mensile di cultura cinematografica
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Un salto...oltreoceano
Un mese ricco di proposte per il pubblico di Cinemazero
Le Giornate del Cinema Muto
Un’edizione ricca di appuntamenti e ospiti
A colpi di note, piccoli talenti crescono
Cinque orchestre impegnate a rimusicare i capolavori del muto
Berlino. Sinfonia di una grande città
Il nuovo progetto della Zerorchestra con la Banda di Pordenone
Cinema transformer
Il cinema come “luogo di culto” per la visione di un film
La “Fabbrica del vedere” di Carlo Montanaro
2015 numero 9 anno XXXV
Autunno, tempo di cinema
15
Ottobre
Lo stesso film in due festival “strutturalmente” molto diversi
A Venezia un luogo unico per scoprire le meraviglie del cinema
Joan Mirò a Villa Manin. Soli di notte La nuova mostra di Villa Manin inaugura il 17 ottobre
spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
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Lo stesso film in due festival “diversi”
Andrea AndreaCrozzoli Crozzoli
Editoriale
Un salto... oltreoceano
«Non è facile capire quando la Mostra di Venezia farà pensare a qualcosa in grado di apparire in una rampa di lancio...» scrive sul Gazzettino del 21 settembre Adriano De Grandis. E sarà sempre più difficile capirlo fintanto che la stampa italiana polemizza sul fatto che il presidente di giuria messicano Alfonso Cuarón premi con il Leone d’Oro una produzione venezuelana/messicana come Desde allà di Lorenzo Vigas. Forse i giornalisti hanno interpretato il premio come un atto di appartenenza ad un clan, ad un gruppo familiare e/o di interesse politico/economico, invece che un premio al merito. Retropensiero tipicamente italiano tanto che Michael Moore nel suo ultimo lavoro Where To Invade Next fa precedere la parte dedicata all’Italia dall’ironico e provocatorio cartello: “Italiani famosi nel mondo: Don Vito Corleone”! Resta il fatto che Desde allà del venezuelano Lorenzo Vigas sceneggiato assieme al messicano doc Guillermo Arriaga (Babel, 21 Grammi-Il Peso Dell'anima, Amores Perros, Le Tre Sepolture) e stupendamente interpretato dal cileno Alfredo Castro (lo stesso di Tony Manero, Post Mortem, No - I giorni dell'arcobaleno tutti di Pablo Larrain e del notevole È stato il figlio di Daniele Ciprì) è semplicemente un bel film sui rapporti di potere, sui vari segmenti della società venezuelana, sui potenziali e virtuali padri e figli, su un solipsistico maturo borghese e un giovane violento sottoproletario. Dialoghi scarni, parlano le immagini in questa perfetta sceneggiatura dal finale spiazzante, sorprendente. Il TIFF di Toronto (10/20 settembre) lo aveva messo in programma già da tempo, il film è stato proiettato subito dopo il 12 settembre, data di chiusura di Venezia, con un cartello iniziale che riportava i loghi dei tre festival settembrini dove il film era stato selezionato, ossia Venezia, Toronto e San Sebastian. I canadesi lo hanno accolto con un grande applauso e con sale stracolme di pubblico, per niente infastiditi dal fatto di non aver avuto loro l’anteprima mondiale. Leggermente ondeggiante, a causa del jet lag, Lorenzo Vigas ha racccolto con soddisfazione le ovazioni e quanto ha dichiarato l’Hollywood Reporter in prima pagina, ossia che il Leone d’Oro è un buon viatico per l’Oscar come per Birdman lo scorso anno. Fra i due festival la differenza abissale è sostanzialmente strutturale «...basta girare un po’ per l’Europa, per capire quanto culturalmente e tecnologicamente, l’Italia sia un Paese che fa piuttosto disperare. Siamo agli ultimi posti in tutte le categorie. Cinema compreso...» scrive sempre De Grandis nel citato articolo, e basta attraversare l’Atlantico per capire quanto ci siamo masochisticamente avvitati su noi stessi, quanto polemizziamo su cavilli e quisquiglie per poi non assumere decisioni operative importanti, quanto conta l’appartenenza e non la competenza, aldilà di tutte le dichiarazioni. Ecco spiegato perchè De Grandis si chiede come mai a Venezia «...una risistemazione degli spazi, delle location, dell’isola, del cinema e di tutto quanto possa aiutare a realizzare progetti, che oggi faticano ogni anno a essere anche pensati...», come mai «...il buco è ancora lì, immagine frustrante di un Paese alla deriva, di una città che paga scandali come il Mose...», come mai «...al mattino le saracinesche del Casinò sono ancora abbassate, non si trova nemmeno un croissant, a volte non si trova nemmeno nessuno che faccia lo scontrino e il caffè ... uno si avvicina al Palazzo e pensa: ma è qui la Mostra?», come mai «...è palpabile la sensazione di una frontiera desolata e desolante. L’Excelsior non è più quello, il Des Bains non è più niente...», come mai «...raggiungere il Lido è come scalare l’Everest: un’impresa assurdamente lenta...», e così via, ad libitum!
