CinemazeroNotizie ottobre 2014

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mensile di cultura cinematografica

Il martedì appuntamento con i grandi eventi di musica e teatro

I Barrymore e Chaplin protagonisti alle Giornate La 33esima edizione in programma dal 4 all’11 ottobre al Verdi

Scienzartambiente le logiche del desiderio A Pordenone il festival sulla divulgazione scientifica

Preparatevi a tornare sui banchi di scuola! Presto in sala Classi Enemy, il nuovo film targato Tucker

Scrivere di Cinema: i vincitori

Premiati i migliori giovani critici alla presenza di Francesco Piccolo

La Carnia parla

14

Ottobre

Un autunno “alternativo”

2014 numero 09 anno XXXIV

Le Anime nere del cinema italiano

Il caso del film di Munzi evidenzia una delle difficoltà dell’esercizio

Dante Spinotti firma il suggestivo “Inchiesta in Carnia”

Intorno a Man Ray

I mille volti del celebre artista in mostra a Villa Manin spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi


Il caso del film di Munzi evidenzia una delle difficoltà dell’esercizio cinematografico

AndreaCrozzoli Crozzoli Andrea

Editoriale

Le Anime nere del cinema italiano La stagione cinematografica non ha avuto un avvio esaltante. Il pubblico non ha affollato le sale cinematografiche nemmeno per Anime nere di Francesco Munzi che a Venezia era stato apprezzato dai critici stranieri e da quasi tutti quelli italiani che davano per sicuro il Leone d’Oro, o un altro premio importante al film di Munzi. «Ho girato nel paese che la letteratura giudiziaria e giornalistica stigmatizza come uno dei luoghi più mafiosi d’Italia, uno dei centri nevralgici della ’ndrangheta calabrese: Africo - ha dichiarato Munzi - ho visto la diffidenza trasformarsi in curiosità e le case aprirsi a noi. Ho mescolato i miei attori con gli abitanti del paese, che hanno recitato, lavorato con la troupe. Senza di loro questo film sarebbe stato più povero. Africo ha avuto una storia di criminalità molto dura che però può aiutare a comprendere tante cose del nostro paese. Da Africo si può vedere meglio l’Italia.». Ne è uscito un film, come ha scritto Maurizio Porro sul Corriere della Sera, “eccezionale, potente, etico racconto che vive nell’antropologia psicosomatica di voci, volti, luoghi della Calabria, tornando alle radici ancestrali del Male, una denuncia straordinaria, con un cast eccellente.” dove Munzi, come scrive su Il Giornale Serena Nannetti, “assecondando la sua indole documentarista, ci fa vivere da dentro cosa significhi appartenere a una famiglia invischiata da sempre con la malavita organizzata”. Nonostante tutto questo il pubblico non ha riempito le sale cinematografiche confermando, quasi inconsapevolmente, quanto veniva nello stesso periodo asserito dalla stampa specializzata, ovvero: la distribuzione dei film nelle sale è superata. Aggiungendo poi che esistono canali diversi, più validi e più adatti al modo in cui oggi la gente fruisce il cinema. La motivazione che ancora spinge in modo compulsivo i cineasti a fare vedere i propri film nelle sale è essenzialmente la gratificazione del proprio ego ha affermato uno studioso statunitense, aggiungendo che tutti i filmmaker sognano di vedere il proprio film diventare un successo di pubblico e lasciarsi sommergere dal tripudio delle masse in una sala in cui tutte le voci acclamano all’unisono al capolavoro. Oltre al fatto che solo se si va nelle sale si può aspirare a ottenere i requisiti per l’ammissione agli Oscar. Anche per quanto riguarda il nostro sgangherato e disorganizzato mercato cinematografico italiano, un film di nicchia, e peggio ancora un documentario, si scontra con l’uscita contemporanea di almeno altri dieci film nella stessa settimana. Le opportunità, quindi, di catturare una buona fetta di pubblico sono alquano esigue. Anche quando la critica saluta un film come un’opera perfetta, vedi proprio il caso di Anime nere di Francesco Munzi, la sua voce non trova ormai quasi più una risposta coerente dal pubblico. I critici, che grazie anche ai direttori di giornale, hanno perso larga parte del loro peso e della loro influenza nel successo di un film e sono ormai ridotti alla francobollizzazione delle recensioni, incidono pochissimo nell’affluenza in sala. Se un film tratta temi di nicchia, è complesso o è un documentario, ormai l’unico bagno di folla che purtroppo può verosimilmente aspettare è quello dei festival, scrive lo studioso statunitense, o della serata evento con l’autore in sala, aggiungiamo noi. In generale, prosegue sempre lo studioso americano, bisogna considerare anche che l’attenzione dei giornali e del pubblico verso i film di nicchia e i documentari nelle sale è irrisorio, e coinvolge poche decine di persone al cinema. Fortunatamente in Europa, e in Italia in particolare, ancora la situazione non è proprio così devastante!

In copertina un’immagine del film di e con Charlie Chaplin City Lights (C) Roy Export S.A.S.

cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Ottobre 2014, n. 09 anno XXXIV Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Marco Fortunato Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Segretaria di redazione Marianita Santarossa Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 Cassa: 0434-520527 e-mail: cinemazero@cinemazero.it http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla: Unione Italiana Stampa Periodica


Da ottobre ogni martedì un appuntamento con i grandi eventi di musica e teatro

Marco Fortunato

La sfida, almeno quella di portare il pubblico in sala, può dirsi già vinta. Una quota di mercato sempre crescente, che ad oggi sfiora quasi il 3% degli incassi globali, conferma un sempre maggior interesse degli spettatori verso le nuove frontiere aperte dalla rivoluzione digitale nel settore cinematografico. Ma di sfide da superare i cosiddetti “contenuti alternativi” ne hanno ancora molte, in primis quella lessicale, per togliersi di dosso quell’etichetta di alternatività che sembra volerli mettere in contrapposizione con qualcosa d’altro, molto spesso con il cinema appunto. In realtà eventi sportivi, musicali, opere liriche ed eventi pop dovrebbero invece essere definiti come contenuti complementari nel senso che la loro presenza arrichische e non sminuisce – ne tantomeno sostituisce – l’offerta cinematografica di una sala, con l’obiettivo di renderla una luogo sempre più frequentato e vitale. Un concetto che Cinemazero ha ben chiaro e che, dopo i positivi esperimenti messi in campo nella scorsa stagione, ha intenzione di perseguire ulteriormente grazie ad una ricca proposta che partirà proprio nel mese di ottobre e vedrà sul grande schermo una selezione delle migliori proposte disponibili sul mercato. Si parte martedì 14 ottobre alla scoperta dei tesori dell’Hermitage: per la prima volta nella storia il leggendario Museo di San Pietroburgo rivela i suoi segreti in una visita esclusiva. Da palazzo Imperiale a Museo di Stato esso costituisce oggi una delle più grandi collezioni d'arte al mondo e rappresenta dunque l’esordio ideale per quello che sarà un ciclo di tour cinematografici esclusivi dedicati al mondo dell’arte che guideranno la platea delle sale alla scoperta di artisti, dipinti e spazi museali d’eccezione (dai Musei Vaticani alle personali di Van Gogh, Rembrandt, ecc.). Si potranno osservare quadri e sculture nel dettaglio, ascoltare il racconto degli organizzatori, entrare nelle segrete stanze e negli spazi in genere inaccessibili che hanno visto le mostra prendere forma. Sarà come essere in quei luoghi e di fronte a quelle opere come ospiti d’eccezione e con guide assolutamente fuori dal comune: un’occasione unica per tutti gli appassionati d’arte, di viaggi e di cultura alla scoperta di storie che segnano il nostro modo di essere e di vivere. Grande spazio anche all’opera lirica grazie alla partnership sottoscritta con Microcinema, la società che nel 2007 fu la prima a dare il via al lungimirante progetto di distribuzione dell’opera lirica nei cinema d’Italia. Dopo lo straordinario successo dello scorso anno (10 opera diffuse in 160 sale in Itala e un picco di oltre 30.000 presenze registrato in occasione della trasmissione live della Prima della Scala di Milano) quest’anno sugli schermi di Cinemazero approderanno le più importanti prime dal Metropolitan di New York (da Le nozze di Figaro alla Carmen fino a I racconti di Hoffmann), i migliori balletti del Bolshoi di Mosca, la diretta esclusiva delle Prima della Scala di Milano – il 7 dicembre con il Fidelio di Ludwing van Beethoven – e qualche interessante sperimentazione, come ad esempio la rivisitazione di Cenerentola, la favola musicata da Gioacchino Rossini, nella versione cinematografica diretta da Carlo Verdone. Un esperimento molto interessante che, dopo una lunga fase di post-produzione, seguita da Andrea Andermann, vede finalmente la favola approdare al cinema grazie al vastissimo materiale registrato e mai mandato in onda in occasione della produzione televisiva. Da segnare sul calendario anche gli eventi speciali – sempre di martedì – che vedranno protagonisti alcuni dei più importanti fenomeni pop contemporanei. Dalle celebrazioni per il trentennale dei Ghostbusters, la comedy sovrannaturale di Ivan Reitman tra le più amate di tutti i tempi, fino alla serata dedicata a David Bowie che sarà al centro di un viaggio multimediale lungo 50 anni di carriera: grazie a immagini-icona del suo camaleontico stile, a strumenti e cimeli di studio sarà possibile immergersi nel processo creativo di uno degli artisti più influenti del nostro tempo.

