietà di malto d’orzo distico primaverile (Pilsner, Vienna, Caramel Light) e 10 tipi di luppolo tra cui Perle (Germania), Tradition (Germania), Saaz (Repubblica Ceca). Il metodo della bassa fermentazione, la sua schiuma bianca e persistente, il suo sapore secco e gradevolmente arrotondato dall’amaro dei luppoli più pregiati, la distinguono nel panorama delle bionde artigianali. Il 5.6 nel nome si riferisce al grado alcolico. Indicata come aperitivo, può ben accompagnare i primi piatti di pasta, le crudità di pesce e le carni bianche. Temperatura di servizio 3/5 °C. Several varieties of two-rowed spring barley malt are used in this lager (Pilsner, Vienna, Caramel Light), together with 10 types of hop including Pearl (Germany), Tradition (Germany) and Saaz (Czech Republic). A bottom-fermented lager, Viola Bionda is a distinguished artisan lager with a creamy and persistent head. The flavour is dry, agreeably modulated by the bitterness of the finest varieties of hops. 5.6 denotes the alcohol content of the beer. It drinks well as an aperitif, or to accompany pasta, fish and shellfish platters, and white meats. Serving temperature: 3-5°C.

Viola Rossa 6.6 _ Birra rossa doppio malto ad alta fermentazione _ Top-fermented double malt red ale Ben 14 tipi di luppolo tra cui Perle (Germania) Tradition (Germania), Saaz (Repubblica Ceca), East Kent Golding (Inghilterra) e Willamette (USA) vengono impiegati per ottenere la rossa del birrificio Viola, oltre a diverse varietà di malto d’orzo distico primaverile (Pilsner, Aromatic, Melanoidin, Wheat). Si presenta con un color rubino variegato da riflessi ramati. Sotto la sua schiuma particolarmente compatta si apre una birra ricca di sapori di spezie, calda e avvolgente che si chiude al palato con un finale rotondo e persistente. Anche in questo caso il 6.6 che compare nel nome si riferisce al grado alcolico. Si abbina felicemente alle carni rosse e alla cacciagione, ma anche ai formaggi stagionati e ai salumi più profumati. Temperatura di servizio 4/6 °C. No fewer than 14 types of hop including Pearl (Germany), Tradition (Germany), Saaz (Czech Republic), East Kent Golding (England) and Willamette (USA) go into the making of this red ale from the Viola brewery, as well as several varieties of two-row spring barley malt (Pilsner, Aromatic, Melanoidin, Wheat). The colour is ruby red with copperish highlights. With a particularly compact head and a spicy, warm and enveloping flavour, it has a rounded and persistent finish. The alcohol content is 6.6, as the name denotes. Drinks well with red meats and game, mature cheeses and robustly-flavoured cured meats. Serving temperature: 4-6°C.

Viola Numerotre 6.9 _ Birra bionda doppio malto rifermentata in bottiglia _ Doublemalt bottle-refermented ale Il suo colore giallo intenso, con riflessi ambrati, deriva dall’impiego di luppoli tradizionali tedeschi quali il Perle (Germania), il Tradition (Germania), il Mittelfrueher (Germania), e l’americano Cascade, che rendono il suo grado di amarezza equilibrato ed intenso. L’utilizzo di malti d’orzo (Pilsner, Vienna, Caramel Light) conferisce alla birra note di cereali e malto, mentre l’intenso aroma floreale e di frutta esotica viene esaltato dalla tecnica del dry hopping. La rifermentazione in bottiglia garantisce la presa di spuma nonché la lenta evoluzione di aromi e gusto nel tempo. Esalta i formaggi saporiti, le carni rosse, il pollame nobile e la selvaggina. Temperatura di servizio 4/6 °C. The intense golden colour and amber highlights of this beer come from the inclusion of traditional German hops such as Pearl, Tradition and Mittelfrueher, plus an American variety, Cascade, which strike just the right balance of intensity and bitterness. The use of barley malts (Pilsner, Vienna, Caramel Light) gives this beer its distinctively malty flavour, while its intense floral and tropical fruit aroma is enhanced by the dry hopping technique. Secondary fermentation in the bottle gives this beer its firm head and refines its aroma and flavour. It drinks well with ripe cheeses, red meats, poultry and game. Serving temperature: 4-6°C.

