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Il Comune di Urbino ha accolto con entusiasmo la proposta dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, in collaborazione con gli operatori dell’Informadonna, relativa alla realizzazione di una mostra fotografica e di un catalogo dedicati all’universo femminile. La mostra “3 donne sul campo, 3 reporter sulla condizione femminile” ed il relativo catalogo sono iniziative finalizzate a mettere in evidenza la condizione sociale della donna appartenente a tre diverse culture e vogliono puntualizzare inoltre come sia possibile esprimere l’interiorità della donna anche in condizioni sociali ed ambientali difficili. Questa possibilità viene rappresentata attraverso le opere di tre giovani reporter, ognuna delle quali ha illustrato tre diverse realtà in tre diverse parti del mondo: l ‘Etiopia delle tribù Hamer di Katina Petrova, le donne lavoratrici del Madagascar di Claudia Conserva e la Jugoslavia del dopoguerra di Francesca Bonetti. L’evento che si è potuto realizzare grazie anche al patrocinio della Provincia di Pesaro e Urbino con la fattiva partecipazione dell’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Urbino vuol essere un primo momento di sensibilizzazione verso un argomento che coinvolge emotivamente sia l’universo femminile che quello maschile. Siamo certi che questo catalogo, oltre al significato artistico, possa divenire occasione per riflettere sulle diverse sfaccettature della condizione della donna. Un ringraziamento va rivolto agli Enti e Istituzioni che hanno aderito, ai collaboratori dell’Amministrazione Comunale e a quanti hanno contribuito alla realizzazione di questa iniziativa. Maria Clara Muci Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Urbino
Tre donne sul campo è una mostra che raccoglie tre reportages realizzati da allieve dell’Accademia di Belle Arti di Urbino per il corso di fotografia, in cui vengono descritte le nazioni attraversate dalla furia della guerra, come nella ex Yugoslavia o le difficili condizioni sociali che attanagliano i paesi poveri, come quelli africani. Nell’attuale contesto socio-culturale, in cui l’estetica del realismo e i linguaggi documentaristici vengono riconsiderati all’interno di un’ottica particolarmente attenta alla forza dirompente del reale, il lavoro delle tre giovani fotografe potrebbe essere visto come l’adesione ad una tendenza imperante. Ad un’attenta osservazione, invece, le immagini ci restituiscono uno spaccato in cui la condizione umana viene colta nei suoi aspetti più quotidiani, privi di qualsiasi retorica di maniera. In tal modo, la condizione femminile nel lavoro, nella realtà sociale, e nello straziante conflitto, teatro di stupri etnici, appare ancora una volta il simbolo di un vivere pieno di contraddizioni irrisolte e insanabili. L’aver catturato con occhio sincero e partecipe attimi di vita è un dono che supera qualsiasi deriva estetica e, non avendo bisogno del bello, riscopre la necessaria vitalità del vero. Che tutto ciò sia prodotto all’interno di un’ Accademia di Belle Arti è un ulteriore segno di fertile differenza, e rivela una formazione sfaccettata e complessa che non si adagia su formule preconfezionate, ma riscopre l’impegno inderogabile della testimonianza. Umberto Palestini Direttore Accademia di Belle Arti di Urbino
Davanti alle immagini di queste tre giovani donne, diventate per l’occasione reporter, l’indifferenza è difficile, anzi fuori luogo. In gioco non c’è solo la precarietà dell’essere umano ma anche e soprattutto le sofferenze e le restrizioni a cui sono soggette le donne in qualsiasi parte del pianeta. Le autrici, studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, si sono mosse per il corso di Fotografia in aree fuori dalle comuni rotte turistiche, dove la precarietà legata ad un alto livello di povertà estremizza qualsiasi cosa, rendendo ancora più evidente il gap con il mondo maschile. Come bagaglio avevano solo molta curiosità e la voglia di avventura tipica del reporter, ma non sono partite con l’intenzione specifica di restituire la condizione femminile. Questa però ha sovrastato talmente gli altri soggetti delle loro indagini da risultare imperante. Spesso si dice banalmente che una foto vale più di mille parole, per fortuna qualcuno, se non ricordo male fu lo scrittore statunitense di origine armena William Saroyan, ha anche aggiunto che ciò è vero solo se quella fotografia fa pensare o dire più di mille parole. A differenza di altre, le loro immagini non impongono didascalie per essere comprese e per pensare quelle fatidiche mille parole. Per il suo reportage Francesca Bonetti ha operato nella Jugoslavia del dopo guerra. Fra i tre presentati è visivamente il meno appariscente e il più discontinuo, ma forse il più intenso perché restituisce alla perfezione l’angoscia e la solitudine di ciò che resta delle donne di Sebrenica o di Mostar, quelle che hanno visto ammazzare i mariti e i figli, quelle che, per colmare la misura, hanno subito in gran parte quell’ulteriore violenza progettata a tavolino dai signori della guerra, successivamente definita dalla stampa come “stupro etnico”. Claudia Conserva dal canto suo guida la nostra attenzione verso le donne malgasce riprese a casa o al lavoro nei bassifondi di Anatananarivo e dintorni, in Magadascar.
La prima cosa che appare con immediatezza è l’annientamento quasi totale della femminilità a causa dei lavori defatiganti (dalle risaie alle cave di roccia) che le donne devono svolgere non per vivere ma per sopravvivere. L’abbrutimento è tale che a volte le si riconosce in quanto tali solo per lo sporgere di un seno e per il bimbo che lo tiene in bocca. Solo quando ancora giovani o più abbienti appaiono come sempre dovrebbero apparire. Esotiche e quasi aliene sono invece le donne etiopi riprese da Katina Petrova. Qui è inevitabile provare a pensare quale tra i loro destini sia il meno infausto. Non si sa scegliere tra i lavori più infimi, le fustigazioni delle tribù Hamer in occasione dell’iniziazione maschile, le deturpazioni provocate dai dischi labiali in uso tra i Mursi (indicano lo stato sociale del marito, più grande è il disco maggiore è il numero di capi di bestiame in suo possesso), le innumerevoli scuole religiose che, per una male espressa forma d’istruzione e una divisa in tinta unita, chiedono l’adesione spirituale e l’accettazione delle loro gerarchie o ancora la prostituzione tout court.
Massimo Tosello
M.I.U.R. Accademia di Belle Arti di Urbino CittĂ di Urbino con il patrocinio di Provincia di Pesaro e Urbino con il contributo di Informadonna / Assessorato Pari OpportunitĂ del Comune di Urbino
3 Donne sul campo Tre reporter sulla condizione femminile Francesca Bonetti Claudia Conserva Katina Petrova a cura di Massimo Tosello redazione Anna Fucili segreteria amministrativa Massimo Castellucci Amneris De Angeli progetto grafico Gian Luca Proietti / www.cinabro.it stampa SAT - Pesaro
Edizioni Accademia di Belle Arti di Urbino