€ 1,00 mensile di cultura cinematografica
Marco Segato e Marco Paolini ospiti venerdì 4 novembre
Gli Occhi dell’Africa
Un calendario ricco di appuntamenti per festeggiare la X edizione
Only one: soltanto uno
In Mediateca alla scoperta dei registi di un unico film in carriera
Afterimage/Powidoki di Andrzei Wajda Una “summa” magistrale
L’ultima spiaggia, un inno alla leggerezza Davide Del Degan: da Cinemazero a Cannes.
La grande storia è quella di muoversi
La Settimana Regionale dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile
Domani accadrà
Ovvero se non si va non si vede
16
Novembre
La pelle dell’orso: il debutto di Segato e Paolini
2016 numero 10 anno XXXVI
Dieci anni di cinema in FVG
Nel 2006 l’approvazione della “legge cinema”, la prima in Italia
spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Nel 2006 l’approvazione della prima legge “organica” in materia di cinema e audiovisivo
In copertina Marco Paolini e Leonardo Mason protagonisti de La pelle dell’orso di Marco Segato. Il regista e Marco Paolini incontreranno il pubblico di Cinemazero il prossimo venerdì 4 novembre.
cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Novembre 2016, n. 10 anno XXXVI Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Manuela Morana Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Elena d’Inca Direzione, redazione, amministrazione Via Mazzini, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica
Piero Colussi
Sono oramai passati 10 anni da quando il 6 novembre 2006 il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia approvava, pressoché all’unanimità, la legge n.21: testo legislativo organico in materia di cinema e di audiovisivi. Era la prima volta che ciò accadeva in una regione italiana: indice indubbio della maturità culturale e della coesione degli operatori di questo mondo. Prima però erano stati necessari quasi due anni di lavoro di una commissione composta da una dozzina di esperti in rappresentanza di tutto il sistema culturale cinematografico della regione incaricata di mettere a punto un documento che individuava le “Linee guida per una proposta di legge a sostegno dell’attività e della cultura cinematografica e audiovisiva del FVG”. Un’esperienza di partecipazione dal basso che rimane a tutt’oggi nella nostra regione, almeno nel campo della legislazione culturale, ineguagliata. Quel documento metteva a fuoco assai bene quali dovevano essere le linee di intervento su cui poter costruire – finalmente – un sistema integrato capace di valorizzare, conservare, tutelare, studiare, promuovere e produrre il cinema e l’audiovisivo. Quattro i temi individuati su cui sviluppare la proposta: 1) Valorizzazione, promozione del cinema di qualità: festival, rassegne, circuito cinema e esercizio d’essai; 2) Film e audiovisivo: bene culturale da conservare, tutelare e valorizzare; 3) Didattica del linguaggio audiovisivo e della cultura cinematografica; 4) Produzione audiovisiva e formazione professionale. Dieci anni dopo, seppur in sintesi, possiamo affermare, senza tema di smentite che quelle proposte erano corrette ed i risultati ottenuti lo stanno a dimostrare. Gli spettatori grazie alla rete delle sale d’essai e di qualità che comprende Cinemazero a Pordenone, il Visionario e il Centrale a Udine, Kinemax a Gorizia e Monfalcone, l’Ariston a Trieste sono cresciuti notevolmente (parliamo di quasi 450mila presenze all’anno) e gli autori, di conseguenza, Una scena de Il ragazzo invisibile sempre più spesso, scelgodi Gabriele Salvatores, girato in FVG no la nostra regione per le anteprime dei loro film. Si è inoltre consolidato grazie al progetto “Visioni d’insieme” un circuito virtuoso di sale periferiche un tempo chiuse o con una programmazione molto limitata: parliamo di Gemona del Friuli, Maniago, Codroipo, Spilimbergo, San Daniele del Friuli, Casarsa della Delizia, San Vito al Tagliamento. e Cormons. Tutte le sale grazie al sostegno regionale sono riuscite inoltre a superare l’emergenza del passaggio dalla pellicola al digitale che si è presentata pochi anni fa e che ha interessato circa quaranta schermi. Ancora irrisolto invece il nodo relativo all’approvazione del piano regionale per l’apertura delle sale cinematografiche: si tratta di uno strumento indispensabile per evitare il sovraffollamento di sale nelle stesse aree comunali dove il bacino di utenza è insufficiente. Se è comprensibile che la necessità di favorire nuovi investimenti (leggi multiplex di Villesse nel parco commerciale Tiare) abbia fatto si che nel 2012 la Giunta Tondo revocasse una delibera già approvata, non si capisce perché oggi la Giunta Serracchiani si sia dimenticata di approvare il Piano in questione. [segue sul prossimo numero]
Dieci anni di cinema in FVG
Dieci anni di cinema in Friuli Venezia Giulia
Venerdì 4 novembre Marco Paolini e Marco Segato ospiti a Cinemazero
Marco Fortunato
Intervista a Marco Paolini
La pelle dell’orso Anni ’50. Domenico è un ragazzino che vive in un piccolo paese nel cuore delle Dolomiti. Il padre, Pietro, ha cinquant’anni ma sembra più vecchio, consumato com’è dalla solitudine e dal vino; per vivere lavora nella cava alle dipendenze di Toni Crepaz, un impresario senza scrupoli. Il rapporto tra padre e figlio è aspro e difficile, i lunghi silenzi li hanno trasformati in due estranei. Da qualche tempo la tranquillità del posto è messa a dura prova dalla presenza nella valle di un orso feroce che uccide gli animali e incute un terrore superstizioso: “el diàol”, il diavolo, lo chiamano i vecchi. Una sera all’osteria in uno scatto d’orgoglio, Pietro sfida Crepaz e dichiara che sarà lui ad ammazzare l’orso in cambio di denaro. Il giorno seguente, all’alba, Pietro s’incammina; Domenico decide di seguirlo. Padre e figlio si immergono nei boschi, sempre più a fondo, fino ad esserne inevitabilmente trasformati. A poco a poco si riavvicinano e il muro che li separava si sgretola nell’immensità della natura. In attesa di conoscere personalmente i protagonisti e il regista abbiamo intervistato Marco Paolini. La