hOPS GALORE viola ar tisan beer

Smooth as a viola! So goes an old Italian saying, used of something that works perfectly. It was an expression the founder and creative force behind the Birra Arduini craft brewery, Maurizio Arduini, used to hear his grandfather Mario repeat in Romagnol dialect: và com’è nà viola! It’s to his and the rest of his family’s memory that Maurizio has dedicated his latest adventure in the world of artisan beer. Maurizio’s family, from Cattolica, has been involved in the wholesale beer business since the 1960s, although it’s never actually produced it until now. After decades of supplying the Romagna coast with the finest Belgian and German beers, Arduini decided to join the growing band of Italian craft beer producers with a product targeted at the local market. The passion and creativity he put into his new project are certainly a good start, but to reach the standards he’d set for himself Arduini drew on the advice of some internationally-renowned master brewers. With the finest ingredients mixed in the right proportions and an unusually diverse selection of hops, the result is a range of craft beers that currently comprises a blond beer, a red beer, and a bottle-refermented beer. The packaging of the Viola range deserves a special mention. Although the bottle is of clear glass (which is less effective than dark glass in shielding the beer from the harmful effects of sunlight), its shape and lettering are particularly modern and original.

Enogastronomia

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BEYOND SURFACE

AU DELA DE LA SURFACE



regredire è un modo di conoscere diversamente. adriano baccilieri

Una pittura contro la disumanizzazione

franco de pisis

immagini: archivio vanni spazzoli

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IL MOnITO DI vA nnI SPA Z ZOLI Guardando i suoi quadri di grande formato si potrebbe pensare che siano i disegni di un gigantesco bambino pervaso dall’inquietudine. Se così fosse, si tratterebbe di quel tipo di disegni che si finisce per sottoporre a uno psicoterapeuta infantile, il quale certo indicherebbe la causa del disagio in una famiglia disfunzionale alle spalle. nel caso di vanni Spazzoli, la famiglia disfunzionale è però la società moderna, colpevole, agli occhi del pittore, di derubare i suoi componenti della loro umanità. Tale, anche secondo lo storico dell’arte Adriano Bacillieri è la chiave di letture più evidente per decodificare il messaggio di questo pittore forlivese. Classe 1940, allievo di Umberto Folli all’Accademia di Ravenna e frequentatore assiduo del pittore-architetto, nonché docente, Ettore Panighini, Spazzoli possiede una solida formazione figurativa. non è dunque un naïf che fissa linearmente sulla tela il proprio flusso di sensibilità; vanni arriva alla pittura gestuale attraverso una meditata scelta stilistico-filosofica e i suoi soggetti sono portatori di un messaggio preciso. negli anni, sono passati dalle nature morte a elementi del quotidiano, quali cavalli, bambini, uccelli in gabbia… fino a personaggi che popolano l’immaginario comune: regine, madonne, angeli… Uno “zoo” pittorico di soggetti inaddomesticabili, che, come sottolineato anche da Claudio Spadoni, direttore del MAR - Museo d’arte della Città di Ravenna, parlando della pittura di Spazzoli, non è destinato a istituzioni e santuari I

