Santa Caterina da Siena

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Antonio Maria Sicari

Santa Caterina da Siena Sposa di Cristo e della Chiesa a cura del Centro Missionario Francescano Convento S. Pietro in Calibano - Pesaro laperlapreziosa@libero.it

Introduzione… breve

Caterina da Siena è insieme a san Francesco d’Assisi patrona della nostra nazione italiana e con santa Brigida di Svezia, santa Teresa Benedetta della Croce, san Benedetto da Norcia e i santi Cirillo e Metodio, patrona d’Europa. Come abbia fatto questa piccola donna senese a raggiungere le vette della santità e come sia riuscita questa ragazza illetterata a divenire dottore della Chiesa lo scoprirete leggendo queste pagine. Permetteteci di dire cosa ci ha più colpito di Lei: non il fatto che abbia amato e si sia offerta in Sposa a Cristo, cosa sotto certi aspetti, “facile”. Caterina ci ha meravigliati per l’amore sconfinato verso il Corpo di Cristo, stupendo e deforme, che è la Chiesa. «Morire spasimati» d’amore per la Chiesa è ciò che Caterina ha sempre cercato di insegnare ai suoi discepoli, e che vorrebbe insegnare anche a noi che abbiamo tra le mani queste pagine. Un ringraziamento a P. Antonio Maria Sicari, che ha scritto queste pagine nel bellissimo volume “Ritratti di Santi”, edito dalla Jaca Book. Sia l’Autore che l’Editore hanno offerto generosamente i loro diritti a favore del nostro Centro Missionario Francescano. A loro siamo grati di cuore! 1


La cattività avignonese

Era l’autunno del medioevo. Proprio in quell’anno 1300, per la prima volta nella storia, il papa Bonifacio VIII aveva proclamato il Giubileo e si erano riversati a Roma più di duecentomila pellegrini da tutta Europa. Ed ecco, non erano ancora passati tre anni che la cristianità udiva parlare, sgomenta, dell’oltraggio di Anagni: il pontefice era stato deriso, schiaffeggiato dai soldati del re di Francia. Lo stesso Dante - che pure accusava (a torto) il papa d’aver «fatto strazio» della Chiesa, vendendola per denaro - lo descrisse con la riverenza e l’affetto dovuti a Cristo: «Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso e nel vicario suo Cristo esser catto Veggiolo un’altra volta esser deriso veggio rinovellar l’aceto e ‘l fele e tra vivi ladroni esser anciso» (Pur XX, 86-90). 2


Poche settimane dopo, Bonifacio VIII moriva di crepacuore e il papato restava sotto la tutela minacciosa del re di Francia. È in questo travagliato inizio di secolo che si radica quella tragica situazione che - quando Caterina Benincasa viene al mondo, nel 1347 - dura ormai da quarant’anni: la «grande assenza» del Papa da Roma. Sarebbe durata ancora trent’anni: in tutto settant’anni di esilio che a molti cristiani ricordarono troppo da vicino la «cattività di Babilonia». Oggi qualche storico dice che quei settant’anni salvarono il papato dalla frantumazione anarchica in cui l’Italia si andava disfacendo e che, ad Avignone, la curia pontificia imparò un modo moderno di governare e di amministrare. Certo è che allora parve piuttosto una sventura e un tradimento. Dante diceva che la Chiesa «s’era maritata al regno di Francia» e Petrarca - con minor purezza di cuore, tuttavia - affermava che Avignone era «l’inferno dei vivi e la cloaca della terra». Erano giudizi ingiusti, ma rendono bene lo stato d’animo di molti, soprattutto perché qualche papa del periodo avignonese (vi furono anche dei santi uomini) meritò davvero l’accusa di Dante: d’essere «un pastor senza legge». Verso la metà del secolo comunque la cristianità viveva un diffuso senso di angoscia. L’Italia è in preda alle guerre civili che mettono una città contro l’altra e, nella stessa città, un partito in lotta fratricida contro un altro partito. La Germania è in preda al caos; Inghilterra e Francia hanno cominciato la tragica e interminabile guerra dei cent’anni; l’impero d’Oriente è in disfacimento e i Turchi premono minacciosamente ai confini dell’Europa. Dovunque scoppiano guerre di contadini che si sentono oppressi ed emarginati. La carestia e le catastrofi naturali sono ricorrenti. E, al culmine di tutto, 3


proprio nel 1347, scoppia quella terribile «peste nera» (di cui parla il Boccaccio) che in pochi mesi porta alla tomba più di un terzo della popolazione d’Europa. Si calcola che vennero quasi annientate due intere generazioni, come se il mondo avesse subito un salto cronologico. Ad Anagni morirono metà degli abitanti. A Siena qualcuno scrive addirittura che la popolazione scese da ottantamila a quindicimila abitanti. Caterina Benincasa

Proprio in questo terribile 1347, dunque, nasce a Siena, da parto gemellare, Caterina: ventiquattresima figlia di Jacopo Benincasa, tintore, e di monna Lapa, figlia di un coltraio. La gemellina muore quasi subito, ma l’anno successivo nascerà una venticinquesima sorella. In più, la famiglia accoglie un cuginetto orfano, di dieci anni: diventerà frate domenicano e sarà il primo confessore di Caterina. Attorno alla piccola fiorisce prestissimo quando lei è ancora in vita - la Legenda che riempie di miracoli la sua infanzia e la sua giovinezza.

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Di alcuni episodi parla Caterina stessa, di altri parlano il suo confessore e gli innumerevoli ammiratori che la attorniano continuamente, affascinati dalla sua già matura santità. Forse qualche racconto è abbellito, ma la creazione di alcuni particolari serve soltanto a trasmettere l’inesprimibile fascino soprannaturale che da lei promana. Ferita dall‛Amore

Tutti sanno comunque, con certezza, che l’infanzia di Caterina è stata irrimediabilmente segnata da una visione di Cristo sorridente, dal cui cuore esce un raggio luminoso che la raggiunge e la ferisce. Così la bambina cresce diversa dagli altri numerosi fratelli e sorelle (dei più non sappiamo neppure il nome!): cresce «consacrata» da un voto di verginità (cioè di amore esclusivo a Cristo) che lei stessa ha fatto spontaneamente, già a sette anni, promessa per lei irrevocabile. La vedono cercare il silenzio, la preghiera, l’austerità, e non ha ancora dieci anni. Se ci sembrano pochi, dobbiamo prima pensare che tutta la sua vicenda terrena - così ricca di avvenimenti e di incontri durerà appena trentatré anni, e in così poco tempo ella dovrà consumarsi per Cristo e per la Chiesa. A 15 anni - per togliere ogni illusione alla madre che vorrebbe fidanzarla ad ogni costo - Caterina compie un gesto decisivo: esce dalla sua stanza dopo essersi tagliati i lunghi capelli, al modo di santa Chiara d’Assisi: adesso ella è - secondo l’espressione del tempo - una «fanciulla tonduta», una fanciulla sottratta alle vanità del mondo, «consacrata».

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Una scelta irremovibile

La madre, per punizione e per stornarla da un progetto che le sembra assurdo (Caterina è l’unica figlia che lei abbia allattato...), licenzia la domestica e fa pesare su di lei gran parte dei lavori domestici: pensa che, con quel peso superiore alle sue forze, alla ragazza non resterà tempo per indulgere a fantasie e pratiche monacali. Dicono che un giorno, per la stanchezza o forse per il raccoglimento, la bambina si piega troppo sulle fiamme del focolare, e il fuoco lambisce a lungo, pericolosamente, il suo volto, ma senza bruciarlo. Forse è una leggenda, ma il focolare è l’unica parte conservata intatta della sua casa. Nelle vicende dei secoli, nessuno ha osato toccarlo. A Caterina è stata tolta perfino la sua stanzetta per impedirle di ritrovarsi in preghiera ed è da allora che ella ha imparato per sempre a rifugiarsi in se stessa: «Fabbricò, dicono le cronache, nell’anima sua una cella interiore dalla 6


