numerose copertine di dischi per artisti italiani e internazionali, da Claudio Baglioni a Vinicio Capossela, Paolo Conte, Pino Daniele, Gianna Nannini, Pavarotti, Vasco Rossi, a Kate Bush, Bob Dylan, Paul McCartney, Lou Reed e Frank Zappa. È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André, alla cui figura e opera ha dedicato tre libri a loro modo definitivi - Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori 2001), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli 2007), Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock (con Franz Di Cioccio, Chiarelettere 2008) - e una mostra personale, Sguardi randagi. Harari è anche uno dei curatori della grande mostra multimediale dedicata al cantautore da Palazzo Ducale, a Genova. Tra i suoi libri più recenti The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori 2004), Vasco! (Edel 2006), Wall Of Sound (HRR 2007), Mia Martini. L’ultima occasione per vivere (con Menico Caroli, Tea 2009) e Chia. I guerrieri in San Domenico (HRR 2010). www.guidoharari.com
FONDAZIONE GIORGIO GABER
Costituitasi come Associazione Culturale pochi mesi dopo la scomparsa dell’artista e poi, dal 2006, come Fondazione con la presidenza di Paolo Dal Bon, ha tra gli obbiettivi principali quello di raccogliere tutta la documentazione audio, video e fotografica disponibile su Gaber, oltre a tutti i testi editi e inediti, al fine di costruire un archivio completo e ufficiale da mettere a disposizione di quanti desiderino avvicinarsi e approfondire la sua opera; nonché di confrontarne la portata culturale e verificarne l’attualità di pensiero in un incessante dialogo a tutto campo con i rappresentanti del teatro, della musica d’autore, dello spettacolo e della cultura contemporanei. I progetti che hanno sinora contraddistinto l’operato della Associazione e sono stati poi recepiti, fatti propri e sviluppati ulteriormente dalla Fondazione Giorgio Gaber, sono il Festival “Teatro Canzone”, la costituzione di un archivio digitale completo sull’artista, e la realizzazione e promozione di diversi progetti divulgativi, soprattutto per i più giovani, con una serie di iniziative, incontri, spettacoli e progetti specifici rivolti alle scuole. www.giorgiogaber.it
Perché invece di esibire la nostra moralina liberista e permissiva non abbiamo dato uno sguardo all’avanzata dello Sviluppo? Perché invece di parlare di buoni e di cattivi non abbiamo visto dove andava la Produzione? Perché non abbiamo alzato un muro contro la mano invisibile del Mercato? Perché abbiamo ceduto all’allegria del consumo? Perché abbiamo spalancato la porta al superfluo? Perché gridavamo contro i padroni e compravamo i motorini ai figli? Perché non abbiamo mai parlato di essenzialità? Perché non siamo riusciti a creare una razza diversa? Una razza che si ribellasse alla violenza dell’oggetto e alla mascherata della libertà? Liberi di fare tutto, di essere tutto, un tutto che è uguale a niente. Quale muro avete alzato contro il potere senza volto? Perché odiate per frustrazione e non per scelta? Perché vi accanite contro nemici imbecilli e superati? Perché spargete così male la rabbia che vi consuma? - GIORGIO GABER www.chiarelettere.it
ISBN 978-88-6190-112-4 e 59,00
GABERL’illogica utopia
GUIDO HARARI fotografo e giornalista musicale, ha firmato
Se abbiamo già sperimentato quanto possa fare male una dittatura militare, non sappiamo ancora quanto possa fare male la dittatura della stupidità. - Giorgio Gaber “È bello quando parla Gaber”, canta Enzo Jannacci, l’amico corsaro di sempre, ricordando quanto il signor G, a quarant’anni esatti dalla sua prima apparizione sulla scena del Piccolo Teatro di Milano, rimanga, oltre che fine affabulatore e artista totale, una delle rare coscienze civili del secondo Novecento italiano.
GABER L’illogica utopia
Autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari in collaborazione con la FONDAZIONE GIORGIO GABER
Questo libro non vuol essere solo l’“autobiografia” di Gaber, ma anche una sorta di breviario irreligioso per liberi pensatori. Nelle sue parole soffia il vento di una morale di lotta, insieme all’ansia di un’etica nuova e di un ritorno al luogo del pensiero. Immerso nel suo tempo, Gaber auspica, anzi esige un neorinascimento, un nuovo umanesimo e, con esso, un individuo nuovo, fatto di privato e di politico. È questa “l’illogica utopia” del titolo, condita di un “appassionato pessimismo” che l’artista vorrebbe detonatore di uno slancio vitale e gioioso verso un futuro tutto da inventare. La viva voce di Gaber guida il lettore in un lungo e appassionante viaggio, ricostruito attraverso lo sterminato archivio della Fondazione Giorgio Gaber dei cui tesori viene qui presentata per la prima volta una corposa sintesi, con trascrizioni di materiali audio e video, interviste, manoscritti e testi spesso inediti, memorabilia, rare copertine di dischi e una messe di immagini tratte anche dagli archivi dei fotografi che più da vicino hanno seguito l’artista. Una cronologia dettagliata e una discografia completano questo volume facendone un prezioso riferimento per chiunque voglia addentrarsi nel pensiero gaberiano.
Se dovessi raccontare la mia vita, ho paura che mi mancherebbe la trama. ‘ Sono uno che il compromesso lo conosce, che ha una professione come ce l’hanno tutti e una passione come ce l’hanno in meno. ‘ Forse io ho ancora addosso la maledizione che sia meglio pensare che vivere. ‘ Non si deve piangere sulle cose perdute, ma semmai su quelle non trovate. ‘ Per chi è più incline al pensiero piuttosto che alle palestre per il corpo, una buona ginnastica prima di colazione sarebbe quella di mandare al diavolo una teoria del giorno prima. ‘ Una delle ragioni della scomparsa del pensiero è che pensare non serve più né per il lavoro né per la vita né per avere successo con le donne. ‘ Si sta diffondendo oggi una nuova morale che consiste nel prendere più che altro in considerazione i doveri degli altri... verso di noi. La novità di questa teoria è che diventa fortemente morale tutto ciò che ci conviene. Praticamente un affare. ‘ Intellettuale io? Che brutta parola, logora e stantia. Non mi considero né intellettuale né poeta: sono uno che cerca di vedere dentro se stesso, che è la via più sicura per capire gli altri. ‘ Ascolto un brusio nell’aria più che le grida. ‘ Le risposte verranno. L’importante è incominciare a cercarle. ‘ Penso che sia indispensabile per ognuno di noi avere sempre il proprio manuale d’istruzioni. ‘ La coscienza può essere individuale o sociale. Quand’è tutt’e due insieme è un casino. ‘ La coscienza è come l’organo sessuale. O fa nascere la vita o fa pisciare. ‘ Io non so se il mio sia teatro o no, ma penso valga ancora la pena di salire su un palco a dire delle cose. ‘ In fondo la più grande soddisfazione di chi sale su un palcoscenico è quella di sentirsi osservato come fosse uno specchio di quello che si sta vivendo. ‘ Per me la canzone non è supporto: è un conforto. ‘ Credo alla parola scritta, pensata e meditata. L’improvvisazione ti fa scegliere sempre la soluzione più a portata di mano e non ti fa fare passi avanti. ‘ La strada era una grande gioia. Significava stare con gli altri... Mi è rimasto un grande rimpianto. Forse ho sempre cercato di ricostruirmela nel teatro, quella strada. In tutti i miei spettacoli ho sempre cercato di ritrovare quel desiderio di conoscenza che cercavo nella strada. ‘ L’appartenenza è avere gli altri dentro sé. ‘ Basterebbe pochissimo. Capire che un uomo non può essere veramente vitale se non si sente parte di qualcosa. Abbandonare anche il nostro appassionato pessimismo e trovare finalmente l’audacia di frequentare il futuro con gioia. Perché la spinta utopistica è qui e ora. ‘ Credo nei diversi stadi di un sentimento, nell’evoluzione di un incontro, nella possibilità di farlo durare nel tempo. Ma il mio è un atto di fede, non un atto di raziocinio. ‘ La solitudine non è malinconia. Un uomo solo è sempre in buona compagnia. ‘ Far l’amore con i nostri sentimenti è come farsi un bel vestito con dei ritagli. ‘ Non è vero che il destino entra alla cieca nella nostra vita. Io credo che entri dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato. ‘ L’ignoranza è il surrogato della felicità. ‘ La vera fine del razzismo non è l’antirazzismo, ma l’eliminazione del problema. ‘ Ne ha ammazzati più la cultura che la bomba atomica. ‘ Non si è mai abbastanza coraggiosi da diventare vigliacchi definitivamente. ‘ Se un giorno noi cercassimo chi siamo veramente ho il sospetto che non troveremmo niente. ‘ Ci sono emozioni che non ci permettono di agire, ma lavorano dentro e c’illuminano, con una semplicità assoluta sull’inutilità della nostra vita. La nostra vita? Perché continuiamo a chiamarla così? Da quale parte l’abbiamo cercata una vita che sia nostra? ‘ La lotta per la libertà fa bene, la libertà fa malissimo. ‘ Le parole sono ormai quasi insignificanti, non ci si capisce quasi più. Un uomo non è mai assolutamente libero. La limitazione della sua libertà, che egli compie su se stesso, può costituire un valido campo di azione. L’uomo libero è una frase senza senso. ‘ Con gli anni si impara a disprezzare il mondo con più tranquillità. ‘ Ringraziamo la nostra cattiva coscienza che ci fa vivere il falso proprio come fosse vero. ‘ Mi piace giocare seriamente e fare cose serie giocando.
