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principio attivo Inchieste e reportage
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“Dal primo istante abbiamo cercato un esito non cruento per Moro. È dall’altra parte che nessuno ci ha provato.” Mario Moretti, leader delle Br e primo responsabile del rapimento Moro.
prEtESto 1 f pagina 121
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“I partecipanti all’imboscata furono certamente di più di quanti non ne abbia indicati Valerio Morucci nel ricordato memoriale e assai più numeroso dovette essere anche il gruppo di fuoco.” Requisitoria del procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, 11 novembre 2014.
“Nell’agguato di via Fani non è tutto chiaro e limpido come i brigatisti vorrebbero far credere. E oggi c’è una nuova pista su cui la magistratura è chiamata a indagare.”
prEtESto 2 f pagina 17
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“Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa ottenne larghi poteri dal presidente Andreotti, ma non dall’Arma. Lui era solo nell’Arma. Aveva molti nemici anche nei servizi segreti. Dalla Chiesa e io non parlavamo mai al telefono di questioni delicate perché sapevamo, per certo, che eravamo controllati. Di sicuro ci controllava anche la Cia.” Generale Nicolò Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa. Conversazione con gli autori, 7 gennaio 2015.
prEtESto 3 f pagina 260
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“L’operazione che portò alla cattura del brigatista Patrizio Peci fu possibile grazie al concorso di persone che lavoravano alla Fiat, azienda che collaborò direttamente all’azione.” Giuliano Tavaroli, ex brigadiere che lavorò a stretto contatto con gli uomini di Dalla Chiesa. Conversazione con gli autori, 27 febbraio 2015.
“Da quel che so, la Dc voleva salvare Moro ma poté muoversi entro precisi e rigidi binari che naturalmente erano stati stabiliti oltreoceano. I suoi dirigenti non poterono spostarsi di lì.” Agente segreto Francesco Pazienza. Conversazione con gli autori, 27 agosto 2014.
prEtESto 4 f pagine 136, 150
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“Il giorno 4 avete saputo ufficialmente che c’era la direzione, l’avete saputo ufficialmente perché sapevate tutto, dico tutto ciò che avveniva nella Dc attraverso un canale preciso, Morucci, lasciamo stare… non lo voglio dire in quest’aula…” Il pm Giuseppe De Gori a Valerio Morucci, processo d’appello Moro-uno, 28 gennaio 1985.
prEtESto 5 f pagina 107
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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano isbn
978-88-6190-681-5
Prima edizione: marzo 2015 www.chiarelettere.it / interviste / libri in uscita
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Stefania Limiti Sandro Provvisionato
Complici
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© 2015 Chiarelettere editore srl Stefania Limiti è nata a Roma ed è laureata in Scienze politiche. Giornalista professionista, ha collaborato con varie testate, in particolare con il settimanale «Gente», su temi di attualità e di politica internazionale. Inoltre ha lavorato per «l’Espresso», «Left», «La Rinascita della Sinistra» e «Aprile». Segue con molta attenzione la questione palestinese e ha scritto I fantasmi di Sharon (Sinnos 2002), nel quale ricostruisce la strage nei campi profughi di Sabra e Shatila e le responsabilità libanesi e israeliane, e «Mi hanno rapito a Roma» (Edizioni L’Unità 2006) sulla vicenda del sequestro da parte del Mossad di Mordechai Vanunu, che mise l’Italia sotto i riflettori del mondo intero nel 1986. Inoltre ha realizzato un’inchiesta sul dossier di Bob Kennedy sull’assassinio del presidente degli Stati Uniti dal titolo Il complotto. La controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di Jfk. Con Chiarelettere ha pubblicato L’Anello della Repubblica (2009 prima edizione; 2014 nuova edizione), Doppio livello (2013), dove ha ricostruito pezzi ancora oscuri della nostra storia attraverso la lettura delle sentenze giudiziarie e interviste ai protagonisti. Sandro Provvisionato, giornalista professionista, per dodici anni è stato coautore e conduttore di Terra!, il settimanale di approfondimento del Tg5. È direttore del sito internet Misteri d’Italia. Nel dicembre 1975 diventa