Fabio Mazzoni
La voce del muto
Fabio Mazzoni
La voce del muto Romanzo
Dello stesso autore in prossima uscita: La mia vita con Tess Quaranta chilometri ed altri racconti
I personaggi e gli avvenimenti di questo romanzo, seppur verosimili, sono il frutto della fantasia dell’autore.
Š Fabio Mazzoni Tutti i diritti riservati www.lavocedelmuto.com fabioblog@lavocedelmuto.com Prima edizione giugno 2012
Copertina a cura di Sonia Squilloni
1. Ansia. Nello stomaco uno scompiglio di lumache che cercano l’uscita. Seduto in punta di sedile, i palmi aperti, le dita che stringono le ginocchia. Sull’ultima fila dell’ultima scassata carrozza di quel treno. Non vedevo nemmeno la forfora sulle spalline della giacca, la scucitura sul colletto della camicia, il buco sotto l’angolo di un finto taschino. Con gli occhi al finestrino, seguivo le onde increspate dei campi di grano e mi ripetevo che alla fine di tutto avrei suonato al suo portone. Le cascine correvano nella direzione delle colline che mi ero lasciato alle spalle. Un trattore senza conducente, una famiglia di maiali, una stazione minuscola, un cane. Un mondo inanimato che si affrettava a raggiungere il luogo da cui me ne stavo andando. Chiusi gli occhi e vidi quello che mi andava di vedere. Vidi la porta di casa sua e poi il sorriso che si impadroniva del suo viso, vidi quello che avremmo fatto insieme, con gli occhi stretti, le mani sudate e il respiro che si 9
fermò quando il treno cominciò a frenare. E le lumache, in fila indiana, su per la gola. Sulla spianata dell’atrio, il bagliore di luce riflesso dal pavimento mi prese di sorpresa. Tornai indietro, pensando che i soldi non mi sarebbero mai serviti e che di affetto, ne avrei potuto trovare sotto le suole delle scarpe. Poi mi voltai una seconda volta. Guardai la lunga vetrata che rifletteva l’immagine di una giacca da cafone piegato sotto un volto grottesco. A sfidare quel panico non sapevo davvero chi avrebbe prevalso. Decisi di raddrizzare la schiena e cambiare passo. Non so perché, ma quella faccia all’improvviso mi piacque e uscii all’aria aperta. La WHTS S.p.A. trasudava potenza dalle colonne di granito dell’ingresso, tecnologia avanzata dalle porte a vetri che si divaricarono per farmi entrare, seduzione dalle cosce nude della ragazza che mi accolse senza sorriso e nessuna intonazione nella voce. Seguii la direzione del suo dito. Presi un ascensore, percorsi un corridoio, svoltai, imboccai un secondo corridoio e in fondo trovai una porta semi-aperta. Aspettai di sputare la prima lumaca. Mi avvicinai senza entrare e vidi una scrivania. 10
Mi piegai per guardare meglio. In quell’ufficio non c’era nessuno. Pensai di andarmene, mi dissi che se non c’era nessuno ad aspettarmi, non avevano nessun bisogno di me. «Cerca qualcuno?» La voce mi arrivò alle spalle e mentre mi voltavo immaginai che l’avrei ricoperto di lumache. Era un uomo dai capelli brizzolati, un’abbronzatura dorata fuori stagione e il nodo della cravatta perfettamente simmetrico. «Sono qui per il colloquio». Entrò nell’ufficio senza invitarmi ad entrare. Tornò con dei fogli e me li mise in mano. «Si può accomodare in quello stanzino. Quando ha finito torni da me». Nato a, residente in, titolo di studio. I suoi genitori sono ancora in vita? Se sì, che lavoro svolgono? Fratelli e sorelle: a) vivono un qualunque disagio b) sono dediti all’alcool c) assumono spesso sostanze stupefacenti d) altro? Ritiene di aver avuto un’infanzia: a) felice b) serena c) ha cercato di dimenticare? 11
Sospetta che la sua attuale condotta di vita sia oggetto di: a) chiacchiere b) trame oscure c) cospirazioni d) complotti e) altro? (non più di 10 parole) Attualmente vive una serena vita di coppia? Quali energie ritiene di poter apportare alla nostra azienda? Le piace il golf? Risposi e firmai in fondo. Sapevo che le mie risposte sarebbero state vagliate, analizzate, elaborate e vendute. Ma firmai, perché era l’unico modo, era scritto in fondo, di essere preso in considerazione da un annoiato selezionatore. Tornai dal brizzolato con i fogli compilati. Mi fece sedere e tenendo le mie risposte sotto gli occhi cominciò a parlare. «Vedo che ha indicato solo sua madre». «Mio padre è morto sette anni fa». «Capisco», gli occhi sul questionario, scriveva appunti illeggibili. Portava un anello con una pietra nera grossa come uno scarafaggio. «Che lavoro svolgeva suo padre?» «Operaio siderurgico. Mia madre stava a casa, se può essere utile. Per il questionario, 12
