donare pace e bene aprile 2010

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SOMMARIO

DONARE PACE E BENE N.4/2010

EDITORIALE

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Pulizie di Pasqua

CHIESA E SOCIETÀ

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Il tesoro più prezioso

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La terra trema... e Dio?

SCUOLA E VITA

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«DONARE

pace e bene», Santuario s. Giuseppe da Copertino, 60027 Osimo (An). Casella Postale n. 78 - Tel. (071) 71.67.26 - 71.45.23; e-mail: redazione.dpb@email.it Pubblicazione omaggio agli associati-devoti del santo, particolarmente invocato dagli studenti come loro protettore durante gli esami. Periodico mensile a carattere religioso, assistenziale, culturale Sped. in abb. post. art. 2 comma 20 c. - Legge 662/96 - Divisione corrispondenza - Direzione Comm.le Imprese, Ancona - n. 4 Aprile 2010 - Dir. Resp. p. Fermino Giacometti - Redazione: p. Roberto Brunelli Proprietà-Editrice: Associazione “Donare pace e bene” Sant. s. Giuseppe da Cop., piazza Gallo, 10, OsimoAn / Cod. F. 93029380420 Stampa: Errebi Falconara (An) - Fotoservizio SIR/Siciliani - Approv. ecclesiastica Autor. del Trib. di Ancona n. 17 del 20.06.92 ccp. 6601 Associazione “Donare pace e bene”, Santuario s. Giuseppe da Copertino / Osimo (An) Quota associativa 15 € (sostenitore 30 €)

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Le nuove generazioni

PELLEGRINI DELLA PAROLA

10 E cominciarono a far festa

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

12 Giuseppe: tra desiderio di Dio e affermazione di sé 14 Chi fa ben per negligenza...

AMICI DI DIO

16 Padre Benvenuto Bambozzi

L’OASI DELLA PREGHIERA

18 Una porta: la preghiera di domanda

VITA DEL SANTUARIO

20 Pillole per lo spirito 23 Voci di preghiera 23 Operiamo il Bene insieme


EDITORIALE

DONARE PACE E BENE N. 4/2010

pulizie di pasqua

pietro guerrieri

verità non è in noi. Se riconosciamo i nocrive Paolo ai Corinzi 'togliete via il liestri peccati, Egli che è fedele e giusto, ci vito vecchio, per essere una nuova paperdonerà i nostri peccati e ci purificherà sta, poiché siete azzimi. Infatti cristo noda ogni colpa (1Gv 1,8-9). C'è da compiestra Pasqua è stato immolato. Dunque cere un'operazione radicale riguardo al peclebriamo la festa non con il lievito veccato che consiste nel rompere definitivachio, né con il lievito di malizia e di permente con il peccato (1Pt 4,1), nel diversità, ma con azzimi di sincerità e verità' struggere il corpo del peccato (Rm 6,6). (1 Cor 5,7-8) Non basta dunque attaccare i vari peccati E' un'antica testimonianza della Pasqua che commettiamo ogni giorno; sarebbe cristiana, la nostra Pasqua. come mettere la scure ai rami L'Apostolo trae spunto dall'uanziché alla radice: non risolsanza ebraica di perlustrare la Il credente deve verebbe niente. Il corpo del casa la vigilia di Pasqua e far perlustrare peccato è il fermento vecchio scomparire ogni traccia di pala casa interiore che non eliminato, inserisce ne fermentato, per illustrare le del suo cuore, per un elemento di corruzione in implicazioni morali della Padistruggere tutto ogni nostra azione ed ostacola squa cristiana. Il credente deve ciò che appartiene il cammino verso la santità. perlustrare, anch'egli, la casa al vecchio regime Che fare in questo stato? Con interiore del suo cuore, per di peccato la nostra sola volontà non lo distruggere tutto ciò che appossiamo togliere, perchè è il partiene al vecchio regime di nostro cuore di pietra. Non ci peccato e della corruzione. rimane che l'implorazione; implorare l'ALo sviluppo successivo della dottrina e gnello di Dio che toglie il peccato del della prassi della Chiesa ha precisato dove mondo, perché tolga anche il nostro pece come questa pulizia pasquale deve trocato. 'Certo è che nel lavacro di rigeneravare la sua concreta attuazione, come si fa zione che nascono uomini nuovi, ma tutti cioè a togliere il lievito vecchio: nel sacrahanno il dovere di rinnovarsi quotidiamento della riconciliazione. namente: occorre liberarsi dalle incrostaAllora un aspetto importante della Pazioni proprie della nostra condizione squa è la purificazione dal peccato. E' queumana e mortale. E poiché nel cammino sta la Pasqua che Gesù ci chiede di comdella perfezione non c'è nessuno che non piere:uscire dal peccato e purificarci dal debba migliorare, dobbiamo tutti, senza vecchio fermento, cioè dal fermento deleccezione, sforzarci, perché nessuno, nel l'uomo vecchio. Tutti abbiamo bisogno di giorno della redenzione, si trovi ancora compiere questo passaggio, perché tutti invischiato nei vizi dell'uomo vecchio'..(S. siamo invischiati, in misura diversa, in queleone Magno). Pasqua dunque, pulizia in sta triste realtà: 'se diciamo che siamo profondità, senza se e senza ma. senza peccato, inganniamo noi stessi e la

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CHIESA E SOCIETÀ

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fabio zavattaro

il tesoro più prezioso il papa visita l’ostello caritas di roma

n “piccolo villaggio della carità” nel cuore di Roma, dove “i nostri fratelli e sorelle meno fortunati” trovano “accoglienza, ascolto, aiuto alle loro necessità”. Nel saluto introduttivo per la visita di Benedetto XVI all’Ostello della Caritas di Roma, il card. Agostino Vallini, vicario del Santo Padre per la diocesi di Roma, ha ricordato tutti coloro che “generosamente si prodigano ogni giorno per dimostrare concretamente che l’emarginazione può essere contrastata e vinta dall’amore, in nome della carità di Cristo e della dignità che va sempre riconosciuta e garantita ad ogni persona umana”. La comunità ecclesiale, ha aggiunto il cardinale, “parla alla città con la volontà di riparare in tanti casi alla giustizia negata e offre il primo contributo per una cultura in cui i poveri non sono fonte di problemi, ma persone meno provvedute e come noi titolari di diritti”. “L’uomo non ha soltanto bisogno di essere nutrito materialmente o aiutato a superare i momenti di difficoltà, ma ha anche la necessità di sapere chi egli sia e di conoscere la verità su se stesso, sulla sua dignità”. È il messaggio lanciato da Benedetto XVI nei locali della Caritas di Roma. Per la terza volta un Pontefice si è recato in un luogo di accoglienza dell’organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana: il 20 dicembre 1992 Giovanni Paolo II fece visita alla mensa di Colle Oppio, dove lo stesso Benedetto XVI è tornato il 4 gennaio 2007. Grazie al servizio di quanti si adoperano nella

