Magazine EE nr 39

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Periodico edito da Cerindustries SpA 4 8 0 14 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I T A LY v i a E m i l i a Po n e n te, 10 0 0 w w w.c e r d o m u s .c o m Direttore responsabile Raf faella Agostini Direttore editoriale Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Laura Zavalloni – Cambiamenti per Direzione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Alessandro Antonelli Redazione To m m a s o A t t e n d e l l i Franco De Pisis A ngelamaria Golfarelli Italo Graziani Bernardo Moitessieri Alessio Nelli Alba Pirini Manlio Rastoni Carlo Zauli Foto Archivio Bernardo Moitessieri Archivio Cambiamenti Archivio Costa Archi Archivio Giuseppe Rava Archivio Manuele Fior Archivio Provincia di Rimini A r c h i v i o To m m a s o A t t e n d e l l i C . D .T. L a R u m a g n ò l a d i B a g n a c a v a l l o Gianluigi Bertozzi Michele Crociani Omar Cappelli Silvio Grilli Ph Paritani Rapallo80 Antonio Ravaglia Si ringraziano APT Rimini Omar Cappelli Manuele Fior Silvio Grilli Enzo Liverani Mario Benito Nalin Giuseppe Rava Gabriele Succi Si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca / Direzione immagine Cerdomus Tr a d u z i o n i Tr a d u c o , L u g o

©Cerindustries

SpA Tu t t i i d i r i t t i r i s e r v a t i A u t o r i z z a z i o n e d e l Tr i b u n a l e d i R a v e n n a n r. 117 3 d e l 1 9 / 12 / 2 0 0 1 ( c o n v a r i a z i o n e i s c r i t t a i n d a t a 11 / 0 5 / 2 0 1 0 )


può

una terra il cui antico dialetto resta

Does a place whose traditional dialect can

nominalmente lo stesso in tutte le sue

change out of all recognition in the distance

città, pur variando straordinariamente nel raggio di

of just a few kilometres really have an ordi-

solo pochi chilometri, essere un luogo comune? La risposta che suggerisce anche questo numero di ee è certamente no.

nary identity? The answer, as this latest issue of ee suggests, is a resounding no. Where else would you find a village where

Dove altro troverete paesi i cui molti visitatori si

one set of visitors heads for the theatre to be

dividono tra chi prende posto in un’arena per ridere

entertained, and another goes to the cathe-

assistendo a commedie palliate e chi entra in

dral, to be exorcised?

cattedrale per farsi esorcizzare?

Where disused industrial sites are repurpo-

Dove sconfinati ambienti di archeologia industriale

sed as artists’ workshops and architectural

diventano atelier e sopravvivono perle architettoniche uniche come un antico teatro fatto tutto di legno. Dove un bambino che ha vissuto l’esperienza della

gems such as theatres made entirely of wood still survive down to the present day? Where a child who experienced the Second World War in the heat of the Gothic Line

guerra appena dietro alla Linea Gotica cresce diven-

grew up to be a leading European authority

tando il massimo esperto europeo di gotico antico.

on Gothic calligraphy?

Dove si scopre che celebrati scienziati ottocente-

Whose celebrated nineteenth century scien-

schi erano anche inveterati donnaioli?

tists were also inveterate womanizers?

Una terra che istituisce un museo per celebrare il

But then, Romagna is a place where villages

proprio pane. In cui un ex-campione del mondo di pugilato allena i suoi pupilli su un ring tagliato a metà perché la palestra non è sufficientemente spaziosa

open museums dedicated to bread. Where a former world champion boxer turned trainer coaches his protégés in a ring chopped in two because the gymnasium is too small to hold

per contenerlo intero. Una terra il cui vino può dare

a full-sized ring. A place known for its heady

alla testa e sa sciogliere la fantasia: risorsa, qui,

wines and its vivid powers of imagination: a

abbondantemente disponibile. Che continua ad

resource that’s in especially abundant supply

affacciarsi anche nel cuore di chi, ieri come oggi,

in this part of the world. That lives on in the

si trova costretto a lasciarla per cause di “forza

hearts of those who, now as in the past, are

maggiore”. Riuscite ad immaginare un altro territorio che contenga in sé tutto questo? Forse passando al setaccio ogni scampolo di mondo riuscirete pure a

forced to leave it for reasons beyond their ability to control. Can you think of another place with all these characteristics? Maybe you’ll find one if you look hard enough and

trovarlo, ma è decisamente improbabile che possa

travel far enough, but it’s highly unlikely

estendersi su soli 5000 chilometri quadrati come

it will be as compact as Romagna, with its

avviene per la Romagna.

mere 5000 square kilometres of area.

EDITORIALE

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ea r th e lem e nt



angelamaria golfarelli

immagini: gianluigi bertozzi, silvio grilli

ogni architettura è grande dopo il tramonto: forse l’architettura è veramente un’arte notturna, come quella dei fuochi artificiali. gilbert keith chesterton

Il gigante addormentato

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G li e x - essicatoi del tabacco di G ambettola È un gigante addormentato e stanco il complesso degli ex-essiccatoi del tabacco di Gambettola.

I

Sensi

di

Romagna


Sleeping giant The former tobacco curing factory of Gambettola The former tobacco curing factory Gambettola is a weary, sleeping giant.

Una costruzione che ancora si regge, i cui piedi sono però troppo fragili ormai per sostenere il peso del suo glorioso e produttivo passato. Ma la traccia della sua vitalità e i sospiri delle tante maestranze che entro esso si sono avvicendate possono ancora sentirsi attraverso quel silente e straordinario fascino che questa architettura industriale ormai abbandonata esercita su chi quotidianamente convive con la sua presenza. Un fascino che nessun restauro, seppur salvifico, saprebbe conservare perché è nell’attuale decadimento che si cela il senso della sua bellezza. Gli ex-essicatoi del tabacco di Gambettola, come altri noti siti produttivi ormai abbandonati, non sono costituiti da un unico opificio, ma dal raggruppamento di diversi insediamenti che hanno dato vita ad una costruzione a schiera, avente tutte le caratteristiche di un grande complesso industriale che protegge, al pari di una cinta muraria, il cuore del centro abitato di Gambettola. In esso erano concentrati diversi reparti produttivi che andavano dalla cernita al confezionamento delle foglie di tabacco, coltivato dai contadini dell’hinterland gambettolese e ivi conferito, fino all’essiccamento e all’imballaggio. Oggi questo sito di archeologia industriale è, pur nel suo stato di inattività, una costruzione ricca di memorie e suggestioni che la strategica collocazione al centro del paese, nel trafficato viale Carducci, ogni giorno rinnova. Un luogo che, insieme all’ex-cementificio Sicli (oggi divenuta la splendida realtà di Angelo Grassi chiamata Fabbrica, vedi ee n. 27), consegna a questa cittadina adagiata fra le colline e il mare il primato di un trascorso in cui le attività produttive crescevano e si sviluppavano grazie alla lungimirante visione di alcuni imprenditori locali. Il suo presente, da addormentato gigante, non si priva di raccontare un progresso che ha sottratto alla manualità non solo fatica, ma anche creatività.

of

If the building is still standing, its foundations are too fragile to support the weight of its glorious, industrious past. But traces of its past vitality and the many workers who made their livings here can still be sensed in the silence and the extraordinary fascination that this abandoned building continues to exert on those who live with its presence on a daily basis. It’s a fascination that no restoration, no matter how loving, could preserve intact, because it’s in the very dilapidation of this building that its beauty is concealed. Like so many derelict industrial sites, the former tobacco-curing factory of Gambettola is not a single selfcontained building but rather an agglutination of smaller buildings strung together terrace-fashion, their outer walls staring blankly out like fortifications over the centre of Gambettola. Inside, the factory was divided into various sections dedicated to the

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selection and processing of the tobacco leaves grown by small local producers and taken to the factory for curing and packaging. In its present derelict state, the factory is an evocative place that exerts that strange attraction which is proper to disused industrial plants everywhere - an attraction which its location, on Gambettola’s busy Viale Carducci, only enhances further. Together with the former Sicli cement works (now redeveloped by leading designer Angelo Grassi as Fabbrica - see ee issue no. 27), Gambettola’s tobacco factory helped establish this small town on the plain between sea and mountain as an industrial centre whose economy was driven and developed by the foresight of a handful of local entrepreneurs. Empty and still, this sleeping giant now bears witness to the march of progress. For if mechanization removes much of the drudgery from manual labour, it also stifles creativity. In their recollections of the factory, its former employees (most of them women) speak of the affection they felt for the place. It seems a world away from the modern, technology-intensive production facilities experienced - we might even say endured - by today’s factory workers. Their accounts trace an almost romantic profile of a hard, tiring job whose outcome was not only wealth but also - especially for the women who worked there - emancipation and independence.

Territorio


l’architettura è musica nello spazio, una sorta di musica congelata. friedrich schelling

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I tanti operai del tabacchificio infatti (prevalentemente donne) attraverso le loro testimonianze hanno raccontato una storia di legami e di affezione a questo luogo, che esula molto dall’estraneo vissuto avvertito, quando non subito, dagli operai di oggi nelle tecnologiche fabbriche moderne. Tracciando un profilo quasi romantico di un lavoro duro e faticoso che produceva però ricchezza nonché, soprattutto per le donne, emancipazione ed indipendenza. Sorti nel 1909 gli essiccatoi di Gambettola furono una delle prime manifatture in Italia atte alla lavorazione del tabacco e sottoposte ad un duro regime di controllo da parte del Monopolio di Stato. Nel corso delle sue varie modificazioni strutturali non è mai mutato il grande legame che questa costruzione dalle ramate pietre ha con il territorio che la ospita. In quel testo straordinario che è I luoghi e la polvere dell’architetto e filosofo Roberto Peregalli, l’autore sottolinea che siti come questo sono portatori di una sacralità capace di traspirare da ogni pietra, perché anche nel decadimento e nelle rovine possono nascondersi poli di attrazione così suggestivi che nessun restauro sarebbe in grado di riprodurre, in quanto strapperebbe ad essi l’essenza primaria della vita. Ma è chiaro che non si può neppure pensare di abbandonare gli ex-essiccatoi del tabacco di Gambettola al loro dormiente destino. Tante sono state le idee e gli studi che hanno voluto ripensare questo luogo consegnandolo ipoteticamente ad un nuovo e più fruibile divenire. Di certo la sua storia e i suoi trascorsi non potranno essere separati da quel profumo acre e sensuale delle foglie di tabacco, ma mai più potrà tornare ad essere adibito ai suoi primitivi usi. I rossi mattoni esterni e le grandi stanze dove le donne prestavano la loro opera odoreranno però sempre degli effluvi e dei respiri che questo luogo non ha mai smesso di diffondere perché la sua anima non pare essersi adagiata in quel sopore sospeso che l’inoperosità vorrebbe conferirgli.

