1994 (libro Chiarelettere)

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PRINCIPIO ATTIVO Inchieste e reportage


Michele Ainis, Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Bandanas, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani, Nicola Biondo, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Dario Bressanini, Carla Buzza, Andrea Camilleri, Olindo Canali, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Andrea Casalegno, Antonio Castaldo, Carla Castellacci, Massimo Cirri, Fernando Coratelli, Carlo Cornaglia, Roberto Corradi, Pino Corrias, Andrea Cortellessa, Riccardo Cremona, Gabriele D’Autilia, Vincenzo de Cecco, Luigi de Magistris, Andrea Di Caro, Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella, Davide Ferrario, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Vania Lucia Gaito, Bruno Gambarotta, Andrea Garibaldi, Pietro Garibaldi, Claudio Gatti, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Luigi Grimaldi, Dalbert Hallenstein, Guido Harari, Riccardo Iacona, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Alessandro Leogrande, Marco Lillo, Felice Lima, Stefania Limiti, Giuseppe Lo Bianco, Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Antonella Mascali, Antonio Massari, Giorgio Meletti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Alain Minc, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Loretta Napoleoni, Natangelo, Alberto Nerazzini, Gianluigi Nuzzi, Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Antonio Padellaro, Pietro Palladino, Gianfranco Pannone, David Pearson (graphic design), Maria Perosino, Simone Perotti, Roberto Petrini, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello, Mario Portanova, Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Sigfrido Ranucci, Luca Rastello, Marco Revelli, Piero Ricca, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Giuseppe Salvaggiulo, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano, Luciano Scalettari, Matteo Scanni, Roberto Scarpinato, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò, Luca Steffenoni, theHand, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Elena Valdini, Vauro, Concetto Vecchio, Carlo Zanda, Carlotta Zavattiero

Autori e amici di

chiarelettere


“È la storia della mia vita, devo concludere, voglio mettere la parola fine… 1400 miliardi di lire: dov’è finita questa impressionante mole di denaro?” Ilaria Alpi.

PRETESTO 1 f pagine 17-18


“Rostagno mi disse che si era appartato vicino a un vecchio aeroporto militare in disuso, a Trapani, e aveva visto atterrare un aereo militare… Aveva iniziato le sue indagini e appreso che l’aereo era destinato a portare viveri e medicinali in Somalia dove invece venivano esportate armi.” Sergio Di Cori, amico di Mauro Rostagno.

“Nel 2010 a Trapani e a Palermo nuove inchieste della magistratura mettono in collegamento tre casi giudiziari rimasti insoluti: gli omicidi di Mauro Rostagno, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Vincenzo Li Causi.”

PRETESTO 2 f pagine 301-302, 184


“A bordo del Moby Prince sono state individuate tracce di esplosivo militare… Nel porto di Livorno è presente – prima, durante e dopo il disastro – l’ammiraglia della Shifco, la flottiglia di pescherecci su cui indagava Ilaria Alpi.” Il 10 aprile 1991 si verifica la disastrosa collisione tra il traghetto e una petroliera della Snam. 140 vittime, un mistero italiano.

PRETESTO 3 f pagina 91


– Le armi partivano con le navi e arrivavano in Italia? – Si diceva. – Nel gennaio 1991 cade Siad Barre. Successivamente lei ha avuto notizie di questo tipo di trasporti verso l’Italia? – Sì, ma se verso l’Italia o altrove non so. Interrogatorio di Carlo Taormina, presidente della Commissione parlamentare Alpi-Hrovatin, al sultano di Bosaso, 8 e 9 febbraio 2006.

“Al momento dell’interruzione della strategia dinamitarda di Cosa nostra c’è stata una cesura anche nelle strutture operative da cui stava nascendo Forza Italia, proprio nella delicata cerniera che le collegava ai traffici somali.”

PRETESTO 4 f pagine 100, 148


“Cardella (responsabile della Saman) era ritenuto l’anello di collegamento tra i socialisti italiani, la mafia trapanese, che era la più potente e la meno permeabile, la massoneria, nonché ambienti internazionali dediti al riciclaggio.” Francesco Elmo, collaboratore di giustizia, 12 settembre 1996.

