CinemazeroNotizie Novembre 2019

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€ 1,00 mensile di cultura cinematografica

Pasolini e Sciascia “ultimi eretici” Affinità e differenze tra due intellettuali soli “fraterni e lontani”

La famosa invasione degli orsi in Sicilia Anteprima mercoledì 6 novembre alla presenza di Lorenzo Mattotti

Lyon Lumière Ozon Pariser Due film e un festival

Festival del cinema Latino Americano Dal 9 al 17 novembre al Teatro Miela la 34ma edizione

1989-2019 Trent’anni senza muro Tre rari documentari per raccontare la Repubblica Democratica Tedesca Spedizione in abbonamento postale POSTE ITALIANE SPA L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone. Pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. e i.r. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Novembre

Ritratti al femminile Al centro della XIII edizione de Gli Occhi dell’Africa

19 2019 numero 10 anno XXXIX

È arrivato il momento di dire NO Due considerazioni sul caso Netflix


Due considerazioni sul caso Netflix

Marco Fortunato

Editoriale

È arrivato il momento di dire di NO Fino al 1988, una normativa europea stabiliva in modo molto chiaro che “i film possono essere trasmessi in TV solo dopo due anni dalla prima proiezione nei cinema” creando così una “finestra” di due anni durante il quale l’opera poteva essere vista esclusivamente nelle sale cinematografiche. Com’era immaginabile regole così rigide non potevano durare a lungo e ben presto iniziarono a esserci delle eccezioni sempre più frequenti che permettevano di accorciare un po’ queste finestre, ma senza mai mettere in discussione il primato del grande schermo che tutti riconoscevano essere la modalità ideale, e per questo la prima, per godere appieno della visione. Oggi questa “finestra” cinematografica è di 105 giorni, contati dalla prima data di uscita al cinema, periodo durante il quale il film può essere proposto solo al cinema. Trascorso tale termine può andare sulle piattaforme e su altri supporti. Non è una vera e propria legge – che esiste in altri Paesi, come la Francia – ma un compromesso condiviso da tutti coloro che operano nel settore (produttori, distributori, esercenti) compresi i circuiti dei multisala e le major internazionali. Da tutti meno Netflix che, lo scorso anno, ha di fatto deciso di ignorare questa prassi, distribuendo due film senza rispettare questa finestra. Si è trattato di Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, uscito in contemporanea al cinema e sulla loro piattaforma e di Roma di Alfonso Cuaron per il quale fu prevista una mini-finestra di pochi giorni tra l’uscita in sala e il passaggio sulla piattaforma ondemand. Malgrado ciò Cinemazero decise di fare una scelta coraggiosa, e non priva di conseguenze, programmando ambedue i film: in un caso prevalse l’assoluta urgenza dei temi civili affrontati, dall’altro il valore autoriale dell’opera. Ma non solo. Allora c’era anche la speranza, forse troppo ottimistica, che si sarebbe potuta trovare una soluzione, magari attraverso una legge – com’ è avvenuto per i film italiani – per bilanciare al meglio gli interessi di tutti, compresi quelli delle sale cinematografiche e del loro pubblico. Ciò purtroppo non è avvenuto e oggi, con The Irishman di Martin Scorsese, ci ritroviamo nella stessa situazione. Ed è per questo che, a malincuore, abbiamo deciso di fare una scelta diversa, di dire di NO e non proiettare il film. Non è facile, anzi forse è la cosa più difficile in assoluto per chi ama il cinema dover rinunciare ad un film e non poterlo far vedere al proprio pubblico. Malgrado ciò siamo convinti che sia necessario farlo, e con noi ci saranno tutte le più importanti sale italiane, d’essai e commerciali. Uniti non contro qualcuno – ci teniamo a sottolinearlo – ma per qualcosa. È ormai un’esigenza imprescindibile che il mercato si doti di regole chiare e semplici a tutela degli interessi di tutti coloro che lavorano nella filiera. Per questo, pur non condividendo i metodi di questa “battaglia” – che rischiano di danneggiare esclusivamente il pubblico – tentiamo anche questa strada pur di difendere il ruolo della sala cinematografica che è e resta, noi crediamo, luogo privilegiato per la visione di un film e per vivere l’esperienza sociale e culturale collettiva che ne deriva.

In copertina un fotogramma tratto da La famosa invasione degli Orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti che sarà presentato in anteprima a Cinemazero mercoledì 6 novembre alla presenza dell’autore.

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Novembre 2019, n. 10 anno XXXIX ISSN 2533-1655

Direttore Responsabile Marco Fortunato Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Andrea Crozzoli Sabatino Landi Tommaso Lessio Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Elena d’Inca Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 | Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica


XIII Edizione dal 3 settembre al 20 dicembre

Martina Ghersetti

Una programmazione cinematografica declinata al femminile sarà una delle note che caratterizzano “Gli Occhi dell’Africa”, la rassegna di cinema e cultura africana che è giunta alla XIII edizione, organizzata, con l’importante contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, del Comune di Pordenone e della BCC Pordenonese, da Caritas diocesana di Concordia-Pordenone, Cinemazero e L’Altrametà, con la collaborazione di Nuovi Vicini, UNASp ACLI (Unione Nazionale Arte e Spettacolo) di Pordenone e Centro Culturale Casa A. Zanussi. Donne e bambine, quindi, protagoniste di un’edizione che si presenta ricca di molte iniziative: oltre al cinema, infatti, ci saranno concerti, uno spettacolo teatrale, due mostre fotografiche, degli incontri nell’ambito delle proposte dell’Università della Terza Età di Pordenone, attività dedicate ai più piccoli. I film in programma parlano di tante Afriche, che si esprimono attraverso l’arte cinematografica: c’è la poetica interpretazione della malattia, attraverso il volto di una bambina che immagina di avere dei superpoteri nel piccolo villaggio in cui vive, in Supa Modo, come la realtà urbana di una metropoli che fa fatica ad accettare che la donna possa uscire dai ruoli che la tradizione le assegna, come descritto in Rafiki. E anche il tema dell’infibulazione sarà affrontato da una giovane videomaker, che vuole riappropriarsi della sua femminilità sfregiata, nell’intenso In search…, in occasione della Settimana contro la violenza sulle donne, in collaborazione con Comune di Pordenone Assessorato per le Pari Opportunità e Voce Donna. Tutte le proiezioni saranno precedute da una clip con il cantante Niccolò Fabi, ripreso durante il suo viaggio in Etiopia con il Cuamm Medici con l’Africa di Padova. Tra i corti che si potranno vedere, ci sarà anche “Verso le verdi colline del Burundi”, del pordenonese Tommaso Lessio. Il teatro sarà sul palco di Casa Madonna Pellegrina, con lo spettacolo Come diventare africani in una notte, di e con l’attore senegalese Mohamed Ba. Poi spazio alla musica. Nella SalaGrande di Cinemazero, con la collaborazione de Il Volo del Jazz, ci sarà la band anglo-ghanese K.O.G. & The Zongo Brigade: l’interpretazione della vera musica africana si fonde con l’energia e si intreccia con il funk-reggae-jazz e i ritmi da tutti gli angoli del mondo. L’appuntamento è per martedì 12 novembre. Altro momento che attirerà il grande pubblico è il concerto con Seun Kuti, figlio di uno degli artisti più influenti del XX secolo, Fela Kuti, leggendario musicista e attivista nigeriano, pioniere dell’afrobeat rivoluzionario. Come il padre, anche Seun lotta con la musica per l’affermazione del suo popolo, accompagnato dalla formazione degli Egypt 80. Anche questo concerto è stato organizzato in collaborazione con “Il Volo del Jazz” e si terrà a Sacile, nel Teatro Zancanaro, sabato 30 novembre. Non manca la fotografia nello Spazio Foto di Casa Zanussi, e le mostre quest’anno sono due: la prima, visitabile fino al 20 ottobre, s’intitola “Lawol Fi Django - Sulla via del domani” e raccoglie gli scatti, fatti con il cellulare, di Mohamed Saliou Balde, in un progetto ideato e curato dalla fotografa Lara Trevisan. La seconda esposizione apre il 30 ottobre ed è dedicata al tema “Energy Africa”, del fotografo Marco Garofalo: decine di famiglie appaiono nelle loro abitazioni, per raccontare il difficile accesso all’energia in Africa, dove ogni notte seicento milioni di persone s’ingegnano per non restare al buio.