I

Sensi

di

Romagna


Questo luogo, amato e anche un po’ tradito, ha necessità di resistere alla nostalgia e ai tanti mutamenti che sempre più velocemente lo travolgeranno. Per divenire “piramide” in un futuro capace di trasmettere alle generazioni prossime la memoria di un lavoro e delle sue fatiche, la ricchezza come conseguenza della propria opera e del proprio impegno nonché il carattere rivoluzionario trasmesso dalla forza e dalla fragilità che questo luogo emana. Ricordando che natura e architettura si fondono in un solo paesaggio e che l’abitare e l’agire in esso era una prerogativa umana tanto consapevole da trasformare in bellezza una convivenza necessaria. Sentimenti e valori che consentirono ad un’intera generazione una vita migliore, seppur guadagnata al prezzo di un duro lavoro, dentro un luogo dove lacrime e sorrisi si alternavano rafforzando la solidarietà e l’unione. Fino ad alcuni anni fa all’interno degli ex-essiccatoi alcuni artisti avevano stabilito il loro studio, dando vita ad una nuova riconsiderazione degli spazi, che diventava vitale nonché creativa e poteva rappresentare una possibile quanto reale strada da percorrere per far rivivere il gigante addormentato. Forse soltanto l’Arte, in quanto soggetta ad incipit fortemente creativi e ad un bagaglio di storia, passione e bellezza, sarebbe in grado di invadere questi spazi senza violarli.

When it opened in 1909, the tobacco curing factory of Gambettola was one of the first of its kind in Italy, and operated subject to a rigorous state monopoly. Although its structure was modified on various occasions, one thing that’s never changed is the ties that bind this red-brick building to the surrounding territory. In his extraordinary I luoghi e la polvere, the architect and philosopher Roberto Peregalli argues that places like this have a sacred quality that their every stone exudes, for even in dilapidation and ruin there lurks a force of attraction that no restoration could ever reproduce: for restoration would only destroy its essence. Yet it’s equally true that the former tobacco curing factory of Gambettola cannot just be abandoned to its fate. There’s no shortage of ideas and designs for securing a new and productive future for the factory. Its history and its past cannot be separated from the acrid, sensual fragrance of tobacco, but it will never be restored to its original purpose. The red bricks of its outer walls and the big rooms where the women worked will always smell the same, for in its soul this building has never come to terms with the torpor that disuse has consigned it to. This muchloved yet rather neglected place needs equally to resist nostalgia and the ever more rapid changes that threaten to overwhelm it. It needs to transmit to coming generations the memory of the fatigues of labour, wealth as the consequence of our own work and the revolutionary character transmitted by the sense of strength and fragility this place emanates. As a reminder that nature and architecture occupy the same milieu, and that being and acting in this milieu was once an opportunity to transform a necessary cohabitation into a thing of beauty. The feelings and values this building embodies have brought a better life to an entire generation, which itself has largely been spared the hardships of physical graft in a place where tears and laughter were the mortar of solidarity and unity. Until a few years ago, the factory was home to a colony of artists whose studios brought new life and new perspectives to its lonely interiors. Perhaps it’s this, the vital spark of creativity, that’s needed to awaken the sleeping giant. For maybe only art, with its creative impulse and its heritage of history, passion and beauty, can really bring this factory back to life without violating its essence.

Territorio

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I molti volti di Sarsina T ra commedia e santit à non so nulla, se non che non so nulla. tito maccio plauto (estratto da bacchides)

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luca biancini

immagini: michele crociani, rapallo80

C’è un paese adagiato su un dolce pendio dell’Appennino Tosco Romagnolo che a dispetto delle sue dimensioni ridotte possiede un retaggio storico-culturale che ancora oggi lo distingue.

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Sensi

di

Romagna


T h e many faces of S arsina Where comedy meets sanctity Nestled on a gentle fold of the Tuscan-Romagnol Apennines, Sarsina has a cultural and historic heritage that’s out of all proportion to its diminutive size. To get there, leave Cesena on the E45 in the direction of Rome and after about 30 kilometres you’ll see it in the hills to the right of the road. Sarsina is most famous as the home town of the illustrious Roman poet and playwright Titus Maccius Plautus (see ee issue no. 2), who was born here some time between 255 and 250 BC. Plautus was responsible for at least 21 of the most important comedies of the Roman age. His place in history is secure, and every summer in Sarsina’s modern Arena Plautina a theatre season is dedicated to the master playwright and other authors of the classical period. Also named after Plautus is the village’s delightful piazza. In Roman times this was the site of the town’s forum, the remains of which, in Verona marble slabs, are still visible in some points. But vestiges of ancient times can be found all over the village. Architectural fragments from ancient buildings, sarcophagi, wellheads, capitals, the last remains of the conduits of the Roman aqueduct. Sarsina is so rich in ancient remnants that it is home to one of the most important archaeological museums in northern Italy, and the discovery of a necropolis in nearby Pian di Bezzo has enriched its collections even more. Besides its archaeological treasures, Sarsina is also known for its religious relics. The right nave of the cathedral contains the remains of St Vicinius, the first bishop of Sarsina. According to tradition, Vicinius was appointed bishop directly by God. He lived on a neighbouring hillside which still bears his name, where he would retreat to pray and do penitence. During his spells on the hillside Vicinius wore an iron collar with a rock suspended from a chain to make his burden heavier. This collar is now preserved in the cathedral and is used in benedictions. According to a widely-held popular belief, this collar has miraculous powers and is capable of exorcizing demons and curing the sick. The cathedral has become a place of pilgrimage, and exorcisms are still practised here. It’s now the destination point of the Way of St Vicinius, a pilgrimage route that starts in Cesena and winds upwards through the valley of the Savio, over little-known paths that pass ancient villages, imposing basilicas and forgotten hermitages in the frontier zones dividing Romagna from the Marche and Tuscany. If you visit Sarsina for reasons other than driving out evil spirits, it’s worth taking a walk down the village’s main thoroughfare, via Sabino, and stopping in one of the many shops and restaurants with temperapainted insignia on their walls. Let the atmosphere “possess” you!

Partendo da Cesena e percorrendo un tratto della strada europea E45 in direzione Roma lo si vede aprirsi sul versante destro, dopo poco più di una trentina di chilometri. Sarsina è nota ai più per aver dato i natali al celeberrimo poeta e commediografo Romano Tito Maccio Plàuto (vedi ee n. 2), che qui nacque tra il 255 e il 250 a.C. Gli sono attribuite almeno 21 tra le più importanti commedie di epoca romana che hanno consegnato per l’eternità il suo nome alla Storia e ogni estate, in una moderna Arena Plautina, si tiene in suo onore un ciclo di rappresentazioni del grande commediografo sarsinate e di altri autori classici del teatro. A lui è dedicata anche la deliziosa piazza centrale del paese, posta dove anticamente sorgeva il foro romano della civitas, i resti della cui pavimentazione originale in marmo di Verona sono ancora visibili in alcuni punti. Tutto il centro storico è in realtà disseminato di arcaiche vestigia. Frammenti architettonici di antichi edifici, sarcofagi, puteali, capitelli e gli ultimi resti delle tubature dell’acquedotto romano. Il patrimonio di reperti è tale da giustificare la presenza di uno dei più importanti musei archeologici nazionali dell’Italia settentrionale, il cui corpus museale si è arricchito negli anni anche in seguito al ritrovamento della necropoli nei pressi del vicino Pian di Bezzo. Oltre che per i reperti storici, Sarsina è conosciuta per le sue reliquie religiose. Nella navata destra della basilica cittadina, dentro la cappella a lui dedicata, sono infatti conservati i resti di San Vicinio che fu il primo vescovo della città, eletto, secondo la tradizione, direttamente da Dio e visse su un vicino monte che ancora porta il suo nome, ove soleva ritirarsi per pregare e fare penitenza. Durante tali permanenze il Santo indossava un collare di ferro, a cui appendeva una pietra per appesantire il collo. Tale collare, detto di San Vicinio, viene oggi conservato nella cappella ed usato per benedizioni. Secondo una credenza popolare ancora molto diffusa sortirebbe infatti un effetto taumaturgico su chi è soggetto a possessioni diaboliche e sugli infermi. Per questo la basilica è meta di pellegrinaggio e al suo interno vengono ancora praticati esorcismi. Intorno a questa credenza è stato creato Il Cammino di San Vicinio: un itinerario a sfondo storico-religioso che, partendo da Cesena, risale la Valle del Savio per sfociare nei confini tra Romagna, Marche e Toscana fra sentieri misconosciuti, antichi borghi, basiliche imponenti ed eremi nascosti. Se non venite a Sarsina per liberarvi dal Maligno, potrete comunque passeggiare lungo la centrale via Sabino e fermarvi magari in una delle tante botteghe ed osterie che conservano ancora le insegne dipinte a tempera sui muri per farvi semplicemente “possedere” dall’atmosfera. Territorio

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[…] avere io tanto fatto per la flora dei pirenei quanto da un caldo amante, da un devoto marito, da un amoroso padre si fa per la donna amata […] pietro bubani

Dioscorea pyrenaea [10

Il botanico solitario dei Pirenei tommaso attendelli

immagini: archivio tommaso attendelli

P ietro B ubani , scienziato sui generis Possedette di certo un’incrollabile fede laica nella conoscenza per la conoscenza, dote che gli permise di completare uno dei trattati di botanica più monumentali del XIX secolo, ma Pietro Bubani umanamente non rispecchiava affatto lo stereotipo dello scienziato. I

