Memorie di un militante comunista

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Remo Romolini detto I'Sovietico è stato un personaggio emblematico per l'identità storica e politica di Campi Bisenzio (FI). RICORDI DI UN MILITANTE COMUNISTA, attraverso la sua stessa voce, narra i passaggi salienti della sua vita. La vicenda umana di Remo, così strettamente intrecciata con la vita pubblica dell'Italia e di Campi Bisenzio, si è interrotta nei primi giorni di quest'anno. Contrariamente a quanto lui avrebbe voluto la stesura dei suoi ricordi si arresta al 1968. Con questo libretto e il blog www.isovietico.com, si vuole proseguire la narrazione attraverso il componimento di un mosaico di ricordi delle persone che con Remo hanno condiviso parte del suo percorso.


PRESENTAZIONE

I ricordi di Remo, si sono purtroppo arrestati al 1968, perché l'inesorabile male che lo ha colpito non gli ha reso possibile andare oltre, come avrebbe voluto, fino al 1990, l'anno che ha visto l'uscita del PCI dalla scena politica italiana. Certo, sarebbe stato interessante conoscere il suo punto di vista sulle vicende successive al 1968, ma quello che ci ha lasciato come testimonianza è sufficiente per avere un'idea di come, da militante comunista, abbia vissuto gli anni della rinascita del nostro paese dal dopoguerra in poi, le luci e le ombre di una giovane democrazia che ha faticato ad affermarsi ed a consolidare le sue radici. Fin dalla affermazione delle proprie origini proletarie, risalta l'orgoglio di appartenenza al popolo lavoratore, senza iattanza, senza retorica, con quella semplicità e quella schiettezza che sono state le caratteristiche del suo modo di essere per tutto il tempo che ha vissuto. Anche il riferimento al fatto che non aveva potuto continuare i suoi studi oltre la 5ª elementare è solo accennato, quasi come un fatto naturale, ovvio, date le sue umili origini, ma solo chi lo ha ben conosciuto ha capito come possa aver rimpianto di non aver avuto l'opportunità di proseguire negli studi, consapevole di certe sue doti naturali, come l'osservazione critica e la capacità di analisi delle situazioni politiche. La politica, con la P maiuscola, è stata la sua passione principale, a quella ha dedicato la maggior parte della sua vita, per quella ha maggiormente gioito e sofferto, senza risparmio, senza mai lamentarsi o menar vanto. Certo le sue origini proletarie avevano avuto un'influenza grande sulla sua formazione politica, ma determinante era stata l'esperienza diretta nella fabbrica dove aveva provato sulla propria pelle la discriminazione politica e sindacale e le prime sconfitte in un'epoca, anni '50 e '60, in cui essere comunisti in fabbrica voleva dire esporsi fino al licenziamento, indipendentemente dall'essere dei forti e validi lavoratori. In questo senso l'episodio della vertenza con il Cappellificio Tesi è significativo di un'epoca dura e di estremo sacrificio: lottare come rappresentante sindacale per migliorare le condizioni salariali dei compagni di lavoro e provare la delusione di vedere accettata da questi stessi compagni la contropartita imposta dal padrone, dell'estromissione dei rappresentanti sindacali. Ma Remo non indugia su questo che deve essere stato un duro colpo nella sua giovane vita di militante, non recrimina, quasi considerandolo un incidente di percorso, non si attarda a considerarlo come segnale allarmante di una difficoltà del movimento operaio di vedere affermata una coscienza di classe tale da respingere anche una lira di aumento in cambio della libertà di emancipazione. Eppur siamo nel 1967, e nelle città più industrializzate d'Italia si prepara la grande stagione che avrà il suo culmine negli anni '68 e '69. La sua voglia di lottare non poteva bloccarsi di fronte alla prima sconfitta, così accresce il suo impegno e la sua voglia di far qualcosa di utile per una società più giusta e solidale. Il suo racconto dei drammatici giorni dell'alluvione del 1966 che si abbatté su Campi non 3