Sensi

di

Romagna


ART AGAInST DEhUMAnIZATIOn A warning from vanni Spazzoli Looking at Vanni Spazzoli’s large-format paintings, our initial impression is that they were painted by a giant, troubleinfested infant. The kind you might submit to a child psychotherapist, who would put the blame on the child’s dysfunctional family. In the case of Vanni Spazzoli, however, the dysfunctional family is modern society, which in the artist’s eyes is guilty of stripping its members of their humanity. This, according to art historian Adriano Bacillieri, is the key to decoding the messages of the Forlì-born painter. Born in 1940, Vanni Spazzoli studied under Umberto Folli at the Accademia of Ravenna and was a member of the circle that gathered around the painter, architect and teacher Ettore Panighini. He’s no naïf, then, spewing his consciousness onto the canvas in linear fashion; Vanni comes to action painting with a solid stylistic and theoretical grounding already in place, and his subjects embody a precise message. Over the years, these subjects have evolved from still lives into “everyday creatures” - horses, children, caged birds - and then into figures from the common imaginary: queens, virgins, angels. A pictorial zoo of indomitable fauna, which as Claudio Spadoni, director of Ravenna’s MAR municipal art gallery, points out, is not to everyone’s taste. Vanni has always worked in total independence of context. His style evinces elements of what became the mainstream avant-garde in the 1980s without ever embracing it, and while critics might associate him with neoexpressionism or graffitismo, neither label seems to interest him greatly. In this state of voluntary isolation Spazzoli defends his own individuality, working in what’s been called a “semi-underground” condition (and showing certain typically Romagnol character traits in doing so). His brushwork alternates between furiously-applied streaks and moments when it seems his hand can no longer guide the brush through to the end of its stroke but holds it there suspended, dripping lumps of colour. When his work finally attracted international recognition, Spazzoli reacted by setting free his monsters: gigantic famished cats, menacing lions, hellhounds, savage wolves… the most eloquent “messengers” yet of the dehumanization that Spazzoli denounces. Perhaps they’re also the avatars of a phase in which the artist gives full expression to his visionary character. Or the reflections of modern society itself, hideously disfigured by rampant globalization.

artistici o a collezioni esemplari. vanni ha sempre fatto la sua strada in totale indipendenza dal contesto, ha precorso certi stilemi di quella che sarebbe divenuta l’avanguardia di massa negli anni Ottanta senza cavalcarla, è stato inserito dalla critica nel neoespressionismo ed avvicinato al graffitismo senza che ciò sembrasse interessarlo troppo. In questa sorta di isolamento volontario, Spazzoli difende la propria individualità, operando in quello che è stato definito un “regime di semi-clandestinità” e dimostrando in questo certe peculiarità di carattere tipicamente romagnole. La sua pennellata alterna momenti di furia iraconda ad attimi in cui la mano pare non riuscire più a reggere il pennello facendo colare copiosamente il colore prima di interrompere del tutto il tratto, come trattenuta da cause di forza maggiore. Quando dalla provincia romagnola Spazzoli si è ritrovato inserito in un panorama internazionale, ha reagito liberando i suoi mostri: giganteschi gatti famelici, minacciosi leoni, cani infernali, lupi feroci… I “messaggeri” più eloquenti della disumanizzazione preconizzata da Spazzoli. Figli, forse, di una fase in cui il pittore rinuncia a trattenere la propria visionarietà. O forse è stata proprio la società moderna, che in tempi di globalizzazione galoppante ha subito, almeno agli occhi del pittore, un ulteriore tracollo. Arte

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Femminilità arcaica e plasticità moderna…

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angelamaria golfarelli

immagini: archivio martha pachón rodríguez, valentina tisselli

S I F O n D O n O n E L L’ A R T E DI MA RThA PAChón RODRíGUE Z Quando la materia, nella sua solida e concreta sostanza, acquisisce, attraverso l’intervento dell’artista, il sospiro e l’anima dell’opera d’arte può in sé assorbire tutta quella seducente plasticità che le conferisce l’eterna essenza della bellezza. In questo concetto romantico ed empirico si inserisce il lavoro di Martha Pachón Rodríguez, artista colombiana naturalizzata a Fognano (frazione dell’entroterra faentino) che ha fatto della ceramica e della porcellana i veicoli di un complesso ed interessante percorso artistico in grado di legare a doppio mandato un singolare talento ed una forte identificazione femminile. nel suo lavoro, infatti, lo straordinario richiamo ai colori e alle forme di un arcaico ed evocativo matriarcato contraddistingue la capacità di ricondurre alle origini i profondi legami con la sua terra. È in essa che Martha si riconosce e trova l’ispirazione per I

Sensi

collocare la sua arte, fra una dimensione reale ed una fantastica che nelle sue radici latine ha saputo nutrire l’immaginario nonché il materiale di inconfondibili seduzioni e suggestioni. Così, fragilissime minuscole ali di porcellana danno vita ad uno straordinario manto nuziale che ondeggia agli aneliti dell’essenza aerea cui si uniscono i delicati coni che, con preciso riferimento alla maternità, suggeriscono la forma di un seno procace pronto a nutrire (nell’accezione materna, la vita; in quella artistica, la bellezza). Fino alle grandi forme circolari, a richiamare quegli antichi bracieri ellenici che abitavano le stanze di