Sensi

di

Romagna


Nato a Bagnacavallo, nella provincia ravennate, il primo ottobre del 1806, mostrò fin da bambino un carattere sanguigno e refrattario alla disciplina che lo qualifica come un autentico romagnolo, non solo per nascita. Nel quadro che ne fa lo studioso Valerio Docci all’interno del suo libro Un inquieto botanico romagnolo del XIX secolo: Pietro Bubani, basato su note biografiche e corrispondenze epistolari, si apprende che poco più di tredicenne s’era già fatto cacciare dal Collegio-seminario di Pistoia. A 17 anni fu imprigionato per rissa, in quel periodo si appassionava alla musica, alla mimica e alla lettura dei grandi classici latini, ma per volere del padre a 19 anni si iscrisse alla facoltà di Medicina dell’Alma Mater, laureandosi nel 1929. Solo due anni dopo partecipò ai primi moti insurrezionali contro il papa-re, che gli “valsero” l’esilio in Toscana. Qui, a Firenze, entrò nelle grazie del granduca Leopoldo II che favorì in lui lo sbocciare dell’amore per la botanica. A lui Bubani dedicò la sua prima opera, dal titolo Flora virgiliana, che ne mostra in nuce le potenzialità di studioso. Ma anche da Firenze dovette andarsene, pare a causa di una donna, fermandosi a Lucca da cui fu nuovamente allontanato sempre per via della sua passione per il gentil sesso, altro tratto distintivo del carattere romagnolo. Scelse dunque la Francia

e a Montpellier conobbe i professori Delile e Dunal. Con quest’ultimo, in particolare, strinse un sodalizio fondamentale, tale che alla sua morte indossò il lutto, come non aveva fatto neppure per il proprio padre. Fu Dunal a orientare Bubani verso quella che sarebbe stata l’impresa scientifica per cui è ancora oggi ricordato: la completa mappatura botanica dei Pirenei. L’opera a cui si donò era immensa e molto pericolosa. Bisognava attraversare zone battute dalla guerra civile spagnola e avventurarsi, quasi sempre solo, in vaste aree disabitate ove la scomparsa di un uomo non sarebbe nemmeno stata notata. Bubani salì per la prima volta sui Pirenei il 21 luglio 1836 e nel corso di oltre vent’anni esplorò prima tutto il versante francese e poi quello spagnolo. Attraversò mille peripezie: fu scambiato per soldato, spia e agitatore sia dalla polizia francese sia da quella spagnola; nonostante ciò compì importanti scoperte, come quella della Dioscorea pyrenaea che porta il suo nome e nel 1873 terminò la sua colossale opera dal titolo Flora pyrenaea: oltre 3000 pagine in latino che lo hanno consegnato dopo morto alla memoria collettiva. In vita però non ricevette gli onori che meritava, anche se ci auguriamo che gli piacque passarla in quel che definì un paradiso terrestre, perché facili i monti, ameni i luoghi e bellissime le donne.

The solitary botanist of the Pyrenees Pietro Bubani, a scientist in a class of his own His unshakable (secular) faith in knowledge for knowledge’s sake was a quality that drove him to complete one of the most monumental botanical treatises of the 19th century, but Pietro Bubani the man had little in common with the stereotypical notion of the scientist. Born on 1 October 1806 in Bagnacavallo, Ravenna province, Bubani showed signs of a sanguine character at an early age, and an indifference to discipline which made him a Romagnol in spirit as well as by birth. In his biography of Bubani, Un inquieto botanico romagnolo del XIX secolo: Pietro Bubani, Valerio Docci writes that Bubani was expelled from the seminary of Pistoia when aged just thirteen. At 17 he was imprisoned for brawling, and also developed a passion for music, mime and the classical Latin authors. When he was 19, by imposition of his father, he enrolled in medicine in Bologna, graduating in 1929. Two years later he participated in the first wave of insurrections against the papal authorities; he was captured and exiled to Tuscany. Settling in Florence, Bubani found himself in the good graces of Grand Duke, Leopold II, who encouraged him to pursue his interest in botany. Bubani dedicated to Leopold his first book, Flora virgiliana, which showed his promise as a botanist. But soon he had to leave Florence, too: this time because of a woman. He moved to Lucca, but here too his weakness for the fair sex (another distinctive trait of the Romagnol character) got him into trouble and he took to the road again. This time his destination was France, and in Montpellier he met two professors of botany, Delile and Dunal. Bubani struck up a close bond of friendship with Dunal in particular, and after the latter’s death Bubani took to wearing mourning, something he hadn’t done even for his own father. It was Dunal who pointed Bubani in the direction of the scientific achievement for which he is still remembered today: the full botanic map of the Pyrenees. The task Bubani had set himself was enormous - and dangerous too. It meant working in a conflict zone - Spain was in a state of civil war at the time - and venturing, nearly always alone, into vast uninhabited areas where a man’s disappearance wouldn’t even be noticed. Bubani first arrived in the Pyrenees on 21 July 1836, and over the next twenty years he explored first the French and then Spanish sides of the mountain chain. There were ups and downs and narrow escapes. On many occasions he was mistaken for a soldier, a spy and an agitator by either the French or the Spanish police, but he made some important discoveries, including a species of Dioscorea pyrenaea named after him. In 1873 he completed his colossal work, Flora pyrenaea, whose 3,000-plus pages have earned him a place in history. In life, Bubani did not receive the recognition he deserved. But we like to think he was happy in a place he called an earthly paradise of gentle hills, pleasant towns and beautiful, beautiful women.

Storia

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manlio rastoni

immagini: omar cappelli

Il teatro tutto di legno L’ A ngelo M ariani di S ant ’ A gata F eltria Oggi il legno strutturale è pressoché un appannaggio delle archistar che lo scelgono per i loro esercizi di stile, ma un tempo vi si edificavano case, palazzi, edifici di culto e naturalmente anche i teatri. Il più antico tra i pochi in Italia a poter vantare tale caratteristica è un piccolo teatro incastonato in un borgo arroccato tra le valli del Marecchia e del Savio: Sant’Agata Feltria. Fu fatto costruire poco dopo il 1605 da Orazio Fregoso, insieme al palazzo che lo contiene, e nel 1996 è stato donato al Comune. Tutte le parti che lo compongono: dalla cavea alle colonne portanti sono interamente in legno di castagno. Prima di questo in Italia furono costruiti altri teatri di legno, ma in epoche diverse ognuno di questi è stato inesorabilmente distrutto da un incendio. Le fiamme hanno invece risparmiato il gioiello ligneo di Sant’Agata; e non per un caso, ma grazie ad una oculata e costante vigilanza, la stessa che permise di domare anche il principio d’incendio qui sviluppatosi l’8 Settembre del 1906. Il teatro, dal 1871 è intitolato al ravennate Angelo Mariani, uno dei più importanti direttori d’orchestra italiani di tutti i tempi, che, appena ventenne, proprio qui mosse i primi passi della sua carriera dirigendo la locale Accademia Filarmonica. La sua cavea è a forma di U allungata, con tre ordini di palchetti disposti a ferro di cavallo. Le due balconate superiori sono ricoperte da magnifiche decorazioni, così come il soffitto, dal cui rosone stellare ad otto punte pende un imponente lampadario a cratere. In vari punti del teatro sono posti nove medaglioni, dipinti ad olio su tela, che I

Sensi

di

Romagna

allora trattieniti sul mio petto / finché un respiro vi sia spento […] ferruccio benzoni

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A theatre all of wood Sant’Agata Feltria’s Angelo Mariani theatre Nowadays, structural timber is often a musthave motif for star architects and their showy creations, but there was a time when it was used for building entire houses, apartment blocks, places of worship and, naturally, theatres. One of the oldest all-wood theatres in Italy is a small playhouse in a hilltop village overlooking the Marecchia and Savio valleys: Sant’Agata Feltria. It was built shortly after 1605 by Orazio Fregoso, together with the palazzo that contains it, and in 1996 it was bequeathed to municipal ownership. Every part of this theatre, from the auditorium to the load-bearing columns, is made of chestnut wood. Other allwood theatres had been built in Italy before this one, but all have since been destroyed by fire in one epoch or another. But the flames have spared the jewel of Sant’Agata: and not by chance, but rather constant vigilance of the type that succeeded in bringing the incipient conflagration of 8 September 1906 under control. Since 1871, the theatre has been named after Angelo Mariani, the Ravenna-born conductor who remains one of the most important Italian orchestra directors of all time. It was in this theatre that Mariani, aged just 20 at the time, took the first steps on his illustrious career by directing the local philharmonic school. The auditorium is in the form of an elongated horseshoe, with three tiers of boxes. The two upper tiers are magnificently decorated, while the centrepiece of the equally magnificent ceiling is an eight-pointed rosette from which a huge chandelier hangs. Set in medallions at various points in the auditorium are nine oil portraits: four of Italian dramatists and five of illustrious figures from the history of Sant’Agata. Together with the curtain and the backdrops, which constitute an impressive collection of 19th-century scenography, these paintings are attributed to Romolo Liverani. This little-known architectural pearl has earned the admiration of culture aficionados from all over the world. Giovanni Spadolini, while President of the Italian Senate, described it as an irreplaceable tile in the universal cultural mosaic, but the Mariani reached the apex of its fame in 1993 when Vittorio Gassman chose it as the setting for his recitals from Dante. The performances were broadcast on national TV, making this unique theatre known to the whole country. Director Rubino Rubini and journalist Maurizio Giammusso described the theatre in these terms: Behind a small wooden door is a timeless place, still and solitary for almost a hundred years. […] There is everything […] But every thing is curiously reduced in dimensions, a tenth of what you might expect […] That snowy evening, the Angelo Mariani theatre of Sant’Agata Feltria seemed to us an unreal, mysterious place, it gave us a feeling comparable to the joy the archaeologist must feel when he unearths an unexpected treasure, […] like the biggest truffle in Sant’Agata: it had been there for three hundred years and nobody had noticed it.

Storia

bisogna sempre ricordare che fare architettura significa costruire edifici per la gente, università, musei, scuole, sale per concerti: sono tutti luoghi che diventano avamposti contro l’imbarbarimento. sono luoghi per stare assieme, sono luoghi di cultura, di arte e l’arte ha sempre acceso una piccola luce negli occhi di chi la frequenta. renzo piano

raffigurano quattro commediografi italiani e cinque personaggi illustri della storia santagatese, da attribuirsi al pittore Romolo Liverani, come il sipario e quasi tutte le scene (fondali), che rappresentano un notevole complesso scenografico ottocentesco. Questa perla architettonica nascosta ha sempre suscitato l’ammirazione dell’élite culturale di tutto il mondo. Giovanni Spadolini, allora Presidente del Senato della Repubblica, lo definì un insostituibile tassello della cultura universale, ma il Mariani raggiunse l’apice della fama nel 1993 quando Vittorio Gassman lo scelse quale cornice per le sue recite Dantesche, che furono trasmesse dalla RAI facendo conoscere questo particolarissimo teatro a tutti gli italiani. Così lo raccontarono il regista Rubino Rubini e il giornalista Maurizio Giammusso: Dietro una piccola porta di legno c’è un luogo senza tempo, fermo e solitario da quasi cento anni. […] C’è tutto […] Ma ogni cosa ha dimensioni sorprendentemente ridotte, un decimo di quel che si potrebbe aspettare […] Il Teatro Angelo Mariani di Sant’Agata Feltria in quella notte di neve ci sembrò irreale e misterioso, ci procurò una sensazione paragonabile alla gioia dell’archeologo che scopre un tesoro che non cercava. […] il tartufo più grosso di Sant’Agata: stava in piazza da trecento anni e nessuno se ne era accorto.