meno violentemente che a Firenze, è tutto incentrato sull'opera instancabile di aiuto e grande solidarietà alla popolazione più colpita,quella nelle campagne, nei casolari isolati, nelle catapecchie ancora esistenti nella Campi degli anni '60, l'avventurosa fase dei soccorsi, molto spesso rischiosa per gli stessi soccorritori. Questo spirito solidale è quello che spinse con entusiasmo Remo, più tardi, a trasferirsi per un mese circa in Irpinia con le squadre di soccorso organizzate dal PCI e dall'associazionismo toscano per aiutare le popolazioni a riorganizzarsi dopo il terribile terremoto. Remo, con la sua infaticabile attività lavorava alla installazione di capannoni e case mobili, ma nello stesso tempo collaborava con i compagni e con le istituzioni di Lioni alla ricostruzione della vita sociale, e non si scoraggiava mai se mancava un'identità di vedute con i compagni del luogo sulle priorità da affrontare, cosa che spesso accadeva. I racconti che ci faceva, tornando da quell'esperienza, rimarcavano soltanto la voglia di risolvere insieme i problemi e descrivevano l'umanità sofferente che aveva incontrato. Questa voglia di condividere con comunità meno organizzate l'esperienza acquisita nell'organizzazione delle feste dell'Unità a Campi Bisenzio e a Firenze, lo ha portato in luoghi lontani, come in Puglia, con l'ARCI per le cooperative dei braccianti extracomunitari e in Sicilia, con il Partito per allestire Feste dell'Unità e delle Donne, tenendo sempre insieme il lavoro materiale con quello di programmazione di iniziative politiche e culturali, cose che riteneva indispensabili per un' aggregazione non effimera della vita sociale. L'antifascismo, che poi significa amore per la libertà e la giustizia, e quindi difesa delle istituzioni democratiche, era in Remo un solido sentimento dominante e discriminante che lo aveva visto impegnato non solo negli anni ‘50 e ‘60, ancora fortemente segnati dal riemergere di residui non meramente nostalgici, anzi pericolosamente aggressivi e destabilizzanti, ma in tutte quelle occasioni che anche successivamente si sono ripresentate. Non so come Remo avrebbe raccontato le vicende degli anni successivi al 1968, come poi avrebbe affrontato la questione che certamente ha lasciato un segno forte nella sua vita, tutta dedicata alla passione politica, la vicenda della fine del PCI, il partito per il quale si era impegnato in maniera totale, al quale aveva sacrificato molto più del suo tempo libero. So, sappiamo, come abbia vissuto quel periodo successivo, con la solita coerenza ed il medesimo impegno, molto aperto e schietto nel confronto delle idee, insofferente solo verso l'opportunismo e l'ambiguità e quello che chiamava il carrierismo politico. D'altra parte, il suo mito era Enrico Berlinguer e a quel modello, nonostante tutti i passaggi politici successivi, è rimasto fedele fino alla fine. Anna Maria Mancini

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RICORDI DI UN MILITANTE COMUNISTA di Remo Romolini

Infanzia e vita sociale nella “piccoloa Russia” (San Martino) Sono nato nel 1941 in una famiglia di modeste condizioni economiche e di sentimenti antifascisti in una frazione di Campi, ”San Martino” chiamata la “piccola Russia” per via della forte presenza comunista e socialista dove operava una consistente nicchia del “Soccorso rosso” di cui mio padre faceva parte. Lui faceva il ciabattino e mia madre, la casalinga. E’ in questo contesto che ho vissuto la mia infanzia, l’asilo e i primi tre anni di elementari dalle suore, dopo, con insegnanti laiche fino alla licenza elementare. Dopodiché c’era poco da scegliere: chi non aveva mezzi (come nel mio caso) andava a lavorare, chi poteva contare su una famiglia con migliori possibilità economiche, continuava gli studi, perlomeno fino alla terza media a Firenze in quanto a Campi esisteva solo la scuola elementare. Dunque, presa la licenza elementare, i miei genitori mi mandarono a fare il garzone presso un pizzicagnolo di San Martino più “per levarmi dalle strade”, come si diceva allora, che per farmi fare un vero e proprio lavoro. In quel periodo la vita sociale si svolgeva tutta all’interno di due luoghi di aggregazione: il Circolo “La società”, come veniva chiamato e la Parrocchia di San Martino gestita da Don Cioni, un parroco benvoluto dai sanmartinesi. La nostra vita di ragazzi si svolgeva all’interno di queste due possibilità .... ma non solo. Ce n’era una terza più avventurosa ed accattivante; scorrazzare per il padule a cogliere uva, ciliege .... o all’Hangar, il vecchio campo dei dirigibili dove ci divertivamo tra le rovine trovando un po’ di tutto tra i residuati bellici, o in Bisenzio per fare il bagno e pescare. Compiuti i 14 anni potevamo diventare, a tutti gli effetti, soci del Circolo e suoi abituali frequentatori. Ed è qui che, assistendo alle riunioni e alle discussioni dei “grandi” sui temi più disparati della vita economica, sociale e politica del nostro Paese, è iniziata la mia formazione di militante comunista, aiutato in questo anche dai 5


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miei genitori, entrambi attivisti e iscritti al P.C.I.