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Chiesa “a favore dei poveri”, ha sottolineato il Papa, “tante persone hanno potuto riscoprire, e tuttora riscoprono, la propria dignità” e “ritrovano fiducia in se stessi e speranza nell’avvenire”; attraverso “i gesti, gli sguardi e le parole” di coloro che operano per la Caritas diocesana, “numerosi uomini e donne toccano con mano che le loro vite sono custodite dall’Amore, che è Dio, e grazie ad esso hanno un senso e un’importanza”. Una certezza che, ha precisato il Pontefice, “genera nel cuore dell’uomo una speranza forte, solida, luminosa, una speranza che dona il coraggio di proseguire nel cammino della vita nonostante i fallimenti, le difficoltà e le prove che la accompagnano”. A quanti sono impegnati nella Caritas diocesana, ha proseguito il Papa, l’invito ad essere “gioiosi testimoni dell’infinita carità di Dio” e considerare “questi vostri amici uno dei tesori più preziosi della vostra vita”. Forza propulsiva. La sollecitazione del Santo Padre, rivolta non solo ai cattolici ma ad “ogni uomo di buona volontà, in particolare quanti hanno responsabilità nella pubblica amministrazione e nelle diverse istituzioni”, è quella di “impegnarsi nella costruzione di un futuro degno dell’uomo, riscoprendo nella carità la forza propulsiva per un autentico sviluppo e per la realizzazione di una società più giusta e fraterna”. Tuttavia, “per promuovere una pacifica convivenza che aiuti gli uomini a riconoscersi membri dell’unica famiglia umana è importante che le dimensioni


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del dono e della gratuità siano riscose distrutto dal terremoto del 6 aprile perte come elementi costitutivi del vi2009. La croce porta con sé “un dolore vere quotidiano e delle relazioni interinspiegabile, lancinante, ma non disperapersonali”. L’Ostello della to”, ha spiegato Giovanna Caritas, dunque, “manifesta Contaldo, ospite dell’Ostelconcretamente che la comulo. Tuttavia, essa “non è l’imL’uomo non ha nità cristiana” collabora magine della sofferenza ma soltanto bisogno “utilmente con le istituzioni l’attesa dell’alba e del riscatdi essere nutrito civili per la promozione del to” ed è per questo che,“nel materialmente, bene comune” in una “feviaggio di ritorno”, il Papa ma ha anche la conda sinergia”. Nel servizio non deve portare il dolore necessità di alle persone in difficoltà, ha ma soltanto “la speranza”. conoscere la aggiunto il Papa, “la Chiesa è Quello con il Pontefice è verità su se stesso, mossa unicamente dal desistato “un incontro emoziosulla sua dignità derio di esprimere la pronante”, ha commentato al pria fede in quel Dio che è il SIR Roberta Molina, respondifensore dei poveri e che sabile del’Ostello, la quale ha ama ogni uomo per quello che è e non guidato la visita. È il segnale che “una per quello che possiede o realizza”. La città può essere solidale e le persone Caritas diocesana, ha concluso Beneche abitano questo posto sono persodetto XVI, è dunque “un luogo dove l’ane con voglia di rinascere, che noi dobmore non è solo una parola o un sentibiamo aiutare”. L’arrivo di Benedetto mento, ma una realtà concreta, che XVI era atteso, fin dal mattino, da nuconsente di far entrare la luce di Dio merosi volontari fuori e dentro i locali nella vita degli uomini e dell’intera codel centro di accoglienza che ogni notmunità civile”. Nel corso della visita alla te ospita 188 senza fissa dimora e offre Caritas di Roma, il Santo Padre ha rice500 pasti a sera oltre ad un servizio savuto in dono un crocifisso restaurato, nitario, con poliambulatorio, una farmaproveniente da Onna, il paese abruzzecia e l’assistenza legale. 5


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roberto tamanti

la terra trema... e Dio?

el giro di pochi mesi abbiamo "assistito" a due eventi molto tragici e capaci di colpire la nostra coscienza, oltre che, forse, anche la nostra fede: il terremoto devastante ad Haiti, con centinaia di migliaia di morti e distruzione,e poi un altrettanto fortissimo terremoto in Cile. Di fronte a tutto questo è possibile che possano sorgere dal nostro cuore domande antiche e sempre nuove: perché accadono queste cose? Come mai Dio permette questo? Sono forse "segni" che vengono da Dio? E come interpretarli? Cosa possiamo fare noi? Intanto diciamo, per eliminare ogni allarmismo o catastrofismo, che non siamo in presenza di fatti nuovi o che avvengono con frequenza maggiore che in passato: i terremoti ci sono sempre stati e sempre si verificano, ogni giorno, anche fortissimi; grazie a Dio la maggior parte si manifesta lontano da luoghi abitati e quindi

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non causano vittime; anche altre sciagure, come pestilenze, disastri ambientali, incidenti vari di qualsiasi tipo, ecc, non sono certo cose nuove, anzi in passato ne avvenivano e ne sono avvenute di peggiori. Quindi lasciamo a chi vuole speculare le interpretazioni di tipo apocalittico, oppure il pensiero che questi fatti siano come segni che si sta avvicinando la fine del mondo (pensiero sempre ricorrente nella storia dell'umanità e, chissà perché, sempre affascinante! ogni volta che qualcuno millanta di sapere quando sarà la fine riscuote sempre successo e discepoli!). Dunque, siamo in presenza di fenomeni che, possiamo dire, fanno parte della storia del pianeta terra e della sua fragilità e imprevedibilità, come il peccato fa parte della storia dell'essere umano: d'altronde anche s. Paolo, nella lettera ai Romani (cap 8) affermava come la stessa creazione attende con


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impazienza la manifestazione della salvezmo certamente attribuire a Dio alcuna voza, in qualche modo anche la terra "desilontà di "colpire" qualcuno, attraverso gli dera" essere liberata dalla sua imperfezioeventi naturali, né possiamo trovare una ne. Perché dunque, se questi eventi non qualche forma di logica razionale negli rientrano nell'ambito di qualcosa di straorsconvolgimenti della natura, è lecito cercadinario, perché accadono proprio dove re in questi eventi un qualche "segno" da spesso c'è già miseria, povertà, sofferenza, parte di Dio? Questo è possibile, certaperché colpiscono i più poveri, come è il mente, sempre però con cautela e senza caso di Haiti? Dobbiamo dire che probainterpretazioni troppo forzate o del tipo bilmente non esiste una rispocausa- effetto: occorre dire, insta soddisfacente a questa dofatti, che tutto ciò che accade manda e forse non è lecito nel mondo, tutto ciò che accaLa storia delle nemmeno cercarla: i fenomeni de anche nella nostra vita, può disgrazie che naturali si manifestano in moessere letto come parola di colpiscono l'umado "libero" nel mondo, non Dio, cioè realtà attraverso la nità è, per grazia certo in relazione con il tenoquale possiamo cogliere un di Dio, anche la re di vita di coloro che abitano messaggio da parte del Signore, storia del tanto una certa zona della terra. È ma non necessariamente voamore che molte un po' come il vecchio (e semlontà di Dio, come a volte si afpersone usano in pre nuovo) problema che già ferma e si pensa. Anche la vecsi ponevano gli Israeliti e che chia frase "non si muove foglia modo generoso e certamente anche ciascuno di che Dio non voglia", sebbene commovente noi tante volte si è posto: perfaccia rima (!) non è corretta, ché gli "empi" sembrano properché lascia pensare che ogni sperare, mentre i "giusti" sembrano spesso minimo evento sulla faccia della terra si vepatire e vivere nella sofferenza? Perché rifica perché Dio lo vuole. Se così fosse, couna grave malattia colpisce una persona me spiegare il male? La cattiveria? Le violenonesta, mentre chi vive nel peccato, nella ze? Le vittime innocenti? In realtà Dio perricchezza disonesta, sembra spesso avere mette l'accadere di tanti eventi, ma non tuttante fortune dalla vita? Queste domande ti li vuole, ovviamente (anche per questo e altre simili e i tentativi di risposta sono noi chiediamo nel Padre nostro che si faccia anche alla base di testi biblici, soprattutto la Sua volontà, perché evidentemente non dell'AT, che appunto affrontano il problema sempre essa si compie). Oltre che rimanedella "retribuzione" da parte di Dio: può re, dunque, attenti a non attribuire falsi siessere utile andare a rileggersi il grande lignificati alla tragedie che colpiscono l'umabro di Giobbe per vedere come anzitutto nità, quello che, primariamente, resta a tutti Dio non disprezza e non condanna il lacome compito nobilissimo e umanissimo è mento e l'accusa che gli vengono rivolte la solidarietà e la compassione verso tutte da Giobbe, anzi rimprovera i (falsi) amici, le vittime di qualsiasi evento luttuoso: nella preghiera, nell'aiuto economico, nel lasciare che volevano difendere l'operato di Dio che il proprio cuore venga smosso dall'in(attenzione a quando anche noi, di fronte differenza. Al di là delle (giuste) domande e alla sofferenza, più che ascoltare e condividelle sempre parziali risposte, vale sempre, dere il dolore di chi soffre, ci preoccupiae in questi casi soprattutto, il primato dell'amo di difendere Dio, probabilmente per more, come tantissime persone, credenti e pacificare la nostra coscienza e non sentinon, dimostrano in questi casi: in effetti la re anche noi le domande che il dolore ci storia delle disgrazie che colpiscono l'umapone…); inoltre Dio risponde a Giobbe nità è, per grazia di Dio, anche la storia del mostrandogli la sua opera creatrice e aiutanto bene e amore che molte persone tandolo a riconoscersi sempre creatura, usano in modo generoso e commovente mai come qualcuno che possa disputare verso i loro fratelli e sorelle nel bisogno. alla pari con Lui. Ma allora, se non possia-

