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Ragazzi e ragazze insieme alle storie

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Libertà

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Ragazzi e ragazze insieme alle storie

Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue, non è affatto una cosa ma semplicemente una storia. E tutto ciò che esso contiene è una storia. E ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori, eppure queste storie sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto. Quindi tutto è necessario. Cormac McCarthy tratto da Oltre il confine

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Nel Liceo dove insegno, da diversi anni porto avanti un laboratorio di scrittura autobiografica. Questo spazio ha aperto momenti di profonda condivisione con i ragazzi. Spesso con loro mi piace procedere attraverso storie; le nostre storie e quelle degli altri che si intrecciano e si con-fondono, in una metamorfosi senza fine. È come “togliere la polvere” dalle emozioni, dai frammenti, dal passato e provare a dare significati diversi. È come mettere insieme sfumature, fondere e dare origine a colori nuovi. Così le parole hanno cominciato a “prendersi cura” di noi, a guidarci verso zone profonde, lontane, che sembravano perdute ma che sono rimaste lì, tra le pieghe della memoria. Pezzi di storie che si mescolano e si infrangono, fanno sentire le vertigini, sbrogliano e intrecciano fili, ricongiungono, provano ad attribuire significati.

E poi ci sono gli Altri, a cominciare dai detenuti, che danno un valore corale alle storie. E proprio lì, dentro al carcere, si avverte forte la sensazione di “passare attraverso i muri”. I muri dell’ipocrisia e del luogo comune. Si comincia dal rispetto. L’idea è quella raccontata da Rachele: oltre ad aver trattato l’aspetto sociologico, abbiamo affrontato anche un altro tipo di percorso: parallelamente ad alcuni detenu-

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ti del carcere di Capanne, abbiamo ripercorso le nostre vite a partire dall’infanzia, condividendo le sensazioni e le emozioni. Le nostre esperienze sono state riportate, inoltre, in piccoli personali quaderni, dove abbiamo scritto tutto ciò che è venuto fuori dai nostri ricordi. Pezzi di storie che si sono mescolati, sospesi lungo il tempo, attraverso la presenza silenziosa della memoria.

Così facendo, abbiamo potuto approcciarci in maniera differente al mondo della detenzione: lo scopo del progetto è proprio quello di avvicinarci al carcere, non come semplici visitatori. Sia noi studenti che i detenuti ci siamo messi in gioco e ci siamo raccontati, partendo dal nostro nome, che ci identifica, per arrivare alle sensazioni più antiche, rimaste in noi dai tempi dell’infanzia, agli “incantamenti” che ci stregavano da piccoli, alle parole che ci stancano o a quelle che, invece, vorremmo ci venissero rivolte più spesso, ai nostri “messaggi in bottiglia”.

Abbiamo utilizzato anche le fotografie che ci hanno aiutato a rievocare, ad emozionarci, a ripercorrerci.

Tutto ciò ha portato alla luce punti in comune tra studenti e detenuti e una verità troppo spesso trascurata: come in uno specchio, noi studenti ci siamo potuti rriconoscere nei carcerati e loro in noi. Le nostre storie e le nostre esperienze sono risultate affini in certi aspetti, alcune volte, invece, dissimili e così ci siamo potuti in-

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contrare al di là dei nostri ruoli, come persone con il loro bagaglio di vita. Così, semplicemente come persone.

Ho scelto di iniziare la presentazione di questi scritti partendo dal tema dell’infanzia. Comincia tutto da lì, dall’essere nati in quella famiglia, proprio in quel luogo, dall’aver incontrato quelle persone e non altre, dall’aver ricevuto cure e abbracci e un nome… Tornare all’infanzia diventa dunque un tentativo di capire chi siamo, il senso del nostro essere al mondo per sé e con gli altri, verso quali altre mete possibili la vita ci chiama per diventare persone migliori.

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