L’apprendistato: la politica e la fabbrica Mi avvicinai alla cellula a metà degli anni ’50 iscrivendomi al PCI nel 1956, in quanto a Campi la F.G.C.I., dopo una breve parentesi, non era più rappresentata in modo organizzato. I primi incarichi ricevuti dal Partito erano quelli di diffondere l’Unità domenicale e distribuire le tessere che allora si pagavano con dei bollini mensili. Nel frattempo fui assunto a Firenze in una modisteria, mestiere che mi ha appassionato (all’epoca il cappellaio era un lavoro molto ambito) e permesso di avere una certa sicurezza economica, almeno per cinque anni. Purtroppo però negli anni ’50 eravamo ancora lontani dalla conquista dei diritti e così nel 1960 fui licenziato. Per fortuna dopo poco fui assunto in una industria tessile: 16 ore al giorno (8 ore di apprendistato e 8 di servizio). Nel frattempo, l’allora segretario della sezione del P.C.I., Primaldo Paolieri, mi chiese se ero disposto ad impegnarmi nell’attività politica nel Partito con il compito di organizzare la F.G.C.I. che sotto l’impulso e la guida del compagno Achille Occhetto era diventata la più grande organizzazione giovanile. Mi misi immediatamente al lavoro e, con la collaborazione del mio amico e compagno Egilindo Carovani (detto Lisindo), demmo vita al 1° Circolo F.G.C.I. “Julian Grimau” in onore e memoria di un militante comunista spagnolo fatto “garrotare” dal generalissimo Franco. In poco tempo l’organizzazione poté disporre di circa 160 iscritti. Intanto, per quanto riguarda il mio lavoro, le cose si mettevano male. Fui avvicinato da un impiegato della ditta per cui lavoravo, il quale, senza nemmeno interpellarmi, mi informò che per me c’era pronta la tessera della mia iscrizione alla C.I.S.L. Risposi in modo risentito che io non avevo chiesto nessuna tessera e che avevo già un sindacato di riferimento al quale mi sarei iscritto presto: la C.G.I.L. Per tutta risposta il giorno seguente il mio nome figurava in un elenco di licenziati affisso in portineria. La disoccupazione per fortuna durò pochi mesi. Fui 6


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avvicinato dalla ditta Tesi, un grosso cappellificio di San Piero a Ponti specializzato in “Panama”, il tipico cappello di foggia sudamericana. Mi fu proposto di impiantare un settore per la lavorazione del feltro, naturalmente accettai.

Gli anni memorabili della F.G.C.I. Intanto la passione politica si faceva sempre più forte; la F.G.C.I. cresceva e tutte le occasioni erano buone per aumentarne lo sviluppo: dalla gita organizzata, alla squadra di calcio con la quale partecipammo ad un torneo estivo organizzato dalla società di calcio “Lanciotto”. La nostra identità era visibile: magliette rosse corredate da una stella gialla con la scritta F.G.C.I. Intanto si avvicinavano le elezioni politiche del 1963. Mi ricordo che assistemmo a numerosi comizi in Piazza Signoria. Allora la politica non era mediatica, si faceva nelle piazze a diretto contatto con i cittadini. Partecipai, insieme a Lisindo e ad altri, a comizi memorabili: di Togliatti, Terracini .... Impressionanti furono quelli di Occhetto e di Ingrao organizzati dalla F.G.C.I.: fummo profondamente colpiti dalla forza delle argomentazioni dei due oratori e dall’entusiasmo dei giovani. Memorabile fu il corteo con la fiaccolata con migliaia di giovani che, partiti da Santa Croce, entrarono nel “pienone” di Piazza Signoria a comizio iniziato. Occhetto colse al volo l’occasione per gridare : - Onorevole Speranza, sono questi i vecchi del P.C.I.! – In risposta ad un manifesto della D.C. che accusava il P.C.I. di essere vecchio vantando la “giovinezza” della D.C. allora ventenne. La fulminante replica dei giovani comunisti non si fece attendere: “La D.C. ha vent’anni, è l’ora di fotterla!”, battuta questa, passata gloriosamente alla storia. Quelle elezioni, a cui partecipai per la prima volta, videro il P.C.I. aumentare in tutta l’Italia di circa il 5%. Mi ricordo l’entusiasmo che incontravamo andando in giro per i seggi elettorali, non solo a Campi, ma anche nei comuni limitrofi. Allora non esistevano gli exit-poll o le lunghe dirette TV: i dati erano reali passati dai rappresentanti di lista presenti ai seggi con tanto di distintivo di riconoscimento. Il nostro comprensibile entusiasmo giovanile per il buon esito elettorale fu bruscamente “raffeddato” dai dirigenti del Partito che ci invitarono a tenere un contegno più sobrio indice di un’acquisita maturità. Memorabile rimane l’affermazione 7


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del compagno Rugi Arrigo che nel corso di una riunione sul voto disse: Calma compagni, ci vorrà anche i’ ’68 per prendere il potere!”. Quelle elezioni che avevano premiato il centrosinistra produssero una frattura sempre più larga tra il P.C.I. ed il P.S.I. ripercuotendosi anche sulle giunte socialcomuniste. Intanto la F.G.C.I. campigiana cresceva come attività e numero di iscritti.