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SCUOLA E VITA

DONARE 2/2006 DONARE PACE PACE EE BENE BENE N. N.4/2010

giancarlo galeazzi

le nuove generazioni la sfida educativa/4

opo aver accennato alla crisi dell'ebambino nella sua specifica condizione ducazione e dei modelli dominanti, che richiede particolari attenzioni e cuper cui la sfida educativa porta a elabore, ma avendo pur sempre chiaro che la rare un nuovo modello educativo, e alla minorità non una minorazione; reclama crisi degli educatori e della loro fiducia infine riconoscere il minorenne soggetto nell'educazione, per cui la sfida educativa di diritti, prima che oggetto di diritto. Si porta a scommettere sull'educazione, parla poi di disagio adolescenziale e gioaccenniamo ora alla crisi degli educandi vanile, e lo si caratterizza non solo in e alle aperture che si aprono con la sfida termini individuali, psicologici, ma in tereducativa. Per sintetizzare mini propriamente sociali, l'attuale crisi della condizioculturali. Come è stato rene infantile e adolescenziale centemente puntualizzato Il futuro oggi, si potrebbe dire che ci (U. Galimberti), il nichilismo, deve tornare troviamo di fronte a un duche si aggira tra i giovani, a configurarsi plice fenomeno: la scomparsa "penetra nei loro sentimenti, come una sociale dell'infanzia e il disaconfonde i loro pensieri, canpromessa, gio culturale dell'adolescencella prospettive e orizzonti, anziché come za. Si parla di "scomparsa delfiacca la loro anima, intristiuna minaccia l'infanzia" (N. Postman), nel sce le passioni rendendole senso che sembra essersi esangui". Così i giovani, nel eclissato quel rispetto verso tempo del nichilismo, si inl'infanzia conseguente al riconoscimento terrogano sul "significato stesso della lodella dignità dell'infanzia che aveva caratro esistenza, che non appare loro priva terizzato la modernità eche aveva portadi senso perché costellata dalla sofferento alla "scoperta del bambino" (M. Monza, ma al contrario appare insopportabitessori). Oggi, invece, dietro l'apparile perché priva di senso". Si tratta, dunscente interesse per l'infanzia, si assiste que, di una situazione diversa da quella ad una società che la trascura bellamenche, nella modernità, aveva portato a te nella sua specificità, per cui si è anche concepire l'adolescenza come una "separlato di "bambini senza infanzia" (M. conda nascita" (J. J. Rousseau) all'insegna Winn), per denunciare l'uso (quando di quella che è stata chiamata la crisi di non è l'abuso) dell'infanzia. Da qui la deoriginalità giovanile (M. Debesse) e dinuncia che da più parti è stata avanzata versa dalla invenzione dei giovani (J. Saaffinché si giunga a "riscoprire l'infanzia": vage) e dalla loro centralità nella società il che reclama riconoscere il bambino contemporanea. L'attuale disagio cultuquale persona non in potenza ma in atrale porta invece alla emarginazione delto, cioè persona a pieno titolo che, in la giovinezza, ad un misconoscimento quanto tale, è fine e non può essere dei bisogni adolescenziali, tanto che si è strumentalizzato; reclama riconoscere il parlato di "generazione invisibile". Di

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SCUOLA E VITA

fronte a questa situazione alcuni prospettano come rimedio il superamento della interrogazione di senso, che però appare incompatibile con il fatto che l'uomo è "un essere volto alla costruzione di senso" (W. Goethe); altri, invece, ritengono a ragione che la vera questione consista non nel rinunciare alla domanda di senso, ma di riappropriarsi della ricerca di senso, e di esercitarla oltre che a livello individuale, anche a livello comunitario. Se, nella "desertificazione di senso" operata dal nichilismo, l'interrogazione di senso esercitata dall'individuo da solo rischia di essere vanificata, bisogna non lasciare da sola la persona a interrogarsi sul senso della vita, ma occorre coinvolgervi anche la società. Allora le diverse comunità dovranno farlo secondo le loro specifiche modalità ma con la stessa convinzione, valida per tutti, in particolare per i giovani, vale a dire che la sensatezza comporta senso della "provenienza" e della "appartenenza", e quindi contribuisce alla costruzione della identità, mentre la insensatezza produce "le patologie del cinismo carrierista o del conformismo gregario". Dunque, è nel contesto di una condivisa istanza di sen-

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satezza che l'adolescenza può superare il suo disagio. Pertanto, a quarant'anni dalla Dichiarazione internazionale dei diritti dell'infanzia e a venti dalla Convenzione internazionale dei diritti dell'infanzia si ripropone la necessità di una società che sappia essere all'altezza dei ragazzi: certo senza infantilismi o giovanilismi, ma con la consapevolezza che i ragazzi sono il futuro e che bisogna aiutarli a costruirlo, cioè a porre le condizioni perché ad esso possano guardare con fiducia. Insomma, il futuro deve tornare a configurarsi come una promessa, anziché come una minaccia. E' questa la sfida educativa, che è anche una sfida sociale, con cui la Chiesa italiana invita a misurarsi senza timidezze di sorta, invitando tutti a impegnarsi per superare tanto la mancanza di rispetto nei confronti dell'infanzia, quanto la sottrazione di senso a livello di adolescenza. Da qui l'imperativo che ogni adulto dovrebbe far suo: abbi "il coraggio di educare" ovvero sappi "costruire il dialogo educativo con le nuove generazioni" (A. Briguglia e G. Savagnone): tutti sono chiamati a questo, ciascuno secondo il proprio ruolo.

