Siamo liberi

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Š 2015 Chiarelettere editore srl

Pamphlet, documenti, storie REVERSE


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Š 2015 Elena Sacco e Blandings snc Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano isbn

978-88-6190-741-6

Prima edizione: ottobre 2015 www.chiarelettere.it blog / interviste / libri in uscita


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Elena Sacco

Siamo liberi

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Sommario

s i a mo l i b eri Prologo. Il giorno della paura

5

«Perché no?»

16

Prove tecniche di fuga

25

Un clandestino a bordo

38

Prendere il largo

48

La marea dei ricordi

57

Il paradiso quotidiano

91

La grande famiglia dei Caraibi

107

Una pausa di terra

121

L’ultima notte del Millennio

135

Cuba, l’isola felice?

147

Il paese delle vacche grasse

169

Il paradiso, quello vero

188

I serpenti nell’Eden

211


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Prove tecniche di ritorno

230

Una cittĂ sazia e disperata

245

Un nuovo porto sicuro

261

Il vero viaggio è il ritorno

274

Epilogo. Il nuovo sogno

288

Ringraziamenti

293


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s i a mo l i b eri

A Nicole, Jonathan, Marianna e Claus


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«Viagiar descanta, ma chi parte mona torna mona.» Hugo Pratt


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Prologo

Il giorno della paura

C’è il buio assoluto intorno a noi. Un tunnel d’inchiostro nero-blu senza confini, quello di tutte le traversate notturne. Il mare è calmo e regolare, riesco a seguire una a una le onde che si infrangono contro le pareti dello scafo. Sono schiaffi rassicuranti, il ritmo è quello giusto. Posso anche distinguere il suono della prua che si apre un varco in quest’oceano. Non penso, o forse penso in frammenti. E nessuno di noi due parla. Siamo seduti in pozzetto, io e Claus. Io con il braccio appoggiato al winch che tiene la scotta del fiocco grande e lui accanto a me, calmo come sempre, in bocca la pipa forse già spenta, perché non vedo fumo. Non tiene la rotta, ci pensa il pilota automatico. Appoggio la testa sulla sua spalla e alzo gli occhi: c’è una stellata nitida e immensa. Curva ai margini della mia vista come fosse una sfera. Senza orizzonti. Un mare tutt’uno con una calotta di minuscoli frammenti luminosi, talmente vicini uno all’altro da sembrare polvere di diamanti. Già. Ecco da dove arriva l’espressione «polvere di stelle».


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Siamo liberi

Sento, vedo e respiro il buio di Dio. Mi sembra di poter ascoltare i sogni di Jonathan e Nicole che sottocoperta dormono abbracciati, così piccoli e insieme protetti in quella specie di letto quadrato che apriamo nella dinette, in cui riposano al sicuro quando si è in traversata. Sono sereni, il respiro regolare. Sanno che vegliamo su di… Uno schianto. Un boato. Un’esplosione in un attimo che dura una vita. Quattro vite. Le nostre. La barca si solleva come se volesse decollare e vedo nitidamente la prua puntare le stelle. Staccata dal mio corpo, guardo me e Claus che voliamo all’indietro, verso la poppa. Staccata dal mio corpo. Di nuovo, penso. Mio Dio, di nuovo. Ma è una frazione di secondo, la barca ricade in avanti. La prua si infila come una spada nel mare nero e nel buio e sento: «Porca troia! Ma cosa cazzo…? Porca troiaaa!». Claus dovrebbe rassicurarmi, mi aspetto questo da lui. Invece ha la voce strozzata, terrorizzata. Ha paura. Come me. Ha paura. Non ho bisogno di chiedere. Io non urlo, non parlo, io già so cos’è stato. Mi limito a registrare parole che mi attraversano la mente, sensazioni rapide. Rapidissime. Container galleggiante. Balena che dorme. Contro quale dei due siamo andati a schiantarci? È tutto così veloce. Confuso. Caotico. Buio e rumori di ferraglia. Non distinguo il mare dal cielo e adesso non è più una visione poetica. È un tunnel liquido e noi siamo in movimento dentro di esso. Un movimento incomprensibile.