Un autunno “alternativo”

Autunno, tempo di novità


La 33esima edizione del Festival in programma dal 4 all’11 ottobre al Teatro Verdi

David Robinson

Le Giornate del Cinema Muto

I Barrymore, Chaplin e la Corazzata protagonisti alle Giornate Tredici anni fa, nel primo anno del nuovo secolo, le Giornate ospitarono un seminario sul “Futuro degli archivi cinematografici”, organizzato dalla FIAF, la Federazione Internazionale degli Archivi del Film. “Nei prossimi dieci-quindici anni, gli archivi cinematografici dovranno affrontare due nuovi grossi problemi”, dichiarò la FIAF. Il primo avrebbe riguardato la rapida espansione della tecnologia digitale, inevitabilmente destinata a influenzare gli archivi sul come e che cosa collezionare, preservare e restaurare; Il secondo, l’inevitabile riduzione e l’eventuale fine della produzione di pellicole cinematografiche. “La perdita della nostra capacità di creare nuovi elementi potrebbe rappresentare un problema persino più grave della degenerazione dei nitrati e della ‘sindrome dell’aceto’ messe insieme. Cosa potranno fare gli archivi riguardo ai molti titoli non ancora duplicati che sono conservati nelle loro collezioni?” Tredici anni dopo, quei problemi – unitamente alle persistenti incertezze sul futuro in continuo divenire dei media digitali per la conservazione a lungo termine – rimangono irrisolti e le domande senza una risposta. In compenso, col tempo è molto migliorato il rapporto di convivenza tra il mondo digitale e gli archivi, i quali ora usano abitualmente i mezzi di restauro che quello offre, spesso con risultati miracolosi, come il pubblico di Pordenone ha già avuto modo di constatare anno dopo anno. Mentre i principali festival cinematografici internazionali hanno adottato al 100 per cento la proiezione digitale, le specialistiche Giornate sono riuscite, nei limiti del possibile, a restare fedeli alla tecnologia storica – anche se fortunatamente ora hanno abbandonato le loro prime, oltranziste e spesso controproducenti, posizioni pro-pellicola. Nel 2012 circa il 13 per cento dei nostri titoli è stato presentato in formato digitale. Un anno dopo la percentuale è salita al 34 per cento, soglia che non dovrebbe essere superata nel 2014. Nel preparare la retrospettiva principale di quest’anno, dedicata ai Barrymore – la “Royal Family” di Broadway che divenne la “Royal Family” di Hollywood, dando grande prestigio e un’ampia gamma di talenti al cinema muto americano – abbiamo scoperto che si trattava di un capitolo della storia del cinema trascurato da tempo, considerato “fuori moda” e, di conseguenza, le cineteche per molti anni non erano state incentivate ad aggiornare e ampliare le loro collezioni. I nostri più sentiti ringraziamenti vanno alla Library of Congress, al Museum of Modern Art, al British Film Institute e soprattutto alla George Eastman House, davvero prodiga nel concedere gli incomparabili materiali sui Barrymore delle sue collezioni, per il loro straordinario impegno che ha reso possibile questa retrospettiva. Film come The Copperhead di Lionel o i rari film della giovane Ethel non si vedevano più a memoria d’uomo. Un’importante riscoperta nel programma sui Barrymore è costituita dai rulli finali di The Eternal City, un panegirico hollywoodiano su Mussolini e i fascisti, con Lionel Barrymore nel ruolo del loro malvagio oppositore comunista. I costi per la digitalizzazione dei materiali sopravvissuti sono stati generosamente sostenuti dal Rotary Club di Pordenone. Il mondo intero festeggia quest’anno il centenario della prima apparizione sullo schermo dell’immagine iconica di Charlie Chaplin. Festeggiano la ricorrenza anche le Giornate proponendo come evento finale Luci della città accompagnato dalla partitura originale restaurata da John Barrymore, Dolores Costello in WHEN A MAN LOVES (Per amore di una donna) Timothy Brock ed eseguita di Alan Crosland (US 1927). Credits: George Eastman House, Rochester, NY dall’Orchestra San Marco di Pordenone sotto la direzione del maestro Günter Buchwald. A riprova dell’universalità di Chaplin, il programma prevede anche quattro dei suoi primi cortometraggi accompagnati dalla voce dall’incomparabile “benshi” giapponese Ichiro Kataoka, che torna a Pordenone per il secondo anno consecutivo. Kataoka-san sarà anche il conferenziere dell’annuale Jonathan Dennis Lecture, che illustrerà con la sua rara collezione di registrazioni dei grandi