PRETESTO 5 f pagine 310-311


Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol Spa Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare Spa) Sede: Via Melzi d’Eril, 44 - Milano ISBN 978-88-6190-075-2 Prima edizione: ottobre 2010

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Luigi Grimaldi Luciano Scalettari

1994

chiarelettere


Luigi Grimaldi, 52 anni, è inchiestista freelance e scrittore investigativo dal 1990. Il traffico internazionale d’armi, la criminalità mafiosa e transnazionale, e il ruolo dei servizi segreti nei misteri d’Italia sono da sempre al centro della sua attività. Ha collaborato con quotidiani e settimanali come «Il Gazzettino» di Venezia, «Liberazione», «Avvenimenti», «Famiglia Cristiana» e la trasmissione di Rai 3 Chi l’ha visto? Tra i titoli più significativi delle sue pubblicazioni Traffico d’armi. Il crocevia jugoslavo (con Michele Gambino), Editori Riuniti, e Da Gladio a Cosa nostra, Edizioni KappaVu. Luciano Scalettari, 49 anni, è giornalista dal 1987. Dal 2000 è inviato speciale di «Famiglia Cristiana». È stato consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul delitto Alpi-Hrovatin, dal marzo 2004 all’8 febbraio 2005, quando si è dimesso dall’incarico. Si occupa in particolare di attualità africana, temi d’attualità sociale e di giornalismo d’inchiesta. Ha vinto nel 2000 e nel 2006 il Premio giornalistico Saint Vincent. Tra le pubblicazioni recenti Ilaria Alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici (con Alberto Chiara e Barbara Carazzolo), Baldini & Castoldi, e La lista del console – Ruanda, 100 giorni un milione di morti, Edizioni Paoline.


Sommario

1994 Prologo

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Prima parte. Il sistema criminale Alpi-Hrovatin: un omicidio politico

13

Un incidente di percorso 15 - L’ultima missione 16 - «È la storia della mia vita» 17 - Un giovane e brillante ingegnere 19 Dove non dovevano andare? 20 - L’ultima intervista. Ma manca una parte 21

Il progetto Urano e i traffici somali

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I mille volti di Urano 27 - Una «lettera di intenti riservatissima» 29 - La testimonianza di Ezio Scaglione 30 - Alla corte di Aidid 31 - Roberto Ruppen, il supplente di Guido Garelli 32 L’architettura finanziaria 34 - I documenti, le prove 35 - Soldi in cambio di armi 39

L’Italia delle P2, delle mafie e delle leghe

47

La prima denuncia internazionale 49 - La testimonianza di Marcello Giannoni 51 - Le immondizie? Cose di Cosa nostra 54 Una rimpatriata di vecchi amici 56 - Dalle Leghe a Eurotopia 57

Una rete internazionale L’inchiesta dell’Onu 67 - Il trafficante siriano 69 - L’ufficiale somalo Moallim 71 - Traffici e servizi (troppo) segreti 73 - Le potenti coperture di Al Kassar 75 - L’esplosivo fantasma 75 - L’inchiesta polacca 76

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La tragedia del Moby Prince

83

La pista dell’Rdx 85 - Una miccia lunga un chilometro. Dov’è finita? 86 - Il marinaio Samatar 88 - Livorno, primavera 1991... 91 Un tratto di mare troppo trafficato 93 - Un traffico d’armi parallelo? 96 - Un’inspiegabile manichetta bruciacchiata 97 - «Armi e carburante» disse il sultano 98 - Verso la Somalia o verso l’Italia? 99

Le squadre in campo

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Lotte tra fazioni 105 - Segreto di Stato 106 - Gli amici degli amici 107 - Giochi pericolosi: Faduma e il Sismi 109

I «Sistemi criminali», ovvero la trattativa tra mafia e Stato e il ruolo delle leghe del Sud

113

Sette stragi in undici mesi 115 - I mandanti occulti 116 - Con la stessa firma 118 - Armi e triangolazioni 119 - Al Kassar e Cosa nostra 121 - Il papello 122 - Gli altri appunti di Ciancimino 124 - Dell’Utri, Cosa nostra e i piani alti di Publitalia 128 «Operazione Botticelli» 131 - La vigilia di un colpo di Stato mancato 132 - «Ditex Superga Sette» 137

