I fari sono universalmente considerati un punto di riferimento, concreto e ideale, sia dalle popolazioni insediate lungo le coste, per le quali rappresentano amici leali, guide e compagni di navigazione, sia per chi ha sempre vissuto distante dal mare e li ha osservati da lontano, con l’attrazione e il timore con cui ci si rapporta agli enti poco conosciuti. Attorno ad essi sono nate numerose leggende: una statua colossale che all’ingresso di un porto greco reggeva un immane braciere, schiavi che illuminavano fiaccole in cima alle montagne, fuochi accesi per indicare rotte sbagliate e far incagliare le navi dei pirati, un drago che si arrampicava lungo una torre per bere l’olio della lampada e far naufragare le imbarcazioni, le lunghe notti dei guardiani, con la faccia sferzata dal vento e dalla salsedine, a custodire la luce preziosa dei fari. Che sorgessero nei centri abitati, all’imbocco del porto, o su isole popolate dai gabbiani, che si ergessero in cima a scogliere isolate, oppure in equilibrio precario su rocce in mezzo all’oceano, il ruolo di queste strutture luminose è sempre stato irrinunciabile. Non solo landmark e guide per i marinai e i pescatori, ma anche oggetti simbolici, totem, monumenti in cui si ricongiungono i quattro elementi: terra, cui sono ancorati, aria, verso cui si elevano, acqua, alla quale si rivolgono, e fuoco, che li alimenta e li vivifica. Da un così ricco immaginario ha preso le mosse il tema di questa tesi, che si nutre anche della linfa culturale che scorre nel territorio salentino: regione umanizzata fin dall’età del bronzo, ha ospitato Greci e Romani, per poi passare sotto il controllo delle più grandi dinastie europee, dagli Aragonesi ai Borbone, che hanno lasciato rocche, città fortificate e castelli. Terra tra i due mari, Adriatico e Ionio, ma anche tra Cristianesimo e Islam, tra clero cattolico e spiritualità ortodossa, è stata meta di colonizzazioni fruttuose e ha dovuto difendersi da invasioni minacciose. Il mare è stato da sempre il veicolo di queste influenze, la più grande ricchezza, anche economica, del Salento, un orizzonte verso cui aprirsi e una dimensione vastissima da controllare e nella quale orientarsi: si comprende quindi quale ruolo abbiano avuto i fari nella penisola più a est d’Italia.
Il lavoro di tesi parte proprio dal legame inscindibile tra questo territorio e i sette fari che lo abitano, mirando a invertire il punto di vista con il quale si è solitamente abituati a guardare ad essi: non più dal mare, ma dalla terraferma. Non solo per la costa, ma anche per l’entroterra, essi possono avere il ruolo di punti focali, irradiando cultura e orientando flussi di popolazione verso una conoscenza sempre più approfondita del territorio. L’obiettivo è la creazione di un sistema unico, sostenuto da un progetto culturale coerente ed organico, che riconnetta i fari di San Cataldo di Lecce, Torre Sant’Andrea, Otranto (fanale), Punta Palascia, Santa Maria di Leuca, Torre San Giovanni e Gallipoli (Isola di Sant’Andrea), rendendoli i nodi di una rete, concettuale e concreta. A
la
sinistra:
Puglia
Salento
nel
e
localizzazione individuazione territorio
deldel
pugliese;
con i pallini neri sono indicati
i fari presenti nel territorio, ma
non rientranti nel progetto, mentre le sagome blu rappresentano le
strutture prese in considerazione.
Pagina precedente: carta nautica del Salento con indicazione dei fari considerati e della loro portata luminosa.
ricostruzione lineare della costa tramite mosaico
fotografico.
Il punto di partenza è stata la stesura di una serie di itinerari stagionali, per i quali sono stati pensati mezzi di trasporto, tempistiche e mete diverse, in base alle condizioni climatiche e alla variabilità dell’aspetto del luogo nei vari periodi dell’anno.
L’operazione consiste nell’intessere una vera e propria trama, di memorie, di idee e di percorsi, che trova concreta rappresentazione nell’epidermide dell’oggetto architettonico che costituisce il “casello stradale” di ogni stazione, vale a dire un piccolo parallelepipedo che assume funzione diversa a seconda del ruolo del faro nel sistema. La pelle forata, ispirata alla trama rocciosa della pietra locale, consente una semi-permeabilità e, in orari notturni, il passaggio della luce, come se il padiglione fosse uno sdoppiamento della lanterna.
Questa
pagina: fasi di elaborazione della trama che
avvolge i
“caselli
stradali” del percorso e che in-
dividua esteriormente le aree di intervento.
Pagina
accanto:
studi
dei fari e presentazione
architettonici
Faro
di
sui
fabbricati
Punta Palascìa.
Gli antichi fabbricati dei fari, oggi reperti dismessi di archeologia industriale, assumono nella rete una funzione diversa, divenendo spazio espositivo, landmark, quinta teatrale oppure struttura ricettiva, sulla base della collocazione geografica e del contesto circostante.