pelle d'orso segna un doppio debutto, quello del documentarista Marco Segato, alla sua prima prova con una storia di fiction, e il suo in un ruolo da protagonista. Come mai ha deciso di accettare questa sfida? Marco Segato meritava l'occasione di un lungometraggio dopo i suoi documentari. Noi alla Jolefilm ne siamo convinti. Personalmente non l'ho sentita come una sfida personale ma di squadra. Il romanzo di Matteo Righetto descrive un Heimat che mi appartiene e da qui, non da altro, sono partito. La mia vera sfida è far dimenticare al pubblico chi sono e cosa ho fatto in questi anni, e farlo già dalla prima inquadratura del film. Nel film lei interpreta Pietro, un uomo consumato dalla vita, che parla poco e beve molto. Anche per questo, credo, nella sua recitazione gli sguardi e i silenzi prevalgono sulle parole. Quanto ha contato la sua lunga esperienza teatrale nella costruzione del personaggio? Non lo so e non posso giudicarmi partendo dalla mia esperienza teatrale. Di personaggi non ne ho costruiti poi molti o di sicuro non è su quello che mi sono specializzato. I silenzi di Pietro fanno parte del paesaggio: la Val Zoldana un tempo produceva chiodi e, anche se hanno smesso di farli, un po' di ruggine nel carattere degli uomini è rimasta, e a me questo piace. Pietro per me è molto più orso del vero orso della storia, ed è a lui (l’orso) che mi sono ispirato. Ho copiato spudoratamente la sua recitazione: bisognerebbe forse chiedere a lui se ha alle spalle una lunga esperienza teatrale. Al suo fianco, per quasi tutto il film, il giovane Leonardo Mason. Com'è stato lavorare con lui? Come avete costruito il rapporto tra i vostri personaggi? Leonardo è solido e molto determinato. Ha mantenuto lo stesso approccio al lavoro dal primo all'ultimo giorno e, va detto a suo merito, ha dato anche gli esami di terza media durante la lavorazione. Dato che Pietro non ha un buon rapporto con il figlio ho mantenuto un po' di distanza per evitare una confidenza che a mio parere non doveva far parte della storia. Non gli ho quasi mai dato suggerimenti, di questo si sono occupati regi-
sta e l'attore Mirko Artuso che gli ha fatto da trainer. Ad un certo punto nel film gli do un ceffone, lo spazio era stretto e molto scuro, un attimo prima di girare l’ho avvisato: guarda che te lo do davvero. L'ho detto solo a lui e l'ho fatto. Per fortuna di quella era buona la prima. Bisognerebbe forse chiedere a lui come stato lavorare con uno che ti tira un ceffone così. Il film, che ha molti elementi del racconto di formazione, ma non solo, sembra poter prendere in qualsiasi momento diverse strade narrative, lei che è anche co-sceneggiatore, può raccontarci come avete lavorato alla scrittura? La sceneggiatura è scritta con il regista Marco Segato e con Enzo Monteleone che suppliva all’inesperienza mia e di Segato in fase di scrittura cinematografica. In questo film ho proposto scene, dialoghi e soluzioni alternative, lasciando sempre che fossero lor a decidere. Per me dall'inizio è stato decisivo sapere che non avevo l'ultima parola sulla scrittura. Ovviamente mi sono battuto per le cose che mi parevano importanti ed è stato molto avvincente come lavoro. Come diceva Truffault, i tre film: quello scritto, quello girato e quello montato sono, come sempre, abbastanza diversi uno dall'altro. Abbiamo perso delle cose perché le scene non erano come avevamo immaginato, ma questo ci ha costretto a guardare con più attenzione la storia che il girato raccontava dimenticando le intenzioni iniziali. Il film per esempio non dà conto di tutte le domande che uno può farsi sulla famiglia di Pietro e Domenico, nemmeno Domenico sa come è morta sua madre. Per imbarazzo e per ignoranza in certe famiglie si nascondono ai figli le storie scabrose in attesa che siano abbastanza grandi per capirle e quel tempo non sembra arrivare mai. A proposito di questo, dietro le poche parole che il padre e il figlio si scambiano si intuisce una ferita di guerra, un soldato tornato a casa, probabilmente dopo lunga prigionia, che trova un altro che si era piazzato a casa sua e lo uccide. Il cinema ha già raccontato più volte storie così, così come ha raccontato l’epico scontro uomo-animale feroce, gli ingredienti in fondo sono quelli ma il sapore dipende da come si cucinano insieme. Il film è ispirato all'omonimo libro di Matteo Righetto. Può raccontarci come lei e il regista avete lavorato alla trasposizione in immagini del testo scritto, quali elementi avete valorizzato e quali invece "riadattato" in questo passaggio? Penso al fatto, ad esempio, che il libro contiene una serie di riferimenti al Vajont, che nel film sono stati eliminati. Per me era difficile anche solo immaginare di far parte di un film che usasse il Vajont come sfondo. Nel romanzo la tragedia del Vajont ruba la scena al ragazzo con l'orso ridimensionando brutalmente il valore della sua impresa. Abbiamo riambientato la vicenda a metà degli anni 50 togliendo così ogni collegamento. Anche il personaggio interpretato da Lucia Mascino è nuovo rispetto al romanzo, ma non è di pura invenzione. Le donne di alcuni paesi, tra questi Erto nella valle del Vajont, tradizionalmente d’estate lasciavano il paese e facevano le ambulanti andando per mercati e per case a vendere oggetti artigianali. Questo rompeva l’equilibrio patriarcale delle famiglie e, come per le mondine in pianura, permetteva loro una libertà che a casa non avevano. Mi piaceva mettere nel film un personaggio così. Il film arriverà tra poco in Italia dopo aver toccato importanti tappe all'estero e raccolto numerosi premi (Montreal, Annency, Busan). Quali sono state le prime reazioni del pubblico alla visione del film? Come si aspetta reagirà il pubblico italiano? All’estero è partito molto bene con ottimi riscontri sia di pubblico che di critica e aver vinto il Festival del Cinema italiano di Annecy fa ben sperare anche per l’Italia. E’ un film apprezzato molto anche dalle donne e dai ragazzi giovani e quindi spero che sia no famiglie intere ad andare a vederlo.