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GABER L’ILLOGICA UTOPIA
Autobiografia per parole e immagini a cura di GUido harari in collaborazione con la FondaZione GiorGio Gaber 4
GABER L’ILLOGICA UTOPIA
Autobiografia per parole e immagini a cura di GUido harari in collaborazione con la FondaZione GiorGio Gaber 4
© Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol Spa Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare Spa) Sede: via Melzi d’Eril, 44 - Milano ISBN 978-88-6190-112-4 Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Prima edizione: dicembre 2010 Finito di stampare nel mese di novembre 2010 dalla MS Printing S.r.l., Milano www.chiarelettere.it BLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA Progetto grafico e ricerca iconografica: Guido Harari Impaginazione: Anna Fossato Michele Ainis, Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Bandanas, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani, Nicola Biondo, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Dario Bressanini, Carla Buzza, Andrea Camilleri, Olindo Canali, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Andrea Casalegno, Antonio Castaldo, Carla Castellacci, Massimo Cirri, Fernando Coratelli, Carlo Cornaglia, Roberto Corradi, Pino Corrias, Andrea Cortellessa, Riccardo Cremona, Gabriele D’Autilia, Vincenzo de Cecco, Luigi de Magistris, Andrea Di Caro, Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella, Davide Ferrario, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Fondazione Giorgio Gaber, Goffredo Fofi, Giorgio Fornoni, Massimo Fubini, Milena Gabanelli,
Vania Lucia Gaito, Bruno Gambarotta, Andrea Garibaldi, Pietro Garibaldi, Claudio Gatti, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Luigi Grimaldi, Dalbert Hallenstein, Guido Harari, Riccardo Iacona, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Alessandro Leogrande, Marco Lillo, Felice Lima, Stefania Limiti, Giuseppe Lo Bianco, Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Antonella Mascali, Antonio Massari, Giorgio Meletti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Alain Minc, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Loretta Napoleoni, Natangelo, Alberto Nerazzini, Gianluigi Nuzzi, Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Antonio Padellaro, Pietro Palladino, Gianfranco Pannone, David Pearson (graphic design),
Maria Perosino, Simone Perotti, Roberto Petrini, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello, Mario Portanova, Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Sigfrido Ranucci, Luca Rastello, Marco Revelli, Piero Ricca, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Giuseppe Salvaggiulo, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano, Luciano Scalettari, Matteo Scanni, Roberto Scarpinato, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò, Luca Steffenoni, theHand, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Elena Valdini, Vauro, Concetto Vecchio, Carlo Zanda, Carlotta Zavattiero
Amici e autori di
Fotolito: Publialba www.publialba.it Esperite le pratiche per rintracciare i titolari dei diritti delle fotografie riprodotte, l'Editore si dichiara a disposizione di quanti avessero a vantarne in proposito. Ringraziamenti: Ombretta Colli e Dalia Gaberscik, Sandro Luporini, Fondazione Giorgio Gaber: Paolo Dal Bon, Dolores Redaelli, Simone Rota, Luigi Zoja, Giorgio Casellato, Claudio Sassi, Anna Fossato, Cristina Pelissero, Alberto Palladino, tutti i giornalisti, i fotografi e gli amici che hanno raccolto la voce e l'immagine di Gaber rendendo possibile questo libro.
© Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol Spa Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare Spa) Sede: via Melzi d’Eril, 44 - Milano ISBN 978-88-6190-112-4 Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Prima edizione: dicembre 2010 Finito di stampare nel mese di novembre 2010 dalla MS Printing S.r.l., Milano www.chiarelettere.it BLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA Progetto grafico e ricerca iconografica: Guido Harari Impaginazione: Anna Fossato Michele Ainis, Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Bandanas, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani, Nicola Biondo, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Dario Bressanini, Carla Buzza, Andrea Camilleri, Olindo Canali, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Andrea Casalegno, Antonio Castaldo, Carla Castellacci, Massimo Cirri, Fernando Coratelli, Carlo Cornaglia, Roberto Corradi, Pino Corrias, Andrea Cortellessa, Riccardo Cremona, Gabriele D’Autilia, Vincenzo de Cecco, Luigi de Magistris, Andrea Di Caro, Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella, Davide Ferrario, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Fondazione Giorgio Gaber, Goffredo Fofi, Giorgio Fornoni, Massimo Fubini, Milena Gabanelli,
Vania Lucia Gaito, Bruno Gambarotta, Andrea Garibaldi, Pietro Garibaldi, Claudio Gatti, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Luigi Grimaldi, Dalbert Hallenstein, Guido Harari, Riccardo Iacona, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Alessandro Leogrande, Marco Lillo, Felice Lima, Stefania Limiti, Giuseppe Lo Bianco, Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Antonella Mascali, Antonio Massari, Giorgio Meletti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Alain Minc, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Loretta Napoleoni, Natangelo, Alberto Nerazzini, Gianluigi Nuzzi, Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Antonio Padellaro, Pietro Palladino, Gianfranco Pannone, David Pearson (graphic design),
Maria Perosino, Simone Perotti, Roberto Petrini, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello, Mario Portanova, Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Sigfrido Ranucci, Luca Rastello, Marco Revelli, Piero Ricca, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Giuseppe Salvaggiulo, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano, Luciano Scalettari, Matteo Scanni, Roberto Scarpinato, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò, Luca Steffenoni, theHand, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Elena Valdini, Vauro, Concetto Vecchio, Carlo Zanda, Carlotta Zavattiero
Amici e autori di
Fotolito: Publialba www.publialba.it Esperite le pratiche per rintracciare i titolari dei diritti delle fotografie riprodotte, l'Editore si dichiara a disposizione di quanti avessero a vantarne in proposito. Ringraziamenti: Ombretta Colli e Dalia Gaberscik, Sandro Luporini, Fondazione Giorgio Gaber: Paolo Dal Bon, Dolores Redaelli, Simone Rota, Luigi Zoja, Giorgio Casellato, Claudio Sassi, Anna Fossato, Cristina Pelissero, Alberto Palladino, tutti i giornalisti, i fotografi e gli amici che hanno raccolto la voce e l'immagine di Gaber rendendo possibile questo libro.
14
11
Una noTa di lUiGi ZoJa
13
inTrodUZione di GUido harari
l’adorno del GiaMbellino 1960-1968 il GiorGio e la Maria chiTarra roSSa al bar del GiaMbellino la Parola canTaTa MarXiSTi addoMeSTicaTi oMbreTTa “bUSinaTe” e i raGaZZi della GreFFa anTindUSTriale della canZone Se PoTeSSi davvero canTare Si aPre PriMavera il lUPorini riTorno al Tecla londonio chiaMa GlUcK l’aMbUlanTe baTTiaTo SanreMo lUiGi l’aniMa dell’oriZZonTe io e… Giocando aGli anni TrenTa il PUbblico ha SeMPre raGione Pernacchia a GoGo Sai coM’È, no coM’È il brUSio
90
STUdenTe a viTa naUFraGio UniverSale riTorno alla FlUoreScenZa il GiUllare e l’arTiSTa TroPPo Poco oblio MarianGela QUeSTione di MeTodo Gaber, lei È Un aUTocraTe Gaber-chic viSTo che dio non PoSSo eSSere… … vediaMo di eSSere alMeno Gaber baTTiTore libero vivere, non rieSco a vivere dileMMi di coPPia la FeriTa della Fede vieni aZione con i Piedi di PioMbo SPoSTaMenTi del cUore Un QUalUnQUiSTa Serio olTre il dUeMila non È Più bella la ciTTÀ aUTarchia da boTTeGa Tv SaPienS FUori dall’aneSTeSia Un dio che GUarda ToPiSMo l’iMPoTenZa della SoliTUdine
via londonio 28 1939-1959 Mi chiaMo GiorGio Gaber oPPoSTi occhio cUore cervello vorTice rocK el raGiUnaT SchiZZo e il MolleGGiaTo MiracolaTi dal diSco il Tecla, brel e i rocKY MoUnTainS SaPeTe Be Bop A LuLA? doPo verdi, io! Jannone, naSone e Gli UrlaTori la TeSTa a PoSTo i dUe corSari l’elviS dei naviGli
48
128
iMPeGnaTi e non So 1969-1978 Una ForZa, Un volo, Un SoGno Mina reciTal G coMe Gaber, G coMe GenTe “vidal” e i borGheSi GriGi SeTTanTa ManGiare Un’idea Un Grido in cerca di Una bocca né inTelleTTUale né MiliTanTe né inQUadraTo il FiloSoFo iGnoranTe dalia il FebbroSario la cUlTUra È di SiniSTra Gli alTri denTro di Sé Gli alaMbicchi della raGione raZZa diSoSSaTa
QUeSTa “aUTobioGraFia” È STaTa ricoMPoSTa con un accurato editing di quasi cinquant’anni di interviste, registrazioni audio e video nonché documenti personali. Inevitabili alcune distonie temporali laddove un dato argomento viene ricostruito con frammenti di epoche diverse, senza tuttavia alterare il senso della narrazione. Allo stesso modo, per garantire fluidità e comprensibilità al testo, si è fatto il possibile per eliminare, o almeno ridurre, le ripetizioni nei casi in cui certe tematiche di Gaber e Luporini riverberano da un lavoro all’altro.
