Š 2013 Chiarelettere editore srl
principio attivo Inchieste e reportage
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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Melzi d’Eril 44, 20154 Milano isbn
978-88-6190-262-6
Prima edizione: aprile 2013 www.chiarelettere.it / interviste / libri in uscita
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Pasquale Chessa
L’ultimo comunista
chiarelettere
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Pasquale Chessa vive fra Roma, Parigi e Alghero, dove è nato. Dopo i programmi culturali di Radio Rai, ha lavorato per i servizi culturali de «l’Espresso», «L’Europeo», poi è stato vicedirettore di «Epoca» e «Panorama». Ha scritto Rosso e nero (Baldini & Castoldi, 1995), libro intervista con Renzo De Felice; Guerra civile 19431945-1948.Una storia fotografica (Mondadori, 2005); Italiani sono sempre gli altri (con Francesco Cossiga, Mondadori, 2007); Dux. Benito Mussolini. Una biografia per immagini (Mondadori, 2008); L’ultima lettera di Benito (con Barbara Raggi, Mondadori 2010).
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Sommario
l ’ ultimo comunista
Introduzione. Mistero Napolitano
5
Il fallimento di un progetto 5 – L’inizio di Re Giorgio 6 – Era già successo a Cossiga… 8 – Costretto a diventare leader del paese 10 – La guerra di potere con Berlusconi 11 – Lo scontro con la Procura di Palermo 13 – Un paradosso storico 16
La leggenda delle origini
19
Il battesimo nel Pci 19 – Il comunismo culturale 22 – «Gettate la maschera, siete dei troschisti» 24 – Aspettando Togliatti 27 – La calma dinanzi all’Apocalisse 30 – Poesie e politica 33 – I due padrini del Pci 36 – … e il padrino della cresima 39 – «Mammà, so’ i’, o carnente tujo» 41
Il comunista liberale
49
Le ceneri di Gramsci 49 – Il nuovo comunismo italiano 50 – Alla maniera russa 52 – Alla scuola di Amendola e Sereni 54 – La battaglia di via Medina 56 – Mistero napoletano 60 – «Il mio primo lavoro politico» 62
L’anno più lungo, il Cinquantasei Il rapporto segreto dell’ignoto questurino 69 – Il dibattito all’interno del Pci 71 – Il custode dell’ortodossia 73 – L’eresia di Lapiccirella 75 – Il federale di Caserta 78 – «Gli atteggiamenti del compagno Bove» 80 – Il paradosso togliattiano 83 – La morale comunista dell’errore 85 – Le proteste degli ungheresi 88
69
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Gli ultimi anni di Togliatti
95
È morto il segretario, evviva il segretario 95 – Rottamare «il Migliore» 97 – Fronte del Sud 99 – La voce di Clio 102 – Di osservanza amendoliana 104 – «Suicidio o pipì?» 107 – Ritorno a casa 109 – Caro segretario, ti scrivo 112 – Vincitori e vinti 115 – Praga caput regni 119 – Le ceneri di Pasolini 121
L’altra faccia dell’America
129
Alla scoperta degli Stati Uniti 129 – Amerikani 131 – L’enigma del doppio viaggio 133 – «A real communist in our midst» 136 – Una guerra culturale 138
All’ombra di Berlinguer
143
Contro il vento della storia 143 – Processate Napolitano 146 – Succede a Salerno, ancora una svolta 148 – L’invenzione dell’antipolitica 152 – «Il compagno che comprese prima di altri» 155
Comunisti senza comunismo
163
Ciao Enrico 163 – Fenomenologia secondo Natta 166 – «Dio ti vede, Napolitano no» 169 – La chiaroveggenza della satira 171 – Contro l’andazzo Macaluso 176 – Ministro degli Esteri del partito 178 – Il più serio rivale di Occhetto 181 – Le macerie del Muro di Berlino 184
Vita da migliorista
189
Le scosse del 1989 189 – L’eterno tabù della socialdemocrazia 191 – «Ecco la “cosa” che vogliamo» 193 – La frattura della Guerra del Golfo 195 – Comunisti o miglioristi 198 – Attenti al lupo 200 – D’Alema contro Napolitano 202
D’improvviso al Quirinale
207
Dal Migliorino al Migliorista 207 – Le picconate di Cossiga 210 – Votate Scalfaro! 212 – Tangenti a Milano 215 – «Fuori il bottino, dentro Bettino» 219 – A un passo da Palazzo Chigi 221 – La macchina del fango 223 – Arriva Berlusconi 226 – Vivissimi applausi 228 – Un notabile comunista 230 – Viminale rosso 232 – La politica è adatta ai vecchi? 235
Indice dei nomi
241
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l ’ ultimo comunista
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Ringraziamenti Nella retorica dei ringraziamenti, in primis la Fondazione Antonio Gramsci e l’Archivio centrale dello Stato per la loro professionalità, oltre che la cortesia. Per la cura editoriale il ringraziamento è speciale per Laura Salvai. A mia moglie Muriel per non aver avuto mai pietà, ché altrimenti questo libro non sarebbe ancora terminato. In ultimo, il posto migliore, la riconoscenza per Barbara Raggi va al di là delle formule, non solo per l’attenzione spesa nel seguire le ricerche d’archivio, ma soprattutto per non aver mai sottratto la sua intelligenza alla comprensione delle storie. Per tutto quello che non si capisce la responsabilità è solo dell’autore.