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le sorelle clarisse del monastero santa speranza

PELLEGRINI DELLA PAROLA

e cominciarono a far festa

o spesso provato ad immaginare la sempre, di doversene privare in eterno. gioia, la contentezza, l'allegria che Questa paura ha fatto sbocciare la speinondano quei versetti del vangelo di Luranza in Dio e la speranza, una volte reaca in cui l'evangelista ci propone le tre lizzatasi, ha provocato la gioia e la festa. E' parabole della misericordia: la pecora bello questo Dio che lascia tutto per vesmarrita, la moneta perduta, il padre minirmi a cercare, che lascia tutto per carisericordioso. Immaginare il pastore che, carmi sulle sue spalle come un padre con gioia, si carica la pecora appena ritroquando gioca con il suo bimbo piccolo, vata sulle spalle, va a casa e chiama gli che mi riconduce a casa; questo Dio che amici ed i vicini per far festa; spazza ogni angolo della mia immaginare la donna che, trovita spostando mobili, tavoli, È bello questo vata la moneta che aveva persedie e tirando via polvere, Dio che lascia duta, invita le amiche e le viciragnatele e qualsiasi altra cosa tutto per venirmi ne per rallegrarsi insieme e pur di ritrovarmi e pur di a cercare, che condividere la felicità del ripermettere che io possa rilascia tutto per trovamento; raffigurarmi quel trovarmi; questo Dio che, padre che si getta al collo del caricarmi sulle ogni giorno, ogni istante, guarfiglio appena tornato a casa, da fisso fino all'orizzonte per sue spalle come quel padre che non sta più non perdersi il momento del un padre quando nella pelle e non sa cosa inmio ritorno sulla strada di cagioca con il suo ventare per far festa: ordina di sa, che mi corre incontro, mi bimbo piccolo tirar fuori il vestito di lusso, abbraccia forte quasi a soffol'anello di famiglia, di uccidere carmi, che smuove le montail vitello grasso e dice a tutti, servi comgne per farmi festa ogni volta che riconopresi, "mangiamo e facciamo festa perché sco il suo essermi Padre e il mio essere questo mio figlio era morto ed è tornato figlio. E' significativo, a questo proposito, il in vita, era perduto ed è stato ritrovato". movimento, l'andare e il venire, il darsi da Di certo è una gioia che non si riesce fafare del pastore, della donna, del padre. cilmente a concretizzare, che non si rieLa donna che ha perduto la moneta non sce facilmente ad afferrare perché è la esita un istante: accende la lampada, spazgioia indicibile di Dio, un Dio che ci ama za la casa, cerca accuratamente, trova la veramente, che non è lasciato indifferenmoneta…ma non si ferma qui: chiama vite da tutto quello che ci riguarda e ci cine ed amiche affinché possano rallesuccede, un Dio per il quale ogni nostra grarsi e far festa insieme a lei. E' quel Dio cosa ha un'eco nel suo cuore fino a proche allontana da noi l'ombra di qualsiasi vocare in Lui ansia, speranza, dolore, notte, che ci mostra, ogni volta, la luce gioia! Smarrendosi, perdendosi quella pedel nuovo giorno che mai tarda ad arrivacora così come la moneta, come pure il re, ce la fa assaporare, la fa risplendere figlio minore, hanno fatto tremare il cuocome faro che ci riconduce in strada, nel re di Dio. Dio ha temuto di perderli per cammino verso casa, che illumina il no-

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PELLEGRINI DELLA PAROLA stro cuore, la nostra anima, il nostro intelletto perché, come la moneta d'argento, alla luce, scintilla e si fa trovare, così anche noi possiamo afferrarla, sentirla, goderne e lasciarci afferrare da lei. Ma non basta! Non basta a Dio che vediamo la sua luce! Ci aiuta ad incamminarci verso di essa, verso di Lui. Egli comincia a spazzare la casa, comincia a far spazio nella nostra vita, a raccogliere e buttar via il nostro non credere, non sperare, non amare, la nostra capacità (sì! E' proprio capacità!) quotidiana di dire no alla fede, alla speranza, all'amore, a Lui, le nostre povertà, la nostra tristezza, le nostre debolezze, la ragione di chi non è e non si fa piccolo di cuore, di chi vorrebbe conoscere tutto e subito, di chi non è capace di dare confidenza, di affidarsi, di credere a chi è più grande di lui e lo precede, la ragione di chi ragiona troppo o per niente, di chi non sa accettare il proprio limite, di chi non sa riconoscere l'amore accanto a lui, dentro di lui, di chi non è mai soddisfatto, di chi non dona ma tutto vuole e pretende per se. E una volta che ci ha trovati? Non tiene la moneta tutta per se, non la nasconde in un luogo ben sicuro per paura di perderla nuovamen-

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te, non la chiude nel fondo di un cassetto, non la spolvera o la tira a lucida ogni giorno per rimetterla, poi, sottochiave! No! Addirittura neanche aspetta che la notizia del ritrovamento si diffonda casualmente ma chiama, grida, urla di gioia affinché tutta la creazione, tutti gli uomini possano rallegrarsi con Lui! E' un Dio pazzo di gioia ogni volta che torniamo a Lui, ogni volta che può riabbracciarci, stringerci a sé, guardarci negli occhi, scaldarci l'anima! Sì! Il cuore di Dio è totalmente ed irreversibilmente paterno! Posso sbagliare, posso smarrirmi, posso peccare ma mi è concesso di contare sulla solidità di questa roccia: Dio resta Padre e continua a volermi bene! Ed è un bene talmente grande che gli provoca dentro una gioia incontenibile, contagiosa, impetuosa, che gli fa compiere pazzie per me, per ogni Suo figlio. Una gioia che fa brillare i Suoi occhi al solo vedermi, che lo fa correre, che lo fa saltare per abbracciarmi, baciarmi, che lo fa danzare e cantare, che lo fa preparare banchetti ricchi di vivande perché, insieme, possiamo gustare la pienezza di Lui, del Padre essenzialmente amore, fedelmente amore, inesauribilmente amore!

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SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

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vincenzo giannelli

Giuseppe: tra desiderio di Dio e affermazione di sé la vita di san Giuseppe da Copertino/ 4

a leggenda narrava di un giocatore che, nell'impeto di un diabolico furore per i rimproveri di un amico, aveva scagliato una pietra contro l'immagine della Madonna. Non per questo le grazie erano diminuite. I miracolati anzi avevano pian piano accumulato cospicue offerte, sufficienti per edificare una cappella. I vescovi di Nardò vi avevano affiancato una dimora estiva, lasciando ad un sacrestano - che si chiamava l'eremita - l'incombenza della pulizia e del buon ordine. Quando il brav'uomo li vide, non volle perdersi d'animo dinanzi al fallimento, fidandosi nell'intervento divino, versò sulla piaga l'olio della lampada che ardeva davanti all'immagine della Madonna. La fede fece il miracolo: Giuseppe si alzò guarito. Come ringraziamento volle ritornare a Copertino distante nove miglia - a piedi, aiutandosi solo con un bastone. Finalmente, dopo cinque anni di immobilità, poteva rigustare l'odore della natura, gli alberi d'olivo, gli odori della campagna salentina, nel cuore saliva il fremito della gioia e gli occhi si puntavano al cielo per ringraziare la Vergine che lo aveva salvato e san Francesco a cui s'era rivolto con grida disperate. Giuseppe aveva ormai quasi quindici anni e rimandarlo a scuola non era più il caso. Iniziò col mestiere di venditore di crine vegetale, per imbottire cuscini e materassi, dai coniugi Francesco Jaco Della Porta e Fenizia Alemanno, nobili di Copertino. Fu un mestiere in cui, o per il poco guadagno o per la sua poca attitudine, durò ben poco. Nonostante il contra-