quale imparò a non uscire mai». Con la mamma, Caterina è dolce e obbediente, ma inflessibile. Più tardi - quando dovrà continuamente viaggiare per obbedire alla sua «missione» e la mamma si lamenterà delle sue lunghe assenze Caterina, che è ormai divenuta la guida spirituale anche della sua stessa madre, le scriverà, non senza «ricordare»: «Tutto questo vi addiviene perché voi amate più quella parte che io ho tratta da voi che quella ch’io ho tratta da Dio, cioè la carne vostra della quale mi vestiste» (Lettera 240). Nella storia del problema educativo, poche volte è stato descritto altrettanto bene, in forma così cristianamente essenziale, il torto che i genitori possono fare ai loro figli: amare in loro quella carne che essi gli han dato più di quell’anima che Dio ha messo in loro, quella irripetibile impronta e destino con cui Egli li ha fatti e segnati per Sé. Tutta la lettera è costruita su questo invito di Caterina: «Con desiderio ho desiderato di vedervi madre vera non solamente del corpo, ma dell’anima mia». Dopo mesi di sofferenze e di attesa, quando non può più resistere, Caterina rivela ai genitori il voto fatto da bambina e spiega con irremovibile determinazione: «Ora che con la grazia di Dio sono giunta a un’età discreta e ho maggiore conoscenza, sappiate che certe cose sono in me così ferme che sarebbe più facile intenerire un sasso che levarmele dal cuore. Io devo obbedire più a Dio che agli uomini» (Legenda 1, c. 5). Fu il papà che prese finalmente le sue difese. Rivolto alla moglie e agli altri figli, il buon Jacopo decise: «Nessuno dia più noia alla mia dolcissima figliola... Lasciate che serva come le piace il suo Sposo. Mai potremo acquistare una parentela simile a questa, né dobbiamo lamentarci se invece di un comune mortale riceviamo un Dio e un Uomo immortale». 7


Serva dei poveri e dei malati

Finalmente, a 16 anni, Caterina può entrare fra le terziarie domenicane di Siena: porterà la veste bianca e il mantello nero dell’Ordine di San Domenico (le chiamano perciò «mantellate» ), ma non sceglie la clausura, il monastero, perché intuisce di avere una missione pubblica da svolgere. Comincia a distribuire il suo tempo e le sue forze tra le occupazioni familiari, le lunghe preghiere e l’assistenza agli ospedali (Siena ne conta allora 16!) e al lebbrosario. Data la sua giovane età, non le sono risparmiate le incomprensioni, le cattiverie e persino le più atroci calunnie: affronta tutto con un irresistibile impeto di carità. Sono anni nascosti, durante i quali grande spazio è dato alla preghiera profonda e ai digiuni, a penitenze che oggi ci appaiono quasi incredibili.

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La Bella Brigata

Inoltre c’è sempre attorno a lei quell’atmosfera di familiarità al miracolo e al prodigioso, che ormai l’accompagna. L’aspetto più evidente della sua intima maturazione è il fatto che attorno a lei, ragazza illetterata, si costituisce una compagnia di seguaci e di ammiratori. È chiamata - in un senso tutto spirituale - la «bella brigata», composta da gente di ogni età e condizione: magistrati e ambasciatori, pittori e poeti, nobili e borghesi, cavalieri e artigiani, nobildonne e popolane. Nell’elenco ci sono anche religiosi d’ogni specie: domenicani, francescani, agostiniani, vallombrosani, guglielmiti e altri. Tra tutti si discute di teologia e di mistica, si legge la Divina Commedia e si studia san Tommaso d’Aquino, e, soprattutto, si impara ad amare con tutto il cuore Cristo Redentore e la Chiesa suo mistico corpo. E un vero e proprio «movimento cateriniano» che si allarga sempre più (durante la vita della santa toccherà il centinaio di persone): tutti chiamano Caterina «mamma» e lei li chiama «dolcissimi figlioli». Non solo li segue e li consiglia spiritualmente uno per uno, ma si sente responsabile della loro vita, della loro fede, della loro vocazione. «Da quando la conobbi - scrisse uno di loro - di null’altro mi importa nella vita, se non di piacere a Dio». L’intensità dei rapporti tra Caterina e i suoi oggi possiamo coglierla leggendo le lettere che la Santa inviò loro: tra tutte sono quelle scritte col «tu» e grondano affezione e preoccupazione materne. Per la giovanissima senese i discepoli sono un dono che Dio le ha fatto: «quelli che Tu mi hai dato 9


perché io li ami di singolare amore». Ella se ne prenderà cura fin sul letto di morte: li vorrà attorno a sé e a molti di loro darà l’ultima «ubbidienza», indicando dettagliatamente la strada vocazionale che ognuno dovrà percorrere. Morirà, preoccupata come Cristo, perché essi non restino «come pecore senza pastore» (Lettera 373). Una delle sue ultime preghiere sarà per loro: «Dio eterno, o Maestro buono, amore mio dolce..., ancora ti raccomando i dilettissimi figlioli miei; pregoti... che tu non li lasci orfani, ma visitali con la grazia tua e fagli vivere morti (cioè: «obedientissimi») con vero e perfettissimo lume, legali insieme nel Vangelo dolce della carità acciò che muoiano spasimati in questa dolce Sposa». «Morire spasimati» d’amore per la Chiesa è il sogno educativo di Caterina ed è il fulcro della sua pedagogia. 10


Incredibili conversioni

Come avvenisse a quei tempi l’incontro determinante tra questa donna (dotata di un vero e proprio carisma di maternità) e i suoi «figli» lo si può comprendere raccontando almeno uno degli episodi più celebri e sconvolgenti. Fra Gabriele da Volterra era Padre Provinciale dei francescani e Inquisitore capo di Siena, ed era considerato uno dei più celebri teologi e predicatori del suo tempo, in Italia. Assieme ad un altro teologo di fama, l’agostiniano Giovanni Tantucci, egli decise di mettere alla prova la pretesa sapienza di Caterina: l’interrogarono su difficili argomenti di teologia e di Sacra Scrittura. Dapprima la giovane rispose con tranquillità, poi li affrontò con una dolcezza tagliente come una spada: ricordò ai reverendi Padri che la scienza può gonfiare di orgoglio chi la possiede, mentre l’unica cosa che valga la pena di conoscere è la scienza della Croce di Cristo. Fra Gabriele è un frate colto e raffinato: raccontano di lui che «vive con tanto fasto come se fosse un Cardinale» e che ha fatto demolire le pareti di tre celle per farsene la sua: il letto è coperto da un piumino ed è riparato da cortine di seta, alle pareti una piccola ma preziosa biblioteca del costo di centinaia di ducati, e, ben disposti qua e là, molti oggetti di valore. Caterina continua a parlare: spiega quanto sia inutile e dannosa la vita di chi «cura la scorza e non il midollo». Ed ecco che il frate francescano trae di tasca la chiave del suo appartamento e chiede ai seguaci della mantellata senese: «C’è qualcuno che voglia andare nella mia cella, a vender tutto e a distribuire il ricavato ai poveri?». Lo prendono in parola e gli lasciano nella stanza solo il breviario. Abbandonerà 11


anche tutte le sue cariche e si farà frate inserviente a Santa Croce di Firenze. Sono questi i miracoli più certi e più evidenti di ogni altro gesto straordinario che si possa raccontare. Sposa di Cristo

Caterina ha ormai circa vent’anni e sta per giungere il tempo della sua missione pubblica nella Chiesa. Ella sente che qualcosa di decisivo deve accadere e continua a pregare intensamente con quella splendida e dolcissima formula che le è divenuta abituale: chiede al suo Signore Gesù: «Sposami nella fede!». Era la sera di carnevale del 1367: «In quei giorni - scrive il suo primo biografo - in cui gli uomini hanno l’abitudine di celebrare la miserevole festa del ventre», mentre gli schiamazzi riempiono la città e la sua stessa casa, la giovane è lì nella sua stanzetta che ripete assorta la sua preghiera sponsale «per la millesima volta». Ed ecco apparirle il Signore che le dice: «Ora che gli altri si divertono... io stabilisco di celebrare con te la festa dell’anima tua».

