Estratto my generation igort

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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: via Guerrazzi 9, 20145 Milano isbn 978-88-6190-853-6 Prima edizione: novembre 2016

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Igort

My Generation

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«Credo che mi stessi avvicinando a quello che volevo fare, creare questo mondo alternativo. E Hunky Dory fu il primo passo. Via da questo pianeta, verso un altro luogo.» David Bowie


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Side A The Man Who Fell to Earth


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Cenere

La mia generazione fu sommersa da un delirio di voli spaziali, giornaletti, cinema e rock’n’roll. Furono anni di conti alla rovescia, di rampe di lancio viste in pallidi filmati in bianco e nero alla tv. Di ascese celesti e fragori infernali che sarebbero diventati la colonna sonora della mia infanzia. VROOOOOOM

«Il Giornale dei Misteri» lo sfogliavo trepidante, sino a tardi, nella mia cameretta, galoppando tra le righe fitte che blateravano di extraterrestri e fenomeni paranormali, alla ricerca di una conferma delle mie speranze più recondite: non siamo soli nella galassia. L’indomani mattina avrei speso cinque delle mie preziose ore tra i banchi della «Regina Elena», in cui i professori anziché porsi veri interrogativi (tipo quello della solitudine nella galassia) mi imponevano di studiare cose insulse come la geografia o la storia. Poi finalmente al pomeriggio, finito lo strazio, prima di immergermi nei noiosissimi compiti, trascorrevo ore e ore nei negozi dell’usato di via Cimarosa o via San Lucifero, perso a rimirare quelle pile di serie a fumetti, accatastate alla bell’e meglio e coperte di polvere.


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My Generation

Fu l’emozione fortissima che serrava la gola a caratterizzare quegli anni di pellegrinaggi quotidiani nel santuario della rotativa. Perché i negozietti dell’usato erano questo, un reliquiario in cui si celebrava la stampa, e cos’altro? L’interminabile sequenza di gentiluomini a cavallo, topi parlanti, eroi in calzamaglia, agenti segreti, eroine scollacciate, le cui storie erano stampate su carta scadente, mi chiamava. Ogni pomeriggio, dopo la scuola, in quei magazzini della fantasia, un disastro di polvere e carta che mi appariva come un limbo, mi sentivo investito di una missione suprema: offrire una seconda vita a questo o quell’albo, che aveva ancora sogni da regalare. E attendeva me, solo me, e i miei occhi curiosi di lettore, per farlo, in quel modesto rito quotidiano che rendeva le giornate dell’infanzia certamente più lievi. *** Per il resto la domenica si andava al cinema: i parrocchiali o quelli di seconda visione offrivano ampia scelta di tesori dell’orrore, come Dracula o Godzilla. Sembravano già abbastanza ridicoli i vari Maciste o Ercole, ma piacevano alla marmaglia di cui facevo parte; certo nulla di paragonabile ai sogni a occhi aperti che ci regalavano le locandine: i «prossimamente» de Il pianeta proibito e de La guerra dei mondi riesumati per l’estate. I marziani arrivavano con la bella stagione in quel di Cagliari, mi sono sempre domandato perché. Erano marziani in vacanza evidentemente. Più tardi il rock’n’roll mi avrebbe cambiato la vita, è chiaro. Ma prima, in quei giorni, quando ancora neppure sapevo cosa fosse, il rock’n’roll, ci si trovava, con mio fratello e vari amici, a casa di Paoletto Demuro, nel salotto buono di sua zia, a giocare a poker usando i Kriminal, Satanik, Diabolik, Killing, Sadik,


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Cenere

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Demoniak, Zakimort come fiches. Erano così i giornaletti di quei tempi, un’effervescenza di k che all’epoca mi pareva esoticissima e indispensabile. Per il resto, si perdeva con l’accanimento degli adulti. Se dovessi definire in tre parole quegli anni direi: strada, polvere, pugni. Non era la gioventù bruciata di James Dean e neppure quella, più vicina, di Ragazzi di vita, ma in strada ci si passava tutto il tempo, e la polvere era quella dei campetti; l’Ossigeno o Santa Lucia, dove ci si prendeva a pugni per un nonnulla ogni santo giorno. Specie dopo che mio padre aveva inculcato in me il dovere di proteggere mio fratello Sandro, più piccolo di due anni, ma ben più alto e ben più piazzato fisicamente. Il quale era un attaccabrighe professionista. La meccanica solitamente era questa. Sandro prendeva di mira l’antipatico di turno, lo provocava e, quando questo era pronto per dargliele di santa ragione, io, chiamato dal dovere del primogenito, mi intromettevo. «Fattela con me che sono più grande» gli intimavo convinto. Così mio fratello, compiaciuto, assisteva alla gragnuola di colpi che si abbatteva sul mio naso, nel tentativo, spesso riuscito, di provocarmi un’epistassi. Più tardi, finita la stagione delle scazzottate, ma non quella del sangue dal naso, che avrebbe accompagnato la mia intera esistenza, arrivarono gli anni del liceo, le fiches sarebbero diventate soldi veri. E gli amici sarebbero diventati altri. Addio innocenza. Negli anni Settanta l’aria era cambiata, si era fatta più intensa, crescendo erano sorte le passioni travolgenti per quello che si amava o si odiava, i primi languori d’amore si erano affacciati nelle feste di compleanno, in un garage di via Scano, tra compagni di classe, a ballare i lenti e sentire forte il profumo alla





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