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Francesco Damiani “da Bagnacavallo” bernardo moitessieri [14

immagini: archivio bernardo moitessieri

I l peso massimo della B assa R omagna Insieme a Primo Carnera è l’unico boxeur italiano ad aver conquistato il titolo di Campione del Mondo dei Pesi Massimi, che vinse contro Johnny DuPlooy e detenne dal 6 maggio 1989 all’11 gennaio 1991. Classe 1958, è nato a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna. Il suo è un nome ancora amatissimo, sia dagli italiani appassionati alla nobile arte, che hanno seguito la sua fulgida carriera iniziata nelle palestre di provincia da cui è arrivato sui ring della più sfavillante America, sia dalla gente comune che si è ritrovata a tifare il campione. Lontano dall’estetica, allora e soprattutto oggi, imperante in questo spettacolare sport, ebbe dalla sua un’ottima tecnica individuale e un grande cuore: caratteristica, possiamo dirlo, tipicamente romagnola, che ne fece anche un grande incassatore. Il suo primo “miracolo” fu la sconfitta del campione cubano Teofilo Stevenson, imbattuto da 11 anni, ai Campionati mondiali di pugilato dilettanti 1982 di Monaco di Baviera. Lo statunitense Tyrell Biggs gli impedì però di conquistare l’oro, dinamica che si ripeté anche alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, questa volta però con un verdetto contestatissimo dal pubblico americano, che portò Harry Carpenter, speaker della BBC, ad affermare come quella fosse la peggiore decisione che avesse mai visto in tutti i suoi anni di commentatore. La carriera da professionista di Damiani decollò così nel 1985, portandolo ad inanellare le 29 vittorie consecutive che gli valsero i titoli di Campione Internazionale WBC, Campione Europeo EBU e Campione del Mondo WBO. Chiuse la carriera con 30 vincite all’attivo, di cui 24 per KO, e 2 sole sconfitte. Nel 1991 avrebbe dovuto incontrare il leggendario Evander Holyfield per il campionato unificato dei Pesi Massimi, ma un infortunio alla caviglia gli impedì di disputare il match. Questo evento apre uno spiraglio anche sulla caratura morale di Damiani. Il suo cachet previsto era di 700 000 dollari e in un’intervista Francesco ha dichiarato che gli fu offerto da non meglio identificati personaggi legati all’organizzazione dell’incontro di salire lo stesso sul ring e “andare giù” alla seconda ripresa per incassare comunque il compenso. I

Sensi

di

Romagna


From Bagnacavallo... Francesco Damiani The heavyweight of Bassa Romagna Together with Primo Carnera, Francesco Damiani is the only Italian boxer to have won a world heavyweight title: in Damiani’s case, against Johnny DuPlooy. He held the title from 6 May 1989 until 11 January 1991. Damiani was born in Bagnacavallo, Ravenna province, in 1958. His name continues to be held in high regard, not only among Italian boxing aficionados who followed his rise to fame from the rings of provincial Italian towns to the glitter and showbiz of America, but also the common people who found in this local hero someone to cheer for. Damiani was never a showy boxer, but he had excellent technique and great courage - a typically Romagnol characteristic, we might say, that gave him the ability to take a lot of punishment. His first major achievement in the ring came when he defeated the Cuban champion Teofilo Stevenson - unbeaten for 11 years at the time - at the World Amateur Boxing Championships in Munich, in 1982. The gold medal eluded him, however, as he lost to US boxer Tyrell Biggs in the final. When the two men met again at the Los Angeles Olympics in 1984, Damiani lost again - but this time with a verdict that was fiercely contested by the American public and which the BBC’s Harry Carpenter described as the worst decision he had ever seen in all his years as a commentator. After turning professional in 1985, Damiani won 29 consecutive fights, including the WBC International Heavyweight title, the EBU Heavyweight title and the WBO World Heavyweight title. On his retirement he had a total of 30 wins to his credit - 24 of them by knockout - and had suffered just 2 defeats. In 1991, an ankle injury forced Damiani to pull out of a fight with the legendary Evander Holyfield for the unified Heavyweight title. His revelations in an interview given after his withdrawal throw light on the character of Damiani. His purse for the fight was to have been 700 thousand dollars. But according to Damiani, he had been approached by unidentified persons with connections to the fight’s organizers, offering him the full purse on condition that he went down in round two. Damiani rejected the offer. It was an exceptionally sporting gesture from a man who loved the razzmatazz of American boxing - especially in contrast with the staid and subdued Italian scene - but refused to compromise on the spirit of fair play. All boxing fans remember the night of 11 February 1990 in Tokyo when a relatively unknown boxer, James “Buster” Douglas, knocked out Mike Tyson, “Baddest Man on the Planet”, in round ten, to become world heavyweight champion. In a recent interview, Francesco Damiani revealed that he, not Douglas, was slated as Tyson’s adversary for that historic fight - but his long-standing manager, Umberto Branchini, was unable to come to an agreement on the fee with the fight’s promoter, Don King. We can only imagine what might have been… vai più sciolto... vai più sciolto. non puoi cercarlo sempre con quel gancio sinistro che lo vuoi “sbadellare” [...] francesco damiani, incitando il pugile clemente russo, da lui allenato, durante la finale dei 91 kg alle olimpiadi di pechino 2008

Il suo rifiuto racconta la coerenza di un vero sportivo, che apprezzava la spettacolarizzazione americana del pugilato opposta al grigiore della scena italiana, ma non tollerava la compromissione dello spirito sportivo. Gli appassionati di pugilato ricordano bene la data dell’11 febbraio 1990 quando, a Tokyo, un semi-sconosciu to James “Buster” Douglas diventò Campione del Mondo dei Pesi Massimi mettendo KO alla decima ripresa nientemeno che “Iron” Mike Tyson, anche soprannominato The Baddest Man on the Planet. In una recente intervista, Francesco Damiani ha rivelato che su quel ring, quella sera, avrebbe potuto esserci lui al posto di Douglas, ma il suo manager storico, Umberto Branchini, non trovò un accordo con Don King sull’ingaggio. Chissà come sarebbe andata a finire…

Passioni

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dop avé dbù ignún vô dí la su (dopo aver bevuto ognuno vuol dire la sua). antico proverbio romagnolo

Teatro dialettale romagnolo L a pubblica dignit à della lingua dei nostri avi

italo graziani – testo raccolto da alessandro antonelli

immagini: c.d.t. la rumagnòla di bagnacavallo, antonio ravaglia

Il dialetto romagnolo non è legato a una città in particolare, ma a un’intera micro-regione. Varia però sensibilmente a seconda della provincia in cui lo si parla, mostrando un limite strangolante: un tempo il Romagnolo poteva trovarsi spaesato a solo pochi chilometri da casa. Anche per questa ragione è più complesso conservarne la memoria allargata a tutte le sue sfaccettature. Dove però gli studiosi incespicano può venire in aiuto il teatro dialettale. È passato ormai mezzo secolo da quando il teatro Goldoni di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, diluiva la propria decadenza portata “in dote” dal secondo conflitto mondiale tra serate da ballo e dilettanti alla deriva. Le pièce di livello nazionale e la lirica erano “evaporate” per un’evidente questione di costi. Le uniche rappresentazioni che tornavano a restituire al Goldoni il suo ruolo originale erano le commedie dialettali. Gli autori più importanti che scrivevano per questo genere di nicchia: Marescalchi, Missiroli, Guberti, Gondoni e molti altri costruivano le proprie trame partendo dalla vita di tutti i giorni del mondo contadino. Spesso il meccanismo comico scaturisce dai doppi sensi che circondano un intreccio amoroso e quasi sempre la scenografia è costituita da tre semplici pareti, a ricreare la stanza di una casa rurale, o per dirla in vernacolo la cambra d’in cà: fulcro del mondo contadino, luogo dove tutto accadeva e ove gli eccessi nella rappresentazione teatrale riescono a suscitare risate e pianto. Così, esibendo i suoi legami con i costumi e le usanze

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Sensi

di

Romagna


Drama in dialect Putting the language of our grandparents on the stage

The Romagnol dialect has no roots in a particular town or city, but rather belongs to an entire sub-region.

popolari, la pubblica recita si affaccia al giudizio e alla critica di un pubblico tanto eterogeneo quanto legato al medesimo background. Se in quel momento buio della Storia italiana la funzione primaria di questi spettacoli era mantenere viva un’identità culturale, oggi possiamo dire che è quella di ritrovarla. Adesso come allora, le compagnie di teatro dialettale nascono per lo più nelle parrocchie o nei ritrovi delle piccole frazioni di campagna, a testimoniare uno spirito di appartenenza comunitaria ancora ben vivo e un profondo legame con la propria cultura popolare. L’adattamento dei copioni deve spesso però fare i conti con un allontanamento dal linguaggio sanguigno e senza fronzoli del dialetto popolare in virtù di una maggiore comprensibilità, non senza perdere qualcosa. Poco tempo fa ho assistito a una performance dell’ottantaquattrenne capo compagnia Giuliano Bettoli, che ha dedicato una vita intera al dialetto come attore vernacolo. Ha letto prima in italiano e poi in lingua dialettofona alcune strofe che sono denominate canto alla stèsa o alla boara (i boari erano i badanti delle bestie, che cantavano per incitare gli animali durante il lavoro). Quando però lo ha interpretato cantandolo si è immediatamente creato un commovente momento di condivisione e anche i più giovani sembravano aver riconosciuto un suono ancestrale presente nella loro memoria genetica. Esempio riuscito di comunicazione teatrale.