direttore di Radio Città Futura. Nel 1977 comincia a lavorare per l’Ansa. L’anno successivo entra in un apposito pool giornalistico, formato dall’allora direttore Sergio Lepri, per seguire 24 ore su 24 le indagini sul sequestro del presidente della Dc Aldo Moro. Dopo la vicenda Moro, continua a occuparsi di terrorismo e segue tutta la parabola dell’estremismo politico italiano, passa poi alla redazione politico-parlamentare dell’agenzia di cui è caporedattore. Dal 1989 segue per il settimanale «L’Europeo» tutte le vicende più scottanti della cronaca e della politica nazionale: dalla strage di Ustica alle stragi di mafia del ’92-’93, fino a Tangentopoli. Nel 1993 assume l’incarico di capo della Cronaca del Tg5, alla cui guida rimane fino al 1995 per poi passare alla redazione Inchieste. Conduttore del Tg5 della notte, nel 1999, come inviato, segue tutta la guerra del Kosovo. Frequenti sono stati i suoi reportage da Iran, Iraq, Balcani e Sud America. Docente di Giornalismo investigativo in alcuni master universitari, ha vinto i premi giornalistici Città di Roma 2004, Città di Salerno 2005, Diritti dell’Uomo 2006 e Amalfi Coast Media Award 2009. Fa parte della Giuria del Premio televisivo Roberto Morrione. È autore di diversi libri, tra cui La notte più lunga della Repubblica. Destra e sinistra: ideologie, estremismi, lotta armata (con A. Baldoni), Misteri d’Italia, Segreti di mafia, Giustizieri sanguinari: i poliziotti della Uno bianca, Il mostro, il giudice e il giornalista (con G. Rossetti), Corruzione ad alta velocità, (con F. Imposimato e G. Pisauro), Uck: l’armata dell’ombra, dedicato al Kosovo, e A che punto è la notte?. Con Adalberto Baldoni ha pubblicato Anni di piombo. Per Chiarelettere, con Ferdinando Imposimato, ha scritto Doveva morire (2008 prima edizione; 2014 nuova edizione) e Attentato al papa (2011).
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Sommario
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5
I killer nascosti
11
Un esercito di quattro uomini
43
Una strategia opaca
71
Un sequestro senza strategia
103
La verità «aggiustata»
129
Il memoriale Morucci
157
Accordi per una «verità»
177
Via Monte Nevoso: comincia la caccia
211
Via Monte Nevoso-bis
249
Conclusione 287 Indice dei nomi 291
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complici
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A Patrizia e Marco, i miei fratelli. A Eleonora e Veronica, le mie bambine. A mia moglie Laura, a mio figlio Andrea e a mio nipote Lucio. A tutti gli «avantologi» che vedono «dietrologi» ovunque.
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Quella che state per leggere è l’anatomia di un delitto politico avvenuto oltre trentasette anni fa. Abbiamo analizzato minuziosamente, con gli strumenti dell’inchiesta giornalistica, un avvenimento storico che, nonostante il tempo passato, è ancora cronaca viva, al punto da meritare, dopo cinque indagini giudiziarie e quattro processi, l’istituzione di una nuova Commissione d’inchiesta parlamentare, la seconda, senza considerare le tante sedute dedicate al tema dalle Commissioni stragi che si sono succedute nel tempo. Una cronaca così viva che perfino oggi, come potrete leggere, emergono novità e non di poco conto. A cominciare da quelle che riguardano il luogo dove il 16 marzo 1978 tutto è cominciato: via Fani, il teatro della strage che tolse la vita a cinque servitori dello Stato: loro difendevano quella di un uomo politico che da quel momento, per cinquantacinque giorni, finirà nelle mani di una banda terroristica prima di essere assassinato. È per questo che il nostro racconto comincia proprio in via Fani dove – ora è possibile dirlo senza più ombra di dubbio – l’agguato delle Brigate rosse non andò come hanno stabilito le tante sentenze giudiziarie e neppure come ha raccontato l’unica «voce di dentro» dell’organizzazione armata presente sul luogo della strage: Valerio Morucci. Infatti quella mattina il commando non era composto solo da dieci brigatisti (otto uomini e due donne), ma ben supportato da elementi estranei che parteciparono in maniera attiva. In questo libro ricostruiamo pazientemente, e con l’aiuto indispensabile delle tante
