cittadellarte - fondazione pistoletto
I T E R n I T R A
e mont e i P ana in ont b r u Piedm e n i n n o i o i rmat rma z o f ansfo r t s n a a r nd u r b he e t c i ces a i t t c s i a t r tic p he ar c I Ar tis i t T E a r R P A RT I n
ARTInRETI Pratiche artistiche e trasformazione urbana in Piemonte
ARTInRETI Artistic practices and urban transformation in Piedmont
Ricerca a cura di Cecilia Guida Concept e coordinamento di Juan Esteban Sandoval e Paolo Naldini
Research curated by Cecilia Guida Concept and coordination by Juan Esteban Sandoval and Paolo Naldini
ARTInRETI è dedicata al tema dell’arte nel contesto sociale con l’intento di stimolare una profonda riflessione sul concetto di trasformazione, termine tanto usato da essere divenuto vago e confuso. Che cosa significa “trasformazione”? Quali sono gli agenti che operano la trasformazione? Qual è il ruolo dell’arte? Può l’arte interagire con le altre forme di conoscenza? Come possono gli artisti attivare processi trasformativi? I progetti, le azioni e le ricerche presenti in mostra propongono delle risposte a questi interrogativi, indagando in maniera critica e problematica sul senso di responsabilità dell’artista che decide di lavorare nello spazio pubblico, sugli strumenti di cui egli dispone per sintonizzarsi con i bisogni e le abitudini di una comunità, sulla sperimentazione di modi partecipativi, sulla possibilità dell’intervento di avere un impatto sul territorio.
ARTInRETI is dedicated to the topic of art in the social context with the aim to stimulate a deep insight into the concept of transformation, a term so abused to have become vague and confused. What does “transformation” mean? Who are the actors who carry out the transformation? What is the role of art? Can art interact with other forms of knowledge? How can artists activate transformation processes? The projects, the actions and the researches shown in the exhibition suggest answers to these questions, critically and problematically investigating the sense of responsibility of the artist who decides to work with the public space, the instruments he has to tune in with the needs and the habits of a community, the experimentation of participative methods, the chances of impacting the territory the intervention has.
ARTInRETI fa riferimento sia alla costituzione di un network di istituzioni e associazioni indipendenti – alcune storiche, altre più giovani – operanti in Piemonte con progetti conclusi o in corso particolarmente significativi sul tema, sia all’attività di networking con soggetti, situazioni e realtà diverse che lo sviluppo degli stessi progetti richiede o determina. Reti nate da dinamiche di relazioni che si espandono in maniera orizzontale e che sono visualizzate su una parete dello spazio espositivo nella forma di una vera e propria costellazione.
ARTInRETI refers to both the establishing of a network of institutions and independent associations – some historical, other younger – which have been operating in Piedmont with particularly significant past or current projects, and the networking activities with different subjects, situations and realities required or determined by the development of the projects themselves. Networks born from dynamics of horizontally expanding relationships, visualized on a wall of the exhibition space in the form of a constellation.
ARTInRETI proviene da un’idea e da un’azione di messa-inrelazione di pratiche artistiche i cui attivatori – artisti, curatori, operatori culturali – condividono una stessa visione e i medesimi quesiti sul senso dell’arte e sulla sua funzione sociale oggi. Pur nella loro eterogeneità e nelle loro differenze, i progetti in mostra si richiamano l’un l’altro nelle modalità e negli obiettivi, in una continua interconnessione che crea un “ambiente” comunicativo comune. Rete che, nel rispetto delle singolarità dei suoi partecipanti, si propone come una “massa critica” presente e attiva nel territorio, in grado di dialogare con le amministrazioni pubbliche per la proposizione e la discussione di politiche culturali di valore.
ARTInRETI comes from an idea and an action of establishing a connection among artistic practices, whose activators – artists, curators, cultural actors – share the same vision and the same questions about the sense of art and its social function today. In spite of their variety and their differences, the projects in the exhibition remind one of the other in their modalities and their objectives in a continuous interconnection which creates a common communicative “environment”. A network that, in respect of the uniqueness of its participants, presents itself as a “critical mass” present and active in the territory, able to have a dialogue with the public administrations for the proposition and the discussion of valuable cultural politics.
Come dice il sottotitolo, la mostra si focalizza sulle esperienze artistiche del Piemonte, perché questa regione, prima fra tutte e da numerosi anni, ha promosso riflessioni teoriche e progettualità innovative sulla relazione tra arte e contesto pubblico. Si tratta, tuttavia, del primo passo di un progetto culturale più ampio e dal contenuto in fieri, che mira a superare la dimensione regionale e, secondo un movimento centrifugo che va dal Piemonte verso l’esterno, a diventare un osservatorio permanente sul rapporto tra le pratiche artistiche e la trasformazione urbana operanti nel nostro Paese.
As the subtitle says, the exhibition focuses on artistic experiences from Piedmont, because this region, first among all and for several years, has promoted theoretical thinking and innovative planning on the relationship between art and public context. However, it is the first step of a bigger cultural project, whose content is still in fieri, aiming at going beyond the regional dimension and, moving centrifugally from Piedmont, becoming a permanent observatory on the relationship between artistic practices and the urban transformation in act in our country.
Partecipano ad ARTInRETI 6secondsTO (Torino), a.titolo (Torino), Acting Out (Torino), Asilo Bianco (Ameno), Banca della Memoria (Chieri), Eco e Narciso (Torino), Kaninchenhaus (Torino), Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie (Frassineto Po), PAV-Parco Arte Vivente (Torino), Progetto Diogene (Torino), URBE-Rigenerazione Urbana (Torino).
Participants of ARTInRETI are 6secondsTO (Turin), a.titolo (Turin), Acting Out (Turin), Asilo Bianco (Ameno), Banca della Memoria (Chieri), Eco e Narciso (Turin), Kaninchenhaus (Turin), Par coii bsogna semnà / He who sows will reap (Frassineto Po), PAV-Parco Arte Vivente (Turin), Progetto Diogene (Turin), URBE-Rigenerazione Urbana (Turin).
Con il sostegno della Regione Piemonte, della Compagnia di San Paolo, della Fondazione CRT, della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, del Mibac - Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
With the support of Regione Piemonte, Compagnia di San Paolo, CRT Foundation, Cassa di Risparmio di Biella Foundation, Mibac - Ministry of Cultural Heritage and Activities.
www.cittadellarte.it
Partecipanti / Participants
6secondsTO Torino
www.6secondsto.it
6secondsTO è un’associazione culturale costituita nel giugno 2010 a Torino da un gruppo di giovani torinesi, professionalmente attivi nel settore della comunicazione, che hanno deciso di sperimentare se stessi nel coinvolgimento di chi crede si possa dire, fare, agire all’interno della società attuale, proponendo attivamente soluzioni e metodologie anche differenti rispetto a quelle avanzate di solito. L’obiettivo prioritario dell’associazione è di incoraggiare la partecipazione democratica, l’interesse, la consapevolezza della popolazione, e in particolare dei giovani, stimolandone la riflessione e l’osservazione critica delle abitudini umane e del mondo, a partire dai luoghi che quotidianamente frequentano, ma spesso non vivono. 6secondsTO è nata per sviluppare progetti che siano condivisibili da un gruppo sempre più ampio di persone accomunate da valori simili e dall’inte-
resse a sottoporre all’attenzione dell’opinione pubblica un’azione comune, volta a supportare, grazie al sostegno dei soci e alle risorse dell’associazione, la cultura, l’arte e il senso civico, in tutte le loro declinazioni.
6secondsTO is a cultural association instituted in July 2010 in Turin by a group of young local people, professionally active in the communication sector, who decided to experiment themselves the involvement peculiar to whomever believes one can say, do, act in the present society, actively proposing even solutions and methodologies different from the ones usually put forward. The association’s main objective is to encourage democratic participation, interest, citizens’ and in particular young people’s awareness, stimulating a reflection and a critical observation of men’s and the world’s habits, starting from the places they attend daily, but they often do not live. 6secondsTo was born to develop projects that can be shared by a wider and wider group of people united by similar values and by the interest in presenting a common
action aimed at promoting culture, art and civic sense in all their declinations to the public opinion, thanks to the members’ support and to the association’s resources.
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Il progetto presentato in mostra, dal titolo Porta Pila Art Market, è stato realizzato in collaborazione con l’artista turca Seçil Yaylalı, che da anni lavora su interventi di arte partecipata in aree particolarmente svantaggiate o problematiche. In Porta Pila Art Market sono stati coinvolti quattro artisti italiani e quattro stranieri, scelti insieme ad associazioni culturali di Istanbul (Pasajist), Berlino (Kotti Shop) e Beirut (Zico House). Gli artisti hanno sviluppato un progetto site-specific della durata di una settimana nel mese di maggio 2012. Il loro spazio era una bancarella identica agli altri banchi del mercato sito nell’area di Porta Palazzo
The project presented in the exhibition, entitled Porta Pila Art Market, has been realized in collaboration with the Turkish artist Seçil Yaylalı, who has been working on interventions of participatory art in particularly disadvantaged or problematic areas. Porta Pila Art Market involved four Italian and four foreign artists, chosen with the contribution of cultural associations from Instanbul (Pasajist), Berlin (Kotti Shop) and Beirut (Zico House). The artists have developed a week long site-specific project in May 2012. Their space was a stall identical to the other market stalls in the Porta Palazzo area in Turin. It was not money
a Torino. A essere scambiato non è stato denaro ma arte: ricerche sugli odori del mercato, storie, cartoline, ricette, registrazione di suoni “tipici”, sacchetti della spesa con foto e oggetti, ecc. Una modalità che ha favorito il dialogo, la condivisione, la cooperazione tra i partecipanti e, al tempo stesso, l’interazione con i passanti. Il banco si è rapidamente trasformato in uno spazio aperto all’incontro, in cui i frequentatori abituali del mercato potevano curiosare e prendere parte, consapevolmente o inconsapevolmente, a un evento artistico. Un progetto nell’ambito del bando della Compagnia di San Paolo Generazione Creativa; con la collaborazione di Asilo Bianco, PasaJist, Kotti Shop, Zico House; con il patrocinio della città di Torino, del GAI-Giovani Artisti Italiani, della circoscrizione 3 e della circoscrizione 7. Un ringraziamento speciale a Giovanni Semi, Elena Lanfranchini, Stefania Gavin e Davide Vanotti per il loro prezioso contributo, a Giorgio Caione per il supporto alla comunicazione, a Fabio Bonfanti e Nicole Riefolo per il loro grande aiuto.
but art being exchanged: researches on the market’s smells, stories, postcards, recipes, “typical” sounds recordings, shopping bags with photographs and objects, etc. A modality which favoured the dialogue, the sharing, the cooperation among participants and, at the same time, the interaction with the passers-by. The stall quickly turned into a space open to meetings, where the market’s regulars could be nosy and take part, consciously or unconsciously, in an artistic event. A project within Compagnia di San Paolo’s call Generazione Creativa; with the collaboration of Asilo Bianco, PasaJist, Kotti Shop, Zico House; under the patronage of Città di Torino, GAI-Giovani Artisti Italiani, district 3 and district 7. Special thanks to Giovanni Semi, Elena Lanfranchini, Stefania Gavin and Davide Vanotti for their precious contribution, to Giorgio Caione for the support with the communication, to Fabio Bonfanti and Nicole Riefolo for their big help.