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rio parere di Franceschina, per imposizione di Felice suo padre, finì nella bottega di un mastro calzolaio: l'arte della scarpa avrebbe dovuto procurargli il pane quotidiano per tutta la vita. Il nuovo lavoro non doveva essere difficile: battere le scarpe sul marmotto, spianare il corame, lisciare le suole o portare a domicilio le ciabatte, mentre il maestro col suo grembiale sporco di pece, chino sul trespolo lavorava di lesina e di spago. Ma, anche nella "bottega di scarparo", quel maledetto vizio di distrarsi fece ben presto concludere che Giuseppe non vi riusciva "né con attitudine né con genio", diventando oggetto di derisione da parte dei clienti e dei coetanei. Ma non era colpa sua. Gli succedeva di pensare e di perdersi dietro i propri pensieri colorati di paradiso, restando con le mani inerti sul lavoro, mentre al padrone passava la tentazione di svegliarlo in malo modo, se non fosse stato per quel bravo giovane che era. Un ragazzo semplice; come molti lo ricorderanno, di preghiera. A dimostrazione di questo, in casa di Franceschina si era fatto un altare e vi diceva il rosario e le Litanie. Neppure i suoi compagni, come Diego Galasso e Pier Paolo Schifeo, sapevano quante cappelle visitasse Giuseppe Maria. Della sua devozione molti ne daranno testimonianza. Donato Antonio Buono, un diciottenne di belle speranze, già avviato per l'ideale del sacerdozio, ne aveva voluto far le conoscenze perché incuriosito dalle continue lodi che si facevano di lui. Quando poté sincerarsene,


SAN GIUSEPPE DA COPERTINO non rimase deluso. Il Reverendo Don Angelo Liuzzi che se lo sentiva lodare come un giovanetto "di buona vita", aveva voluto controllarlo, personalmente e a lungo, con i suoi esperti occhi da prete e lo aveva trovato - riferisce egli stesso - "sempre devoto". Di questi buoni segni - come li chiamava la sorella Livia - Giuseppe ne diede sempre. Non conosceva ancora il male delle lusinghe delle compagnie. Significative, del resto, sono certe meraviglie dei compagni, un amico devoto ricorderà: "Dalla puerizia fu sempre ritirato e devoto, frequentando le chiese, li Sacramenti et ancora la conversazione di persone ritirate. Era castissimo, tanto che li figlioli che conversavano con lui dicevano che era vergine, et haveva sempre desiderio di farsi religioso". Ma buona parte di questa calma era solo apparente. La vivacità che ne aveva caratterizzato l'infanzia - come la madre amava spesso ricordargli - era stata sopita dalla lunga infermità. Le ragazzate non mancarono, anche se il

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temperamento focoso, fu tenuto a freno e domato dalla mamma Franceschina, ma un fatto creò scalpore nel paese. Un giorno Giuseppe uscì di casa un po' in ghingheri, con una spada che gli batteva al fianco: uno strumento non difficile da procurarsi per l'ambiente che frequentava e che rappresentava allora una parte indispensabile di un abito signorile. Con i suoi sedici o diciassette anni, con tanto di cappello e di peluria sotto il naso, camminando un po' impettito si avviò verso la piazza. In piazza, Giuseppe trovò l'imprevisto. Qualcuno fece volare una parola pungente all'indirizzo del disgraziato Felice o del suo modo arrogante di andare in giro. Volò uno schiaffo improvviso e bene assestato di Giuseppe. Passato lo stupore e la sorpresa, l'uomo si avventò deciso di rivalersi per non diventar la favola del paese, ma si trovò puntata al petto la spada che il giovane aveva sguainato di scatto, in posa da eroe. Il fatto tra i due finì lì ma l'accaduto arrivò agli orecchi di mamma Franceschina.

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giancarlo corsini

“Chi fa ben per negligenza perde il frutto e la semenza”

are le cose con negligenza: un'esperienza che tutti conosciamo molto bene. Molte volte iniziando un'attività o un cammino spirituale siamo partiti con entusiasmo e animati da tanto zelo ma poi strada facendo abbiamo sperimentato un calo di entusiasmo o di interesse per l'opera intrapresa e abbiamo sentito crescere nell'anima una sorta di disgusto o di svogliatezza fino a che questo sentimento è diventato così invadente da bloccarci e da toglierci completamente la voglia di fare chicchessia. Cerchiamo di entrare nel sentimento che il nostro santo

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chiama negligenza e che più propriamente dovremo chiamare accidia. Prima di tutto l'accidia è uno dei sette vizi capitali e raramente è un peccato che riconosciamo e accusiamo nelle nostre confessioni: ci sembra poco importante o addirittura irrilevante confrontato con altri peccati capitali come la lussuria e l'invidia o la stessa superbia. In realtà l'accidia è un male oscuro che pian piano conduce l'anima ad un totale disgusto verso le cose di Dio e dello Spirito e ce se ne accorge quando il campo è già invaso e solo con fatica e con l'aiuto della grazia di


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Dio possiamo estirparla. "L'accidia è telligenza che aveva in dono dal Signovista dagli autori spirituali come una re. Solo una qualità alta di vita spirinoia e uno scoraggiamento che abtuale ci può mettere al riparo da quebraccia l'anima rendendola incapace di sto demone. compiere i doveri per i quali dovrebbe Il primo che ha descritto l'accidia è invece essere libera" (Nuova EncicloEvagrio Pontico che scrive nel 383 bapedia Cattolica). Assomiglia in campo sandosi sulla sua esperienza. Nell'elenfisico ad una sorta di grande inappeco delle otto tentazioni principali dei tenza, che nemmeno i cibi più "leccormonaci, l'accidia occupa il posto tra niosi" riescono a scalfire. Questo ditristezza e vanagloria. sgusto per lo spirituale a causo delUn altro autore spirituale, Giovanni l'impegno che questo richiede blocca Cassiano, la definisce come un'ansia, o l'agire. Si vorrebbe, se ne comprende un tedio del cuore che rende l'uomo intellettualmente la necesinabile a qualsiasi opera e lo sità e la bontà ma non si trasforma in ozioso e vacuo All'accidia si riesce a sbloccarsi… tutto per ogni attività spirituale. costa tanta fatica. A lungo In tal modo l'uomo accidioaccompagna la andare all'accidia e alla neso non è mai soddisfatto né noia e la tristezza: gligenza si accompagna la delle sue occupazioni, né è come se una noia, la tristezza: è come se dei suoi fratelli; i suoi lavori patina di una patina di malinconia colo annoiano, per cui risulta malinconia prisse ogni realtà interiore una persona inquieta che coprisse ed esteriore. Sul versante non sta bene con nessuno e ogni realtà umano l'accidia è molto in nessun luogo. interiore presente nella nostra cultuLa relazione con il tempo è ed esteriore. ra e nelle nostre case: è la segnata da questo atteggiadepressione che colora di mento; il tempo non è visgrigio l'esistenza, spegne ogni entusiasuto ma subito e perso in cose inutili smo e demotiva l'agire. Nell'antichità che non danno gusto né senso alle coassumeva qualche volta i tratti della se. Ma l'accidia non è il male dei motrascuratezza e dell'indifferenza ed era naci né dei consacrati: è il male di tutanche usata per significare una certa ti; è il malessere interiore che si espriindolenza nei rapporti con Dio. me con l'indolenza. S. Tommaso definiIl pensiero corre al nostro S. Giusepsce la negligenza o accidia come "il tepe, alla lunga solitudine che sentiva codio di operare bene e la tristezza prome un peso; l'accidia avrebbe trovato dotta dalle cose spirituali". L'accidia si facile terreno per attecchire nella sua oppone alla gioia e alla carità fino ad anima, ma il rapporto con Dio, la relaarrivare ad impedire alla bontà di sezione orante lo ha messo al riparo da gnare la vita. L'accidia genera poi altri questo demone. peccati come la malizia, il rancore, la Ho conosciuto nella mia esperienza pusillanimità, la disperazione e il torun fratello che forse era frenato da pore. E' davvero un male oscuro come questo atteggiamento: faceva le cose lo definisce Gabriel Bunge nel suo lidi ogni giorno ma con grande fatica e bro che porta proprio questo titolo e svogliatezza, le faceva con il minimo che ci aiuterà nella prossima riflessiodell'impegno e questo gli ha impedito ne che insieme faremo ancora sullo di mettere a frutto i tanti doni di instesso tema.