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Improvvisamente la Corte del cielo, con i Santi che Caterina più ama, è lì presente, come al cadere di un velo: Maria, la Vergine Madre, prende la mano della fanciulla e la unisce a quella del suo divin Figlio. Gesù le mette al dito un anello luminoso (che Caterina vedrà, lei sola, per tutta la vita) e le dice: «Ecco, io ti sposo a Me nella fede, a Me tuo Creatore e Salvatore. Conserverai illibata questa fede fino a che non verrai nel cielo a celebrare con Me le nozze eterne». La promessa del Cantico dei Cantici e quella delle parabole nuziali, raccontate nel Vangelo, sono diventate la mistica realtà di Caterina Benincasa. Fino ad alcuni anni fa (forse ancor oggi) c’era a Siena l’usanza che nell’ultimo giorno di carnevale a nessun corteo o maschera fosse concesso passare per la contrada di Fontebranda, là dove quelle mistiche nozze furono celebrate. Sul frontone dell’edificio c’è ancora scritto: «È questa la casa di Caterina, la Sposa di Cristo». Altri episodi di sapore biblico le accaddero, perché ancor più fosse precisato il senso della sua missione. Un giorno Caterina vide il suo divino Sposo che l’abbracciava a Sé, ma poi le toglieva il cuore dal petto per darle un altro cuore più simile al Suo: era l’applicazione letterale della profezia contenuta nelle Scritture: «Io vi darò un cuore nuovo». Un altro giorno ancora si sparse la voce che Caterina era morta e la folla degli amici e dei discepoli si accalcò attorno al suo letto funebre. Lei stessa disse poi d’aver avuto il cuore lacerato per la violenza dell’amore divino e d’aver attraversato la morte fino a «intravvedere le porte del paradiso».

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La grande missione

Ma s’era poi dovuta risvegliare sulla terra con questo lamento sulle labbra: «Ah, come sono infelice!... Ritorna, figlia - mi ha detto il Signore - ,la salute di molte anime richiede che tu ritorni: né da qui in avanti avrai la cella per abitazione, anzi ti converrà uscire dalla tua stessa città.. Io ti condurrò innanzi ai principi e ai rettori della Chiesa e del popolo cristiano...». Seppe così che Dio l’aveva investita della missione di sostenere e quasi incarnare quella Chiesa del suo tempo così bisognosa di amore forte, di decisione, e di «riforma». L’umile ragazza illetterata cominciò a riempire il mondo dei suoi messaggi, di lettere lunghissime dettate con una impressionante velocità, spesso tre o quattro contemporaneamente e su argomenti diversi, senza confondersi e senza che i segretari riescano 14


a mantenere il suo ritmo: lettere che portano tutte la celebre chiusa appassionata: «Gesù dolce, Gesù Amore», e che spesso iniziano con quelle formule che ricordano gli scrittori Sacri: «Io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù, scrivo a voi nel prezioso Sangue Suo...». In certi antichi codici miniati, si vedono i destinatari che ricevono la lettera in ginocchio e a mani giunte. Francesco De Sanctis definì le 381 lettere che ci sono rimaste: «il codice d’amore della cristianità». Ciò che più impressiona in esse è la forza e la frequenza di un verbo: «io voglio». Già nella prima lettera, scritta al Legato pontificio in Italia, si esprime con tale determinazione: «Or così voglio, Padre mio, Legato del nostro Signor Papa, che siate sollecito e non negligente in quello che avete a fare...» (Lettera 1). Qualcuno dice che questo risoluto «io voglio» lei lo usi, durante le estasi, perfino con Cristo. Quando comincia la sua più impegnativa corrispondenza, quella col papa Gregorio XI per convincerlo a tornare a Roma, usa formule piene di tenerezza e tuttavia non è meno decisa: «Voglio che siate quello e buono pastore, che se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tutte a darle per onore di Dio e per salute delle creature... Virilmente, e come uomo virile seguitando Cristo, di cui vicario siete... Su dunque, Padre, e non più negligenzia!» (Lettera 185). «Dicovi da parte di Cristo... che nel giardino della Santa Chiesa voi ne traggiate li fiori puzzolenti, pieni di immondizia e di cupidità, enfiati di superbia, cioè li mali pastori e rettori che attossicano e imputridiscono questo giardino... Io vi dico, Padre in Gesù Cristo, che voi venite tosto, come agnello mansueto. Rispondete allo Spirito Santo che vi chiama. Io vi dico... venite, venite e non aspettate il tempo, ché il tempo non aspetta voi» (Lettera 206). 15


Lettere di fuoco

Quasi impersonando la Chiesa Sposa e Madre, ella continua a chiedere al Pontefice di esserle «uomo virile, senza veruno timore». Quando esagera nelle espressioni, si scusa ma non indietreggia: «Ohimè, ohimè, babbo mio dolcissimo, perdonate alla mia presunzione, di quello ch’io vi ho detto e dico: son costretta dalla dolce prima verità di dirlo... Io, se fussi in voi, temerei che il Divino giudicio non venisse sopra di me...» (Lettera 255). Con lo stesso tono e stile scrive anche a prìncipi e regnanti. A Bernabò Visconti, signore di Milano, che prepara la ribellione al Papa, scrive con foga una lunga lettera per insegnargli a mantenere innanzitutto «la signoria della città nell’anima vostra»: gli parla dell’amore di Dio, del sangue di Gesù e del Papa che lo amministra («Eziandio se fusse dimonio incarnato 16


io non debbo alzare il capo contro a lui...»). Gli minaccia la morte eterna e conclude: «Amate e temete Cristo Crocifisso: nascondetevi nelle piaghe di Cristo Crocifisso: disponetevi a morire per Cristo Crocifisso» (Lettera 28). Alla regina di Napoli che parteggia per l’antipapa scriverà: «Ohimè pianger si può sopra di voi come morta, morta nell’anima e morta al corpo, se non uscite da tanto errore» (Lettera 317). E al re di Francia: «Fate la volontà di Dio e la mia». La missione di Caterina diventa quella di pacificare le città e la Chiesa: condizione ineliminabile è il ritorno del Pontefice a Roma; ma ella sa di dover incarnare personalmente il travaglio necessario. Pregando per il Papa che tarda a decidersi, ella dice al Padre celeste: «Concedi, o Dio eterno..., che il Vicario tuo non attenda ai consigli della carne e... che non spaurisca per niuna avversità. Se la tardanza sua, o Amore eterno, ti dispiace, punisci per quella il corpo mio che io te l’offro e rendo» (Oratio III). Ella sa che, in un modo misterioso, le sofferenze e i destini della Chiesa la riguardano: durante una visione ha visto Cristo che «mi dava la croce in collo e lo ulivo in mano e così diceva che io lo portassi all’uno e all’altro...». Finalmente ella poté recarsi di persona ad Avignone e vi incontrò subito lo scherno dei Cardinali: «Essendo tu povera donnicciola (cum sis vilis femella...), come ti arroghi di parlare di un simile argomento col nostro Signor Papa?». Ma non sapevano di aver a che fare con una che li poteva contemporaneamente amare e onorare con tutto il cuore per la dignità e il sacerdozio di cui erano rivestiti, ma non temeva anche di definirli «servi del Dimonio» quando ostacolavano la volontà 17


di Dio e la sua missione. E il Papa ascoltava Caterina; per fermarlo gli fecero giungere una falsa lettera - a nome di un santo personaggio allora assai celebre: quel beato Pietro d’Aragona che aveva rinunciato al regno per farsi frate francescano - in cui si avvertiva il Pontefice di non tornare in Italia se non voleva venire avvelenato: sulle mense che il Papa avrebbe incontrato nel suo viaggio il veleno era già stato predisposto! La risposta di Caterina fu tagliente e l’ardore vi si mescolò con l’ ironia: «A me non pare che sapesse bene l’arte colui che la fece... Parmi che egli abbia saputo meno di un bambolo. Anche un bambino infatti sa che del veleno se ne trova così alle tavole d’Avignone e dell’altre città, come a quelle di Roma... e largamente, secondo che gli piacesse al compratore». E terminava: «Concludo che la lettera mandata a voi non esca da quello servo di Dio, ma credo che ella venga ben da presso e dai servi del Dimonio, che poco temono Dio». In questa occasione ella giunse fino a dire al Papa, pur con tanto rispetto e tenerezza, che non facesse il bambino: «E io vi prego da parte di Cristo Crocifisso che voi non siate fanciullo timoroso, ma virile» (Lettera 239). Il parere contrario della quasi totalità dei Cardinali (21 su 26 erano francesi!), che s’affannavano a sconsigliare il ritorno in Italia, Caterina lo liquidava con un solo giudizio: «Parmi che il consiglio dei buoni attenda solo all’onore di Dio, alla salute delle anime e alla reformazione della Santa Chiesa e non ad amore proprio di loro... perocché il consiglio loro va colà dov’hanno l’amore» (Lettera 231). Finalmente, nel settembre 1376, Gregorio XI, l’ultimo papa di nazionalità francese, decise il grande passo e 18


si mise in viaggio verso Roma. Ma contrariamente a quanto hanno significativamente immaginato pittori e scultori (che mostrano Caterina che precede il corteo papale reggendo la briglia del palafreno), la Santa non lo accompagnò a Roma; si ritirò invece in un suo romitorio di Siena. Da lì continua ad accorrere dovunque c’è bisogno di pace e di grazia di Dio. Nicolò di Toldo