La svolta

145

«Sapevano tutto fin dall’inizio» 147 - Mandanti «a volto coperto» e indagini archiviate 149 - Un piano eversivo 152 - Elio Ciolini, il preveggente 153 - A proposito di leghe del Sud (e del Nord) 155 - Un progetto colossale 157 - L’archiviazione dell’inchiesta «Sistemi criminali» 159 - Il neofascista e l’avvocato delle leghe 161 - Liaisons dangereuses 162

Il caso Vincenzo Li Causi

169

L’uomo dello Scorpione 171 - Un agente molto speciale 172 Una strana battuta di caccia 174 - Un ginepraio di contraddizioni 175 - Inspiegabili «inerzie» e testimonianze contraddittorie 177 - L’organizzazione della Falange armata 180 - Codice numerico 763321 182 - Ilaria e la Falange 183

Seconda parte. Il filo rosso La pista di Ilaria L’ultima intervista 193 - Gli altri corrispondenti che sapevano 196 - Le carte di Mogadiscio 198 - La moglie di Ali Mahdi 200 L’affaire Shifco 201 - Pirateria moderna 204

191


Somaliagate: tra mafia e massoneria

211

Massimo Pizza e il «Somaliagate» 213 - Nome in codice «Polifemo» 215 - Le rivelazioni di Massimo Pizza e l’inchiesta «Sistemi criminali» di Palermo 216 - I cappucci labronici 221 - Da Potenza a Catanzaro. Via Udine, Como, Livorno, Mogadiscio 223 Sparizione di una fonte 224 - Un peschereccio bianco a Livorno 226 - Rivelazioni sospette 227 - Informative fotocopia... 228 ... e informative «deragliate» 230 - Anghessa, Miglio e la Lega 233 - Un delitto politico, dunque 239 - «A bumbiciedda» 243 La pista di Trapani 244 - Il «ministero degli Esteri» di Cosa nostra 246

Viaggio in Somalia

259

Opere e omissioni 261 - I nodi vengono al pettine 266 - Il suggeritore 270 - Gardo dimenticata 272 - Missione Somalia 276 Che ne dice di seppellire qualche container? 279 - La strada dei misteri 280

Tre delitti, un solo movente? Lungo la Garowe-Bosaso 287 - Da Bologna a Bosaso (passando per Roma) 290 - L’inchiesta «Cheque to cheque» 293 - Jupiter e il guru 296 - Rostagno, Cardella e le armi della Somalia ventun anni dopo 300 - Una sera di fine settembre 303 - Trapani crocevia dei traffici 305 - La «Struttura», ovvero le deviazioni di Stato 306 - Francesco e Bettino 309 - Ritorno in Somalia 313 Misteriose missioni africane 317 - 16 marzo 1994 320 - Verso un tragico epilogo 323

Terza parte Il momento della «verità»: la Commissione Taormina Una commissione «inopportuna» 335 - Piste non percorse... 337 Il colpo di spugna 341 - Taormina e il giudice Pititto 342 - Le macerie di una Commissione d’inchiesta 345 - Il complotto dei giornalisti 347 - La missione segreta 349 - Un ennesimo tentativo di inquinamento 352 - Taormina e il nome della fonte 354 Un bel giorno d’autunno, sul lago di Garda 356 - La testimonianza di Gargallo 357 - La Toyota della discordia 362 - Dieci giorni ad alta tensione 366 - Aldo Anghessa e la trappola 367 -

285


La tenacia investigativa della Digos di Udine 369 - Armi. Dalla Somalia verso l’Italia... 373 - Qualche telefonata imbarazzante 377 - Il giallo del certificato scomparso 379 - Giorgio Comerio, i «penetratori» e la Somalia 383

Appendice

391

Intervista ad Antonio Ingroia 393 - Intervista a Luca Tescaroli 407

Postfazione di Salvatore Borsellino

425

Ringraziamenti

437

Fonti e documentazione

439

Fonti bibliografiche

443

Indice dei nomi

447


1994

A Giorgio Alpi, che vorremmo ancora «in prima linea» per ottenere verità e giustizia


