La compravendita del rischio, come se il rischio fosse un bene economico da vendere e da comprare. Un patrimonio di anni buttato via. Cifre da capogiro. Ma invece di azzerare il rischio, i governi lo spostano dal settore privato a quello pubblico, caricandolo sulle nostre spalle. Ancora una volta la verità ci viene negata. E siamo ingannati: come è successo per la guerra al terrorismo che ha alimentato le nostre paure e dissanguato le casse degli Stati Uniti, mentre la finanza islamica è ben florida e aiuta il diffondersi del fondamentalismo islamico sulle macerie dell’impero comunista. La crisi economica è l’effetto dell’11 settembre e delle guerre che ne sono seguite. Inutili. Nessuno ha il coraggio di dirlo. Ma è a tutti chiaro che niente sarà come prima. Non è la fine del mondo, ma di un mondo. Malgrado tutto, possiamo esercitarci a immaginare un altro futuro. Più nostro. Loretta Napoleoni è nata a Roma e vive a Londra da molti anni. È tra i massimi esperti di terrorismo ed economia internazionale. Collabora con la Cnn, la Bbc e scrive per “Le Monde”,“El País”,“The Guardian”“Internazionale” e “l’Unità”. Tra i suoi libri: TERRORISMO SPA ( Tropea), AL ZARQAWI ( Tropea), ECONOMIA CANAGLIA (Il Saggiatore), I NUMERI DEL TERRORE (con Ronald J.Bee, Il Saggiatore). www.chiarelettere.it I S B N 978-88-6190-079-0
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LE VERE RAGIONI DELLA CRISI MONDIALE
Loretta Napoleoni LA MORSA
“LA CAPACITÀ DI INVENTARE CIÒ CHE NON POSSIAMO IMMAGINARE.” Barack Obama
“IL SALVATAGGIO DELLE BANCHE CI RENDE AZIONISTI: È NOSTRO DIRITTO VIGILARE SULLA GESTIONE DELLE SOCIETÀ SALVATE. FACCIAMO PRESSIONE SULLA CLASSE POLITICA AFFINCHÉ PERSEGUA I NOSTRI INTERESSI, NON QUELLI DI UN GRUPPO RISTRETTO DI PERSONE.” Loretta Napoleoni
LA MORSA Loretta Napoleoni DISTRATTI DA AL QAEDA, DERUBATI DA WALL STREET. COME NE USCIAMO?
Pamphlet, documenti, storie REVERSE
Autori e amici di
chiarelettere Michele Ainis, Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza, Andrea Cairola, Olindo Canali, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Andrea Casalegno, Carla Castellacci, Massimo Cirri, Fernando Coratelli, Pino Corrias, Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro, Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Vania Lucia Gaito, Pietro Garibaldi, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Guido Harari, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Marco Lillo, Felice Lima, Stefania Limiti, Giuseppe Lo Bianco, Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Giorgio Meletti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Alberto Nerazzini, Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Antonio Padellaro, Pietro Palladino, Gianfranco Pannone, David Pearson (graphic design), Maria Perosino, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello (web editor), Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Luca Rastello, Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano, Matteo Scanni, Roberto Scarpinato, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Elena Valdini, Concetto Vecchio, Carlo Zanda.
PRETESTO 1
f a pagina 12
“Mettere in ginocchio l’economia americana e quella mondiale è stata la follia della guerra contro il terrorismo.”
PRETESTO 2
f a pagina 171
“Il sostegno a tutte le banche brucia solo ricchezza. I politici non vogliono ammettere che il sistema va radicalmente cambiato.�
f a pagina 55-56
“Con il crollo dell’Unione Sovietica per le banche islamiche si apre una serie di inaspettate opportunità di crescita. La penetrazione commerciale va di pari passo con l’indottrinamento religioso, sbocciano i gruppi armati islamici.”
f a pagina 128
“Sembra assurdo che un sistema economico tanto potente si stia disintegrando per le bugie dei suoi governanti.”