In copertina The Phantom of the Opera, US 1925, di Rupert Julian [+ Edward Segdwick]. Universal Pictures original publicity. Graphic processing: Giulio Calderini, Carmen Marchese. Credits: Photoplay Productions / Le Giornate del Cinema Muto
cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Ottobre 2015, n. 9 anno XXXV
Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Elena d’Inca Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica
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Ottobre si annuncia ricco di proposte a Cinemazero tra retrospettive, omaggi e incontri
Autunno, tempo di cinema
Marco Fortunato
Appuntamento in sala
Dopo la lunga carrellata dei film più apprezzati alla recente Mostra del Cinema di Venezia (dalla coraggiosa opera postuma di Claudio Caligari Non essere cattivo, al visionario Per amor vostro di Giuseppe Gaudino che è valso una meritata Colpa Volpi alla protagonista Valeria Golino) anche il mese di ottobre si annuncia ricco di proposte per il pubblico di Cinemazero. Si parte già giovedì 1 ottobre con Tardo autunno, tra i più noti capolavori di Ozu Yasujiro uno dei più grandi maestri del cinema. Si tratta della prima data - dopo l’anteprima nel corso di Pordenonelegge - di un ampia rassegna curata da Tucker Film che coinvolgerà tutto il Friuli Venezia Giulia (ogni giovedì a Cinemazero) per riportare per la prima volta sul grande schermo in versione restaurata sei produzioni del regista giapponese che ha firmato Viaggio a Tokyo, opera che è stata considerata la più bella della storia del cinema in un sondaggio che ha coinvolto oltre 350 registi di tutto il mondo. Sempre sulla scia degli omaggi al cinema d’autore si colloca il consueto appuntamento con Il cinema ritrovato al cinema, l’occasione per rivedere sul grande schermo i grandi classici che hanno fatto la storia della settima arte. Questo mese verrà presentato il restauro de I pugni in tasca, opera d’esordio di Marco Bellocchio che coinvolse i più illustri intellettuali dell’epoca in un ampio dibattito culturale attorno al significato di un’opera che fu subito considerata film manifesto, in grado di anticipare in qualche modo i fermenti del '68. Ottobre è anche il mese d’uscita de I sogni del lago salato, ultima fatica di un autore che, per il suo impegno civile e sociale, è sempre stato molto legato a Cinemazero: Andrea Segre. Dopo le proiezioni al 68° Festival di Locarno e alle Giornate degli Autori della 72° Mostra di Venezia, mercoledì 14 ottobre, il regista incontrerà il pubblico di Cinemazero per raccontare il suo viaggio in Kazakistan, alla scoperta di un Paese che sta vivendo l’euforia di uno sviluppo economico sfrenato (con una crescita pari al 6% annuo) che ricorAndrea Segre presenterà a Cinemazero I sogni del lago salato da molto l’Italia degli anni ’60. Una fotografia di un territorio e di chi lo abita, sviluppato in un intreccio di racconti di contadini, pastori, gente che nutre una forte speranza nel progresso ma allo stesso tempo vive una realtà, fatta di dubbi, paure, promesse che teme non vengano mantenute. In questo periodo riprende anche la stagione dei cosiddetti “contenuti alternativi” che ormai finiscono per ricomprendere anche una serie di film distribuiti in modalità “evento”, ovvero solo per pochissimi giorni con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia della promozione e il ritorno economico al botteghino. In questa “giungla di contenuti” all’operatore culturale spetta il non facile compito di scegliere le proposte qualitativamente più significative. Con questo spirito Cinemazero porterà sul grande schermo Nausicaä della Valle del vento, il secondo lungometraggio diretto da Hayao Miyazaki (dopo Lupin III - Il castello di Cagliostro del 1979), uscito nelle sale giapponesi nell’ormai lontano 1984 registrando un record d’incassi. Il film, tratto dall’omonimo manga dello stesso Miyazaki contribuì a consacrare il disegnatore sulla scena cinematografica internazionale ed i suoi guadagni gli consentirono di fondare, nel 1985, il celebre Studio Ghibli. Sempre come evento speciale, questa volta direttamente dal Festival di Cannes, in chiusura del mese verrà proiettato Io sono Ingrid un documentario sulla madre e l'attrice Ingrid Bergman che prende forma dalle parole di Isabella Rossellini, dai suoi racconti e ricordi d'infanzia. Un film che unisce filmati inediti, appunti, lettere, diari e interviste ad amici e colleghi per disegnare un ritratto accattivante e personale della donna e della madre, che va oltre il suo essere stata una diva negli anni d'oro di Hollywood, diretta da maestri del cinema internazionale come Alfred Hthcock, Sidney Lumet e Roberto Rossellini.
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Al via la 34a edizione ricca di appuntamenti ed ospiti del mondo dello spettacolo
Giuliana Puppin
Le Giornate 2015
Le Giornate del Cinema Muto
Ci sono edizioni delle Giornate del Cinema Muto in cui, vuoi per magica congiuntura o per attinenza con il programma e le sue star, arrivano a Pordenone, in veste di spettatori o di testimoni, importanti personaggi del cinema e dello spettacolo di oggi. Da questo punto di vista, la 34a edizione, al Teatro Comunale Giuseppe Verdi da sabato 3 ottobre a domenica 11 ottobre, è una delle più fortunate avendo fra gli ospiti d’onore Arturo Brachetti in occasione dell’omaggio che il festival dedica al suo progenitore artistico Leopoldo Fregoli, grande trasformista e fra i pionieri del cinema di cui esplorò le possibilità anticipando in molti casi i futuri sviluppi di Una scena di Maciste alpino di Luigi Maggi e Luigi Romano Borgnetto. Coll. Museo Nazionale del Cinema, Torino. un’arte allora giovanissima. Altrettanto prestigiosa la presenza del regista John Landis, autore di film di culto quali The Blues Brothers, Animal House e Un lupo mannaro americano a Londra oltre che di uno dei videoclip musicali più famosi della storia, Thriller di Michael Jackson. Landis arriva alle Giornate da spettatore e forse non è un caso che questo accada proprio nell’edizione che si chiude, sabato 10 e in replica domenica 11 ottobre, con Il fantasma dell’Opera (1925) di Rupert Julian, con Lon Chaney, accompagnato dalla musica di Carl Davis eseguita dall’Orchestra San Marco di Pordenone diretta da Mark Fitz-Gerald. Com’è noto, Landis è un appassionato degli horror Universal, a cui ha dedicato anche il documentario del 1982 Coming Soon, un’avvincente tour negli studi della casa di produzione americana, costellato di trailer cinematografici fra i quali, ovviamente, quello del Fantasma. Il regista sarà accompagnato dalla moglie Deborah Nadoolman, nota costumista di Hollywood. Negli ultimi quindici anni raramente è mancato alle Giornate Richard Williams, genio dell’animazione più volte premiato con l’Oscar (anche per Chi ha incastrato Roger Rabbit), una presenza abituale che inorgoglisce il festival a cui ha fra l’altro regalato la bellissima sigla. Quest’anno Williams e la moglie, la produttrice Imogen Sutton, portano a Pordenone un altro dono prezioso: Prologue, i primi sei minuti dell’ultima sua opera, un progetto ambiziosissimo portato avanti in piena autonomia e fuori dalle regole del mercato, un desiderio che coltivava da quand’era un bambino di soli sei anni. È l’inizio quindi della realizzazione di un sogno che Williams condivide per primo in Italia con il pubblico delle Giornate. È molto atteso anche il ritorno dello storico e critico russo, massimo studioso di Eisenstein, Naum Kleiman, fondatore del Museo del Cinema di Mosca silurato dalla politica putiniana. Premio Jean Mitry nel 1994, terrà la Jonathan Dennis Memorial Lecture. Fra gli altri ospiti Diane Allen, nipote del regista Edwin Carewe di cui viene presentato il film restaurato Ramona con la diva Dolores Del Rio; e Brody Neuenschwander, il calligrafo storico collaboratore di Peter Greenaway che ha un ruolo anche nella realizzazione del film di avanguardia Picture (2015), opera seconda di Paolo Romeo und Julia im Schnee di Ernst Lubitsch DE 1920. Credits: Filmarchiv Austria, Wien Cherchi Usai accompagnata dal vivo dalla Alloy Orchestra (l’evento, presentato anche in Slovenia e in Croazia, ha il sostegno della Cineteca di Lubiana e della Cineteca del Friuli). E se per ovvie ragioni avere alle Giornate gli autori di due film è già cosa piuttosto rara, ha quasi dell’eccezionale averne quattro, perché a loro si aggiungono due giovani registi, l’iraniano Mohammed Zare e il napoletano Massimo Alì Mohammad, autori rispettivamente del corto di animazione Junk Girl (la bambina spazzatura) e del finto documentario dedicato al cinema muto Amore tra le rovine.