It does vary significantly from one province to another, however, and even a local inhabitant has only to stray a few kilometres from home to enter an alien world. It’s this diversity that makes the preservation of the Romagnol dialect in all its many facets such a complex undertaking. But while the linguists squabble, perhaps a little drama in dialect can help. It’s fifty years since the Goldoni theatre in Bagnacavallo, Ravenna province, slowed the inexorable demise which the Second World War had consigned it to with performances by dancers and itinerant entertainers. Opera, and large touring productions, were out of the question for evident reasons of cost. The only productions that restored the Goldoni to its original vocation were comedies in dialect. The most important authors writing for this niche market were Marescalchi, Missiroli, Guberti, Gondoni and many others, who found inspiration for their comedies in the everyday lives of the peasant community. The comic effect often hinges on the double meanings that infest an amorous intrigue, and the stage design comprises three bare walls recreating the interior of a rural dwelling, or la cambra d’in cà as it’s called in the vernacular: the centre of peasant life, the place where everything happened and the focus, when transposed to the stage, of much laughter and heartache. In reflecting their ties to popular customs and usages, these performances appeal to audiences as diverse as their cultural roots are common. But if in those dark days of Italian history the primary function of these performances was to keep a cultural identity alive, today’s it’s about rediscovering this identity. Now as then, most theatre companies performing in dialect are formed in outlying parishes and the meeting places of small country hamlets, the testimony of a still-thriving spirit of community and deep-seated connection with popular culture. The adaptation of the scripts often involves changing the sanguine, no-frills idioms of the popular dialect on behalf of better comprehensibility, and something is inevitably lost. I recently attended a performance by the 84-year-old company leader Giuliano Bettoli, who has dedicated his entire life to vernacular theatre. Bettoli read - first in Italian, then in dialect - a few verses known as canto alla stèsa or alla boara (the boari were the minders of the livestock, who used to sing to their animals to make them move). It was when he started singing these verses, however, that a shiver of recognition ran through the audience, and even its younger members seemed to be stirred by some ancestral sound still present in their genetic memory. The perfect example of theatre as a means of communication.

Passioni

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alessio nelli

immagini: archivio cambiamenti

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I l commendator M edardo R esta

ancora oggi quando avverto il pennino affondare nella carta e lo sento scricchiolare, provo un brivido. l’emozione è ancora grandissima e va al di là della professione. medardo resta

Maestro Accademico di gotico antico

La storia di come l’ultrasettantenne fusignanese Medardo Resta sia diventato uno dei maggiori calligrafi specializzati in gotico antico d’Europa è insolita quanto affascinante. Quando era un bimbo, nella sua Fusignano (in provincia di Ravenna) l’unica prospettiva concreta per lui era quella di lavorare la terra. Durante la Seconda guerra mondiale, però, nella stalla di casa sua venne stabilito un comando tedesco. La corrispondenza dell’esercito nazista veniva scritta in gotico e fu così che, sbirciando un documento militare, avvenne la folgorazione tra il piccolo Medardo e tale calligrafia. Una passione nutrita negli anni quasi di nascosto, nei ritagli di tempo lasciati dalla sua più prosaica occupazione lavorativa. Intorno ai vent’anni avviene la svolta, quando l’amica Graziella Minguzzi, allora docente di Disegno all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, gli insegnò le ferree regole base della scrittura sulle antiche pergamene: il gotico antico. Questa calligrafia, nata nel 1200 in Germania, è codificata da precise regole, che normano pure l’utilizzo dei pennini (Resta ancora oggi li ricava da penne d’oca lavorate a mano). Anche l’impego dei colori risponde a canoni precisi, ad esempio con le lettere maiuscole è meglio usare la china rosso vermiglione e per le minuscole la china nero perla. Medardo ha imparato e perfezionato talmente bene la sua “lezione” da essere stato tanti anni dopo nominato Maestro Accademico di gotico antico, vincendo una lunga serie di premi tra cui l’elitario concorso europeo riservato a questa pratica. Pure nel nostro mondo così moderno le sue pregiate pergamene sono molto richieste: una è conservata nel Museo di Arte Sacra di San Marino. Racconta la storia di frate Andrea ed è stata inserita, insieme alle sue reliquie, in uno speciale sarcofago. Per il Maestro Riccardo Muti ha invece stilato il Cantico delle Creature di San Francesco in antico dialetto umbro. Resta è stato anche ricevuto a Castel Gandolfo da Papa Wojtyla, cui ha donato un Pater Noster in romagnolo, scritto naturalmente in gotico antico, attualmente conservato a Gerusalemme sul Monte degli Ulivi. I

Sensi

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An authority on Gothic script Commendator Medardo Resta The story of how Medardo Resta, an inhabitant of Fusignano now in his seventies, came to be one of Europe’s leading calligraphers specializing in Gothic script is as strange as it is fascinating. As a boy growing up in Fusignano (Ravenna province), Resta had few real prospects other than working the land. During the Second World War, however, a German unit was billeted to the stables of his family home. The Nazis wrote their correspondence in Gothic script and it was while he was taking a peek at a military document one day that Resta’s eureka moment came. In the early years he pursued his passion almost surreptitiously, in the few moments of spare time his mundane day job allowed him. The turning point came at the age of twenty when Graziella Minguzzi, a friend of Resta who was then teaching drawing at the Accademia di Belle Arti in Ravenna, taught him the basic rules of Gothic script. Invented in Germany in the 13th century, Gothic calligraphy has very precise rules, one of which is the use of quills (even today, Resta makes his own quills from goose feathers). Even the use of colours is subject to certain rules: capital letters in vermilion, for example, and lowercase in black. Medardo learned his craft well. So well in fact that many years later he was appointed Maestro Accademico in old Gothic, winning a long series of awards including the elite European competition for Gothic calligraphy. His exquisite parchments remain much in demand, even in our modern world, and one is preserved in San Marino’s museum of religious art. It tells the story of the church’s builder, brother Andrea, and is preserved in a special sarcophagus along with his remains. For the orchestra conductor Riccardo Muti he produced a version of St Francis’ Canticle of the Creatures in the ancient Umbrian dialect. Resta was also received by Pope John Paul II in his summer residence in Castel Gandolfo. His gift to the pope on this occasion, a Romagnol-dialect version of the Pater Noster - written in Gothic script, naturally - is now preserved in a church on the Mount of Olives in Jerusalem. He has produced works for all kinds of illustrious personages (Sandro Pertini, Carlo Azeglio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro, Benigno Zaccagnini, Giovanni Spadolini) and received a host of awards and honours (Order of Merit of the Italian Republic, Gold Medal for Arts, membership of the Accademia degli Scienziati of Rome, Commendatore della Repubblica etc.). Despite all these accolades, all the interviews and even television appearances, Medardo Resta still considers himself a humble rural copyist who learned his trade by travelling around Italy in his camper van, studying and comparing various kinds of script. Were he a little younger, he’d travel all over the world. The stable where he first encountered Gothic script has since been converted into his studio, the workshop of Romagna’s last living copyist.

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Ha inoltre vergato opere per una folta schiera di personaggi illustri (Sandro Pertini, Carlo Azeglio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro, Benigno Zaccagnini, Giovanni Spadolini…) ricevendo numerosi riconoscimenti (Cavaliere della Repubblica, Medaglia d’oro per le Arti ed il Lavoro, membro dell’Accademia degli Scienziati di Roma, Commendatore della Repubblica…). Nonostante tali elogi, oltre alle innumerevoli interviste e apparizioni televisive, Medardo Resta si considera un umile amanuense di campagna, che si è realizzato viaggiando col suo camper per studiare e confrontare le varie scritture in tutta l’Italia e con cui, potendo, avrebbe voluto farlo in tutto il mondo. Così, quella stessa stalla dove conobbe per la prima volta la calligrafia gotica, ora ristrutturata, è oggi lo studio dell’ultimo vero amanuense di Romagna. Passioni


Buono come il pane di Maiolo

alba pirini

immagini: archivio provincia di rimini, ph paritani

L a tradizione della panificazione artigianale in V almarecc h ia Lungo le pendici settentrionali del monte Carpegna, una delle alture appenniniche che separano la provincia di Rimini dalle Marche, l’aria, oltre a essere pura, spesso profuma di pane appena sfornato.

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Qui sorge il paese di Maiolo, celebre per la bontà e genuinità del suo pane, che costituisce un elemento base dell’identità culturale di questo territorio. Al punto che i forni locali, una cinquantina di strutture risalenti ai primi anni del Novecento, compongono il cosiddetto Museo del Pane. Nessun ingrediente segreto nella ricetta del pane maiolese; solo acqua, farina e pasta madre: ossia una parte di impasto della precedente panificazione lasciato fermentare per tutta la notte. I misteri non sono necessari perché niente come il pane restituisce nel gusto le caratteristiche dell’ambiente in cui è stato preparato, dimostrandosi così irriproducibile altrove. Ottenere una fragrante forma di pane non è però da tutti; per riuscirci, il fornaio maiolese usa una serie di accorgimenti tramandati dalla tradizione e affinati attraverso l’esperienza. Lavorerà con acqua calda e farina la pasta madre per poi rimetterla a riposare in attesa che lieviti e, preparato l’impasto, si assicurerà di lasciarvi una “nicchia” destinata ad accoglierla. Quando l’impasto sarà pronto, tradizionalmente verrà tagliato in filoni pesanti circa un chilo l’uno, da avvolgersi negli appositi teli intessuti a mano, ricoprire di lana e lasciar lievitare per un tempo che varia a seconda della temperatura ambientale (da un’ora e mezzo in estate a tre ore in inverno). Il fornaio di Maiolo “intrattiene” poi un rapporto speciale con il suo principale strumento di lavoro: il forno. Mentre l’impasto del pane riposa, inizia a scaldarlo alimentandone il fuoco con fasci di ginestra e di vite. Quando strisciando un bastone di legno sulle pareti vedrà scaturirne scintille, significa che la temperatura giusta è stata raggiunta. Se durante la cottura dovesse salire eccessivamente, saprà smorzarla buttando sul fuoco un ciuffetto di erbe. Prima di infornarle, pratica su ogni forma di pane un’incisione a croce. Oltre a valere da “firma”, questa influisce sulla loro cottura, che verrà controllata a vista. Dopo poco più di un’ora il pane di Maiolo è pronto e viene messo ad asciugare adagiandolo “in piedi” su un fianco. Per celebrarlo, il paese gli dedica una sagra l’ultimo fine-settimana di giugno che richiama migliaia di visitatori; in questa occasione è anche possibile assaggiare la versione più tipica del pane maiolese, quella preparata con la farina locale, macinata a pietra, ottenuta da un’antica varietà di frumento: il Gentil Rosso. Il Pane di Maiolo ha saputo conquistare estimatori provenienti da tutto il mondo anche ad Expo 2015, ove era presente all’interno dello spazio Città del Pane in Cascina Triulza, confermando così l’antico detto maiolese: L’è stet ‘na bela fadiga, mo l’è bel (è stato faticoso, ma [il pane] è venuto bene).