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a.titolo Torino
w w w. a t i t o l o . i t
a.titolo è un’organizzazione no-profit attiva dal 1997, costituita da un gruppo di curatrici, storiche e critiche d’arte – Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Nicoletta Leonardi, Lisa Parola e Luisa Perlo –, con lo scopo di indagare la relazione tra arte e società, attraverso progetti nello spazio pubblico e sociale, mostre e programmi di formazione per giovani artisti e creativi. Dal 2001 è referente del programma Nuovi Committenti della Fondation de France, introdotto in Italia dalla Fondazione Adriano Olivetti, che promuove la realizzazione di opere d’arte commissionate dai cittadini. Nel 2010 a.titolo ha curato, con Maurizio Cilli, il progetto situa.to: un percorso formativo, un laboratorio e un osservatorio
attivato a Torino per esplorare, raccontare e immaginare la città attraverso il punto di vista di 30 giovani provenienti da varie discipline, invitati a intervenire nello spazio urbano con nuovi segni.
a.titolo is a non-profit organization active since 1997, instituted by a group of curators, art historians and critics – Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Nicoletta Leonardi, Lisa Parola and Luisa Perlo –, with the aim to investigate the relationship between art and society, through projects in public and social spaces, exhibitions and training programmes for young artists and creatives. Since 2001 it has been the referent for the Fondation de France’s Nuovi Committenti (New Committents) programme, introduced in Italy by the Adriano Olivetti Foundation, promoting the realization of works of art commissioned by the citizens. In 2010 a.titolo curated, with Maurizio Cilli, the project situa.to: a training course, a laboratory and an observatory activated in Turin to explore, narrate and
imagine the city through the point of view of 30 young people coming from different disciplines, invited to intervene in the public space with new signs.
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Il progetto in mostra, Nuovi Committenti a Barca, a cura di a.titolo, Maurizio Cilli, Giulia Majolino e Alessandra Giannandrea, è una delle proposte emerse all’interno di situa.to. Da tre laboratori di autocostruzione collettiva con materiali di recupero, tenuti dal gruppo berlinese di architetti e artisti Raumlabor insieme con i giovani di Barca – quartiere a nord di Torino –, ha preso forma un cantiere di idee e nuove pratiche per la riappropriazione dello spazio pubblico, che ha condotto
The project in the exhibition, Nuovi Committenti a Barca (New Committents in Barca), curated by a.titolo,Maurizio Cilli, Giulia Majolino and Alessandra Giannandrea, is one of the proposals emerged within situa.to. A building site of ideas and new practices for the re-appropriation of the public space has taken form from three laboratories of collective self-construction with salvaged materials, run by Raumlabor, a group of architects and artists from Berlin, together with young people from Barca, a neighbourhood north of
alcuni dei partecipanti alla committenza di un centro-laboratorio giovanile in due locali comunali chiusi da anni. Il progetto, avviato nel 2011, ha visto la recente realizzazione di arredi mobili trasformabili, di una serie di sedie e di altri manufatti, esempi di una possibile attività del futuro centro all’incrocio tra creatività e microeconomia. Il progetto di Raumlabor a Barca è entrato a fare parte della collezione del Dipartimento di Architettura e Design del MoMA di New York con l’acquisizione di un video e di un disegno. Prodotto da a.titolo in collaborazione con Goethe Institut Turin e con la circoscrizione 6 della città di Torino; sostenuto da Fondation de France e dalla Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando Generazione Creativa; con il contributo della città di Torino e della Regione Piemonte.
Turin, which led some of the participants to commit to a young people centrelaboratory in premises owned by the council, which had been closed for years. The project, started in 2011, has seen the recent realization of convertible pieces of furniture, a series of chairs and other products, examples of a possible future activity as a meeting point between creativity and micro-economy. Raumlabor’s project in Barca is now part of the Department of Architecture and Design of the MoMa in New York, with the acquisition of a video and a drawing. Produced by a.titolo in collaboration with Goethe Institut Turin and district 6 of the city of Turin; with the support of Fondation de France and Compagnia di San Paolo within the call Generazione Creativa; with the contribution of Città di Torino and Regione Piemonte.
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Acting Out Torino
www.actingoutmag.com
Acting Out nasce nel 2006 a Torino e si dedica alla produzione di spot, cortometraggi, videoclip musicali, video istituzionali e virali, per enti sia pubblici sia privati. Oltre alla produzione video, l’associazione ha creato actingoutmag, un periodico online d’informazione e di approfondimento culturale della città di Torino e della provincia, punto di riferimento sul territorio per la promozione di eventi e di giovani artisti. Nel 2012 Acting Out ha aggiunto alla sua vocazione multimediale l’interesse specifico per l’arte contemporanea, sostenendo attivamente il progetto di arte pubblica PROOFS Prove di Residenza | Resilienza, ideato e curato da Francesca Busellato – che lo ha anche coordinato – e Martina Starnini.
PROOFS Prove di Residenza | Resilienza è un’iniziativa pilota di residenza per artisti, alla cui base c’è l’idea dello scambio tra due città, due quartieri, due artisti. Genova e Torino sono state scelte, quindi, per le rispettive “zone simbolo”, accomunate da una complessa identità storica e sociale: la Maddalena, nel centro storico di Genova e Porta Palazzo, in quello di Torino. Sono stati coinvolti l’artista torinese Alessandro Quaranta, che ha lavorato a Genova, realizzando il video Maddalena Canyon, frutto di una riflessione sulla verticalità della città e sulle sue reti impalpabili, e l’artista ligure Giuditta Nelli, che a Torino ha avviato MDP PROOFS Mots De Passe, un sito in-
Acting Out was born in 2006 in Turin and it is dedicated to the production of commercials, short films, music videos, institutional and viral videos, both for public and for private organizations. Besides the video production, Acting Out has created actingoutmag, an online magazine of cultural information and analysis of the city of Turin and its province, a point of reference on the territory for the promotion of events and young artists. In 2012 Acting Out added a specific interest in contemporary art to its multimedia vocation, actively supporting the public art project PROOFS Prove di Residenza | Resilienza (Proofs of Residency | Reciliency), devised and curated by Francesca Busellato – who also coordinates – and Martina Starnini.
PROOFS Prove di Residenza | Resilienza is a pilot initiative of an artists’ residency, based on the idea of an exchange between two cities, two neighbourhoods, two artists. Genoa and Turin have been therefore chosen for their respective “symbolic areas”, linked by a complex historical and social identity: la Maddalena, in Genoa’s, and Porta Palazzo, in Turin’s old town centre. It involved the artist Alessandro Quaranta, from Turin, who worked in Genoa realizing the video Maddalena Canyon, fruit of a reflection on the city’s verticality and on its impalpable networks, and the artist Giuditta Nelli, from Liguria, who started MDP PROOFS Mots De Passe in Turin, an internet site built with the collabora-
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ternet costruito con la collaborazione dei cittadini e un video tutorial che lo introduce e guida all’esplorazione delle parole d’ordine che lo costituiscono. I lavori prodotti sono stati presentati in due iniziative di quartiere, sia a Genova, in occasione della “Notte dei Musei” e dei “Rolli Days”, sia a Torino, durante la “Festa dei Vicini di Casa”. Tutto il percorso creativo è stato ripreso ed elaborato in un video realizzato da Luca Vigliani di Acting Out. Progetto vincitore del bando Generazione Creativa finanziato dalla Compagnia di San Paolo; con il sostegno del comune di Genova; con il patrocinio del GAI-Giovani Artisti Italiani e della circoscrizione 7 del comune di Torino; con il supporto di Progetto The Gate Porta Palazzo, con la collaborazione di FDP e la sponsorizzazione tecnica di Air Dolomiti.
tion of the citizens and a video tutorial which introduces it and guides the exploration of the passwords constituting it. The works produced were presented in two neighbourhood initiatives, both in Genoa, on the occasion of the “Museum Night” and of the “Rolli Days”, and in Turin, during the “Neighbours’ Party”. The whole creative process has been filmed and elaborated in a video realized by Luca Vigliani from Acting Out. Project winner of the call Generazione Creativa funded by Compagnia di San Paolo; with the support of the municipality of Genoa; under the patronage of GAIGiovani Artisti Italiani and district 7 of the city of Turin; with the support of Progetto The Gate Porta Palazzo, with the collaboration of FDP and the technical sponsorship of Air Dolomiti.
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Asilo Bianco Ameno (Novara)
L’associazione culturale Asilo Bianco di Ameno, sul Lago d’Orta, è un osservatorio permanente sulla cultura contemporanea, un laboratorio di sperimentazione artistica e uno spazio aperto alle esperienze e alla riflessione, alla ricerca e al confronto sui temi della contemporaneità. Un luogo dove le idee trovano “asilo”, dove i colori delle molteplici esperienze sono contenuti nel “bianco”, il colore dell’utopia e della luce. Nato nel 2005 dalla volontà di un gruppo di artisti e di scrittori, Asilo Bianco organizza eventi culturali, incontri, esposizioni, residenze e laboratori didattici, legati alle tematiche dell’arte contemporanea, del cinema e della letteratura. Tra questi, Fogli/e Scritte è un progetto di residenza internazionale che offre ad
artisti, scrittori e musicisti l’occasione di scrivere o di realizzare un’opera d’arte sui sentieri tra il Lago d’Orta e il Lago Maggiore. L’iniziativa prevede un invito diretto da parte di Asilo Bianco e un periodo di accoglienza e soggiorno sul territorio. La restituzione del lavoro avviene con una pubblicazione – definita come “una guida emozionale del territorio” –, che racchiude le opere degli artisti partecipanti. Ogni libro di Fogli/e Scritte è relativo a un preciso percorso sulle colline intorno al Lago d’Orta. Sono presenti in mostra i primi due libri editi nel 2008 e nel 2012.
