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Diritto alimentare
La riforma dei reati alimentari parte 2
Giorgia Andreis
Studio avv. Andreis e ass., To-Mi
Il progetto di riforma, nell’approcciarsi a questa legge speciale ormai risalente e non più rispondente alle reali esigenze del diritto alimentare moderno, ha tentato di ancorare le nuove disposizioni ad alcuni dei principi basilari su cui poggiano i regolamenti comunitari. Il nuovo art. 5, tutelando il consumatore da alimenti “non sicuri, o per altra causa pregiudizievoli per la salute o inadatti al consumo umano” si mostra chiaramente ispirato all’art. 14 del Reg. (CE) n. 178/2002 secondo cui, per stabilire se un alimento sia pericoloso, occorre fare riferimento alle condizioni d’uso normali da parte del consumatore e alle informazioni che gli sono messe a disposizione.
Il primo comma dell’articolo 5 si rivela, però, assai farraginoso per via della moltitudine di condotte inserite e ritenute tutte meritevoli di essere sanzionate se aventi ad oggetto alimenti non sicuri, pregiudizievoli o inadatti al consumo umano.
In particolare, sono puniti la preparazione, la produzione, l’importazione, la spedizione, la detenzione per il commercio, la somministrazione e la commercializzazione, ma anche l’inosservanza delle procedure o dei requisiti di sicurezza prescritti dalle leggi nazionali e comunitarie, il cattivo stato di conservazione, l’alterazione, la presenza di ingredienti, componenti, cariche microbiche o additivi vietati o superiori ai limiti stabiliti da regolamenti o disposizioni ministeriali (a ben vedere, si tratta dell’incorporazione delle varie ipotesi di reato, oggi disciplinate separatamente nelle lettere di cui è composto l’art. 5 della L. 283/1962). Molto chiaro, invece, il nuovo comma 2 dell’art. 5 che punisce la falsità o l’incompletezza delle informazioni commerciali quando le stesse possano comportare effetti dannosi per la salute anche soltanto di particolari categorie di consumatori (il riferimento implicito è agli allergici). Molto interessante appare, poi, la nuova fattispecie di frode alimentare di cui all’art. 5-quater, relativa ad alimenti sofisticati, adulterati o alterati (ma non contraffatti), le cui condotte sono punite con una sanzione amministrativa. Dal nostro punto di vista, questa norma introduce una linea di demarcazione
molto netta fra gli illeciti penali, rappresentati dalle “contraffazioni” previste e punite dagli artt. 516 e 517 c.p. e quelli amministrativi rappresentati dalle adulterazioni, sofisticazioni o alterazioni dell’alimento (a prescindere da come il prodotto venga presentato) previsti dall’art. 5-quater della L. n. 283/1962. Merita, infine, di essere segnalata l’introduzione del meccanismo della regolarizzazione che consente a chiunque abbia commesso una contravvenzione “che non abbia cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alla salute pubblica e alla sicurezza alimentare”, di sanare la situazione irregolare e di essere, conseguentemente, ammesso al pagamento di una sanzione pecuniaria, ridotta di un terzo rispetto al massimo, che determina l’estinzione del reato. In questo modo, l’istituto della diffida, oggi applicabile solo agli illeciti amministrativi in materia agro-alimentare, è stato esteso anche a questi illeciti penali (contravvenzioni), con rilevanti effetti deflattivi. Il Ddl in più prevede che i reati alimentari, tanto quelli che ineriscono la salute pubblica quanto quelli relativi al rispetto della correttezza degli scambi commerciali, entrino a far parte del novero dei cosiddetti reati presupposto ai sensi del D.lgs. n. 231/2001.
Come noto il decreto 231 dispone che per determinati reati risponda non solo il soggetto persona fisica che li ha commessi, ma anche l’ente, la società per cui sono stati posti in essere. Ebbene, la riforma vuole che le società rispondano anche dei reati alimentari, finora esclusi dal campo di applicazione del decreto. In questo contesto, il modello di organizzazione e gestione per un’impresa del settore alimentare deve essere idoneo ad assicurare l’integrale rispetto della normativa alimentare: si va quindi dalla osservanza delle procedure di autocontrollo - volte a garantire la qualità e la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti - al rispetto delle procedure di ritiro e/o richiamo dei prodotti potenzialmente pericolosi, dalla applicazione delle norme e dei criteri per garantire la rintracciabilità dei prodotti alla correttezza delle informazioni ai consumatori e via discorrendo. Fra l’altro, in questa parte del disegno di legge, il riformatore non ha dimenticato di soffermarsi anche sulla delega di funzioni che, così, anche per l’impresa alimentare, può dirsi finalmente disciplinata. Tramite la delega, da sempre è possibile distribuire compiti e responsabilità all’interno dell’impresa alimentare, ma con la riforma si prevede che debba essere in forma scritta. In conclusione, quelli sintetizzati sono gli aspetti più rilevanti del disegno di legge, che, a un esame attento e critico, si rivela capace di colmare buona parte di quei vuoti normativi che si sono nel tempo determinati per via di un innegabile scollamento tra legislazione e progressione dei fenomeni criminosi anche in ambito alimentare. Si tratta di un testo che rafforza gli strumenti normativi atti a reprimere gli illeciti agroalimentari e mira ad estendere la protezione della filiera alimentare sin dal momento della produzione, avendo cura di tutelare sia i consumatori che tutti quei produttori che operano lecitamente per garantire l’eccellenza del Made in Italy. Ma non solo, poiché emerge con evidenza l’intento di contrastare le agromafie, il cui illecito volume d’affari sta crescendo alterando la leale concorrenza ed esponendo a pericoli la salute dei consumatori.