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Autori e amici di
chiarelettere
Piero Ricca con Franz
Baraggino, Diego Fabricio, Elia Mariano
Alza la testa!
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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano ISBN
978-88-6190-059-2
Prima edizione: novembre 2008 www.chiarelettere.it BLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA
Sommario
Prefazione di Marco Travaglio
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a l z a l a t e s ta ! Introduzione Fatti processare Buffone! Ceppaloni, Italia Il G8 della vergogna Nessun conflitto, solo interessi Europa 7, la tv che non c’è Bassa fedeltà I furbetti del botteghino Bancarotta morale La Mondadori previtizzata Mafiopoli I nuovi eroi Il dono di Dio
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APPENDICE
La sentenza della Corte di cassazione La sentenza di assoluzione
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Prefazione di Marco Travaglio
Ho visto per la prima volta Piero Ricca nel maggio del 2003, nel corridoio del Tribunale di Milano, quando urlò all’imputato Silvio Berlusconi: «Fatti processare, buffone!». Mancavano pochi giorni all’approvazione del lodo dell’impunità Maccanico-Schifani. Il premier, schiumante di rabbia, ordinò ai carabinieri: «Identificate quell’uomo!». Quella sera nessun telegiornale trasmise la scena, tranne il Tg3, che subito dopo subì un’ispezione disposta dai vertici Rai (presidente Lucia Annunziata, direttore generale Flavio Cattaneo) per identificare l’incauto cameraman che aveva osato riprendere la sequenza, anziché mettere il tappo sulla telecamera o mangiarsi successivamente il nastro. Ricca fu denunciato dagli avvocati della presidenza del Consiglio (a spese nostre), processato, condannato in primo grado a una piccola multa e infine assolto dalla Cassazione. Da allora, grazie a Piero, sappiamo che urlare «fatti processare, buffone!» a Berlusconi non è reato. Ma non sono stati in molti ad approfittarne. Forse perché si pensava che una situazione come quella denunciata quel giorno, e cioè un Paese in balìa di un satrapo che si autoimmunizza per legge dalle leggi, non si sarebbe ripetuta mai più. Invece ci risiamo. A Palazzo Chigi c’è di nuovo quello lì, e appena arrivato s’è di nuovo autoimmunizzato grazie ai servigi servili di un nuovo prestanome, il cosiddetto ministro della Giustizia Angelino Alfano. Forse non saremmo ripiombati in questo tragicomico incubo se molti cittadini avessero seguito l’esempio di Piero Ricca. Cioè se molti cittadini si fossero comportati da cittadini. Piero l’ha fatto quasi ogni giorno, andando a disturbare i potenti con le domande
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Alza la testa!
che nessun giornalista osa più fare e con la faccia tosta del bambino che urla «il re è nudo!» e rimediando spintoni, insulti, altre denunce, qualche fermo di polizia, nessuna condanna. A lui s’è unito un piccolo drappello di persone, per lo più giovani, armate di telecamera. Così è nata Qui Milano Libera. Il resto l’ha fatto youtube. E ora esce questo Dvd che raccoglie i blitz più memorabili di Piero-Pierino. Uno lo ricordo meglio di altri. Doveva essere la fine di gennaio del 2005. Mi arrivò un sms sul cellulare. Era suo. Diceva più o meno così: «Sono recluso da un paio d’ore in un commissariato di polizia perché stavo a un convegno in onore di Craxi nel Palazzo delle Stelline, affollatissimo di pregiudicati e per giunta in attesa di Berlusconi. La polizia ha portato via me». Ricca non stava facendo nulla di male, si limitava a prendere appunti in un angolo della sala per poi raccontare il convegno sul suo sito internet. Alle 15, mentre fremeva l’attesa per l’imminente arrivo del Cavaliere, alcuni agenti di polizia in borghese gli presero i documenti, senza