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Premessa di tante presenze è un programma imponente che non solo offre, come e più di sempre, un quadro esaustivo della straordinaria vitalità della settima arte nei primi decenni del secolo scorso, ma si presta ad essere apprezzato da un pubblico anche più ampio del solito. Gli amanti della commedia non possono mancare alla serata inaugurale, che comincia con il breve Romeo und Julia im Schnee (Romeo e Giulietta sulla neve, 1920) di Ernst Lubitsch, che traspone il dramma shakespeariano molto liberamente, al punto da ambientare la vicenda fra le montagne bavaresi e volgerla pure al lieto fine. Il film è accompagnato dall’Octuor de France diretto da Antonio Coppola. Segue Maciste alpino con Bartolomeo Pagano, del 1916, una data che ci riporta ai terribili giorni della prima guerra mondiale ma il film diretto da Luigi Maggi e Luigi Romano Borgnetto (con la supervisione di Giovanni Pastrone e l’intervento, per le scene più spettacolari, del mago degli effetti speciali Segundo de Chomon) ridicolizza e celebra la simpatia e magnanimità dell’eroe buono italiano che sconfigge il nemico a suon di calci e schiaffoni. Si ride naturalmente con gli amatissimi Stanlio e Ollio in The Battle of the Century (La battaglia del secolo), comica slapstick finora nota in una versione di soli 12 minuti, che nell’ultimo restauro ne recupera parecchi dopo il ritrovamento del secondo rullo completo; con i protagonisti delle Risate russe, seconda parte di una rassegna pluriennale sulle riscoperte commedie del periodo sovietico; e con Bert Williams, prima star nera dello spettacolo americano, e i suoi compagni. La commedia si ritrova anche in altri luoghi del programma come la sezione monografica dedicata al regista Victor Fleming o il Canone rivisitato (ancora Lubitsch con Die Puppe, ma anche The Mark of Zorro di Fred Niblo, prima apparizione sullo schermo del celebre spadaccino, interpretato da Douglas Fairbanks). E Show Girl (1928) di Alfred Santell, sugli stratagemmi di una giovane “maschietta” per diventare una stella dello show-business, la cui protagonista Dixie Dugan sarà per più di tre decenni un personaggio centrale nella cultura popolare americana. Tutt’altro genere e spirito si ritrova nei documentari di Luca Comerio, che a un secolo di distanza ci restituiscono la tragicità della Grande Guerra, testimoniata anche dal lungometraggio di particolare valore storico - e una prima assoluta dopo la ricostruzione della Library of Congress di Washington On the Firing line with the Germans di Wilbur Durborough, prestigioso fotografo che nel 1915, quando gli Stati Uniti erano ancora neutrali, ebbe l'incarico di riprendere il conflitto dalla parte dei tedeschi. Per gli amanti dei classici c’è naturalThe Battle of the Century di Clyde Bruckman [Hal Roach], US 1927 mente sempre il Canone rivisitato, che Con Stanlio e Ollio/ Laurel & Hardy. Credits: Lobster Films, Paris insieme ai titoli già citati quest’anno propone The Rat di Graham Cutts, con Ivor Novello, L’Inhumaine di Marcel L’Herbier, Det Hemmelighedsfulde X (L’X misterioso) di Benjamim Christensen e, in anticipo di due anni sul centenario della Rivoluzione del 1917, il capolavoro di Eisenstein Ottobre. Ancora un classico nella serata dedicata al Giappone, Chuji Tabinikki (Diario di viaggio di Chuji) di Daisuke Ito, considerato a lungo perduto e ora restaurato dal National Film Center di Tokyo. A Pordenone viene presentato con la narrazione del benshi Ichiro Kataoka e l’accompagnamento dell’ensemble musicale Otowaza. Fra le riscoperte più importanti anche lo Sherlock Holmes di Arthur Berthelet del 1916, con la star del teatro americano William Gillette, e Drifting (la perduta di Shanghai) di Tod Browning. Chi si è innamorato dei personaggi di Victor Hugo, non può mancare la visione del capolavoro restaurato di Henry Fescourt I miserabili: sei ore e mezza di proiezione “tutta d’un fiato” (intervallo solo per la cena dopo la seconda delle quattro parti in cui è diviso il film) con l’accompagnamento al piano dell’incredibile Neil Brand. In un programma che offre infinite possibilità e suggestioni anche “Altre sinfonie delle città”, una piccola rassegna che ci porta a Parigi, Liverpool, Praga, Belgrado e nella Porto filmata nel 1931 dal grande Manoel de Oliveira, recentemente scomparso; i forzuti italiani Luciano Albertini e Carlo Aldini che, sull’onda del successo di Maciste-Pagano, ebbero particolare fortuna in Germania; il cinema latino americano; le origini del western e molto altro ancora. L’offerta è dunque ampissima. Ognuno sceglierà il proprio percorso e qualche intrepido potrà tentare l’abbuffata cercando di vedere tutto quanto è umanamente possibile nell’arco di una settimana, lasciando lo spazio per un pensiero a Jean Darling, la bionda ex bambina attrice ospite fissa e appassionata delle Giornate, scomparsa il 4 settembre e a cui la 34a edizione è dedicata.