intendo, come si può insinuare che una madre non lo sia?» Forse abbozzò un sorriso, ma non lo vidi, perché continuava a tenere la testa sopra il foglio. «È figlio unico». «Sì». Gli vidi sporgere il labbro, mentre scriveva. «Ultimo lavoro?» «L’assistente di una colonia». «Per quanto tempo?» «Due mesi». «Quanto ha guadagnato?» D’istinto voltai la testa alla finestra. Guardai la facciata della banca d’affari che stava oltre il vetro. Finsi un rapido calcolo. Forse, a quel punto, se avessi sputato un paio di lumache, ne avrei approfittato per cambiare argomento. «Duemilioni», esagerai, «depurate da vitto e alloggio». Il brizzolato scrisse, arricciando di nuovo il labbro con il volto espressivo quanto l’anello che portava al dito. «Per due mesi?» «Due mesi e mezzo». Passò alla seconda pagina del questionario. «Non ha mai pensato di iscriversi all’università?» 13
«Pensato, sì». «Perché non lo ha fatto?» Di nuovo a guardare fuori. Qualcuno si era affacciato a quelle finestre. Pensai che stessero osservando la scena, appoggiati ai davanzali per ascoltarci meglio. Nell’aria nient’altro che il suono di una danza viscida tra stomaco e gola. «Non saprei. Cose come il fatto di vivere a cento chilometri da qui, la scarsità di mezzi finanziari, l’imbarazzo di scegliere il corso di laurea... cose così». «Capisco», abbozzò un sorriso forzato, con una sfumatura di paternalismo e passò alla terza pagina. Arrivò in fondo, in silenzio. Poi sollevò la fronte, distese le rughe e mi sembrò, ma solo per il tempo di un battito di palpebre, mi sembrò che stesse tentando di sorridere. E a questo punto parlò a lungo, con lo sguardo che andava di qua e di là e le dita a tormentare l’anello con la pietra nera grande come uno scarafaggio. Disse che la WHTS aveva numerose consociate in paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Che il ramo finanziario sarebbe cresciuto in modo esponenziale, disse così: esponenziale. E quello 14
assicurativo, poi, quello assicurativo avrebbe proiettato tutti quanti in una nuova era di protezione dal rischio, di qualunque rischio. Poi passò ai mercati. Niente più lacci e lacciuoli. Niente più leggi che imbrigliavano il risparmio e l’opportunità di crescere crescere crescere. Tre volte. E con loro tutti quelli che avrebbero partecipato all’avventura della new economy. Persone uguali alla WHTS, persone energiche, creative, socievoli. Persone flessibili, motivate e ambiziose. Disse delle retribuzioni, di quanto sarebbero lievitate, retribuzioni senza limiti, proprio come tutte quelle persone che non avrebbero messo limiti alla quantità e alla qualità del proprio lavoro. Parlò per così tanto che persi ogni idea del tempo che stavo passando in quell’ufficio. Parlò con quel tono convinto, con i giusti crescendo e le inflessioni che mi cullarono in quei lunghissimi minuti. Finché bruscamente, senza aver lasciato intendere che stava per finire, finì: «Come si vedrebbe, lei, alle dipendenze di questa società?» Allora gli osservai le pieghe della bocca, i riflessi dell’abbronzatura sotto la luce che filtrava dalla finestra. Il suo sguardo puntava sulle mie mani, puntava sui miei movimenti 15