“benshi” del passato. La serata inaugurale di sabato 4 ottobre ripropone il film di Alan Crosland, interpretato da John Barrymore e da Dolores Costello, sua futura moglie, When a Man Loves (Per amore di una donna), con la storica partitura musicale, registrata 87 anni fa tramite il sistema Vitaphone. Composta da Henry Hadley, all’epoca tra i più apprezzati compositori classici americani, e diretta da Herman Heller, è una delle più brillanti partiture sopravvissute di quel periodo, impeccabilmente registrata e inscindibilmente integrata alle immagini e ai personaggi del film. Per l’occasione abbiamo ricreato integralmente il programma della prima newyorkese del 1927, con il preludio di tre corti Vitaphone canori: due con cantanti d’opera (tra cui Beniamino Gigli), l’altro con un duo comico statunitense. Il lungo corteggiamento fra cinema muto e sonorizza- Collen Moore SYNTHETIC SIN (L’albergo delle sorzione sincronizzata è attestato anche dai “Tonbilder” prese) di William A. Seiter (US 1929). Credits: Ron tedeschi appena restaurati e risalenti al 1907-09: film Hutchinson sperimentali che portavano al pubblico cinematografico dell’epoca i successi del momento nella rivista, nell’operetta e nella lirica. Le Giornate ospitano anche la “prima” di un altro dei primi film hollywoodiani sincronizzati, restaurato grazie alla collaborazione tra la Cineteca Italiana di Milano e la Warner Classics: il magnifico Synthetic Sin con Colleen Moore, una commedia drammatica a lungo considerata perduta. Un’ancora più straordinaria e (dopo lo shock iniziale) emozionante riscoperta è la versione sonorizzata tedesca “Nadelton” della Corazzata Potëmkin con la partitura orchestrale originale del viennese Edmund Meisel supervisionata dal compositore e con le didascalie rimpiazzate dal doppiaggio (le voci sono degli attori del teatro politico di Erwin Piscator). Il film proviene, insieme ad altri del programma, dall’Österreichisches Filmuseum, di cui celebriamo quest’anno il 50° anniversario. La battaglia per il colore è ripercorsa invece in un’ampia sezione sui primi 15 anni della Technicolor che anticipa il centenario della società (1915-2015) e un’importante pubblicazione della George Eastman House sulla storia dei primi film in Technicolor. Ma il cinema a colori ha importanti antecedenti: la Cinémathèque Française presenta quattro film di Méliès con le magnifiche colorazioni a mano originali. Due di questi, Jeanne d’Arc e La légende de Rip van Winkle, saranno accompagnati dai “boniments” (commenti dal vivo) originali. I Méliès fanno parte di un gruppo di film delle origini che, se non può competere nei numeri con il record dell’anno scorso (oltre 70 film del XIX secolo), è comunque eccezionale e comprende le opere di due pionieri quasi completamente trascurati dalla storia del cinema tradizionale. Paul Nadar, figlio del grande fotografo dell’800 Félix Nadar e attivo fin dal 1896, fu il primo a filmare, con apparecchiature create da lui stesso, le performance delle celebrità teatrali del suo tempo; con la sua Ascesa al Monte Bianco della monumentale durata (per il 1902) di 13 minuti, Frank Ormiston-Smith, il giovane pioniere americano del film di montagna, rappresenta l’anello di congiunzione tra il famoso diorama del 1852 dallo stesso titolo allestito nelle sale inglesi da Albert Smith e la grande tradizione tedesca dei film di montagna degli anni Venti. Hiroshi Komatsu presenta una selezione di titoli dalla collezione dell’Università di Waseda risalenti agli anni 1909-1916, pochissimi dei quali sono stati visti in Europa. Bryony Dixon del British Film Institute e la docente Vanessa Toulmin del National Fairground Archive ci fanno conoscere le forme di “intrattenimento edoardiano” attingendo in parte alla grande collezione Mitchell e Kenyon. Dall’inesauribile collezione Desmet dell’EYE Filmmuseum di Amsterdam provengono i film dedicati alla rivoluzione sociale e culturale seguita all’avvento dell’automobile in epoca prebellica. In occasione del 50° anniversario dell’AIRSC (Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema) si vedranno i tesori di una CITY LIGHTS (Luci della città) di Charles Chaplin (US 1931). Credits: collezione ancora più antica, iniziata ancor City Lights (c) Roy Expot S.A.S. prima della Grande Guerra dal padre gesuita svizzero Joseph Joye. I recenti drammatici avvenimenti in Ucraina hanno reso ancora più prezioso il contributo del Centro Nazionale di Cinematografia Oleksandr Dovzhenko di Kiev, che un anno fa ci ha rivelato la breve ma brillante stagione d’oro del cinema ucraino. Speriamo in futuro di poter esplorare ancora le ricche risorse dell’archivio e, nell’attesa, offriamo una piccola selezione


di film ucraini di animazione muta. Dalla vicina Russia emerge quest’anno un filone più leggero di quello solitamente associato al cinema sovietico. In Occidente Yakov Protazanov è noto soprattutto per i suoi film più grandiosi, realizzati ante e post rivoluzione e durante l’esilio – Pikovaja dama (La donna di picche), Sorok pervyj (L’isola della morte) e Aelita. Ma nel programma ideato da Peter Bagrov e Natalia Noussinova rivela anche una spiccata sensibilità per la commedia sofisticata che getta una nuova luce sul cinema sovietico degli anni Venti. Essendo DIE NIBELUNGEN 2. KRIEMHILDS RACHE (I Nibelunghi: La vendetta di Crimilde), di il nostro soprattutto un festival di Fritz Lang (DE 1924). Credits: Murnau-Stiftung, Wiesbaden, Germania. riscoperte, gli ospiti si confronteranno con parecchi titoli poco familiari – ma solo perché si tratta di film considerati perduti da molto tempo. Per 80 anni il cinese Pansidong era stato solo una leggenda: oggi, seppure in forma leggermente frammentaria, ci è consentito di conoscere uno dei grandi prototipi del film dello “spirito magico”. E proprio quando credevamo che il progetto Steinhoff fosse completato, è riapparsa all’improvviso una magnifica copia del suo più grande (e scandaloso) successo muto, Die Frauenhaus von Rio, un film considerato perduto perché il negativo era andato a fuoco subito dopo la prima distribuzione. Dalle collezioni dell’Università di Waseda proviene una rara copia di Die Macht der Finsternis, adattamento di Conrad Wiene da Il potere delle tenebre di Tolstoj. Lady Hamilton, con Conrad Veidt nel ruolo di Nelson, era considerato non più restaurabile, ma il Bundesarchiv-Filmarchiv di Berlino, sfruttando le nuove possibilità offerte dal restauro digitale lo ha resuscitato. Una collaborazione franco-americana ci ha restituito Douglas Fairbanks e Bessie Love in The Good Bad Man di Allan Dwan. Totalmente sconosciuti sono gli incantevoli studi dello scienziato Masano Abe sulle nuvole sul Monte Fuji. Il “Canone rivisitato” curato da Paolo Cherchi Usai presenta titoli solo apparentemente più familiari perché le possibilità concrete di vedere sul grande schermo questi “classici” – Potomok Cingiz-Chana (Tempeste sull’Asia), Arnes Pengar, Regeneration, Die Liebe der Jeanne Ney – sono piuttosto rare. Facendo di necessità virtù, abbiamo dato un nuovo volto – o meglio nuovi volti – alla musica del festival. Purtroppo i fondamentali Neil Brand e Gabriel Thibaudeau quest’anno non potranno essere presenti. Abbiamo deciso di affidare i loro accompagnamenti ad un gruppo di musicisti ospiti. Questo ci ha consentito di interrompere un predominio maschile di 33 anni nella buca dell’orchestra: diamo il nostro benvenuto a Eunice Martins e a Eri Kozaki che accompagneranno il programma giapponese, mentre Maud Nelissen, con Frank Bockius alle percussioni, affronterà l’impresa titanica di musicare entrambi i film del grande dittico Die Nibelungen di Fritz Lang. Altri ospiti saranno i pordenonesi Mauro Colombis e Romano Todesco, la partnership friulana formata da Juri Dal Dan e Didier Ortolan, e il messicano José Maria Serralde Ruiz che ritorna alle Giornate per il secondo anno. Oltre a questi, diamo il benvenuto alle Masterclasses (ormai conosciute come “il miglior spettacolo in città”) a due giovani e brillanti pianisti, Daan van den Hurk e David Gray. Con le due defezioni succitate, la nostra “squadra ufficiale” – Günter Buchwald, Philip Carli, Antonio Coppola, Stephen Horne, John Sweeney e Donald Sosin – rioccuperà fedelmente la sua postazione al piano Fazioli. Come di consueto siamo costretti ad ammettere una pecca ormai imprescindibile dal nostro programma: è troppo ricco. Soltanto alle Giornate, tra i molti festival, è possibile assistere a ogni singola proiezione (né si possono trascurare le sessioni quotidiane del Collegium) anche se nella realtà ciò richiederebbe uno sforzo sovrumano. D’altro canto, ogni film mancato è perso e, riguardo a ciò, AUTO DI ROBINET. di Marcel Fabre (IT 1911). non possiamo darvi aiuto né consigli. Noi il programma lo Locandina. Credits: EYE Filmmuseum/Desmet abbiamo fatto, ora tocca a voi. Collection


La XXVIII edizione del Festival di divulgazione scientifica a Pordenone dal 15 al 19 ottobre