Occhetto e l’infortunio del corteo non autorizzato Sempre più affascinati dall’oratoria di Occhetto, non c’era manifestazione nazionale che non fosse seguita da migliaia di “figgicciotti”. Fu partecipando ad una di queste manifestazioni e precisamente al raduno nazionale dei giovani a Cervia, che avemmo occasione di parlare con Occhetto per invitarlo a partecipare ad un’iniziativa provinciale da svolgersi a Campi. La risposta positiva che ricevemmo ci inorgoglì. Aiutati dal Partito ci mettemmo immediatamente al lavoro per organizzare al meglio il nostro progetto. Mi ricordo che personalmente partecipai a diverse riunioni in Federazione assieme ai segretari degli altri comuni. Il giorno della manifestazione – mi sembra fosse il 23 settembre – grande fu la soddisfazione nel vedere tanti giovani arrivati da tutta la provincia coi pullman noleggiati o con gli scarsi mezzi propri. Il comizio fu grandioso, all’altezza del miglior Occhetto. L’entusiasmo era così incontrollabile e contagioso che non fu possibile evitare il corteo (non autorizzato): i giovani sfilarono al canto di “Bandiera rossa” per tutta Campi. Purtroppo la gioia per la riuscita della manifestazione fu offuscata dall’amarezza per l’ordinanza di sospensione delle attività del Circolo da parte delle autorità di Pubblica Sicurezza che presero a pretesto il fatto che il corteo non era stato autorizzato. Questo ci costò anche una condanna da parte della Procura a pagare una multa di dodicimila lire a testa ad Achille Occhetto, Primaldo Paolieri ed al sottoscritto Remo Romolini, in quanto responsabile della manifestazione. Ma, come si dice “non tutto il male vien per nuocere” perché l’episodio servì a consolidare il rapporto dei compagni con il loro Circolo.

Prove di “larghe intese” Nel novembre dello stesso anno, 1963, tenemmo come F.G.C.I. una prima riunione con gli altri movimenti giovanili della D.C. e del P.S.I. per discutere 8


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delle iniziative comuni da prendere per aiutare le popolazioni colpite dalla tragedia del Vajont. Quella riunione a cui partecipammo io e Lisindo per la F.G.C.I., Andrea Arrighetti per i giovani del P.S.I. e, mi sembra Paoli Giuliano per i giovani D.C., si arenò purtroppo su posizioni diverse in merito alla destinazione dei mezzi di soccorso e non produsse una decisione unitaria. Noi avremmo voluto come nostro intercolutore il parroco di Longarone perché non ci fidavamo delle istituzioni comunali e provinciali alle quali attribuivamo la responsabilità della tragedia. Il Circolo, col passare del tempo, diveniva sempre più il punto di riferimento per tanti giovani (ragazzi e ragazze) e questo contribuì ad accelerare il rinnovamento e la ristrutturazione del “Rinascita”. In quegli anni la vita politica a Campi si svolgeva tutta all’interno dello scontro, anche molto aspro, tra il P.C.I. ed il P.S.I., soprattutto in merito alla gestione amministrativa comunale da parte dell’allora sindaco socialista.

A Mosca, a Mosca! Intanto nel 1964 il Comitato di Sezione di cui facevo parte, composto da Paolieri Primaldo (segretario), Manetti Sergio detto “Massa”, responsabile dell’organizzazione, Bacci Ugo, Monciatti Ezio, Manetti Libero, Falcini Bruno, Frati Francesco, Colzi Gaetano, Fabbri Tea, Primetta (...), Liberto Roti ed Aiazzi Marino, mi annunciò, su proposta di Primaldo Paolieri, di essere stato scelto per un viaggio premio in Unione Sovietica. Questi viaggi venivano organizzati dal partito nazionale per incentivare l’attivismo. La proposta mi inorgoglì e mi riempì di gioia. Il viaggio era previsto nella settimana compresa tra il 25 aprile ed il 1° maggio per assistere alla parata sulla Piazza Rossa. Purtroppo, senza che mi venisse data alcuna spiegazione, mi fu negato il passaporto e dovetti rinunciare al viaggio. Interpretai l’episodio come una ritorsione per quanto era successo l’anno prima con Occhetto. Per fortuna ebbi modo di consolarmi presto: ad agosto (finalmente era arrivato il passaporto!) riuscii a partire per Mosca usufruendo di un viaggio premio di quindici giorni insieme a diversi compagni tra cui vorrei ricordare Gino Mazzoni, un compagno “storico” di Montespertoli, chiamato affettuosamente da tutti “zio Gino”. Con lui 9


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mi sono incontrato molte volte nel corso di svariate manifestazioni e riunioni. Visitammo Kiev e Mosca. Il soggiorno fu piacevole da molti punti di vista, tuttavia, pur avendone riportata un’impressione abbastanza positiva, non ho mai sentito il bisogno di tornarci, nonostante il Circolo abbia, in seguito, organizzato altri due viaggi.