Faro
di
San Cataldo, 23,30
m
(1897)
Faro di Sant’Andrea di Missipezza (1932)
Fanale di Punta Craul, Otranto (anni ‘60)
Faro di S. Maria di Leuca, 47 m (1865)
Faro di Torre San Giovanni (eretto 1524, attivo 1932)
Faro
di
Gallipoli, 46
m
(1865)
La tesi affronta nel dettaglio tre tipologie di intervento molto differenti fra loro, sia per le modalità che per i contesti che fanno da cornice. Il faro di Punta Palascìa, su un’altra scogliera a strapiombo sul mare, torre solitaria lontano dall’abitato, diventa un “rifugio marino” per chi desidera tornare al modus vivendi semplice dei guardiani del faro.
Faro di Punta Palascìa: Rifugio Marino e Museo della Biodiversità e dell’ Ecosistema Mediterraneo.
In
pagina:
questa
vista
prospettica
del faro, prospetto laterale e pianta piano terra
Nelle mare,
(stato
di progetto).
pagine precedenti: prospetto dal
pianta delle coperture, esploso
assonometrico con dettagli degli arredi
(stato
di progetto).
Il Museo della Biodiversità e dell’Ecosistema mediterraneo, destinazione d’uso precedente del faro, rivelatasi fallimentare, viene riorganizzato solo su un piano dell’edificio e gode del sostentamento economico da parte della struttura ricettiva. Le ispirazioni per l’allestimento sono gli “ambienti sensibili” di Studio Azzurro e un approccio alla conoscenza mai cattedratico, molto diretto e basato sui 5 sensi.
In questa pagina: pianta piano primo(stato di progetto), layout complessivo del progetto, layout del piano primo (museo), racconto del percorso museale, con dettaglio delle tematiche
da
esso
affrontate
modalità di esposizione.
e
delle
Il faro di Torre San Giovanni, situato in un centro urbano e adiacente al porto, diventa sede delle attivitĂ ricreative per un circolo nautico.
In
alto:
pianta
piani
terra e primo(stato di progetto).
A
destra:
zione
e
rielabora-
ricomposizione
dei
disegni
delle
In
basso,
in
ioliche. e
nella
to:
pagina
rettifica
ma-
questa
accan-
del
di-
segno in relazione alla struttura del tavolo.
Il nucleo di tali attività è una sala polifunzionale ottagonale, collocata sotto la cupola dell’ambiente centrale della torre cinquecentesca. A servire questo spazio, un tavolo progettato ad hoc, scomponibile in moduli derivanti dalla rielaborazione e ricomposizione del disegno di due maioliche rinvenute in loco.
In
alto: pianta piani secondo e terzo(stato
Al
centro: motivi decorativi del
In
basso: configurazione definitiva del ta-
di progetto).
Salento;
ipotesi di utilizzo di un tavolo modulare. volo e dei suoi moduli.
La destinazione funzionale implementa le attività legate al porto già esistente e dona alla cittadina gli spazi ricreativi di cui soffre la mancanza. La possibilità di svolgere attività sportive è garantita dalla presenza di un litorale sabbioso al fianco di rocce levigate. La torre, oltre a rappresentare un landmark immediatamente riconoscibile, diventa quindi il perno attorno cui ricucire la dimensione sociale sfilacciata del luogo.
Le volute e i fiori della mattonella, figli di un barocco rivisitato in chiave moderna, sono richiamati anche nell’esclusivo logo del club, appositamente studiato in sede di progettazione. Esso reca cinque colori, associati ad altrettanti sport praticabili sul posto, e diventa la matrice per l’immagine coordinata del circolo: biglietti da visita, badge per i soci, abbigliamento e accessori, pensati come merchandising ufficiale distribuito presso il piccolo shop del circolo.
In
alto:
bicolore
cappello
con
(lavorazione
visiera
rigida
sartoriale: tes-
suto di tela ricamato a mano); taccuino
Moleskine (copertina rigida, 240 13x21 cm).
plain pages,
A
destra, dall’alto: elementi grafici
desunti
dalla
nell’immagine per i-Phone merciali
matrice
e
coordinata;
riutilizzati
cover
rigide
5s; buste da lettere (111,4x22,9 cm).
com-
In
alto: polo da velista con dettagli
(fronte
e retro).
A destra, dall’alto: t-shirt modello “Les Baleines”, modello “Roter Sand” e modello “Maplin Sands” (fronte e retro). In
basso:
T-shirt
modello
“Le Corduan” (front
e retro).
Infine il faro di Sant’Andrea (Gallipoli), collocato su un’isola preservata come riserva naturale e pertanto inaccessibile a qualsiasi imbarcazione non autorizzata, diventa un contrassegno sul territorio, al quale tendere mediante una passerella galleggiante, che, dal seno della Puritate, la spiaggia subito fuori dalle antiche mura della città di Gallipoli, conduce all’interno di un pensatoio sull’acqua avvolto dalla consueta trama; questa si apre per consentire uno sguardo privilegiato verso il faro.
Ritorna l’idea-chiave di “percorso”, alla base di tutto il progetto sul territorio: lungo il camminamento sull’acqua si snodano sette piattaforme quadrate.
Esse raccontano in altrettante tappe la storia dell’isola e del faro gallipolino, incisa su apposite “panche narrative” e riprendono, nell’articolazione, il tracciato degli isolati della città vecchia.
In
che
queste pagine: l’installazione racconta
poli,
dalla
il
sua
faro
di
Galli-
localizzazione,
alla genesi della sua forma, fino al dettaglio delle modalitĂ espositive e di racconto scelte.
Nelle
pagine
prospettiche progetto.
ed
precedenti:
assonometria
viste del