quando gli uomini condividono il pane condividono la loro amicizia. jean cardonnel

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As wholesome as bread - the Maiolo variety The breadmaking tradition of Valmarecchia On the northern slopes of mount Carpegna where the Apennines divide Rimini province from the Marche to the south, the air is not only pure but often smells of freshly-baked bread. For here lies the village of Maiolo, famous for the goodness and authenticity of its bread, a fundamental element in the cultural identity of this part of the country. No fewer than fifty bakeries operate in the village, all of them dating from the early twentieth century and now confederated in a museum collective, the Museo del Pane. There’s no secret ingredient in the recipe for the bread made in Maiolo: just water, flour and mother dough - a part of the dough from the previous day’s bake, left to ferment overnight. Mysteries aren’t necessary, for there’s nothing like bread to reveal the characteristics of the environment that produced it. For it’s a flavour that can’t be reproduced anywhere else. Not everyone can make this bread, however. The bakers of Maiolo have a number of tricks passed down by tradition and refined with experience. The mother dough and flour are kneaded with hot water and then set aside to rise. We need to make space, too, to put the bread when it comes out of the oven. When the dough is ready, it’s typically cut into strips weighing about a kilo each, which are placed in special hand-woven fabric moulds, capped with a wool cloth and left to rise for a time that varies depending on the ambient temperature - from ninety minutes in summer to three hours in winter. Then there are the ovens, with which the bakers of Maiolo have a very special relationship. While the dough is rising, the bakers stoke the ovens with broom and vines and get the fire going. The test to find out if the oven’s reached the right temperature is to take a burning stick from the oven and drag it along the wall: if it gives off sparks, the oven’s hot enough for baking. If the oven gets too hot during baking, the solution is to muffle the flames with a handful of grass. Before the bread goes into the oven, each loaf is inscribed with a cross. This is the bread’s “signature” - but it also has a practical purpose, as it shortens the cooking time and makes it easier to keep an eye on the way the bread is rising. The bread takes just over an hour to bake, then it’s set aside to cool, stood on end. Maiolo celebrates its breadmaking tradition in a festival held every year in the last weekend of June. Visitors come in their thousands, many to try the most authentic local bread of them all, made with stone-ground flour obtained from Gentil Rosso, an ancient wheat variety that’s still grown locally. The bread of Maiolo now has admirers all over the world, thanks to its inclusion in the City of Bread at Expo 2015. It’s a success which bears out an old saying in Maiolo: L’è stet ‘na bela fadiga, mo l’è bel (it was quite a job, but [the bread] turned out well).

Enogastronomia


Costa Archi I rossi “ muscolosi ” di G abriele Gabriele Succi è un esempio di quella peculiarità romagnola legata alle piccole Cantine capace di produrre vini che sono espressione del territorio, del clima, ma soprattutto del lavoro intenso di un solo uomo.

carlo zauli

immagini: archivio costa archi

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Il territorio, in questo caso, è quello di Serra di Castel Bolognese, tra Imola e Faenza. Due poderi, per un totale di 13 ettari vitati, coltivati seguendo il disciplinare per la lotta integrata, il cui terreno è composto da argille rosse evolute o da altre argille più gialle ricche di depositi calcarei, i cosiddetti “cervelli di gatto”. Uno di questi, chiamato Il Beneficio, appartiene da tempo immemorabile alla famiglia, l’altro, denominato Monte Brullo, è invece attualmente in affitto. Oltre al Sangiovese, i vitigni coltivati sono: Cabernet Sauvignon, Merlot, Ancellotta, Albana e il Bianchino Faentino, conosciuto anche come Montù. Gabriele è “nipote d’arte”, suo nonno materno, Gian Battista Costa, già negli anni Sessanta impiantò qui le prime vigne scommettendo su quello che allora era considerato il vitigno più promettente della Romagna: l’Albana e fu uno degli attori che si attivarono perché ottenesse la DOC, il che avvenne nel 1967. In seguito al ritiro di Gian Battista, la terra è stata divisa tra gli eredi e la madre di Gabriele ha scelto di mantenere le vigne preesistenti conferendo però l’uva a soggetti terzi fino a che, fresco di laurea in Scienze Agrarie conseguita all’università di Bologna (con tesi su una virosi della vite), non ha iniziato lui stesso ad occuparsene in prima persona nel 1995. Sua la scelta di “virare” sui rossi e in particolar modo sul Sangiovese, declinato in nove cloni a seconda della destinazione. Ci è voluto quasi un decennio tra il tempo necessario ai vigneti per iniziare a diventare produttivi e le molte prove di micro-vinificazione in proprio effettuate da Gabriele per selezionare i vigneti migliori. Finalmente la vendemmia 2004 ha visto le prime bottiglie finire sugli scaffali delle enoteche. Sia per scelta sia per le risorse a disposizione, Succi vendemmia e vinifica in maniera integralmente tradizionale: uve raccolte a mano, lieviti selezionati utilizzati solo in situazioni estreme, follature manuali, macerazioni lunghe, travasi senza filtraggio. Il risultato è un ventaglio di vini accomunati da notevole sostanza, alcol elevato e corpo da “purosangue”. Forse non per tutti, ma certo destinati a conquistare gli estimatori. I

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di

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Costa Archi The “muscular” reds of Gabriele Succi Gabriele Succi is an example of that peculiar ability of small Romagnol wineries to produce wines that perfectly embody the local character and climate of their place of production - and the tireless endeavour of a single individual. The place in question is Serra di Castel Bolognese, between Imola and Faenza. Two estates covering a total of 13 hectares, cultivated according to the principles of integrated pest management, with soil of fine red clay or yellower clay rich in limestone deposits known locally as “cat’s brains”. One estate, Il Beneficio, has been in Succi’s family longer than anyone can remember. The other, Monte Brullo, is currently leased out. Besides Sangiovese, the grape varieties grown here are Cabernet Sauvignon, Merlot, Ancellotta, Albana and Bianchino Faentino, also known as Montù. Gabriele has winemaking in his blood. His maternal grandfather, Gian Battista Costa, planted the first vines here in the 1960s. He planted Albana, the grape of choice in Romagna in those days. And it was instrumental in gaining his wines DOC status in 1967. When Gian Battista retired, his land was divided among his heirs. Gabriele’s mother decided to maintain the existing vines and leased the land to outside growers until her son, with a recently-acquired degree in agrarian science from the University of Bologna (his thesis was on diseases affecting grapevines) took over management of the estate in 1995. It was Gabriele’s decision to switch to red wines, with the emphasis now on Sangiovese, grown in 9 different clones selected according to destination. It took nearly a decade for the new vines to become productive, with Gabriele conducting endless micro-vinification trials to identify the best vines. The first bottles made it to market after the 2004 harvest. Partly by choice and partly due to the available resources, Succi grows and produces according to strictly traditional methods: grapes harvested by hand, selected yeasts used only when absolutely necessary, caps punched down manually, extended maceration, and racking without filtering. The result is a range of wines with notable substance, high alcohol content and a full-blooded constitution. Not for everyone perhaps, but they’ll certainly win admirers among aficionados.

fra’ vini è più sostanzioso quello raccolto in un suolo benigno che in un terreno leggero; più quello di un clima temperato, che quello raccolto in un luogo umido, o troppo secco, troppo freddo, o troppo caldo. aulo cornelio celso

assiolo _ romagna doc sangiovese superiore “serra” 2013 _ uve/grapes 100% sangiovese Nasce da un’unica vigna, coltivata però con differenti cloni di Sangiovese. La vinificazione avviene in piccoli tini da 7,5 hl ove la macerazione si protrae per circa 10 giorni. Affina in tonneaux di III e IV passaggio per 12 mesi, poi passa 6 mesi in acciaio e altri 5 in bottiglia. Di un bel colore rosso rubino compatto con riflessi porpora, nonostante il grado elevato esprime al naso limpide note varietali di viola e mora. Il corpo notevole e la fitta struttura tannica colpiscono inizialmente il palato, la densità del frutto croccante e il finale minerale, nonché il sottile tratto “ciliegioso”, lo rendono denso ma non pesante. Va accompagnato a piatti saporiti, come gli arrosti di carni rosse e i formaggi stagionati. Temperatura di servizio 20 °C. Produced from a single vine but with different clones of Sangiovese. Fermented in small (7.5 hl) vats with maceration for around 10 days. Matured in 3rd- and 4th-passage barrels for 12 months, followed by 6 months in steel and a further 5 months in the bottle. The colour is an attractive, dense ruby red with purple highlights. Despite the high alcohol content, it’s surprisingly clean on the nose, with varietal notes of violet and blackberry. On the palate, the initial impression is of a full-bodied wine with closely-packed tannins, but the crispy, fruity notes, the mineral finish and the subtle hint of cherries make it rich without being heavy. Drinks well with robustly-flavoured dishes such as roast red meats and ripe cheeses. Serving temperature 20°C.

il beneficio _ ravenna igt rosso 2013 _ uve/grapes 100% merlot Ottenuto dalla vigna di Merlot che cresce sull’omonimo podere, viene anch’esso vinificato in tini da 7,5 hl. Lasciato macerare per circa 20 giorni, affina poi in tonneaux di II e III passaggio per 12 mesi. Fa 6 mesi in acciaio e termina il proprio affinamento in bottiglia per almeno 5 mesi. Il colore rosso cupo prepara il naso alle sue note pepate di frutti neri di sottobosco e ai suoi sentori di terra. La polpa e il calore ne fanno un vino maschile non privo però di equilibrio tra tannini e freschezza, chiuso da un piacevole finale dolceamaro. Indicato per accompagnare sapori decisi, come la cacciagione da penna. Temperatura di servizio 20 °C. Made from the Merlot grapes grown on the estate of Il Beneficio. Fermented in 7.5 hl vats. Maceration lasts for around 20 days, after which the wine is transferred to 2nd- and 3rd passage barrels for 12 months. It then spends 6 months in steel vats, followed by at least 5 months of bottle ageing. Dark red in the glass, with an aroma dominated by sharp notes of wild blackberries and earthy overtones. A warm, sinewy, “masculine” wine that strikes the right balance between tannins and freshness, with a pleasantly bittersweet finish. Drinks well with robustly-flavoured food such as game birds. Serving temperature 20°C.