Chiara Sartori

Scienzartambiente-per un mondo di pace, il primo festival della Regione Friuli Venezia Giulia dedicato alla comunicazione e alla divulgazione della Scienza, quest’anno - a Pordenone dal 15 al 19 ottobre 2014 - si occuperà de Le Logiche del Desiderio. Desiderare è in stretta analogia con Considerare, cioè con il valutare le stelle per orientarsi e quindi ponderare un problema nei suoi vari aspetti per prendere una decisione, come insegna la scienza. Questa la chiave dell’edizione 2014 del festival Scienzartambiente che, fondato nel 1996, diviene maggiorenne ed è pronto per addentrarsi nelle logiche del desiderio: raccontando storie di umanità, di scienza, di tecnologia e di cittadinanza, storie di vita di animali, di oggetti, storie di fenomeni e di idee. E tra i desideri non poteva mancare il cinema: quello straordinario “meccanismo complesso che riattiva, in forme nuove, strutture e processi profondi della psiche” (E. Morin,1977). Giovedì 16 ottobre (dalle 14.30 alle 16.30) nell’ Aula Magna del Consorzio Universitario in via Prasecco, introdotto da Marco Rossitti (Università di Udine), Luca Bigazzi, il più celebre direttore della fotografia italiano, vincitore di tre Globi d'Oro per la migliore fotografia, l'ultimo dei quali per La grande bellezza di Paolo Sorrentino, incontra gli studenti universitari e il pubblico sul tema “Paesaggi con figure. La fotografia di Luca Bigazzi per il cinema di Carlo Mazzacurati”. Da L'amore ritrovato (1994) a La sedia della felicità (2014), venti anni di collaborazioni e di amicizia tra due maestri dell’arte cinematografica. A seguire (dalle 18.30 alle 19.45) al Convento di San Francesco “Fotografia malgrado tutto”. Nella cosiddetta società dello spettacolo tutto pare voler diventare immagine. Da dove inizia questo processo? Luca Bigazzi e Maurizio Guerri, filosofo, docente all'Accademia di Brera e co-autore di Filosofia della fotografia, ci condurranno alla ricerca del senso della fotografia nelle arti e nelle pratiche della vita contemporanea in un dialogo tra fotografia, cinema e pensiero. Per rimanere nell’ambito del desiderio, il piede femminile, fatale estremità di donne altrettanto fatali, sembra aver rappresentato una sorgente inesauribile di desiderio nell’iconografia rinascimentale e nell’ambito cinematografico; altri due preziosi incontri in tema venerdì 17 ottobre: dalle 20.45 alle 22.00 al Convento di San Francesco “Le donne fatali e i loro piedi. Da Aby Warburg a Quentin Tarantino” con Andrea Pinotti, professore di Estetica all’Università di Milano e a seguire, dalle 22.30 alle 24.00 a bordo del Deluxe Bus di ATAP l’incontro esclusivamente per maggiorenni, “L'occhio vuole la sua carne: quando Lolita diventa porno...”. Il cinema porno, oltre cortina, si sviluppò, dopo la caduta del muro di Berlino, sia come genere artistico che come industria, soprattutto tra i giovani che scoprivano l’ebbrezza di “facili e divertenti” guadagni. Le opere del regista Armen Oganezov e la loro specificità strutturale offrono l’occasione a Gianpiero Piretto, docente di Cultura Russa all’Università di Milano, di raccontarci la quotidianità attraverso spezzoni cinematografici che sono interessanti più per le scene di contorno, di coloritura nazionale, di affermazione della “russicità” che per gli atti sessuali espliciti. In questo caso la prenotazione è obbligatoria. Scienzartambiente è promosso dal Comune di Pordenone – Assessorato alla Cultura e dal Science Centre Immaginario Scientifico, con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e Fondazione CRUP e il contributo e la collaborazione di numerosi Enti e Istituzioni regionali e nazionali.Per info e prenotazioni: scienzartambiente@comune.pordenone.it tel +39 338 1407079. "Dal 10 ottobre sarà disponibile l'App SCIENZARTAMBIENTE presso gli App Store Apple e Google Play".

Scienzartambiente

Scienzartambiente le logiche del desiderio


Class Enemy: in sala, dal 9 ottobre, il capolavoro di Rok Biček

Gianmatteo Pellizzari

Class Enemy

“Preparatevi a tornare sui banchi di scuola!” Recentemente candidato al LUX, il premio del Parlamento Europeo, e già incoronato alla 70^ Mostra del Cinema di Venezia (Settimana Internazionale della Critica), Class Enemy di Rok Biček uscirà nei migliori cinema italiani il prossimo 9 ottobre sotto il segno della Tucker Film. Il capolavoro del giovane regista sloveno, da molti paragonato al miglior Haneke, affronta il tema dell’incomunicabilità come – sono parole dello stesso Biček – «un’eruzione vulcanica che poi mette a nudo le paure e le frustrazioni nascoste sotto la pelle della società europea». Slovenia, oggi. Un liceo come tanti. Una classe come tante. Una quotidianità come tante. Ma è davvero tutto così ordinario, così regolare? È davvero tutto così tranquillo, sotto la patina di normalità? Basta l’arrivo del nuovo professore, il durissimo Robert (uno straordinario Igor Samobor, superstar del cinema sloveno), per innescare un violento corto circuito: didattico, prima, e umano, poco dopo, quando la tragica morte di una studentessa devasta gravemente gli equilibri… Ne abbiamo parlato con il regista. Class Enemy deriva da un tuo ricordo scolastico. Buio e spigoloso. Perché hai deciso di attingere a un’esperienza tanto personale? Perché il mio modo di concepire il cinema si basa sulla necessità di costruire un racconto partendo sempre da qualcosa che conosco bene. Davvero bene. Se vuoi che la narrazione mantenga una forte compattezza emotiva, una forte credibilità, devi poterne padroneggiare anche i dettagli più piccoli. La storia si muove, con implacabile freddezza, all’interno di una “zona grigia” dove nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo. Non hai paura che il pubblico, il pubblico di oggi, cerchi l’empatia invece del realismo? No, nessuna paura. Tutta la nostra vita è una “zona grigia”: se non sei capace di affrontarla al cinema, come puoi pensare di affrontarla nella quotidianità? Frammenti biografici e traduzione cinematografica. Adulti e ragazzi. Attori professionisti e attori non professionisti. Vita e morte. È stato difficile gestire uno script, e ovviamente un set, dove si accumulano i disallineamenti e i cortocircuiti? Sì, è stato difficile in ogni singolo segmento della lavorazione. Dovevo mantenere l’equilibrio tra gli opposti, camminandoci in mezzo e stando attento a non sbilanciarmi: se fosse capitato, avrei compromesso la solidità dell’intero film. Una sfida molto impegnativa, anche per il cast e la troupe. Sfogliando le recensioni, pare impossibile trovarne una che non contenga il paragone Michael Haneke/Rok Bicek. È una simmetria dentro cui ti riconosci? Amo la sua spietata dissezione dell’animo umano, e cerco di rappresentarla anche nei miei film, ma questa simmetria può stare in piedi soltanto nell’ottica maestro/apprendista. E di quali altri maestri ti senti l’apprendista? Il mio viaggio è iniziato con il cinema e il teatro contemporaneo, quand’ero adolescente, poi mi sono imbattuto in 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Mungiu: un film che ha avuto un impatto enorme sulla mia formazione registica, assieme al Ritorno di Zvyagintsev e, ovviamente, Niente da nascondere di Haneke. Come presenteresti Class Enemy a chi sta per sedersi in sala? Preparatevi a tornare sui banchi di scuola!