The cultural association Asilo Bianco, in Ameno, on Lake Orta, is a permanent observatory on contemporary culture and a laboratory of artistic experimentation; it is a space open to experience and reflection, research and comparison on topics of contemporaneity. A place where ideas find an asylum, where the shades of the various experiences are contained in the colour white, symbol of utopia and light. Born in 2005 from the will of a group of artists and writers, Asilo Bianco organizes cultural events, meetings, expositions, residences and didactic laboratories related to topics of contemporary art, cinema and literature. Among these, Fogli/e Scritte (Written sheets/leaves) is an international residency project, which gives artists, writers and
musicians the chance to write or realize a work of art on the paths between Lake Orta and Lake Maggiore. The initiative contemplates a direct invitation from Asilo Bianco and a period of reception and stay in the territory. The feedback of the work turns into a publication – defined as an “emotional guide of the territory” –, containing the works of the participant artists. Each volume of Fogli/e Scritte refers to a specific path on the hills surrounding Lake Orta. In the exhibition the first two editions published in 2008 and 2012.
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L’installazione qui esposta è tratta dalla serie Common Sense (2009 - in corso) dell’americana Sheila Pepe, ultima arti-
The installation exhibited here is from the series Common Sense (2009 - ongoing) by the American Sheila Pepe, the latest artist to take part in the residency Fogli/e
www.asilobianco.it
sta ad avere partecipato alla residenza Fogli/e Scritte, dove ha coinvolto le ex operaie delle aziende tessili di Briga Novarese, in provincia di Novara. In questo caso, Sheila Pepe si avvale della collaborazione di alcune ex lavoratrici di Biella, oltre alle donne di Briga Novarese. Si tratta di un’opera in cui il pubblico diventa partecipante attivo, sbrogliando i fili appesi dall’artista e decostruendo così il lavoro. Il disegno dell’artista è trasformato in materiale grezzo che prende nuova vita sotto forma di prodotti all’uncinetto che le partecipanti all’azione potranno portare con sé. Si ringraziano i comuni di Ameno e di Briga Novarese, Matia Moda S.P.A. e Sheila Pepe.
Scritte, which involved former women workers from textile factories in Briga Novarese, in the Province of Novara. In this case Sheila Pepe avails herself of the collaboration of some former women workers from Biella, besides the women from Briga Novarese. It is a work where the public becomes an active participant, untangling the threads hung by the artist and thus deconstructing the work. The artist’s drawing is turned into raw material, which takes on a new life as crochet products which the participants in the action will be able take away with them.
Many thanks to the municipalities of Ameno and Briga Novarese, Matia Moda S.P.A. and Sheila Pepe.
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Banca della Memoria Chieri (Torino)
www.archimemoro.org
L’associazione Banca della Memoria ONLUS, fondata nel 2009 da Lorenzo Fenoglio, Franco Nicola, Luca Novarino e Valentina Vaio, si occupa di attività volte alla valorizzazione del concetto di “memoria diffusa”, ovvero dell’insieme di esperienze, saperi e tradizioni conservati dalle persone, e, in particolar modo, dagli anziani. Ha creato e segue il progetto Memoro - la Banca della Memoria (oggi diffuso in 14 paesi del mondo), un sito web destinato alla collezione e alla diffusione di racconti di vita vissuta di persone nate prima del 1950. La raccolta avviene attraverso interviste audiovisive, in cui ciascun intervistato è libero di raccontare uno o più episodi che
ritiene meritevoli di essere tramandati alle generazioni più giovani.
The association Banca della Memoria ONLUS, founded in 2009 by Lorenzo Fenoglio, Franco Nicola, Luca Novarino and Valentina Vaio, is concerned with activities aimed at re-evaluating the concept of “diffused memory”, as the set of experiences, traditions and knowledge stored by people and particularly by the elderly. It created and has been following the project Memoro - la Banca della Memoria (the Bank of Memory) – spread today to 14 countries around the world –, a website designed for the collection and the diffusion of real life tales by people born before 1950. The collection is made of audio-visual interviews, where each interviewee is free to tell one or more
episodes he considers worth passing on to the younger generations.
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Il progetto in mostra, Archimemoro, si sviluppa tra arti visive e architettura e ha lo scopo di raccogliere, archiviare e diffondere la memoria dei luoghi, attraverso la realizzazione di videointerviste a coloro che a vario titolo hanno vissuto o contribuito alle loro trasformazioni architettoniche e ambientali, sia nel ruolo di attori (architetti, urbanisti, ecc.), sia di spettatori (abitanti, turisti, ecc). Le videointerviste, montate e suddivise in brevi racconti, saranno pubblicate sul sito online www.archimemoro.org (attivo entro fine 2012), inteso come un vero
The project in the exhibition, Archimemoro, develops between visual arts and architecture and aims at gathering, archiving and spreading the memories of the places, through the realization of video interviews to people who have somehow lived or contributed to architectural and environmental transformations, both in the role of actors (architects, urbanists, etc.), and of spectators (inhabitants, tourists, etc.). The video interviews, edited and split into short narratives, will be published on www. achimemoro.org (active by the end of 2012),
e proprio archivio digitale della memoria sociale e architettonica del costruito. Oltre alle videointerviste, sarà possibile consultare una scheda tecnica per ciascun luogo / edificio, corredata da una galleria fotografica. Il progetto è nato nel 2012 e, a oggi, si è concentrato sul quartiere di Porta Palazzo a Torino, realtà che offre un ricco panorama di edifici interessanti dal punto di vista storico-architettonico, ma anche un contesto sociale multiculturale, in grado di raccontare la storia del luogo attraverso punti di vista diversi. Il progetto Archimemoro è sostenuto dalla Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando Generazione Creativa.
meant to be a real digital archive of the social and architectural memory of what has been built. Besides the video interviews, it will be possible to consult a technical file on each place / building, supplied with a photographic gallery. The project was born in 2012 and, up until today, it has concentrated on Turin’s Porta Palazzo neighbourhood, a reality which offers a rich variety of interesting buildings from the historical-architectural point of view, but also a multicultural social context, able to tell the story of the place from different points of view. The project Archimemoro is supported by Compagnia di San Paolo within the call Generazione Creativa.
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Eco e Narciso Torino
Eco e Narciso è un programma di arte pubblica nomadico, ideato e curato da Rebecca De Marchi e promosso dalla provincia di Torino, per favorire l’intervento della sensibilità artistica nei processi di analisi, sviluppo e trasformazione del territorio. Nato nel 2003 all’interno della Rete Ecomuseale piemontese, Eco e Narciso pone in dialogo il paesaggio e l’arte, offrendo momenti di riflessione sull’identità locale e occasioni di incontro con la cultura contemporanea, mediante edizioni dedicate ai differenti linguaggi (arte, fotografia, letteratura, musica, design). Una ramificazione di Eco e Narciso, il Laboratorio Artistico Permanente, ha preso avvio nel 2004 con un workshop rivolto ai comuni, al fine di condividere azioni processuali e partecipate di intervento,
Eco e Narciso is a programme of nomadic public art, devised and curated by Rebecca de Marchi and promoted by the province of Turin, to encourage the intervention of the artistic sensibility in the processes of analysis, development and transformation of the territory. Born in 2003 within Piedmont’s Ecomuseum Network, Eco e Narciso creates a dialogue between landscape and art, offering moments of reflection on local identity and occasions of meeting with contemporary culture, through editions dedicated to the different languages (art, photography, literature, music, design). A ramification of Eco e Narciso, the Laboratorio Artistico Permanente (Permanent Artistic Laboratory), started in 2004 with a workshop aimed at the municipalities, in or-
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www.ecoenarciso.it
attivate dall’arte in relazione a specifici obiettivi di governance. Dal 2011 Eco e Narciso ha intrapreso un percorso evolutivo che si rivolge alle “comunità di pratica”. Partendo da un’analisi volta a individuare e ad approfondire temi attuali e fondanti per la costruzione di uno spazio pubblico inclusivo e sostenibile, si è giunti all’emersione di situazioni che stanno a quei temi come l’arte, attraverso il suo operato, sta all’impegno civile. Il progetto presentato in mostra è Metallurgic Sounds, realizzato da Enzo Umbaca nel 2006 nel piccolo centro di Forno Canavese, in provincia di Torino. Soprannominata “la piccola Ruhr” per la tradizione legata all’attività siderurgica, Forno Canavese è sede di numerose fabbriche per lo
der to share procedural and shared actions of intervention, activated by art in relation to specific objectives of governance. In 2011 Eco e Narciso began a process of evolution addressed to the “communities of practice”. Starting from an analysis aimed at identifying and elaborating present themes underlying the construction of an inclusive and sustainable public space, situations emerged which are to those themes as art, through its doings, is to civil commitment. The project presented in the exhibition is Metallurgic Sounds, realized by Enzo Umbaca in 2006 in the small village of Forno Canavese, in the province of Turin. Nicknamed “the little Ruhr” for its tradition linked to the steel industry, Forno Canavese
stampaggio a caldo, la cui presenza nel paese è rivelata dal rumore delle presse al lavoro. A partire da una condizione di inquinamento acustico lamentata dai cittadini, Enzo Umbaca, invitato a collaborare con l’amministrazione comunale nell’ambito del Laboratorio Artistico Permanente, ha deciso di tradurre quella che definisce l’“anima sonora” del paese in una melodia, una sorta di “inno” condiviso che dalle dissonanze possa configurare un’armonia collettiva. Con il coinvolgimento degli abitanti e delle aziende locali, l’artista ha registrato i rumori, affidando a un compositore la loro trascrizione in partitura musicale e alla banda del paese la sua esecuzione in un evento live all’interno di una fabbrica. Dal concerto è derivata la produzione di un CD musicale con video.
is the site of several hot pressing factories, whose presence is revealed by the noise of the presses at work. Starting from a situation of noise pollution the inhabitants were complaining about, Enzo Umbaca, invited to a collaboration with the council within the Laboratorio Artistico Permanente, decided to translate what he defines the “sound soul” of the village into a melody, a sort of shared hymn which can turn the clash of noises into a collective harmony. Involving inhabitants and local companies, the artist recorded the noises, and he then entrusted a composer with their transcription into a music score and the local band with its execution at a live event inside a factory. A music CD including a video of the concert was then produced.