poi restituirglieli. Lui chiese spiegazioni: «Sono un cittadino incensurato». Fu trascinato fuori, sospinto a forza su un’auto, condotto al commissariato San Sepolcro e lì trattenuto per due ore e mezzo. Alle 17.30 lo liberarono, ma non prima di averlo formalmente diffidato dal fare ritorno alle Stelline, per i suoi «precedenti di ordine pubblico». Cioè per la nota contestazione al Buffone. La stessa cosa gli era accaduta nel giugno del 2004, mentre sostava nel seggio elettorale dov’era atteso Al Tappone. Il bello è che, nel seggio, l’unico a violare le leggi non era stato Ricca, ma Berlusconi, che aveva rotto il silenzio elettorale invitando a votare per lui. La scena si ripeté quel giorno al Palazzo delle Stelline, affollato di noti condannati come De Michelis e Tognoli: anziché trascinare in questura quei due, o magari il premier imputato, la polizia fermò lui, che era incensurato e lo confessava pure. Fu, il suo, un errore di ingenuità. Se, mentendo, si fosse qualificato come un pluripregiudicato, l’avrebbero lasciato in pace. Magari l’avrebbero fatto pure ministro. Piero, naturalmente, non si limita a disturbare il Cainano. Tampina e interroga anche i suoi numerosi servi. Memorabili i faccia a faccia con i vari Fede (che gli sputa in faccia), Sgarbi (che dà in escandescenze), Confalonieri (che lo invita nel suo ufficio, ma a te-
Prefazione
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lecamere spente), Dell’Utri (che lo lascia malmenare dalla scorta: perché Dell’Utri, condannato a nove anni per mafia dal Tribunale di Palermo e dalla Cassazione a due anni per frode fiscale, ha la scorta). Ma anche l’incursione nei pressi di Fassino, da cui Ricca tenta vanamente di sapere che fine abbia fatto la legge sul conflitto d’interessi. E quella con Andreotti, al quale spiega per filo e per segno come e qualmente la sentenza definitiva del processo di Palermo non fosse un’assoluzione, ma una prescrizione per il reato di associazione per delinquere con la mafia, «commesso» fino al 1980 (il Divo recita talmente bene la parte dello stupefatto da lasciar intendere di non averla mai letta). L’assalto che personalmente preferisco, però, è quello a Bruno Vespa. L’insetto di Porta a Porta sta firmando qualche copia del suo ennesimo, inutile libro per gli eventuali acquirenti fra gli scaffali della libreria Mondadori di Milano. Quando vede Ricca non lo riconosce, anzi lo scambia per un giovane fan in adorazione. Gli sorgono i primi dubbi quando Piero gli domanda perché non abbia mai dedicato una puntata alle condanne di Previti per corruzione giudiziaria. Soprattutto a quella per aver pagato il giudice Vittorio Metta con soldi della Fininvest in cambio della sentenza che sottrasse a Carlo De Benedetti la Mondadori (la casa editrice che pubblica i libri di Vespa e il settimanale «Panorama» con cui collabora) per regalarla a Berlusconi. L’insetto finge, con la stessa faccia tosta di Andreotti, di non conoscere la notizia. Anzi prova addirittura a smentirla: «Previti condannato per la Mondadori? Non mi risulta, si informi meglio…». Un reperto d’epoca. Qualcuno ritiene che Ricca esageri. Anch’io ogni tanto lo penso, quando continua a urlare per strada dopo i suoi blitz o quando pretende la sua stessa intransigenza da persone che non vi sono portate o tenute, perché magari lontanissime dalla politica e dal giornalismo. A volte mi vien da pensare che sarebbe più efficace se, ottenuto lo scopo di fare le domande giuste al potente di turno, si accontentasse di filmarne e documentarne le non risposte, le fughe, le ritirate ignominiose. Ma è anche vero quel che dice lui, e cioè che in una situazione come la nostra urlare è un dovere per tutti. Chi non ha mai sentito il bisogno di urlare, in questo Paese di merda?
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