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AMICI DI DIO

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roberto brunelli

padre benvenuto bambozzi un uomo strardinariamente ordinario

l Venerabile Benvenuto Bambozzi nasce nella frazione dell’Abbadia di Osimo il 23 marzo 1809. Riceve dai genitori contadini una catechesi quotidiana fatta di gesti umili ma sentiti, come la recita del Rosario nella stalla, la sosta nei campi per la recita dell’Angelus, il condividere il poco pane con i mendicanti che bussano alla porta. Il giovane Benvenuto ha dalla sua un carattere irruento e narcisista. E’ appassionato di caccia e passa lunghe ore a puntare le sue prede, fino a che non capisce che lui stesso è divenuto preda del Signore, che lo attira a sé e lo chiama alla vita religiosa. Ha già 19 anni, e a quel tempo chi vuole diventare sacerdote entra in seminario già da piccolo. Decide di iscriversi nella scuola pubblica, in mezzo a ragazzini molto più giovani di lui e vestiti molto più elegantemente. Le canzonature dei più piccoli provano in lui ferite d’orgoglio, ma l’ideale che lo spinge è così forte che lo aiuta a inghiottire umilmente questi bocconi amari. Nel 1822 i Frati Minori Conventuali riprendono possesso della Basilica di San Giuseppe da Copertino, dopo i sei anni di soppressione subiti sotto l’Impero Napoleonico. Benvento matura l’idea di seguire anche lui le orme del Santo di Assisi e il 3 dicembre 1832 viene vestito del nero abito dei francescani conventuali. Al termine del noviziato viene mandato ad Urbino per completare gli studi. Diverrà sacerdote il 9 novembre 1834. In questo periodo leggerà avidamente le opere di Santa Teresa d’Avila, la cui spiritualità lo influenzerà molto. Pochi mesi dopo viene trasferito nel convento di Pesaro. I frati, anche se lo dileggiano per le sue interminabili devozio-

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ni, gli vogliono bene: celebra in maniera impeccabile, lavora instancabilmente, si abbasa ai lavori più umili, prega costantemente. E’ un esempio per tutti. Nel 1837 è nel convento di Camerano. Qui vi regnava indisturbato un solo fratello laico, il cui carattere scontroso era noto a tutto il paese. Il Provinciale pensò bene che l’unico frate che avesse la santità necessaria per sopportarlo fosse proprio P. Benvenuto. Da parte sua l’anziano frate, che non ha nessuna intenzione di avere sopra di sé dei superiori, fa di tutto per rendere difficile la vita a P. Bambozzi: non gli parla mai, lo insulta e trama alle sue spalle con calunnie e discredito. Arriva ad urlargli minacce perfino durante la S. Messa e a minacciarlo di morte. Racconta P. Benvenuto di quel periodo: "Al di fuori mi comportavo con santa indifferenza, ma dentro soffrivo non poco; questo dolore si ripercuoteva nel fisico nonostante cercassi di essere felice perché così imitavo il Redentore". Questa luce che attingeva colloquiando in preghiera con il Crocifisso e partecipando alle sue sofferenze a causa del vecchio frate la trasmetterà in tutto il suo splendore nel confessionale ed al capezzale dei numerosi malati che lo facevano chiamare per un conforto, magari l'ultimo. Il 13 luglio 1838 Padre Benvenuto viene trasferito nel convento di Fratterosa in provincia di Pesaro.Anche qui verrà presto nominato Guardiano, cioè responsabile del convento. Nel progetto di Francesco d'Assisi essere guardiano, provinciale o generale significava essere servo e suddito di tutti i frati, lavare loro i piedi come Gesù aveva fatto con gli apostoli. E' quanto farà Benve-


AMICI DI DIO nuto con i suoi confratelli. Un Oblato di questa comunità è sempre ubriaco. Benvenuto lo soccorre e lo aiuta a rialzarsi quando cade per la strada, attirando le simpatie e l'ammirazione di molti. Ma non di tutti. Un uomo che aveva come hobby molto coltivato la bestemmia viene ripreso da padre Bambozzi. Questi si vendica e lo bastona alla prima occasione. Benvenuto attende in ginocchio che questi finisca e, rientrato in convento, non parla a nessuno dell'episodio. Il povero diavolo subisce come un colpo quell'esempio di mitezza e si decide a chiedergli perdono e a farsi dare l'assoluzione di tutti i peccati. I parenti, che lo conoscevano come "allergico" alla religione, si stupiscono di questa conversione e, saputo il motivo, fanno crescere ancora di più l’ammirazione degli abitanti di Fratterosa nei confronti dell’umile frate. Nel 1844 l’obbedianza chiama Padre Bambozzi ad Osimo per svolgere il delicatissimo e difficile compito di Maestro dei Novizi: formare i giovani che desideravano essere frati francescani. Il suo metodo pedagogico si basa soprattutto sull'esempio, e le occasioni per dimostrare cosa significhi

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essere fratello ed essere minore non gli mancano davvero. Agli occhi dei novizi e delle persone al di fuori del convento questo Maestro rifulge come un grandissimo esempio di umiltà e di mansuetudine. La gente lo chiamava "Bambozzetto"e lui si definiva un "Bamboccio". Ma intanto questo povero frate era ritenuto da tutti un santo e moltissime persone ricorrevano a lui per sgravare il cuore dalle angosce o per guarire il corpo malato. Era in continua preghiera. Sapeva leggere nel segreto del cuore, levitava qualche volta durante la preghiera, come san Giuseppe da Copertino. Il 18 settembre 1860 cade lo Stato Pontificio nelle Marche.Vengono soppressi gli istituti religiosi e nel convento - adibito a caserma militare - rimangono solo tre frati: padre Bambozzi - col titolo di "sacrestano e custode del Santuario", un anziano confratello ed un fratello converso. Continua il suo apostolato tra i malati, e proprio a motivo di queste spedizioni di carità contrae una grave polmonite. Soffre molto, ma ripete: “Fiat semper bona voluntas tua”. Il 24 marzo 1875 la volantà di Cristo è di averlo con Lui nella casa del Padre.