Gli Occhi dell’Africa

Ritratti al femminile


Affinità e differenze tra due intellettuali soli, “fraterni e lontani”

Filippo La Porta

Convegno al Centro Studi Pasolini

Pasolini e Sciascia: "ultimi eretici" Sciascia ha osservato una volta che lui era l’unico in grado di capire davvero Pasolini, “fraterno e lontano”. L’Affaire Moro si propone fin dalle prime pagine come una continuazione di riflessioni pasoliniane. Mentre Pasolini in una recensione del 1975 a Todo modo scrisse che Sciascia si è sempre mantenuto purissimo, come un adolescente ”, e che la sua autorità “è legata a quel qualcosa di debole e fragile che è un uomo solo”. In Pasolini e Sciascia si è incarnata per l’ultima volta nel nostro paese la figura dell’intellettuale eretico, coscienza del paese, voce dissidente solitaria e non allineata. A loro è stata comunque riconosciuta una autorevolezza straordinaria - nella società italiana -, un attimo prima che gli intellettuali sono decaduti da legislatori a meri interpreti, da critici del potere a cantori postmoderni dell’esistente (secondo la terminologia di Zygmunt Bauman). Forse l’unica possibile analogia è con Sartre e Foucault, che in Francia hanno rievocato quasi a tempo scaduto la figura dell’intellettuale enciclopedico, “universalistico” del secolo dei lumi. In verità negli anni '70 altri scrittori hanno parzialmente svolto un ruolo pubblico (come opinionisti e commentatori), ad esempio Goffredo Parise o Italo Calvino, ma senza il loro carisma. L’idea stessa di engagement dello scrittore ha subito da allora una mutazione radicale: solo Roberto Saviano potrebbe candidarsi oggi a un ruolo simile nel nostro paese, anche se la sua “autorità” proviene dalla testimonianza personale della verità per ottenere giustizia, dalla esperienza diretta di un contesto socio-economico (oltre che da una sua trasformazione in icona e star televisiva), e non da uno “sguardo” particolare sulla realtà o da una qualità dello stile. I temi che saranno trattati nel convegno sono innumerevoli. Proviamo a citarli velocemente. Pasolini e Sciascia di fronte al potere politico: isolamento ed eccentricità, impegno parziale e disorganicità, diffidenza da parte dei partiti anche se questi ultimi li hanno blanditi in vari modi. Poi a contatto con la scuola, nella quale entrambi hanno insegnato e hanno sviluppato “dal basso” riflessioni originali sulla pedagogia. Poi nei rapporti con il cinema: il primo come regista prolifico e il secondo come lo scrittore più cinematograficamente “fertile” degli ultimi decenni (dalla sua opera numerose pellicole). Poi PASOLINI E SCIASCIA: “ULTIMI ERETICI” intellettuali laici, anche fortemente critici AFFINITÀ E DIFFERENZE TRA DUE INTELLETTUALI verso la chiesa cattolica, ma con il senso SOLI E DISORGANICI, “FRATERNI E LONTANI” del sacro, e con una religiosità non ignara del senso del mistero. Poi avversione di SALA CONSILIARE - PALAZZO BUROVICH entrambi per l’avanguardia, anche se DE ZMANJEVICH| CASARSA DELLA DELIZIA entrambi attratti dalla sperimentazione. Infine: entrambi sono figure di contraddiVenerdì 8 novembre 2019 ore 15-18.30 zione, e infatti rivendicano esplicitamente Intervengono: Filippo La Porta, Ricciarda Ricorda, Bruno Pischedda, Giuseppe Traina, il diritto a contaddirsi. Inoltre innumerevoli sono stati i contatti, e Davide Luglio, Andrea Cortellessa. le collaborazioni tra i due: per una antoloOre 21 - Lettura scenica gia poetica - Il fiore della poesia romane“La notte delle lucciole” di Roberto Andò sca (1952) - Sciascia si avvale di una prenell’interpretazione di Marco Baliani messa scritta da Pasolini, che poco prima Sabato 9 novembre 2019 ore 9.30-12.30 aveva già recensito le Favole della dittaIntervengono: Roberto Andò, Daniela tura; si aiutano vicendevolmente per pubMarcheschi, Guido Vitiello, Roberto Chiesi. blicare i propri articoli su riviste; l'Affaire Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti Moro è un lungo colloquio con Pasolini, etc. Di tutto questo, e del continuo scambio di giudizi e pareri ( e perfino di richieUn’iniziativa del Centro Studi ste: Pasolini scongiura l'amico di votare Pier Paolo Pasolini in collaborazione con per Teorema al Premio Strega), testimoAmici di Leonardo Sciascia nia un epistolario significativo.