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Il giorno della paura 7

Non vedo più Claus. Non sono in piedi, non sono seduta, come sono? Di che forma siamo? Un odore acre e fortissimo mi invade le narici. Ecco, ora lo so. È una balena, siamo andati a sbattere contro una balena che è ancora qui, da qualche parte vicino a noi, solida come la puzza di morte che arriva dal suo sfiatatoio. «Porca troia, cazzo, cazzo, cazzo, affondiamo, affondiamo!» «Che faccio? Che cosa facciamo? Claus! Dimmi cosa devo fare!» Ma lui non risponde. Dov’è? Decido io. Ho paura ma non posso aspettare la sua risposta. Io lo so in realtà cosa devo fare. Io l’ho sempre saputo, qual è la cosa più importante. Scendo i cinque gradini precipitandomi sottocoperta. Un po’ di luce, flebile, la lucetta del tavolo di carteggio. Ecco i miei figli. Piangono, rotolano nel quadrato-letto, terrorizzati. Uno sull’altro. Ti prego, ti prego, fa’ che non siano feriti. Avanzo verso di loro, sento il freddo dell’acqua sotto i miei piedi nudi. Affonderemo. La barca sta affondando. Da qualche parte c’è una falla, ovvio. Ed è enorme perché non sento un’acqua stagnante, è in movimento attorno alle mie caviglie. Come stare in piedi in un torrente. Raggiungo i bambini. Sollevo Jonathan. Prima ancora di essere in braccio si aggrappa al mio collo. Stringe. Mi blocca la vista, mi copre le orecchie. «Tranquillo Johnny, tranquillo, tranquillo. Adesso usciamo di qui.» Mi volto verso dove penso sia Nicole, allungo una mano. «Nicole, amore, presto fuori, fuori, fuori fuori fuorifuorifuori!»


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Siamo liberi

«Ma mamma, ma cosa? Mamma!...» «Nicole tesoro fuori di qui, fuori subito. Siamo andati addosso a una balena. Fuori, fuori…» Sento solo la mia voce. Sento solo le braccia di Jonathan intorno al collo. Stringono, stringono. Esce acqua da sotto il lavandino. Esce esce esce. E poi di nuovo la voce di Claus, lontana. «Elenaaaaa venite fuori subito!» Ecco, allora ho fatto giusto. Ho preso i bambini. Fuori, fuori. Cosa prendo oltre i bambini? Cosa devo prendere? Cosa? Agguanto il sacco a pelo aperto in cui erano avvolti. «Prendi questo Nicole, tienilo stretto. Dài sali sali.» Il mare lo sento ormai ai polpacci. Salgo il primo gradino della scaletta, verso il pozzetto. Ma è una fatica terribile. Jonathan stringe. Nicole piange, urla continuamente: «Mammaaa!». Caos. Buio. Non vedo. Non ragiono. Devo restare lucida. Fredda. Freddo, è tutto freddo. Siamo fuori in pozzetto. Il mare è calmo. Cerco con lo sguardo due cose: Claus e la balena. Dove sono? Troppo buio per vedere. La paura folle di quando ti aspetti il peggio. Un secondo schianto. Un altro boato. Un colpo di coda. Noi affondiamo ma la balena avrà preso un colpo fortissimo, le abbiamo fatto male. E ora si incazza. Ora è Moby Dick. Morire di balena. Moriremo di balena. Claus! Lo vedo, adesso. Ha sganciato la zattera grande. Ma è come se lo vedessi a fotogrammi, a frazioni di secondo staccate una dall’altra. Una pellicola inceppata


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Il giorno della paura 9

dal terrore che mi intralcia tutti i sensi, queste due zavorre di bambini attaccati addosso. Da sottocoperta parte un beep-beep-beep fortissimo, acuto, sovrasta tutti gli altri rumori. È un suono fastidioso e potente ma sa di salvezza, copre il rumore del mare sullo scafo, dell’onda, del vento… No, no, non del vento. Vento non ce n’è, forse è il rombo della paura nelle orecchie. Non c’è o non lo sento, il vento. Naufraghiamo dentro una vasca da bagno immensa. Nera e buia. Con una balena incazzata accanto. Senza via di scampo. Lo so cos’è questo beep-beep: l’acqua ha raggiunto l’Epirb satellitare di bordo per la richiesta di soccorso. Verranno a prenderci. Verranno. Ha funzionato. Quel coso ha funzionato. Voglio dire a Claus di sbrigarsi. Ma non riesco, non ci riesco. Jonathan stringe troppo forte. Nicole piange e urla e sta attaccata alla mia maglietta mentre arranco verso il ponte, aggrappandomi alla capote e alle draglie con la mano che non sta reggendo Jonathan. Vorrei urlare che sto arrivando ma non mi esce la voce. Poi sento quella di Claus. «Passami Jonathan, avanti, passami Jonathan. Dài, dài, dài! Veloce, veloce, veloce!» Ha gettato la zattera in mare, si è aperta. Ci sta sopra e con una mano si regge a una cima che ha legato alla barca. Nel buio lo vedo, in basso. Lo illuminano a intermittenza mille scintillii di stelle che si riflettono sull’acqua calma. Tutto è calmo. Niente vento. Ma c’è il mare sotto i miei piedi. La barca affonda.


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