In fuga dal Senato

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Pamphlet, documenti, storie REVERSE

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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano isbn 978-88-6190-493-4 Prima edizione: ottobre 2013 www.chiarelettere.it blog / interviste / libri in uscita A cura di Francesco Emanuele Benatti Hanno collaborato alla stesura del libro: Jessica Borroni, Chiara Porro, Jacopo Zerbo Ha collaborato alle ricerche: Gabriella Canova In copertina: disegno di Dario Fo / foto di Urbano Sintoni

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Franca Rame

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Franca Rame nasce il 18 luglio 1929 a Parabiago, in provincia di Milano, figlia di Domenico Rame ed Emilia Baldini, attori girovaghi di tradizione antichissima. Dopo l’incontro con Dario Fo e il matrimonio, fonda insieme al marito una compagnia teatrale che ottiene uno straordinario successo, anche in Europa. Nel 1962 viene loro affidata la conduzione di Canzonissima, la trasmissione più importante della televisione italiana. La Rai impone tagli e modifiche ai loro testi, che Franca e Dario non accettano. I Fo tornano al teatro e nel 1964 va in scena Settimo, ruba un po’ meno, che denuncia la corruzione italiana trent’anni prima della rivoluzione di Mani pulite, a cui peraltro Franca dedicherà un altro spettacolo, Settimo, ruba un po’ meno 2. I Fo recitano al di fuori dei circuiti ufficiali e subiscono la censura anche dal Partito comunista. Franca, indignata, restituisce la tessera. Nel 1969 fonda Soccorso Rosso, movimento di sostegno a giovani, studenti e operai arrestati durante le lotte nelle fabbriche, nelle scuole e durante le manifestazioni antifasciste. L’attrice porterà avanti questo impegno sino al 1985. Il 9 marzo 1973 è sequestrata e violentata da un gruppo di fascisti. La sua testimonianza diventerà molti anni dopo un monologo che reciterà lei stessa durante la trasmissione Fantastico condotta da Adriano Celentano e poi in moltissimi teatri europei. Il 28 aprile 1978 Franca fa visita a Renato Curcio e ad altri brigatisti in carcere per chiedere la liberazione di Aldo Moro. Dopo il premio Nobel a Dario nel 1997, la coppia decide di devolvere l’intero ammontare (1.650.000.000 di lire) ai disabili attraverso il comitato «Il Nobel per i disabili» fondato da Franca. Nel 2006 viene eletta senatrice con il partito Italia dei valori, raccogliendo oltre 500.000 voti. Suo principale obiettivo sarà la lotta agli sprechi di Stato. Per raccontare la sua esperienza in Senato apre un blog molto frequentato. Dopo la guerra dei Balcani, Franca organizza sulla rete una campagna di raccolta fondi per le famiglie dei militari italiani morti a causa dell’uranio impoverito. Con Dario ha continuato a tenere incontri e corsi di teatro e ha lavorato fino all’ultimo giorno a questo libro. Tutte le commedie (Einaudi editore) portano la sua firma insieme a quella di Dario Fo. Tra le ultime pubblicazioni: Una vita all’improvvisa (Guanda 2009) e i dvd Arlecchino e Ruzzante (Einaudi 2011 e 2012).

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Sommario

i n fuga da l s en ato Prologo 3 Anno 2006 21 Anno 2007 221 Anno 2008 291

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Prologo

Il più misero fra gli uomini è quello che manca di conoscenza Nei primi diciotto anni della mia vita non ho mai letto un giornale, eppure ne circolavano in casa: li leggevano mio zio, mio fratello, mio padre... Erano cose da maschi. Quando sono arrivata a Milano ho scoperto che cosa significa vivere da persona informata, cosciente di ogni situazione, e che esistono lotte per la dignità e la giustizia, che la politica non è roba da congrega e nemmeno un fatto di opinioni diverse, bensì la chiave fondamentale dell’emancipazione civile. Ho imparato a confrontare sui giornali articoli diversi sullo stesso tema, a discernere fra la smaccata propaganda e un’onesta dialettica, a intendere i linguaggi e a distinguere il valore delle idee. Credo sia stato un incidente a farmi cambiare registro quasi all’istante. Allora a Milano mi muovevo preferibilmente in bicicletta, pedalando come un’autentica spericolata: superavo macchine in manovra e perfino qualche motoretta. In uno di quei sorpassi urtai una Topolino, in realtà la sfiorai appena, ma frenando all’improvviso mi trovai a terra. Il portapacchi della piccola auto era colmo di volumi che nella frenata rotolarono tutti sull’asfalto. Il conducente, un venditore