Un ricco calendario di appuntamenti per festeggiare la decima edizione
Martina Ghersetti
L’Africa vista da noi
Gli Occhi dell’Africa Gli occhi dell’Africa si apre venerdì 4 novembre, ed è tempo di bilanci, perché questa è la decima edizione. Un numero importante, di questa manifestazione organizzata dalla Caritas della Diocesi di Concordia-Pordenone, Cinemazero e L’Altrametà, con il contributo dell’ex Amministrazione Provinciale. All’edizione di quest’anno partecipano il Centro Culturale Casa A. Zanussi e l’associazione UNASp/ACLI (Unione Nazionale Arte e Spettacolo) di Pordenone. Fin dalle origini la rassegna di cinema e cultura africana ha cercato di far conoscere un continente, formato da cinquanta Paesi diversi, al di là degli stereotipi, coinvolgendo anche le comunità africane del territorio. Si sono visti molti film che hanno dato voce alle sensibilità artistiche di diverse zone del’Africa, pellicole proiettate quasi sempre in lingua originale con sottotitoli, proprio per valorizzarle al massimo anche di fronte ad un pubblico africano. Si è scoperto un mondo cinematografico diverso dal nostro, ancorato ai valori tradizionali, spesso sconvolto dalle istanze della modernità, che vengono declinate sempre in modo molto originale. Anche quest’anno Gli occhi dell’Africa presenta cinque pellicole che riflettono l’evoluzione di Paesi che vengono contaminati dalla globalizzazione che, per esempio, si trovano a convertire i luoghi di antiche produzioni agricole in moderni resort per turisti danarosi, come racconta Lonbraz kann. Poi l’importanza crescente delle donne: non a caso tre film su cinque raccontano il nuovo universo che stanno tracciando le istanze di rivendicazione femminile. Anche le donne africane vogliono essere protagoniste della loro vita, ribellandosi alla tradizione, che le vuole sempre soggette al volere maschile, chiuse in ruoli familiari lontani dalla voglia di confrontarsi con il mondo. Ci saranno la sposa ribelle di Certified halal, che i fratelli vogliono maritare contro la sua volontà, dopo che ha disonorato la famiglia parlando di sesso in una trasmissione televisiva; oppure Farah, che canta i problemi della sua Tunisia, alla vigilia della rivoluzione del 2010, in Appena apro gli occhi, canto per la libertà; o, ancora, Ayanda, una hipster africana che cerca di inventarsi una nuova vita, ed è invece costretta a lavorare come meccanico e confrontarsi con un mondo maschile ancora sopraffatto dagli stereotipi di genere. Il progetto nuovo, che aprirà ogni serata dedicata al cinema, è quello dello Young Club di Cinemazero: un gruppo di video maker in erba ha realizzato quattro corti, ciascuno dedicato ad una delle realtà africane che compongono il variegato mondo multiculturale che Pordenone ormai esprime da anni. Così conosceremo, attraverso le parole e i volti dei giovani di queste comunità, qual è la loro visione della città, le loro aspirazioni per il futuro, il loro sguardo sulla realtà. Saranno protagonisti di questi corti i ragazzi tuareg, esponenti della comunità che a Pordenone è la maggiore d’Italia di questo popolo del deserto. Ci saranno i giovani islamici, i ragazzi e le ragazze ghanesi, oltre ad un rappresentate africano dei numerosi rifugiati e richiedenti asilo presenti nel territorio pordenonese. Ad aprire la rassegna di cultura e cinema africano è, venerdì 4 novembre, la mostra Africa in volo, ospitata fino al 30 novembre nello Spazio Foto del Centro culturale Casa A. Zanussi di Pordenone: una serie di immagini, realizzate da dieci grandi fotografi, che presenta l’Africa vista da una prospettiva originale, dall’alto, in modo da svelarne paesaggi e geografie inedite, ancora una volta lontane dall’usuale visione che l’occhio occidentale ha di questo continente. All’inaugurazione presenti assaggi di dolci magrebini, preparati dalle mani delle donne marocchine che vivono a Pordenone.
Un originale rassegna in Mediateca dedicata ai registi autori di un unico film
Sabatino Landi
In un suo articolo del 1955, in cui lanciava la politica degli autori, François Truffaut affermava perentoriamente: "Non ci sono opere, ci sono solo autori". Ma quando si ha a che fare con registi che hanno realizzato un solo film in quale limbo devono essere collocati? Sono opere senza autori? Agli autori di un solo film è dedicata appunto Only One - Solo uno, una piccola rassegna che propone quattro film, opere uniche di quattro registi che facevano prevalentemente altro, ma che sono riusciti a realizzare film di grande interesse e di cui uno è un capolavoro assoluto. Si tratta de La morte corre sul fiume (The Night of the Hunter, 1955,) che aprirà la rassegna in SalaGrande in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna e che il grande attore inglese Charles Laughton trasse dal romanzo omonimo di Davis Grubb. E poiché "la qualità di un film è in parte una sommatoria delle qualità dei talenti che vi hanno collaborato" (R. L. Carringer), per il suo film Laughton ha saputo utilizzare magnificamente il talento di sceneggiatore dello scrittore e critico cinematografico James Agee, quello del direttore della fotografia Stanley Cortez (uno dei più straordinari usi della luce della storia del cinema) e le qualità interpretative di Robert Mitchum (nella foto qui sopra), che raggiunge in questo film l'apice della sua carriera di attore. Ancora di un attore in regia è il secondo, originalissimo film della rassegna: I due volti della vendetta (One-Eyed Jacks, 1961) di Marlon Brando. Nato da una sceneggiatura di Sam Peckinpah, poi completamente rimaneggiata anche, tra gli altri, da Stanley Kubrick che sembra avrebbe dovuto anche dirigerlo, il film nella sua versione originaria durava quasi cinque ore poi ridotto dalla produzione a poco più di due. Western tra i più atipici il film risente dello stile recitativo pausato del suo regista, rompendo gli schemi di un genere e contribuendo a porre le basi della sua crisi ma anche della sua rivisitazione con nuovi temi e nuove interpretazioni, in anticipo di qualche anno sulla New Hollywood. La New Hollywood a cui appartiene di diritto Electra Glide (Electra Glide in Blue, 1973), l'unico film dell'allora ventisettenne produttore musicale e compositore James William Guercio. La storia di un piccolo poliziotto motociclista che sogna di diventare detective. Controcanto di Easy Rider (il protagonista, un grande William Blake, si esercita sparando sul poster del film), Electra Glide rivela una straordinaria padronanza di stile e di messa in scena da parte di un esordiente che non ha mai fatto cinema, con un finale tra i più belli della storia del cinema, una camera car lunghissima e indimenticabile sullo sfondo della Monument Valley e sulle note e le parole della struggente Tell Me, scritta e musicata dallo stesso Guercio. A differenza di Guercio lo sceneggiatore Dalton Trumbo iniziò e chiuse la sua carriera di regista a 66 anni con E Johnny prese il fucile (Johnny Got His Gun, 1971), tratto da un suo libro del 1939. La storia di un soldato orribilmente mutilato durante la Prima guerra mondiale offre a Trumbo, comunista che subì il carcere durante la caccia alle streghe di McCarthy, la possibilità di realizzare una delle più potenti e toccanti pellicole mai prodotte contro la guerra e contro l’accanimento terapeutico. Vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 24º Festival di Cannes il film è un viaggio di rara forza attraverso una coscienza sospesa in una terra di nessuno tra vita illusoria e morte negata, alla ricerca di un modo per esprimere la propria umanità.