PRETESTO 3
f a pagina 34
“A tutt’oggi un sistema globale per lo scambio d’informazioni sul finanziamento del terrorismo non esiste. I veri banchieri di Bin Laden rimangono impuniti.”
f a pagina 163
Loro e noi “Chi è con noi e chi è contro di noi.” George W. Bush
“La più cruda espressione della politica tribale mai concepita.” “The Guardian”
f a pagina 172-173
“Se i derivati hanno creato beni tossici, perché non abolirli? Se l’alta finanza si divertiva a giocare d’azzardo, paghi le conseguenze di questa follia invece di prosciugare i soldi necessari alla ripresa economica.”
Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano ISBN
978-88-6190-079-0
Prima edizione: aprile 2009 www.chiarelettere.it BLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA
Si ringrazia Floriana Pagano per le traduzioni dall’inglese.
Loretta Napoleoni
La morsa
chiarelettere
Loretta Napoleoni, economista di fama internazionale, è tra i massimi esperti mondiali di terrorismo e riciclaggio. Nel 1979, dopo aver tentato inutilmente di trovare lavoro in Italia, vince la prestigiosa borsa di studi Fulbright e si trasferisce negli Stati Uniti dove consegue un master in economia internazionale. Non tornerà più in Italia. Dopo aver lavorato per il Fondo monetario presso la Banca Nazionale d’Ungheria, a Budapest, si sposta a Londra. Lavora come economista nella City, prima per una banca russa e poi per uno stockbroker. Sono i primi anni Ottanta e nella City ci sono ancora gli uomini in bombetta, la deregulation arriverà tra un decennio e la finanza poggia su solide regole d’onore. Nel 1993 fa parte del gruppo di consulenti che strutturano il funzionamento della BERD, la banca europea creata per guidare la transizione dei paesi dell’Est verso l’economia di mercato. L’anno dopo rifiuta di diventare parte dell’organico perché non condivide la linea politica dei paesi membri. Lo stesso anno torna alla London School of Economics dove consegue un MPhil in terrorismo. Nel 2005 presiede il gruppo di lavoro sul finanziamento del terrorismo per la conferenza mondiale Terrorismo e Democrazia organizzata dal Club de Madrid. Consulente di organizzazioni internazionali e governi, collabora regolarmente con le forze dell’ordine e le forze armate di paesi occidentali e orientali, tra cui la Homeland Security statunitense, l’International Institute of Counter-Terrorism israeliano, la polizia catalana. È consulente per la Bbc e la Cnn, editorialista per «El País», «Le Monde» e «The Guardian». In Italia scrive su «Internazionale», «l’Unità» e «la Repubblica». Ha scritto due romanzi, ma è conosciuta a livello internazionale per i suoi saggi che sono tradotti in quattordici lingue, incluso il cinese e l’arabo. Loretta Napoleoni si descrive come una voce fuori dal coro e si considera un’emigrata, non un cervello in fuga. Quando a ventiquattro anni ha dovuto lasciare l’Italia si è ripromessa di lottare sempre contro la falsità, la corruzione e «la raccomandazione». Ed è proprio quello che da anni cerca di fare. Cresciuta a Roma, da quasi trent’anni vive tra Londra e gli Stati Uniti con il marito e quattro figli.