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Quest’anno 5 orchestre di giovani musicisti impegnati a rimusicare i film delle origini
Manuela Morana
A colpi di note
A colpi di note piccoli talenti crescono
Sono ben cinque le orchestre di studenti che quest'anno saliranno sul palcoscenico internazionale della 34a edizione de Le Giornate del cinema muto: è questa la importante novità che segna l'attesissima esibizione delle scuole pordenonesi partecipanti al progetto A colpi di note, tra i fiori all'occhiello dell'intera proposta didattica firmata da Cinemazero nell'ambito delle attività della Mediateca. Con un totale di oltre 130 musicisti, le cinque orchestre - due per la secondaria di primo grado “Da Vinci” di Cordenons (con la direzione della professoressa Emanuela Gobbo), due per la “Pasolini” Fotogramma tratto da Oswald the Lucky Rabbit (con la direzione della professoressa Patrizia Avon e accompagnamento al pianoforte dell'insegnante Cristina Giammario) e una per la “Centro Storico” (con la direzione della professoressa Maria Luisa Sogaro, già ideatrice del progetto ed esperta del cinema delle origini) - danno appuntamento a compagni e compagne di scuola, insegnanti, famiglie e cittadinanza, oltre che al pubblico internazionale de Le Giornate del Muto, sabato 3 ottobre alle ore 11, e non più la domenica pomeriggio, dunque, in quello che ufficialmente si prefigura come l’evento di pre – apertura del Festival, per presentare i risultati del lavoro svolto durante l'anno scolastico 2014Koko Back Tracks (1927) di Max Fleischer 2015, ovvero la rimusicazione dal vivo di una selezione di pellicole del cinema delle origini. Per l'edizione 2015 di A colpi di note, il lavoro di studenti e insegnanti coordinato e condotto con l'aiuto dei formatori di Cinemazero si è concentrato sul cinema di animazione, in particolare su alcuni celebri personaggi comici del grande schermo. Stiamo parlando di Oswald the Lucky Rabbit, primo successo della Disney, il simpatico coniglietto scelto dalle orchestre della scuola “Da Vinci”, di Alice, protagonista di una serie di cortometraggi (Alice Comedies) prodotti con tecnica mista sempre da Disney, scelta dalla “Pasolini”, e di Kokò il clown creato da Max Fleischer, preferito dalla scuola “Centro Storico”. La scaletta dello spettacolo prevede in apertura la proiezione di Cartoon Factory (1924) e Koko Back Tracks (1927) di Fleischer, a seguire Alice in the wooly west (1926) e Alice’s balloon race (1926), quindi, a chiudere, All wet (1927) e Great Guns (1927). A colpi di note, lo ricordiamo, è uno speciale laboratorio che valorizza il legame tra musica e cinema guidando studenti e insegnanti, con l'aiuto degli esperti e dei formatori all'audiovisivo di Cinemazero, a scoprire il cinema delle origini e le tecniche della rimusicazione dei film muti. Le attività di visione e analisi dell’immagine si sommano e alternano ad appuntamenti laboratoriali in cui gli allievi si esercitano nella esecuzione d'insieme, nel lavoro di gruppo, si avvicinano al linguaggio audiovisivo e grazie ai quali possono muovere i primi passi nel mondo della musica per film. Gli istituti scolastici con una classe di musica attiva possono così ampliare e arricchire l'esperienza pratica dell'esecuzione dal vivo e della creazione di partiture I piccoli musicisti incontrano la diva Jean Darling (foto Paolo Jacob | Archivio 2013) grazie a questo progetto che è promosso da Cinemazero con Mediateca Cinemazero, Le Giornate del Cinema Muto e reso possibile grazie al sostegno di FriulAdria Crédit Agricole e regione Friuli Venezia Giulia. Ingresso libero. Per informazioni, tel: 0434520945, didattica@cinemazero.it
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Il nuovo progetto della Zerorchestra con la Banda di Pordenone
Berlino. Sinfonia di una grande città.
Flavio Massarutto
Zerorchestra
Una festa. Pordenone abbraccia la Zerorchestra in quello che è diventato un appuntamento fisso e irrinunciabile della fine dell’estate cittadina. Sul palco dell’Auditorium Concordia, per la rassegna Musae, Zerorchestra e la Filarmonica di Pordenone hanno presentato la sonorizzazione originale di Berlino. Sinfonia di una grande città (Berlin - Die Sinfonie der Groβstadt) del regista Walter Ruttmann (1887-1941). La sala è piena e dopo un gustoso prologo musicale di presentazione delle due formazioni cala lo schermo, si spengono le luci e inizia la proiezione. Ed è ancora una volta magia, stupore ed emozione. La pellicola racconta per immagini una giornata dall’alba al tramonto della Berlino del 1927 in cinque capitoli. Ruttmann confeziona un capolavoro assoluto mescolando sapientemente costruzioni geometriche ed astratte, precisione dei particolari narrativi, pathos e invenzione, critica sociale e abbandono al piacere dello sguardo. Bruno Cesselli ha predisposto una partitura ricca e complessa che si trova ad affrontare tutti i rischi dell’affiancamento di un ensemble di improvvisatori con una Banda. Prova superata con lode. Il suono è lontano dai clichè bandistici e i musicisti sono bravi ad interpretare una scrittura per orchestra di fiati. Il merito va al loro direttore, Didier Ortolan, che fa da collegamento tra le due formazioni in quanto membro anche di Zerorchestra. Il film comincia con un treno che dalla campagna arriva in città e Cesselli scrive un pezzo “ferroviario”asciutto e antiretorico. Si comincia bene. E si prosegue in crescendo. La città che si sveglia e comincia la sua vita, il dinamismo della metropoli, le contraddizioni, le piccole storie, drammi e illuminazioni poetiche. Le immagini scorrono in un montaggio virtuosistico e la musica sta al passo. Un tema malinconico e romantico, una sequenza di assoli, l’orchestra che incalza. Colori da novecento colto che guarda al jazz (Ravel) con leggere dissonanze e jazz vero e proprio per i sax di Francesco Bearzatti e Gaspare Pasini. Morbido swing per il vibrafono di Luigi Vitale. Il pianoforte di Bruno Cesselli, il contrabbasso di Romano Todesco, la batteria di Luca Colussi e le percussioni di Luca Grizzo vanno che è una meraviglia. L’ultimo capitolo è tutto per le folli notti berlinesi tra cabaret, sale da ballo e fuochi d’artificio e per lo splendido tema che la Banda espone con precisione e potenza in una efficace alternanza e fusione con la Zerorchestra. Questa ennesima prova è la conferma di una intuizione giusta e di un percorso rigoroso. Chissà se esattamente vent’anni fa coloro che iniziarono l’avventura di Zerorchestra immaginavano una tale longevità. Sia come sia oggi questa formazione ha un repertorio di partiture originali per pellicole che vanno da Stan Laurel e Oliver Hardy a Buster Keaton, da Alfred Hitchcock al cinema di animazione. Un patrimonio che merita di essere valorizzato e conosciuto. E sostenuto.