Nota degli autori In questo libro molte vicende sono raccontate attraverso inchieste giudiziarie e processi che ne hanno ricostruito lo sviluppo; e si nominano altresì molti protagonisti e personaggi di contorno di questi fatti. Precisiamo e sottolineiamo che, da noi tanto quanto dal lettore, tutte le persone citate sono da considerare – come del resto stabiliscono il diritto e le leggi italiane – innocenti fino a prova contraria, e comunque fino a sentenza definitiva e passata in giudicato. Il lettore troverà citate e raccontate inchieste giudiziarie che si sono risolte in archiviazioni. Si tratta di indagini all’esito delle quali il magistrato non ha ritenuto di avere gli elementi sufficienti per rinviare a giudizio gli indagati e portarli in tribunale. Riprendere e raccontare queste inchieste non significa fare in un libro il processo che non è stato celebrato in un’aula di giustizia. Anzi, se il magistrato ha ritenuto – in base al principio per cui la responsabilità penale è personale – che non vi fossero elementi di colpevolezza nei confronti degli indagati, questo tanto più vale per noi. L’ampio utilizzo in questo libro di documentazione proveniente da inchieste giudiziarie è dovuto al fatto che i contesti, le circostanze, i collegamenti, gli avvenimenti individuati e approfonditi da alcuni magistrati sono importanti per la ricostruzione storica e d’inchiesta giornalistica che abbiamo cercato di realizzare, al di là degli esiti giudiziari che hanno coinvolto le singole persone. Non è nostro compito giudicare né tantomeno condannare qualcuno. Tocca ai magistrati. A noi giornalisti spetta raccontare e ricostruire circostanze ed eventi. Specie quelli che non ha ancora narrato nessuno, come in questo caso. Una selezione di documenti e atti giudiziari utilizzati in questa inchiesta sarà pubblicata e resa disponibile on line sul sito www.chiarelettere.it


Prologo

Trapani, 26 settembre 1988. Mauro Rostagno viene trovato morto nella sua auto, crivellato di colpi, a poche decine di metri dalla sede della comunità Saman a Lenzi, nei pressi di Trapani. È stato un agguato. Lo aspettavano, la sua auto è stata bloccata mentre percorreva la stradina che porta all’ingresso della comunità per il recupero dei tossicodipendenti che il sociologo e giornalista aveva fondato. Per ventun anni l’omicidio è rimasto fra i casi irrisolti. Solo nel maggio 2009 i pm di Palermo Antonio Ingroia e Gaetano Paci indicheranno due dei possibili responsabili: l’organizzatore, il boss Vincenzo Virga, e uno degli esecutori materiali, entrambi uomini del clan trapanese di Cosa nostra. L’ordine di eliminare Rostagno sarebbe partito dal boss di Trapani Francesco Messina Denaro, deceduto nel 1998, padre dell’ultimo grande latitante della mafia, Matteo Messina Denaro. Il movente? Secondo i magistrati le ragioni dell’omicidio andrebbero cercate nel contenuto di una misteriosa cassetta girata di nascosto da Rostagno nei pressi della pista militare di Kinisia. Immagini che proverebbero traffici di armi con la Somalia, organizzati con la complicità di apparati dello Stato e in particolare degli uomini del Centro Scorpione di Trapani, una delle cinque sedi segrete di Gladio sparse per l’Italia. Immagini tanto importanti, per Rostagno, da spingerlo a duplicare la cassetta. Due copie, entrambe scomparse: sia quella che il giornalista portava sempre con sé, sia quella lasciata sulla sua scrivania. Dopo aver girato quelle immagini, Rostagno va a parlare con Giovanni Falcone. Cosa gli dice? Nessuno lo sa, entrambi sono stati uccisi. Sappiamo però che diversi