Sommario
la morsa Introduzione. L’origine della crisi Dubai: l’ascesa della finanza islamica
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Il Corano in banca: non vale solo il guadagno. Utenti e gestori rischiano insieme. Le profonde differenze con la finanza occidentale
La guerra contro il terrorismo: un conflitto suicida
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La voglia egemonica degli americani. La diffusione del capitalismo islamico dopo la caduta del Muro di Berlino
La controcrociata del fondamentalismo islamico
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La guerra di liberazione economica dall’Occidente. Le analogie con le crociate dell’XI secolo, ma le parti sono invertite. Il paravento della religione
Dissanguare l’economia americana: il sogno di Bin Laden diventa realtà
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Al Qaeda vuole colpire al cuore l’economia americana. E ci riesce. La deregulation facilita l’economia illegale, i costi insostenibili delle guerre causano l’abbassamento dei tassi di interesse e favoriscono la diffusione del credito
Gli effetti devastanti del Patriot Act La legge contro il riciclaggio di denaro sporco mette in crisi le banche americane e premia quelle europee. L’irresistibile ascesa della ’ndrangheta. Le profonde differenze tra Bush e Johnson ai tempi del Vietnam
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L’arma del petrolio
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Ritorna l’incubo del 1973. Le fluttuazioni del prezzo del greggio aiutano gli speculatori. A chi serve il dollaro debole. Ma il mondo ha fame per colpa della nuova classe che guida la finanza mondiale
Il ritorno del Grande Gatsby
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Londra, il nuovo paradiso fiscale. I nuovi ricchi giocano a Monopoli con i soldi degli altri. I favolosi guadagni delle banche, ma solo sulla carta
I fuorilegge della globalizzazione
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Lo scandalo Madoff e l’interminabile catena dei derivati. La fine dei favolosi anni ruggenti. L’effetto domino. Arroganza e faciloneria
La politica della paura
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Oggi come ai tempi della guerra fredda: le falsità del potere. Da una parte ci terrorizzano con al Qaeda, dall’altra ci vendono l’illusione di una ricchezza facile. L’industria del terrorismo.
Las Vegas e Dubai: «Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?»
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Una è la capitale del gioco d’azzardo, l’altra la capitale della finanza d’assalto globalizzata. La crisi investe entrambe, le luci si spengono. La festa è finita
Il pericolo del protezionismo
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La crisi degli anni Trenta. Difficile resistere al mantra del protezionismo: il nemico è l’altro, chi è diverso da noi. Un nuovo lessico tribale
Epilogo. Un nuovo modello economico
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Brucia la ricchezza illusoria e quella reale. L’assurdità di un sistema che commercializza il rischio. Irrazionale il sostegno generalizzato alle banche. Come uscirne. Aiutare l’economia reale, abolire i derivati
Ringraziamenti Note bibliografiche
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la morsa
A Monica, che racconta cosĂŹ bene la veritĂ
Introduzione L’origine della crisi
Dove sono finiti tutti quei soldi? Terrorismo ed economia: ecco i temi più dibattuti degli ultimi anni. E se tra loro esistesse una relazione che va ben oltre le prime pagine dei giornali? Se la guerra contro il terrorismo, inaugurata da George W. Bush all’indomani dell’11 settembre, avesse in qualche modo contribuito alla crisi del credito? Si tratta d’interrogativi sconcertanti, che recentemente molti si pongono. L’amministrazione Bush riceve da Bill Clinton un piccolo surplus e Barack Obama – che sale al potere nel mezzo della peggiore recessione del dopoguerra – eredita un debito pubblico di 10mila miliardi di dollari, pari al 70 per cento del Prodotto interno lordo americano, o meglio, al 18 per cento dell’economia mondiale. Dove sono finiti tutti quei soldi? Due guerre ancora in corso e un sistema di sicurezza ambiziosissimo, quanto inconsistente, prosciugano le finanze dello Stato e proiettano l’America nella rosa dei paesi con il debito pubblico più alto al mondo. Tutto questo non sarebbe successo fino a vent’anni fa, quando i conflitti si pagavano con l’erario pubblico an-
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La morsa
ziché con la politica dei bassi tassi d’interesse. Come dimenticare la storica decisione di Lyndon Johnson, negli anni Sessanta, di aumentare la pressione fiscale per far fronte agli alti costi della guerra nel Vietnam? Manovra necessaria e al tempo stesso profondamente impopolare. A nessuno, infatti, piace finanziare di tasca propria la macchina militare, anche se l’obiettivo è distruggere un super terrorista come Osama bin Laden o sbarazzarsi dell’arcidittatore Saddam Hussein. A chi si domanda perché queste guerre in Iraq e in Afghanistan, che sembrano interminabili, non abbiano suscitato un movimento d’opposizione simile a quello che pose fine a quella del Vietnam, si può rispondere che finché la spesa militare non tocca direttamente il nostro portafoglio o intacca la nostra libertà, costringendoci ad andare al fronte, i conflitti armati restano virtuali, vissuti esclusivamente attraverso il filtro dei media.