La Zerorchestra impegnata con il capolavoro di Walter Ruttmann
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Film che non vorresti vedere in alcun altro posto che non sia un cinema
Donatello Fumarola
Un luogo di culto
Cinema transformer
Il cinema è l'arte della mutazione per eccellenza, al di là della sua fissità schermica (in oltre cento anni, salvo rarissime eccezioni - come L'anticoncept di Gil J. Wolman che fu pensato, nel 1952, per essere proiettato su una palla sferica al centro di una sala - nessuno ha mai messo in discussione il rettangolo, il fotogramma, o per meglio dire: la cornice). E i film, da tempo, non hanno più bisogno di manifestarsi nei cinema. Uno schermo ricavato da una parete in un angolo buio di una piazza, o di uno scantinato, o del ponte di una nave, possono rilanciare molto più potentemente il rituale della caverna platonica di quanto ormai non succeda nelle sale, dove ha preso piede una gestione La copertina del libro da cui è tratto questo saggio degli spazi anestetizzata, codificata da regole di ingaggio che ne sterilizzano le potenzialità vitali (non si può entrare a spettacolo iniziato, non si può mangiare, non si può fumare, si può solo 'stare a guardare'...). Il problema non sono i computer o gli smartphone in cui milioni di persone ormai vedono quello che appena una generazione fa vedeva in altri luoghi di culto (cinema o tv). Il problema sono, al limite, le persone stesse, l'asservimento volontario agli spazi proposti dall'industria tecnologica, la non capacità di vedere oltre la cornice (o la gabbia dorata) stabilita dall'economia dello spettacolo. A me personalmente i film piace andare a vederli in sala, continuo a preferirlo a ogni altra forma di proiezione o di situazione. Provo un piacere che non saprei descrivere a parole nel trovarmi in questi luoghi ormai sempre più simili ai deserti dove nei primi secoli del cristianesimo alcuni uomini andavano a isolarsi per cercare un rapporto più ravvicinato col loro Dio. Certe cose poi (che ne so, i Transformers di Michael Bay o gli Expendables di Stallone) mi piace vederle unicamente al cinema, proprio per la mitologia che, nonostante i tempi, resiste in quel particolarissimo genere di spettacolo, che è nato con le sale e va a morire (o a rivivere zombie) nei pochi centimetri quadrati di uno schermo telefonico "intelligente" (che
Michael Bay immortalato davanti alla locandina del suo Transformers - Age of extinction
io non ho). In ogni caso, non ne farei un problema di dimensioni, anche se le dimensioni fanno una bella differenza. L'economia della cosa continua a essere guidata, mi sembra, dal desiderio (e allora non è una storia del cinema o dei cinema che va percorsa ma piuttosto una storia dei desideri, che si intrecciano e sono determinati da cose che spesso chi si occupa di cinema ignora del tutto). La qualità del desiderio e la qualità del godimento dovrebbero dare la cifra della visione (e qui sta un altro snodo, non da sciogliere ma da cogliere,
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Un’immagine della lavorazione del film Gravity di Alfonso Cuaron
per capire di cosa parliamo quando parliamo di cinema: Hadewijch o Maria Maddalena de' Pazzi parlano della stessa cosa di cui parla André Bazin quando parlano di "visioni"?). Dovendo indicare con precisione quali film non vedrei in nessun altro luogo che al cinema: 2001 A Space Odissey, nella sua versione originaria 70mm, dove ogni pietruzza nel deserto parla la stessa lingua del monolito e degli abissi stellari, e dove nessuna nuova tecnologia "HD" è ancora arrivata. Per capire cosa è stato il cinema, nella sua forma più pura, al massimo del suo splendore epocale. Un'alternativa 'minore', rispetto a un certo tipo di esperienza analoga è Gravity, del modesto Cuaron, che tuttavia è prodigioso proprio rispetto all'esperienza 'spaziale', in sala, di sospensione nello spazio (aiutati dal 3D), di un film dove della trama per fortuna non ce ne importa nulla, e dove il galleggiare nel vuoto è il centro e il senso, è la condizione in cui si sta comunque, di fronte a uno schermo, come davanti a un monolito.. Uno dei film di Stan Brakhage fatti a mano (io direi The Garden of Earthly Delight, omaggio organico a Hieronymus Bosch). Cinema digitale. Nel senso vero della parola. Per la vicinanza del contatto, e soprattutto per lo sfarfallio, l'incertezza, anche degli interventi (quelli voluti e quelli dati dall'usura), che il digitale blinda, cristallizzando in segnali stabili e replicabili una luce che sembra voler andare da tutte le parti (e ogni volta da una parte diversa). Un qualsiasi film di Lav Diaz (l'ultimo sublime From What Is Before), perché oggi è forse uno di quelli che più e meglio giocano e riflettono sullo spazio del cinema, anche come luogo di azzeramento, di ricominciamento, di ritorno fantasmatico, e di assenza mitica. Fuori da una sala cinematografica quasi non ha senso vedere i suoi film, anche solo per la durata. Mancando il tempo mancherebbe tutto lo spazio. Hurlements en faveur de Sade (primo film, senza immagini, di Guy Debord, 1952). Schermo nero, schermo bianco. Nulla da vedere. Molte cose da fare - e tra queste: smettere di essere spettatori, iniziare a vivere, iniziare, al limite, a essere tu il film, anche solo urlando (in favore di Sade). La sala cinematografica non è più il luogo esclusivo della celebrazione del rito spettacolare perché tutto il mondo è diventato lo spazio di una ritualità attiva 24 ore su 24: tutto lo spazio del vivere è diventato un luogo di spettacolo. Se si ha ancora qualche volontà di intervento, di contrasto, di critica o di supporto della cosa cinema, è lì che bisognerebbe spingersi nella pratica, è lì che va spostato il proiettore, con o senza schermo, con o senza poltrone (su questo i situazionisti si sono spinti oltre - e messi in gioco come nessun altro). Donatello FUMAROLA è un critico, scrittore , regista e produttore. Nato nel 1972, vive a Roma, e ha lavorato per Fuori Orario (un programma televisivo dedicato al cinema e in onda ogni sera su Rai3 ) dal 1999.