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collaboratori di giustizia hanno riferito che la mafia trapanese in quel periodo si occupava di traffici d’armi, droga e rifiuti tossici. Livorno, 10 aprile 1991. Alle 22.27 il traghetto Moby Prince con a bordo 141 persone si scontra con la petroliera Agip Abruzzo della Snam, una società del gruppo Eni. Un solo sopravvissuto. È, a oggi, la più grave tragedia della marineria civile italiana e una delle pagine più oscure della giustizia del nostro paese. Le indagini si rivelano un coacervo di omissioni, depistaggi, clamorose manomissioni delle prove. Negli anni emergono brandelli di verità: quella sera, nella rada di Livorno, erano in corso operazioni illecite di trasbordo di materiale bellico da parte delle forze armate degli Stati Uniti, con il silenzio complice delle autorità italiane e la «collaborazione» di diverse imbarcazioni. Sul teatro della tragedia compie operazioni mai chiarite la nave madre della flotta di pescherecci Shifco, su cui tre anni più tardi indagherà la giornalista Ilaria Alpi. Nel 2003 un comitato di investigatori delle Nazioni Unite accuserà la stessa flotta di aver portato sulle coste della Somalia carichi di armi del trafficante siriano Monzer Al Kassar. Nairobi, 24 giugno 1992. Nella capitale keniota tre singolari personaggi – un trafficante, un imprenditore e il console onorario della Somalia – si danno appuntamento per firmare una «lettera di intenti riservatissima», cioè un accordo «per lo sviluppo del progetto Urano nel Corno d’Africa». I loro nomi sono: Guido Garelli, Giancarlo Marocchino ed Ezio Scaglione. Cos’è Urano? È uno dei più colossali progetti di smaltimento illecito di rifiuti tossico-nocivi e radioattivi in Africa. Ideato dallo stesso Garelli nella seconda metà degli anni Ottanta, coinvolgeva decine di persone e prevedeva lo scambio armi-rifiuti, ossia la fornitura di materiale bellico ai paesi che accettavano di stoccare sostanze pericolose sul proprio territorio. Un progetto di livello internazionale che vedeva implicati colletti bianchi, personaggi dei servizi segreti di diversi paesi, faccendieri, uomini del sottobosco della politica. Nel progetto originario degli anni Ottanta (Urano 1) la destinazione dei rifiuti era una grande depressione desertica del Sahara occidentale; all’inizio degli anni Novanta, precisamente nel 1992, si materializza una nuova versione: Urano 2, oggetto della «lettera di


Prologo

5

intenti riservatissima», nella quale i luoghi di smaltimento diventano la Somalia e altri paesi africani. Roma, 31 ottobre 1993/23 gennaio 1994.1 Un uomo schiaccia il pulsante di un telecomando a distanza, ma l’auto imbottita di esplosivo non esplode. L’innesco non ha funzionato. La vettura è intatta, la gente sfila lasciando lo stadio Olimpico, i carabinieri del servizio d’ordine fanno il loro lavoro ignari del fatto che potrebbero essere già morti, spazzati via dall’ultimo e più sanguinoso degli attentati organizzati da Cosa nostra nella stagione delle bombe del 1992-1993. Doveva essere il più dirompente per numero di vittime: la risonanza mediatica avrebbe dovuto abbattere le ultime resistenze delle istituzioni del nostro paese, costringendole a concludere una perversa trattativa da tempo avviata con la mafia siglando nuovi e duraturi patti con essa. Una trattativa che un giudice come Paolo Borsellino avrebbe di certo ostacolato se l’esplosivo non l’avesse fermato il 19 luglio 1992. L’autobomba di Palermo ha funzionato a dovere, quella di Roma invece no: resta lì, sospesa con il suo carico di esplosivo e di morte. Un tentativo di strage che, secondo il pentito Gaspare Spatuzza, ascoltato dai magistrati della Dda di Firenze che hanno riaperto le indagini sulla stagione delle bombe del ’93, aveva «la copertura politica del nostro compaesano» (Marcello Dell’Utri), e che non verrà ripetuto. La strategia delle bombe messa in atto dalla mafia ha ottenuto lo scopo. Il «patto» che Cosa nostra voleva, con pezzi delle istituzioni e «con una nuova forza politica che sta per affacciarsi sul panorama nazionale»,2 è probabilmente stato concluso. Balad (Somalia), 12 novembre 1993. Un mezzo militare del nostro esercito sta rientrando al comando dell’operazione Ibis (questo è il nome dell’intervento militare italiano nell’ambito della missione Onu «Restore Hope») dopo una breve missione di intelligence. A bordo tre militari e due agenti del servizio segreto. In prossimità di una curva un gruppo di miliziani somali spara sul blindato. Il conflitto a fuoco dura qualche minuto. Nessuno dei nostri viene colpito, tranne Vincenzo Li Causi, che morirà poco dopo. A oltre quindici anni dall’omicidio, il caso è ancora avvolto nel mistero: testimonianze discordanti, nessuna autopsia, omissioni di atti d’indagine. Presto, troppo presto, il caso Li Causi scivola nel-