Celebri sono le sue visite importune ma efficaci a pubblici peccatori induriti o a violenti irriducibili o a condannati a morte, disperati. Non c’è chi non conosca l’episodio, riportato in tutte le antologie, di Nicolò di Toldo, il condannato a morte che Caterina aiutò a morire come si aiuta un figlio a nascere. Nicolò era un gentiluomo perugino, condannato alla pena capitale «per alcuna parola che incautamente avea detta che toccava lo Stato». Non per nulla aveva parlato contro coloro che si facevano chiamare «Magnifici Signori e Padri, Difensori del Popolo della città di Siena». Era stato anche troppo facile accusare quello «straniero» di spionaggio. Dice un testimone del tempo: «Per la prigione egli andava come uomo disperato, non volendosi confessare, né udire né frate né prete che li dicesse cosa che appartenesse alla sua salute. Alfine fu mandato per questa vergine, la quale con grandissima carità l’andò a trovare in prigione». Ciò che accadde è la stessa Caterina a raccontarlo in una pagina che - secondo il Tommaseo - «congiunge la terribilità di Michelangelo con la soavità dell’Angelico»: «Andai a visitare colui che sapete: ond’egli ricevette tanto conforto e consolatione che si confessò..., menailo udire la Messa; e ricevette la 19


Santa Comunione, la quale mai più aveva ricevuto... e dissi: ‘Confortati, fratello mio dolce, perocché tosto giungeremo alle nozze. Tu v’andrai bagnato dal sangue dolce del Figliolo di Dio, col dolce nome di Gesù, il quale non voglio che t’esca mai dalla memoria. E io t’aspetto al luogo della giustizia...’». Infatti lo attese al patibolo, all’alba di quel terribile giorno. «Aspettailo, dunque, al luogo della giustizia, e aspettai ivi con continua orazione... Poi egli giunse come un agnello mansueto: e vedendomi cominciò a ridere e volle che io gli facessi il segno della Croce. Ricevuto il segno, dissi io: ‘Giuso! Alle nozze, fratello mio dolce! ché tosto sarai alla vita durabile’. Posesi giù con grande mansuetudine; e io gli distesi il collo e mi chinai giù e gli rammentai il Sangue dell’Agnello. La bocca sua non diceva se non ‘Gesù e Caterina’. E così dicendo, ricevetti il capo nelle mie mani, fermando l’occhio nella divina bontà, e dicendo: ‘Io voglio’! Allora si vedeva Dio e Uomo, come si vedesse la chiarità del sole. Ma egli faceva un atto dolce, da trarre mille cuori. E non me ne meraviglio, perché già gustava la divina dolcezza. Volsesi come fa la sposa quand’è giunta all’uscio dello sposo suo che volge l’occhio e il capo addietro, inchinando chi l’ha accompagnata e, con l’atto, dimostra segni di ringraziamento... Riposto che fu, l’anima si riposò in pace e in quiete, in tanto odore di sangue che io non potevo sostenere di levarmi il sangue che m’era venuto addosso, di lui. Ohimè, misera miserabile, non voglio dir di più. Rimasi nella terra con grandissima invidia...» (Lettera 273).

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Il Libro

Intanto nei pochi anni che scorrono tra il sospirato ritorno del Papa a Roma e il Grande Scisma, che nuovamente impegnerà Caterina nella lotta per la Chiesa, nasce in brevissimo tempo, ma preparata da tutta la vita, quell’opera che farà di lei un Dottore della Chiesa. La Santa lo chiamò semplicemente, ma in forma quasi assoluta: «Il Libro». Dice il suo biografo: «La Santa Serva di Dio fece una mirabile cosa, cioè un Libro il quale è di volume di un messale, e questo fece tutto essendo essa in astrazione, perduti tutti li sentimenti, salva la lingua. Dio Padre parlava ed ella rispondeva, ed ella medesima recitava la parola di Dio Padre detta a lei e anche le sue medesime che ella diceva e domandava a Lui... Ella diceva e uno scriveva: quando ser Balduccio, quando el detto donno 21


Stefano, quando Neri di Landuccio. Questo a udire pare che sia cosa da non credere, ma a coloro che lo scrissero e udirono nollo pare così, e io so’ uno di quegli». Sono 167 capitoli strutturati attorno a quattro domande che Caterina rivolge al Padre celeste, «con ansietato desiderio». La prima domanda è «misericordia per Caterina»: e Dio risponde aiutandola «col cognoscimento di te e di me», immergendola cioè nella luce abbagliante di chi finalmente comprende di essere «nulla» davanti al «tutto» che è Dio, eppure scopre con stupore infinito che di questo piccolo nulla Dio è da sempre innamorato. La seconda domanda è: «Misericordia per il mondo»; la terza è: «Misericordia per la Santa Chiesa». Caterina chiedeva che il Padre «tollesse le tenebre e la persecuzione» e di poter portar lei il peso di ogni iniquità. La quarta domanda è «provvidenza per tutti». Ad ogni domanda dunque Dio Padre risponde lungamente e tutta la dottrina cristiana vi si dipana nei suoi vari aspetti teologici, morali e ascetici. Ciò che il divin Padre soprattutto dice è che la misericordia è già stata donata quando «volendo rimediare a tanti mali v’ho dato il Ponte del mio Figliolo, acciò che passando il fiume non annegaste, il quale fiume è il mare tempestoso di questa tenebrosa vita». Con l’immagine del «Ponte», Caterina attualizza l’affermazione di Cristo che ha detto: «Io sono la via»; è Lui dunque che ci permette di «passare 1’amaritudine del mondo». Ecco come un commentatore descrive la visione cateriniana di questo Cristo disteso tra cielo e terra: «Il ponte è Gesù stesso che resta immobile, disteso sul duro 22


tronco della croce, con le tappe obbligate dei piedi squarciati dai chiodi, con il costato aperto dalla lancia e la bocca tremante nella esalazione dell’ultimo respiro». Si sale, dunque, dal mondo al Padre, «percorrendo» con adorazione il corpo di Cristo, con un triplice bacio: ai piedi, al «segreto del cuore», alla «bocca dell’amore crociato per noi». Così, verso la fine del Trecento, Caterina completava ciò che Dante aveva cominciato all’inizio del secolo: dimostrare che il volgare poteva essere anche il linguaggio della teologia e della mistica. Aveva appena finito di descrivere l’amore provvidenziale con cui il Padre guardava il mondo e la sua Chiesa, che la terra si frantumò nel Grande Scisma. 23


La cristianità divisa

Due papi vennero eletti dagli stessi cardinali e la cristianità si spaccò in due, e per quarant’anni il dubbio sul legittimo pastore devasterà la Chiesa. Caterina chiamata a Roma da Urbano VI, il vero Papa, lo sostenne a spada tratta contro ogni dubbio e ogni tentennamento, giungendo fino a rivolgere una esortazione a un concistoro pubblico di cardinali. «Or ecco fratelli miei - concluse Urbano VI - quanto noi siamo degni di riprensione al cospetto di Dio: quanto noi siamo cotanto timidi, come vedete, questa femminetta confonde noi. Io non dico femminetta a lei per suo disprezzo, ma per ragione del sesso, il quale, naturalmente, è fragile. Costei dovrebbe dubitare quando noi fossimo ben sicuri, ed è sicura dubitando noi, e conforta noi con le sue sante persuasioni. Questa è sua gloria e nostra confusione». Dicono i biografi che si potrebbe ricostruire quasi mese per mese l’attività che Caterina svolse a favore del Papa: lettere e messaggeri inviati a quasi tutti i regnanti d’Europa; consigli al Pontefice per un totale rinnovamento della curia, e soprattutto il tentativo di far stringere attorno al Papa quella che lei chiamava «la compagnia dei buoni» (Lettera 305). Infatti Urbano VI si decise (con una Bolla del 13 dicembre 1378) a chiedere l’aiuto spirituale dei fedeli e Caterina stessa la inviò, accompagnandola con un suo scritto, a tutte le personalità spirituali di sua conoscenza, chiedendo loro di schierarsi esplicitamente a favore di Urbano VI. E non fu affatto tenera con quei sant’uomini che si defilavano con la scusa di doversi dedicare alla contemplazione. Contemporaneamente ella, con sano realismo, si rendeva conto che il carattere impetuoso e violento 24