Romagna


darei valore alle cose non per quello che valgono / ma per quello che significano. / dormirei poco, sognerei di più [...] gabriel garcía márquez

AnCIEnT SEnSIBILITIES AnD MODERn FORMS… Two worlds meet in the work of Martha Pachón Rodríguez When matter, as a solid and concrete substance, is infused with the living breath of art, it can embody all the seductive plasticity that the eternal essence of beauty confers on it. This is the romantic and empirical context of the work of Martha Pachón Rodríguez, a Colombian artist living in the small village of Fognano near Faenza who has made pottery and porcelain the vehicles of a complex and fascinating artistic trajectory which combines a singular talent with a strongly female identity. The extraordinary colours and forms that distinguish her work have an archaic, matriarchal appeal that speaks of her profound ties with her native land, the place Martha continues to identify with. Her art explores the connections between the real and the fantastic, endowing both with an extraordinary invocatory power. Tiny, fragile cones of porcelain give form to an extraordinary bridal cloak that shimmers with every movement of the air. The cones themselves are an overt reference to maternity, each one suggesting a breast that offers nourishment (for life, in the maternal sense; for beauty, in the artistic sense). Then there are her large, circular forms, reminiscent of the ancient Greek braziers used for burning purifying essences in the house of the Vestal Virgins, but decked in the hot colours and Inca gold of the artist’s homeland. For Martha Pachón Rodríguez, these forms are mirrors of the stars, their hollow interiors filled with all the gazes of wonder and awe that the heavens inspire. Like the pools the ancients used to read their fortunes in, binding superstition and esoteric religion in an ephemeral union of the sacred and profane. It’s this duality that imbues the art of Martha Pachón Rodríguez, the extraordinary delicacy of form that gives meaning to something that’s more than merely aesthetic. Exceptionally accomplished and emotionally engaging, eliciting in the observer a sense of acceptance and identification. Martha Pachón Rodríguez is a complete artist, a fulfilled woman whose art combines harmony and fullness of form, punctuated here and there with the occasional barb. It combines material presence with the evocative power that’s essential to every work of art, the hardness and delicacy of the materials the two sides of the same coin, their fragility steeped in a hard casing of talent.

delle vestali ove si bruciavano essenze dall’evocativa fragranza purificatrice, che l’artista veste dei caldi colori della sua terra e d’oro Inca. nell’immaginario della Pachón Rodríguez rappresentano però Specchi delle stelle riempiti dagli sguardi ammirati e sognanti che il cielo e le sue magie sono in grado di carpire. Come gli antichi pozzi dentro i quali si leggeva il destino, legando superstizione ed esoterismo in un unico effimero fil rouge fra il sacro e il profano. Così Martha affronta e vive l’arte, in un dualismo straordinario che nella superba delicatezza delle forme interviene con la sapiente volontà di dare senso a ciò

che va ben oltre la semplice qualità estetica. Un lavoro di grandissimo livello e di emozionante coinvolgimento, capace di creare in chi lo guarda quel senso di accoglimento e identificazione che l’opera di Martha sa offrire. È un’artista completa, una donna realizzata che fonde nella sua arte l’armonia di una rotondità difesa solo attraverso i sottili aculei inseriti nelle sue opere. Offrendo alla vita e al mondo quelle naturali espressioni e quelle immaginarie suggestioni indispensabili ad un lavoro che, nella duplice accezione fra durezza e fragilità della materia usata, intinge nella forza del talento l’anima della leggerezza.