io Se FoSSi Gaber 1979-1989
178
il lUoGo del PenSiero 1990-1999 coMici di ProFeSSione il Goldoni leTTo a Una PiaZZa becKeTT dei naviGli diSGreGaTi oTTanTa coM’È TriSTe veneZia SUcceSSo e volGariTÀ l’eTÀ del rinGhio i caProni TUTTo da caPo la rabbia di Uno, la rabbia di TanTi vecchio roMPiballe il TeaTro di evocaZione lanTerna MaGica Gabbiani raTTraPPiTi SliTTaMenTi della Morale io Se FoSSi raP da borGheSi a Middle claSS Un UoMo SenZa iTalia nUovo TeaTro canZone reSiSTenZa e TraSGreSSione leGhiSMo eSTeTico Mi Fa Male il Mondo i veri barbari la SUPerSTiZione della deMocraZia Gli oGGeTTi al PoTere
242
Un FUTUro SenZa riMedio 2000-2003 l’illoGica UToPia il declino della coScienZa SPerare SPeranZe inFondaTe la raZZa in eSTinZione ai conFini del Più nienTe TerZo Millennio Un SenSo di viTa e non di MorTe
262 282
e SoGno e rido e vivo cronoloGia di GUido harari e allora SUona chiTarra diScoGraFia a cUra di claUdio SaSSi 309
videoGraFia, i libri di GiorGio Gaber, biblioGraFia SeleZionaTa
310
FonTi biblioGraFiche
317
crediTi FoToGraFici
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Una noTa di lUiGi ZoJa
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inTrodUZione di GUido harari
l’adorno del GiaMbellino 1960-1968 il GiorGio e la Maria chiTarra roSSa al bar del GiaMbellino la Parola canTaTa MarXiSTi addoMeSTicaTi oMbreTTa “bUSinaTe” e i raGaZZi della GreFFa anTindUSTriale della canZone Se PoTeSSi davvero canTare Si aPre PriMavera il lUPorini riTorno al Tecla londonio chiaMa GlUcK l’aMbUlanTe baTTiaTo SanreMo lUiGi l’aniMa dell’oriZZonTe io e… Giocando aGli anni TrenTa il PUbblico ha SeMPre raGione Pernacchia a GoGo Sai coM’È, no coM’È il brUSio
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STUdenTe a viTa naUFraGio UniverSale riTorno alla FlUoreScenZa il GiUllare e l’arTiSTa TroPPo Poco oblio MarianGela QUeSTione di MeTodo Gaber, lei È Un aUTocraTe Gaber-chic viSTo che dio non PoSSo eSSere… … vediaMo di eSSere alMeno Gaber baTTiTore libero vivere, non rieSco a vivere dileMMi di coPPia la FeriTa della Fede vieni aZione con i Piedi di PioMbo SPoSTaMenTi del cUore Un QUalUnQUiSTa Serio olTre il dUeMila non È Più bella la ciTTÀ aUTarchia da boTTeGa Tv SaPienS FUori dall’aneSTeSia Un dio che GUarda ToPiSMo l’iMPoTenZa della SoliTUdine
via londonio 28 1939-1959 Mi chiaMo GiorGio Gaber oPPoSTi occhio cUore cervello vorTice rocK el raGiUnaT SchiZZo e il MolleGGiaTo MiracolaTi dal diSco il Tecla, brel e i rocKY MoUnTainS SaPeTe Be Bop A LuLA? doPo verdi, io! Jannone, naSone e Gli UrlaTori la TeSTa a PoSTo i dUe corSari l’elviS dei naviGli
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iMPeGnaTi e non So 1969-1978 Una ForZa, Un volo, Un SoGno Mina reciTal G coMe Gaber, G coMe GenTe “vidal” e i borGheSi GriGi SeTTanTa ManGiare Un’idea Un Grido in cerca di Una bocca né inTelleTTUale né MiliTanTe né inQUadraTo il FiloSoFo iGnoranTe dalia il FebbroSario la cUlTUra È di SiniSTra Gli alTri denTro di Sé Gli alaMbicchi della raGione raZZa diSoSSaTa
QUeSTa “aUTobioGraFia” È STaTa ricoMPoSTa con un accurato editing di quasi cinquant’anni di interviste, registrazioni audio e video nonché documenti personali. Inevitabili alcune distonie temporali laddove un dato argomento viene ricostruito con frammenti di epoche diverse, senza tuttavia alterare il senso della narrazione. Allo stesso modo, per garantire fluidità e comprensibilità al testo, si è fatto il possibile per eliminare, o almeno ridurre, le ripetizioni nei casi in cui certe tematiche di Gaber e Luporini riverberano da un lavoro all’altro.
io Se FoSSi Gaber 1979-1989
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il lUoGo del PenSiero 1990-1999 coMici di ProFeSSione il Goldoni leTTo a Una PiaZZa becKeTT dei naviGli diSGreGaTi oTTanTa coM’È TriSTe veneZia SUcceSSo e volGariTÀ l’eTÀ del rinGhio i caProni TUTTo da caPo la rabbia di Uno, la rabbia di TanTi vecchio roMPiballe il TeaTro di evocaZione lanTerna MaGica Gabbiani raTTraPPiTi SliTTaMenTi della Morale io Se FoSSi raP da borGheSi a Middle claSS Un UoMo SenZa iTalia nUovo TeaTro canZone reSiSTenZa e TraSGreSSione leGhiSMo eSTeTico Mi Fa Male il Mondo i veri barbari la SUPerSTiZione della deMocraZia Gli oGGeTTi al PoTere
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Un FUTUro SenZa riMedio 2000-2003 l’illoGica UToPia il declino della coScienZa SPerare SPeranZe inFondaTe la raZZa in eSTinZione ai conFini del Più nienTe TerZo Millennio Un SenSo di viTa e non di MorTe
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e SoGno e rido e vivo cronoloGia di GUido harari e allora SUona chiTarra diScoGraFia a cUra di claUdio SaSSi 309
videoGraFia, i libri di GiorGio Gaber, biblioGraFia SeleZionaTa
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FonTi biblioGraFiche
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crediTi FoToGraFici
non l’ho conoSciUTo. Sono incorso in un esilio – dal mio paese, dalla mia città, dai miei studi e soprattutto dalla mia generazione, che erano tutti anche suoi – proprio quando Giorgio Gaber si cominciava a scrivere non più con due G maiuscole, ma GIORGIO GABER, tutto maiuscolo. Sono tornato quando stava per diventare un ricordo. Non l’ho mai visto. Gaber era un profeta: ben prima del computer e di Internet presentiva il rischio di ridurre gli uomini a presenze virtuali. Per questo voleva essere visto e ascoltato, non riprodotto dalle macchine delle immagini e del suono. Non avendolo visto, la sua luce mi è giunta riflessa: è stato per me una luna, non un sole. Ma non cambia molto, anzi, schermare la luce diretta doveva essere un gesto che lui apprezzava. Il sole acceca chi lo guarda direttamente. Al sole cantano i fascisti; i poeti cantano alla luna.
Semina un pensiero e avrai un’azione, semina un’azione e avrai un comportamento, semina un comportamento e avrai un’abitudine, semina un’abitudine e avrai un destino. Antico proverbio orientale
Quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa su Gaber mi sono detto: perché lo domandano a uno psicoanalista? Si sottintende forse che fosse un personaggio complicato, se non proprio patologico, almeno molto anomalo? Ho riletto i suoi testi. Non trovo bizzarrie né eccentricità. La profondità dello sguardo, l’identificazione con sofferenze non appariscenti sono intessute nel più sovversivo buon senso. Giorgio Gaber era ben più sensibile del suo contemporaneo medio: era in anticipo sui tempi. Questo fatto così semplice lo ha lasciato spesso incompreso. Ciò che lo rendeva anomalo era proprio l’esser ben più ragionevole, ben più coerente dell’italiano medio. Forse è stato un martire della ragionevolezza, l’unica dea cui gli istinti gregari non si inchinano mai definitivamente. Il suo essere sano lo rendeva profondamente partecipe del mondo in cui viveva, ma insieme scandalosamente estraneo a esso, errante in uno sconsolato cosmopolitismo generazionale e spaziale, che non si riconosce nelle circostanze a lui assegnate dalla geografia e dal tempo. Prima di uscire di scena ha fatto un inchino al pubblico dicendo: “La mia generazione ha perso”. Si è inchinato ancora e ha aggiunto: “Io non mi sento italiano”. E come avrebbe potuto sentirsi completamente tale, visto che di radici era triestino, cioè mitteleuropeo, e di cognome Gaberscik, cioè austroungarico? La malinconia non era il brontolio di una vecchiaia frustrata, ma il telaio forte della sua riflessione. Ha naturalmente accompagnato le rivendicazioni degli anni Settanta, che non giungevano certo troppo presto. La sua lirica non è stata, però, una compagna di strada di leader aggressivi dalla stagione breve, ma una diaspora lucida e triste erede di Stefan Zweig e Joseph Roth. È stato cittadino cosciente tanto di un’Europa antica – che sopravvive non negli Stati ma nella letteratura – quanto di quella del XXI secolo, che conosceva in anticipo anche se non ha avuto il tempo di viverla. lUiGi ZoJa
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non l’ho conoSciUTo. Sono incorso in un esilio – dal mio paese, dalla mia città, dai miei studi e soprattutto dalla mia generazione, che erano tutti anche suoi – proprio quando Giorgio Gaber si cominciava a scrivere non più con due G maiuscole, ma GIORGIO GABER, tutto maiuscolo. Sono tornato quando stava per diventare un ricordo. Non l’ho mai visto. Gaber era un profeta: ben prima del computer e di Internet presentiva il rischio di ridurre gli uomini a presenze virtuali. Per questo voleva essere visto e ascoltato, non riprodotto dalle macchine delle immagini e del suono. Non avendolo visto, la sua luce mi è giunta riflessa: è stato per me una luna, non un sole. Ma non cambia molto, anzi, schermare la luce diretta doveva essere un gesto che lui apprezzava. Il sole acceca chi lo guarda direttamente. Al sole cantano i fascisti; i poeti cantano alla luna.