La morte di Togliatti Durante il soggiorno a Mosca apprendemmo la notizia che Togliatti era stato gravemente colpito da un ictus cerebrale durante una visita ad Yalta in Crimea. Durante il viaggio di ritorno eravamo privi di entusiasmo con la mente ed il cuore rivolti allo stato di salute del compagno Togliatti. A Budapest, dove sostammo, fummo informati che Togliatti era molto grave. Quando arrivai a casa il 21 di agosto, il Giornale Radio delle ore 13 annunciò al popolo italiano che Togliatti era deceduto. Anche a Campi grandi furono la commozione ed il cordoglio non solo degli iscritti al P.C.I., ma anche di vasti strati della popolazione, compresi i cattolici. Il 25 agosto organizzammo un pullman – che si riempì oltre il numero consentito – per partecipare ai funerali. La cerimonia funebre fu grandiosa, con una partecipazione popolare mai vista: i media di allora parlarono di circa un milione e cinquecentomila partecipanti. Il ritorno fu alquanto sofferto: di circa sessanta partecipanti, solo quarantacinque tornarono con il pullman; gli altri dovettero prendere il treno per l’impossibilità di raggiungere il parcheggio dei pullman sul Lungotevere Flaminio. Ricordo benissimo la domanda di Lisindo ad un cittadino romano: - dov’è il “Lungarno” Flaminio? – ovviamente la risposta fu: - eh, hai da camminare .... -.

Le lotte sindacali Intanto in fabbrica i rapporti con la proprietà si erano deteriorati perché insieme a Dino Vaiani, un compagno di San Piero a Ponti tuttora legato alla sinistra, provammo ad organizzare i lavoratori sindacalmente chiedendo l’elezione della Commissione Interna, come si chiamava allora il Consiglio di 10


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Fabbrica. La questione che stava più a cuore dei dipendenti del cappellificio era di riuscire a vedere aumentato lo stipendio di circa 50 lire l’ora. Fu eletta una commissione di lavoratori di cui io e Vaiani facevamo parte per discutere la questione con i datori di lavoro. La richiesta di aumento salariale fu accolta a patto di escludere la rappresentanza sindacale dallo stabilimento. Io ed il Vaiani contestammo vivacemente la posizione assunta dai “Fratelli Tesi” in quanto la giudicammo ingiusta e discriminante nei nostri confronti: loro potevano iscriversi al loro sindacato (la Confindustria), noi no. Uscimmo dalla riunione per riferire ai nostri compagni di lavoro riuniti nel piazzale, i termini della discussione e delle proposte della ditta. Queste furono accettate. Cominciò così un periodo difficile per me e per il Vaiani che culminò con il nostro licenziamento. Il Vaiani stesso lo può testimoniare e così pure Paolo Gauci, dipendente allora della ditta Tesi.

La campagna elettorale per le amministrative del ‘64. I “Giornali parlati”. Il Partito, in quei mesi del ’64, era impegnato a preparare programmi e strategie per le imminenti elezioni amministrative che si sarebbero svolte nel novembre dello stesso anno. Dopo che il Paolieri accettò di presentarsi come capolista e quindi candidato a Sindaco della lista comunista, la guida della campagna elettorale fu assunta dal compagno Manetti Sergio come responsabile all’organizzazione e al “lavoro di massa”, come si diceva allora. La campagna elettorale fu aspra, senza esclusione di colpi, rivolta più contro il P.S.I. che contro la D.C. Il Manetti inviò alla D.C. locale una lettera di apertura e di ricerca di collaborazione sia in Consiglio Comunale che in Giunta. La lettera fu resa pubblica attraverso il “giornale parlato” che allora era il mezzo più efficace per la campagna elettorale. Il “giornale parlato” era organizzato unitariamente da tutte le forze politiche che partecipavano alla competizione elettorale, con altoparlanti che diffondevano i messaggi di propoganda politica per tutto il centro storico di Campi. Gli altoparlanti erano collegati con le sedi dei vari partiti, ognuno dei quali, a turno, secondo orari ben stabiliti, faceva sentire la sua voce che veniva annunciata ai campigiani mediante il proprio inno: “Bandiera rossa” per noi ed i socialisti, “Bianco fiore” per la D.C. Così tutte le sere i cittadini potevano ascoltare la voce dei partiti e valutare la 11


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bontà dei singoli messaggi. La lettera di apertura alla D.C. del Manetti suscitò un enorme scalpore tra i cittadini ed anche all’interno del nostro Partito: non tutti apprezzarono quell’apertura così improvvisa ed irrituale. La D.C. rifiutò nettamente la proposta, mentre il P.S.I. interpretò il gesto come un tentativo di cambiare maggioranza in Consiglio Comunale, sciogliendo l’alleanza socialcomunista che governava Campi dal Dopoguerra in poi (prima con il comunista Spartaco Conti detto “Pelosini”, grande figura di antifascista campigiano, poi dal ’56 con il socialista Vasco Puccini). Come si può facilmente intuire i rapporti fra noi ed i socialisti divennero sempre più difficili fino a culminare nell’episodio della famosa corsa per la presentazione del simbolo in vista delle elezioni.