Lorenzo Mattotti ospite a Cinemazero mercoledì 6 novembre alle 20.45

Paola Bristot

Mercoledì 6 novembre alle ore 20.45 il Piccolo Festival dell'Animazione presenta insieme a Cinemazero - come anteprima al programma che si svolgerà dal 9 al 19 dicembre - il film: La famosa invasione degli orsi in Sicilia esordio alla regia di Lorenzo Mattotti. I primi episodi della storia, scritta e disegnata nel 1945 da Dino Buzzati, erano comparsi sulle pagine del "Corriere dei Piccoli" per essere poi ripresi nel libro omonimo da cui è tratto il film. La storia ha tutti gli ingredienti per poter reggere una versione in un lungometraggio animato, e in essa sono presenti sia motivi che fanno parte della vita (i desideri, gli appetiti, le paure di chi arriva da un altro posto, il potere, la sopraffazione), sia elementi tipici delle fiabe (il viaggio, la prova, la magia) che personaggi mitici (gatti mammoni, fantasmi, il serpente di mare o i cinghiali di Molfetta). L’adattamento cinematografico che Mattotti ha fatto insieme agli sceneggiatori Thomas Bidegain, Jean-Luc Fromental e Jerry Kramsky ha previsto delle modifiche nello sviluppo della trama per il passaggio dalla pagina stampata al linguaggio cinematografico. Si sono inseriti due personaggi non presenti nella storia originale: un cantastorie e una ragazza, Almerina, che prende il nome come omaggio alla moglie di Dino Buzzati. La lavorazione del film inizia nel 2012, e vede utilizzata come base un'animazione in 2D, con uno studio dei personaggi, delle scene che sono veramente complesse e sono state analizzate in tutti i particolari. Nelle scene di massa, per i movimenti degli eserciti e degli orsi si è introdotta la computer grafica in 3D. La volontà di Lorenzo Mattotti è stata quella di realizzare un film rivolto a tutti, al grande pubblico e soprattutto a quello più esigente dei bambini. Un obiettivo ambizioso che impone un rigore nelle scelte narrative e grafiche che devono rispettare alcune prerogative di un lungometraggio animato come la consequenzialità della storia attraverso la scelta soppesata di tutti i livelli di cui si compone, dai dialoghi alla musica, dalle azioni dei personaggi ai passaggi di scena. La sensibilità del regista ci è nota soprattutto per la sua grande capacità di disegnatore di storie a fumetti che sa evocare con il disegno e il colore atmosfere e narrazioni che sono riconosciute a livello internazionale come capolavori. Ci riferiamo a Fuochi, a Stigmate, o alla più recente Ghirlanda. Nella sua carriera troviamo diversi momenti in cui il suo lavoro si è intrecciato con il mondo del cinema d'animazione a cominciare con la collaborazione per il film Eugénio di Jean-Jacques Prunier, per citare poi l'episodio che ha diretto nel film Peur(s) du noir e la cura delle scene e dei personaggi per Pinocchio di Enzo D'Alò. Con La famosa invasione degli orsi in Sicilia si mette alla prova come regista di un lungometraggio e si tratta di un impresa che ha coinvolto una co-produzione francese e italiana con Prima Linea Productions, Pathé, France 3 Cinema, Indigo Film e Rai Cinema. Una prova che lo vede affermarsi come regista con un’opera destinata ad entrare nei “classici’ per bambini e adulti. Il film è stato presentato al festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e vede nella sua versione italiana doppiatori del calibro di Toni Servillo, Antonio Albanese e del grande scrittore recentemente scomparso, Andrea Camilleri. La proiezione si terrà a Cinemazero, alle 20.45 (info e prevendite su www.cinemazero.it) alla presenza del regista che inaugurerà, alle 18.00 presso gli Studiovivacomix e GrabGroup, una mostra legata alle pubblicazioni di Dino Buzzati e realizzata in collaborazione con l'Associazione Buzzati, Viva Comix, GrabGroup e il progetto Cortocircuito.

Anteprima PFA

La famosa invasione degli orsi in Sicilia


Due film e un festival

Lorenzo Codelli

Qui nacque il cinema

Lyon Lumière Ozon Pariser «Grazie a Dio i fatti sono perlopiù caduti in prescrizione!», esclama Philippe Barbarin, il cardinale di Lione interpretato da François Marthouret nel film di François Ozon Grazie a Dio, Orso d'argento alla Berlinale 2019. A sintetizzare il dominio assoluto della Chiesa lo vediamo innalzare l'ostensorio dorato dalla torre di Nôtre-Dame de Fourvière benedicendo - o maledicendo? - l'intera metropoli. Quella collina sembra un Vaticano in miniatura, costellata di conventi, cappelle, collegi religiosi, fino ad abbracciare la maestosa cattedrale di Saint-Jean, cuore della pittoresca Vieux Lyon. Malgrado i ricorsi legali per bloccarlo, il film di Ozon è uscito in Francia il 20 febbraio, due settimane prima del verdetto di condanna del reticente cardinale Barbarin (perdonato in seguito dal Papa) e del prelato pedofilo Bernard Preynat (poi espulso dalla Chiesa). Al di là dei suoi meriti politici e storici, Grazie a Dio dipinge lucidamente il clima di bigottismo e repressione ovattata che si respira in certi milieux lionesi. Premio Europa Cinémas alla Quinzaine des Réalisateurs 2019, Alice e il sindaco, opera seconda di Nicolas Pariser - un allievo del nostro caro amico Pierre Rissient -, affronta invece l'altra Lione, quella dei socialisti al potere incontrastato da lustri. Incarnato nella realtà dal popolare sindaco Gérard Collomb, tra i fondatori del macronismo. Nel film diventa l'immaginario sindaco Paul Théraneau, interpretato da un Fabrice Luchini in stato di grazia (come al solito!). Cosciente della propria crisi di ideali, il potente politico assume una giovane letterata (Anaïs Demoustier, irresistibile) per ritrovare slancio. I duetti a colpi di fioretto e di boutades si svolgono nei regali palazzi della Mairie, a place des Terreaux. Ispirandosi alla leggiadria dell'Eric Rohmer de L'albero, il sindaco e la mediateca (1993, Luchini tra gli interpreti), Pariser alla pari di Ozon mira ad esprimere l'essenza dei conflitti al vertice. Gli apologhi rincuoranti di Ozon e Pariser confluiscono, un po' come i fiumi Rodano e Saona a Lione, in un affresco possente del contesto socio-politico in mutazione. Ambedue evocano spesso, non solo per motivi geografici, l'indimenticabile opera prima del lionese Bertrand Tavernier L'orologiaio di St. Paul (Prix Louis Delluc 1974). In una viuzza nascosta del Vieux Lyon una targa ricorda il posto in cui il regista aveva ambientato il negozio dell'orologiaio Philippe Noiret. Da undici gloriosi anni Tavernier, presidente dell'Institut Lumière, assieme al camarade lionese Thierry Frémaux, direttore dell'Institut, ci regalano ogni ottobre un mega-evento, il Festival Lumière. «Un festival de cinéma pour tous!» (slogan ufficiale), che si svolge non solo nei multiplex del centro storico, nella Villa e nell'ex usine dei Fratelli Lumière, a rue du Premier Film, ma anche in 23 comuni del vasto circondario. 200.000 spettatori in dieci giorni affollano una sessantina di sale. Prevalgono i classici restaurati di recente, le rarità d'epoca, introdotti da innumerevoli cineasti e vip, tra una masterclass e l'altra. Francis Coppola, Prix Lumière 2019, ha presentato le novelle versioni de Il padrino Parte terza e di Apocalypse Now. Martin Scorsese, Prix Lumière 2015, l'anteprima francese di The Irishman. Ken Loach, Prix Lumière 2012, il suo imperdibile Sorry We Missed You. Bong Joon Ho, Palma d'oro 2019 per Parasite, una selezione di classici coreani che l'hanno influenzato. Marco Bellocchio, aspirante alle Nomination, l'anteprima francese de Il traditore. L'evergreen Donald Sutherland la riedizione in sala del Casanova di Federico Fellini. Frances McDormand un florilegio della propria luminosa carriera... L'elenco potrebbe continuare a lungo (vedi l'app Festival Lumière).