Enzo Umbaca, Metallurgic Sounds, 2006 CD audio con una traccia video Composizioni musicali: Cesare Malfatti e Igor Sciavolino (Edizioni La Crus S.n.c.) Composizione brano 5 (Duetto per tromba e macchina): Ramon Moro Composizione brano 9 (Pss 54): Andrea Pilia Programmazione suoni industriali: Cesare Malfatti Arrangiamento per banda: Igor Sciavolino Esecuzione: Filarmonica di Forno Canavese diretta da Mario Bertot, Coro Monte Soglio di Forno Canavese diretto da Andrea Pilia Tromba solista: Ramon Moro Suoni registrati nelle fabbriche: A. Benevenuta & C. S.p.A., Fratelli Mores & C. S.n.c., Gally F.lli S.p.A., Officina meccanica Ristagno Gio Battista S.r.l., R & S. S.r.l. Concerto realizzato nella fabbrica: Val Giovanni & Figli S.n.c. Registrazione dal vivo: Studio mobile Mezzano & Sciavolino, Rivoli (TO) Video: Monica Castiglioni e Michela Formenti Amplificazioni e luci: DADA servizi musicali, Collegno (TO) Grafica: Lorem, Torino Stampa: Media System company S.r.l., Vestignè (TO) Eco e Narciso / Laboratorio Artistico Permanente Curatela: a.titolo e Rebecca De Marchi Project manager: Francesca Comisso Produzione dell’opera: Comune di Forno Canavese
Enzo Umbaca, Metallurgic Sounds, 2006 Audio CD with a video track Music composers: Cesare Malfatti and Igor Sciavolino (Edizioni La Crus S.n.c.) Composer track 5 (Duet for trumpet and machine): Ramon Moro Composer track 9 (Pss 54): Andrea Pilia Industrial sounds programming: Cesare Malfatti Arrangement for band: Igor Sciavolino Execution: Filarmonica di Forno Canavese directed by Mario Bertot, Coro Monte Soglio di Forno Canavese directed by Andrea Pilia Trumpet solo: Ramon Moro Sounds recorded in the factories: A. Benevenuta & C. S.p.A., Fratelli Mores & C. S.n.c., Gally F.lli S.p.A., Officina meccanica Ristagno Gio Battista S.r.l., R & S. S.r.l. Concert performed in the factory: Val Giovanni & Figli S.n.c. Live recording: Studio mobile Mezzano & Sciavolino, Rivoli (TO) Video: Monica Castiglioni and Michela Formenti Amplification and lights: DADA servizi musicali, Collegno (TO) Graphic: Lorem, Torino Press: Media System company S.r.l., Vestignè (TO) Eco e Narciso / Permanent Artistic Laboratory Curators: a.titolo e Rebecca De Marchi Project manager: Francesca Comisso Work production: Comune di Forno Canavese
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kaninchenhaus Torino
www.kaninchenhaus.org
Kaninchenhaus è un’organizzazione no-profit costituita nell’ottobre 2009, con sede a Torino nel quartiere di Porta Palazzo e attiva, sia a livello locale sia internazionale, nell’ambito dell’arte contemporanea e della cultura con esposizioni artistiche, pubblicazioni, corsi di formazione e programmi di residenza. Il nucleo principale dell’associazione è costituito da autori che hanno scelto di non limitare la propria attività e identità alla “creazione di opere”, ma di lavorare proattivamente – e in maniera indipendente – per l’attivazione di processi condivisi e la ridefinizione del ruolo dell’artista nella società. Kaninchenhaus (letteralmente “casa del coniglio” o “conigliera”) nasce da un’idea di ospitalità e di condivisione, e mira a creare un luogo simbolico dove l’esperienza e il percorso individuale siano messi da parte per fare spazio all’elaborazione di una strategia di
gruppo e alla tessitura di una rete di persone capace di relazionarsi dialetticamente con le istituzioni, mettendo in discussione modelli e pratiche consolidate, con l’intento di produrre riflessi concreti sulla comunità.
Kaninchenhaus is a non-profit organization instituted in 2009 and based in Turin in the Porta Palazzo area and active, both locally and internationally, in the contemporary art and culture fields with artistic exhibitions, publications, training courses and residency programmes. The core of the association is constituted by authors who have chosen not to limit their activity and identity to the “creation of works of art”, but to work proactively – and independently – to activate shared processes and to redefine the role of the artist in society. Kaninchenhaus (literally, “the house of the rabbit”) was born from an idea of hospitality and sharing and aims at creating a symbolic place where the experience and the individual life path are set aside in order to make room for the elaboration of a group strategy and for the weaving of a network of people able to
relate with the institutions in an argumentative way, questioning consolidated models and practices, with the intent to produce practical reflections on the community.
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viadellafucina A.I.R. nasce con l’obiettivo peculiare di incoraggiare la cooperazione internazionale tra artisti, attraverso il gemellaggio tra un artista torinese e un artista “forestiero” per la realizzazione di un progetto condiviso che abbia come tema l’area di Porta Palazzo. Kaninchenhaus intende così attivare un meccanismo che favorisca sia l’ingresso e la permanenza di nuovi artisti sul territorio, sia l’interazione con la comunità locale, spesso poco considerata dalle istituzioni. L’intero quartiere di Porta Palazzo – il più grande mercato all’aperto d’Europa e storico punto di accoglienza di molteplici flussi migratori –
viadellafucina A.I.R. was born with the specific objective to encourage an international cooperation between artists, through the collaboration between an artist from Turin and an “outsider”, in order to realize a shared project having the Porta Palazzo area as its theme. Kaninchenhaus means thus to activate a mechanism which facilitates both the arrival and the stay in the territory of new artists, and the interaction with the local community, often taken little into consideration by the institutions. In this way Porta Palazzo’s whole neighbourhood – the biggest open air market in Europe and historical point of
funziona, in questo modo, come un laboratorio diffuso e un centro tematico per la produzione di opere ispirate alla storia o ai luoghi dell’area, interventi site-specific, progetti partecipativi, ecc. Le coppie di artisti selezionati per la prima edizione di viadellafucina A.I.R. sono: Maurizio Cilli (Italia) e Mary Zygouri (Grecia), Alessandro Gioiello (Italia) e Liliya Lifanova (Kyrgyzstan / USA), Irene Pittatore (Italia) e Annelies Vaneycken (Belgio).
viadellafucina A.I.R è un progetto realizzato nell’ambito del bando Generazione Creativa della Compagnia di San Paolo; con la partnership di a.titolo, artegiovane, PAV Parco Arte Vivente, TAG Torino Art Galleries, Fuoridipalazzo, The Gate, Paralleli Istituto Euromediterraneo del Nord-Ovest, Piùconzero, Riquadrilatero; con il Patrocinio della regione Piemonte, del comune di Torino, della circoscrizione 7, del GAI-Giovani Artisti Italiani, della Rete Italiana Cultura Popolare; con la sponsorizzazione tecnica di Multimmagine ed Ecostore.
arrival of several migration streams – works as a diffused laboratory and a thematic centre for the production of works inspired by the history or by the places of the area, site specific interventions, participatory projects, etc. The pairs of artists selected for the first edition of viadellafucina A.I.R. are: Maurizio Cilli (Italy) and Mary Zygouri (Greece), Alessandro Gioiello (Italy) e Liliya Lifanova (Kyrgyzstan / USA), Irene Pittatore (Italy) e Annelies Vaneycken (Belgium). viadellafucina A.I.R is a project realized within Compagnia di San Paolo’s call Generazione Creativa; with the partnership of a.titolo, artegiovane, PAV Parco Arte Vivente, TAG Torino Art Galleries, Fuoridipalazzo, The Gate, Paralleli Istituto Euromediterraneo del Nord-Ovest, Piùconzero, Riquadrilatero; under the patronage of Regione Piemonte, Città di Torino, district 7, GAI-Giovani Artisti Italiani, Rete Italiana Cultura Popolare; with the technical sponsorship of Multimmagine and Ecostore.
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Par coii bsogna semnà/ Chi semina raccoglie Frassineto Po (Alessandria) Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie è un progetto di arte visiva rivolto a Frassineto Po e ai suoi abitanti, e che, attraverso l’arte, pratica forme inedite di costruzione del tessuto sociale e propone nuovi modelli di produzione culturale. Nato nel 2010 dalla collaborazione fra il comune di Frassineto Po – un paese di 1500 abitanti del Basso Monferrato – e la curatrice indipendente Daria Carmi, la manifestazione è alla sua seconda edizione. Pensato come un laboratorio artistico e sociale per l’autoformazione, la condivisione di saperi e la sperimentazione di pratiche artistiche che rimettono al centro il proprio valore sociale, il progetto ha coinvolto finora ventitré artisti, invitati a conoscere il territorio di Frassineto Po – inteso come area ambientale, geografica e di appartenenza culturale –, e i suoi abitanti, chiamati ad autodeterminarsi.
Nella prima edizione del 2011 Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie è stato formalizzato come un percorso esperienziale, un evento di arte contemporanea, dove ruoli e linguaggi si sono incontrati, sovrapposti e “ammalati”: gli artisti sono stati contadini, muratori, esploratori; i contadini interpreti; i pescatori stregoni; i ballerini strumenti agricoli; le pratiche agricole danza e gli alberi spazi espositivi. Nell’edizione del 2012 il progetto, a cura di Daria Carmi, Matteo Ferrando e Andrea Soffientino, si è evoluto nella struttura e ampliato nell’organigramma. Gli artisti hanno partecipato nel mese di giugno a una residenza a Frassineto Po, volta a sviluppare una riflessione collettiva sul concetto di monumento. Il 31 agosto 2012 sono state presentate pubblicamente le proposte che ne sono derivate e si è aperta una nuova
Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie (He who sows will reap) is a visual art project dedicated to Frassineto Po and its inhabitants, which practices unedited forms of construction of the social fabric and proposes new models of cultural production. Born in 2010 from the collaboration between the municipality of Frassineto Po – a village of 1500 inhabitants in Basso Monferrato – and the independent curator Daria Carmi, the festival is at its second edition. Devised as an artistic and didactic laboratory for self-education, the sharing of knowledge and the experimentation of artistic practices which focus back on their social value, the project has so far involved 23 artists, invited to get to know the territory of Frassineto Po – seen as an environmental, geographic and cultural belonging area –, and its inhabitants, called to a self-determination.