di papa Urbano non facilitava la riconciliazione. Di lui, scrisse Ludovico A. Muratori, che «sarebbe stato il personaggio del proprio tempo più meritevole di essere papa... se non fosse stato papa». Gli scriveva Caterina: «Perdonatemi, ché l’amore mi fa dire quello che forse non bisogna dire. Perocché so che dovete cognoscere sì la condizione dei figlioli vostri romani, che si traggono e si legano più con dolcezza che con altra forza o asprezza di parole...» (Lettera 370). E con delicatezza, il giorno di Natale, regalò al Pontefice cinque melarance piene di confettura, lavorate secondo un’antica ricetta senese: ne approfittò per spiegare al Papa come un frutto naturalmente aspro possa riempirsi di dolcezza in modo da corrispondere al suo rivestimento dorato: «La melarancia che in sé pare amara e forte, trattone quello che v’è dentro, e mettendola in mollo, l’acqua ne trae l’amaro; poi si riempie con cose confortative e di fuore si copre d’oro... Or così dolcemente, santissimo Padre, produceremo frutto senza la perversa amaritudine» (Lettera 346). Dicono gli storici che di fatto Caterina «obbligò il mondo a riconoscere papa Urbano VI». Intanto, benché non avesse ancora trentatré anni, lei era distrutta dalla fatica e dalla passione. Sapeva di dover offrire soprattutto se stessa. Pregava: «O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della mia vita in questo corpo mistico della Santa Chiesa. Io non ho che da dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il mio cuore dunque e premilo sopra la faccia di questa Sposa» (Lettera 371).

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Durante la quaresima del 1380, benché quasi non potesse più camminare, fece il voto di recarsi ogni giorno a San Pietro. Scrive al suo confessore: «Quante necessità vediamo nella Santa Chiesa che in tutto la vediamo rimasta sola». Per questo ogni mattina va a fare compagnia allo Sposo, anch’Egli abbandonato, anche se è così sfinita che devono sostenerla lungo la strada. Dice: «Con questi e altri modi che non posso narrare si consuma e distilla la vita mia in questa dolce Sposa, io per questa via e i gloriosi martiri col sangue». Sa che sta sperimentando un vero martirio. E quell’ultimo faticosissimo pellegrinaggio quotidiano è ormai un simbolo: quando giunge nella Basilica che rappresenta il cuore della cristianità, ogni mattina si ferma davanti al mosaico disegnato da Giotto (che allora era al centro sul frontone del porticato), che raffigura la scena evangelica della navicella sbattuta dalle onde in tempesta, simbolo della Chiesa che sembra sì andare alla deriva, ma che nulla può sommergere. Era un’immagine che piaceva molto 26


a Caterina: spesso aveva scritto nelle sue lettere: «pigliate la navicella della Santa Chiesa» (Lettera 357). Così anche descrive sinteticamente, con una impressionante forza espressiva, quegli ultimi giorni della sua vita: «Quando egli è l’ora della terza, e io mi levo dalla messa, e voi vedreste andare una morta a San Pietro; ed entro di nuovo a lavorare nella navicella della Santa Chiesa. Io me ne sto così infino presso all’ora del vespero, e di quello luogo non vorrei uscire né dì né notte, infino che io non veggo un poco fermato e stabilito questo popolo col Padre loro. Questo corpo sta senza veruno cibo, eziandio senza una gocciola d’acqua, con tanti dolci tormenti corporali, quanto io portassi mai per veruno tempo: intanto che per uno pelo ci sta la vita mia. Ora non so quello che la divina Bontà si vorrà fare di me, ma quanto al sentimento corporale, mi pare che questo tempo io il debba confermare con un nuovo martirio nella dolcezza dell’anima mia, cioè nella Santa Chiesa: poi, forse che mi farà resuscitare con Lui; porrà fine e termine sì alle mie miserie e sì a’ crociati desiderii... Ho pregato e prego la sua misericordia che compia la sua volontà in me...» (Lettera 373). Così Caterina passò la sua ultima quaresima: soffrendo assieme a quella Chiesa che chiama «dolcezza dell’anima mia» e aspettando, assieme a lei, il dono della resurrezione. Non riuscì a completare il suo voto; la terza domenica di quaresima si accasciò davanti al Mosaico, mentre s’era fermata lì in preghiera; le sembrò – disse - che tutto il peso di quella navicella e dei peccati che portava fosse addossato sulle sue fragili spalle. La condussero nella sua celletta in via del Papa (anche i particolari hanno una loro tenerezza) e lì restò immobile per circa otto settimane in una lunghissima agonia. La domenica che precedeva l’Ascensione tutti ebbero l’impressione che subisse una lotta indicibile. 27


L‛ultima battaglia

La udirono ripetere a lungo: «Dio abbi pietà di me, non mi togliere la memoria di te», poi ancora: «Signore vieni in mio aiuto, affrettati Signore ad aiutarmi!». E infine, come se discutesse con un accusatore: «Vanagloria? No, ma soltanto vera gloria in Cristo». Morì l’ultima domenica di aprile, a trentatré anni, alle tre del pomeriggio dopo aver invocato ad alta voce quel «sangue» di Cristo di cui aveva sempre desiderato d’essere totalmente bagnata e dicendo come il Crocifisso: «Padre nelle tue mani affido il mio spirito» (Legenda Maior 365ss). Le dedicarono tre funerali: uno voluto dal Papa, uno voluto per Decreto civico dal Senato di Roma, e uno voluto dall’Ordine domenicano. Doveva predicare quel famoso teologo agostiniano che Caterina aveva convertito e chiamato a sé - padre Giovanni Tantucci - il quale l’aveva assistita in punto di morte. Ma non riuscì a dir nulla. Balbettò soltanto: «Non riesco a parlare. Ma non importa. Caterina parla da se stessa!».

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Preghiere di Santa Caterina SPIRITO, VIENI NEL MIO CUORE

Spirito Santo, vieni nel mio cuore, e per la tua potenza trailo a te, Dio, e dammi carità con timore. Guardami, Cristo, da ogni mal pensiero; riscaldami e infiammami del tuo santissimo amore, sì che ogni pena mi paia leggera. Santo mio Padre e dolce mio Signore, ora aiutami in ogni mia necessità. Cristo amore, Cristo amore. Amen. Preghiera che Caterina stessa scrisse di suo pugno, dopo aver imparato miracolosamente a scrivere.

LODE ALLO SPIRITO SANTO

O Spirito santo, abisso di carità, tu sei fuoco che sempre arde e non si consuma: tu sei pieno di letizia e di leggerezza. Al cuore che viene colpito da questa fiamma, ogni amarezza pare dolce e leggero ogni grande peso. O dolce amore, che pasci e nutri la nostra anima! O Spirito santo, in realtà il tuo fuoco arde e consuma: distrugge e dissolve ogni difetto, ignoranza e negligenza presente nell’anima. Il tuo amore non è inattivo, anzi opera grandi cose! 29


PER LA CHIESA

O Padre eterno, i servi tuoi chiamano a te misericordia: rispondi loro dunque. Io so bene che la misericordia ti è propria, e però non la puoi togliere si che tu non la dia a chi te la domanda. Essi bussano alla porta della Verità tua, l’unigenito tuo Figlio. Dunque apri, disserra e spezza i cuori induriti delle tue creature; non per loro che non bussano, ma fallo per la tua infinita bontà e per amore dei servi tuoi che bussano a te per loro. E che cosa chiedono? Il sangue di Cristo, porta e Verità tua; perché nel sangue tu hai lavato le iniquità del peccato di Adamo. Il sangue è nostro perché ce ne hai fatto bagno; onde non puoi né vuoi disdire a chi te lo domanda. Da’ dunque il frutto del sangue alle tue creature, poni nella bilancia il prezzo del sangue del tuo Figliolo, acciocché i demoni infernali non rubino le tue pecorelle. Oh! tu sei pastore buono, che ci desti il Pastore vero unigenito tuo Figliolo, il quale, per l’obbedienza tua, pose la vita per le tue pecorelle e del sangue ci fece bagno. Questi è quel sangue che ti domandano come affamati i servi tuoi, per il qual sangue domandano che tu faccia misericordia al mondo e rifiorisca la santa Chiesa tua di fiori odoriferi, di buoni e di santi pastori.