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perizie tecnico-scientifiche che si sono susseguite negli anni, la dinamica di un’operazione terroristica che fino a oggi presentava troppi buchi illogici, troppe anomalie, troppe discrasie. A cominciare dagli effettivi brigatisti presenti sul posto, per finire a quelle oscure presenze in veste di osservatori, ma anche di facilitatori, di persone che con l’eversione armata non c’entravano nulla, semmai puntavano a una diversa azione eversiva, per così dire «statale». Con stupore abbiamo dovuto constare che, quando c’è odore di servizi segreti, magistrati anche molto preparati e audaci hanno come un mancamento e diventano improvvisamente poco curiosi. Sappiamo già che solo questa nuova ricostruzione dell’assalto del 16 marzo – e solo per aver fatto il nostro mestiere di giornalisti – basterà a farci piovere addosso le solite, stucchevoli critiche di «dietrologia» e «complottismo». Non ce ne rammarichiamo. Se l’esercizio di buon giornalismo comporta anche il fatto di non accontentarsi mai delle verità ufficiali o delle mezze verità, e quindi di studiare non solo la scena ma anche il retroscena dei fatti, il buon giornalista deve per forza essere un po’ «dietrologo». Altrimenti è solo un megafono altrui. In questo libro abbiamo passato al microscopio ogni singolo istante di quei tormentati cinquantacinque giorni con un unico scopo: dare senso logico a ciò che senso ne aveva ben poco. Abbiamo voluto dare dimensione a tutti quei fatti, grandi o piccoli, sui quali ancora non esiste un’accettabile convergenza tra racconti, indizi, prove, dichiarazioni, testimonianze. Dall’analisi minuziosa della dinamica della sparatoria e del rapimento dell’ostaggio alle confuse vie di fuga del commando; dalle tante bugie sulla «prigione del popolo» in cui Aldo Moro venne detenuto all’opaca e nebulosa gestione politica del più importante sequestro di persona mai compiuto in Italia; dai silenzi calcolati dei brigatisti alle campagne d’opinione di una parte consistente della Democrazia cristiana, gli uni e le altre finalizzati all’ottenimento e alla concessione del «perdono». Una soluzione tombale sotto cui seppellire la verità dei fatti, scomoda per le Brigate rosse così come per il
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potere, non solo quello democristiano; per finire con l’infinita e scandalosa gestione delle carte recuperate a rate in via Monte Nevoso – e che contenevano il vero pensiero del prigioniero – fino all’individuazione, quanto mai tardiva, del misterioso «quarto uomo» a guardia della prigione. Tutti aspetti che, oltre ogni ragionevole dubbio, non hanno mai quadrato, innegabilmente frutto di occultamenti, silenzi, omertà. Quali verità dovevano essere coperte? Prendiamo un singolo fotogramma: 16 marzo 1978, poco dopo le 9 di mattina, in via Licinio Calvo. Lì i brigatisti riportano le auto usate nell’agguato: perché sfidare la sorte e rischiare di tornare così vicini al luogo del delitto? Si burlano delle forze dell’ordine rischiando tutto? Non c’è logica. A meno che, attorno a quella via, ci sia una loro base. Aldo Moro trascorre lì i primi momenti dopo l’inferno di via Fani? Scrivendo a sua moglie Eleonora, solo il 20 aprile le dice: «Chiama Antonio Mennini, viceparroco di Santa Lucia, e fallo venire a casa». La parrocchia è vicina all’abitazione della famiglia Moro e vicina a via Fani: Moro stava dando una precisa indicazione? Si era reso conto del breve tragitto fatto per giungere al (primo) covo? È uno scenario verosimile, che spiega gli ingarbugliati e contraddittori racconti dei brigatisti sulla loro fuga dalla scena della strage. Ricomponendo i mille pezzi di quel maledetto puzzle che va sotto il nome di «caso Moro», abbiamo cercato di dimostrare che almeno una parte dei tanti misteri sono racchiusi nei contatti e nelle trattative tra una parte della Democrazia cristiana e i vertici delle Brigate rosse; trattative che, al di fuori di quelle conosciute, cominciano addirittura quando il sequestro Moro è ancora in corso. Nella complicità tra i due principali attori visibili di questa tragedia tutta italiana – il terzo era Moro che cercò disperatamente una via d’uscita – si racchiude la massa enorme di contraddizioni, di mezze bugie e di mezze verità che hanno reso la vicenda un’inestricabile matassa, una nube tossica che ha occultato e protetto i personaggi invisibili.
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