One shot
Only one: a colpo sicuro
XI Festa del Cinema di Roma
Lorenzo Codelli
Una "summa" magistrale
"Afterimage/Powidoki" di Andrzei Wajda «Quando guardiamo un oggetto ne riceviamo il riflesso negli occhi, la traccia dell'oggetto. In realtà vediamo solo ciò che siamo coscienti di vedere. Ciascuno di noi vede in modo diverso e ogni scelta è valida, in quanto è la nostra». Così spiega ai suoi allievi Władisław Strzemiński (Mińsk 1893 - Łódź 1952), il maestro dell'astrattismo che aveva perso un braccio e una gamba nella Grande guerra, e che perde la cattedra all'Accademia di Belle Arti e la reputazione all'avvento del regime comunista in Polonia. Come ha scritto dalla XI Festa del Cinema di Roma sul Corriere l'amico Paolo Mereghetti, Afterimage/Powidoki non rappresenta solo una precisissima ricostruzione degli anni '40/'50. Gli anni in cui il giovane Andrzej Wajda studiò prima pittura a Cracovia e poi cinema a Łódź. Come in tutti i suoi straordinari "film in costume", spesso di matrice letteraria - pensiamo solo a Danton, ambientato nel clou della Rivoluzione francese -, al magistrale regista polacco (Suwalki, 6/3/1926 - Varsavia, 9/10/2016) interessa trattare del presente, nonché del futuro, del proprio Paese. Futuro torbido, a dir poco, per come ci dipinge i tronfi funzionari e censori del Partito Comunista, manovrati da Stalin, assolutamente speculari a quelli governativi attuali del Pis (Partito Libertà e Giustizia), neofascisti revanscisti in sintonia con le minacciose ultradestre europee. Malgrado repressioni e attacchi, Wajda è riuscito per sessant'anni a realizzare senza sosta film scomodissimi, criticissimi e bellissimi che hanno varcato le frontiere del suo Paese e conquistato spettatori e premi ovunque. Quando iniziavo a interessarmi di cinema, il suo terzo lungometraggio, Cenere e diamanti (1958), spopolava nei cineclub. Un vero manifesto per gli angry young men di allora. La sanguinaria, disperata odissea d'una banda di ribelli ANTI-BOLSCEVICHI (sic), capitanati dal James Dean polacco, l'indimenticabile Zbigniew Cybulski, occhiali fumés nella vita come nei film. Alla prematura scomparsa del divo su un set Wajda dedicò un capolavoro autobiografico sconvolgente, Tutto in vendita (1968). Profezia del crollo del regime con un buon ventennio d'anticipo. Ci ho ripensato tristemente nel luglio scorso, passeggiando in via dei Giubbonari e scoprendo per caso la svendita di preziose memorie, concrete e ideali, allestita dalla storica sede romana del PD, che in seguito è stata chiusa for ever. Afterimage mi sembra un "sequel" di Tutto in vendita. Lo spudorato Wajda, a 89 anni, si rimette "in vendita" nel personaggio dell'astrattista Strzemiński, adorato dagli allievi, detestato da figlia e moglie, egocentrico, vanitoso, utopista, angry old man ormai senza difese. Indescrivibili il finale tragicomico, il prologo bucolico, le luci cangianti di Paweł Edelman, la performance trascinante di Bogusłav Linda, veterano mattatore wajdiano/kieślowskiano/źulawskiano. Alcuni ricordi personali. Nel 1982 Wajda supervisionò al Teatro Stabile di Trieste la regia dello spettacolo L'affare Danton, il testo di Stanisława Przybyszewska che aveva da poco adattato nel suo film Danton. Ebbi il piacere di dirigere al Cinema Ariston un affollato dibattito con lui, e si parlò solo dei suoi rivoluzionari Uomo di marmo (1977) e Uomo di ferro (1981) che stavano accelerando i trionfi del movimento Solidarność. Nel 2009 fui invitato al festival Camerimage a Łódź per il Lifetime Achievement Award a Dante Spinotti. La città era dominata dall'ombra benefica di Wajda. Dall'illustre Scuola di Cinema - diretta per decenni dall'italo-polacco Jerzy Toeplitz (Prix Jean Mitry 1990 a Pordenone) -, un modesto villino con attorno un modesto campus. Al Museo della Città - ex dimora lussuosa dell'industriale manifatturiero Izrael Kalmanowicz Poznański -, ove Wajda aveva girato varie scene de La terra della grande promessa (1974), la mirabile, controversa epopea del capitaIl pittore Władisław lismo ottocentesco. Alla parete una lettera di Wajda in cui si scusaStrzemiński nel 1932 va per il presunto anti-semitismo del film annunciandone una versione "emendata". Afterimage è stato girato anch'esso nell'amata Łódź. Il 22 settembre 2016 il novantenne Wajda ha introdotto sorridente dal palcoscenico, al 41 Festival di Danzica, la première di Afterimage. Ricevendo per l'occasione in dono dal Polish Film Institute un mega-cofanetto con 25 suoi film restaurati, più una mole di backstage, cortometraggi, interviste, storyboard ecc : https://youtu.be/zRkR3x6LUY8 Al Marché du Film Classique di Lione, pochi giorni dopo l'addio del cineasta, ho preso in mano il cofanetto-testamento, curato nei minimi dettagli da Wajda stesso in tre anni di lavoro. Sullo schermo lionese un trailer della strenna sintetizzava in 15 emozionanti minuti la sua opera epocale.