Ospite d’onore il vincitore del Premio Strega Francesco Piccolo

LA GRANDE BELLEZZA di Raffaele Indri È strano. Strano che si citi Céline — confondendo gli accenti acuti con quelli gravi, ma tant'è, gli intellettuali veri sanno andare al punto —, che si puntelli la sceneggiatura con dialoghi volutamente criptici, ché fanno molto auteur («col talento si rischia di diventare abili»), ma che si sbaglino le consecutio nei dialoghi («Avrei bussato […] quando sarebbe stata piú a suo agio»). Il problema piú grosso non è la pretenziosità del j'accuse, né lo sono gli svariati cascami letterari. Il problema piú grosso è che non c'è il minimo accenno d'ironia in tutto questo. Nulla che possa schiuderti le labbra in un sorriso. Quando, in una delle ultime sequenze de La grande bellezza, i fenicotteri fotoscioppati si stagliano al tramonto, non c'è Sorrentino che se ne esce facendoti l'occhiolino, assicurandoti che è tutto uno scherzo. Jep Gambardella (l'ottimo Servillo) è un critico d'arte che scrive per una rivista diretta da una nana e, tra le altre cose, intervista una performance artist che ricorda vagamente Marina Abramovic. La sua vita si divide tra intellettuali da salotto, politici incravattati che grondano fetish, drammaturghi in crisi artistica, puttane, matrone cocainomani, e chi piú ne ha piú ne metta. Jep si trascina nella contemplazione quasi mistica di una Roma spaccata in espressioni molteplici. Città eterna, culla di uomini smarriti e insoddisfatti, incapaci di sottrarsi alla vacuità delle loro esistenze. Gli spunti di Sorrentino sono innumerevoli e fastidiosamente evidenti. Ci sono la visita al museo notturna (Les Amants di Carax, o piú probabilmente La dolce vita), il «dolente erudito» che assiste al catafascio di una società (Dante, o il Prufrock di T.S. Eliot, ma quasi certamente La terrazza), lo sguardo ruvido, ma non troppo severo, nei confronti della decadenza della Chiesa (di nuovo Fellini, sebbene egli fosse piú incisivo). La grande bellezza è uno spettacolo chiuso nei suoi meccanismi perversi, costretto ai luoghi comuni come scelte artistiche (l'appartamento che dà sul Colosseo — cos'altro, i selfie coi gladiatori per i turisti?), un sipario di personaggi macchiettistici, diretti dall'alto, soltanto interlocutori necessari per il protagonista perché sfoghi il suo ego, necessari perché Sorrentino disegni una Roma che forse esiste, ma certo non è cosí programmatica. Le citazioni sono sprecate, perché fini a loro stesse, cosí come lo è la buona interpretazione della Ferilli (la spogliarellista di cui s'innamora Jep). Cosa rimane? Lo stile raffinato e suggestivo del regista — sospeso tra l'onirico e l'impressionistico — che tuttavia, vuoi per le giraffe, vuoi per i fenicotteri, non può competere con opere sorrentiniane ben piú alte (Il divo, Le conseguenze dell'amore). Pazienza. Mentre voi sospirate col flashback in cui Jep bacia la sua fanciulla in fiore perduta, io prendo questo album di cartoline di alta classe e dico: sí, La grande bellezza ha vinto l'Oscar, ma non è forse vero che le cartoline le comprano solamente i turisti? SOLO GLI AMANTI SOPRAVVIVONO di Francesco Giuseppe Trotta Adam ed Eve sono i nomi, non casuali, dei protagonisti dell’ultimo film di Jim Jarmusch. Due vampiri che rispecchiano, contemporaneamente, le creature all’origine del mondo, pure e perfette prima del peccato originale, e ciò che sopravvive alla corruzione dei tempi. Jarmusch ribalta la concezione popolare del genere vampiresco, dipingendo degli esseri non malvagi, ma anzi eleganti, disillusi e sensibili. Adam è un’anima malinconica e poetica nel corpo di una rockstar; divenuto vampiro nel XVI secolo, ha attraversato secoli di decadenza e conduce una vita eremitica a Detroit, componendo musica e collezionando chitarre d’epoca. Eve vive a Tangeri, insieme a Christopher Marlowe, ed è l’opposto di Adam: riesce ancora a guardare con positività alla vita e ad apprezzarne le meraviglie. Il loro sguardo immortale ha percorso secoli di storia e visto svanire gli sforzi dei geni del passato, per questo disdegnano l’uomo e si nutrono solo di sangue prodotto in laboratorio, non corrotto e infetto come quello umano. Sono due spiriti opposti, come il bianco e il nero delle loro vesti, ma complementari, accomunati da un’immortalità che sortisce effetti diversi su ciascuno dei due. Mentre per Eve il vivere eterno rappresenta un dono, per Adam è una vera e propria condanna ad osservare, con amletica impotenza, la degenerazione dei costumi. La depressione di Adam spinge Eve a trasferirsi in una Detroit ormai decaduta, non più terra di musica e cultura, ma luogo-simbolo del fallimento del capitalismo e della fragilità della vita. Ricongiuntisi come particelle eternamente legate dall’ azione a distanza einsteiniana, sarà la sorella minore di Eve, Ava, a minacciare la loro sopravvivenza. Il film di Jarmusch è, come i suoi vampiri, colto e raffinato. Il regista americano tesse un elogio dell’arte come possibilità dell’eterno opposta alla caducità del mondo. Ricco di citazioni, da Einstein a Tesla, da Foster Wallace a Basquiat, l’intellettualismo di Jarmusch e dei suoi personaggi non risulta mai fine a se stesso, e il film non perde la propria potenza, riuscendo a mettere in discussione il mondo e le sue strutture. Il regista riesce a calamitare occhi e orecchie dello spettatore grazie a un’estetica fascinosa e ricercata, a dialoghi ironici e acuti, accompagnati da una colonna sonora graffiante, composta dallo stesso Jarmusch e da Jozef Van Wissem. Un canto delicato e romantico, che esalta l’azione salvifica dell’amore: quello dei due vampiri, che attraversa i secoli, e quello per le arti, la letteratura e la scienza, che rende immortale ciò che il tempo prova a sbiadire. In questo quadro prende forma la critica di Jarmusch: gli uomini sono zombie che hanno perduto il gusto, la sensibilità, e la capacità di amare. Ma solo chi ama sopravvive, e quando Adam ed Eve si ritrovano senza alternativa, le vittime che decidono di sacrificare per il proprio amore sono due amanti nella notte di Tangeri, che, trasformati in vampiri, si ricongiungeranno e vivranno per sempre.

Scrivere di Cinema

Scrivere di Cinema le recensioni dei vincitori


Prossimamente a Cinemazero

Lorenzo Codelli

La Carnia parla

Inchiesta in Carnia di Dante Spinotti “Io dal mio paese non scappo, a costo di essere in cima al monte, io di qua non scappo”, implora roco fuori campo Egidio De Franceschi, mentre le prime immagini ci mostrano un’incantevole alba che illumina le vette montagnose. L’incipit di Inchiesta in Carnia espone la doppia anima del film: riflessione filosofica e contemplazione virgiliana. Chi conosce La Carnia tace, diretto da Dante Spinotti nel 1980, s’accorgerà subito – oltre che dai brevi spezzoni citati qua e là in questo “sequel” - che vi è una terza anima: l’autobiografia intima dell’autore e della sua dinastia. “Tornare in Carnia risveglia per me.....” : il lungo silenzio sorridente, con caloroso giro di mano nell’aria, che interrompe il dotto discorso del professor Umberto Magrini, ci trasmette un’infinità di emozioni. Alessia Spinotti, sciatrice provetta, dal canto suo tenta di non emozionarsi troppo,“Non farmi più domande!”. Il globetrotter Spinotti infatti non taglia né toglie tali pause di significativa “afonia”. Di fronte allo stimolo affettuoso della sua macchina da presa leggera, mai invadente o “televisiva”, sembra che d’improvviso l’intera popolazione circostante abbia voluto esprimersi, dire la sua. Lungo otto stagioni di riprese Spinotti ha registrato innumerevoli confessioni, appelli, suggerimenti, lamentele, battute, sensazioni, a tutti i livelli sociali e culturali. Assieme al figlio Riccardo, cineasta curiosissimo lui stesso, ha proceduto poi a un montaggio essenziale che rispecchia la coralità dell’impresa. Secondo il giovane Devis Bonanni, “la Carnia era un paradiso in terra”. Secondo altri neo-immigranti come lui, tuttora lo è, o potrebbe esserlo. “La malga è un posto importante, dove il malghese ha una funzione di presidio territoriale”, Simona Rainis. “Credo che la Carnia oggi sia terra d’elezione, terra dove posso scegliere di vivere. Anche quelli che sono usciti possono scegliere di tornare”, Igino Piutti. “La scelta di fermarsi in Carnia è stata una scelta per la gente, per poter dare delle risposte positive, strutturali, di realizzazione di cose sempre nuove, di qualità”, Vito Di Piazza. “In Carnia prevale il concetto di individualismo, che è storico e atavico”, Renzo Tondo. “Un’altra caratteristica della Carnia è la grandissima intelligenza, frammentata e diffusa sul territorio”, Cristiana Compagno. “A me piace il mio paese. Io sono stata educata a fare qualsiasi lavoro utile per aiutare la famiglia”, Annalisa Merluzzi. “La Carnia ha bisogno sicuramente di fare sistema”, Debora Serracchiani. “Non c’è necessità di un sovraffollamento della montagna, è giusto che venga ripopolata quanto basta”, Roberto Siagri. “Qua ci lamentiamo che questi paesini diventano dormitori. Attenzione che domani non saranno neanche dormitori, saranno vuoti e punto”, Luigi Cortolezzis. Impossibile sintetizzare la continua doccia fredda tra pessimismo e ottimismo, ritorni e addii, utopie e distopie. Il carnic-american Dante Spinotti non a caso mescola evocazioni da western nostalgico stile John Ford con visioni New Deal alla Pare Lorentz. I dibattitti affollatissimi seguiti alle anteprime di Udine, Gemona, Tolmezzo, Comeglians, hanno dimostrato come Inchiesta in Carnia (una produzione low budget Spinotti/Cineteca del Friuli) sia riuscito a incidere nella carne viva. Incontrando tra tanti personaggi, nella sua frastagliata odissea attraverso monti, valli e centri urbani, manager industriali, magnifici rettori e dirigenti politici di primo piano, ci auguriamo che codesti vip abbiano colto la palla al balzo. Come? Istituendo in Carnia un Centro Studi e Sperimentazioni Foto-VideoCinematografiche affidato alla guida di Spinotti. Grazie alla lunga esperienza di docente all’UCLA e in altri atenei americani, ai ramificati contatti a Hollywood, Cinecittà, Pinewood, chi meglio di lui potrebbe rilanciare il proprio territorio esattamente come meriterebbe?