Al via dal 9 al 17 novembre al Teatro Miela di Trieste la 34 edizione

Laura Cardia

Cinema Latino Americano

Festival del Cinema Latino Americano Al 34° Festival del Cinema Latino Americano di Trieste, dal 9 al 17 novembre 2019 al Teatro Miela, l'America Latina continua a interrogarsi su se stessa e sulla propria identità, utilizzando tutti i generi del cinema. Circa un centinaio i film in programma, articolati nelle tradizionali sezioni di concorso (Concorso Ufficiale, Contemporanea, Mundo Latino, Malvinas); tra le opere già selezionate, Inocencia di Alejandro Gil Álvarez, appena scelto da Cuba per rappresentarla ai Premi Goya, i più importanti premi cinematografici spagnoli, e il brasiliano Veneza, di Miguel Falabella, con una splendida Carmen Maura e in anteprima europea. Tante le tematiche affrontate: dalla ricerca delle radici familiari ai sogni da raggiungere, dalle ingiustizie del passato da riparare a quelle del presente da denunciare. Dal Messico, Guerrero (nella foto qui a fianco) racconta la lotta di alcuni cittadini dello Stato di Guerrero contro la violenza dei narcotrafficanti e della corruzione; da Cuba, Herencia esalta colori, musica e sentire de L'Avana; dall'Argentina, Miró. Las huellas del olvido riscopre un paese perduto sotto le coltivazioni della soia, nella Pampa. Presenti anche le cinematografie di Paesi piccoli, che hanno grandi difficoltà nella produzione: dal Nicaragua arriva Antojología de Carl Rigby, un documentario sul poeta nicaraguense, pioniere della poesia Ni-caribeña, girato durante passeggiate nella vecchia Managua, conversazioni in casa sua e letture di poemi; dall'Ecuador, Panamá narra l'incontro tra due ex compagni di scuola di Quito, le cui strade si sono divise, uno lavora negli affari non sempre puliti di Panama, l'altro nasconde l'adesione alla guerriglia dietro la professione ufficiale; dal Guatemala, Septiembre (nella foto qui sotto) segue il viaggio di un padre e di una figlia, in fuga dalla guerriglia dell'interno. Tra le novità della 34° edizione del Festival, la trasformazione di Cine y Literatura in sezione competitiva: i film in gara, con sceneggiature tratte da capolavori della letteratura latinoamericana come Arráncame la vida o La tregua, saranno giudicati da una giuria composta da docenti delle Università di Trieste, Udine, Venezia, Padova, Bologna e Salerno, che collaborano da tempo con il Festival. La memoria è uno dei fili conduttori sin dalle prime edizioni della manifestazione triestina. Torna così la sezione Shalom, il sentiero ebraico in America Latina, che segue le tracce della presenza ebrea nel subcontinente e che quest'anno conta sulla prestigiosa collaborazione del Museo Ebraico "Carlo e Vera Wagner" di Trieste. Il 10 novembre 2019, sarà dedicato esclusivamente a questa sezione: i film saranno proiettati nel Museo, in un vero e proprio viaggio attraverso la cultura e l'identità ebraiche nel subcontinente. Vera di Manuela Irianni, Novia que te vea di Guita Schyfter, Morirse está en hebreo di Alejandro Springall, La experiencia judía de Basavilbaso a Nueva Amsterdam di Miguel Kohan, Cinco días sin Nora di Mariana Chenillo sono i film in programma. La Retrospettiva è dedicata al regista argentino Fernando Spiner, che ha stretti legami con l'Italia, essendosi formato nel Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Tra gli Eventi Speciali c'è Sertânia, del regista brasiliano, di origine italiana, Geraldo Sarno; la proiezione a Trieste è un'anteprima internazionale. Il manifesto del Festival è opera del designer cileno Sebastián Olivari. È un grande occhio dalle ciglia colorate, che rappresenta lo spettatore: "Racconta la magia del cinema, la doppia valenza della storia raccontata sullo schermo e nel riflesso sullo spettatore " spiega Olivari. Al centro della retina c'è l'America Latina, protagonista del Festival triestino, l'unico in Italia dedicato alle cinematografie latinoamericane e uno dei più antichi d'Europa, insieme al Festival del Cinema Iberoamericano di Huelva, in Spagna.