Donatello Fumarola
2015 - OttobreCZNotizie_def_01-GENNAIO_2011 29/09/2015 10:49 Pagina 11
Lorenzo Codelli
La fabbrica del vedere
A Venezia dormono, invisibili, chissà quante antiche collezioni private, tesori artistici, incunaboli. Senza concorso alcuno da parte dei munifici Biennale, Ministero, Comune e Regione, che egli non adora (eufemismo), l'amico Carlo Montanaro ha aperto il proprio scrigno alla città e al mondo. Dal dicembre scorso infatti ci accoglie tutti quanti ogni mattina, e parecchi pomeriggi, alla Fabbrica del vedere in via del Forno, Cannareggio 3857, a pochi passi dalla Cà d'Oro (www.fabbricadelvedere.it). Un edificio a tre piani in cui aveva abitato anni prima un fanatico raccoglitore di mirabilia cinematografiche. Al pianoterra composto da uno spazio duplice, Montanaro propone regolarmente mostre, proiezioni, incontri, laboratori, dibattiti. Attualmente alla pareti ha esposto bellissime locandine e fotobuste de "La magnifica Marilyn", in perfette condizioni di conservazione. Emoziona vederle appese accanto all'insegna presa dall'atrio d'un cinemino d'altri tempi: un quadrante orario di vetro che indicava agli spettatori in quale momento stessero entrando in sala, primo, secondo tempo, cinegiornale o prossimamente. «La fabbrica del vedere è uno spazio in cui si approfondiscono i temi dell’immagine in movimento, dal cinema sperimentale al video d’artista. È un luogo di studio e di visioni, in cui si discutono le idee del presente e si possono mettere alla prova sistemi di riproduzione antichi. È una vera fabbrica perché è stata fondata per lavorare, con lo sguardo e coi pensieri. Un luogo d’incontri, esposizioni e workshop, e – al piano superiore – da videoteca, biblioteca e deposito dei materiali (incisioni e stampe, fotografie e pellicole, nastri magnetici e codici digitali e relative apparecchiature) che testimoniano quello che Gian Piero Brunetta chiama “il volo dell’icononauta”». Chi già conosceva la labirintica casa-museo del veterano storico e docente Carlo Montanaro a Rialto, salendo al primo e secondo piano, fino all'affollato sottotetto della sua Fabbrica, si stupirà come l'ordine razionale e lindo abbia qui sostituito l'accumulo disordinato e polveroso, come sia ormai facile ripescare uno specifico vetrino dipinto a mano, una lanterna magica, un obiettivo Zeiss, una bobina 16mm, un manoscritto di Pasinetti e infinite altre rarità uniche. Dal terrazzo pensile dell'edificio si gode una vista a 360 gradi degna delle camere ottiche di Canaletto. Mentre Carlo m'accompagnava su e giù per le scale, una giovane giornalista di Repubblica Web arrivava a intervistarlo. La cronista era stata allertata che nell'omaggio a Orson Welles che inaugurava la 72 Mostra di Venezia c'entrava anche lui. Infatti, nel lontano 1969 Carlo aveva lavorato alcuni giorni sull'isola di San Giorgio nel ruolo di "corvaccio" - indossando una maschera bianca cioè -, tra le comparse del Merchant of Venice diretto e interpretato da Welles per la CBS. Quanti altri cineasti famosi o ignoti il nostro Carlo Montanaro ha incontrato, insegnato e preservato per i posteri? Carlo Montanaro all’ingresso della Fabbrica del vedere
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"La fabbrica del vedere" di Carlo Montanaro
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Nel cuore di Venezia un luogo unico per scoprire le meraviglie del cinema
2015 - OttobreCZNotizie_def_01-GENNAIO_2011 29/09/2015 10:49 Pagina 13
Nel cuore di Venezia un luogo unico per scoprire le meraviglie del cinema
S’intitola “Joan Miró a Villa Manin. Soli di notte” la nuova e appassionante mostra in programma a Villa Manin di Passariano (UD) dal 17 ottobre 2015 al 3 aprile 2016: un’occasione per scoprire nuovi affascinanti aspetti dell’ultima fase creativa e del mondo interiore di questo grande protagonista dell’arte del Novecento. Un progetto espositivo originale, che propone circa 250 opere, tra grandi dipinti, sculture, disegni, schizzi e progetti dell’artista provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca e dalle collezioni degli eredi - con alcune interessanti sorprese e anteprime - arricchiti da documenti originali e tanti oggetti personali dell’artista e da un eccezionale focus di circa 50 scatti che ritraggono Miró dei maggiori fotografi del tempo: Bresson, Mulas, Brassai, List, Man Ray, Halsmann, Gomis e tanti altri. La mostra di Villa Manin vuole essere assolutamente evocativa dei luoghi, degli ambienti, dei suoni, delle emozioni che hanno accompagnato il pittore catalano negli ultimi trent’anni di vita trascorsi a Palma di Maiorca, ispirando dal 1956 al 1983, anno della sua morte, un radicale mutamento espressivo e tecnico del suo lavoro e della sua straordinaria arte. In quegli anni Miró, infatti, nella solitudine dei due studi di Maiorca - lo studio Sert e lo studio Son Boter realizzato per le sculture di grandi dimensioni – intraprende un processo di profonda analisi critica del lavoro precedente e di trasformazione. A 63 anni l’artista ha finalmente a disposizione un luogo dove isolarsi e vivere a stretto contatto con le sue opere; non un semplice contesto architettonico, bensì uno spazio protetto, dove far maturare nel tempo i suoi dipinti, favorendo dialoghi fra essi; un grande spazio per “sognare” e “avere allucinazioni”; un contenitore per essere soli davanti alla vertigine della creazione. Concetto rimarcato dalle sue stesse parole: “quando