In occasione della mostra a Villa Manin un ricco calendario di eventi e proiezioni speciali

Carlo Montanaro

La nascita del cinema rappresenta di per sè, nella “storia delle immagini”, qualcosa di assolutamente rivoluzionario. Inserendo nella riproducibilità del reale l’elemento “tempo”. Che presto, per gli interessati curiosi creativi, diventerà armonia, ovvero musica. Perché le fasi più importanti della cosiddetta avanguardia storica, avranno un chiaro riferimento al complemento sonoro. IL MANIFESTO DELLA CINEMATOGRAFIA FUTURISTA, nel 1916, confutando la narratività del linguaggio delle ombre in movimento, auspicherà, sia pur in uno stile tra il criptico e l’ambiguo, l’allegoria, la metafora, il concettuale. Ma molte difficoltà tra le quali, non ultima la Grande Guerra in corso, non permetteranno la messa in atto di quelle istanze. Riconducibili poi, sul piano del progetto, a quanto accaduto all’interno dei grandi movimenti trasgressivi delle arti del ‘900. Dadaismo e surrealismo, soprattutto, avranno la necessità di confrontarsi anche con il cinematografo. E un personaggio come Man Ray, curioso ed inventivo, non poteva non provarci. Soprattutto se teniamo presente la sua attenzione verso la fotografia. Proprio in una Galleria fotografica di New York (la 291 di Alfred Stieglitz) ha luogo, nel 1915, il primo incontro tra Man Ray e Marcel Duchamp. E i due, diventati da allora e per sempre amici e sodali, proveranno presto non solo a “filmare”, ma addirittura, fallendo alla grande, il 3D con due macchine accoppiate. Una delle ossessioni di Duchamp, la tridimensionalità, che in qualche modo verrà celebrata con i dischi dei Rotoreliefs sui quali, sempre con l’aiuto di Man Ray, Duchamp costruirà l’unico suo film Anémic Cinèma (1926). E che poi proporrà ad Hans Richter quando costui, alla fine della guerra, in America, riuscirà a produrre finalmente a colori quell’inno alle avanguardie Dreams than money can buy (1947) composto da suggestioni di artisti amici quali Duchamp e Man Ray. Richter che fu il primo (1921) a provare ad identificare con il buio la cornice per un filmato (Rhytmus 21) di figure geometriche in movimento armonico, secondo i dettami suo amico musicista Ferruccio Busoni. I musicisti. Almeno due i grandi che si fecero coinvolgere. L’eccentrico Erik Satie che scrisse, oltre che per il balletto Relache su scenografie di Francis Picabia, anche le musiche per il relativo intervallo di celluloide che (Entr’acte, 1924) spezzava i due tempi della rappresentazione. E dentro queste velocissime immagini in libertà (giovanissimo il regista: René Clair) Duchamp e Man Ray che giocano, ovviamente, a scacchi… E il giovane e trasgressivo americano George Antheil, coivolto da Ezra Pound nel movimento vorticista, che aderisce con una partitura ossessiva e ripetitiva per pianoforti meccanici quel Ballet Mècanique (1924) realizzato da Fernand Leger pittore e da Dudley Murphy cineasta americano, con l’amichevole supporto di Man Ray. Man Ray stesso aveva già presentato per l’ultima serata dadaista “Le coeur a Barbe” (1923) Le retour à la raison una astrazione composta con i dettami della sperimentazione fotografica, con in primis i “rayographes”. Per poi dedicare alla manipolazione della luce in tutte le sue forme Emak Bakia (1926) e al surrealismo l’illustrazione di una poesia di Robert Desnos: L’etoile de mer (1928). Chiudendo con il cinema nel 1929 con Les Misteres du Chateau du dè prodotto dai mecenati Visconti di Noailles che permetteranno a breve anche a Luis Buñuel e Salvador Dali (L’age d’or, 1930) e Jean Cocteau (Le Sang d’un Poète, 1932) una inusitata libertà stilistica e contenutistica. Una stagione, insomma, quella tra gli anni tra i ’20 e ’30 di straordinaria valenza nella sperimentazione e nella ricerca. Che coinvolge altri specifici del cinema come il documentario, che, dalla pura e semplice cronaca del reale, andrà a sua volta ad arricchirsi di implicazioni ora estetiche ora contenutistiche. E che vede protagonisti personaggi legati alla pittura, ma anche alla musica, al cinema, al teatro, alla creatività, abituati ad incontrarsi ai tavolini dei bar in una Parigi allora capitale mondiale della cultura. E’ questo quanto si potrà rievocare ripercorrendo vite ed opere nella rassegna Intorno a Man Ray directeur du mauvais movies nell’ambito della mostra Man Ray a Villa Manin.

Intorno a Man Ray

Man Ray e il cinema


TRIESTE SCIENCE+FICTION - FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA FANTASCIENZA

Domani accadrà ovvero se non si va non si vede

Trieste Sala Tripcovich, dal 29 ottobre al 3 novembre 2014

Dal 29 ottobre al 3 novembre, la città di Trieste diventa capitale della fantascienza: la quattordicesima edizione del festival Trieste Science+Fiction, organizzato da La Cappella Underground, si svolge alla Sala Tripcovich con eventi off al Teatro Miela e Cinema Ariston. In programma anteprime nazionali dei migliori film di genere science fiction, fantasy e horror: cineasti da tutto il mondo concorrono per il Premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza; la competizione per il Premio Méliès d’Argento è realizzata con la European Fantastic Film Festivals Federation; Spazio Italia ospita il meglio della produzione nazionale e un omaggio a Mario Bava ricorda il maestro del fantastico italiano. Tra i titoli della selezione ufficiale, il tecno-thriller Open Windows di Nacho Vigalondo con Elijah Wood e Sasha Grey; Extraterestrial, dei canadesi Vicious Brothers; Le streghe son tornate di Álex de la Iglesia. Tra gli eventi speciali, gli Incontri di Futurologia, in collaborazione con le principali istituzioni scientifiche del territorio; il Premio alla carriera Urania d’Argento; le masterclass dedicate al fumetto e alla letteratura. Info: www.sciencefictionfestival.org

CORSI DI TEATRO A PNBOX

Torre di Pordenone - fino al 7 maggio 2015

Da quest’anno Pnbox abbraccia il teatro a 360°. Oltre alla rassegna teatrale, Speakeasy, la web tv pordenonese apre le porte a dei veri corsi di teatro, organizzati dall’attrice e regista Lisa Moras in collaborazione con l’Accademia Lorenzo Da Ponte di Vittorio Veneto. Un’occasione unica per vivere all'interno di uno studio televisivo il mondo della recitazione, partecipando attivamente anche alle attività della rassegna. Fino al 7 maggio 2015, ogni martedì dalle 17 alle 19.30 Shakespeare is so mainstream, corso di teatro dedicato ai ragazzi, dai 12 ai 18 anni, mentre dalle 20 alle 22.30 Improvvisamente la scena, corso per adulti. Il corso è adatto a tutti, anche a coloro che sono digiuni di teatro ma mossi da curiosità. Info: 328 5416050; e-mail: teatropnbox@gmail.com