Il primo: in alto a sinistra! Negli anni ’60 ed ancora per molto tempo dopo, la collocazione, sulla scheda elettorale, dei simboli delle singole liste, veniva assegnata in base ai tempi di consegna, a partire dalle ore 8 del giorno prestabilito, nella stanza del Segretario Comunale che provvedeva alla ratifica. Il primo posto nella scheda era invariabilmente conquistato dal P.C.I. in quasi tutta l’Italia, con grande orgoglio e soddisfazione di noi tutti, a dimostrazione della grande forza organizzativa del nostro Partito. Ed in effetti il risultato premiò l’impegno di tanti compagni che a turno formarono lunghe code di giorno e di notte per arrivare a consegnare per primi la lista.

La corsa Campi non fu da meno: procedemmo in modo organizzato con turni di quattro ore. Per l‘ultimo giorno e l’ultima notte incaricammo due compagni, Celentano Antonio e D’Agostino Aniello di presidiare ininterrottamente il posto. Nei pressi del Palazzo Comunale avevamo posteggiato una 1100 (che il Partito aveva acquistato per svolgere la campagna elettorale) per consentire ai compagni che facevano i turni di notte, di riposare. Io e Bacci Bruno, che fummo incaricati dal Segretario di presentare simboli e liste, passammo nei pressi del Comune verso mezzanotte per offrire ai due compagni di turno del caffé e qualcosa da bere. Verificato che tutto funzionava alla perfezione, salu12


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tammo i due compagni e ci demmo appuntamento per le 6.30 del mattino alla sede del P.C.I. per prendere i documenti da consegnare al Segretario Comunale. Arrivati poco prima delle 7 davanti al Comune, trovammo il portone d’ingresso presidiato da numerosi militanti del P.S.I. che, formando con le braccia una catena, minacciavano di non far entrare nessuno. Sostenevano che erano loro gli aventi diritto ad apporre il proprio simbolo in cima alla scheda in quanto avevano raggiunto per primi la sede del Comune. Consultammo i nostri compagni che ci informarono di avere concordato con loro che quella “sceneggiata” sarebbe durata fino all’apertura del portone lasciandoci liberi di entrare per primi. Questa versione, purtroppo, non fu confermata dai compagni socialisti guidati da Arrighetti Andrea detto “brihaino”. A questa presa di posizione intimammo loro di lasciare libero immediatamente l’ingresso dietro minaccia di essere ”pronti a tutto”. A questi toni risoluti da parte nostra, loro reagirono con le prime defezioni; anche l’Arrighetti fece marcia indietro dichiarando che non era loro intenzione degenerare in una rissa: “- In fondo siamo tutti compagni”-, disse. Venimmo a questo compromesso: ci saremmo disposti tutti in fila alla pari davanti al portone; al momento della sua apertura avremmo iniziato la corsa fino agli uffici del Segretario che si trovavano al primo piano, accanto alla Sala dell’Affresco. Scattammo come fulmini e, durante la corsa, sotto lo sguardo attento dell’allora Comandante dei Vigili Urbani, Brunino ed io ci precipitammo immediatamente su per le scale, mentre l’Arrighetti, nel generale parapiglia, andò a sbattere dritto dritto contro la porta dell’ufficio dell’attuale Stato Civile. A quel punto, quando noi avevamo già “tagliato trionfalmente il traguardo”, irruppe nella stanza il Sindaco Puccini che, con aria perentoria, intimò al Segretario di non accettare i nostri documenti perché, secondo lui, avevamo letteralmente spinto l’Arrighetti giù per le scale. Noi gli rispondemmo che stava a lui lasciare quell’ufficio in quanto le funzioni della segreteria non erano di sua competenza. Questo ci costò una denuncia-querela da parte dell’Arrighetti e del P.S.I. La vicenda infine si risolse con il ritiro della denuncia da parte dei querelanti.

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La campagna elettorale entra nel vivo ... Ebbe così inizio ufficialmente la campagna elettorale. Furono quarantacinque giorni di impegno totale ed io, essendo in quel momento disoccupato, potevo dedicarmi interamente all’attività di propaganda che consisteva prevalentemente nella preparazione dei “giornali parlati” fissi ed in movimento. Mi affiancava, in questo impegno, un giovane frequentatore della Casa del Popolo con il quale iniziai un’amicizia che dura tutt’ora, Maoggi Roberto. Il comizio di apertura della campagna elettorale si tenne al Cinema Italia, stracolmo di gente fino in galleria. Il discorso ufficiale fu pronunciato, oltre che dal Paolieri, da Oreste Marcelli, dirigente del P.C.I. provinciale e redattore de “L’Unità”. Il comizio di chiusura, sempre al Cinema Italia, fu tenuto da Oliviero Cardinali, anche lui dirigente provinciale del Partito. Dopo il sabato di riflessione, finalmente, alle sette del mattino di domenica ventitré novembre, si aprirono i seggi elettorali.