monte brullo _ sangiovese di romagna doc superiore riserva 2010 _ uve/grapes 100% sangiovese Il vino di punta di Costa Archi non fa prigionieri, vinificato in tini da 7 hl, viene lasciato macerare per circa 20 giorni. Il lungo affinamento comincia in tonneaux di II e III passaggio per 34 mesi e si conclude con almeno 12 mesi in bottiglia. Quando giunge al bicchiere rivela un potente rosso purpureo brillante, offre squillanti note floreali, di marasca, di tamarindo, che poi rivelano accenti di tabacco e cannella. È un vino per palati allenati, con una bocca ricca e grintosa che avvolge col suo frutto maturo e conduce verso un finale dolce. Necessita, per gustarlo appieno, di essere accompagnato con pietanze particolarmente saporite, ad esempio gli umidi di selvaggina da pelo come il cinghiale. Temperatura di servizio 22 °C. The flagship wine of Costa Archi. An uncompromising wine that’s fermented in 7 hl vats and left to macerate for around 20 days. First stage in the long ripening process is 34 months in 2nd- and 3rd passage barrels, followed by at least 12 months in the bottle. In the glass it’s a bright, vigorous, purple-red. In the mouth it has sharp floral notes of marasca cherry and tamarind that unfold to reveal accents of tobacco and cinnamon. A wine for the trained palate, with a rich, persistent flavour of ripe fruit and a gentle finish. Best appreciated with full-flavoured dishes such as game stews. Serving temperature 22°C. Enogastronomia

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[parlando della vita all’estero] agli occhi di queste persone rimaniamo degli estranei. col tempo finiamo per diventarlo anche dei nostri cari. e questo non vuol dire essere liberi. persi semmai. michele fior, tratto da cinquemila chilometri al secondo.

Fior di fumettista I disegni c h e parlano di M anuele F ior alessandro antonelli

immagini: archivio manuele fior

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Autore di pluripremiate graphic novel ed illustratore di razza, Manuele Fior è oggi considerato, con buona ragione, un metro di paragone della qualità del fumetto d’autore italiano. I suoi lavori parlano una lingua differente, forse perché la loro stessa genesi è diversa. Fior non prepara alcun storyboard, le sue storie nascono mentre vengono disegnate, spesso sospese di volta in volta tra una vignetta e quella che la seguirà. Ogni tavola nasce da un colore, senza studi di prova. Comunicano così a più livelli con il lettore, in un gioco di rimandi maggiormente articolato di quello che si ritrova in una comune trama. Nato nel 1975 a Cesena, dopo la laurea in Architettura conseguita a Venezia Manuele ha lasciato l’Italia iniziando un lungo e “tortuoso” percorso che lo ha portato a visitare e risiedere in vari luoghi d’Europa ed oltre. Prima tappa è la Berlino degli anni 2000, ove ha cominciato ad affiancare alla sua attività di architetto quella di fumettista collaborando con l’editore Avant-Verlag per la rivista Plaque. Iniziando così una produzione continuativa di storie brevi a fumetti scritte dal fratello Daniele (oggi affermato attore di cinema e teatro) pubblicate sulle riviste Black, Bile Noire, Stripburger, Forresten e Osmosa. I

Sensi

di

Romagna


In full bloom Manuele Fior’s talking drawings Manuele Fior is an award-winning illustrator and the author of graphic novels who is now rightly considered one of Italy’s leading comic strip artists. His works speak a language all of their own, perhaps because their genesis is unique. Fior does not prepare a storyboard, preferring to let his stories take form as he draws them, the action often suspended between one illustration and the next. Every panel starts with a colour, without preliminary studies. In this way his art communicates with the reader on several levels, in a cat’s cradle of references and counter-references that’s far more complex than the typical “comic strip” storyline. Manuele Fior was born in Cesena in 1975. He studied architecture in Venice and after graduating left Italy on a long and tortuous odyssey that saw him visiting and living in various countries in Europe and beyond. His first port of call was Berlin in the early years of the new millennium, where he initially worked as an architect and contributed cartoons to Plaque, a magazine published by Avant-Verlag. Soon he was producing a continuous output of short comic strip stories, with the text contributed by his brother Daniele (now a well-known cinema and stage actor), which were published in magazines such as Black, Bile Noire, Stripburger, Forresten and Osmosa. In parallel to his comic strip work, Fior also worked as an illustrator for publishers including Feltrinelli, Einaudi, Edizioni EL, and Fabbri, his cartoons appearing

in Il Sole 24 Ore, Internazionale, Il Manifesto, Rolling Stone Magazine, Les Inrocks, Nathan, Bayard, and Far East Festival. In 2005 Fior moved to Oslo, where he lived for a few years. Then after a series of peregrinations that took him as far as Egypt, he settled in Paris, where he still lives. Even after attaining international recognition with his graphic novels, Fior has continued his work as an illustrator, and recently his cartoons have appeared in publications of the calibre of The New Yorker, Le Monde and Vanity Fair. For Manuele Fior, illustration has a special function which in a sense is independent of the artist that creates it. The sphere of interaction, especially when the illustration is accompanied by a (pre-existing) text, remains largely unchanged from one cartoon to another. The graphic novel/comic strip format, however, creates an interaction between word and image which generates an infinity of possibilities: the art influences the story. So for Manuele Fior, the difference between two graphic novel/comic strip artists lies not only in the difference of style, but also in the actual mechanism that underlies the creation of the work. With Fior, the first step, the thing that comes even before the storyline, is to decide on the technique he uses. As the graphic identity gains form, so does the story. Fior does not make preparatory sketches for his graphic novels, in line with his own principle that if the sketch turns out well the finished panel can only be worse. Colour is no mere embellishment: it carries a strong communicative charge and is the first element to appear on the paper. To help keep the narrative flowing, Fior draws as quickly as possible. It’s a method with a high cost in terms of discarded attempts, but it also imparts a rare fluency to the finished work.

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Arte


I

Sensi

come ad altezza d’uomo. Ognuno contiene una parte di lui, per analogia ma anche per contrasto. Egli pare inserirli nella storia e poi osservare come si comportano piuttosto che tirarne scientemente i fili. La cifra di Fior appare già formata nel suo romanzo d’esordio in Italia: Rosso Oltremare (2006), un esercizio stilistico espressionista in cui al lettore viene lasciata ampia libertà interpretativa nei confronti della storia narrata. Nella successiva trasposizione del romanzo di Arthur Schnitzler La signorina Else (2009), l’atmosfera cambia completamente ispirazione e pare attingere all’art nouveau. L’aver intrapreso lavori differenti, conosciuto terre lontane e vissuto in città estremamente differenti tra loro ha costituito un prezioso patrimonio in termini di spunti ispirativi per Fior. Uno degli esiti più diretti di queste esperienze è la graphic novel Cinquemila chilometri al secondo (2010), che può considerarsi l’opera della consacrazione. Gli scenari entro cui è ambientato: Francia, Norvegia, Egitto e Italia sono mutuati dalla sua esperienza, benché trasfigurati dalla fantasia. Raccontando la propria generazione, precaria nella vita come negli affetti, Cinquemila chilometri al secondo si dimostra anche un’eccellente testimonianza dello zeitgeist attuale. Lo stesso mood si respira nel più recente L’intervista (2013), in cui Fior si confronta con il bianco e nero sviluppando un tratto chiarissimo vestito da sfumature lievi che si perdono in un nero monodimensionale creando un’atmosfera da “carboncino e china”. Per la sua ultima opera, Le Variazioni d’Orsay (2015), Manuele ritorna invece al colore e, leggendo il noto museo parigino attraverso la tecnica della variazione, confondendo il tempo e lo spazio, rende dichiarato il proprio rapporto elettivo con l’arte pittorica. Ci piace pensare che sotto l’approccio apolide di questo così poliedrico artista del “disegno parlante” sopravviva un forte imprinting della sua terra d’origine. Un’idea giustificabile anche in relazione all’illustre tradizione di fuoriclasse della fantasia romagnoli e che sembra trovare conforto anche nelle dichiarazioni rilasciate dall’Artista. Dopotutto, per sua stessa ammissione, l’ipotetica cittadina italiana vicino al mare che costituisce una delle ambientazioni di Cinquemila chilometri al secondo potrebbe essere proprio Cesena. di

Romagna

sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti. osamu tezuka

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Parallelamente all’attività di fumettista, lavora come illustratore per case editrici quali Feltrinelli, Einaudi, Edizioni EL, Fabbri e pubblicazioni come Il Sole 24 Ore, Internazionale, Il Manifesto, Rolling Stone Magazine, Les Inrocks, Nathan, Bayard, Far East Festival. Nel 2005 Fior si trasferisce ad Oslo, dove vivrà per alcuni anni, poi, dopo qualche ulteriore peregrinazione che lo porterà tra l’altro in Egitto, finirà per fermarsi a Parigi, ove attualmente risiede. Quello dell’illustratore è un filone di attività che non si interrompe neanche una volta raggiunto il successo internazionale con le sue graphic novel, tanto da portarlo recentemente a collaborare in questa veste con testate del calibro di The New Yorker, Le Monde e Vanity Fair. Per Manuele, però, l’illustrazione possiede una funzione specifica che si rivela in qualche modo indipendente dal disegnatore. Soprattutto quando accompagna un testo preesistente, la sua sfera d’interazione è più o meno sempre la stessa. Il fumetto, viceversa, crea un’interazione tra parole e immagini che genera infinite possibilità; è infatti il disegno ad influenzare la storia. Per questo secondo Fior la differenza tra due autori di fumetti non risiede solo nella diversità di stili, bensì nel meccanismo stesso di creazione dell’opera. Nel suo caso, il primo passo precede lo stesso soggetto della storia ed è la scelta della tecnica da utilizzare. Poi la trama cresce a pari passo con la realizzazione grafica, che viene portata avanti senza bozze, in ossequio al principio personale che se la prova viene bene la tavola definitiva non potrà che essere peggiore. Il colore non è un semplice abbellimento, al contrario possiede una forte funzione comunicativa ed è il primo elemento a comparire sulla carta. Per incanalare il flusso narrativo, Manuele dice di disegnare più velocemente possibile. Questo metodo ha un alto costo in termini di tavole scartate, ma conferisce all’opera conclusa una rara scioltezza. La principale area d’influenza di Fior risulta essere la pittura dell’Ottocento e Novecento, le citazioni più dirette mutuate da Klimt, Modigliani e altri maestri immortali si possono osservare nella figura e nei volti dei suoi personaggi, spesso descritti con un tratto leggermente diverso l’uno dall’altro. Personaggi psicologicamente evoluti, che trovano la strada per uscire dalla pagina. Fior li definisce