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suor annachiara

OASI DELLA PREGHIERA

una porta: la preghiera di domanda

non sazia?" (Is 55,2) Tu invece quando preel Nuovo Testamento, nel parlarci ghi "chiudi la porta": non cercare negli aldella preghiera, Gesù usa spesso il tri, che pure hanno sete come te, la risposimbolo di una porta. Comincia invitandosta alla tua sete; il tuo cuore pone tante ci a chiudere una porta: "…entra nella tua domande, orientale a Colui che solo può camera, chiudi la porta e prega il Padre darti una risposta vera, "e il tuo, che è nel segreto…" (Mt Padre tuo, che vede nel segre6,6). Leggendo il contesto ne to, ti ricompenserà". Ma in che comprendiamo meglio il signiL'uomo è di cosa consiste, ci chiediamo, ficato. Non è tanto un invito per se stesso questa ricompensa? Forse nelall'isolamento, a tenere gli altri domanda, l'esaudire la nostra preghiera? e "tutto il mondo fuori" come appello, bisogno, Poco dopo Gesù ritorna a inaffermava una nota canzone di e questa segnare: "Chiedete e vi sarà diversi anni fa, ma ad evitare dimensione dato; cercate e troverete; busl'ostentazione e l'ipocrisia: non può non sate e vi sarà aperto" (Mt 7,7). mettersi in mostra ed essere Il chiedere, cercare e bussare ammirati nelle proprie prestamanifestarsi sono immagini dell'esperienza zioni religiose. Se ciò che connella preghiera. quotidiana e descrivono situatamina l'uomo non viene dal di zioni di bisogno: se si chiede, fuori, ma dal cuore (cfr. Mc qualcosa si riceve (è la saggezza del men7,14) la porta da chiudere sarà allora aldicante); chi cerca ha perso qualcosa, opl'interno del cuore. pure desidera o sente la mancanza di In Israele la preghiera era uno dei princiqualcosa; chi bussa è chiuso fuori… pali doveri religiosi, e la preghiera privata Chiedete, cercate: l'uomo è di per se stesrecitata in pubblico (es. agli angoli delle so domanda, appello, bisogno, e questa distrade) era del tutto normale, anzi richiemensione non può non manifestarsi nella sta, dato che i tempi della preghiera coinpreghiera. Rivolgendosi a Dio con la docidevano con quelli dei due sacrifici che si manda, ognuno di noi esprime la necessità compivano al tempio al mattino e al podi ricevere da Dio e dalla relazione con meriggio. Ciò che Gesù rimprovera è la Lui il senso della propria vita e la propria preghiera quando è fatta per ostentazioidentità. Dietro ad ogni particolare richiene, raccomanda di non essere "simili agli sta che possiamo e dobbiamo fare a Dio, ipocriti... In verità vi dico: hanno già ricec'è sempre una domanda radicale di senvuto la loro ricompensa", e denuncia il peso: "Chi sono io?". Bussate: è come se in ricolo dell'ipocrisia. Se pregando sarò tenquesta stanza "nel segreto" ci fosse un'altato di sbirciare gli altri se mi vedono, il tra porta, e ci è stato raccomandato di mio interlocutore non sarà più Dio, e i vechiudere la prima proprio perché possiari destinatari della mia "preghiera" saranmo essere liberi e presenti con tutto noi no gli altri, i potenziali ammiratori. stessi nel bussare alla seconda. "Perché spendete denaro per ciò che non La porta è un luogo di passaggio fra due è pane, il vostro patrimonio per ciò che

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OASI DELLA PREGHIERA ambienti, due stati, due mondi: il conosciuto e l'incognito. Non un limite insuperabile (come, ad esempio, un muro) ma per il quale ci è impedito di vedere al di là; indica un passaggio e invita a superarlo, ad andare oltre, ad entrare ed uscire. Gesù stesso paragona se stesso e la sua missione a una porta per la quale si entra nella vita: "Io sono la porta, se qualcuno entra attraverso di me sarà salvato" (Gv 10,9) Quando preghiamo ci sentiamo come davanti ad una porta chiusa, come il velo che nel tempio separava il Santo dei Santi. Preghiamo "Padre" un Dio che non possiamo toccare, il totalmente Altro, che vive "nei cieli" della sua trascendenza, un Dio che nessuno hai mai visto e può vedere: i nostri sensi falliscono. Il limite che, ad esempio, impediva perfino ai discepoli di riconoscere il Risorto che appariva fra loro. Un velo che non era dal principio. quando Dio passeggiava nel giardino (Gen 3,8). Adrienne Von Speyr spiega che "in paradiso Adamo non pone domande a Dio, ma vive semplicemente al suo cospetto, nella fede e nella felicità, e tutto ciò che egli compie corrisponde alle intenzioni di Dio. Solamente dopo il peccato originale c'è la

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domanda di Dio: "Adamo dove sei!".Adesso soltanto comincia il dialogo come tra due soggetti tra loro lontani e, perciò, soltanto adesso, incomincia ciò che noi oggi chiamiamo preghiera". Il limite che ci separa da Dio è solo una "porta" (e non come le porte blindate dei nostri giorni), un velo, dunque sottilissimo, ma presente, e sembra che Dio stia sempre lì, al di là della porta con l'orecchio teso per intendere il nostro bussare. Se al significato immediato di "vi sarà aperto" comprendiamo che allora la nostra preghiera sarà esaudita, è bello pensare che, una volta aperta la porta, Dio stesso la attraversa entrando da noi, e con i suoi doni, è lui stesso che si dona. La situazione però si potrebbe capovolgere: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20) Allora è vero che più che su un trono nei cieli, Dio abita dietro quella porta, col desiderio di vederla finalmente aperta, ma questa volta solo noi possiamo aprire. Ciò che ci spinge a bussare sarà allora il nostro bisogno, ma anche la nostalgia di una cena e di una comunione indicibile!

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PILLOLE PER LO SPIRITO

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roberto brunelli

quando escono le Badesse...

ettetevi la maglia di lana! Date ascolto al consiglio più diffuso e ripetuto dalle madri italiche. Cercate anche un cappellino per coprire la testa, anche se questo vi farà passare minuti preziosi. Perderete del tempo, ma conserverete il bene prezioso della salute. Perchè quando escono le Badesse sarà una giornata fortemente fresca. Non credete al calendario, che proclama che mancano solo 10 giorni alla Primavera.Vedrete che in questo giorno il mese di marzo darà sfogo a tutta la sua follia. Non fidatevi della bestia invernale che sembra ormai morta: potrebbe farvi assaggiare la frusta del suo ultimo colpo di coda. Infatti il giorno venturato in cui il Provinciale dei frati chiamerà a raccolta tutte le Badesse della regione, aprendo al mattino presto la persiana della finestra troverete per le strade un manto di neve: probabilmente perché il Signore vuole stendere un velo bianco sul cammino delle sue spose e coprire ai loro occhi le brutture del mondo. Non importa se per andare a prendere la Badessa del più sperduto monastero di montagna delle Marche avete in dotazione una piccola scatoletta a quattro ruote senza gomme termiche o catene. Arriverete più o meno lo stesso, doveste rischiare la vita anche cinque volte. Trasportando la mite suora, vi stupirete del suo stupore: “Bella questa strada grande”. In realtà è una superstrada che stà lì già da 30 anni... “Non passo per Ancona da quando sono stata operata da bambina (77 anni prima...). Giungiamo rapidamente ad Osimo, sede dell’incontro. Nel pomeriggio dovrò passare a riprendere Madre Giuseppina intono alle 16.00.Arrivo all’appuntamento puntuale, ma eccomi pronto uno scherzo da Pro-

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vinciale: “Oltre che la Badessa di Apiro, accompagna anche quella di Jesi, di Arcevia e di Serra de’ Conti. Nel corso della giornata non ho acquistato una nuova macchina e ho ancora la 600 che avevo al mattino. Farle entrare tutte è poco più agevole che mettere 4 elefanti in una 500, non perché le suore siano grasse, ma perchè è proprio la macchina ad essere minima. La Badessa di Serra è la più alta, ma è anche la più magra, quindi si sacrificherà al centro nel sedile posteriore. Tutte queste manovre sotto una pioggia battente che si trasforma ben presto, appena partiti, in soffice neve. Come al mattino, non ho nè ruote adatte, né le catene, ma solo la virtù dell’obbedienza... Scendiamo verso la frazione di Passatempo, e il tempo è ancora passabile, ma ad un certo punto la neve comincia ad essere fitta. Naturalmente l’impianto di riscaldamento funziona male e il nostro fiato appanna rapidamente il piccolo abitacolo. La Badessa di Jesi, che mi fa da navigatore, con un piccolo straccio agisce da tergicristallo interno, e rende il cammino un pò più visibile. Ma ora risaliamo nuovamente verso l’alto e la neve per strada diventa sempre più dominante. Arriviamo ad un bivio, che ci segnala che ci siamo allontanati 20 km da Osimo e mancano ancora 15 km per arrivare a Jesi. Nel frattempo però, molte macchine poco attrezzate come la nostra si sono arenate nella neve. La strada per Jesi è bloccata e tornare ad Osimo potrebbe risultare ancora più pericoloso. Mi escono le prime espressioni di sconforto:“Che facciamo, ora!” “Non riusciamo nemmeno a tornare indietro!”. Tra le altre frasi sconnesse ne esce una stranamente provvidenziale: “Ma non è che c’è un monastero qui vici-