impacciati. Pensai che dopo tutto quel tempo passato solo ad ascoltare, non avrei più potuto fare altro. Pensai ancora che se una lumaca si fosse finalmente decisa a fare capolino dalla mia bocca aperta a prendere aria, forse non ci sarebbe stato bisogno di rispondere. «Non credo di aver capito. Che cosa dovrei fare?» Allora riprese, con le mie mani che cercavano un punto di stabilità sul bordo della scrivania. Disse di essere abituato alla franchezza e usò tantissime parole, forse migliaia. Cercai di contarle, ma ben presto mi accorsi di aver perso il conto. Disse che la politica delle risorse umane poteva sembrare complessa, ma che in fondo, se ben organizzata, era piuttosto schematica. Parlò di laureati in giurisprudenza, in economia e in ingegneria. Passò ai diplomati, al loro destino in amministrazione e alle loro opportunità di riscatto. «In sostanza si tratta di ricoprire una funzione che noi riteniamo fondamentale, impegnandosi nella promozione del risparmio familiare, con lo scopo di traghettare il risparmio delle famiglie sui nuovi strumenti destinati al mercato borsistico. A chi è disposto a collaborare con noi, assicuriamo, 16
per il primo anno, essenzialmente di formazione, un reddito fisso di un milione e cento netti a cui si sommano le provvigioni per i contratti sottoscritti. Successivamente, dimostrata la necessaria sensibilità al contatto umano, spiccate capacità di marketing e di management, avrà la possibilità di crescere assumendo la direzione di un’unità operativa, che le permetterà di percepire parte degli emolumenti realizzati dalle risorse umane che lei stesso andrà a formare e dirigere. Allora, come si vedrebbe a ricoprire questo incarico?» Ancora fuori da lì. Portai lo sguardo a quelle facce curiose. Alcune stavano bevendo da bicchieri di plastica, altre sorvegliavano il transito delle nuvole nel cielo, altre sembravano davvero occuparsi di me. Facce a due dimensioni, senza profilo, senza nuca. Silenziose, attratte dalla luce, guardavano dalla mia parte. Immaginai che stessero fissando facce come le loro, occupate, anche quelle, a spiare i dirimpettai, carpirne l’invidia, temendo di scoprirli più capaci, più ambiziosi. Risposi: «Non...» «Mi scusi?» «Non so se questo è il lavoro per me». 17
«Alla sua età nessuno può saperlo». «Non voglio vendere titoli finanziari, non voglio promettere rendimenti solo ipotetici, assicurandone la certezza». «Credo che non abbia capito». «Sì, forse non ho capito», forse fu una questione di buone maniere o la voglia di capire fin dove sarebbe arrivato. «Molti dei nostri collaboratori arrivano anche a percepire tra gli ottanta e i centoquaranta milioni l’anno. Con la necessaria intraprendenza è possibile raggiungere una posizione invidiabile. Cerchiamo persone in grado di superare le indecisioni, di fare scelte coraggiose, porsi degli obiettivi e perseguirli. Impegno, noi cerchiamo soprattutto impegno. La sua generazione ha la grande fortuna di poter prendere in mano il proprio futuro...» «Continuo a non capire», lo interruppi al culmine della sua lezione, mentre mi sentivo slittare lentamente in avanti sopra una scia bavosa. Lui si fermò. Quel fiume di parole sembrava improvvisamente esaurito. Rimase in silenzio per qualche secondo. Continuò a guardarmi e io a guardare lui. Poi e si alzò dalla sedia estraendo l’anello dal dito e stringendolo nel 18
pugno. «Aspetti qui». Girò intorno alla scrivania e uscì dalla stanza richiudendo la porta. Mi alzai dalla sedia. Se fossi rimasto seduto, sarei finito sul pavimento senza nemmeno rendermene conto. Mi avvicinai alla finestra. Ero sicuro, a quel punto, che i palazzi degli affari nelle grandi città sono progettati per fronteggiarsi. Giorno dopo giorno si lanciano le sfide imposte dalla modernità, armati di acciaio e cemento, forti della propria struttura poggiata sui nervi degli impiegati e sopra i muscoli dei dirigenti. Pensai che poteva bastare. Pensai che avevo visto quel che mi interessava, ascoltato quel che mi serviva. Lasciai quell’ufficio e mi buttai sulle scale di marmo. La porta a vetri si divaricò, con quel sibilo che finalmente suonava rassicurante. Le lumache avevano invertito la marcia e i piedi si muovevano sicuri sul marciapiede. Sapevo che non avrei dovuto, ma sceso in strada non cercai nemmeno di resistere all’impulso di farlo. Alzai lo sguardo ai palazzi che si stringevano intorno a me. Li vidi di nuovo, quegli sguardi che si lanciavano sfide. 19