Arte

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[0 4] TERRITORIO I L F I R M A M E n TO S I S P ECCh I A S U M O n T E R O M A n O _ l’o s s e r va to r i o a u to - co s t r u i to d e l g r u p p o as t ro f i l i a n ta res d i ro m a g n a T h E h E Av E n S R E F L ECT E D I n M O n T E R O M A n O _ t h e s e l f- b u i l t o bs e r va to r y o f ro m a g n a’s a n ta res s ta rg a ze r s U n B O R G O CO L L I n A R E D I A LTO P R O F I LO _ s a l u d e ci o A h I L L TOw n T h AT CU T S A P R O F I L E _ s a l u d e ci o

[10] STORIA A R Ch I B U G I E R I I n R O M AG n A _ p rez i o s a e re d i tà ch e r is ch i a l’o b l i o G U n S M I T h S O F R O M AG n A _ a p r i ce l es s h e r i ta g e n ow t h re a te n e d w i t h o b l i v i o n I L L EO n I DA C A R B O n A R O _ es e m p l a re p a t r i o ta ro m a g n o l o L EO n I DA M O n TA n A R I _ a ro m a g n o l p a t r i o t P R EST I G I O S O C A L ES S I n O _ l a “d e ca p p o t ta b i l e” d e l m o n d o r u ra l e C A L ES S I n O: STAT U S Sy M B O L _ t h e co nve r t i b l e o f t h e r u ra l wo r l d

[16] PASSIO NI [32

F U ST I D I FO R T E P E R S O n A L I Tà _ v i b ra z i o n i a r t- d esi g n B A R R E LS O F P E R S O n A L I T y _ v i b ra z i o n i a r t- d esi g n F I O R I n AT I DA L L E M A n I _ a n d re a m e re n d i, p o e ta d e l l a ca r ta cres p a F LOw E R S M A D E By h A n D S _ a n d re a m e re n d i, a p o e t o f crê p e p a p e r

[22] ENOGASTRONOMIA A n ChE A I MIRT IL L I PI ACE L A ROM AGn A _ la col t i vazione sper imen tale di r io del sol E v E n B LU E B E R R I ES LOv E R O M AG n A _ t h e ex p e r i m e n ta l p l a n ta t i o n o f r i o d e l s o l P LU R A L I Tà D I LU P P O L I _ b i r ra v i o l a h O P S GA LO R E _ v i o l a a r t is a n b e e r

[28] ARTE U n A PI T T U R A CO n T R O L A D I S U M A n I Z Z A Z I O n E _ i l m o n i to d i va n n i s p a z zo l i A R T AGA I n ST D E h U M A n I Z AT I O n _ a wa r n i n g f ro m va n n i s p a z zo l i F E M M I n I L I Tà A R C A I C A E P L A ST I CI Tà M O D E R n A … _ si fo n d o n o n e l l’a r te d i m a r t h a p a ch ó n ro d r í g u ez A n CI E n T S E n S I B I L I T I ES A n D M O D E R n FO R M S… _ t wo wo r l ds m e e t i n t h e wo r k o f m a r t h a p a ch ó n ro d r í g u ez

I

Sensi

di

Romagna


Periodico edito da Cerindustries SpA 4 8 0 14 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I T A Ly v i a E m i l i a Po n e n te, 10 0 0 w w w.c e r d o m u s .c o m Direttore responsabile Raf faella Agostini Direttore editoriale Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Laura Zavalloni – Cambiamenti per Direzione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Alessandro Antonelli Redazione Roberto Aguz zoni To m m a s o A t t e n d e l l i Franco De Pisis A ngelamaria Golfarelli Italo Graziani Bernardo Moitessieri Alba Pirini Manlio Rastoni Carlo Zauli Foto A r c h i v i o A s s e s s o r a t o Tu r i s m o P r o v i n c i a R i m i n i Archivio Bernardo Moitessieri Archivio Birra viola Archivio Gruppo Astrofili Antares di Romagna Archivio Martha Pachón Rodríguez Archivio Museo Etnografico “Sgurì” di Savarna Archivio Rio Del Sol A rchivio vanni Spaz zoli Archivio vibrazioni Art Design Roberto Aguz zoni Cristina Bagnara Enzo Bertuz zi Cor tesi Foto valen t ina T isselli Mirco villa In coper tina: opera di A ndrea Merendi fotografata da Cristina Bagnara Si ringraziano Roberto Aguz zoni Cristina Bagnara Gruppo Astrofili Antares di Romagna Museo Etnografico “Sgurì” di Savarna A n d r e a To s c h i Stefano Zanot ti Si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca / Direzione immagine Cerdomus Tr a d u z i o n i Tr a d u c o , L u g o Stampa FA E n Z A I n d u s t r i e G r a f i c h e

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