La paura del terrorismo Neppure gli attentati terroristici a Madrid e a Londra, ambedue legati al conflitto iracheno, ci hanno fatto sentire quest’ultimo abbastanza vicino da coinvolgerci. Persino la minaccia del terrorismo, dunque, ci tocca solo di striscio, quando le immagini di sangue e morte fanno capolino sui nostri teleschermi o quando i politici le usano per spaventarci. Dopo l’attentato di novembre 2008 a Mumbai, il ministro degli Esteri italiano dichiara che il vero pericolo non è l’economia ma il terrorismo. Giornali e telegiornali italiani rincarano la dose ricordando che sette con-
Introduzione
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nazionali sono intrappolati negli alberghi occupati dai terroristi. E l’Italia è presa nella morsa della paura del fondamentalismo islamico al punto da scambiare due mitomani marocchini per super terroristi. Il motivo è altrettanto ridicolo: inculcavano nei figli di due anni il culto di Osama bin Laden e sognavano di far esplodere con ordigni inesistenti un supermercato di periferia. La paura del terrorista è uno strumento molto efficace per distrarre l’attenzione del cittadino occidentale dal caos economico degli ultimi vent’anni e dalla crisi che sta facendo sprofondare il capitalismo in una nuova Grande depressione. Tristemente, il legame tra eversione ed economia non è circoscritto a questa manipolazione: la guerra contro il terrorismo dei neoconservatori americani ha infatti contribuito alla crisi del credito. Come? Per rispondere rivisitiamone le fasi più salienti. Il crollo del Muro di Berlino inaugura la politica del credito facile e a buon mercato. Alan Greenspan, a capo della Federal Reserve (Fed), ne è l’artefice. La deflazione agevola il processo di globalizzazione, o meglio, la colonizzazione del mondo da parte della finanza occidentale. Lo Stato retrocede dall’arena economica e lascia al mercato finanziario il compito di gestire il grosso dell’economia. E Alan Greenspan diventa più potente del presidente Clinton. È lui che tiene le fila dell’economia mondiale, la cui crescita sembra inarrestabile. Ogni qualvolta le crisi economiche bussano alla porta del villaggio globale – da quella del rublo fino alla minirecessione americana del 2000 – Greenspan taglia i tassi. Si tratta di una strategia folle perché, lungi dal risolvere i problemi strutturali della globalizzazione, posticipa lo scoppio della crisi aumentandone la portata.
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La morsa
Anche il cittadino, in un certo senso, perde potere in quanto parte integrante dello Stato, nessuno però se ne rende conto. L’abbattimento delle aliquote fiscali, cavallo di battaglia di Bush padre e figlio, e di Bill Clinton, fa sì che il contribuente partecipi economicamente sempre di meno agli affari dello Stato; è quindi naturale che si disinteressi della sua gestione. E poi gli anni Novanta e gran parte degli anni 2000 sono caratterizzati dall’abbondanza perché vissuti all’insegna del credito facile e a buon mercato; consumi, investimenti, tutto cresce e nessuno ha voglia di criticare uno Stato che ha creato tutta questa cuccagna. L’euforia nasconde però una realtà ben diversa: uno dei cardini del contratto sociale – secondo cui lo Stato deve rispondere ai cittadini di come gestisce il loro denaro – si sta incrinando.