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MARIA, TEMPIO DELLA TRINITA’

O Maria, Maria, tempio della Trinità. Maria portatrice del fuoco. Maria, terra fruttifera. Tu, Maria, sei quella pianta novella, dalla quale abbiamo ricevuto il fiore odorifero del Verbo unigenito Figliolo di Dio, perché in te fu seminato questo Verbo. Tu sei la terra e sei la pianta. O Maria, carro di fuoco, tu portasti il fuoco, nascosto e velato sotto la cenere della tua umanità... O Maria, io vedo che questo Verbo, dato a te, è in te; e nondimeno non è separato dal Padre... In tutto questo si dimostra la dignità dell’uomo, per il quale Dio ha operato tante e così grandi cose... In te ancora, o Maria, si dimostra oggi la fortezza e la libertà dell’uomo, perché dopo che l’Angelo fu mandato a te per annunciarti il mistero del consiglio divino, non discese nel ventre tuo il Figliolo di Dio prima che tu acconsentissi con la tua volontà. Egli aspettava alla porta della tua volontà che tu gli aprissi, perché voleva venire in te; e giammai vi sarebbe entrato, se tu non gli avessi aperto... Bussava, o Maria, alla tua porta la deità eterna; ma, se tu non avessi aperto, Dio non si sarebbe incarnato in te... A te ricorro, Maria, a te offro la mia supplica per la dolce sposa di Cristo e per il suo vicario in terra, affinché gli sia dato lume per reggere con discernimento e prudenza la Santa Chiesa. O Maria, oggi la terra ha germinato per noi il Salvatore

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DAL DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA

Dio, abisso di carità Signore mio, volgi l’occhio della tua misericordia sopra il popolo tuo e sopra il corpo mistico della santa Chiesa. Tu sarai glorificato assai più perdonando e dando la luce dell’intelletto a molti, che non ricevendo l’omaggio da una sola creatura miserabile, quale sono io, che tanto t’ho offeso e sono stata causa e strumento di tanti mali. Che avverrebbe di me se vedessi me viva, e morto il tuo popolo? Che avverrebbe se, per i miei peccati e quelli delle altre creature, dovessi vedere nelle tenebre la Chiesa, tua Sposa diletta, che è nata per essere luce? Ti chiedo, dunque, misericordia per il tuo popolo in nome della carità increata che mosse te medesimo a creare l’uomo a tua immagine e somiglianza. Quale fu la ragione che tu ponessi l’uomo in tanta dignità? Certo l`amore inestimabile col quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei innamorato di lei. Ma poi per il peccato commesso perdette quella sublimità alla quale l’avevi elevata. Tu, mosso da quel medesimo fuoco col quale ci hai creati, hai voluto offrire al genere umano il mezzo per riconciliarsi con te. Per questo ci hai dato il Verbo, tuo unico Figlio. Egli fu il mediatore tra te e noi. Egli fu nostra giustizia, che punì sopra di sé le nostre ingiustizie. Ubbidì al comando che tu, Eterno Padre, gli desti quando lo rivestisti della nostra umanità. O abisso di carità! Qual cuore non si sentirà gonfio di commozione al vedere tanta altezza discesa a tanta bassezza, cioè alla condizione della nostra umanità? Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per l’unione che hai stabilito fra te e l’uomo, velando la divinità eterna con la povera nube dell’umanità corrotta di Adamo. Quale il motivo? Certo l’amore. Per questo amore ineffabile ti prego e ti sollecito a usare misericordia alle tue creature (Cap. 13) 32


Ringraziamento alla Trinità O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu. Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce. Io ho gusto e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti. Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore ed io creatura; ed ho conosciuto perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura. O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità. Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini. Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna! (cap. 167) 33


Pensieri Nascondetevi sotto le ali della misericordia di Dio: egli è più capace di perdonare di quanto voi lo siate di peccare. Cristo è il ponte, l’unico ponte, cha va dalla terra al cielo. Fuori di lui è l’abisso. L’ora di fare il bene è subito. Dobbiamo porre in guardia il cane della coscienza in modo che, quando passa il nemico, sentendo gli abbai. Alzate il gonfalone della santissima Croce e vedrete i lupi diventare agnelli. Il sole batte nelle pozzanghere, eppure non si sporca. Chi soffre e tace, grida: col grido della pazienza. Da una persona tu puoi avere quanto ama e non più. O Maria, benedetta sia tu fra tutte le femmine, nei secoli dei secoli, che oggi tu ci hai dato della farina tua. Oggi la verità è unita e impastata con l’umanità nostra. Vedete quanto Dio vi ama, che la lingua vostra non lo potrebbe narrare, né il cuore pensare, né l’occhio vedere quante sono le grazie sue sopra di voi. Siate grato e riconoscente in modo che non si secchi in voi la fonte della pietà. Non aspettate il tempo, perché il tempo non aspetta voi. Se voi sarete nella santa fede, mai nel vostro cuore ci sarà tristezza! Perché la tristezza non procede da altro se non dalla fede che noi poniamo nelle creature, perché le creature sono cosa morta e caduca che vengono meno; e il cuore non si può mai riposare se non in cosa stabile e ferma. L’amore è quel dolce e santo legame che lega l’anima al suo creatore; lega Dio all’uomo e l’uomo a Dio. Chi sta nell’odio è privato di Dio e in questa vita prova l’inferno, perché sempre si rode in se stesso. 34


Non aspettate domani, ma vi prego per l’amore di Cristo crocifisso: non sapete se avrete il domani. Vi ricordo che dovete morire e non sapete quando. L’amicizia che ha la sua fonte in Dio non si estingue mai. Il tempo passato non vi appartiene più. Del tempo che verrà non ne potete essere sicuri. Vostro è solamente l’attimo presente. Correte! Correte! Il tempo è breve assai. Ovunque mi volga o Dio, trovo solo l’abisso di fuoco del tuo amore. Non amate Dio per voi stessi, per il vostro tornaconto, ma amate Dio per Dio, perché egli è la suprema bontà degna di essere amata. Dice il Signore: pensa a me e io penserò a te. Poiché tu sei infinito, o Signore, e noi invece siamo finiti, ci dai più di quanto noi possiamo desiderare. La misura dei nostri desideri non equivale mai alla misura con cui tu sai, puoi e vuoi colmarci. Dio si compiace di poche parole e di molte opere. Poiché gli eletti sono uniti nella carità, oltre al Bene universale che tutti insieme possiedono, godono e sono felici anche per la felicità degli altri eletti. La via della perfezione all’inizio è stretta, ma più avanziamo per amore di Dio, più diventa facile e bello camminarvi. Alla virtù della persevaranza sono date la gloria e la corona della vittoria. Per non cadere nell’ozio l’anima deve ricorrere alla preghiera orale, ma non deve separarla dalla preghiera mentale. Mentre pronuncia le parole deve sforzarsi di elevare il suo spirito e dirigerlo verso Dio. 35


Tutte le virtù si provano e si partoriscono nel prossimo, come gli iniqui partoriscono ogni vizio nel prossimo loro. Avete taciuto abbastanza. E’ ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue! Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito. Niente attrae il cuore di un uomo quanto l’amore! Come potrebbe essere altrimenti? Per amore Dio lo ha creato, per amore suo padre e sua madre gli hanno dato la propria sostanza, egli stesso è fatto per amare. Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia. La bontà di Dio permette ai demoni che molestino l´anima nostra per farci umiliare e riconoscere la sua bontà, e ricorrere dentro a lui nelle santissime piaghe sue, come il fanciullo ricorre alla madre. O speranza, dolce sorella della fede, tu ci apri la porta della vita eterna; tu custodisci la mia anima dalla confusione nemica. Sappi che il demonio non vorrebbe altro se non che tu ti scoraggiassi conoscendo le tue miserie, senza altro condimento. Ma la conoscenza di sé vuole essere condita col condimento della speranza nella misericordia di Dio. Per l’uomo valoroso felicità e infelicità sono come la mano destra e la sinistra. Si serve di entrambe. La malizia del demonio fa parere trave una paglia, e una parola che sia detta nel tempo delle battaglie, farà parere un coltello. O inestimabile carità! Ti lasciasti a noi in cibo, affinché, mentre siamo pellegrini in questa terra, non veniamo meno per la stanchezza, ma siamo fortificati da te, cibo celestiale. Il demonio fugge dall´anima che ama, come la mosca dalla pentola che bolle! 36