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l’oblio. Eppure l’agente era stato una punta di diamante del nostro servizio segreto, incaricato a più riprese di operazioni delicatissime, alcune delle quali commissionate direttamente dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Era stato anche direttore del Centro Scorpione di Trapani, proprio quello che operava nella pista di Kinisia. Secondo alcuni testimoni aveva avuto contatti con giornalisti finiti male come Mauro Rostagno, secondo altri era stato informatore di Ilaria Alpi, assassinata in Somalia con Miran Hrovatin nel marzo del 1994. Casi giudiziari rimasti misteriosi, legati ai traffici da Trapani a Mogadiscio e su cui, dal marzo 2010, si è ripreso a indagare nel più assoluto riserbo alla Procura di Palermo. Li Causi, l’uomo-chiave di Gladio, era indagato come presunto appartenente alla Falange armata, la misteriosa organizzazione «deviata» nata all’interno della VII divisione del Sismi: faceva parte dell’Ufficio K, l’apparato supersegreto voluto e creato dal capo del Sismi di allora, l’ammiraglio Fulvio Martini. Li Causi doveva tornare in Italia per testimoniare davanti ai giudici nell’ambito delle inchieste su Gladio. Il suo rientro viene posticipato di una settimana. La stessa settimana verrà ucciso. Alessandria, 23 novembre 1993. Nell’ambito di un’indagine su un giro di furti d’auto e ricettazione, la polizia interroga tale Roberto Ruppen, un uomo d’affari che in quel momento, anche se nessuno ancora lo sa, è uno dei protagonisti del progetto Urano, è indagato a Palmi per traffico d’armi con la Somalia assieme a Licio Gelli e Francesco Pazienza ed è, soprattutto, uno dei manager di Publitalia ’80 incaricati da Marcello Dell’Utri di trasformare la holding di Berlusconi in un partito politico. L’indagine di Alessandria, pur non portando a conseguenze penali, rivela interessanti connessioni con Guido Garelli, Giancarlo Marocchino, Ezio Scaglione: gli stessi protagonisti del progetto Urano. Nel corso dell’interrogatorio Ruppen ammette di conoscere Garelli, di aver partecipato all’organizzazione del progetto Urano in collaborazione con la Snam e di essere stato nominato nel giugno 1992 da Ali Mahdi, il presidente ad interim della Somalia, procuratore fiduciario del governo somalo in campo finanziario internazionale, con l’incarico di sbloccare i fondi della cooperazione italiana congelati al ministero degli Esteri a causa della guerra civile. Negli interrogatori successivi dirà anche di aver mes-