Tre rarissimi documentari per raccontare la Repubblica Democratica Tedesca

Riccardo Costantini

In occasione del trentennale dalla caduta del muro di Berlino Cinemazero ospiterà la rassegna 1989/2019 Trent’anni senza Muro, frutto del lavoro di ricerca nato in seno a Le Voci dell’Inchiesta – Pordenone Docs Fest, festival del cinema del reale di Cinemazero, che nella sua scorsa edizione aveva dedicato una particolare retrospettiva alla Repubblica Democratica Tedesca, alla riscoperta della sua storia e dei suoi film, cercando di andare al di là di ogni nostalgia, e della possibile retorica legata all'anniversario della caduta del Muro. Più di 40 sale cinematografiche in tutta Italia hanno deciso di ospitare la selezione cinematografica curata da Federico Rossin, storico e critico del cinema, e Alessandro Del Re, collaboratore della casa di distribuzione Reading Bloom. Cinemazero, ovviamente, è la prima di esse. L’evento è anche collegato alla mostra "Il muro infinito: Berlino 1989 -2019", realizzata dal Comune di Pordenone – Assessorato alla Cultura e Craf - Centro Ricerca Archiviazione Fotografia presso la Galleria Harry Bertoia, in collaborazione con Pordenonelegge.it – festa del libro con gli autori, dal 9 novembre 2019 al 6 gennaio 2020. La rassegna dei film, si propone di restituire un fedele spaccato di vita nell'ex DDR a cavallo del 1989, anno decisivo per le sorti della recente storia tedesca ed europea. La scelta dei film vuol porre l’accento su una narrazione della caduta del muro di Berlino e della scomparsa della DDR che possa svelare nuovi punti di vista sugli eventi del 1989. In tal senso le tre opere scelte andranno ad analizzare un prima, un durante e un dopo la caduta del muro proponendo così allo spettatore un percorso all’interno della dissoluzione della Germania Est che rintracci il decadimento ideologico sentimentale di un popolo e che sveli una società non pacificata durante il processo di unificazione con la Germania Ovest. La selezione è volta anche a fornire a un pubblico più giovane delle possibili chiavi di lettura di un periodo storico cruciale per la recente storia europea. Per rendere possibile tale svelamento i due curatori hanno scelto tre lungometraggi documentari prodotti dalla defunta DEFA (Studi cinematografici statali della DDR) e che potessero mostrare agli spettatori lo sguardo dei registi nati e cresciuti all’interno della DDR e il loro punto di vista sul cambiamento politico avvenuto. Il primo film è Verrigelte Zeit (Tempo bloccato), firmato da Sibylle Schönemann, regista della Germania dell'Est. Nel 1984, lei e suo marito vennero arrestati dalla Stasi - Ministero per la Sicurezza di Stato e incarcerati per poi essere esiliati nella Germania occidentale. Dopo la riunificazione, la regista decise di ritornare in patria con una troupe cinematografica per incontrare i suoi "carnefici", che, però non mostrarono alcun rimorso. Il secondo film è Die Mauer (Il Muro), di Jurgen Böttcher: Un film uscito nel 1990, che racconta gli ultimi giorni del muro di Berlino nel centro della città intorno a Potsdamer Platz e alla Porta di Brandeburgo, quando lo smantellamento del muro pervadeva i sensi. E' il film più rappresentativo sulla caduta del muro di Berlino: le immagini sono mostrate sullo sfondo acustico di macchine edili, immortalando masse di curiosi e l'arrivo inarrestabile dei media. Die Mauer riflette l'anima di Berlino in quei giorni di cambiamento. Il film sarà introdotto l'8 novembre da Eraldo Affinati, curatore anche della mostra "Memorie dal muro, a 30 anni dalla caduta, 1989 -2019". Chiude la selezione dei titoli un autentico capolavoro: Winter Adè (Addio inverno), di Helke Misselwitz. Girato nel 1989 è uno degli ultimi lungometraggi documentari della DEFA e rappresenta una pietra miliare del cinema del reale. Pochi mesi prima del crollo della DDR, Helke Misselwitz attraversa in treno il paese con la sua piccola troupe. Sono le donne a interessarla, di ogni età e classe sociale, che raccontano le proprie frustrazioni personali e professionali, le loro speranze e aspirazioni. E il film si trasforma nel commovente ritratto di una società in via di cambiamento e liberazione.

Lo sguardo dei maestri

1989-2019 Trent’anni senza muro


Tre serate ricche di emozione alla scoperta degli elementi della Natura

CAI - Incontri d’Autunno

Passione, determinazione, ricerca, esplorazione Ritornano, a novembre, gli appuntamenti della Sezione di Pordenone del Club Alpino Italiano nell’ambito della rassegna culturale Sul filo di cresta: immagini, parole, note, dedicata ai quattro elementi della Natura, terra – aria – acqua – fuoco, che sono il denominatore comune di film, video, protagonisti e autori delle serate. Gli spettatori, in un viaggio ricco di emozioni, saranno condotti dal fiume sotterraneo della più bella isola del mondo nelle Filippine, alle grandi montagne himalaiane e potranno attraversare il Sud America dall'Atlantico al Pacifico. Primo appuntamento giovedì 14 novembre con i due film vincitori del Premio Hells Bells, organizzato da Monte Analogo e dedicato a documentari, reportage e fiction girati nel complesso e poco conosciuto mondo ipogeo. Palawan – Il fiume misterioso una produzione Arte France, One Planet di Alexis Barbier – Bouvet, premiato con la Campana d’Oro è un documentario di grande spessore professionale, sia per quanto riguarda le riprese che per la grande valenza scientifico-divulgativa. Premiato con la Campana d’Argento il video “La Magára, il collettore segreto degli Alburni” regia di Pino Antonini e Vito Buongiorno del Gruppo Speleologico Marchigiano. Un lavoro che riesce a trasmettere in pochi minuti l’intuizione esplorativa di un gruppo di speleologi, che con la loro determinazione e fatica sono riusciti a raggiungere l’obiettivo sperato ed esprimere la soddisfazione finale nel raggiungerlo. Giovedì 21 novembre, protagonista della serata Simone Salvagnin, che con il suo Searching a new way racconterà al pubblico di come la passione per la montagna, per i viaggi e gli incontri nel mondo lo abbiano aiutato a riconquistare sé stesso dopo l’avvento di una malattia degenerativa che lo ha portato alla quasi totale cecità. Lo vedremo protagonista in Asia, con la spedizione VERSODOVENONSO 2010, il viaggio in tandem dall'Italia all'Uzbekistan in completa autonomia e in Sud America, con BICI & RADICI, attraversata in tandem dall'Atlantico al Pacifico riscoprendo le radici italiane dei nostri emigranti. Simone è atleta della nazionale italiana di arrampicata sportiva Paraclimbing e portavoce della carta dei diritti dei disabili ONU. Alcune sue parole: “La fatica ti costringe a liberare la mente. È per me fondamentale quindi avere una continua attività fisica per non lasciar assopire gli altri sensi. Sotto sforzo i miei pensieri mi appaiono più limpidi e riesco a concentrarmi molto meglio, è una sorta di meditazione che mi aiuta a prendere coscienza di me stesso nello spazio fino a riuscire a dimenticare completamente il mio limite”. Doppio appuntamento con il grande cinema per giovedì 28 novembre. Due docu-film che attraverso il racconto del vissuto di due giovani donne e del loro rapporto con la montagna e lo sport, offriranno al pubblico un momento di riflessione sulla contrapposizione della condizione femminile nel mondo occidentale e in quello orientale. Tamara Lunger, “Facing the limit, di Nora Ganthaler e Markus Frings (2017), narra la storia della giovane alpinista italiana che nel 2014 raggiunse la vetta del K2 come seconda donna italiana. Mira, di Lloyd Belcher (2016) è la storia di una ragazza cresciuta in un piccolo villaggio sulle montagne nepalesi, che ha coltivato fin da bambina il sogno di riuscire ad emanciparsi attraverso lo sport, superando gli ostacoli che, al pari di tutte le altre ragazze in Nepal, deve quotidianamente affrontare. Non le resterà altra strada che fuggire da casa e confrontarsi direttamente con i suoi sogni.