Il 9 novembre il regista sarà ospite a Cinemazero per incontrare il pubblico
Tommaso Lessio
Era l'estate del lontano 2003 quando il pubblico di Cinemazero ebbe l'occasione di conoscere per la prima volta un lavoro del regista triestino Davide del Degan. Allora si trattava del cortometraggio interno 9, inserito nel programma della prima edizione di FilmMakers al chiostro (ora FMK), il festival di Cinemazero dedicato ai cortometraggi. Sempre a FMK ma questa volta nel 2010 Del Degan vinse il premio del pubblico per il miglior cortometraggio con Habibi, delicata opera girata in Libano, vincitrice anche del prestigioso Nastro d'argento. Ora potremo rincontrare nuovamente Del Degan a Cinemazero per la presentazione del suo documentario, presentato a Cannes, L'ultima spiaggia, girato a quattro mani con Thanos Anastopoulos nella spiaggia Pedocin di Trieste dove, unica in Europa, un muro di tre metri separa ancora oggi gli uomini dalle donne. L’abbiamo intervistato in attesa di incontrarlo. Conoscevi già la spiaggia Pedocin? Com’è vissuto a Trieste questo stabilimento così unico? Io sono nato a Trieste e come tutti i triestini conosco molto bene questa spiaggia. A pochi passi dal centro, aperto 12 mesi l’anno, su questa spiaggia ho mosso i primi passi quando da piccolo venivo portato dai miei nonni al mare qui. Sicuramente quello che colpisce a chi arriva per la prima volta in questa spiaggia è il muro che la divide; donne e uomini sono separati all’ingresso da un muro di oltre due metri che entra fino in mare. Ma basta fermarsi e passare un po' di tempo al Pedocin per capire che è veramente un posto speciale per tanti motivi. E lo sono le persone che lo frequentano, la loro franchezza, la loro spontaneità, la loro forza emotiva. Qui tutto lascia traspirare la storia di questa terra e la voglia di sentirsi liberi, ma allo stesso tempo il bisogno di appartenenza. Al Pedocin la gente ritrova anche un’identità. Il muro, le barriere, le catene che si trovano dappertutto in questa spiaggia, sotto e sopra al mare, tutto rimanda alla storia di questa città di confine ma allo stesso tempo anche in maniera universale all’umanità, alle barriere interiori, alla vita, ai rituali quotidiani, all’amicizia. Questo film per noi è un viaggio alla ricerca dei confini esteriori e interiori dell’animo umano. Come siete stati accolti nello stabilimento? Era novembre quando siamo arrivati sulla spiaggia per la prima volta, c’erano poche persone, quelle che ci sono tutto l’anno, ma fin da subito ci ha sorpreso la loro voglia di raccontarsi e di raccontare questo stabilimento balneare. Siamo stati onesti con loro e abbiamo raccontato il nostro progetto e la nostra volontà a rimanere per 12 mesi assieme a loro, sia dal lato degli uomini che dal lato delle donne, dove in verità abbiamo dovuto muoverci con molta discrezione e cautela. Com’è stato lavorare a quattro mani sul documentario? Avete mai avuto divergenze di “visione”? E’ stato tanto casuale quanto bello. Per caso abbiamo cominciato a lavorare singolarmente su questo stesso soggetto, fino a quando un amico comune ha detto a uno dell’altro. Ci siamo chiamati, incontrati, non c’erano molte alternative: o lo faceva uno dei due da solo, o facevamo due film contemporaneamente, oppure potevamo farne uno assieme. Meno di 5 minuti e abbiamo subito capito che volevamo farlo assieme. Ci siamo dati poche regole: non fare interviste, non uscire mai dalla spiaggia e non conoscere niente dei nostri personaggi che non fosse la loro vita sulla spiaggia, non chiedere mai a nessuno di parlare, dire o fare qualcosa per noi, e rimanere 12 mesi ad osservare la vita di questo luogo e delle persone che lo frequentano. Hai già ricevuto parecchi riconoscimenti prestigiosi con i tuoi cortometraggi ma portare un film a Cannes per un regista dev’essere il massimo della vita! Com’è stata quest’esperienza? E’ stato fantastico, una gioia immensa! Per noi è stata una settimana incredibile e con incoscienza e leggerezza siamo passati attraverso a tanti momenti veramente indimenticabili. Del resto tutto è nato con leggerezza, quella leggerezza che permette di vedere i fatti in modo puro e di assaporarne ogni minimo istante, senza altre aspettative. Questa leggerezza ci ha fatto mandare il film al festival quando ancora eravamo in una fase di pieno montaggio, in quanto il materiale ci sembrava buono per cui abbiamo detto “Mandiamo, non ci costa niente”. Abbiamo continuato a lavorare al montaggio, finché il 10 aprile, a meno di un mese dal festival abbiamo ricevuto una mail in cui il direttore del festival si complimentava e ci scriveva che eravamo nella Selezione Ufficiale del festival di Cannes. Il giorno dopo siamo corsi a guardare la conferenza stampa in diretta su youtube, per essere sicuri che fosse vero e non un sogno!