Semina un pensiero e avrai un’azione, semina un’azione e avrai un comportamento, semina un comportamento e avrai un’abitudine, semina un’abitudine e avrai un destino. Antico proverbio orientale
Quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa su Gaber mi sono detto: perché lo domandano a uno psicoanalista? Si sottintende forse che fosse un personaggio complicato, se non proprio patologico, almeno molto anomalo? Ho riletto i suoi testi. Non trovo bizzarrie né eccentricità. La profondità dello sguardo, l’identificazione con sofferenze non appariscenti sono intessute nel più sovversivo buon senso. Giorgio Gaber era ben più sensibile del suo contemporaneo medio: era in anticipo sui tempi. Questo fatto così semplice lo ha lasciato spesso incompreso. Ciò che lo rendeva anomalo era proprio l’esser ben più ragionevole, ben più coerente dell’italiano medio. Forse è stato un martire della ragionevolezza, l’unica dea cui gli istinti gregari non si inchinano mai definitivamente. Il suo essere sano lo rendeva profondamente partecipe del mondo in cui viveva, ma insieme scandalosamente estraneo a esso, errante in uno sconsolato cosmopolitismo generazionale e spaziale, che non si riconosce nelle circostanze a lui assegnate dalla geografia e dal tempo. Prima di uscire di scena ha fatto un inchino al pubblico dicendo: “La mia generazione ha perso”. Si è inchinato ancora e ha aggiunto: “Io non mi sento italiano”. E come avrebbe potuto sentirsi completamente tale, visto che di radici era triestino, cioè mitteleuropeo, e di cognome Gaberscik, cioè austroungarico? La malinconia non era il brontolio di una vecchiaia frustrata, ma il telaio forte della sua riflessione. Ha naturalmente accompagnato le rivendicazioni degli anni Settanta, che non giungevano certo troppo presto. La sua lirica non è stata, però, una compagna di strada di leader aggressivi dalla stagione breve, ma una diaspora lucida e triste erede di Stefan Zweig e Joseph Roth. È stato cittadino cosciente tanto di un’Europa antica – che sopravvive non negli Stati ma nella letteratura – quanto di quella del XXI secolo, che conosceva in anticipo anche se non ha avuto il tempo di viverla. lUiGi ZoJa
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c’È Un biSoGno Feroce della linGUa aFFilaTa di Gaber, della sua “disperata vitalità”, verrebbe da dire citando Pasolini. Questo libro non vuol essere solo un’“autobiografia”, ma anche una sorta di breviario irreligioso per liberi pensatori. La viva voce di Gaber prende il largo in un caleidoscopio molto intimo di pensieri e parole su cui soffiano il vento di una morale di lotta, l’ansia di un’etica nuova, la ricerca frenetica di una “verità” per tutti. Non c’è tempo per omeopatie cantautorali, per versi finemente cesellati. Il suo bisturi incide la realtà senza pietà né esitazioni, interpellando l’uomo nella sua complessa totalità. Ipotizza, auspica, addirittura esige un neorinascimento, un nuovo umanesimo. È questa “l’illogica utopia” calata nel qui e ora, vibrante di un “appassionato pessimismo” che Gaber vorrebbe detonatore di uno slancio vitale e gioioso verso un futuro tutto da inventare. Che si occupi dei borghesi, degli “impegnati” e dei “non so”, di renudi, gesuliberi ed erbivoglio, della massa, della coppia, del sesso, della famiglia, della politica, della Chiesa, della droga, della velenosa fluorescenza televisiva, della nevrosi infantile dell’umanità, della dittatura del mercato, della vittoria degli oggetti, del pensiero unico o della morte, Gaber, insieme all’amico siamese Luporini, coautore di tutti i suoi testi per più di trent’anni, individua le piaghe più scoperte, riapre ferite mai rimarginate, fa saltare precarie suture di ipocrisia. Canta/parla in prima persona, come se ogni esperienza fosse la sua (ed è davvero la sua), per artigliarla e illuminarla fin nelle pieghe più riposte. Le sue parole, come avrebbe detto Moravia, sono “dolore e lenimento insieme”. Gaber è rinato mille volte – rock’n’roller della prima ora, cantautore confidenziale, conduttore televisivo, entertainer mediatizzato, solitario e autarchico animale politico da palcoscenico, intellettuale fieramente disallineato (“Sono un uomo di sinistra. Non della sinistra”), sedicente “filosofo ignorante”, artista totale – trascinando via via con sé un pubblico sorprendentemente capace di metabolizzare i suoi recital sempre meno cantati e sempre più parlati, quasi dei confessionali in pubblico, sempre più incalzanti, fino a feroci invettive come Io se fossi Dio o al funereo requiem di Qualcuno era comunista, fino all’amara catarsi dei bilanci finali di La mia generazione ha perso e Io non mi sento italiano. Del Gaber lanciato verso il Terzo millennio toglie il fiato, ma non stupisce, l’ultimo grido disperato di sconfitta e di disgusto. È qui che l’utopia si fa davvero illogica, che la vitalità dell’artista, troppo invischiato negli sfaceli della sua “razza in estinzione”, scala di marcia. I temi sono quelli di sempre, ma, nella sua lotta contro lo sviluppo senza progresso e lo scadimento delle coscienze, torna il chiodo fisso dell’uomo che deve rinascere da dentro, dal “luogo del pensiero”, e deve/può farlo da solo, magari attraverso una nuova mutazione antropologica. A volte le idee si ammalano e, come le stelle, si spengono, così come le menti che le producono. Infezioni psichiche si chiamano. Le domande antiche ma eterne di Gaber mettono a nudo le falle del progetto della modernità, rimanendo conficcate nelle metastasi di una società sempre più fatta di padroni e schiavi, scossa da crisi costruite a tavolino per creare un stato costante di squilibrio psicologico, malata di bulimia consumistica secondo la massima per la quale “di fronte a troppe scelte si ottiene un’apatia su larga scala”. Una società anche plasmata da un’informazione sempre più asservita al regime e a un sistema educativo che crea nuove generazioni di puri soggetti fiscali, completamente ignoranti sulle lezioni del passato e sul significato stesso della parola libertà. Non c’è riduttivismo o ideologia che tenga. La diagnosi di Gaber non fa sconti: occorre guardare dritto e a lungo nell’abisso, anche se e quando, come scrive Nietzsche, l’abisso vorrà guardare dentro di noi. Perché, avverte dal canto suo Luigi Zoja, questa miseria culturale e spirituale rischia di farsi definitiva e diventare cultura di tutti. Insomma, i barbari prossimi venturi siamo noi. Si può però ancora invertire rotta e tornare al luogo del pensiero, oppure non resta che adattarsi alla prospettiva di un futuro senza rimedio. L’uomo non ha alternative: può solo ripartire da zero, scegliendo di sottrarsi alla dittatura della stupidità. Oppure no. Un’ipotesi da mettere in conto. GUido harari
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c’È Un biSoGno Feroce della linGUa aFFilaTa di Gaber, della sua “disperata vitalità”, verrebbe da dire citando Pasolini. Questo libro non vuol essere solo un’“autobiografia”, ma anche una sorta di breviario irreligioso per liberi pensatori. La viva voce di Gaber prende il largo in un caleidoscopio molto intimo di pensieri e parole su cui soffiano il vento di una morale di lotta, l’ansia di un’etica nuova, la ricerca frenetica di una “verità” per tutti. Non c’è tempo per omeopatie cantautorali, per versi finemente cesellati. Il suo bisturi incide la realtà senza pietà né esitazioni, interpellando l’uomo nella sua complessa totalità. Ipotizza, auspica, addirittura esige un neorinascimento, un nuovo umanesimo. È questa “l’illogica utopia” calata nel qui e ora, vibrante di un “appassionato pessimismo” che Gaber vorrebbe detonatore di uno slancio vitale e gioioso verso un futuro tutto da inventare. Che si occupi dei borghesi, degli “impegnati” e dei “non so”, di renudi, gesuliberi ed erbivoglio, della massa, della coppia, del sesso, della famiglia, della politica, della Chiesa, della droga, della velenosa fluorescenza televisiva, della nevrosi infantile dell’umanità, della dittatura del mercato, della vittoria degli oggetti, del pensiero unico o della morte, Gaber, insieme all’amico siamese Luporini, coautore di tutti i suoi testi per più di trent’anni, individua le piaghe più scoperte, riapre ferite mai rimarginate, fa saltare precarie suture di ipocrisia. Canta/parla in prima persona, come se ogni esperienza fosse la sua (ed è davvero la sua), per artigliarla e illuminarla fin nelle pieghe più riposte. Le sue parole, come avrebbe detto Moravia, sono “dolore e lenimento insieme”. Gaber è rinato mille volte – rock’n’roller della prima ora, cantautore confidenziale, conduttore televisivo, entertainer mediatizzato, solitario e autarchico animale politico da palcoscenico, intellettuale fieramente disallineato (“Sono un uomo di sinistra. Non della sinistra”), sedicente “filosofo ignorante”, artista totale – trascinando via via con sé un pubblico sorprendentemente capace di metabolizzare i suoi recital sempre meno cantati e sempre più parlati, quasi dei confessionali in pubblico, sempre più incalzanti, fino a feroci invettive come Io se fossi Dio o al funereo requiem di Qualcuno era comunista, fino all’amara catarsi dei bilanci finali di La mia generazione ha perso e Io non mi sento italiano. Del Gaber lanciato verso il Terzo millennio