In its first 2011 edition Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie was defined as an experience trail, a contemporary art event, where roles and languages met, overlapped and got “contaminated”: the artists were peasants, bricklayers, explorers; the peasants interpreters; the fishermen sorcerers; the dancers agricultural instruments; the agricultural practices dance and the trees exhibition spaces. In the 2012 edition of the project, curated by Daria Carmi, Matteo Ferrando and Andrea Soffientino, it evolved its structure and widened its organization chart. In June the artists took part in a residency in Frassineto Po, aimed at developing a collective reflection on the concept of monument. On the 31st August 2012 the residents’ proposals were publicly presented and a new phase – still running – started, where the inhabit-
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w w w. p a r c o i i . o r g
fase – ancora in corso –, dove i frassinetesi sono stati “chiamati” a decidere, attraverso la pratica assembleare, quale dei progetti entrerà a far parte del tessuto urbano. Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie scardina la consuetudine per cui non è dato ai cittadini di esprimersi su quali opere di arte pubblica inserire nel luogo dove vivono, costruendo così una nuova grammatica dei processi produttivi. Il progetto è promosso e sostenuto dall’Associazione Amici del fiume, dal comune di Frassineto Po, dal Parco fluviale del Po e dell’Orba; con il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria; con il contributo della Fondazione CRT; si ringraziano tutti i frassinetesi, Fontanafredda S.r.l., Rafting Aventure Villeneuve, Riseria Padano, Studio Dentistico Gian Paolo Scarrone, Retecna S.r.l., Mussano e Baracco S.p.A., Colonna S.r.l., Azienda Agricola “Bosco della Cascina”, Vecchio Mario S.r.l., Associazione “Libri in Porto”, Ente CRA, Cooperativa Sociale Onlus BIOS, Cooperativa Sociale Onlus Anteo, Ecostudio S.r.l.
ants of Frassineto Po have been called to decide, discussing it at an assembly, what project will be part of the urban fabric. Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie breaks the tradition of citizens not being able to express themselves on what works of public art are inserted in the place where they live, thus building a new grammar of the productive processes. The project is promoted and supported by Associazione Amici del fiume, the municipality of Frassineto Po, Parco fluviale del Po e dell’Orba; under the patronage of Regione Piemonte, the Province of Alessandria; with the contribution of CRT Foundation; with many thanks to all the inhabitants of Frassineto Po, Fontanafredda S.r.l., Rafting Aventure Villeneuve, Riseria Padano, Studio Dentistico Gian Paolo Scarrone, Retecna S.r.l., Mussano e Baracco S.p.A., Colonna S.r.l., Azienda Agricola “Bosco della Cascina”, Vecchio Mario S.r.l., Associazione “Libri in Porto”, Ente CRA, Cooperativa Sociale Onlus BIOS, Cooperativa Sociale Onlus Anteo, Ecostudio S.r.l.
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PAV – Parco Arte Vivente Torino
www.parcoartevivente.it
Il PAV, inaugurato nel 2008 in un’area urbana in trasformazione della città di Torino, si delinea quale luogo di scambio, d’incontro e di ricerca sulle istanze artistiche intorno all’Arte del vivente, intese in questa cornice quali vettori sociali per la comprensione della biosfera in cui siamo immersi. Oltre alle esposizioni temporanee, che coinvolgono artisti italiani e internazionali con la collaborazione di ricercatori e biotecnologi, il nucleo permanente è costituito da Bioma, installazione ambientale interattiva di Piero Gilardi. Nel tempo hanno preso forma Trèfle, organismo vegetale di Dominique Gonzalez-Foerster; Pedogenesis di Andrea Caretto e Raffaella Spagna, orto urbano coltivato da un gruppo di cittadini; Jardin
Mandala, percorso botanico del paesaggista Gilles Clément, e ancora Corpo Vegetale e Focolare, installazioni vincitrici delle due edizioni del concorso PREMIO PAV. Le attività educative e formative declinano i contenuti delle opere in azioni artistiche che proiettano la dimensione individuale dei singoli all’interno di un contesto sociale collettivo. Le pratiche di laboratorio dei programmi permanenti mettono a disposizione mezzi, strumenti e metodologie per la partecipazione consapevole dei cittadini alla vita culturale. La condivisione dei saperi, volta alla sensibilizzazione dei temi sociali e ambientali, avviene attraverso la sperimentazione dei linguaggi della contemporaneità.
Parte della documentazione in mostra riguarda gli interventi di Andrea Caretto e Raffaella Spagna, realizzati dal 2006 al 2012. Mentre Workshop / Colonizzazione_01 - azione collettiva di vita e lavoro in uno spazio interstiziale è il documento video dell’azione condotta nell’inverno 2006, quando il PAV era ancora un cantiere in costruzione e si connotava quale spazio laboratoriale aperto per l’attraversamento di un paesaggio urbano in trasformazione, Workshop_05 / Ground_ Level è il video del lavoro conoscitivo e preparatorio a Pedogenesis, operazione in cui i due artisti hanno trasformato un lembo di suolo del parco in substrato coltivabile per la produzione di cibo.
The PAV - Parco Arte Vivente, opened in 2008 in an urban area in transformation in the city of Turin, defines itself as a place of exchange, meeting and research on contemporary artistic needs surrounding the Living Art, meant as social vectors for the understanding of the biosphere we are immersed in. Besides the temporary exhibitions involving Italian and international artists, often with the collaboration of researchers and biotechnicians, the core of the permanent collection consists in Bioma, an interactive environmental installation by Piero Gilardi. Over the time others have taken shape: Trèfle, a vegetable organism by Dominique Gonzalez-Foerster, Pedogenesis by Andrea Caretto and Raffaella Spagna, an urban vegetable garden, in a dimension
between public and private, grown by a group of citizens; Jardin Mandala, a botanical route by landscape artist Gilles Clément, and Corpo Vegetale and Focolare, the winning installations of the two editions of the PREMIO PAV competition. The educational and formative activities see the contents of the works as artistic actions that project the individual’s own dimension within a collective social context. The laboratory practices of the permanent programmes provide means, instruments and methodologies for the citizens’ conscious participation to the cultural life. The sharing of knowledge, aimed at sensitizing people about social and environmental themes, occurs through the experimentation of the languages of contemporaneity.
Part of the documentation exhibited relates to Andrea Caretto and Raffaella Spagna’s interventions, realized between 2006 and 2012. While Workshop / Colonizzazione_01 - azione collettiva di vita e lavoro in uno spazio interstiziale (Colonization_01collective action of life and work in an interstitial space) is the video document of the action conducted in the winter of 2006, when the PAV was still a building site and defined itself as an open laboratory space for the crossing of an urban landscape in transformation, Workshop_05 / Ground_ Level is the video of the cognitive and preparatory work to Pedogenesis, an operation where the two artists transformed a patch of the park ground into a farmable substratum for food production.
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Progetto Diogene Torino
www.progettodiogene.eu
Il gruppo Diogene nasce nel 2007 dall’incontro e dalla collaborazione di identità artistiche autonome, che scelgono di lavorare insieme alla costruzione di un luogo di riflessione, di ascolto e di scambio circa i temi e le modalità della pratica artistica contemporanea. Guidati dalla necessità e dalla volontà di approfondire i propri lavori e di condividere determinate problematiche nella discussione con altri artisti e con il pubblico, il gruppo Diogene inizia a pensare a un processo di scambio con realtà vicine per comunanza di intenti, mostrando i meccanismi del lavoro artistico e cercando di definire, nel presente, il ruolo dell’artista. Uno dei loro primi riferimenti è la figura storica di Diogene di Sinope; nel suo personaggio vedono un ideale rapporto con la realtà
legato alla riduzione del superfluo allo stretto necessario, all’autonomia di pensiero, all’attenta osservazione del mondo circostante, al cosmopolitismo, all’edificazione di una consapevolezza sempre vigile e di indipendenza esistenziale.
The Diogene group was born in Turin in 2007 from a meeting and a collaboration among independent artistic identities who chose to work together to build a place of reflection, listening and exchange about topics and modalities of the contemporary artistic practice. Led by the need and the will to dig inside their works and to share certain problematics in the discussion with other artists and the public, the Diogene group starts to think about a process of exchange with realities which felt close because of a communion of intents, showing the mechanisms of the artistic work and trying to define the role of the artist today. One of their first references is the historical figure of Diogenes of Sinope; in its character they see an ideal relationship with reality based on the reduction from what is un-
necessary to the essential, on the autonomy of thought, on the acute observation of the surrounding world, on cosmopolitanism, on the edification of an ever vigilant awareness and of an existential independence.
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L’installazione in mostra intende attivare una riflessione circa le potenzialità degli oggetti come elementi attivi nelle dinamiche di trasformazione urbana e sociale. In che misura un oggetto ha la capacità di agire nella trasformazione sociale? A che livello può esercitare la sua azione? Con quali modalità? In quale scala temporale? Quali sono le differenze tra un’opera d’arte e un oggetto di altra natura? Sono presentati alcuni lavori legati alle iniziative sviluppate in questi anni da Progetto
The installation in the exhibition means to activate a reflection about the potential of objects as active elements in the dynamics of urban and social transformation. How much can an object act in the social transformation? At what level can it exert its action? In what ways? In what time lapse? What are the differences between a work of art and an object of a different nature? Some works linked to the initiatives developed by Progetto Diogene through the years are exhibited, together with other types of objects somehow considered significant in relation to
Diogene, insieme a oggetti di altro tipo che, per qualche ragione, sono ritenuti significativi rispetto alle attività svolte dal gruppo e al tema della ricerca in mostra. Le strutture di legno richiamano le sedute realizzate nella rotonda Diogene dagli artisti belgi Nico Dockx, Pol Matthé, Helena Sidiropoulos e Jochem Vanden Ecker durante la residenza Bivaccourbano 2009, basate sul disegno di Enzo Mari (Autoprogettazione, 1974). Al termine della mostra la pedana e le due panche saranno trasportate a Torino e installate nella rotonda, dove è situato il tram Diogene, diventando in tal modo fruibili dal pubblico. Progetto Diogene è realizzato grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo; con il contributo di Arte Giovane; con il Patrocinio della città di Torino, del GAI-Giovani Artisti Italiani e la collaborazione di GTT Gruppo Torinese Trasporti.
the activities carried out by the group and to the theme of the exhibition research. The wooden structures remind us of the chairs realized in the Diogene roundabout by the Belgian artists Nico Dockx, Pol Matthé, Helena Sidiropoulos e Jochem Vanden Ecker during the Bivaccourbano 2009 residency, based on a drawing by Enzo Mari (Autoprogettazione, 1974). At the end of the exhibition the platform and the two benches will be taken to Turin and installed in the roundabout, where the Diogene tram is situated, thus becoming usable by the public. Progetto Diogene is realized thanks to the support of Compagnia di San Paolo; with the contribution of Arte Giovane; under the patronage of Città di Torino, GAI-Giovani Artisti Italiani and the collaboration of GTT Gruppo Torinese Trasporti.