non avevo uno studio tutto mio, stavo molto scomodo: avevo bisogno di solitudine”. “Soli di notte”, suggerisce, non a caso, il titolo della mostra. Nella luce dell’isola di Palma, la pittura di Miró si spoglia, si distilla e perde cromatismi per lasciare sempre più spazio al segno immediato e violento, alla progressiva semplificazione del gesto espressivo e al nero: un nero drammatico e definitivo, che testimonia la ricerca dell’artista intorno ai temi del silenzio e del vuoto. Una produzione ben diversa dalle opere del periodo surrealista degli anni Trenta 17 OTTOBRE 2015 - 3 APRILE 2016 che dimostra anche un'attenta autocritica alla sua produzione precedente. Lo studio, come lo stesso Miró dichiara, diventa un orto, un giardino interiore, un territorio, un recinto sacro. Così il rapporto con l’ambiente e con il contesto del suo operare diventa un’alchimia, una magia che la Il manifesto ufficiale della mostra mostra a Villa Manin ambisce a ricreare attraverso relazioni e interconnessioni tra capolavori esposti e materiali di approfondimento. Un progetto curatoriale assolutamente originale affidato a Elvira Cámara López e Marco Minuz per un mostra - promossa dall’Azienda Speciale Villa Manin e dalla Regione Friuli Venezia Giulia, insieme alla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca con cui si è stata avviata una prestigiosa collaborazione - diversa da tutte le precedenti esposizioni realizzate in Italia. Un evento capace di condurci nell’universo privato di questo artista onirico e passionale – grazie anche alla ricostruzione della “stanza rossa” sorta di studiolo rinascimentale creato da Miró a San Boter e all’installazione multisensoriale commissionata per questa occasione al musicista e compositore Teho Teardo che mescola suoni e immagini raccolti sull’isola e nello studio di Palma – e di farci comprendere la trasformazione radicale della sua arte. Per informazioni: 0432-821211 - info@villamanin.it JOAN MIRÓ, Oiseaux dans un paysage,1969-1974 © Successió Miró by SIAE, 2015
Lorenzo Codelli
La fabbrica del vedere
Joan Miró a Villa Manin Soli di notte
JOAN MIRÓ A VILLA MANIN SOLI DI NOTTE
2015 - OttobreCZNotizie_def_01-GENNAIO_2011 29/09/2015 10:49 Pagina 14
FESTIVAL DEL CINEMA LATINOAMERICANO Trieste - dal 17 al 25 ottobre 2015
GRADO GIALLO 2015
Grado – dal 2 al 4 ottobre 2015
Domani accadrà ovvero se non si va non si vede
La XXX edizione del Festival del Cinema Latino Americano di Trieste, avrà luogo presso il Museo Revoltella, al Cinema dei Fabbri e al Centro Culturale KNULP dal 17 al 25 Ottobre 2015 con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. I 15 film della Sezione Concorso prodotti nei Paesi del Centro e Sud America saranno valutati dalla Giuria Ufficiale presieduta da Renzo Rossellini, produttore e regista e figlio primogenito di Roberto Rossellini, che sarà anche presente alla Cerimonia Inaugurale presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica dell'Unesco, sabato 17 Ottobre alle ore 20.00. La pluriennale collaborazione con l'Università degli Studi di Trieste - Sezione per Interpreti e Traduttori, consentirà di sottotitolare anche quest'anno, molte nuove opere in italiano. Consolidata la formula delle sezioni Contemporanea (opere eterogenee), Premio Oriundi (tributo alle origini italiane dei cineasti latinoamericani), Premio Malvinas, Salon Espana e Shalom (i sentieri ebrei in America Latina). Info: www.provincia.pordenone.it
Ritorna dal 2 al 4 ottobre il Festival letterario di Grado dedicato al genere giallo, noir, thriller e alla spy story. Tema della 8a edizione è Potere, poteri. Attraverso gli incontri con magistrati, criminologi, giornalisti, storici e scrittori si parlerà della società contemporanea, di crimini e fenomeni delittuosi che stanno producendo gravissime conseguenze a livello sociale e minano le fondamenta sane dello Stato. Tre giorni ricchi di appuntamenti, tra letture, incontri con gli autori, spettacoli, ospiti d'eccezione, cinema, teatro e cene con delitto, trasformeranno Grado nella capitale regionale di uno fra i generi letterari più amati. La manifestazione è organizzata dal Comune di Grado, DiSU dell'Università di Trieste, il Giallo Mondadori e con la partecipazione della RAI sede di Trieste. Info: www.gradogiallo.it
GIANNI PIGNAT. SEGNI E DISEGNI PER LA BIBLIOTECA Pordenone, biblioteca civica – fino al 31 ottobre 2015
La mostra raccoglie una parte delle centinaia di opere realizzate da Gianni Pignat per la Biblioteca nell’arco degli oltre 15 anni di attività culturale e vuole essere un omaggio ad un Artista che ha collaborato generosamente con l’istituzione bibliotecaria cittadina. Gianni Pignat è nato nel 1952. Dopo la laurea in architettura, ha conseguito il diploma d’arte applicata e fotografia presso l’Istituto d’Arte di Udine, dove ha insegnato fotografia. Fotografo di viaggio, è autore di testo e immagini di cinque libri fotografici: Gracias por venir a Colombia; Herat, Afghanistan; Sudan; Tuol Sleng, Cambogia; Birmania. Ha svolto una ricerca documentaria e fotografica su Tina Modotti, consultando archivi pubblici e privati in Russia, Messico e Cuba. Ha collaborato alla realizzazione di documentari per la televisione francese: Une petite pierre, Que viva Tina e Goli Otok. Molte delle sue opere grafiche sono state utilizzate per copertine di libri e manifesti. Info: www.comune.pordenone.it/biblioteca
"INAFFERRABILE. LO SGUARDO DI PIER PAOLO PASOLINI".