Due guerre e molti debiti Dopo il 2001 la politica dei tassi d’interesse bassi fa comodo anche e soprattutto al governo americano che nel giro di due anni si trova invischiato in due guerre che l’amministrazione aveva anticipato sarebbero state lampo e quindi a basso costo. In realtà, questi conflitti pesano gravemente sulla spesa pubblica. L’indebitamento sul mercato finanziario attraverso la vendita dei buoni del tesoro permette di evitare l’impopolare manovra fiscale del presidente Johnson, e cioè aumentare le tasse agli americani. Ma la raccolta del denaro non è facile, lo Stato deve competere con il settore privato, ecco perché l’amministrazione Bush fa pressione sulla Federal Reserve per mantenere oltremisura la
Introduzione
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politica dei tassi d’interesse bassi. Questa infatti rende i buoni del tesoro americani più competitivi rispetto a quelli dell’industria privata. Cina e Giappone diventano subito i maggiori sottoscrittori del debito pubblico statunitense. Sullo sfondo di questa guerra singolare, dunque, c’è una politica deflazionista che la nazione non può permettersi, politica mantenuta anche nella seconda metà degli anni 2000, quando è ormai chiaro che essa alimenta la bolla finanziaria. La politica deflazionista di Greenspan, dunque, finanzia prima il benessere illusorio della globalizzazione e poi la guerra contro il terrorismo. Ecco spiegata l’origine della crisi del credito. Ma se Greenspan crea la bolla durante gli anni Novanta, il finanziamento di due guerre dopo l’11 settembre prima la gonfia e poi la fa esplodere. L’abbattimento dei tassi, subito dopo la tragedia, innesca il perverso meccanismo dei mutui subprime e inflaziona i prezzi del mercato immobiliare in America e nel resto del mondo; dà vita, insomma, alla spirale dell’indebitamento delle banche. Le statistiche mostrano che dal 2001 al 2007 i prezzi degli immobili registrano, un po’ dovunque, una crescita eccezionale.
Chi paga questa follia Naturalmente, a fare le spese di questa follia economica è la popolazione americana che per quindici anni è tenuta all’oscuro delle crisi del mercato globale e per altri sette ignora che Pechino e Tokyo finanziano le guerre «ideologiche» dei neoconservatori, mentre Washington accumula un debito pubblico da Paese in via di svilup-
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La morsa
po. E sono ancora i cittadini americani che si sobbarcano tutto il debito delle banche: sebbene incrinato, il contratto sociale è ancora in piedi, e chi risponde degli errori dei politici è la popolazione. Così quando la bolla esplode, nel settembre 2008, e quando la recessione è alle porte all’inizio del 2009, per salvare le banche e mantenere in piedi due guerre, Washington usa i soldi dei contribuenti, quei pochi nell’erario pubblico e quelli ancora da raccogliere, pignora insomma la ricchezza delle future generazioni. Anche il contribuente del villaggio globale paga questi errori. Gli Stati Uniti sono la locomotiva economica del mondo, così la conflagrazione a Wall Street trascina l’intero pianeta nella crisi economica. Ma non finisce qui. Per arginare le pressioni sociali e la contrazione dell’economia, la nuova amministrazione americana gioca la carta del protezionismo. La risposta del resto del mondo è analoga. Così lo spettro dei dazi doganali minaccia di strangolare il commercio internazionale. Possibile che aver distrutto quelle due torri davanti agli occhi del mondo abbia scatenato una reazione a catena di questa portata? Capace di mettere a repentaglio il primato dell’economia occidentale e di far precipitare nella recessione l’intera economia mondiale? Ecco uno dei quesiti che questo libro vuole affrontare. Oggi l’America è economicamente meno potente di un decennio fa. Molti sono convinti che l’era della sua supremazia economica volga ormai al termine e che, dopo la grande recessione, quando il mondo rialzerà la testa, la locomotiva economica sarà a Oriente, in Cina, e l’epicentro della finanza mondiale all’ombra dei minareti. La finanza islamica, embrionale fino all’11 set-
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tembre, è oggi il settore finanziario più dinamico al mondo, quello con il tasso di crescita più elevato. Riuscirà Barack Obama, il nuovo presidente mediatico americano, ad alterare tale processo? È questa la seconda domanda alla quale cercheremo di rispondere.