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… a mia madre…
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Introduzione Mistero Napolitano
Il fallimento di un progetto La storia si capisce meglio se si comincia dalla fine. La mancata vittoria dei democratici di Bersani, la mancata sconfitta del centrodestra di Berlusconi, la riuscita sorpresa di Beppe Grillo con le liste del MoVimento 5 Stelle, il partito più votato dagli italiani alle politiche del 24 e 25 febbraio 2013, sono la misura del fallimento del progetto perseguito da Giorgio Napolitano con il governo tecnico di Mario Monti: ritrovare nella borghesia «progressiva» il punto su cui far leva per trasformare la cultura e il costume politico degli italiani. Se immaginiamo le Botteghe oscure come una scuola di alta politica, quasi fosse una di quelle grandes écoles della Francia che l’Italia non ha mai avuto, si comprende bene il paradosso di Napolitano: è stato proprio lui, di cultura comunista, a dare al Quirinale quella pienezza di cui nessun presidente aveva mai potuto disporre. Che si sia trattato di volontà di potenza o potenza della volontà, senza il Pci Napolitano non avrebbe mai potuto scoprire che alla fine della via italiana al socialismo c’era il Quirinale da conquistare. Senza bisogno di una rivoluzione. «I would prefer not to», preferirei di no, è la risposta che ha fatto diventare celebre Bartleby, lo scrivano del racconto di Herman Melville, scopritore di quello speciale algoritmo del reale che consente di passare alla storia senza aver fatto niente di storico, di esserci senza comparire, di contemperare il massimo della visibilità con il culmine della riservatezza. Un’arte.
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L’ultimo comunista
Un tratto caratteriale che in psicanalisi potremmo associare al processo di «denegazione». Per lungo tempo, nella storia del Pci Napolitano è stato considerato un ospite. E nella storia d’Italia un passante. Nelle biografie di Togliatti non è mai citato: non c’è nella versione di Giorgio Bocca, né in quella più documentata di Aldo Agosti, e nemmeno nella più ortodossa di Ernesto Ragionieri. Paolo Spriano lo nomina una volta sola, in una nota a piè di pagina alla fine dell’ultimo dei suoi volumi della Storia del Partito comunista (Einaudi), fra un folto gruppo di intellettuali che nel dopoguerra scelsero la militanza comunista: con Berlinguer in testa ci sono tutti, da Antonello Trombadori a Rosario Villari, e via via rievocando fra tanti nomi ormai sommersi nel profondo della memoria storica del partito. Nel volume successivo della stessa opera, scritto da Renzo Martinelli e dedicato al periodo compreso tra la Liberazione e il Quarantotto, Napolitano addirittura scompare. Negli ultimi due volumi della Storia d’Italia di Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (Laterza) figura una sola volta nel testo e un’altra in nota. L’inizio di Re Giorgio Paradossi della storiografia: uno studioso affrettato potrebbe dedurne che, quando Napolitano si iscrisse al Pci, nel novembre del 1945, nessuno se ne accorse. In realtà si trattò di una scelta. La sua non fu un’iniziazione anonima: fin dal principio si era trovato nel posto giusto al momento giusto, con gli strumenti di cui poteva disporre un giovane borghese di vent’anni, dotato di buoni studi e ottime frequentazioni intellettuali. A Napoli più che altrove, la «via italiana» è stata una via culturale: piaceva a Togliatti quel modo nuovo di diventare comunisti, il «culturcomunismo» che per Napolitano fu anche un modo elegante per tenersi, già da allora, lontano da Stalin, con la scusa di poter storicizzare non solo Marx ma anche Lenin. Dopo sessant’anni, intervistato al Quirinale dalla «Frankfurter