Un film di Bong Joon-ho. Un film Con Song Kang-ho, Sunkyun Lee, Yeo-jeong Jo. Or.: Corea del Sud, 2019. Dur.: 132’

COMMEDIA NOSTALGICA CHE RISALE IL TEMPO E SOLLEVA LO SPIRITO

LA BELLE EPOQUE

DI NICOLAS BEDOS Victor e Marianne sono sposati e 'inversi'. Lui vorrebbe ritornare al passato, lei andare avanti. Disegnatore disoccupato che rifiuta il presente e il digitale, Victor è costretto a lasciare il tetto coniugale. A cacciarlo è Marianne, psicanalista dispotica che ha bisogno di stimoli e ne trova di erotici in François, il migliore amico di Victor. Vecchio e disilluso, Victor accetta l'invito della Time Traveller, una curiosa agenzia che mette in scena il passato. A dirigerla con scrupolo maniacale è Antoine, che regala ai suoi clienti la possibilità di vivere nell'epoca prediletta grazie a sontuose scenografie e a un gruppo di attori rodati. Tutto è possibile, bere un bicchiere con Hemingway o sparare sull'aristocrazia del XVIII secolo. Victor sceglie di rivivere il suo incontro con Marianne, una sera di maggio del 1974 in un café di Lione ("La belle époque"). Sedotto dal fascino dell'attrice che interpreta la sua consorte a vent'anni, Victor col passato trova il futuro. Nicolas Bedos, ossessionato dal passaggio del tempo (Un amore sopra le righe), torna sui soggetti di predilezione: l'usura dei sentimenti e il rimpianto delle occasioni perdute. A sopportare gli oltraggi degli anni questa volta sono Fanny Ardant e Daniel Auteuil che interpretano con smalto una coppia sull'orlo di una crisi di nervi. Un uomo e una donna che da troppo tempo non condividono più niente e conducono vite parallele. Intorno a loro gravitano Guillaume Canet, regista tirannico e nevrotico, comme d'habitude, e Doria Tillier, compagna a intermittenza del personaggio di Canet che innamora il vecchio disegnatore di Auteuil. Convocate tutte le celebrità del cinema francese maggiore (Pierre Arditi e Denis Podalydès) e tutte le convenzioni della commedia degli equivoci, La Belle Époque è una messa in scena gioiosa del cinema che consente a Daniel Auteuil di ritrovare l'umorismo toccante dei vecchi ruoli e a Fanny Ardant la luccicanza sentimentale dei film di Truffaut, quella che la faceva svenire in un parcheggio dopo un bacio e le lasciava le cicatrici sui polsi perché in definitiva l'amore fa male. Convinti di non poter più stare insieme, le loro mani allacciate nel gran finale non intendono ragione. Perché Victor e Marianne sono fatti per accendersi e le loro mani per afferrarsi. Fatti per bruciare sempre e probabilmente ferirsi ancora. La forza del film non risiede solo nell'eccellenza degli interpreti ma altresì nella sceneggiatura di una precisione quasi ineccepibile, che si destreggia coi talenti convenuti fino a concludersi sulla riconciliazione di rigore. Se Nicolas Bedos domina così bene la materia è perché il personaggio di Guillaume Canet è fondamentalmente il suo doppio. Antoine è un regista che deve accordare un ensemble di rivali e di persone che hanno in comune solo una rappresentazione (d'epoca), quella che devono allestire ma che minaccia sempre di volgere in catastrofe. La disposizione benevola di Bedos fa lo charme di questa commedia romantica in astinenza d'amore, concepita come una successione di parole, baci e lacrime legati da un ritmo sostenuto. La bella meccanica gira a pieno regime, regalando ai suoi attori il registro di predilezione e rammentando agli spettatori che qualche volta i 'bei vecchi tempi' sono adesso.

PALMA D’ORO AL UN GIOIELLO CHE “GIOCA” CON I GENERI SPIAZZANDO LO SPETTATORE

PARASITE

DI BONG JOON-HO Ki-woo vive in un modesto appartamento sotto il livello della strada. La presenza dei genitori, Ki-taek e Chung-sook, e della sorella Ki-jung rende le condizioni abitative difficoltose, ma l'affetto familiare li unisce nonostante tutto. Insieme si prodigano in lavoretti umili per sbarcare il lunario, senza una vera e propria strategia ma sempre con orgoglio e una punta di furbizia. La svolta arriva con un amico di Ki-woo, che offre al ragazzo l'opportunità di sostituirlo come insegnante d'inglese per la figlia di una famiglia ricca: il lavoro è ben pagato, e la villa del signor Park, dirigente di un'azienda informatica, è un capolavoro architettonico. Ki-woo ne è talmente entusiasta che, parlando con la signora Park dei disegni del figlio più piccolo, intravede un'opportunità da cogliere al volo, creando un'identità segreta per la sorella Ki-jung come insegnante di educazione artistica e insinuandosi ancor più in profondità nella vita degli ignari sconosciuti. Bong Joon-ho ha costruito una carriera sulla distorsione del fantastico, con affreschi plastici di larga scala come The Host, Snowpiercer e il recente Okja. A dispetto del titolo, però, in Parasite non ci sono creature, né immersioni nel soprannaturale: solo due famiglie, due case, e la brutale dissezione di una disuguaglianza di classe nella società tanto coreana quanto globale. Le due case - letteralmente - raccontano la storia, con gli eventi sempre più tesi e rocamboleschi che vengono incorniciati da due finestre, ognuna con quattro pannelli. La prima è una minuscola apertura ribassata su un vicolo, che lascia entrare rumori, disturbi e disinfestazioni nel salotto dei protagonisti, già impegnati a contorcersi nelle poche stanze disponibili alla ricerca di una connessione WiFi priva di password nei paraggi. La seconda è una gigantesca vetrata a parete nella villa dei Park, che "inquadra" l'ampio giardino teatro di un climax a orologeria, e invita lo sguardo esterno, d'invidia e di indagine.

i film del mese

Un film di Nicolas Bedos. Con Daniel Auteuil, Guillaume Canet, Fanny Ardant. Or.: Francia, 2019. Dur.: 110’


i film del mese

Nell'era delle fratture sociali sempre più scomposte, Parasite è un'eccellente lettura del suo tempo, che Bong Joon-ho riposiziona nel verticale delle stratificazioni domestiche dopo averlo disteso sull'orizzontalità del treno in Snowpiercer. Alla fotografia, vivida e fluida nello sfruttare i volumi architettonici, c'è Hong Kyung-po, reduce dal fenomenale lavoro su Burning, che della lotta di classe faceva uno sfondo elegante laddove Parasite la erge ad allegoria principale. E come studio delle idiosincrasie familiari, Bong Joon-ho riesce a entrare nel pieno territorio del primo Lanthimos e dell'ultimo Peele. Un film di Roman Polanski. Con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Or.: USA 2019. Dur.: 126’

Un film di Woody Allen. Con Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena Gomez. Or.: Italia, 2019. Dur.: 92’