PILLOLE PER LO SPIRITO no”. Passano pochi secondi e la mia navigatrice scorge un cartello che indica Filottrano a soli 7 km. Il destino è ormai segnato: nessuna Badessa tornerà questa sera al suo monastero, ma si recheranno tutte insieme come ospite e pellegrine al Monastero amico. Se ci arriviamo! Non è cosa facile... Ad 1 Km dal Monastero la macchina non sente ragione: anche se frustata a dovere si ferma slittante e riluttante a salire l’erta finale. Devo passare 10 minuti sotto la pioggia prima di trovare una persona che abbia una macchina robusta, 4 posti liberi e un cuore generoso. Un tipo con la Multipla si fa in 4 per aiutarmi e trasporta lentamente, dietro una fila interminabile, le suore verso il Monastero. Io cammino al loro fianco, sotto la neve che ridiventa pioggia: e non ho il cappellino che ho dimenticato al mattino. Le Suore di Filottrano ci accolgono festose. Premurose mi portano un asciugamano e un fono per asciugare i capelli. Poso gli occhiali appannati sul tavolo e quando vado a riprenderli sono spariti. Passiamo 20 minuti a cercarli. Le Suore mi dicono: “Ma non è che li hai lasciati in macchina”. Io rispondo sicuro di no!”. Inizio a

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cercare con gli occhi una possibile cleptomane. Una anziana su di giri che avevo guardato con sospetto risulta chiaramente innocente: gli occhiali infatti li ha presi la suora che in teoria dovrebbe essere la più normale, cioè la superiora. La sorpresa di avere tanti ospiti all’improvviso l’aveva comprensibilmente mandata in tilt. Dopo aver pregato insieme, ci rechiamo in quello che, a causa di una finestra colabrodo, è probabilmente il refettorio monastico più freddo d’Europa: 11° gradi (qualche generoso lettore non potrebbe comprargliela nuova?!). Ma la minestra calda, un Verdicchio gustoso e la calda accoglienza delle monache ci fanno dimenticare tutto. Dopo aver dormito sotto 4 coperte ci aspetta una colazione da re con dei biscotti prelibati, specialità del Monastero elaborata da una suora diabetica. La storia sta per terminare. Accompagno per ultima la Badessa di Serra de’ Conti che, prima di andar via, mi regala una cassetta di vino di quello buono. Sì, perché quando escono le Badesse le avventure finiscono in gioia, e se proprio devono finire in lacrime, sono quelle dolci del vino di Morro d’Alba!

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VITA DEL SANTUARIO

ici gli adm i e p p e s u i G n sa

Sopra: Immagini dal Convegno dedicato a P. Benvenuto Bambozzi e S. Messa celebrata dal Postulatore Generale nella casa del Venerabile A fianco: Animatori del Convegno Giovanissimi Due allegre Apostole della Vita Interiore Gruppo di pellegrini abruzzesi

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VITA DEL SANTUARIO

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xxx Voci di preghiera xx

XXX Riportiamo in questa rubrica alcune preghiere che i giovaXXX ni, dopo la visita a san Giuseppe da Copertino, lasciano scritte presso la sua tomba. xxxxxx

Amatissimo san Giuiseppe da Copertino, tu mi hai concesso le grazie che questo padre ha chiesto per il figlio quando era universitario. Adesso che è laureato non riesce a trovare lavoro, tante promesse fatte sono svanite, allora ti chiedo con tutto il cuore di aiutarlo a realizzarsi nel mondo del lavoro. Carrissimo san Giuseppe ti prego di intervenire con la tua potente intercessione per la promozione di mio nipote. E’ in seriissima difficoltà e rischia di non farcela.Ti chiedo un miracolo, aiutalo come solo tu sai fare in queste occasioni. Grazie per ciò che farai. Ti prego san Giuseppe mio, aiutami a superare questi momenti così difficili nei quali non so mai quale sia la giusta decisione da prendere. Dammi la forza di guardare avanti senza paura, indicami la strada giusta e io la percorrerò senza tentennamenti. Grazie. Caro san Giuseppe, ti prego affinché i controlli medici che ho appena fatto siano tutti negativi e che tutto sia risolvibile, ti voglio bene....

Operiamo il Bene insieme

Per onorare la vitalità della testimonianza di voi associati nel nome del Santo, trascriviamo i nominativi di alcuni che si sono uniti alle “opere di bene” collegate alla nostra Associazione.

Associati-devoti che inviano una loro libera offerta per essere iscritti alla S. MESSA QUOTIDIANA che noi religiosi celebriamo alle ore 7.00 sulla tomba del Santo. Con tale iscrizione partecipano al “bene spirituale” dell’Eucaristia a beneficio di se stessi di persone care in suffragio delle anime dei loro defunti. DIPLOMI d’iscrizione sono stati rilasciati a coloro che hanno inviato un’offerta non inferiore a € 20,00: Camattini Maddalena e Caterina, Mastan-

drea Garzillo Carmela, Canu Giuseppina, Raile Carlo, Gay Adriana, Fam. Ruggiero Perrino, Papa Paola...

Per le MEDICINE NECESSARIE ALLA CURA DI UN LEBBROSO assistito nel lebbrosario di S. Francesco a Solwezi e per i MINIAPPARTAMENTI destinati ai lebbrosi guariti nel villaggio di Chibote (oasi di pace) in Zambia, hanno contribuito con € 11,00: De Mercato M.Gabriella, Fadda Umberto e Antonio, Vittoria Verolin o, Raco Rita e Vincenzo, Carbone Ladaga Rachele, Triscari Giuliano, Braidotti M.Pia, Rizzo Calvosa Amelia, Fam. Baldanzi... Per i BAMBINI handicappati, per i POVERI senzatetto e i denutriti, per i

Grazie per il vostro buon cuore! Il Signore vi benedica per la vostra generosità. Attraverso il bene che fate, molti fratelli sono sollevati dalle sofferenze e dall’abbandono sperimentando la solidarietà e l’amore di Dio. San Giuseppe vi ottenga le più grandi benedizioni.

MALATI abbandonati.... assistiti nelle nostre missioni hanno inviato il loro contributo assistenziale di € 11,00: Arrighi Marcella, Costantino Francesco, De Lella Giovanni, Guarino Franca, Czinege Sidonia Maziana, Gragali Grazia, Frola Comoglio Margherita, Cipriani Paolino e Fidalma, Papa Falcone Teresa, Rivoli Alfredo, Allegri Daniele, Franceschini Paolo, Polisiero Amelia ... Illuminati dall’esempio del santo, gli STUDENTI, uniti con i loro parenti, pregano SAN GIUSEPPE da COPERTINO per la sua protezione negli studi e negli esami: Izzo Trojsi Giulia, Balletta Ugo, Panunzi Adriano, Zoroddu Miriam e Daniele, Malattia Ofelia, Binucci Alessandro e Filippo, Montanaro Michelangelo, Gennari Paola, Bevilacqua Alma, Fam. Pupillo, Cadau mGiuseppe, Sirci Rita Ivonne, Seno Emanuele, Rusticali Elena, Falcicchia M.Concetta, Gloria Graziella, Farina Santina, Spitale Mario Anfora Cristini Elvira, Argentati Giulio, Rossi Maria, La Spina Nicolò, Miglioranzi Enrico, Salvadori Maria Teresa, Barone Maria, Girometti A.Maria.......

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