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ambulante di libri usati che aveva una bancarella proprio lì a Brera, mi aggredì sbracciandosi: «Ma dove hai la testa? Guidare in quel modo... Siete una manica di incoscienti senza rispetto per chi lavora!». Forse temeva mi fossi fatta molto male. «Ma che ho fatto, dopotutto? Le ho appena sfiorato il parafango...» «Sì, ma mi hai fatto prendere un coccolone, pensavo ti fossi ingrippata tutta. Ecco come si rovina l’Italia, facendo e disfando senza discernimento. Si delega la vita a chi capita, siete degli incivili, una gioventù senza opinioni né conoscenza!» E così dicendo raccoglieva da terra mucchi di libri e me li tirava addosso: «Qual è la vostra cultura? Cosa leggete voi? Di cosa vi interessate? Hai mai letto questo?». E mi tirò un librone che per poco non mi beccava in piena fronte. Poi saltò in macchina e se ne andò, sempre imprecando e spernacchiando col motore. Io ero attonita. Ma cosa gli era preso? E mi misi a raccogliere il tomo che avevo scansato per miracolo e altri libri rimasti a terra. Per me quello scontro con caduta fu come la folgorazione di Saulo sulla via di Damasco; a parte l’incidente e la reazione esagerata, quel lancialibri aveva ragione: io ero un’incolta, anzi, un’ignorante. Era tempo che mi dessi da fare, che tornassi a leggere e a studiare. La porta girevole del destino Ma la lezione più importante l’ho ricevuta senz’altro nei caffè di Brera – Giamaica, sorelle Pirovini – dove ho incontrato giornalisti e scrittori famosi, e anche ragazze, giornaliste preparate, e pittori e registi che non parlavano solo di quadri

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e di messe in scena, ma anche di fatti legati al quotidiano e alla politica. Eravamo nell’immediato dopoguerra e per la prima volta si pubblicavano in Italia saggi e soprattutto romanzi stranieri che il regime fascista aveva bloccato per anni, con una censura ottusa e spietata. Ricordo di aver letto in bozze addirittura Nuova York di Dos Passos (poi riproposto con il titolo originale, Manhattan Transfer) e Addio alle armi di Hemingway. Fra i miei nuovi amici c’era un giovane, Giuseppe Trevisani, che traduceva per Einaudi testi di grandi scrittori inglesi e americani che uscivano per la prima volta nelle nostre librerie. La cosa incredibile è che questi amici traduttori, scultori, pittori e registi erano a loro volta legati come fratelli a Dario. Fra loro, oltre appunto a Trevisani, c’erano anche Alik Cavaliere, Bobo Piccoli, Enrico Baj, Luciano Bianciardi: lavoravano insieme, si incontravano ogni giorno per discutere, fare progetti, ma io e Dario non ci incrociavamo mai. Era una situazione a dir poco paradossale, degna di una pochade e di un vaudeville, con i personaggi che entrano ed escono in continuazione da porte diverse senza riuscire mai a incrociarsi. Era destino che io e Dario ci si incontrasse in teatro solo due anni dopo. L’incontro sul palcoscenico Sono sempre a Milano e mi trovo a recitare al cinema teatro Colosseo nella compagnia Sorelle Nava e Franco Parenti, un ambiente così lontano da quello in cui ho vissuto finora. Siamo negli anni Cinquanta, alterno momenti neri a buone scritture nelle compagnie di varietà più famose. I personaggi che incontro scorrono uno dietro l’altro come in una sequenza da film muto, hanno gesti veloci e di colpo

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rallentati. Transitano gli adulatori stucchevoli che mi fan la corte, invitandomi a cena con la speranza di proseguire in un letto, e dai quali fuggo come dal pollo fritto che mi imponeva mia madre. Scorrono poi i compagni di lavoro, quelli pieni di spocchia e quelli civili e garbati; tra questi c’è anche Dario: ma che ci fa qui con noi quel lungagnone dinoccolato e sorridente? So che ha piantato il Politecnico e perfino un lavoro sicuro per fare ’sto mestiere da commediante. Lo intravedo solo ogni tanto, se ne sta spesso in disparte, quasi a evitare le smancerie e i discorsi così poveri di intelligenza che si fanno sul palcoscenico e fra le quinte. È questa la dote che apprezzo maggiormente in lui, la riservatezza. Sono io a invitarlo dopo le prove a mangiare qualcosa in una trattoria. Dario sembra non accettare volentieri quell’invito; poi, giacché insisto, mi svela la ragione della sua reticenza: «Non ho un soldo. Per potermi liberare dal lavoro e venire alle prove ho dovuto licenziarmi dallo studio di architettura». E io, allegra: «Mi fa piacere, adoro nutrire randagi, gatti abbandonati e disoccupati affamati». Lessico e parole Le parole variano di significato secondo il valore e il peso che si attribuisce loro. Prendiamo il termine «moderato»: persona a modo, perbene, onesta e mite. Poi arriva un politico «moderato», che in realtà è una persona che non dà garanzie, che finge giustizia ed è spietata, mente, trucca e colpisce i deboli a tutto vantaggio di chi detiene il potere. D’altra parte, che abisso di significato esiste tra le espressioni «stare in pace, essere in pace» e «azione di pace, intervento di pace». Poi ecco che ogni tanto torna qualche bara accolta da autorità contrite.

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