Per favore non dite niente

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«Perché ogni storia d’amore è potenzialmente una storia di sofferenza.» julian barnes

c■ narrazioni

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© Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: via Guerrazzi 9, 20145 Milano isbn 978-88-6190-592-4 Prima edizione: maggio 2014 Il «Proscenio» è di Francesco Cattani (Bologna, 1980). Il suo primo romanzo a fumetti, Barcazza (Canicola, 2010), è stato tradotto e pubblicato anche in Francia e Spagna. Disegna illustrazioni e fumetti per Newton Compton, Coconino Press/Fandango e numerose testate nazionali tra cui «Corriere della Sera», «Il Male», «Internazionale», «Rolling Stone», «XL», «Lo Straniero». Nel 2011 è tra i selezionati per la mostra collettiva Graphicnovel.it all’Istituto di cultura italiana a Parigi. Nel 2008 ha vinto il premio Attilio Micheluzzi per la miglior storia breve e nel 2010 il premio Nuove strade. www.chiarelettere.it blog / interviste / libri in uscita Progetto grafico di copertina: David Pearson www.davidpearsondesign.com

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Marco Ciriello

Per favore non dite niente

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Sommario

per favore non dite niente Ho promesso che non l’avrei lasciata sola Si è allontanata lentamente Non ho mai insistito La memoria della forma Sapevo che ti saresti buttato

7 17 25 33 41

Primo intermezzo Mi credevo destinata ad altro

49

Il mio unico vanto Resta addosso un senso di sconfitta Chiedimi ancora di restare Il tempo dell’assenza Chi manca a chi? Il dolore non serve a niente

55 63 71 77 83 91

Secondo intermezzo Sedersi in panchina

97

Due stranieri a Bilbao

107


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per favore non dite niente


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Il senso dell’utile e dell’inutile è estraneo a Dio e ai bambini; esso è l’elemento diabolico della vita. Salvatore Satta A chi ha pensato, nonostante sbagliassi qualche cambio, che ero comunque una persona perbene. Cesare Prandelli


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Supero un difensore in orizzontale, si crea lo spazio per vedere l’angolo opposto a sinistra. Calcio, sbilanciandomi tutto, senza smettere di correre. Non un gran tiro, che però, lentamente, supera il portiere.


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Ho promesso che non l’avrei lasciata sola

«La colpa non è di nessuno.» Questo mi ha detto venti giorni prima che la malattia la rendesse muta. È morta di lunedì, all’ora di pranzo. Un vento leggero muoveva gli alberi nel parco di fronte a casa nostra. Eravamo tutti nel suo letto. Accarezzandole il viso ho cercato il nostro momento peggiore, per dimenticarlo: abbiamo litigato una sola volta in vent’anni; volevo cancellarlo, prima che Carla si addormentasse. Le ho raccontato di quel giorno e di quella racchetta da tennis rotta, inservibile, un regalo di una mia ex che io continuavo a portarmi dietro, di casa in casa. Come le avevo spiegato tante volte, era legata non all’amore, ma a una vittoria. Fino ad allora non avevo ancora vinto niente, né come calciatore né come allenatore, tranne un torneo estivo di tennis a Viareggio. Conservavo quella racchetta come un amuleto, e lei invece se ne uscì quel giorno con un’assurda, insolita scenata di gelosia, e continuò criticando il mio modo di affezionarmi alle cose, il non saper guardare al futuro. La lite durò poco, ci stavamo trasferendo, andavo ad allenare una squadra del Sud, e nel trasloco era venuta


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Per favore non dite niente

fuori quella racchetta, la buttai nel camino e in silenzio continuai a impacchettare la mia roba. Lei, che non si aspettava il gesto, dopo alcuni minuti di silenzio e senza smettere di guardarmi, aveva prima sorriso, convinta di non essere vista, e poi mi aveva abbracciato alle spalle, passandomi la sua allegria. Da casa mia posso vedere tutta la città, la cupola del duomo, le sue abitazioni eleganti e quelle popolari oltre il fiume, che da quassù sembra ancora limpido. Vedo le mura antiche e la stazione bianca di marmo, e se mi muovo a sinistra del mio terrazzo vedo gli aerei partire e atterrare, piccoli, lontani, tanto da sembrare rondini. Passo molto tempo quassù. Da qui mi sembra che lei sia in cucina, che possa apparire o chiamarmi per farmi rientrare. Insomma, tutto sembra normale: sono a casa, le sono vicino, e no, proprio non penso che le stanze siano vuote e che lei stanotte non si addormenterà al mio fianco. Prima o poi dovrò lasciare questo posto, mi ripetono tutti. Io so già che potrò andare ad allenare in un’altra città, ma questa è casa mia, perché qui c’è stata lei. Su un quotidiano, di fianco alle pagine che parlavano di me e di lei, della sua morte, c’era un articolo su un musicista boemo che non conoscevo. Non ho mai avuto molto tempo per altro che non fosse il calcio. Il musicista era Gustav Mahler. Ho letto che le parti più intense della sua musica, anziché affidarle agli strumenti con maggiore espressività come i violini, le affidava a quelli più duri: agli ottoni, a una tromba, a un trombone.


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