toglie il fiato, ma non stupisce, l’ultimo grido disperato di sconfitta e di disgusto. È qui che l’utopia si fa davvero illogica, che la vitalità dell’artista, troppo invischiato negli sfaceli della sua “razza in estinzione”, scala di marcia. I temi sono quelli di sempre, ma, nella sua lotta contro lo sviluppo senza progresso e lo scadimento delle coscienze, torna il chiodo fisso dell’uomo che deve rinascere da dentro, dal “luogo del pensiero”, e deve/può farlo da solo, magari attraverso una nuova mutazione antropologica. A volte le idee si ammalano e, come le stelle, si spengono, così come le menti che le producono. Infezioni psichiche si chiamano. Le domande antiche ma eterne di Gaber mettono a nudo le falle del progetto della modernità, rimanendo conficcate nelle metastasi di una società sempre più fatta di padroni e schiavi, scossa da crisi costruite a tavolino per creare un stato costante di squilibrio psicologico, malata di bulimia consumistica secondo la massima per la quale “di fronte a troppe scelte si ottiene un’apatia su larga scala”. Una società anche plasmata da un’informazione sempre più asservita al regime e a un sistema educativo che crea nuove generazioni di puri soggetti fiscali, completamente ignoranti sulle lezioni del passato e sul significato stesso della parola libertà. Non c’è riduttivismo o ideologia che tenga. La diagnosi di Gaber non fa sconti: occorre guardare dritto e a lungo nell’abisso, anche se e quando, come scrive Nietzsche, l’abisso vorrà guardare dentro di noi. Perché, avverte dal canto suo Luigi Zoja, questa miseria culturale e spirituale rischia di farsi definitiva e diventare cultura di tutti. Insomma, i barbari prossimi venturi siamo noi. Si può però ancora invertire rotta e tornare al luogo del pensiero, oppure non resta che adattarsi alla prospettiva di un futuro senza rimedio. L’uomo non ha alternative: può solo ripartire da zero, scegliendo di sottrarsi alla dittatura della stupidità. Oppure no. Un’ipotesi da mettere in conto. GUido harari
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Jannone, naSone e Gli UrlaTori Ciao… ti dirò era così avanti rispetto ai tempi da indurre Celentano a concedersi una pausa di riflessione. Eravamo folgorati dal rock’n’roll. Dico rock’n’roll perché quella musica arrivava dall’America, mentre il rock lo considero un genere più inglese. Distanti come eravamo dalle fonti storiche, avevamo preso questa musica in prestito, quasi con goliardia, sicuramente con gusto cabarettistico e una forte dose di autoironia. 94dp
Con Jannacci avevamo formato anche un duo, I Due Corsari. Cantavamo testi demenziali... sì, forse più che demenziali, eravamo solo dementi. Il testo di Una fetta di limone era di Umberto Simonetta. A fare questa roba, allora, un po’ ci si vergognava. Fino a un certo punto, però, perché non pensavo che avrei fatto questo di mestiere. 92rc
Non mi offende affatto sentirmi chiamare urlatore. Forse la gente, ignara del significato di queste etichette, potrebbe pensare a una chiave dispregiativa, ma per noi vuol dire solo un modo di cantare basato sulla potenza della voce e non sempre su una voce impostata. 59im non penso affatto che il rock discenda dal jazz, anche se qualcuno può affermarlo. non dobbiamo farci impressionare dalla forma: è la sostanza che conta. il rock al massimo può essere considerato musica popolare suonata e cantata con una certa veemenza. non è vero che io lo abbia abbandonato, e poi chi può dire quale sia veramente il mio genere? Scrivo e interpreto Una fetta di limone, d’accordo, ma scrivo anche Geneviève e Non arrossire, due canzoni sentimentali diametralmente opposte allo spirito canzonatorio e ironico, quasi cinico, di Una fetta di limone. Preferisco parlare dell’America, l’università della musica leggera. Pare che lì i giovanotti nascano con il bernoccolo della musica e delle canzoni. Sono facilitati da una lingua molto musicale, e poi negli Usa esistono autentiche scuole di canto moderno, come quella del maestro Carlo Menotti (nulla a che vedere con Giancarlo), istruttore di notissime “voci” quali Pat Boone, Frankie Avalon, Fabian, Joe Damiano e Julius La Rosa. E poi tutta l’organizzazione commerciale e editoriale funziona a meraviglia, garantendo una penetrazione totale nel mercato. In Italia siamo sulla strada giusta: è in atto una notevole e benefica evoluzione verso forme musicali più civili, moderne e oneste. 60gm Noi cantautori italiani siamo meno preparati, certo, ma cerchiamo uno spunto, raccontiamo una storia, e la commentiamo con una musica anche semplice, ma funzionale al racconto. Pochi di noi provengono da scuole di canto, ma alla gente questo interessa relativamente. Io per esempio ho una cadenza milanese, con la “o” aperta, ma questo non mi pare criticabile, anzi: è logico e giusto; dopotutto sono lombardo. Credo anche che la mia cadenza dia meno fastidio della parlata
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Gaber in alcune copertine di riviste e, nella foto, con I Giullari e Vanna Ibba alla Capannina di Vigevano. Pagine seguenti: in due storiche fotografie di Tullio Farabola la metamorfosi da Elvis Presley dei Navigli a cantante “confidenziale”.
E poi, onestamente, per fare il rock ci vuole il fisico. Un fisico alla Springsteen per intenderci. 94dp Io canto con voce impostata canzoni melodiche. Per il rock, invece, l’uso di una voce impostata è un errore. Gli urlatori piacciono ai giovani proprio perché, rispetto agli altri cantanti, hanno maggiore spontaneità. In una parola, assomigliano al loro pubblico. Il rock è un fenomeno più circoscritto: in Italia i cantanti di rock sono quattro, e urlatori sono indistintamente tutti coloro che cantano con forte emissione di voce. Non sono contrario alla cosiddetta canzone all’italiana. Sarebbe bello che proprio uno di noi giovani ricostruisse una tradizione che non esiste più. La canzone napoletana è troppo lontana nel tempo e occorre partire da cose più vicine, più attuali, come i modelli francesi e americani. Tutti potrebbero apprezzare il rock. Basta vincere certe prevenzioni.
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Jannone, naSone e Gli UrlaTori Ciao… ti dirò era così avanti rispetto ai tempi da indurre Celentano a concedersi una pausa di riflessione. Eravamo folgorati dal rock’n’roll. Dico rock’n’roll perché quella musica arrivava dall’America, mentre il rock lo considero un genere più inglese. Distanti come eravamo dalle fonti storiche, avevamo preso questa musica in prestito, quasi con goliardia, sicuramente con gusto cabarettistico e una forte dose di autoironia. 94dp
Con Jannacci avevamo formato anche un duo, I Due Corsari. Cantavamo testi demenziali... sì, forse più che demenziali, eravamo solo dementi. Il testo di Una fetta di limone era di Umberto Simonetta. A fare questa roba, allora, un po’ ci si vergognava. Fino a un certo punto, però, perché non pensavo che avrei fatto questo di mestiere. 92rc
Non mi offende affatto sentirmi chiamare urlatore. Forse la gente, ignara del significato di queste etichette, potrebbe pensare a una chiave dispregiativa, ma per noi vuol dire solo un modo di cantare basato sulla potenza della voce e non sempre su una voce impostata. 59im non penso affatto che il rock discenda dal jazz, anche se qualcuno può affermarlo. non dobbiamo farci impressionare dalla forma: è la sostanza che conta. il rock al massimo può essere considerato musica popolare suonata e cantata con una certa veemenza. non è vero che io lo abbia abbandonato, e poi chi può dire quale sia veramente il mio genere? Scrivo e interpreto Una fetta di limone, d’accordo, ma scrivo anche Geneviève e Non arrossire, due canzoni sentimentali diametralmente opposte allo spirito canzonatorio e ironico, quasi cinico, di Una fetta di limone. Preferisco parlare dell’America, l’università della musica leggera. Pare che lì i giovanotti nascano con il bernoccolo della musica e delle canzoni. Sono facilitati da una lingua molto musicale, e poi negli Usa esistono autentiche scuole di canto moderno, come quella del maestro Carlo Menotti (nulla a che vedere con Giancarlo), istruttore di notissime “voci” quali Pat Boone, Frankie Avalon, Fabian, Joe Damiano e Julius La Rosa. E poi tutta l’organizzazione commerciale e editoriale funziona a meraviglia, garantendo una penetrazione totale nel mercato. In Italia siamo sulla strada giusta: è in atto una notevole e benefica evoluzione verso forme musicali più civili, moderne e oneste. 60gm Noi cantautori italiani siamo meno preparati, certo, ma cerchiamo uno spunto, raccontiamo una storia, e la commentiamo con una musica anche semplice, ma funzionale al racconto. Pochi di noi provengono da scuole di canto, ma alla gente questo interessa relativamente. Io per esempio ho una cadenza milanese, con la “o” aperta, ma questo non mi pare criticabile, anzi: è logico e giusto; dopotutto sono lombardo. Credo anche che la mia cadenza dia meno fastidio della parlata
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Gaber in alcune copertine di riviste e, nella foto, con I Giullari e Vanna Ibba alla Capannina di Vigevano. Pagine seguenti: in due storiche fotografie di Tullio Farabola la metamorfosi da Elvis Presley dei Navigli a cantante “confidenziale”.