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Allgemeine Zeitung», aveva ricordato di essersi sentito inadeguato – anzi, impreparato – sul piano ideologico: «Entrai nel Pci senza sapere molto di marxismo». Nella sua «leggenda delle origini» quel dubbio è sempre stato presentato come un difetto. Nel lungo periodo invece si sarebbe rivelato la mossa vincente sulla scacchiera politica della sua autobiografia. Nel passato Napolitano c’è sempre, ma non si nota, non solo per carattere ma anche per una questione di stile, come quei compagni di scuola che nelle fotografie di classe si mettono sempre dietro mimetizzandosi nel gruppo. Una corriva aneddotica, quasi dimenticata ma rivitalizzata dopo la salita al Colle, ha tramandato un’immagine deformata del giovane Napolitano. C’è il ritratto fisiognomico, «Nu guaglione fatt’a viecchio», stilato con malignità da Luigi Compagnone, allora comunista, poi scrittore di destra. C’è l’episodio del pernacchio, irridente citazione da Eduardo De Filippo, scoccato dalle labbra del pittore Paolo Ricci, il giorno in cui Napolitano nel suo studio si lasciò convincere a recitare a occhi chiusi una scelta di malinconici versi di Salvatore Di Giacomo. C’è la diceria insolente della sua discendenza da Umberto di Savoia, documentata da improbabili contiguità familiari e diffusa dalla destra monarchica e fascista come una sorta di vendetta politica, rimbalzata fino ai nostri giorni attraverso il pettegolezzo della sinistra fino a trovare la consacrazione intellettuale nella satira scritta e disegnata. «Chiariamo una volta per tutte, intanto, il famoso gossip che lo vorrebbe figlio naturale di Umberto di Savoia. È falso: dei due, Napolitano è il padre»: è con questa battuta perfetta che il 16 maggio Michele Serra, nella sua rubrica Satira preventiva, su «l’Espresso», accoglie la notizia dell’imminente elezione di Napolitano con il titolo: Re Giorgio il temporeggiatore. Lo stilema si ripete di testata in testata, passando dalla satira alla cronaca fino al commento, confermando la persistenza del pregiudizio. «Il suo stemma araldico dovrebbe essere un coniglio bianco in campo bianco» scrive Giuliano Ferrara su «Il Foglio», ricordando che lo conosce bene. «Napolitano era ed è
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L’ultimo comunista
un protagonista laterale […], la sua tonalità preferita è quella sobria di chi affronta con sobrietà i cambiamenti» è il ritratto di Edmondo Berselli su «la Repubblica», forse più meditato e dunque ancora più bruciante. «Sembra nato non per stupire ma per chetare costi quel che costi» scrive Massimo Caprara, ex comunista de «il Giornale», sotto un titolo – Ritratto di una natura morta – che va al di là del dileggio, ma in buona sostanza condiviso da tutta la vulgata politica, sia a destra sia a sinistra. Era già successo a Cossiga… E invece, spinto dai capricci della storia al vertice istituzionale dello Stato dopo una vita di scelte incompiute, mezze sconfitte e quasi vittorie, Napolitano pian piano si trasforma cambiando non solo il suo personale profilo ma anche, e forse per sempre, il peso e il ruolo del Quirinale. Era già successo a Francesco Cossiga di smentire rumorosamente, nel corso del suo mandato, la falsa profezia di Indro Montanelli: «Il difetto di Cossiga sarà la mancanza di colore». Dopo cinque anni di composto silenzio il presidente notaio, temendo di essere scacciato dal Colle, aveva scoperto il potere dell’«esternazione». La parola è sgraziata, ma spiega bene cosa sia successo: il Quirinale, forte di una speciale extraterritorialità etica, è diventato il sismografo morale della vita istituzionale, uno strumento inedito per entrare in sintonia, senza mediazioni, con il sentimento civico, con il pensiero della gente. Nel settennato precedente a Cossiga, aveva cominciato Sandro Pertini, un politico di secondo piano, con una vita carica di storia e vuota di potere, e perciò anche lui eletto quasi per sbaglio. Con i suoi interventi dalla parte della gente, il presidente partigiano aveva trasformato il Quirinale in una travolgente macchina del consenso nazionalpopolare. Gli si attribuiscono 341 esternazioni. A Cossiga 736, più del doppio, a Scalfaro 967, ma è con Ciampi che viene infranto il muro simbolico del migliaio.