Li vidi lanciare quelle occhiate alle finestre del palazzo in cui mi ero trovato fino a poco prima. Attraversai la strada e guardai il palazzo sul lato opposto. Lo vidi subito, il brizzolato alla finestra. Tra tutte quelle facce era la più abbronzata, l’unico con lo sguardo abbassato sulla strada. Accigliato, uno scarafaggio nero tra le labbra, guardava me. Continuai a camminare. Forse impiegai delle ore per raggiungere il suo portone. Pensai che in fondo avevo voluto metterci tutto quel tempo, in linea d’aria non si trattava che di qualche centinaio di metri. In quelle ore non feci altro che camminare, continuando a guardare, la mente occupata in altre faccende per poter anche vedere. Probabilmente avevo incrociato decine di uomini in completo grigio e cravatta allentata, donne sospese sopra tacchi altissimi e dentro tailleur contenitivi. Tutta l’attenzione concentrata sopra un grumo di ragionamenti che non lasciavano spazio ad altro. Avrei davvero avuto bisogno di quel lavoro. Avevo l’età per un’entrata regolare, un’età per iniziare a farmi spazio, un’età per andarmene di casa. E invece ero scappato come un idiota e il peggio era che non avevo un briciolo di rimorso. Avevo raccolto nuovo materiale. Avevo osser20
vato come si comportano certi selezionatori delle grandi aziende, carpito il modo stereotipato di raffigurare l’ambiente aziendale, di giocare sulle aspettative di persone molto piÚ giovani. Ma in fondo ero deluso. In quelle ore a macinare chilometri intorno agli stessi isolati, sentii crescere la consapevolezza che forse non avrei mai trovato il linguaggio straniante e il ritmo ansiogeno che consideravo necessari a raccontare quelle persone e quel loro modo di stare al mondo. Sapevo che sarei stato tentato di imitare malamente altri che l’avevano già fatto. Camminai in quelle strade che a un segnale convenuto si affollarono di persone in cerca di un posto dove sfamarsi. Non avevo nemmeno deciso di lasciarmi trascinare da quella corrente liberata dalle paratie dei grandi palazzi. Fui davanti al suo portone senza aver pensato di arrivarci. Suonai e salii al piano di casa sua. Vedendola ridere dei miei vestiti mi sentii sollevato. Spendere i soldi del treno e sottopormi alle insolenze del brizzolato non era stato del tutto inutile. Lasciai che mi accompagnasse in camera da letto, pensando definitivamente che non sarei mai diventato il nuovo Bret Easton Ellis. 21
FINE ANTEPRIMA
Fabio Mazzoni La voce del muto «Non so se questo è il lavoro per me». «Alla sua età nessuno può saperlo». «Non voglio vendere titoli finanziari, non voglio promettere rendimenti solo ipotetici, assicurandone la certezza». Alla fine degli anni ‘90 si comincia a parlare di new economy, la new age spopola e un nuovo secolo si avvicina con angosciante ottimismo. Un aspirante scrittore disoccupato si mette in cerca di uno stile che possa dire suo. A una festa notturna conosce un’appassionata di letteratura che lo introduce ai piaceri della carne e in seguito alla via dello spirito. È convinto che la grande città sia il posto più adatto ad alimentare una vena creativa, ma finirà in un minuscolo paese tra le montagne più alte d’Europa, a badare a un gruppo di anziani apparentemente inermi. Nel momento preciso in cui l’Italia cerca di riscrivere il passato per guardare al futuro, lo scrittore incontrerà una donna che non doveva essere sua, troverà la propria voce in quella di un vecchio e una storia nella frattura che ha cambiato la vita di un villaggio di montagna e il corso dell’intero Novecento.
Tutto era concentrato in quei due anni di lotta tra le montagne, nella caparbietà di quei ragazzi, la ferocia degli occupanti e la rabbia del muto. Il resto non era nient’altro che una bolla di cristallo con un profondo sfregio al centro. Fabio Mazzoni vive in provincia di Firenze con Sonia e Margherita. Lui è figlio della Valle d’Aosta per l’anagrafe, loro per adozione. Ha pubblicato racconti per alcuni piccoli editori italiani. Ha scoperto che la rete arriva lontano, spesso più lontano di un libro promosso e distribuito sui canali editoriali. La voce del muto è il suo primo romanzo.