Per la mia fragilità e per l´astuzia del demonio io sempre temo di poter essere ingannata, poiché so che il demonio ha perduto la beatitudine ma non la sapienza, dalla quale potrei essere ingannata. Ma io mi rivolgo poi all´albero della santissima croce di Cristo crocifisso, e lì i demoni non potranno nulla contro di me. L´uomo che disordinatamente ama, porta la croce del demonio. Se egli acquista diletti, egli li acquista con pena; e avendoli, li trattiene con fatica, per timore di non perderli; e se li perde, ne è crucciato con grandissima impazienza; se, infine, non li può avere, ha pena perché li vorrebbe. A una pubblica peccatrice, residente a Perugia: Io piango e mi dolgo, figliola mia, che tu, creata e immagine e similitudine di Dio, ricomprata dal prezioso sangue suo, non guardi alla tua dignità, né al grande prezzo che fu pagato per te. Ti sei fatta schiava del peccato; hai preso per signore il demonio: e a lui servi il giorno e la notte. Non voler essere più membro del diavolo ché, col laccio suo, ti sei posta a pigliare le creature. Non basta il male che tu fai per te; pensa a quanti sei motivo tu di fare andare all´inferno! Non dico nulla di più. Ama Cristo crocifisso, e pensa che tu devi morire e non sai quando. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesú dolce, Gesú amore. Maria dolce madre. Sconfiggiamo il demonio, con la sua eterna perversa sete di male; e col pensiero cacciamo il pensiero, cioè con pensieri di Dio cacciamo quelli del diavolo. La bontà di Dio permette ai demoni che molestino l’anima vostra per farci umiliare e riconoscere la sua bontà, e correre dentro di Lui, nelle dolcissime piaghe sue, come un fanciullo ricorre alla madre... Cerchiamo il cielo! Noi non fummo fatti per nutrirci di terra.

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Non è buono il cavaliere se non si prova sul campo di battaglia: così l’anima vostra si deve provare con la battaglia delle molte tribolazioni; e quando si vede fare buona prova di pazienza, e per impazienza non volta indietro il capo scandalizzandosi di quello che Dio permette, allora può godere ed esultare, e con perfetta allegrezza aspettare la vita durabile... Se Dio non ci avesse creati per darci a godere l’eterna visione e se non ci amasse inestimabilmente, non ci avrebbe dato siffatto ricompensatore, l’umile e immacolato Agnello...” Voi sapete che per i molti peccati mortali siamo in odio e in dispiacere di Dio; fatta è la guerra con Lui. Ma è anche vero che, poichè questo Agnello ci diede il Sangue, noi possiamo fare questa Pace: onde se ogni dì cadessimo in guerra, ogni dì possiamo fare la pace... Altro è il giudice umano e altro è il Giudice divino. Dinnanzi a Lui non ci si può appellare, nè avere avvocati, nè procuratori, poichè il Giudice vero ha fatto suo avvocato la coscienza, che da sè stessa, in quell’estremo giudizio, giudica se essere degna della dannazione... Di me non si può vedere nè contare altro che somma miseria, essendo io ignorante e di basso intendimento. Ogni altra cosa proviene dalla Somma ed eterna Verità: a Lui attribuitela e non a me! L’anima non deve mai deprimersi, per nessuna tentazione che abbia, nè lasciare mai nessun esercizio o ufficio o altra cosa. E se non potesse fare altro, almeno dovrebbe stare dinnanzi alla Croce e dire: Gesù, io confido in te. Figliuolo, non fare più resistenza allo Spirito Santo che ti chiama e non disprezzare l’amore che di te ha Maria, nè le lacrime e le preghiere che sono rivolte all’Agnello per la tua salvezza.

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Se volete sapere cosa voglia la dolce volontà di Dio, domandatelo a san Paolo, che dice che Dio non vuole altro che la nostra santificazione. E ciò che Egli ci da o permette a noi, sia pena o infermità, qualunque esse siano, Egli le permette con grande mistero, per la nostra santificazione e la necessità della salute nostra... Senza il lume della fede, cammineremmo nelle tenebre, come il cieco, che non vede anche di giorno. L’Amore non s’acquista se non con l’amore. Colui che vuole essere amato, prima gli conviene amare, cioè avere la volontà d’amare. Ed è condizione dell’Amore, che quando la creatura si vede amare, subito ama... Vi prego che sempre nutriate e alleviate i vostri figlioli nel santo timor di Dio, che non è spavento! Non attendete solamente ai corpi loro, essi si decomporranno nel loro tempo, ma rivolgete l’attenzione alla salute delle loro anime: sappiate che Dio ve ne richiederà conto nell’ultimo giorno. Molti vogliono andare avanti, e non dietro al dolce amoroso Verbo, facendo a modo loro una nuova via, volendo cioè servire Dio e avere la virtù senza faticare. Ma essi s’ingannano, perchè Lui solo è la Via. La Carità è un albero d’amore: il midollo suo è la pazienza e la benevolenza del prossimo. La mercanzia della ricchezza delle virtù s’acquista in un altra bottega: il conoscimento di sè! Assai triste è colui che, potendo avere fuoco, finisce per propria scelta di morire di freddo, come chi avendo cibo si lascia morire di fame innanzi una tavola imbandita! Prendete, prendete il Cibo vostro! Prendete Cristo, dolce Gesù, crocifisso. Il prossimo vostro è quella cosa che è più amata da Dio.

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Ingrassi l’anima tua in questa bontà di Dio: Il Padre t’è mensa, il Figliolo t’è cibo, lo Spirito Santo ti serve, e ti fa letto di sè (cioè ti accoglie nella sua pace). Il cuore e l’affetto che è colmo dei piaceri terreni e dell’amore di sè, non si può riempire di Cristo crocifisso. Si levi il cuore, con ogni movimento, ad amare colui che ama senza essere amato. Se Dio ci permette la ricchezza è perchè ne siamo dispensatori ai poveri... Conviene che l’uomo che ha a governare gli altri, signoreggi e governi prima sè stesso...Come potrebbe infatti un cieco essede di guida? Nella dolce Sposa di Cristo (la Chiesa) voglio terminare la vita mia, con lacrime, con sudori e con sospiri e dare il sangue e la midolla dell’ossa! E se tutto il mondo mi cacciasse io non me ne curerò, riposandomi con pianto nel petto della dolce Sposa.

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Luoghi Cateriniani a Siena Basilica Cateriniana di San Domenico Piazza San Domenico, 1 – 53100 Siena tel. 0577.280893 - www.basilicacateriniana.com email: info@basilicacateriniana.com Vi è custodita la reliquia della Sacra Testa, portata da Roma a Siena dal Beato Raimondo da Capua nel 1383. Gran parte della vita mistica di Santa Caterina si è svolta tra le mura di questa maestosa Basilica. Casa – Santuario di Santa Caterina Via Costa Sant’Antonio n.6 – 53100 Siena Tel. 0577.288175 Vi si accede attraversando il Portico dei Comuni (si chiama così perché ogni comune d’Italia contribuì alla sua costruzione). Vi è custodito il Crocifisso delle Stimmate, insieme a molte reliquie della Santa. Attorno al focolare della casa di Caterina è stato edificato un artistico Oratorio. Oratorio di Santa Caterina della Notte P.zza Duomo, 2 - 53100 Siena Tel. 0577.224811 Inserito nel percorso museale di Santa Maria della Scala è il luogo dove ancora oggi ha sede la Confraternita di Santa Caterina della Notte; è ricordato perché la Santa era solita recarsi qui a riposare dopo aver prestato assistenza volontaria ai malati dell’omonimo ospedale. Vi è Custodita una statua che la ritrae sdraiata. Istituto Senese di Studi Cateriniani Via Camporegio 2 -53100 Siena; Tel.: 0577.280893; Sito web: www.basilicacateriniana.com

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Luoghi Cateriniani a Roma Basilica Santa Maria sopra Minerva piazza della Minerva, 42 - 00186 Roma Tel. 06.6990339 Cappella del Transito Piazza Santa Chiara 14 – 00186 Roma Centro Internazionale di Studi Cateriniani Piazza di Santa Chiara, 14 - 00186 Roma Tel e Fax: 06.6864408 - www.centrostudicateriniani.it email:biblioteca@centrostudicateriniani.it; cnsc.biblioteca@libero.it Monastero del Santo Rosario di Monte Mario ospita una comunità di clausura di monache domenicane. Qui è conservata la reliquia di una mano di Santa Caterina. Chiesa di Santa Caterina da Siena in Magnanapoli Via Magnanapoli - 00187 Roma dalla seconda metà del Cinquecento ospitò una comunità claustrale fondata dalle discepole della Santa. Attualmente nella parte che rimane del monastero, compresa la chiesa, ha sede l’Ordinariato militare d’Italia. Arciconfraternita di Santa Caterina a Roma Via Monserrato, 111 - 00186 Roma Tel. 06.6864236 Chiesa di Santa Caterina a Roma Chiesa dell’Arciconfraternita Via Giulia - 00186 Roma

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Luoghi Cateriniani a Pisa Chiesa di Santa Cristina Lungarno Gambacorti – 56100 Pisa In questa chiesa Caterina da Siena ricevette le Sacre Stigmate il 1 Aprile 1375 mentre, inginocchiata, pregava davanti al crocifisso. Nel 1563 questo crocifisso in legno venne portato a Siena. E’ ora conservato nella chiesa della Casa-Santuario.