E poi, onestamente, per fare il rock ci vuole il fisico. Un fisico alla Springsteen per intenderci. 94dp Io canto con voce impostata canzoni melodiche. Per il rock, invece, l’uso di una voce impostata è un errore. Gli urlatori piacciono ai giovani proprio perché, rispetto agli altri cantanti, hanno maggiore spontaneità. In una parola, assomigliano al loro pubblico. Il rock è un fenomeno più circoscritto: in Italia i cantanti di rock sono quattro, e urlatori sono indistintamente tutti coloro che cantano con forte emissione di voce. Non sono contrario alla cosiddetta canzone all’italiana. Sarebbe bello che proprio uno di noi giovani ricostruisse una tradizione che non esiste più. La canzone napoletana è troppo lontana nel tempo e occorre partire da cose più vicine, più attuali, come i modelli francesi e americani. Tutti potrebbero apprezzare il rock. Basta vincere certe prevenzioni.
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1960-1968
L’ADORNO DEL GIAMBELLINO
1960-1968
L’ADORNO DEL GIAMBELLINO
Quello che mi piace poco sono le etichette tipo “cantore di Milano”, “intellettuale della canzone”, persino “ultimo trovatore”, tutto perché, in queste due trasmissioni, ho presentato canzoni della tradizione popolare e legate spesso a temi milanesi. Ora, se c’è qualcosa che nuoce a un cantante è un’etichetta precisa che lo esclude dal tentare vie sempre nuove. 64dm ANTINDUSTRIALE DELLA CANZONE Se mi si chiede di autodefinirmi, confesso di essere impreparato. Uno crede di sapere chissà cosa di se stesso e poi si trova improvvisamente di fronte all’impossibilità di elaborare in poche parole un concetto che dia un’idea di ciò che crede di essere. Provo ad azzardare uno slogan, di quelli che oggi vanno di moda, dicendo che sono un “antindustriale della canzone”. Faccio le canzoni che mi piacciono, ecco tutto. Se poi hanno anche successo tanto meglio; se non ne hanno, pazienza. Ho cercato di non scendere a compromessi con le cosiddette esigenze commerciali, che poi non sono che un’invenzione degli uffici vendita. Credo che sia impossibile lavorare su commissione. Ho cominciato a suonare la chitarra perché mi divertiva. Poi ho cominciato a scrivere delle “canzoni”, non dei “successi”, una bella differenza. Sono diventato più sicuro di me, forse anche un po’ presuntuoso. Ora non penso più alla partita doppia come a un mezzo per vivere, ma sono rimasto abbastanza libero. Farò cose di poca importanza, ma almeno sono cose mie, mai scritte su ordinazione. Io un dilettante? Non mi offendo. Ritengo che questa definizione mi si addica perfettamente in quanto faccio davvero solo le cose che mi piacciono. Cerco di farle bene, senza preoccuparmi di essere dentro o fuori dalla moda. Se professionismo significa sacrificare le proprie idee al servizio delle ricerche di mercato, credo proprio di esserne lontano. Non rifiuto le esperienze passate, anche quelle che potrebbero farmi sorridere. Mi appartengono e sono state anche esse “vere”. 64gr
Sono convinto che quasi mai una canzone possa tradursi in un fatto artistico, al massimo è un fatto di costume. Credo che sia per questo che i nostri maggiori scrittori si tengano lontani, o si avvicinino con circospezione alla canzone. 64gc C’è un aspetto straordinario del mestiere di cantante o di cantautore. Una canzone ti nasce dentro a poco a poco. La perfezioni, la provi sulla chitarra, le cerchi le parole. Per giorni e giorni questa canzone resta un fatto tuo privato, personale, come un figlio. Quando è finita, la affidi alla macchina organizzativa della tua casa discografica e te ne dimentichi. Un giorno, un mese o un anno dopo, sei magari di passaggio a Palermo e da un altoparlante esce una cosa che riconosci. Ma quel che era tuo è diventato di tutti. È come un tradimento, o forse no. In altri mestieri questo non succede e le cose che fai continuano a restare tue. Chi scrive canzoni non possiede mai niente. 64vn Mi piace molto la lettura, ma non credo che possa considerarsi un hobby. Sport non ne pratico e, in fatto di automobili, ho dei gusti abbastanza posati: alle fuoriserie preferisco decisamente macchine tranquille, forse più adatte a un padre di famiglia che a un divo della canzone. Giro in città con una Cinquecento e mi servo, per i lunghi viaggi, di una Citroën DS, un’auto molto riposante e spaziosa che mi consente di trasportare chitarre, amplificatori, apparecchi di registrazione e tutta quell’altra mercanzia che oggi è indispensabile per esibirsi in pubblico. Mi capita
spesso, infatti, di fare le cosiddette “serate” in provincia e la cosa mi diverte abbastanza. L’ultima volta ho cantato per tre ore consecutive, nonostante il mio contratto prevedesse un’esibizione di un’ora soltanto. Il proprietario del locale mi pregò a un certo punto di smettere perché temeva che gli chiedessi un compenso maggiore di quello pattuito. Lo rassicurai e continuai perché mi faceva piacere ritrovarmi finalmente in mezzo al pubblico. 64pb Ho molte serate e quasi tutte nel raggio di duecento chilometri, in modo da poter dormire a casa. L’idea di fare il cantante-commesso viaggiatore, che parte con il pigiama fra gli spartiti, mi deprime. Il mio lavoro non deve stancarmi, altrimenti diventa routine, e viene a mancare l’entusiasmo, una delle componenti essenziali della professione di cantante. 64po Il Festival di Sanremo non avrebbe più ragione di esistere. È nato come un festival della canzone, e invece è degenerato in una guerra fredda fra case discografiche e la commissione stessa del Festival. È tutto un giro di interessi! Sono stati esclusi i cantanti che l’hanno reso popolare. L’invasione dei cantanti stranieri ha contribuito a rendere ibrida la manifestazione, anche se ha dato un impulso al mercato discografico. È comprensibile che le case discografiche preferiscano inviare al Festival i giovanissimi, ma secondo me ci stava meglio un maggior numero di cantanti come Claudio Villa e Modugno. Adesso non si capisce più con quali criteri venga fatta la selezione dei cantanti. Ma non sono un personaggio da Sanremo, io. Ho partecipato a due edizioni, ma sono ben lieto di non avere quella preoccupazione quest’anno. Sanremo è diventato ormai come uno di quegli idoli che resistono quindici giorni o poco più. Si parla tanto di crisi discografica. È che la gente è arrivata a uno stato di saturazione. Da parte mia, negli ultimi tempi non ho saputo creare dei successi notevoli. La colpa è anche mia: non so “battere” sulla stessa canzone per mesi, ossessivamente, come fanno certi miei colleghi.
Milano, 1963. Sullo sfondo le leggendarie insegne luminose di piazza Duomo.