Da Pordenone a Cannes
L’ultima spiaggia un inno alla leggerezza
XI edizione per la Settimana Regionale dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile
Paolo Fedrigo
“La grande storia è quella di muoversi”. L’affermazione attribuita a Lao Tzu identifica l’idea della Settimana Regionale dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2016, che si svolgerà dal 21 al 27 novembre e avrà come titolo “Rotte, direzioni per la sostenibilità”. Giunta alla sua undicesima edizione, la Settimana prende il largo, traccia “rotte” di possibili viaggi, strade, direzioni. Percorre, idealmente e concretamente, il tempo e lo spazio, in un mondo interconnesso, dove il vicino e il lontano hanno alterato i loro significati, addentrandosi in territori sconosciuti. La sostenibilità, il suo paradigma in costruzione, la sua complessità, richiede riflessioni non generiche, né generaliste; reclama impegni collettivi, partecipazione ampia, articolata, diversificata. La rotta, dunque, non è solo la direzione seguita da una nave o da un aereo, è un passaggio, un modo di attraversare luoghi e significati, lasciando, come traccia indelebile per sé e per gli altri, un frammento di storia che da personale diventa collettiva. È su questo senso di essere segno, gesto, incisione, che prende le mosse la riflessione, l’interrogarsi contemporaneo sulle “rotte”. Come ogni anno, si rinnova la collaborazione tra il LaREA e le mediateche del Friuli Venezia Giulia attraverso il progetto Mediatecambiente, dedicato all’educazione ambientale attraverso l’audiovisivo. In particolare a Pordenone, si approfondirà il tema delle “rotte” dei migranti ambientali anche detti emigranti climatici o eco-profughi, oppure ancora “rifugiati ambientali”, come li definì Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), entro il 2050, i profughi ambientali potrebbero essere addirittura 200-250 milioni di persone. Di questi e altri aspetti parleremo con Valerio Calzolaio, esperto di migranti ambientali e autore del libro “Libertà di migrare” che introdurrà martedì 22 novembre la proiezione di Ghost Land di Simon Stadler. Il documentario tedesco descrive a modo suo le “rotte” e la vita di uno dei popoli più antichi del Pianeta, i boscimani Ju/’Hoansi del deserto del Kalahari. Dal 1990, quando il governo della Namibia ha vietato per legge la caccia a scopo alimentare, la vita dei Ju/’Hoansi è profondamente cambiata e oggi sono costretti a sopravvivere grazie alle poche sovvenzioni governative e alla scarsa generosità dei turisti più avventurosi. Da qui inizia un viaggio in compagnia di un gruppo di Ju/’Hoansi alla scoperta del mondo degli “altri”, che dalla Namibia ci porterà in Germania, nel cosiddetto “mondo sviluppato”.
Rotte, direzioni per la sostenibilità
La grande storia è quella di muoversi
i film del mese
Un film di John Carney. Con Lucy Boynton, Maria Doyle Kennedy, Aidan Gillen. Irlanda, 2016. Durata: 106 min.
Un film di Michael Grandage. Con Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman. USA, 2016. Durata 104 min.
TRA LEVITÀ E PROFONDITÀ, UN ENSAMBLE DIVERTENTE E INTELLIGENTE
SING STREET
DI JOHN CARNEY Conor vive nella Dublino di metà anni '80, ha 16 anni e un talento nella scrittura di canzoni. L'incontro con l'aspirante modella Raphina, di cui s'innamora perdutamente, lo spinge a fondare una pop band per attirare la ragazza come attrice di videoclip. Nel frattempo il matrimonio dei genitori va in frantumi: saranno la musica, l'amore e l'inossidabile rapporto col fratello maggiore a dare al ragazzo un coraggio che non credeva possibile. Mentre il Brit pop esplodeva nel mondo e Londra era the place to be, gli adolescenti e i giovani irlandesi si sentivano inevitabilmente periferici. L'unico sogno era salpare verso la costa inglese e farsi inghiottire dalle bancarelle e dai pub affollati di Camden Town. In quell'atmosfera decadente ma sognatrice, il dublinese John Carney aveva pressappoco la stessa età di Conor. Facile credere che quella chitarra acustica che il ragazzo armeggia ancora insicuro come strumento per non sentire i genitori litigare fosse simile alla sua, così come sua fosse la passione consapevole per il rock esibita da Brendan, il fratellone "filosofo". Regista dal pedigree musicale, Carney l'abbiamo amato nell'opera d'esordio Once, apprezzato in Tutto può cambiare ma é con Sing Street a sfiorare il paradiso, naturalmente nel genere teen-musical-romance-dramedy. Difficile infatti è trovare simili equilibri di levità e profondità nel pur ricco panorama contemporaneo del cinema su/per adolescenti. Rielaborando il proprio knowhow sugli '80 a tutto tondo e la vibrante tradizione anglosassone del romanzo di formazione unita al musical, Carney riesce nel piccolo grande miracolo di comporre un ensamble divertente ed intelligente, ricco di trovate musicali-narrative che fanno il verso a band di culto dell'epoca di cui imita sound e look adattati alla freschezza di simpatici e ingenui teenager. Non a caso il gruppo da loro creato si chiama Sing Street, laddove la strada diventa lo stage primigenio, la loro palestra umana ed educativa. "I am a Futurist" (Sono un futurista) si ostina a ripetere Conor nelle sue misere "brown shoes", totalmente ignaro delle connotazioni culturali che si autoattribuisce, ma è chiaro che lui e i suoi amici pensano oltre e malgrado se stessi a un futuro altrove, certamente diverso dalle famiglie da cui provengono. Sing Street scorre nel suo tempo come meglio non potrebbe, e mostrandoci amori acerbi ma sinceri, speranze intatte e sogni folli, naviga sicuro attraverso le turbolente acque dell'adolescenza. Lodevole il cast, specie il giovanissimo protagonista Ferdia Walsh-Peelo.