“ ... e meno male che c’è il P.C.I.!” Io ero scrutatore in una sezione della Scuola di via Buozzi assieme ai compagni Valiano e Raffaello Lombardi de La Villa. Presidente di seggio era stato nominato Marzio Cecchi, l’architetto che lavorava alla ristrutturazione della Casa del Popolo. La vita al seggio era monotona: non vedevamo l’ora di fare due chiacchiere con i compagni addetti alle provvigioni. Allora i componenti dei seggi venivano riforniti dai rispettivi partiti di panini, bibite, sigarette ....: quelli erano i momenti più lieti dell’intera giornata. Allora l’impegno dei compagni ai seggi era del tutto volontario, in quanto la diaria veniva interamente versata al Partito, perciò quei panini erano davvero meritati. “Socializzavamo” i rifornimenti alimentari con i rappresentanti degli altri partiti i quali, vedendo tutta quella “grazia di Dio”, esclamavano: - e meno male che c’è il P.C.I.! – Finalmente arrivammo alle ore 14 del lunedì alla chiusura dei seggi elettorali ed all’apertura delle urne. Da quel momento ritornammo ad essere avversari politici. Concordate con il Presidente le modalità di scrutinio, iniziò lo spoglio delle schede. 14


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Al di là di ogni previsione. Si volta pagina! Quelle elezioni segnarono un enorme successo del P.C.I. che conquistò circa il 47% dei voti e, cosa inaspettata, la maggioranza assoluta dei seggi. Appresa la notizia, il Circolo si riempì di militanti ed elettori, dando vita ad una grande manifestazione di gioia al grido di “Paolieri Sindaco!”. Con l’insediamento ufficiale del Consiglio Comunale e l’elezione di Paolieri a Sindaco iniziò la nuova fase politico-amministrativa del Comune di Campi Bisenzio. Il Sindaco fu salutato da centinaia di persone che gremivano l’intero palazzo, in quanto la Sala dell’Affresco, sede del Consiglio, era troppo piccola per contenere tutti. L’Amministrazione fu costretta ad installare un impianto di amplificazione, permettendo così a tutti i convenuti di seguire il discorso di insediamento. La nuova Giunta iniziò il proprio lavoro riallacciando in primo luogo il rapporto di collaborazione e di fiducia con i cittadini: furono organizzati incontri ed assemblee in tutte le frazioni di Campi per discutere dei più svariati problemi che andavano dal sistema fognario, alla scuola, alla fornitura dell’acqua, alla casa ... dando vita al primo P.R.G. (Piano Regolatore Generale) di Campi che prevedeva lo sviluppo dell’edilizia popolare secondo la legge 167.

L’alluvione Purtroppo, l’alluvione che nel ’66 si abbatté su tutta la Toscana e che non risparmiò nemmeno Campi, costrinse l’Amministrazione a cambiare linea operativa. Ricordo perfettamente quei drammatici giorni: la vigilia del 4 novembre si riunirono la Giunta e il Comitato di Sezione nella sede del Partito. La pioggia che cadeva ininterrotta da due giorni ci rese difficile anche il tornare semplicemente a casa. La mattina del 4 novembre fui bruscamente svegliato da un’animata discussione che si svolgeva tra i miei vicini di casa: parlavano di alluvione, di “rottura” del Bisenzio. Mi alzai e mi incamminai lungo l’argine del fiume. Arrivato al ponte di San Piero a Ponti, dove l’argine aveva ceduto, incontrai il Sindaco insieme al compagno Libero Manetti: mi invitarono a seguirli .... fu così che tornai a casa dopo una settimana. Fu istituito un comitato (di cui io facevo parte in quanto Segretario della F.G.C.I.) che operava in via Buozzi all’interno delle scuole che vennero attrezzate per ospitare gli sfollati. Uno dei primi impegni fu quello di riuscire in tutti i modi ad ottenere 15


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perlomeno un mezzo anfibio in dotazione ai Vigili del Fuoco. Mi ricordo che all’alba del 7 novembre andammo io, Liberto Roti – vice sindaco – e Brunino Bacci alla sede dei pompieri a Prato. Tornammo con la promessa che avrebbero fatto il possibile per aiutarci. Quella stessa mattina, verso le 9, arrivarono due anfibi con due vigili ciascuno. Questi mezzi furono essenziali per sollevare la popolazione colpita dall’alluvione. Per fortuna il centro di Campi rimase asciutto e questo ci permise di collegarci con Prato e, successivamente con Firenze. Molti furono i giovani che prestarono la loro opera di volontari. Il Sindaco fu instancabile nel coordinare i soccorsi permettendo che tutto andasse nel miglior modo possibile: questo fece salire la popolarità di Primaldo Paolieri alle stelle. L’alluvione fu una vicenda ricca di episodi significativi e molto ci sarebbe ancora da raccontare, ma mi fermo qui.