INTORNO A MAN RAY - INCONTRI, FILM, CONCERTI

Villa Manin (Passariano di Codroipo), gli appuntamenti di ottobre 2014

In occasione della mostra Man Ray a Villa Manin ogni mese vengono organizzati molteplici eventi collaterali. Di seguito il calendario degli eventi di ottobre. Domenica 5 ore 17.00 – Ma n Ra y f Ra da da e s u RRea l is Mo conversazione con Alessandro Del Puppo docente di Storia dell’arte contemporanea, Univ. di Udine Sabato 11 ore 17.00 – Ma n Ra y: PRo Phet o f t he a va n t Ga Rde di M. Stuart (Usa,1997) d. 60’. La straordinaria avventura artistica ed umana di Man Ray viene ripercorsa attraverso materiali d’archivio, home movies dello stesso Man Ray e interviste inedite di chi lo ha conosciuto. Domenica 12 ore 17.00 – Ma n Ra y e l a f o t o GRa f ia : u n a c a s u a l it à a PPa Ren t e conversazione con Antonio Giusa docente di Storia e tecnica della fotografia, Univ. di Udine Sabato 18 ore 21.00 – salone centrale/musica s o u Ps t a R & Ma n Ra y t Ribu t e Concerto di Giovanni Guidi (pianoforte) e Gianluca Petrella (trombone e electronics) Domenica 19 ore 17.00 – l a ba n de à Ma n Ra y di Jean-Marie Drot (Fra,1985), d. 52’. Nel 1985 Jean-Marie Drot ritorna, 24 anni dopo, nello studio parigino di Man Ray dove in una lunga intervista aveva rievocato la sua esperienza artistica incontrando gli amici di un tempo: Tristan Tzara, Max Ernst, Alberto Giacometti, Meret Oppenheim, ecc. Domenica 26 ore 17.00 Paris qui dort (1923) regia René Clair, d. 60’ entr’acte (1924) regia René Clair; scenario Francis Picabia, d. 20’ l a tour (1928) regia René Clair, d. 12’ La Parigi degli anni venti, luogo magico per incontri e relazioni, culla della reinvenzione dell’arte contemporanea, diventa essa stessa parte integrante di una sperimentazione leggera e sorridente. La partecipazione agli incontri e alle proiezioni è libera fino ad esaurimento dei posti disponibili (ad esclusione del concerto di sabato 18 ottobre evento a numero chiuso - 99 posti: prevendita www.vivaticket.it 10,00 euro) Info: 0432.821211, www.villamanin.it


(Tit. Or.: Razredni sovraznik) Un film di Rok Bicek. Con Igor Samobor, Natasa Barbara Gracner, Tjasa Zeleznik. Slovenia, 2013. Durata 112 min.

UN'OPERA GRANDIOSA CHE SFIDA LA LUNGA DURATA USCENDONE VINCITRICE ASSOLUTA

IL REGNO D'INVERNO - WINTER SLEEP

DI NURI BILGE CEYLAN. In un villaggio sperduto dell'Anatolia, in cui giungono turisti interessati alla struttura di antiche abitazioni che formano un tutt'uno con la roccia, Aydin è il proprietario di un piccolo ma confortevole albergo, l'Othello. L'uomo è anche il padrone di diverse case i cui inquilini non sono sempre in grado di pagare l'affitto e vengono puniti con il sequestro di televisore e frigorifero. Aydin vive con la giovane moglie Nihal e con la sorella Necla che li ha raggiunti dopo il divorzio. L'uomo è stato attore e ora sta pensando di scrivere un libro sulla storia del teatro turco. Nuri Bilge Ceylan ancora una volta riesce ad emozionare con un'opera che sfida la lunga durata uscendone vincitrice assoluta. Il regista turco realizza una sintesi del proprio cinema dimostrando una libertà creativa che lo affranca dalla ripetitività. Dopo il successo dei film precedenti (e in particolare di C'era una volta in Anatolia) sarebbe stato facile tornare a proporre atmosfere e tempi rarefatti. Ceylan opta invece per una sceneggiatura in cui la parola domina integrandosi con un paesaggio e con interni che riflettono e, al contempo, determinano gli stati d'animo. Se il rimando a Shakespeare è in questa occasione palese (dal nome dell'hotel al manifesto di un "Antonio e Cleopatra" fino a una diretta citazione) l'amato Cechov torna a innervare l'opera del regista. Perché il film è pervaso da una sensazione di resa alla fragilità dei rapporti mentre al contempo se ne cerca una ragione e una soluzione (magari nella Istanbul che sostituisce come meta desiderata la Mosca del Maestro russo). Ceylan però si impadronisce di questo mood per operare una lettura delle relazioni uomo/donna che, portata sullo schermo grazie ad attori straordinari, ne fa emergere le pieghe e le piaghe più nascoste. Aydin è un possidente: possiede edifici, possiede la cultura, possiede sua moglie o, meglio, crede di possederla. Ha costruito intorno a lei una gabbia di attenzioni che è si è trasformata in una prigione che lo ha isolato a sua volta. A poco valgono le riflessioni sull'arte e sulla scrittura di quest'uomo apparentemente bonario (il lavoro sporco tocca al suo braccio destro). A infrangersi non sarà solo il vetro del suo fuoristrada. Perché l'uomo Aydin si ritroverà davanti in Nihal non più la ragazza che aveva sposato ma una giovane donna che cerca la propria, seppur limitata, autonomia e ciò accadrà senza che lui abbia voluto accorgersi del cambiamento. Sarà un suo intervento che considera assolutamente normale, se non addirittura doveroso, che farà esplodere tensioni troppo a lungo represse. Nihal però avrà a sua volta modo di sperimentare quanto ciò che noi riteniamo 'buono' per gli altri non sempre viene percepito come tale. Il sonno invernale di Ceylan non è un letargo pacificatore.

PREMIATO ALLA SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA ALLA MOSTRA DEL CINEMA

CLASS ENEMY DI ROK BICEK

L’insegnante di ruolo deve assentarsi perché prossima al parto e al suo posto arriva nel liceo sloveno il professore di tedesco Zupan. I metodi dell'uomo sono rigidi, freddi e punitivi, agli occhi di una classe abituata ad un clima di amichevole negoziazione tra allievi e professori. Quando una studentessa, Sabina, si suicida apparentemente senza motivo, i compagni sconvolti incolpano il professore e le sue richieste troppo esigenti. Ma, nel corso del lutto, il fronte unito della ribellione contro Zupan comincia ad incrinarsi e il vortice delle accuse si complica e si esaspera. "Voi sloveni, quando non vi suicidate, vi uccidete tra voi", sentenzia un ragazzo asiatico, illuminando una delle chiavi di lettura di questo riuscitissimo lungo d'esordio di Bicek. Ma, fuori dal racconto come dentro di esso, non è tutto bianco e nero, e al giovane regista non interessa solo la metafora della classe come riflesso in piccolo di una società ancora divisa al suo interno tra fazioni opposte che risalgono alla seconda guerra mondiale, né l'aderenza ad una realtà drammatica che conta in Slovenia un numero di suicidi a tutt'oggi ancora altissimo: nel suo film, mette anche un po' di sé, con il ricordo della radio scolastica e l'episodio cardine del suicidio di una di una ragazza, che ha fatto parte della sua storia di liceale. Soprattutto, mette in gioco una riflessione tra la modernità educativa, intesa come deresponsabilizzazione e protezione ad oltranza dei giovani dai dolori della vita, e vecchia scuola, più formativa ma meno empatica. Nel mondo odierno del "Al lupo! Al lupo!", la serietà di Zupan lo porta a venir accusato niente meno che di nazismo e ad essere identificato con un sistema -questo sì inflessibile e immutabile- rispetto al quale la sua cultura è invece probabil-

i film del mese

(Tit. Or. Kis uykusu) Un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag. Turchia, 2014. Durata 196 min.


i film del mese

mente l'unico antidoto possibile. Detto questo, Bicek si guarda bene dal fare del professore un martire, ma non salva nemmeno la ragazzina introversa o il compagno che ha perso la madre, costruendo un'escalation di sospetti e dispetti che include tutti quanti e conduce ad una vera e propria guerra, silente e camuffata come sono i peggiori conflitti sul nascere. L'abilità dell'autore, infine, sul terreno di un film tutto sommato piccolo e lineare, è proprio quella di far confliggere l'alto tasso di emotività in gioco con una messa in scena calibrata e pumblea che, se da un lato lo reprime, dall'altro ne alimenta il fuoco sotterraneo. Il suicidio, allora, lungi dall'essere il tema del film, è solo il pretesto per fare della classe un simbolico ring, dove ci si avventa l'uno contro l'altro sull'onda delle emozioni, ma, proprio per questo, si percuote senza esclusione di colpi. Un film di Mario Martone. Con Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio. Italia 2014. Durata 137 min.