IL LAVORO PREZIOSO, FONDAMENTALE, DEL CURATORE EDITORIALE MAX PERKINS
GENIUS
DI mICHAEl GRANDAGE Venti. Max Perkins è l'editor principale della casa editrice Scribner's Son e ha già dato il proprio contributo alla scoperta di scrittori del calibro di Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway. Il 2 gennaio 1929 ha il primo incontro con Thomas Wolfe, che gli ha presentato un manoscritto di un migliaio di pagine intitolato "O Lost". Perkins lo ha letto tutto d'un fiato e ha la certezza di avere dinanzi a sé un Autore che merita il successo letterario. Si trova di fronte un uomo che necessita di sostegno e dal carattere non facile. Basato sulla biografia "Max Perkins. Editor of Genius", il film di Michael Grandage si discosta in maniera sensibile dai classici biopic. Perché è vero che lascia ampio spazio alla descrizione di un Wolfe tutto genio e sregolatezza, incapace di avere legami che non siano con i frutti della propria creatività ma al contempo bisognoso di trovare un sostituto della figura paterna che tanto aveva contato nel sostenere i suoi studi e che era prematuramente scomparsa È però anche vero che il focus maggiore sta proprio su Perkins, un uomo che non si toglieva il cappello neppure a tavola e che, una volta attratto da un testo, finiva con il disinteressarsi di quanto gli accadeva intorno. Grandage ci ricorda che, ora come allora, un grande romanzo non è mai frutto solo ed esclusivamente della creatività di 'un' genio. Occorre che al suo fianco ce ne sia un altro, nascosto ma altrettanto necessario: il curatore editoriale. Se si tratta di una persona che ama il proprio lavoro, che non si limita a correggere i refusi ma sa entrare dentro l'intimità di un testo, sapendone cogliere le potenzialità ma evidenziandone anche le fragilità, il libro che ne nasce sarà migliore di quando è stato proposto per la pubblicazione. Attraverso l'incontro (e talvolta anche lo scontro) tra due personalità così diverse veniamo invitati a comprendere come la forza della parola resti ancora oggi, a distanza di quasi un secolo e in un mondo in cui le forme della comunicazione sembrano avere imboccato strade totalmente diverse, fondamentale. Gli Hemingway, gli Scott Fitzgerald, i Wolfe ci propongono ancora parole che conservano un senso grazie al lavoro, oscuro ma fondamentale, dei Perkins.
LA SCUOLA AL CINEMA - NOVEMBRE 2016
Al prezzo di € 3,00 a studente (insegnanti e adulti accompagnatori non pagano), è possibile partecipare alle proiezioni mattutine presso le sale di Cinemazero. Ogni proiezione è un evento, accompagnato dal commento critico di un esperto. E' obbligatoria la prenotazione scrivendo a didattica@cinemazero.it Ogni mese insegnanti e segreterie didattiche ricevono tramite mail la lista di tutti gli appuntamenti in sala. Per essere inseriti nella mailing list, inviare il proprio contatto a didattica@cinemazero.it Martedì 8 novembre | ore 8.45 e 11.30 IL SOGNO DI FRANCESCO di Renaud Fely, Arnaud Louvet. Con Elio Germano. Francia, Belgio, Italia 2016, 90' Assisi 1209. Il film segue le vicende di frate Elia, uno dei più fedeli compagni di Francesco d'Assisi, per riflettere sullo spirito evangelico e restituirci la lunga battaglia grazie a cui Francesco vinse la lunga resistenza della Chiesa. Mercoledì 9 novembre ore 11.00 LO AND BEHOLD - INTERNET: IL FUTURO È OGGI di Werner Herzog, USA 2016, 108' Si può ancora immaginare un mondo senza connessione Internet? Con sguardo disincantato, acume e ironia e con l'aiuto di scienziati ed esperti della rete, Herzog compone un mosaico utile a generare una riflessione a tutto tondo sul mondo connesso, evidenziandone opportunità e contraddizioni. Lunedì 21 novembre ore 9.00 Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Evento promosso da Carta di Pordenone con Cinemazero. Una proiezione speciale per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado del film Una vita possibile di Ivano De Matteo (Italia 2016, 100'); un'occasione per testimoniare alle nuove generazioni l’importanza e l’urgenza dell’impegno contro una delle forme di violenza in pericoloso aumento: quella contro le donne. Giovedì 24 novembre 2016 ore 9.00 ! Proiezione con il commento di un esperto di ARPA FVG - LaREA Settimana dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2016: ROTTE – direzioni per la sostenibilità. Evento promosso da ARPA FVG – LaREA con Cinemazero, a ingresso libero Giunta alla sua undicesima edizione, la Settimana prende il largo, traccia ROTTE di possibili viaggi, strade, direzioni. Percorre, idealmente e concretamente, il tempo e lo spazio, in un mondo interconnesso, dove il vicino e il lontano hanno alterato i loro significati, addentrandosi in territori sconosciuti. In programma, Domani di Cyril Dion, Mélanie Laurent (Francia 2015, 118'), un documentario on the road che attraversa Europa, Stati Uniti, Asia alla ricerca degli esempi virtuosi in agricoltura, energia, l'economia, democrazia e istruzione.
THE BEST OF… GLI OCCHI DELL’AFRICA In dieci anni, attraverso i film presentati, si sono conosciute molte visioni del mondo africano, a volte molto serie, altre più scanzonate, nei toni della commedia. In tutti i casi il ritratto che ne è uscito è stato un nuovo modo di pensare al continente africano, più vitale e vero proprio perché il punto di vista è stato quello di chi in Africa ci vive e opera quotidianamente. Ora, le migliori pellicole viste in questi anni, sono a disposizione per mattinèe al cinema, per dar possibilità alle scuole di condividere l’immaginario dei diversi Paesi che formano un continente variegato e multiplo com’è quello africano. Per organizzare una mattinèe, durante tutto l'anno scolastico con uno dei titoli seguenti, scrivere a didattica@cinemazero.it AFRICA PARADIS di S. Amoussou, Francia/Benin 2006, 86' Nel 2033 la cartina del mondo “si è rovesciata”: il nord è prigioniero di una dura crisi economica, il sud diventa un eden, una terra agognata dagli immigrati europei, che tentano la fuga in ogni modo dal continente, e sono disposti a fare qualsiasi lavoro quando arrivati in Africa... Il film, divertente, ironico ma profondo, è il ritratto che il regista Sylvestre Amoussou fa di un'epoca futura, in cui l'Africa ha consolidato la sua unità ed ha dato vita agli Stati Uniti d'Africa, mentre l'Occidente è costretto a confrontarsi con la povertà, la fuga di cervelli, l'emigrazione. AYA, LA VITA A YOP CITY di M. Abouet e C. Oubrerie, Francia/Costa D’Avorio, 2013, animazione, 84' Costa d’Avorio, fine anni ’70, anni della spensieratezza: Aya, 19 anni, vive a Yopougon, quartiere popolare d’Abidjan. A differenza delle sue due amiche, che non pensano che a divertirsi la notte nei maquis e a sedurre i buoni partiti, Aya preferisce stare a casa a studiare. Attorno a loro si incrociano altri personaggi divertenti come il padre donnaiolo di Aya, il figlio di papà Moussa, le mamme che cercano di proteggere le loro figlie scatenate e Gregoire detto il “parigino”… Un eccezionale film di animazione che nasce da un fumetto divenuto famoso scritto dai registi Marguerite Abouet e Clément Oubrerie. SPECIALE MIGRAZIONI: I FILM DI ANDREA SEGRE Durante tutto l'anno scolastico, le scuole interessate, sempre scrivendo a didattica@cinemazero.it, potranno organizzare una o più matinée scegliendo fra i film di Andrea Segre, tra i massimi esperti italiani e regista di film chiave sul tema (A sud di Lampedusa, Come un uomo sulla terra, Mare Chiuso, Il peso dell'acqua). Tutti i film saranno introdotti da un esperto e da un contributo video dedicato di Andrea Segre.