IL FAMOSO CASO DREYFUS CHE SCONVOLSE LA FRANCIA ALLA FINE DEL XIX SECOLO

L’UFFICIALE E LA SPIA

DI ROMAN POLANSKI Gennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell'École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell'esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all'umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Al disonore segue l'esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull'isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il caso sembra archiviato. Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato. Da uomo d'onore quale è si pone la giusta domanda: Dreyfus è davvero colpevole? Come si fa a rimanere un grande cineasta dopo lustri di onorata carriera e di una serie innumerevoli di premi ce lo dimostra Roman Polanski in quello che fin qui è stato il film più bello della 76a Mostra del cinema di Venezia. La storia de "L'ufficiale e la spia" - tratta dall'omonimo romanzo di Robert Harris, già utilizzato dal nostro per "L'uomo nell'ombra" - infatti è di quelle di cui non solo il cinema ma anche la saggistica e la letteratura si sono occupate più volte, contribuendo da par loro alle caratteristiche paradigmatiche oramai attribuite al cosiddetto "affare Dreyfus". Questo per dire come il soggetto in questione oltre ai rischi di retorica connessi con l'importanza dell'argomento, utilizzato nei dibatti contemporanei come cartina di tornasole del sopravvissuto antisemitismo europeo, non potesse contare, almeno in partenza, su quelle caratteristiche di novità e scoperta utili a stimolare l'interesse dello spettatore. Stiamo dicendo che nell'adattare per il cinema l'ennesima versione del caso in questione, Polanski doveva per forza di cose inventarsi qualcosa capace di giustificare gli sforzi anche economici legati alla realizzazione della sua creatura. In effetti, così succede a partire dal rapporto che ha la prima sequenza con le altre che seguono. Apparentemente ordinaria, seppur nella sua tridimensionale magnificenza, la scena relativa alla degradazione pubblica di Dreyfus, realizzata con un campo lunghissimo e onnicomprensivo dello schieramento di ufficiali, sottufficiali e militari semplici chiamati a fare da testimoni al "pubblico ludibrio", svolge una funzione di senso che il film si porta dietro nel corso di tutta la sua durata e che misura il grado di iniquità applicato dagli organi giudicanti nei confronti del condannato. Tanto più eclatante infatti è la forza menzognera dell'accusa, sancita dalla natura pubblica dell'evento come pure dalla ricerca del regista dell'estensione massima dello spazio possibile all'interno dell'inquadratura, quanto più clamorosa risulta la mancanza del medesimo metro di messinscena quando si tratterà di rendere onore alla verità dei fatti con la scoperta del complotto operato dagli alti ufficiali dell'esercito francese nei confronti del malcapitato e dunque della sua innocenza, tenuta nascosta al mondo non solo dalla volontà dei congiurati ma anche dalle scelte di regia di Polanski, deciso a far sentire la grandezza del misfatto (anche) attraverso l'idea di sottrarre spazio alle inquadrature - tutte girate in interni e in ambienti angusti e ordinari - e di consegnare la scoperta della verità a una non altrettanto grandeur visuale. Una posizione scontata, quella presa da Polanski a favore del suo personaggio, ma resa geniale dal modo in cui lo stesso ha deciso farcene parte. Una noblesse d’art che già da sé fa capire allo spettatore non solo che tipo di opera si troverà davanti una volta entrato in sala ma anche, e soprattutto, la capacità del regista di applicare ai fatti un punto di vista in grado di ricreare la verità del loro svolgimento ma di reinventarne - come si è cercato di spiegare sopra - la comprensione.

UNA COMMEDIA CAUSTICA, INCISIVA E INEFFABILE IN PERFETTO STILE ALLEN

UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK

DI WOODY ALLEN Gatsby e Ashleigh hanno deciso di trascorrere un fine settimana a New York. Lui viene da New York e non vede l'ora di mostrare alla fidanzata la sua città natale e lo charme vintage dei suoi luoghi di predilezione. Lei viene da Tucson, Arizona, e si occupa del giornale della modesta università dove si sono incontrati. Élite urbana e provinciale, Gatsby e Ashleigh sono complementari e innamorati. Ma non basta, soprattutto a New York in un giorno di pioggia che rovescia acqua e destini. "La città ha preso il sopravvento", confessa Gatsby (Timothée Chalamet) a sua


Un film di Kim Longinotto. Con Letizia Battaglia. Or.: Irlanda 2019. Durata: 97’

RITRATTO DELLA PRIMA FOTOREPORTER ITALIANA NELLA PALERMO DELLE STRAGI

LETIZIA BATTAGLIA SHOOTING THE MAFIA

DI KIM LONGINOTTO Vita e carriera di Letizia Battaglia, fotografa palermitana e fotoreporter per il quotidiano L’Ora, raccontata con taglio intimo e privato, a partire dalla sua turbolenta giovinezza. Dal lavoro sulle strade per documentare i morti di mafia, all’impegno in politica con i Verdi e la Rete, Battaglia è stata una figura fondamentale nella Palermo tra gli anni Settanta e Novanta. “Sono sempre stata una donna in lotta, senza saperlo”. Così dice di sé la siciliana Letizia Battaglia, 84 anni e la testa lucidissima, nel documentario rivelatorio che le dedica Kim Longinotto, regista dal curriculum militante, figlia di un fotografo italiano. Realizzato montando interviste recenti con spezzoni di film, filmini amatoriali e foto realizzate da Battaglia nel corso della sua lunghissima carriera, Longinotto innesca il racconto portando subito lo spettatore al cuore della donna che domina lo schermo - fisico possente, caschetto tra il rosso e il rosa, sguardo vivace - dipingendo il ritratto esplosivo, in pieno post #metoo, di una gigantessa dell’emancipazione femminile. Sposata prestissimo, a 16 anni, Battaglia tradisce e lascia il marito, dal quale rischia di farsi sparare addosso (“La sua storia la sapeva tutta Palermo”), e approda alla fotografia solo dopo aver compiuto quarant’anni. Sono gli anni Settanta, quelli della Palermo in cui “capitavano anche cinque omicidi al giorno”, e lei riesce a farsi assumere, prima donna in Italia, come fotoreporter al giornale L’Ora. Le sue foto, rigorosamente in bianco e nero, ritraggono i morti della mafia ma anche i mafiosi in pieno volto, spesso umiliati dai suoi scatti negli attimi successivi all’arresto. Quel che interessa a Longinotto - ben consapevole della fascinazione che ancora oggi i padrini corleonesi esercitano all’estero - è l’approccio di Battaglia ai suoi soggetti. Il fatto, cioè, che vedesse (e ritraesse) la mafia per quel che era: “gente sciatta e vestita male”, lontana dall’epica moderna del gangster-chic, di cui era inevitabile avere paura. “La mafia a Palermo è ovunque - avverte apocalittico un giornalista inglese in una delle corrispondenze montate all’interno del film - anche al cimitero”. Il documentario procede ordinatamente, sul piano della cronaca, con l’arco tragico dei massacri di mafia (Falcone e Borsellino), ma il cuore del racconto resta su Battaglia: una donna che ha scelto il lavoro come liberazione, la libertà sessuale come emancipazione, e che nelle fotografie trova qualcosa di più di una semplice realizzazione personale. Fotografare è per Battaglia partecipare: è condividere, ma nel senso più solidale e meno narcisistico del termine. Lasciata la fotografia per la politica, “esperienza umiliante”, Battaglia lascia anche il suo compagno. “Sono rimasta per vent’anni da sola”, dice oggi, per nulla turbata, presentando alla camera di Longinotto il suo nuovo partner di 38 anni più giovane. Una storia d’amore, di ferocia e tenerezza che meritava, davvero, di essere raccontata.