ISTITUTI RELIGIOSI DI ISPIRAZIONE CATERINIANA Congregazione delle Suore Domenicane Missionarie di San Sisto Fondatrice: Madre Maria Antonia Lalìa. Congregazione sorta nel 1893, per la formazione della gioventù e l’impegno nel campo ecumenico. Via Druso 2 - 00184 Roma - tel. 06-70.49.44.10 email: san.sisto@tiscali.it 43


Unione Santa Caterina da Siena delle Missionarie della Scuola Fondatrice: la Serva di Dio Madre Luigia Tincani. Carisma: Apostolato intellettuale, in conformità all’ideale domenicano “contemplari et contemplata aliis tradere”, attuato prevalentemente attraverso l’insegnamento nelle scuole di Stato, e ogni altra forma rispondente alle esigenze dei luoghi e dei tempi. Via Appia Antica 226 - 00178 Roma Tel. 06/784411; email: miscuol@tin.it. Congregazione delle Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena Fondatrice: Savina Petrilli Via Baroncelli, 53100 Siena Casa Generalizia: L.go don L. Guanella, 3 - 00163 Roma tel. 06/6622261 - Sito web: www.sorelledeipoveriscs.it Congragazione Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena Fondatrice: Madre Gérine Fabre Carisma: Predicazione della Parola di Dio, opere educative e sanitarie, sull’esempio di Gesù che “passò beneficando e sanando tutti”. Casa Generalizia: Via Massimi 114/B -00136 Roma Tel. 06.97.84.53.01 E-mail : com.montemario@pcn.net Sito web: www.suore-domenicane.pcn.net Congregazione Suore di San Giovanni Battista e di Santa Caterina da Siena “Medee” Fondatrice: Camilla Medea Ghiglino Patellani Carisma: In comunione per servire. Una vita di comunione che trova la sua origine nella Trinità e nel suo piano salvifico attuato in Gesù alla maggior gloria di Dio. Formazione umana e cristiana. Catechesi. Via Bartolomeo Eustachio, 18 - 00161 Roma Tel. 06/4402716 – email: segreteriagen@medee.it Sito web: www.medee.it 44


ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE CATERINATI Riconosciuta dalla Santa Sede con Decreto Pontificium Consilium pro Laicis 15 agosto 1992 n. 1178

Via del Tiratoio, 8 - 53100 Siena tel. 0577/247393 www.santacaterinadasiena.it - www.caterinati.org email: associazione_caterinati@virgilio.it Sedi locali in Italia Catania - Firenze - Genova - La Spezia - Milano - Pisa Prato - Rapolano Terme (SI) - Roma - Sant’Arsenio (SA) S. Pietro al Tanagro (SA) - Siena - Taggia (IM) - Trieste Varazze (SV). Per contatti consultare il sito: www.caterinati.org

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PARROCCHIE DEDICATE A SANTA CATERINA DA SIENA

Ardea (RM) via delle Scalette 19 – 06/9137375 Bisceglie (BA) - via S. Caterina, 9 – Tel. 080/3922131 Campiglia Marittima (LI) Castelnuovo Berardenga (SI) P.za Martin Luter King Donnalucata di Scicli (RG) - 0932/937261 Borgo Cascino di Enna (EN) P.za dei Martiri – 0934/401134 Firenze (FI) via del Mezzetta,1 – 055/601575 Forlì (FO) Via Gervasi, 26 – 0543/65170 Gorreto (GE) Fraz. Capoluogo, 53 – Loc. Cafaggio La Spezia (SP) via U. Botti, 20 - Ruffino – 0187/560384 Padova (PD) Via Don Giuseppe Lago, 30 – 049/626312 Palermo (PA) Via dell’Airone, 18 – 091/6476728 Partinico (PA) Piazza S. Caterina - 091/8783636 Pescara (PE) Via G. Mezzanotte, 92 – 085/60305 Pomezia (RM) via delle Scalette - Loc. Castagnetta Roma (RM) via Cilicia, 6 - 06/77205846 Roma (RM), Circonv. Gianicolense 12, - 06/5815266 Rosolini (SR) Via Bellini, 120 S. Quirico d’Orcia (SI) Loc. Bagno Vignoni Scicli (RG) – via Miccichè 67 – 0932/937261 Siena (SI) – via Bologna, 1 – 0577/52095 Torino (TO) Via Sansovino 85 – 011/731750 Trieste (TS) Via dei Mille, 18 - 040/943793

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Per approfondire la vita di Santa Caterina - Beato Raimondo da Capua, Santa Caterina da Siena (Legenda maior), Ed. Cantagalli, Siena. - Fra Tommaso da Siena, Santa Caterina da Siena (Legenda minor), Ed. Cantagalli, Siena. - S. Antonio Pierozzi, Storia breve di S. Caterina da Siena: Terziaria domenicana, Ed. Cantagalli, Siena 2002 Opere di Santa Caterina - Le Lettere ( a cura di U. Maettini), Ed. Paoline 1993 - Il Dialogo della Divina provvidenza ( edizione critica a cura di Giuliana Cavallini), Ed. Cantagalli, Siena 1995 - Le Orazioni ( edizione critica a cura di Giuliana Cavallini), Ed. Cantagalli, Siena 1993 - Pensieri di Santa Caterina, a cura di P. Raimondo Sorgia, Ed.Borla, Roma 1979. Cronologia dei titoli cateriniani - Canonizzata da Pio II il 29 giugno 1461 - Patrona secondaria di Roma: Pio IX il 13 aprile 1866 - Patrona d’Italia con San Francesco d’Assisi: Pio XII il 19 giugno 1939 - Patrona delle infermiere: Pio XII il 15 settembre 1943 - Dottore della Chiesa Universale: Paolo VI il 4 ottobre 1970 - Patrona d’Europa, insieme a Santa Brigida di Svezia e Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein): Giovanni Paolo II il 1 ottobre 1999 Ringraziamenti Vogliamo ringraziare gli amici che ci hanno aiutato a realizzare questo piccolo lavoro: P. Alfredo Scarciglia della Basilica Cateriniana; Franca Piccini Falorni dell’Associazione dei Caterinati; Diega Giunta del Centro Internazionale di Studi Cateriniani, Don Benedetto Rossi del Santuario-Casa di S. Caterina, Silvia Renzi. A tutti grazie di cuore! 47


Benedizione della Famiglia La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. E con il tuo spirito. Preghiamo:

O Dio, Trinità d’amore, aiuta ogni famiglia cristiana a riscoprire la bellezza di essere una piccola chiesa domestica, chiamata ad essere santa come lo sei tu. Aiutaci a crescere ogni giorno nella fede, nella speranza e nell’amore. Insegnaci a dividere il pane con chi ha fame, a donare affetto a chi è piccolo, malato e solo. Ti chiediamo ora Signore la grazia di ravvivare, nel segno di quest’acqua benedetta, il ricordo del nostro Battesimo e l’adesione a Cristo Signore, crocifisso e risorto per la nostra salvezza. Amen Dio vi riempia di ogni gioia e speranza nella fede. La pace di Cristo regni nei vostri cuori. Lo Spirito Santo vi dia l’abbondanza dei suoi doni. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen. 48


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