PHOTOGRAPHY BETWEEN ADVERTISING, ART AND THE CINEMA
Domani accadrà ovvero se non si va non si vede
Vienna, Albertina Museum - dal 4 novembre 2016 al 26 febbraio 2017
Verrà presentata a Vienna presso la prestigiosa sede dell’Albertina Museum la mostra Photography between advertising, art and the cinema che attraverso l’esposizione di 150 fotografie scattate tra il 1910 e gli anni ‘70 esplora il rapporto, spesso molto stretto, che corre tra cinema, arte e pubblicità. Si avrà modo, quindi, di osservare gli scatti di diversi autori quali Deborah Imogen Beer, Angelo Novi e Pierluigi Praturlon. Molte delle fotografie esposte proverranno dall’archivio fotografico Cinemazero Images che con il suo grandissimo patrimonio fotografico e non solo è diventato un punto di riferimento per le più importanti istituzioni nazionali e internazionali. Infatti nei soli ultimi 3 anni hanno attinto ai fondi dell’Archivio enti come: la Fondazione Prada, i Càhiers du Cinema, il CCCB – Centro di Cultura Contemporanea di Barcelona, la Cinémathèque Française di Parigi, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, il Martin Gropius Bau di Berlino, l’agenzia fotografica internazionale Contrasto, il Festival del Film di Haifa, RaiUno, Skira/Flammarion, Arté Deuthschland, il Museum Ludwig di Koblenz, la Mostra del Cinema di Venezia, la Fondazione Cacoyannis di Atene, oltre a numerosi registi per i loro film. Info: www.albertina.at
TRIESTE SCIENCE+FICTION FESTIVAL Trieste - dall’1 al 6 novembre 2016
Nell’anno del conferimento del Premio Urania d’Argento 2016 all’attore olandese Rutger Hauer, celebre per la sua interpretazione in Blade Runner, sarà Morgan, prodotto da Ridley Scott e diretto dal figlio Luke, ad aprire – in anteprima italiana – il Trieste Science+Fiction Festival 2016, il festival di riferimento per tutti gli amanti della fantascienza e del cinema di genere. Il poster di questa 16a edizione è un disegno originale realizzato dall'illustratore e artista pordenonese Davide Toffolo, uno degli autori più rappresentativi della scena fumettistica italiana. Tra i suoi romanzi a fumetti, sono da ricordare: Carnera, Pasolini, Il Re Bianco, Très! e Graphic Novel Is Dead. È co-fondatore e voce della band Tre Allegri Ragazzi Morti, un progetto in cortocircuito multimediale tra musica e fumetto. La sede principale del Trieste Science+Fiction Festival è la Sala Tripcovich, il palazzo della Casa del Cinema, sede delle principali associazioni di cultura cinematografica, sarà il quartier generale che, con la collaborazione del Teatro Miela, ospiterà le sezioni collaterali della manifestazione, mentre altre iniziative e programmi speciali si terranno nella sala d'essai del Cinema Ariston. Oltre alle molteplici proiezioni e iniziative correlate assolutamente da non perdere lo spettacolo conclusivo Dj Yoda Goes To The Sci-Fi Movies che si terrà sabato 5 novembre durante La Notte degli Ultracorpi al Teatro Miela. Lo spettacolo audio/video è ideato dal dj britannico Duncan Beiny, alias DJ Yoda, in collaborazione con il British Film Institute per l’evento Sonic Cinema. La performance è un insieme esplosivo di sci-fi, cultura pop e musica hip-hop, tutto mixato dal vivo, un vero e proprio viaggio visivo e sonoro. Info: www.sciencefictionfestival.org
IL VOLO DEL JAZZ 2016
Sacile e Pordenone - dal 5 novembre al 10 dicembre 2016
Il programma della 12ma edizione de Il volo del jazz alterna la freschezza delle giovani (e preparatissime!) leve del jazz internazionale (dai fratelli Wasserfuhr a Sarah McKenzie) a nomi che da decenni spopolano per il loro talento (Sly&Robbie con Petter Molvaer). Le sonorità morbide di crooner blasonati come Kurt Elling si avvicendano con le sperimentazioni sonore dell’elettronica di Studnitzky, alle rivisitazioni appassionatamente “democratiche” dell’Orchestra Operaia e alle contaminazioni tra letteratura, jazz, teatro e illustrazione: con Short cuts in jazz, infatti, salgono sul palcoscenico i racconti di Vitaliano Trevisan che si intercalano con le improvvisazioni di Malkuth, quintetto rivelazione del jazz italiano e con i disegni di Squaz. Un volo che spazia in tutte le direzioni artistiche e sensoriali. A corredo, nell'accostamento di linguaggi e supporti espressivi diversi e complementari, le opere di Pierluigi Slis: le sue illustrazioni faranno da contraltare visivo a tutti gli appuntamenti. Inoltre, con la vendita del calendario “Un segno jazz per la solidarietà” – che raccoglie le immagini realizzate da tre giovani illustratori Il Volo del Jazz intende rinnovare il proprio sostegno alla Onlus La Biblioteca di Sara. Info: www.controtempo.org