Prologo

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so a punto, in collaborazione con un ingegnere della Snam, un progetto di smaltimento di rifiuti a Ceuta (in territorio spagnolo) per aggirare le norme che vietano l’esportazione dei materiali tossici e inquinanti nei paesi del Sud del mondo. E di aver partecipato alla costituzione di società italo-svizzere finite sotto indagine per traffico di rifiuti (destinati, naturalmente, ancora alla Somalia). Quel 23 novembre 1993 mette a verbale alcune informazioni clamorose: mentre lavora come consulente di Publitalia alla costituzione del nuovo partito di Silvio Berlusconi, riceve un plico nel quale sono raccolte le prove dei suoi affari in Somalia. Quella busta sul tavolo decreterà la fine della sua appartenenza al gruppo di lavoro, e lo scioglimento immediato dello stesso. I medesimi documenti finiscono anche nelle mani di diversi giornalisti, con tanto di fotocopia del passaporto e nomi di alcune società su cui fare approfondimenti. Insomma, dal giugno 1992 al novembre 1993, mentre traffica per spedire materiali tossici in Somalia, tratta petrolio iraniano e maneggia miliardi dalle origini incerte, Ruppen lavora al segretissimo progetto per il costituendo partito di Berlusconi. Perché? E per quale ragione proprio nel novembre 1993 riceve il benservito e il gruppo di lavoro viene sciolto? Mogadiscio, 20 marzo 1994. In un pomeriggio afoso, lungo una strada polverosa della capitale somala, il fuoristrada su cui viaggiano i giornalisti del Tg3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin viene bloccato da un gruppo di uomini armati. Segue un breve conflitto a fuoco. L’uomo di scorta e l’autista ne escono illesi, Ilaria e Miran vengono ritrovati poco dopo con un colpo in testa, la donna ancora agonizzante, l’uomo già morto. Il primo a giungere sul posto dell’agguato è Giancarlo Marocchino, l’italiano che firma la «lettera di intenti riservatissima» del progetto Urano, rientrato in Somalia da un paio di mesi dopo un esilio forzato per l’accusa di traffico d’armi da parte del comando americano dell’Unosom, l’operazione dei caschi blu dell’Onu in Somalia. Ilaria e Miran erano appena tornati da Bosaso, nel Nord-Est della Somalia. Stavano indagando su alcuni progetti della nostra peggiore cooperazione, in particolare sullo smaltimento di rifiuti lungo la strada Garowe-Bosaso e sulla flotta di pescherecci Shifco, la cui nave madre, come abbiamo visto, era presente a Livorno la sera del-


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la strage del Moby Prince. La giornalista italiana stava seguendo indizi che conducevano a una pista di traffici d’armi e rifiuti tossicoradioattivi a cui quegli pseudoprogetti di cooperazione avrebbero fatto da copertura. Aveva raccolto elementi precisi al riguardo, qualche buona fonte (lo stesso Li Causi?) l’aveva mandata dalle persone giuste e nei posti giusti. Una pista tanto promettente che Ilaria era tornata da Bosaso con «in mano qualcosa di grosso, roba che scotta», come aveva annunciato al suo caporedattore nell’ultima telefonata, senza dire di più. Un servizio che non vedremo mai. Il materiale girato in quei giorni di Bosaso sarà manipolato e manomesso da qualcuno, come accadrà nei quindici anni seguenti alle indagini sul duplice omicidio. Che cosa avrebbe potuto provocare quel servizio del Tg3? Probabilmente un terremoto elettorale. Quello sulle elezioni che si sarebbero svolte una settimana dopo. Le elezioni che dovevano ricreare la pax italiana, dopo i primi tempestosi anni Novanta, dopo Tangentopoli, dopo le bombe... Roma, 29 marzo 1994. Tv, radio e giornali annunciano l’incredibile svolta italiana: Silvio Berlusconi è il nuovo presidente del Consiglio. Forza Italia, un partito nato da soli quattro mesi, ha vinto le elezioni. La coalizione di centrodestra – con Lega Nord e Alleanza nazionale – governerà il paese. Sei anni, dal 1988 al 1994. Otto date che rappresentano altrettanti momenti chiave di una storia che non è mai stata raccontata. E che porterà ad altri fatti e ad altre date, sempre più ravvicinate, nel cuore di quei due anni – il 1992 e il 1993 – che preparano la grande svolta. Che relazione c’è tra l’omicidio Rostagno e le bombe della mafia, tra gli accordi firmati a Nairobi e un ufficiale di Gladio, tra ciò che avviene a Roma e le faccende italo-somale che si svolgono nel paese africano? Partiremo da lontano, almeno dal punto di vista geografico, dalla Somalia, per arrivare a Trapani, Livorno, Milano. E infine a Roma. In questo libro viene ricostruita la faccia nascosta della Seconda Repubblica. Non con tutti i pezzi, naturalmente. Il puzzle è incompleto. Ma ce n’è abbastanza per cogliere il disegno finale.




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