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URBE – Rigenerazione Urbana Torino URBE - Rigenerazione Urbana è un’associazione culturale nata nel giugno 2011 a Torino. Creata da un gruppo di giovani creativi (artisti, fotografi, architetti e operatori culturali), essa si pone l’obiettivo di intervenire sul tessuto urbano, reinterpretando in chiave artistica il tema della riqualificazione urbana fisica e sociale. URBE individua aree residuali in fase di trasformazione, scegliendo i propri interlocutori sia nel pubblico, sia nel privato; si installa al loro interno con azioni e manifestazioni temporanee che, spaziando dall’architettura alle arti visive in genere, diventano contenitori per eventi culturali, performance, installazioni, ecc.; reinterpreta la città e propone esperienze a scadenza, itineranti, adottando nei suoi progetti un approccio artistico e partecipativo. URBE intende, quindi, l’arte come
URBE - Rigenerazione Urbana is a cultural association born in June 2011 in Turin. Created by a group of young creatives (artists, photographers, architects and cultural operators), it sets as its objective to intervene on the urban fabric, reinterpreting the theme of physical and social urban requalification from an artistic point of view. URBE identifies residual areas in phase of transformation, choosing its interlocutors both in the public and in the private sector; it installs itself inside them with temporary actions and festivals which, ranging from architecture to visual arts in general, become receptacle of cultural events, performances, installations, etc.; it reinterprets the city and proposes experiences with an expiry date, travelling, adopting in its projects an artistic and participative approach. URBE sees therefore
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www.associazioneurbe.com
fenomeno creativo spontaneo e indipendente, che si libera dai circuiti ufficiali e invade spazi non convenzionali, per trasformare i vuoti urbani e risvegliare, in modo spontaneo, il coinvolgimento attivo dei cittadini, diventando così veicolo di rigenerazione della città. Alla sua seconda esperienza su grande scala, URBE si sposta nel quadrante nord della città di Torino, nel quartiere “Barriera di Milano”, e accende i riflettori su una porzione di territorio tradizionalmente a margine. Nell’attesa che la zona ridefinisca radicalmente il proprio futuro, con l’attuazione della “Variante 200” del Piano Regolatore relativo all’ampia area dell’ex scalo Vanchiglia, URBE sbarca in via Paganini 0/200 per ridare vita, attraverso la creatività, a una porzione di città trascurata.
art as a spontaneous and independent creative phenomenon, free from the official circuits and invading non conventional spaces, in order to transform urban gaps and spontaneously awake the active involvement of the citizens, thus becoming a means of regeneration of the city. At its second big scale experience, URBE moves to the north quadrant of the city of Turin, in the “Barriera di Milano” (Barrier of Milan) neighbourhood, and sheds light on a traditionally marginal portion of territory. Waiting for the area to radically redefine its future with the implementation of the “Variante 200” of the urban planning regulations relative to the vast area of the former railway yard Vanchiglia, URBE comes to via Paganini 0/200 to give a neglected portion of city its life back, through creativity.
Bunker – il nome dello spazio deriva dal ritrovamento di un rifugio anti-aereo della seconda guerra mondiale – è un progetto sulla memoria storica di ieri e una finestra aperta sulle visioni del domani. È un luogo di contaminazione e sperimentazione per artisti nazionali e internazionali, invitati a confrontarsi con e dentro lo spazio. Un fabbricato di 420 mq e una superficie all’aperto di circa 3.500 mq sono oggetto di un utilizzo temporaneo per la creazione di un centro per le arti con mostre, performance, spettacoli teatrali, attività di quartiere, concerti e arte urbana. Si ringraziano Torino Quittengo s.r.l. e, in particolare, l’arch. Bruno Mastropietro, _Reset per il supporto tecnico e gli artisti invitati: 108, Ak, Andreco, Btoy, Dem, Dome, Gola, H101, Halo Halo, Hannu Huhtamo, Kenor, Mattia Lullini, NeSpoon, Janne Paint, Phlegm, Pixel Pancho, Rim, Uriginal, Weed, Zorkmade.
Bunker – the name of the space derives from the finding of an air raid shelter from the Second World War – is a project on yesterday’s historical memory and a window open onto tomorrow’s visions. It is a place of contamination and experimentation for national and international artists, invited to confront each other with and within the space. A 420 square meter building and a 3.500 square meter open air area are temporarily used to create a centre for arts with exhibitions, performances, theatre shows, neighbourhood activities, concerts and urban art. Thanks to Torino Quittengo s.r.l. and, especially, to architect Bruno Mastropietro, to _Reset for the technical support and the invited artists : 108, Ak, Andreco, Btoy, Dem, Dome, Gola, H101, Halo Halo, Hannu Huhtamo, Kenor, Mattia Lullini, NeSpoon, Janne Paint, Phlegm, Pixel Pancho, Rim, Uriginal, Weed, Zorkmade.
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Dialoghi / Dialogues 26
Nella fase di preparazione di ARTInRETI, agli undici partecipanti sono state inviate cinque domande sui temi principali che la ricerca presentata in mostra ha analizzato e approfondito. Qui di seguito sono riportate tutte le risposte – come in una sorta di dialogo collettivo “virtuale” – che esaminano le strategie d’azione e i punti di vista diversi su argomenti comuni e condivisi riguardanti il ruolo dell’artista e la funzione sociale dell’arte oggi.
1. In che modo e con quali obiettivi gli artisti che lavorano nel cosiddetto “spazio pubblico” possono sintonizzarsi con i bisogni di una comunità specifica?
2. Come può l’arte stimolare gli osservatori
di un’opera a diventare i partecipanti di un intervento artistico di tipo processuale e collaborativo?
3. Dalla tua esperienza, che tipo di rapporto
hai avuto con le amministrazioni pubbliche? Di conflitto e chiusura o di collaborazione e apertura verso le tue proposte progettuali?
4. Come può l’arte proporre nuove idee, vie
e metodi all’attuale frantumazione della politica e alla crisi della gestione della cosa pubblica (in termini di bene comune, democrazia, economia)?
5. Quali pensi siano i vantaggi e gli svantaggi di far parte di una rete di soggetti che, pur nelle loro diversità, condividono con te una stessa visione della funzione pubblica dell’arte nella società contemporanea?
6secondsto
1. Lo spazio pubblico abbisogna del pubblico
per essere vivo. Il pubblico dà forma allo spazio. Gli dà identità con la sua storia, la sua cultura, le sue abitudini, ecc. Se un evento avviene in uno spazio pubblico specifico, gli artisti devono essere consapevoli della storia e della cultura dello spazio, hanno bisogno di osservare e di analizzare. è un processo soprattutto istintivo, ma ci sono degli aspetti intorno ai quali svolgere le ricerche. In generale, gli artisti hanno la responsabilità di rispettare chi usa quotidianamente lo spazio pubblico. Ci sono differenti modi per coinvolgere il pubblico in un processo collaborativo. Se quest’ultimo si sente parte del processo e responsabile delle decisioni prese, inizia ad avere cura, consapevolezza e responsabilità dello spazio. Gli approcci collaborativi possono essere sviluppati su vari livelli e metodi. Da una parte gli artisti hanno bisogno di decidere quanto profonda sarà la collaborazione, dall’altra il pubblico tende a una conferma delle proprie tradizioni e abitudini (ciò differisce da Paese a Paese e persino da regione a regione, e in questo senso la cultura di ogni società ha un ruolo importante). Serve un equilibrio tra questi due poli. La questione etica importante è la seguente: la collaborazione tra artisti e pubblico dovrebbe essere come uno scambio giusto. L’artista prende informazione e propone al pubblico eventi / invenzioni nello spazio collettivo.
2. Anche il modo di entrare in contatto con le
persone è importante. Talvolta l’abuso di alcune parole crea una barriera nella comunicazione. Perfino la parola “arte” funziona meglio quando le persone non si aspettano che lo sia. In alcuni luoghi questo termine è ancora “sacro”. Dal momento che la partecipazione mira
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ad abbattere proprio questa barriera, porta l’arte allo stesso livello di altri ambiti. In questo senso, Andy Warhol ha avuto un ruolo molto importante: “L’arte è un lavoro come un altro”, l’artista non è celebrato. Nelle azioni partecipative l’artista ha la stessa importanza del pubblico e questo va comunicato bene. Il pubblico sente i desideri degli artisti più di quanto questi possano immaginare, in tale fase l’artista deve essere sincero e aperto.
3. Come spesso accade in occasione di un
progetto finanziato solo in parte, è necessario dedicarsi a un’operazione di fundraising sia nel settore pubblico, sia nel settore privato. Questa fase è piuttosto impegnativa, richiede del tempo e non sempre porta a risultati incoraggianti specialmente in periodo di crisi economica. Il dialogo con le istituzioni si limita in molti casi a una richiesta di disponibilità per il patrocinio che non comporti un contributo economico, sebbene i riscontri sulla capacità progettuale e sul valore innovativo e creativo delle nostre iniziative siano stati sinora molto positivi.