Compagni ... non solo ... Il 1967 fu l’anno dell’inaugurazione della Casa del Popolo ristrutturata. Avevamo ora a disposizione nuovi spazi per soddisfare le esigenze culturali, sociali e ricreative dei giovani. Infatti molti di loro si avvicinarono al Partito passando prima dalla frequentazione della Casa del Popolo. Fra i tanti ricordo Giovanni Morandi, Gianni Panerai, Silvano Amerini, i fratelli Gori e, tra le ragazze, Brunella Fontani, Daniela Bani, Rosanna De Simone, Brunella Settesoldi, Luana Mugnai .... erava davvero un bel gruppo! Oltre ad essere compagni, eravamo amici e ci piaceva stare insieme in tutte le occasioni possibili. La biblioteca, animata da Silvano Amerini, era il punto di ritrovo, di confronto, di discussione.

La guerra in Vietnam e “Soldato blu” Il ’68 era alle porte. La guerra in Vietnam si faceva sempre più cruenta; il popolo vietnamita, con il suo eroismo, scaldava, insieme al “Che” i nostri cuori. Anche la F.G.C.I. campigiana organizzò manifestazioni ed azioni di propaganda. Da ricordare il lancio di volantini durante la proiezione del film 16


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“Soldato blu” al Teatro Dante, allora diventato cinema. I militanti del P.C.I. e F.G.C.I., occupati numerosi posti in galleria, nel momento della cavalcata dei pellerossa che calpestavano la bandiera americana, lanciarono centinaia di volantini di protesta contro “la sporca guerra vietnamita”. Il pubblico, dopo un attimo di smarrimento, scoppiò in un grande, fragoroso applauso. Organizzammo anche una manifestazione assieme alla F.G.C.I. di Calenzano e di Sesto. Il corteo partì da Via Mascagni di fronte al campo sportivo snodandosi per via Buozzi, per via Santo Stefano, fino a piazza Fra’ Ristoro, dove il comizio fu tenuto dal compagno Mazzoni, dirigente del P.C.I. fiorentino.

Un’avventura a lieto fine Un episodio importante accadde durante una manifestazione a Firenze. Quel giorno fu appresa la notizia in tutta l’Italia che gli americani avevano invaso il Vietnam del Nord creando un’escalation pericolosa. Immediatamente furono organizzate in tutta l’Italia manifestazioni e scioperi. I lavoratori, mi sembra di ricordare, a Milano bloccarono la partenza del Giro d’Italia. A Firenze fu indetto uno sciopero generale di quattro ore dalle 15 alle 19 con manifestazione in piazza Strozzi a cui aderirono numerosi compagni di Campi. Io partecipai assieme al compagno Lisindo ed a suo cugino Lamberto Carovani. Parcheggiate le macchine nei pressi di piazza del Duomo, ci dirigemmo verso piazza Strozzi. La manifestazione era davvero imponente. Circa ventimila partecipanti gridavano di spostarsi di fronte al Consolato americano presidiato da centinaia di celerini. Io, Lisindo e il giovane Lamberto, decidemmo, in caso di disordini, di scappare e di ritrovarci alla macchina. Le cariche avvennero puntuali: la polizia caricava e manganellava indiscriminatamente. Ci fu un fuggi fuggi generale e scontri con la polizia. Io e Lisindo, con altri numerosi compagni, rimanemmo schiacciati contro un muro, guardati a vista dai carabinieri. Al momento che dettero il “via libera” picchiavano il muro con il calcio dei moschetti all’altezza delle nostre ginocchia in modo che, chi ci inciampava e cadeva, veniva selvaggiamente manganellato. Raggiungemmo finalmente la macchina, quando ci accorgemmo che Lamberto non era con noi. Fummo invasi dall’angoscia e dal timore per la sua sorte. Aspettammo circa un’oretta con la speranza di vederlo apparire, ma l’attesa fu vana. Allora raggiun17


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gemmo la Federazione per chiedere notizie di eventuali arresti e feriti. Il compagno Pagliai, Segretario della F.G.C.I. provinciale, comunicò a tutti che stavano aspettando che il compagno Fabiani tornasse dalla Questura con notizie fresche e precise. A quel punto tornammo a casa turbati per la piega che gli avvenimenti avevano preso riguardo al nostro amico e compagno di cui non sapevamo ancora niente. Lisindo non si dava pace, non sapendo come fare a comunicarlo ai familiari. Andammo dallo zio di Lamberto e, pieni d’ansia, lo avvertimmo. Lui ci invitò a stare calmi e si assunse l’onere di avvertire i genitori del ragazzo. Dopo un quarto d’ora circa tornò per dirci che tutto si era risolto per il meglio: Lamberto si era allontanato dagli scontri andando con un suo amico a San Donnino dove si era trattenuto a cena. Il dramma si concluse con una risata liberatoria.

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Per mancanza di spazio, in questa pubblicazione è stata omessa la documentazione fotografia, presente e incontinuo aggiornamento su www.isovietico.com. • Chiuso in tipografia il 10 marzo 2008, tiratura n. 500 copie • grafica: Sonia Squilloni •



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