LA RILETTURA DELLA VITA DI LEOPARDI CON UN’ECCEZIONALE ELIO GERMANO

IL GIOVANE FAVOLOSO

DI MARIO MARTONE Il giovane favoloso inizia con la visione di tre bambini che giocano dietro una siepe, nel giardino di una casa austera. Sono i fratelli Leopardi, e la siepe è una di quelle oltre le quali Giacomo cercherà di gettare lo sguardo, trattenuto nel suo anelito di vita e di poesia da un padre severo e convinto che il destino dei figli fosse quello di dedicarsi allo "studio matto e disperatissimo" nella biblioteca di famiglia, senza mai confrontarsi con il mondo esterno. Mario Martone comincia a raccontare il "suo" Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo Giacomo nella ricerca costantemente osteggiata da Monaldo e da una madre bigotta e anaffettiva delineata in poche pennellate, lasciandoci intuire che sia stata altrettanto, e forse più, castrante del padre: sarà lei, più avanti, a prestare il volto a quella Natura ostile cui il poeta si rivolgerà per tutta la vita con profondo rancore e con la disperazione del figlio eternamente abbandonato. La prima ora de Il giovane favoloso, dedicata interamente a Recanati, è chiaramente reminescente dell'Amadeus di Milos Forman, così come il rapporto fra Giacomo e Monaldo rimanda a quello fra Mozart e suo padre. Ma non c'è margine per lo sberleffo nell'adolescenza di Leopardi, incastonato nei corridoi della casa paterna e in quella libreria contemporaneamente accessibile e proibita. In queste prime scene prende il via il contrappunto musicale che è uno degli elementi più interessanti della narrazione filmica de Il giovane favoloso, e che accosta Rossini alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring (alias Apparat)e al brano Outer del canadese Doug Van Nort. Attraverso un salto temporale, ritroviamo Leopardi a Firenze, dove avvengono gli incontri con l'amata Fanny e con l'amico Antonio Ranieri, entrambi fondamentali nel costruire la geografia emotiva del poeta. Martone racconta un Leopardi vulnerabile e struggente, dalla salute cagionevole e l'animo fragile, ma dalla grande lucidità intellettuale e l'infinita ironia. Elio Germano "triangola" brillantemente con le sensibilità di Leopardi e di Martone, prestando voce e corpo, sul quale si calcifica l'avventura umana e intellettuale del poeta, alla creazione di un personaggio che abbandona la dimensione letteraria, e la valenza di icona della cultura nazionale, per abbracciare a tutto tondo quella umana. La riscoperta dell'ironia leopardiana, intuibile nei suoi poemi, ben visibile nei suoi carteggi, è una potente chiave di rilettura moderna del poeta. "La mia patria è l'Italia, la sua lingua e letteratura", dice il giovane Giacomo. E Martone ci ricorda che nella lingua e letteratura di Leopardi si ritrovano le radici dell'Italia di oggi. In questo modo Leopardi esce dai sussidiari ed entra nella contemporaneità, continuando quella missione divulgativa che il regista napoletano ha cominciato ad intraprendere con Noi credevamo. Martone fa parlare i suoi protagonisti in un italiano oggi obsoleto ma filologicamente rigoroso, e fa recitare in toto a Leopardi le sue poesie più memorabili, strappandole alle pareti scolastiche e ai polverosi programmi liceali. Germano interpreta quei versi senza declamarli, reintegrandoli nel contesto umano e storico in cui stati concepiti, e restituendo loro l'emozione della scoperta, per il poeta nel momento in cui le ha scritte, e per noi nel momento in cui le (ri)ascoltiamo. Nelle sue parole torna, straziante, la malinconia "che ci lima e ci divora", nei suoi dilemmi esistenziali ritroviamo i nostri. Martone recupera anche la dimensione affettiva di Leopardi, raccontandolo con immensa tenerezza, e senza mai indulgere nella pietà per i tormenti fisici del poeta, che orgogliosamente rivendica la propria autonomia di pensiero intimando: "Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto". E ne sottolinea la valenza politica, facendo dire al poeta: "Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici”. E il messaggio, oggi, non è di poco conto.


LA SCUOLA AL CINEMA - OTTOBRE 2014 IL GIOVANE FAVOLOSO di Mario Martone, biografico, 137', 2014 Venerdì 17 ottobre 2014, ore 09.00, Aula Magna di Cinemazero Lunedì 20 ottobre 2014, ore 09.00, Aula Magna di Cinemazero Leopardi esce dai sussidiari ed entra nella contemporaneità grazia un film biografico, erudito sulla sensibilità postmoderna, che lo ha collocato fuori del suo tempo, origine della sua immortalità e causa della sua umana dannazione. UN PAESE DI PRIMULE E CASERME di Diego Clericuzio, documentario, 67', 2013 Mercoledì 22 ottobre 2014, ore 11.00, Aula Magna di Cinemazero In un paese dove sono passate tre guerre in meno di un secolo, che ne è delle storie dei singoli, di chi ha vissuto e lavorato con, per, dentro le caserme e nei siti militari? Un documentario costruito sui risvolti umani di una militarizzazione per riscoprire la nostra memoria collettiva. CLASS ENEMY film di Rok Bicek, drammatico, 112', 2013 Martedì 28 ottobre 2014, ore 11.00, Aula Magna di Cinemazero Una piccola classe slovena diventa metafora per raccontare la gioventù, le sue contraddizioni e una società. Un' acuta riflessione tra la modernità educativa, intesa come deresponsabilizzazione e vecchia scuola, più formativa ma meno empatica. KHUMBA di Anthony Silverston, animazione, 83', 2013 Giovedì 30 ottobre 2014 ore 09.00, Aula Magna di Cinemazero Un’animazione sudafricana che colpisce per la sua capacità di radicare la narrazione nella storia di un popolo e nell'ambiente naturale autoctono in un film che fonde avventura, divertimento e riflessione.

DUE CAPOLAVORI DEL CINEMA MUTO MUSICATI DAL VIVO

THE PLAYHOUSE

SEVEN CHANCES

IL TEATRO, 1921

LE SETTE PROBABILITÀ, 1925

ZERORCHESTRA

PLAYS BUSTER KEATON

VENERDÌ TEATRO COMUNALE

24 OTTOBRE

2014 ORE 21.00

LUIGI RUSSOLO PORTOGRUARO INGRESSO: 15,00 EURO FINO A 18 ANNI: 10,00 EURO BIGLIETTERIA Fondazione Musicale Santa Cecilia: lun./ven. 17.00 - 19.00 Teatro: il giorno del concerto dalle 18.00 Collegio Marconi: orario di segreteria

DON FELICE SCIOSCIAMOCCA REWIND

MEDICO DEI PAZZI IL regia di Mario Mattoli 1954 - dur. 85 ’

Venerdì 31 ottobre 2014 - ore 19.30 Saletta Incontri San Francesco - Piazza della Motta, PN con il patrocinio del Comune di Pordenone - INGRESSO LIBERO Dopo il film i totofili si incontreranno per una pizza alla Pizzeria Plaza di piazza Risorgimento a Pordenone


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