UNA MOSTRA DI RITRATTI FOTOGRAFICI INEDITI SCATTATI DA GIDEON BACHMANN Pordenone - Dal 3 ottobre negli spazi espositivi della Provincia (Corso Garibaldi)
Giornalista e fotografo sui set italiani più importanti della seconda metà del ‘900, Gideon Bachmann è stato un amico e un fine osservatore di Pier Paolo Pasolini. Nel corso dei quindici anni di ininterrotta frequentazione amicale l’ha seguito e scrutato, consegnandoci una raccolta di ritratti completamente inediti che sanno cogliere i dissidi interiori che dilaniarono l’intellettuale, le passioni del critico e la levità del poeta. Conosciuti alla conferenza stampa di “Accattone” nel 1961, iniziarono il loro rapporto con una feroce discussione sul metodo adottato da Pasolini, approdata in un’intervista per il programma radio che Bachmann teneva a New York. Da lì ebbe inizio un’amicizia e questa carrellata di immagini, che ci accompagnano fino a pochissimi giorni prima della morte del poeta. Dal martedì al venerdì: dalle 15.00 alle 19.00. Sabato e domenica: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00. INGRESSO LIBERO.
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i film del mese
Un film di Anton Corbijn. Con Robert Pattinson, Dane DeHaan, Joel Edgerton. Canada, 2015. Durata 111 min.
Un film di David Trueba. Con Javier Cámara, Natalia de Molina, Francesc Colomer. Spagna, 2015. Durata 104’.
Un film di Ascanio Celestini. Con Ascanio Celestini, Alba Rohrwacher. Italia, 2015. Durata 85 min.
IL VIAGGIO DI JAMES DEAN INSIEME AL FOTOGRAFO DENNIS STOCK
LIFE
DI ANTON CORBIJN Dennis Stock è un fotografo dell'agenzia Magnum che sogna la copertina su "Life" mentre sopravvive paparazzando divi dentro salotti esclusivi. Diviso tra New York e Los Angeles, un figlio e un'ex moglie che gli rinfaccia la latitanza, Dennis è invitato al party di Nicholas Ray, dove incontra James Dean, reduce dal successo di Gioventù bruciata e segnato dalle riprese de La valle dell'Eden. Il volto desolato a un passo dal mito, colpisce Dennis che propone immediatamente a "Life" un servizio sul giovane attore e a Dean di farsi accompagnare dentro la vita. Il rapporto è travagliato ma un viaggio in Indiana, nella fattoria dello zio Marcus e nei luoghi in cui Jimmy è nato, concilia i malintesi e appronta una bella amicizia, immortalata in un'unica fotografia. Costretto da Jack Warner, dispotico produttore della Warner Bros, a rientrare a New York in occasione della premiere de La valle dell'Eden, Jimmy e Dennis si separano. Di quel breve intervallo che fu la loro relazione, rimangono le fotografie intime ed eterne pubblicate sulle pagine di "Life". Ispirato a una storia vera, l'incontro di due uomini nell'America degli anni Cinquanta, Life segue l'intuizione di Dennis Stock incarnata da James Dean, che il fotografo avverte all'istante come formidabile modello della sua epoca, del suo universo sociale e generazionale. E con l'amicizia nascente tra Dennis Stock e Jimmy Dean, Corbijn ricrea il set, il sentimento e il punto di ripresa dei celebri scatti di "Life": riuscendo ad afferrare la luce postuma del divo e del processo di costruzione divistica
IL FILM SPAGNOLO RIVELAZIONE DELL’ANNO
LA VITA è FACILE AD OCCHI CHIUSI DI DAVID TRUEBA
Spagna, 1966: un professore che usa le canzoni dei Beatles per insegnare l'inglese ai suoi alunni viene a conoscenza che John Lennon è in Almeria (Andalusia) per girare un film. Deciso a conoscerlo, intraprende un viaggio in macchina verso il Sud, e lungo il percorso carica in macchina una ragazzo di 16 anni, fuggito di casa, e una giovane ragazza di 21 che pure sembra scappare da qualcosa. Tra i tre nascerà un'amicizia indimenticabile. Il film è ispirato all'incredibile e commovente storia vera di Juan Carrión, un professore d'inglese (interpretato da uno straordinario Javier Camara) che effettivamente incontrò John Lennon sul set in Almeria. L'obiettivo di Carrión era semplice e allo stesso tempo utopico: chiedere a Lennon di correggere i testi trascritti nel suo quaderno per poterli poi insegnare ai suoi alunni. Pare che proprio da quell'incontro i Beatles (e di seguito tutte le band musicali) cominciarono a riportare i testi delle proprie canzoni nel retro degli LP. Considerato il film spagnolo rivelazione dell'anno e musicato dal grande chitarrista americano Pat Metheny, ha vinto ben 6 Premi Goya, tra cui miglior film, regia, sceneggiatura ed attore protagonista.
UN MOSAICO DI STORIE CHE IMMORTALA LA DURA REALTÀ DEL NOSTRO PAESE
VIVA LA SPOSA
DI ASCANIO CELESTINI Nicola passa il tempo bevendo e fingendo che sta smettendo di bere. Questa è la storia sua e di tanti altri personaggi che incontra per un destino o per caso come in un road movie. Perciò è anche la storia di Sabatino che truffa le assicurazioni. Pure il Concellino vive truffando le assicurazioni, ma vuole fare carriera. È la storia di Salvatore, figlio di Anna e forse anche di Nicola, ma Anna è una prostituta e non lo sa chi è il padre di suo figlio. È la storia di Sofia che dice che scappa in Spagna con l'amica. Lo dice, ma poi resta a Cinecittà. È la storia dell'Abruzzese che fa il carrozziere, ma anche il parcheggiatore notturno. È la storia di Sasà che una notte finirà peggio di tutti nella stanza di una questura di periferia. E in mezzo a tutte queste storie c'è quella dell'americana che gira l'Italia vestita da sposa e che senmbra essere l’unico possibile sollievo alle loro vite. Ascanio Celestini, teatrante e narratore romano è riuscito con questo film a raccontare tante storie incastrate tra loro e attraverso queste storie ha potuto fare una fotografia di un Italia che fatica, piena di bellezze viste dagli occhi di una sposa americana, ma nello stesso tempo piena di contraddizioni e di abusi di potere vissuti nei quartieri bassi della periferia. Un film da vedere per riflettere sulla vita ai tempi di un paese bellissimo, ma complicato che ci mette di fronte alla dura realtà della vita senza renderla più drammatica, ma senza neanche renderla più semplice.
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