4. Non ci aspettiamo né proponiamo che l’arte sia la soluzione alle problematiche generali della vita sociale e politica di un Paese. L’arte dovrebbe essere di stimolo allo sviluppo della sensibilità del singolo individuo e poi della collettività: per questo per noi è fondamentale allargare quanto più possibile il raggio d’azione delle nostre iniziative artistiche, creare occasioni di “contaminazione creativa”. Un punto di vista esterno che offra una visione incondizionata, anche per allenare il senso critico. 5. L’associazione 6secondsTO, con il progetto
Porta Pila Art Market, ha cercato di lavorare sulla funzione pubblica dell’arte invitando le persone frequentanti il mercato – e che normalmente non frequentano i luoghi dedicati all’arte contemporanea – a diventare protagonisti di un’esperienza artistica, partecipando direttamente al processo creativo. Riteniamo, infatti, che l’arte – in particolare quella contemporanea – debba essere fruita da tutti; tutti hanno il diritto di vederne soddisfatto il desiderio di viverla ed esserne coinvolti. In questo periodo storico, la funzione pubblica dell’arte contemporanea dovrebbe evidenziare e promuovere l’inclusione e l’integrazione sul piano culturale, come stimolo per lo sviluppo di questa pratica virtuosa in ogni contesto sociale. L’azione di una rete di soggetti, operanti in sinergia e con intento comune, può fare la differenza in termini di forza del coinvolgimento e diffusione di una nuova sensibilità e cultura artistica e soprattutto democratica. La rete pertanto va creata, mantenuta, sviluppata, ampliata con un impegno costante da parte di tutti i soggetti coinvolti, che partecipano in maniera del tutto volontaria. Una partecipazione passiva sarebbe improduttiva e non consentirebbe di approfondire le relazioni poste in atto dalla semplice adesione iniziale a un progetto comune.
a.titolo
1. Per quanto riguarda la nostra metodologia,
a.titolo parte dall’idea di proporre alle persone coinvolte in un progetto artistico un’esperienza civica che tenga conto delle pluralità d’identità che compongono, la comunità contemporanea, misurandosi con le differenti posizioni e gli inevitabili conflitti che nascono dal confronto. Troppo spesso il termine partecipazione viene confuso con animazione, mentre noi partiamo dal presupposto che ogni singolo componente di una comunità “che si crea” per una specifica occasione, o di una comunità che le preesiste,
sia portatore d’immaginari e azioni che nel processo – che attraversa l’idea, il progetto e poi la produzione dell’opera d’arte – riescono a dar vita a un luogo, un oggetto o una situazione in grado di “muovere”: cambiare la posizione dello sguardo, contaminare una situazione data o modificare le relazioni che lo attraversano. L’importanza per noi di “quello che resta”, ci ha fatto prediligere interventi con ambizioni di permanenza o caratterizzati da una temporalità estesa, affinché l’esperienza artistica non fosse assimilabile a forme di intrattenimento episodiche. Ci interessa il carattere trasformativo dell’arte nella vita quotidiana, ma anche la sua facoltà maieutica. Oggi il cosiddetto “spazio pubblico”, più che mai omologato dal principio della “sicurezza pubblica” e del “decoro urbano”, è uno spazio definito e ordinato in negativo, per dissuasioni e divieti, un fenomeno di portata globale che in Italia è particolarmente evidente nelle logiche proprietarie che sempre più spesso ne determinano la cosiddetta governance. In definitiva, sempre meno accessibile a chi lo abita, nonostante la retorica dell’appartenenza che sovrintende a questo fenomeno. I nostri progetti vanno nella direzione di una riappropriazione il cui vettore principale è il desiderio, che nel 2010 è addirittura il CENSIS a indicare, nell’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese, quale “virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”. Da oltre un decennio condividiamo la filosofia del programma Nuovi Committenti, ideato in Francia dall’artista François Hers – di cui siamo mediatrici culturali – fondato su una dialettica tra desiderio e responsabilità nella quale è il cittadino il motore di un progetto artistico mirato a interpretare specifiche istanze che emergono dalla società civile. In questo contesto l’arte concorre a qualificare o a costruire uno spazio sociale, immaginato e prodotto insieme con un gruppo di persone riunite a questo scopo, nel reciproco riconoscimento di specifiche competenze.
2. Quello che cerchiamo di fare in questo mo-
mento è mettere in moto delle pratiche capaci di disegnare un “terzo spazio”; non quello stabilito dalla pianificazione e dalle politiche urbane, e neppure quello vissuto o immaginato, ma una dimensione che risulta da un’esperienza temporanea e collettiva di abitazione e di cura dei luoghi. Grazie al collettivo berlinese Raumlabor, nell’ambito del progetto Nuovi Committenti a Barca (a cura di a.titolo, Maurizio Cilli, Giulia Majolino e Alessandra Giannandrea), che vede la creazione di uno spazio per i giovani del quartiere Barca a Torino con il coinvolgimento dei residenti nel contesto di un “cantiere” di autocostruzione con materiali di recupero, avviato nel 2011, stiamo verificando le potenzialità di un approccio caratterizzato dalla pratica concreta del fare. Intervenendo nel contesto urbano, spesso ci si confronta con interlocutori nel cui orizzonte esistenziale l’arte non esiste o ha un ruolo marginale, e va evitato il rischio di incorrere in logiche compensatorie, educative o “pastorali”. Ideare, progettare e realizzare un luogo in tempo reale insieme agli “esperti naturali” del territorio, in un processo di esecuzione aperto ai diversi apporti, e farlo in quello stesso luogo, implica senza dubbio un’attenzione maggiore al contesto, alle sue dinamiche, ai suoi cambiamenti. Si tratta ogni volta di attivare una piattaforma di lavoro condivisa, una situazione in movimento che permetta di vedere un luogo in maniera differente dall’ordinario, dalle sue funzioni normate o limitate dalle pratiche usuali, caricandolo di proiezioni future. Per rispondere più precisamente alla domanda, nel nostro percorso recente abbiamo sperimentato anche la trasformazione dell’osservatore in committente. Con la mostra Mente locale, al CESAC, Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee presso il Filatoio di Caraglio, abbiamo sviluppato un progetto sulla base del modello Nuovi Committenti.
La mostra può essere considerata uno spazio pubblico? Può funzionare come spazio utile alla cittadinanza? Sono queste le domande che hanno aperto il percorso compiuto insieme a un gruppo di persone, di età e professioni diverse, residenti nel cuneese, che hanno accolto il nostro appello a farsi committenti del tema di un’esposizione, in un periodo di profonde trasformazioni come quello attuale in cui la crisi economica obbliga a ripensare i modelli tradizionali di creazione e diffusione della cultura e le nozioni di domanda e offerta culturale. Specialmente in un’area di confine come quella in cui il CESAC si trova a operare, e che non a caso ha costituito il “territorio” principale della discussione.
3. La relazione con le amministrazioni pubbliche,
nella fattispecie con gli enti locali: la Rregione Piemonte, la città e la Provincia di Torino, le piccole amministrazioni dei comuni delle province in cui lavoriamo o abbiamo lavorato, è per noi una costante, almeno da un decennio a questa parte. Non soltanto perché molti dei nostri progetti ne hanno ottenuto il supporto, economico o logistico, o lo necessitano per poter essere realizzati, ma anche perché il rapporto con le istituzioni il più delle volte costituisce un prerequisito per il loro avviamento. La “richiesta di permesso” che caratterizza ogni nostro intervento nello spazio pubblico è strettamente collegata a una strategia di spostamento delle cornici culturali che nella nostra prospettiva riteniamo debba sortire i suoi effetti innanzitutto laddove si governa pro-tempore il bene comune. Fin dall’inizio ci è sembrata un’opportunità poter introdurre in un contesto “autorizzato” le istanze di soggetti normalmente esclusi dai processi decisionali riguardanti la cosa pubblica, se non sul piano della occasionale consultazione, dei quali noi stesse eravamo parte. Più in generale, dalla fine degli anni novanta e per tutto il decennio successivo, Torino è stata un interessante laboratorio rispetto a progetti che intrecciavano il contesto culturale con quello sociale. Le politiche di riqualificazione e di rigenerazione urbana spesso hanno coinvolto la cultura e l’arte. La qualità del rapporto tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni indipendenti è andata crescendo nel corso degli anni, ma in questo momento di crisi economica la sperimentazione e la progettualità sono sempre più limitate e si rischia di disperdere visioni e collaborazioni. Sarebbe davvero un buon momento per provare a ragionare su politiche diffuse e sostenibili che riflettano finalmente intorno alla relazione, quanto mai attuale, tra cultura, arte, spazi pubblici urbani e dimensione collettiva.
4. È una domanda che richiederebbe una risposta molto articolata, cui, in questo contesto, non si può rispondere che in termini generici. Ci sono diversi segnali in questa direzione nel nostro paese, per lo più inascoltati dalla politica partitica. L’arte è in grado di attivare, muovere, invitare, ispirare, aggiornare. L’arte è in grado di proporre cornici capaci di accogliere una cultura civica che si definisce attraverso forme di autoorganizzazione. Può contribuire al processo di definizione di nuovi modelli di cittadinanza e alla costruzione del “comune”, quale conseguenza di quell’immaginazione narrativa che Martha Nussbaum (Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino 2011) definisce quale specifica e indispensabile competenza del cittadino nell’articolazione del rapporto con il mondo circostante. Benché in ambito teorico negli ultimi anni siano emerse posizioni che hanno evidenziato fattori di criticità rispetto alla capacità dell’arte di attivare reali forme di empowerment, dal momento che gli esiti dipendono dalla consapevolezza degli obiettivi e dal potere decisionale di cui ciascuno può godere nell’ambito dei processi, il progetto artistico,
quello che interessa la sfera sociale, e urbana in particolare, sulla base della nostra esperienza può esercitare un ruolo attivo nel passaggio da atteggiamenti di fruizione passiva o di opposizione a una funzione propositiva da parte dei cittadini. Nella prospettiva del diritto alla città, di cui parlava Henri Lefebvre, il diritto di partecipare in modo attivo alla costruzione e alla fruizione della città nel suo valore d’uso e non nel suo valore di scambio, al fine di generare affezione e appartenenza civica, ma anche del diritto all’arte quale aspetto integrante della vita individuale e collettiva ed elemento costitutivo della forma e dell’idea della città così come ci è stata trasmessa. Sono piccoli segnali ma significativi di un’opportunità che sta a chi sperimenta e promuove queste pratiche cogliere e sviluppare nella sua valenza politica. Di ciò che, per l’appunto, riguarda la città.