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Quello che mi piace poco sono le etichette tipo “cantore di Milano”, “intellettuale della canzone”, persino “ultimo trovatore”, tutto perché, in queste due trasmissioni, ho presentato canzoni della tradizione popolare e legate spesso a temi milanesi. Ora, se c’è qualcosa che nuoce a un cantante è un’etichetta precisa che lo esclude dal tentare vie sempre nuove. 64dm ANTINDUSTRIALE DELLA CANZONE Se mi si chiede di autodefinirmi, confesso di essere impreparato. Uno crede di sapere chissà cosa di se stesso e poi si trova improvvisamente di fronte all’impossibilità di elaborare in poche parole un concetto che dia un’idea di ciò che crede di essere. Provo ad azzardare uno slogan, di quelli che oggi vanno di moda, dicendo che sono un “antindustriale della canzone”. Faccio le canzoni che mi piacciono, ecco tutto. Se poi hanno anche successo tanto meglio; se non ne hanno, pazienza. Ho cercato di non scendere a compromessi con le cosiddette esigenze commerciali, che poi non sono che un’invenzione degli uffici vendita. Credo che sia impossibile lavorare su commissione. Ho cominciato a suonare la chitarra perché mi divertiva. Poi ho cominciato a scrivere delle “canzoni”, non dei “successi”, una bella differenza. Sono diventato più sicuro di me, forse anche un po’ presuntuoso. Ora non penso più alla partita doppia come a un mezzo per vivere, ma sono rimasto abbastanza libero. Farò cose di poca importanza, ma almeno sono cose mie, mai scritte su ordinazione. Io un dilettante? Non mi offendo. Ritengo che questa definizione mi si addica perfettamente in quanto faccio davvero solo le cose che mi piacciono. Cerco di farle bene, senza preoccuparmi di essere dentro o fuori dalla moda. Se professionismo significa sacrificare le proprie idee al servizio delle ricerche di mercato, credo proprio di esserne lontano. Non rifiuto le esperienze passate, anche quelle che potrebbero farmi sorridere. Mi appartengono e sono state anche esse “vere”. 64gr
Sono convinto che quasi mai una canzone possa tradursi in un fatto artistico, al massimo è un fatto di costume. Credo che sia per questo che i nostri maggiori scrittori si tengano lontani, o si avvicinino con circospezione alla canzone. 64gc C’è un aspetto straordinario del mestiere di cantante o di cantautore. Una canzone ti nasce dentro a poco a poco. La perfezioni, la provi sulla chitarra, le cerchi le parole. Per giorni e giorni questa canzone resta un fatto tuo privato, personale, come un figlio. Quando è finita, la affidi alla macchina organizzativa della tua casa discografica e te ne dimentichi. Un giorno, un mese o un anno dopo, sei magari di passaggio a Palermo e da un altoparlante esce una cosa che riconosci. Ma quel che era tuo è diventato di tutti. È come un tradimento, o forse no. In altri mestieri questo non succede e le cose che fai continuano a restare tue. Chi scrive canzoni non possiede mai niente. 64vn Mi piace molto la lettura, ma non credo che possa considerarsi un hobby. Sport non ne pratico e, in fatto di automobili, ho dei gusti abbastanza posati: alle fuoriserie preferisco decisamente macchine tranquille, forse più adatte a un padre di famiglia che a un divo della canzone. Giro in città con una Cinquecento e mi servo, per i lunghi viaggi, di una Citroën DS, un’auto molto riposante e spaziosa che mi consente di trasportare chitarre, amplificatori, apparecchi di registrazione e tutta quell’altra mercanzia che oggi è indispensabile per esibirsi in pubblico. Mi capita
spesso, infatti, di fare le cosiddette “serate” in provincia e la cosa mi diverte abbastanza. L’ultima volta ho cantato per tre ore consecutive, nonostante il mio contratto prevedesse un’esibizione di un’ora soltanto. Il proprietario del locale mi pregò a un certo punto di smettere perché temeva che gli chiedessi un compenso maggiore di quello pattuito. Lo rassicurai e continuai perché mi faceva piacere ritrovarmi finalmente in mezzo al pubblico. 64pb Ho molte serate e quasi tutte nel raggio di duecento chilometri, in modo da poter dormire a casa. L’idea di fare il cantante-commesso viaggiatore, che parte con il pigiama fra gli spartiti, mi deprime. Il mio lavoro non deve stancarmi, altrimenti diventa routine, e viene a mancare l’entusiasmo, una delle componenti essenziali della professione di cantante. 64po Il Festival di Sanremo non avrebbe più ragione di esistere. È nato come un festival della canzone, e invece è degenerato in una guerra fredda fra case discografiche e la commissione stessa del Festival. È tutto un giro di interessi! Sono stati esclusi i cantanti che l’hanno reso popolare. L’invasione dei cantanti stranieri ha contribuito a rendere ibrida la manifestazione, anche se ha dato un impulso al mercato discografico. È comprensibile che le case discografiche preferiscano inviare al Festival i giovanissimi, ma secondo me ci stava meglio un maggior numero di cantanti come Claudio Villa e Modugno. Adesso non si capisce più con quali criteri venga fatta la selezione dei cantanti. Ma non sono un personaggio da Sanremo, io. Ho partecipato a due edizioni, ma sono ben lieto di non avere quella preoccupazione quest’anno. Sanremo è diventato ormai come uno di quegli idoli che resistono quindici giorni o poco più. Si parla tanto di crisi discografica. È che la gente è arrivata a uno stato di saturazione. Da parte mia, negli ultimi tempi non ho saputo creare dei successi notevoli. La colpa è anche mia: non so “battere” sulla stessa canzone per mesi, ossessivamente, come fanno certi miei colleghi.
Milano, 1963. Sullo sfondo le leggendarie insegne luminose di piazza Duomo.
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E ALLORA SUONA CHITARRA DISCOGRAFIA a cura di CLAUDIO SASSI
E ALLORA SUONA CHITARRA DISCOGRAFIA a cura di CLAUDIO SASSI
diScoGraFia GiorGio Gaber ciao... ti dirò Ciao... ti dirò / Da te era bello restar / Love Me Forever / Be Bop A Lula 1958, EP Ricordi ERL 10.009 Ciao... ti dirò / Da te era bello restar 1958, 45 giri Ricordi SRL 10.010 Copertina generica forata Ricordi. Ne esistono almeno tre edizioni che differiscono tra loro per la dimensione dei caratteri delle scritte sull’etichetta. Love Me Forever / Be Bop A Lula 1958, 45 giri Ricordi SRL 10.011 Copertina generica forata Ricordi. hula hoop The Hula Hoop Song / When / Oh bella bambina / Un po’ di luna 1959, EP Ricordi ERL 10.015 The Hula Hoop Song / When 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.016 Copertina generica forata Ricordi. Oh bella bambina / Un po’ di luna 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.017 Copertina generica forata Ricordi. Nairobi / Buonanotte tesoro 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.023 Copertina generica forata Ricordi. Non dimenticar le mie parole / Dimmi chi sei 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.024 Copertina generica forata Ricordi. nairobi Nairobi / Buonanotte tesoro / Non dimenticar le mie parole / Dimmi chi sei 1959, EP Ricordi ERL 122
When 1959, The Red Record P 003 Disco flexi pubblicitario. Priscilla / Rhum e juke-box 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.036 Giorgio Gaber e I Cavalieri Copertina generica forata Ricordi. Venus / Dream Big 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.037 Giorgio Gaber e I Cavalieri Copertina generica forata Ricordi. Sea Cruise / Save My Soul 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.040 Giorgio Gaber e I Cavalieri Canta / Bambolina 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.046 Rock della solitudine / Vorrei sapere cos’hai cara 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.065 Geneviève / Desidero te 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.066 Geneviève Geneviève / Desidero te / Bambolina / Rock della solitudine 1959, EP Ricordi ERL 141 La tua storia / L’alfabeto del cielo 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.092 Copertina generica forata Ricordi. Non arrossire / La ninfetta 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.134 Pubblicato con tre differenti copertine fotografiche.
Priscilla Priscilla / Rhum e juke-box / Venus / Dream Big Giorgio Gaber e I Cavalieri 1959, EP Ricordi ERL 129
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diScoGraFia GiorGio Gaber ciao... ti dirò Ciao... ti dirò / Da te era bello restar / Love Me Forever / Be Bop A Lula 1958, EP Ricordi ERL 10.009 Ciao... ti dirò / Da te era bello restar 1958, 45 giri Ricordi SRL 10.010 Copertina generica forata Ricordi. Ne esistono almeno tre edizioni che differiscono tra loro per la dimensione dei caratteri delle scritte sull’etichetta. Love Me Forever / Be Bop A Lula 1958, 45 giri Ricordi SRL 10.011 Copertina generica forata Ricordi. hula hoop The Hula Hoop Song / When / Oh bella bambina / Un po’ di luna 1959, EP Ricordi ERL 10.015 The Hula Hoop Song / When 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.016 Copertina generica forata Ricordi. Oh bella bambina / Un po’ di luna 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.017 Copertina generica forata Ricordi. Nairobi / Buonanotte tesoro 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.023 Copertina generica forata Ricordi. Non dimenticar le mie parole / Dimmi chi sei 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.024 Copertina generica forata Ricordi. nairobi Nairobi / Buonanotte tesoro / Non dimenticar le mie parole / Dimmi chi sei 1959, EP Ricordi ERL 122
When 1959, The Red Record P 003 Disco flexi pubblicitario. Priscilla / Rhum e juke-box 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.036 Giorgio Gaber e I Cavalieri Copertina generica forata Ricordi. Venus / Dream Big 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.037 Giorgio Gaber e I Cavalieri Copertina generica forata Ricordi. Sea Cruise / Save My Soul 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.040 Giorgio Gaber e I Cavalieri Canta / Bambolina 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.046 Rock della solitudine / Vorrei sapere cos’hai cara 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.065 Geneviève / Desidero te 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.066 Geneviève Geneviève / Desidero te / Bambolina / Rock della solitudine 1959, EP Ricordi ERL 141 La tua storia / L’alfabeto del cielo 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.092 Copertina generica forata Ricordi. Non arrossire / La ninfetta 1959, 45 giri Ricordi SRL 10.134 Pubblicato con tre differenti copertine fotografiche.