Fior’s principal influences are the art of the 19th and 20th centuries, and his indebtedness to masters such as Klimt and Modigliani can be seen in the forms and faces of his characters, which are often rendered with subtly different features. These characters have a psychological presence that lifts them off the printed page. Fior defines them as “life-size”. Every character contains a part of him, by similarity as much as by contrast. He seems to place them inside the story and then watch how they behave, rather than work them like marionettes. His distinctive style was already fully-formed in his breakthrough graphic novel in Italy, Rosso Oltremare (2006), an expressionist exercise in style that leaves the reader plenty of room for interpreting the story. In his next book, a graphic adaptation of Arthur Schnitzler’s Fräulein Else (2009), the atmosphere changes completely, and the style is nearer to art nouveau. Fior’s experience - working in different jobs, visiting distant lands and living in all kinds of different cities - has been extremely valuable in terms of inspiration. One work which most directly evinces these experiences is his graphic novel Cinquemila chilometri al secondo (2010), the book which established his reputation. The action is variously set in France, Norway, Egypt and Italy, in stories borrowed from his own experiences and transfigured by his imagination. A story about people of his own generation, insecure professionally and personally, Cinquemila chilometri al secondo (“Five Thousand Kilometres a Second”) neatly captures the Zeitgeist. The same mood imbues the more recent L’intervista (2013), where Fior works in black and white, the crisp forms lightly nuanced in monodimensional medium tones, creating an atmosphere that seems to combine charcoal and ink.

Fior returns to colour in his latest work, Le Variazioni d’Orsay (2015), where the Musée d’Orsay is depicted in a series of “variations” fusing time and space, and the artist manifests his own affinity with the pictorial arts. We like to think that under the stateless cosmopolitanism of this multi-faceted artist of the “talking drawing” there still lurks the imprint of his land of origin. It’s a plausible notion, given Romagna’s illustrious tradition of imaginative writers, and it seems to be borne out in the declarations of the artist. After all, on Fior’s own admission, the imaginary Italian seaside town that provides one of the backdrops for Cinquemila chilometri al secondo could easily be Cesena.

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Arte


franco de pisis

immagini: archivio giuseppe rava

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Illustrare battaglie L o stile G iuseppe R ava Nell’universo dell’illustrazione esiste una nicchia molto particolare: quella legata ai soggetti storico-militari. Queste raffigurazioni si possono trovare negli ambiti più diversi: sulle pagine di un libro di Storia, su una rivista di wargames o magari sulla confezione di un aeromodello storico. Uno dei massimi interpreti della scena mondiale specializzati in tali temi è un italiano e nello specifico un faentino. Si chiama Giuseppe Rava, classe 1963, e ha iniziato da bambino a dipingere soggetti bellici sviluppando nel corso dei decenni la sua personalissima tecnica completamente da autodidatta. Diversamente da quanto fanno gli artisti più ortodossi del settore, impiega infatti la tecnica dell’acquarello per dipingere i cieli e gli sfondi mentre utilizza il metodo della gouache per colorare le dettagliatissime uniformi. In tali temi saper padroneggiare il pennello non basta; insomma, prima di raffigurarle, bisogna conoscere divise, armi e suppellettili di ogni periodo storico. Su tale campo Rava è inarrivabile. La passione per il mondo del militaria storico gli è stata trasmessa dal padre, grande collezionista di oggetti militari. Sin da bimbo Rava ha avuto l’opportunità di osservarli, di toccarli e di appropriarsi della loro matericità. Durante il suo percorso di formazione autodidatta ha studiato a fondo la tecnica dei grandi pittori di questo singolare ambito: Detaille, Meissonier, De Neuville, Rochling, Ottenfeld. L’influenza più determinante gli viene dal grande pittore italiano dell’Ottocento Giovanni Fattori, i cui lavori a sfondo bellico sono stati molto utilizzati dai principali editori italiani e scandinavi. I

Sensi

di

Romagna


la pittura è un’arte essenzialmente concreta e può consistere soltanto nella rappresentazione delle cose reali ed esistenti. gustave courbet

Illustrated battles The Giuseppe Rava style In the world of illustration, one niche is even more special than the others: military historical subjects. This kind of depiction can be found in all kinds of media: on the pages of history books, the covers of wargames magazines, even the boxes of model aeroplane kits. One of the world’s leading exponents of military illustration is from Italy, and more particularly, from Faenza. His name is Giuseppe Rava. Born in 1963, Rava is a self-taught artist who began drawing on war themes as a boy and has developed his highly distinctive technique over the course of decades. Unlike other more orthodox illustrators, Rava uses watercolours for his skies and backgrounds, and gouache for colouring his highly-detailed uniforms. Consummate brushwork is not enough here: before painting them, the artist has to know the livery, arms and insignia of rank proper to each historic period. Rava’s knowledge in this field is peerless. He got his passion for military history from his father, an avid collector of martial memorabilia. So the young Giuseppe had the opportunity to see these objects, touch them and absorb their material presence. A self-taught artist, Rava has carefully studied the techniques of some of the greatest painters in the world of illustration: Detaille, Meissonier, De Neuville, Rochling, Ottenfeld. His biggest influence is the great nineteenth-century Italian painter Giovanni Fattori, whose works on military themes have been extensively used by Italian and Scandinavian publishers. Yet Rava has always remained faithful to the distinctive style that first brought him to the attention of Editrice Militare Italiana, for whom he illustrated a book on the Napoleonic army. He has also worked with Italeri, Hat and Games Workshop, who commissioned him to their packaging. Other clients include the French trade review Vea Victis and the UK’s Osprey Publishing, for whom Rava has been a leading illustrator since 2007. He recently received the prestigious Jacono Prize, awarded by the Milan Comic Strip Fair in memory of the Italian illustrator Carlo Jacono. In addition to his war illustrations, Rava recently completed a pictorial reconstruction of the dramatic shipwreck of the Costa Concordia, produced in a limited edition which he donated to the inhabitants of the island of Giglio, as well as a depiction of the canonization of popes John XXIII and John Paul II. His most unusual commission, however, came from a famous (and anonymous) American pop artist who asked Rava to produce a series of large-format paintings of hundreds of armoured cars of the type used in the Yom Kippur War. So Rava’s paintbrush is no stranger to conceptual art, either.

Rava non ha però mai rinunciato a ricercare quella cifra stilistica autonoma che lo ha fatto notare prima dalla Editrice Militare Italiana, per cui ha illustrato un libro sull’esercito napoleonico, poi da aziende come Italeri, Hat e Games Workshop, che gli hanno fatto vestire i loro packaging , per approdare alla nota rivista francese di settore Vea Victis ed infine all’importante Casa editrice inglese Osprey Publishing, di cui dal 2007 Giuseppe Rava è diventato uno degli artisti più pubblicati. Recentemente è stato anche insignito del prestigioso Premio Jacono, istituito dal Salone del Fumetto di Milano per ricordare il maestro dell’illustrazione italiana Carlo Jacono. Oltre ai soggetti bellici, Rava ha da poco realizzato anche una ricostruzione pittorica del drammatico naufragio della Costa Concordia, riprodotta in serie limitata e donata agli abitanti del Giglio, nonché una raffigurazione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. La commessa più inconsueta è stata però quella giunta da un famoso artista pop americano che ha chiesto a Rava di collaborare in forma anonima ad una serie di sue opere di grande formato dipingendovi centinaia di carri armati come quelli usati nella guerra del Kippur. Così il pennello di Giuseppe Rava si è prestato anche all’arte concettuale. Arte

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[0 4] TERRITORIO A R CH EO LO G I A I N D U ST R I A L E _ g l i a n t i ch i es si ca to i d e l ta b a cco d i g a m b e t to l a S L E E PI N G G I A N T _ t h e fo r m e r to b a cco cu r i n g fa c to r y o f g a m b e t to l a I M O LT I VO LT I D I S A R S I N A _ t ra co m m e d i a e s a n t i tà T H E M A N Y FACES O F S A R S I N A _ w h e re co m e d y m e e t s s a n c t i t y

[10] STORIA IL B OTA NICO SOL I TA RIO DEI PIRENEI _ pie t ro bubani, scien zia to sui gener is THE SOLITARY BOTANIST OF THE PYRENEES _ pietro bubani, a scientist in a class of his own I L T E AT R O T U T TO D I L EG N O _ l’a n g e l o m a r i a n i d i s a n t ’a g a ta fe l t r i a A T H E AT R E A L L O F WO O D _ s a n t ’a g a ta fe l t r i a’s a n g e l o m a r i a n i t h e a t re

[14] PASSIO NI FR A NCESCO DA MI A NI “ DA BAGN ACAVA LLO” _ il peso massimo della bassa romagna F ROM B AGN ACAVA L LO... F R A N CESCO DA MI A NI _ t he hea v y weigh t o f bassa romagna [32

T E AT R O D I A L E T TA L E R O M AG N O LO _ l a p u b b l i ca d i g n i tà d e l l a l i n g u a d e i n o s t r i a v i D R A M A I N D I A L ECT _ p u t t i n g t h e l a n g u a g e o f o u r g ra n d p a re n t s o n t h e s ta g e M A EST R O ACC A D E M I CO D I G OT I CO A N T I CO _ i l co m m e n d a to r m e d a rd o res ta A N AU T H O R I T Y O N G OT H I C S CR I P T _ co m m e n d a to r m e d a rd o res ta

[20] EN OGASTRO N O MIA BUONO COME IL PA NE DI M A IOLO _ la tradizione della panif icazione ar tigianale in valmarecchia AS WHOLESOME AS BRE A D - THE M A IOLO VA RIE T Y _ the breadmak ing tradition of valmarecchia CO STA A R CH I _ i ro s si “m us co l o si” d i g a b r i e l e CO STA A R CH I _ t h e “m us cu l a r ” re ds o f g a b r i e l e su cci

[26] ARTE F I O R D I F U M E T T I STA _ i d is e g n i ch e p a r l a n o d i m a n u e l e f i o r I N F U L L B LO O M _ m a n u e l e f i o r ’s ta l k i n g d ra w i n g s I L LU ST R A R E B AT TAG L I E _ l o s t i l e g i us e p p e ra va I L LU ST R AT E D B AT T L ES _ t h e g i us e p p e ra va s t y l e

I

Sensi

di

Romagna


Cerindustries SpA

numero 39 dicembre 2015



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