i film del mese

madre, provando a spiegarle il suo rocambolesco soggiorno a New York, un seguito di deragliamenti che lo hanno allontanato dal disegno iniziale: un weekend romantico con Ashleigh (Elle Fanning), 'rapita' dalla città. Quell'asserzione avrebbe potuto pronunciarla qualsiasi altro personaggio alleniano perché New York nei film di Woody Allen è una zona d'intensità che i suoi eroi misurano alla ricerca di una (ri)partenza finzionale, che puntualmente arriva. Come se il resto dell'America restasse ineluttabilmente esclusa da quella tensione romanzesca. Nuova variazione jazz sull'immaginario newyorkese, Un giorno di pioggia a New York è una commedia ineffabile come la nascita di un sentimento. E nell'economia alleniana, una commedia succede sovente a un film risolutamente drammatico (La ruota delle meraviglie). Come un vecchio ritornello riorchestrato, ritroviamo con piacere il 'sistema Allen', un universo (aperto) di sensazioni che conosciamo bene. Una sorta di destrezza dei sensi e delle immagini, delle idee e delle emozioni continuamente rilanciata. Al cuore del film c'è la città, intorno la pioggia, Chet Baker e F. Scott Fitzgerald. Allen invece lo riconosciamo dietro la personalità di Gatsby, studente mingherlino che ama solo i vecchi film, i locali rétro, i giorni di pioggia e George Gershwin. Una coppia all'assalto di una metropoli a prova di tentazioni ci riconduce all'alba del cinema, a l'Aurora di Murnau. Gli amanti all'epoca ne uscivano più uniti che mai, quasi un secolo dopo, e sotto lo sguardo di Allen, sappiamo subito che le cose non saranno così facili. Niente andrà come previsto dal protagonista e tutto andrà ineluttabilmente come in un film di Woody Allen. Un film caustico e incisivo con un senso smagliante della punchline associata al ritmo delle trovate visive. Come Philip Roth, l'autore non rinuncia a giocare il ruolo dell'ebreo mal-educato: la verità nel film esce dalla bocca delle 'puttane' e né i soldi, né la famiglia, né l'educazione offrono ripari stabili. In un racconto accomodato tra signorini e signorine d'America, i capitali (finanziari, culturali, fisici) sono tasti fragili su una tastiera difficile, quella dei cliché che Allen suona sofisticato e fertile come nessuno.


Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

TRIESTE SCIENCE + FICTION FESTIVAL 2019 Trieste, luoghi vari - fino a domenica 3 novembre 2019 Trieste Science+Fiction Festival è il più importante evento italiano dedicato ai mondi della fantascienza e del fantastico. Cinema, televisione, new media, letteratura, fumetti, musica, arti visive e performative compongono l'esplorazione delle meraviglie del possibile. La selezione ufficiale del Trieste Science+Fiction Festival presenta tre concorsi internazionali: il Premio Asteroide, la cui giuria sarà presieduta dal regista cult Brian Yuzna, competizione internazionale per il miglior film di fantascienza di registi emergenti a livello mondiale, e i due Premi Méliès d’argento della European Fantastic Film Festivals Federation per il miglior lungometraggio e cortometraggio di genere fantastico europeo. La sezione Spazio Italia ospita il meglio della produzione nazionale. Quest’anno verrà celebrato il regista, produttore e creatore di effetti speciali Phil Tippett, vincitore di due Premi Oscar e celebre per il suo contributo visivo a Il ritorno dello Jedi e Jurassic Park. A Tippett è stato assegnato il Premio Asteroide alla carriera che ritirerà durante la cerimonia ufficiale al Politeama Rossetti domenica 3 novembre alle 17.00. Info: www.sciencefictionfestival.org

IL VOLO DEL JAZZ - 15ª EDIZIONE

Pordenone, Sacile - fino al 30 novembre 2019 Il volo del jazz 2019 porta sul palcoscenico regionale gli storici protagonisti del jazz internazionale unitamente a ciò che di meglio ribolle nel panorama attuale, così che, accanto ai nomi celebri, trovano spazio contributi innovativi, freschi, originali: musicisti che attingono alla migliore tradizione jazz ma innestandovi nuove sonorità, portando un nuovo respiro. Nove, in totale, i concerti, che come sempre partono dal jazz ma sono aperti alle contaminazioni con altri generi e alla valorizzazione di culture diverse, nel segno di una musica realmente senza confini. Un programma denso, pensato per incuriosire, stupire, per portare al pubblico proposte non consuete, arricchite da una serie di altri eventi che sottolineano l’impegno per la valorizzazione dei giovani musicisti e artisti in generale, il rapporto con il territorio, costruiti con l’obiettivo di offrire altrettanta originalità e godibilità. Da segnalare, in collaborazione con Cinemazero, i concerti organizzati nell’ambito della rassegna Gli occhi dell’Africa: K.O.G. & Zongo Brigade di martedì 12 novembre e Seun Kuti & Egypt80 di domenica 30 novembre. Info: www.controtempo.org

BERTOLUCCI VERSUS PASOLINI: LA STORIA DI UNA INCREDIBILE PARTITA Cinemazero - Giovedì 28 novembre ore 20.45 Centoventi contro Novecento di Alessandro Scillitani e Alessandro Di Nuzzo (Italia, 2019) 52′. Alla presenza del regista Alessandro Scillitani Un evento in collaborazione con Centro Studi Pier Paolo Pasolini - Casarsa della Delizia Marzo 1975, Cittadella di Parma. Sul campo di calcio, due squadre singolari: la troupe di Salò o le Centoventi giornate di Sodoma e quella di Novecento. Pasolini e Bertolucci. Due film che segneranno la storia del cinema italiano e che si stanno girando negli stessi giorni, a pochi chilometri di distanza. Una partita epica, il racconto di un’epoca, di utopie e distopie. Nel film, anche diverse rare fotografie dagli archivi fotografici di Cinemazero.



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