Priscilla Priscilla / Rhum e juke-box / Venus / Dream Big Giorgio Gaber e I Cavalieri 1959, EP Ricordi ERL 129
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Il mio maggior pregio è la facilità di adeguamento. Il peggior difetto? La facilità di adeguamento, appunto. ‘ Ci siamo abituati persino al delirio, alla follia quotidiana diventata normalità. Io l’accetto, ma avrei bisogno di un delirio ancora più intenso, che abbia un senso di vita e non di morte. ‘ Per me è sempre stato tempo di bilanci. Credo di averne fatti tutte le sere da quando sono al mondo. ‘ Ho necessità di qualcuno o qualcosa che non faccia addormentare i miei dubbi, che non mi faccia riposare sulle mie presunte, comode poltrone. Ma mi faccia convivere con la vita. ‘ Non essere capiti è prova di genialità. Purtroppo questa sensazione svanisce quasi subito, compresa l’idea smisurata che avevamo di noi stessi. ‘ La nostra incertezza ci limita a odiare senza riuscire a centrare neppure il bersaglio del nostro odio. Anche di rabbia e di odio lasciamo troppi aborti in giro. ‘ Bisogna essere più precisi nell’amore, nei gusti, nelle passioni e anche nell’odio, nella rabbia. ‘ Non è della rabbia che si vuole parlare, ma piuttosto del cuore. ‘ Tutto il mio percorso, alla fine, ha sempre salvato l’uomo. La sua coscienza. I suoi affetti. ‘ La bruttezza è psicosomatica. Te la fai da te, con le tue meschinità, con la tua cattiva coscienza. ‘ Non è il momento più adatto per parlare di idee: oggi sono talmente delicate e rarefatte che quasi non si avvertono. ‘ Anche l’uomo più mediocre diventa un genio se guarda il mondo con i suoi occhi. ‘ La mediocrità non va amata, la normalità va accettata. ‘ Essere eroi oggi significa opporsi al flusso, contrastare la direzione unica in cui mi sembra che vadano le cose. Combattere dall’interno la propria battaglia e non accettare tutto quello che viene acriticamente. ‘ La cultura di massa è una truffa, è sempre una speculazione. La vera cultura è solo individuale, frutto di una crescita faticosa. ‘ Io mi sento di coincidere poco con l’epoca in cui vivo. Sono autonomo rispetto a tutto, privilegio certi brusii sensibili che colgo in superficie, sento che il mondo si muove diversamente da come mi muovo io. Per questo continuo a fare quello che faccio. Ecco, se dovessi dire come mi sento e come vorrei sentirmi direi: fedele a me stesso. ‘ Oggi facciamo molto più finta di essere sani, perché sappiamo benissimo di essere folli. ‘ Nella vita non è poi tanto difficile diventare personaggi. È molto più difficile diventare persone. Di questo mi occupo io. ‘ A una certa età ti si offrono molte possibilità. L’importante è saperle rifiutare. ‘ Ero e rimango un cane sciolto, scioltissimo. Uno dei tanti. Ormai siamo il terzo partito. Quelli che non ci credono e non votano, intendo. ‘ Io sono un vecchio borghese. Anarchico, però. ‘ Il Sessantotto l’ho vissuto in termini esistenziali, come un’ansia di conoscenza. Erano vere quelle domande dei figli ai padri, solo dopo sono diventate slogan. ‘ Una volta ho domandato a Sofri: “Ma tu ci credevi veramente nella rivoluzione?”. e lui: “Forse. Non ce lo siamo mai chiesti, o avevamo paura di chiedercelo”. ‘ Per me, è sempre stato impossibile scindere il privato dal pubblico. Un aspetto che la sinistra non ha mai accettato fino in fondo. ‘ Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me. ‘ Penso solo che la politica vada rifondata. Che termini il dilagare dei partiti e si ritorni a una responsabilità individuale. ‘ Il potere gli uomini lo cercano sulle cose, le donne sulle persone. ‘ A volte improvvisamente mi prende alla gola... come il soffocamento della stupidità altrui e provo un senso di nausea per i gesti dei miei simili. Non sempre questa nausea è disinteressata. ‘ Se abbiamo già sperimentato quanto faccia male una dittatura militare, non sappiamo ancora quanto possa far male la dittatura della stupidità. ‘ Quando uno arriva alla mia età e guarda il mondo e il mondo non gli piace, non può tirarsi fuori. Siamo tutti responsabili. ‘ Credo che valga la pena vivere se ci s’impegna a morire un po’ meglio di come si è nati. Facendo un po’ di fatica per diventare un po’ più “persone”. ‘ Vorrei morire solo, il che significa morire avendo accanto tutta l’umanità.
numerose copertine di dischi per artisti italiani e internazionali, da Claudio Baglioni a Vinicio Capossela, Paolo Conte, Pino Daniele, Gianna Nannini, Pavarotti, Vasco Rossi, a Kate Bush, Bob Dylan, Paul McCartney, Lou Reed e Frank Zappa. È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André, alla cui figura e opera ha dedicato tre libri a loro modo definitivi - Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori 2001), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli 2007), Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock (con Franz Di Cioccio, Chiarelettere 2008) - e una mostra personale, Sguardi randagi. Harari è anche uno dei curatori della grande mostra multimediale dedicata al cantautore da Palazzo Ducale, a Genova. Tra i suoi libri più recenti The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori 2004), Vasco! (Edel 2006), Wall Of Sound (HRR 2007), Mia Martini. L’ultima occasione per vivere (con Menico Caroli, Tea 2009) e Chia. I guerrieri in San Domenico (HRR 2010). www.guidoharari.com
FONDAZIONE GIORGIO GABER
Costituitasi come Associazione Culturale pochi mesi dopo la scomparsa dell’artista e poi, dal 2006, come Fondazione con la presidenza di Paolo Dal Bon, ha tra gli obbiettivi principali quello di raccogliere tutta la documentazione audio, video e fotografica disponibile su Gaber, oltre a tutti i testi editi e inediti, al fine di costruire un archivio completo e ufficiale da mettere a disposizione di quanti desiderino avvicinarsi e approfondire la sua opera; nonché di confrontarne la portata culturale e verificarne l’attualità di pensiero in un incessante dialogo a tutto campo con i rappresentanti del teatro, della musica d’autore, dello spettacolo e della cultura contemporanei. I progetti che hanno sinora contraddistinto l’operato della Associazione e sono stati poi recepiti, fatti propri e sviluppati ulteriormente dalla Fondazione Giorgio Gaber, sono il Festival “Teatro Canzone”, la costituzione di un archivio digitale completo sull’artista, e la realizzazione e promozione di diversi progetti divulgativi, soprattutto per i più giovani, con una serie di iniziative, incontri, spettacoli e progetti specifici rivolti alle scuole. www.giorgiogaber.it
Perché invece di esibire la nostra moralina liberista e permissiva non abbiamo dato uno sguardo all’avanzata dello Sviluppo? Perché invece di parlare di buoni e di cattivi non abbiamo visto dove andava la Produzione? Perché non abbiamo alzato un muro contro la mano invisibile del Mercato? Perché abbiamo ceduto all’allegria del consumo? Perché abbiamo spalancato la porta al superfluo? Perché gridavamo contro i padroni e compravamo i motorini ai figli? Perché non abbiamo mai parlato di essenzialità? Perché non siamo riusciti a creare una razza diversa? Una razza che si ribellasse alla violenza dell’oggetto e alla mascherata della libertà? Liberi di fare tutto, di essere tutto, un tutto che è uguale a niente. Quale muro avete alzato contro il potere senza volto? Perché odiate per frustrazione e non per scelta? Perché vi accanite contro nemici imbecilli e superati? Perché spargete così male la rabbia che vi consuma? - GIORGIO GABER www.chiarelettere.it
ISBN 978-88-6190-112-4 e 59,00
GABERL’illogica utopia
GUIDO HARARI fotografo e giornalista musicale, ha firmato
Se abbiamo già sperimentato quanto possa fare male una dittatura militare, non sappiamo ancora quanto possa fare male la dittatura della stupidità. - Giorgio Gaber “È bello quando parla Gaber”, canta Enzo Jannacci, l’amico corsaro di sempre, ricordando quanto il signor G, a quarant’anni esatti dalla sua prima apparizione sulla scena del Piccolo Teatro di Milano, rimanga, oltre che fine affabulatore e artista totale, una delle rare coscienze civili del secondo Novecento italiano.
GABER L’illogica utopia
Autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari in collaborazione con la FONDAZIONE GIORGIO GABER
Questo libro non vuol essere solo l’“autobiografia” di Gaber, ma anche una sorta di breviario irreligioso per liberi pensatori. Nelle sue parole soffia il vento di una morale di lotta, insieme all’ansia di un’etica nuova e di un ritorno al luogo del pensiero. Immerso nel suo tempo, Gaber auspica, anzi esige un neorinascimento, un nuovo umanesimo e, con esso, un individuo nuovo, fatto di privato e di politico. È questa “l’illogica utopia” del titolo, condita di un “appassionato pessimismo” che l’artista vorrebbe detonatore di uno slancio vitale e gioioso verso un futuro tutto da inventare. La viva voce di Gaber guida il lettore in un lungo e appassionante viaggio, ricostruito attraverso lo sterminato archivio della Fondazione Giorgio Gaber dei cui tesori viene qui presentata per la prima volta una corposa sintesi, con trascrizioni di materiali audio e video, interviste, manoscritti e testi spesso inediti, memorabilia, rare copertine di dischi e una messe di immagini tratte anche dagli archivi dei fotografi che più da vicino hanno seguito l’artista. Una cronologia dettagliata e una discografia completano questo volume facendone un prezioso riferimento per chiunque voglia addentrarsi nel pensiero gaberiano.