Il sogno di Bin Laden di distruggere l’economia occidentale Molti di questi cambiamenti in atto, paradossalmente, sembrano coronare il grande sogno di Osama bin Laden: distruggere l’economia americana e resuscitare l’impero islamico, il Califfato. Nel 1998, dopo essere stato scacciato dal proprio Paese e da quello adottivo, il Sudan, Bin Laden lancia la sua campagna antisionista e antiamericana identificando nel nemico lontano, l’America e i suoi alleati occidentali, la causa dei problemi del mondo arabo e musulmano. L’obiettivo è indebolire l’economia americana al punto da costringere Washington ad abbandonare le politiche di sostegno dei regimi oligarchici musulmani, Arabia Saudita prima fra tutti. Solo allora la rivoluzione jihadista trionferà. Si tratta naturalmente di un piano fantastico e fantasioso, come fantastico e fantasioso è tutto il movimento jihadista che gira attorno ad al Qaeda. Prima dell’11 settembre pochi ne sono a conoscenza e chi ci crede lo fa per atto di fede, irrazionalmente. Eppure, a distanza di otto anni, il sogno di Bin Laden sta per diventare realtà, ma non è stato il Profeta a realizzarlo, né il movimento antimperialista, l’alqaedismo, nato dalle ceneri di al Qaeda all’indomani della caduta del regime taleba-
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no. A mettere in ginocchio l’economia americana e quella mondiale è stata la follia della guerra contro il terrorismo. Anche noi, indifferenti cittadini dello stato neoliberista, ne siamo responsabili, noi che, in cambio di tasse sempre più basse e del credito facile e a buon mercato, abbiamo lasciato che banchieri come Greenspan e politici come Bush o Blair imbrogliassero le carte in tavola e, soprattutto, che le loro menzogne restassero impunite. Siamo, paradossalmente, anche vittime della nostra ingenuità perché ci siamo fatti spaventare dalla propaganda della paura: come dimenticare le dichiarazioni di Colin Powell alle Nazioni Unite, quelle di Bush e Blair alla vigilia dell’invasione dell’Iraq e le consultazioni tra questi due e Aznar e Berlusconi su come arginare la minaccia del terrorismo islamico? Avremmo dovuto intuire allora che una banda di fanatici religiosi non poteva certamente distruggere il nostro mondo, e cioè il capitalismo occidentale, ma chi lo gestiva, i giganti di Wall Street, loro sì avevano questo potere. La genesi della crisi del credito che oggi minaccia l’esistenza del sistema capitalista e la nostra vita quotidiana va dunque ricercata nelle decisioni prese all’indomani dell’11 settembre e nell’indifferenza dei cittadini occidentali rispetto a una classe politica non più al loro servizio. Se davvero vogliamo uscire da questa crisi, che anche se si manifesta attraverso l’economia è sintomatica del malore esistenziale che affligge il villaggio globale, dobbiamo avere il coraggio di ammettere i nostri errori. Solo così troveremo la forza per tornare a partecipare attivamente alla vita politica e, se è necessario, anche il co-
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raggio di rinnovare totalmente la classe politica che ci rappresenta, non una, ma più volte, fin quando avremo raggiunto il nostro obiettivo. L’America un tentativo l’ha già fatto e la storia ci dirà se ha funzionato. C’è il rischio, infatti, che la campagna elettorale d’immagine che ha portato alla Casa Bianca il nuovo presidente non si traduca, nel breve periodo, in cambiamenti reali sia in politica estera che nel settore dell’economia e della finanza. C’è il pericolo insomma che eventuali errori strategici nelle relazioni con paesi musulmani come l’Iran e la Siria e i salvataggi incondizionati dei carrozzoni bancari di Wall Street producano un ulteriore giro di vite della morsa che ci imprigiona. Ma questa rivoluzione per riuscire deve avvenire prima di tutto nella nostra mente. La lezione di vita del grande fiasco dell’economia globalizzata, sotto l’ombrello della politica della paura, è che la società civile non può lasciarsi ingannare da chi la rappresenta; quando ciò avviene è nostro dovere ribellarci. Mentre i politici ci terrorizzavano, la finanza ci rubava i risparmi, questa è la cruda verità. E se vogliamo che ciò non avvenga più, dobbiamo avere il coraggio di dire basta e voltare le spalle ai grandi prestigiatori del nostro tempo, la classe politica, che fino a oggi ci ha così male rappresentato.