5. a.titolo nasce nel 1997 già come soggetto
plurale, da un insieme di persone, un gruppo di curatrici, critiche e storiche che condividevano l’interesse nei confronti della funzione sociale dell’arte. Ci univa l’attenzione nei confronti “di strategie reticolari ispirate a modelli orizzontali, paritari e collaborativi”, come scrivevamo allora, che trovò un importante momento di verifica, non molto dopo la fondazione, nell’esperienza allargata della condivisione di idee, progetti, momenti di vita del network di artisti Oreste, un fertile terreno di coltura dei nostri orientamenti critici e progettuali. Oreste era prevalentemente composto da artisti vicini a quell’ambito di ricerca “relazionale” che caratterizzava la metà del decennio. Il nostro interesse nei confronti delle pratiche condivise avrebbe in seguito informato anche il nostro approccio con il cosiddetto “spazio pubblico”. Da allora l’attenzione verso questi temi in Italia è costantemente cresciuta, con la nascita e la maturazione di numerose realtà. Ad alcune di queste realtà, vecchie e nuove, siamo legate da rapporti di amicizia e collaborazione, ad altre ci uniscono la reciproca stima e comuni esperienze, con altre manteniamo a distanza rapporti di scambio di informazione: possiamo quindi parlare di una rete informale, mentre nell’ambito del programma Nuovi Committenti siamo parte di un network europeo più istituzionalizzato che coinvolge Francia, Germania, Belgio. I nostri progetti sono basati sulla collaborazione di un ampio numero di soggetti, individui o organizzazioni. A nostro parere ci sono quindi più che altro vantaggi nel far parte di una rete. Ma non è sufficiente la sua esistenza per garantirne il funzionamento. Funziona se è qualcosa di più della somma delle sue parti. Eventuali svantaggi possono essere costituiti dal suo malfunzionamento: assenza di coordinamento, incapacità di valorizzare la pluralità dei soggetti che lo compongono o di condividere idee al suo interno, squilibrio tra i vari soggetti nell’ambito di progetti collaborativi, mancanza di uno scopo comune o divergenze di obiettivi. Infine: lavorare con gli altri è molto più faticoso che lavorare da soli. Meglio piacersi.
Acting Out / Proofs (Francesca Busellato)
1. Alla base di un intervento nello spazio pubblico è importante che si stabilisca un rapporto tra l’artista e la comunità che lo accoglie. Tale incontro può essere favorito dai curatori, com’è stato nel caso del progetto Proofs, oppure può essere determinato direttamente dall’artista che valuta e sceglie a che soggetti rivolgersi. In entrambi i casi, l’approccio aperto e di ascolto con i soggetti individuati è la base su cui l’artista dovrebbe fondare il suo percorso verso la realizzazione di un progetto artistico, che sia o meno partecipato . Dialogo, riflessione e disponibilità nei con-
fronti della comunità sono i presupposti per comprenderne i bisogni. Gli artisti possono vedere là dove gli altri non colgono nulla: il punto di vista è uno degli aspetti principali della loro ricerca e dell’efficacia del loro lavoro perché non offrono soluzioni a problemi, forse suscitano dubbi, ma sicuramente agiscono sul modo di vedere le cose. Gli obiettivi del loro lavoro saranno perciò determinati da un equilibrio tra le richieste emerse dal territorio e le scelte personali, dando valore alle richieste della comunità e mantenendo la propria dimensione poetica e visione artistica.
2. Tra osservare e partecipare c’è un passaggio
fondamentale che non va escluso: lo spettatore, il fruitore, l’osservatore prima di poter partecipare, devono essere messi nelle condizioni di poter capire e, quindi, una prerogativa è fornire, là dove normalmente ciò non avviene, i giusti strumenti di lettura e comprensione. L’arte contemporanea in genere risulta ostica ai pubblici non abituati a fruirne i linguaggi. Quando, invece, si motivano i presupposti e gli strumenti tecnici come forma di espressione creativa del nostro tempo, l’arte viene più facilmente accettata e apprezzata. Organizzare momenti pubblici di presentazione sul territorio e singoli momenti d’incontro con i cittadini favorisce tale obiettivo. I cittadini saranno facilitati alla comprensione e magari al coinvolgimento in un progetto se avranno la possibilità di incontrare gli artisti, di conoscerne il lavoro e di dialogare con loro. Non è detto che tutti vogliano partecipare in modo attivo e bisogna rispettare le diverse sensibilità di coloro che sono interessati e curiosi ma non desiderano diventare parte attiva di un processo artistico. Il loro contributo di osservatori e di ascoltatori è comunque molto importante poiché sono divulgatori di un’esperienza che potrà essere veicolata ad altri cittadini, e poiché anche solo con l’osservazione possono acquisire degli strumenti che faciliteranno la loro comprensione del progetto e magari li condurranno a futuri interventi.
3. Il rapporto con le istituzioni è favorito nel
momento in cui gli obiettivi del progetto vengono condivisi, compresi e quindi accolti dall’amministrazione. L’esperienza di Proofs è stata positiva in tal senso in entrambe le realtà cittadine favorendone la sua buona riuscita. A Genova il rapporto con l’amministrazione pubblica, e in particolare con il Job Centre della Maddalena, ha permesso di costruire una collaborazione fruttuosa, offrendo l’opportunità al progetto di usufruire di strumenti e luoghi, come, ad esempio, la residenza nel ghetto e il laboratorio in Piazza Cernaia, entrambi nel centro storico. A Torino il rapporto con il territorio è stato fortemente agevolato dal supporto di “The Gate, Agenzia per lo sviluppo locale”, e dalla circoscrizione dell’area di Porta Palazzo. Qui il dialogo con un gruppo di residenti che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere l’artista e si sono dimostrati aperti a un costante confronto è stato centrale e sicuramente agevolato dall’intermediazione costruita a monte.
4. L’arte ovviamente non deve occupare un
vuoto, che sia quello della politica o di altro, cercando di trovare delle soluzioni a delle questioni che esulano dalla sua natura. Credo che la creatività, quando opera nell’ambito delle comunità e quindi dello spazio sociale come nel caso dell’arte pubblica, abbia l’obiettivo di fornire delle letture, dei punti di vista, delle occasioni di osservazione, visione e magari di ribaltamento della realtà, per poter poi aprire la strada a cambiamenti e azioni che vanno aldilà dallo stesso progetto artistico. I grandi artisti hanno permesso al mondo di evolversi e di concepire e costruire la realtà secondo presupposti completamente nuovi. Sono stati precursori in
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termini di visioni, poi le azioni sono conseguite e sono state portate avanti da altri soggetti. Credo che negli spazi pubblici, in particolare nelle grandi città, si debbano favorire tanti piccoli interventi artistici, rispettosi del territorio e delle persone che lo abitano, che stimolino una sensibilità nuova al quotidiano e favoriscano l’incontro e il dialogo tra le persone. Ogni territorio va letto e compreso secondo le sue peculiarità ma credo che, sia nei quartieri centrali sia nelle grandi periferie, la presenza di iniziative pubbliche, aperte, trasversali e rivolte a tutti i pubblici, restituiscano una dimensione di incontro e di comunità che a mio avviso è importante recuperare e preservare.
5. Credo che sia sempre vantaggioso quando
più soggetti si impegnano nel lavorare a progetti che pongono al centro l’attenzione alla collettività, con correttezza e rispetto dei territori che attraversano. La pluralità di intenti e di obiettivi credo che sia sempre un valore e che stimoli anche il desiderio di lavorare al meglio e per il bene dei territori e delle persone con cui ci si relaziona.
Asilo Bianco
1. L’arte pubblica è un tema su cui molto si è dibat-
tuto e scritto negli ultimi anni. Non è qui la sede per una dissertazione generale, ma, a nostro parere, si può affermare che oggi la consapevolezza che circonda l’arte pubblica e i bisogni di una comunità sia piuttosto avanzata, e, nonostante si riscontrino spesso pessimi esempi di interventi artistici, la direzione sembra essere quella giusta. Da una concezione che potremmo definire “modernista” di operare nello spazio pubblico, ossia considerare lo spazio pubblico come un foglio bianco su cui operare prescindendo dalla storia e dalla rilevanza del sito, si sta passando a un approccio più aperto e rispettoso del contesto, una modalità che in primo luogo consideri la comunità locale come il “padrone della situazione” (Kabakov, 2001), ossia l’attore che agisce, agiva e agirà sul luogo oggetto dell’intervento artistico, prima e dopo l’azione dell’artista. Dalla concezione di artista-demiurgo a quella di artista-medium: un professionista che si metta in ascolto del luogo e della comunità locale, per poi produrre in accordo con quanto ascoltato.
2. Non tutte le forme di arte e le pratiche arti-
stiche si adattano a un intervento processuale e collaborativo, e probabilmente è un bene che sia così. In questi ultimi anni vi è stato un proliferare probabilmente eccessivo di situazioni di arte partecipata, molto diverse tra loro e con risultati molto differenti. Come sostiene, infatti, il critico Hans Ulrich Obrist, “partecipazione è la risposta, ma qual era la domanda?”. L’approccio processuale e collaborativo non rende di per sé un’opera d’arte migliore, né più interessante. Molto dipende dal background dell’artista e dalla sua pratica, ma altrettanta importanza riveste il ruolo dei curatori o facilitatori, siano essi operatori culturali locali o professionisti esterni, veri e propri mediatori tra l’artista e la comunità locale. Un ruolo delicato, dietro le quinte, che richiede una conoscenza specifica della comunità locale e un rapporto quotidiano con il contesto in cui si va a operare.
3. Le amministrazioni, nonostante le pratiche
burocratiche simili, sono fatte di persone. Ci sono individui sensibili e aperti, altri indifferenti e poco acculturati, altri addirittura refrattari alle proposte culturali che contengano elementi innovativi. Nella nostra esperienza ne abbiamo incontrate di tutti i tipi, per fortuna sono prevalse apertura e la sensibilità. Uno dei problemi più grandi,
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oltre alla burocrazia e alle pressioni politiche più o meno esplicite, è il consolidamento dei progetti e una visione strategica, che vada oltre i brevi anni dei cicli politici.
4. Il mondo dell’arte e, in generale, della cultura contemporanea, può sicuramente esercitare un’azione importante di proposta, puntando, innanzitutto, sulla creatività e sull’innovazione. Anzi, in questo momento storico si rende sempre più necessaria l’azione di quei soggetti che possano portare proposte altamente innovative. Crediamo che la storia e la contingenza del contemporaneo ci insegnino come non possa esistere una vera estetica senza etica. Per questo la missione di ogni operatore culturale dovrebbe essere guidata da una grande consapevolezza e da un rigore etico che probabilmente il mondo della politica ha perso da troppo tempo. 5. La costruzione di reti culturali ormai non è
solo uno strumento prezioso per la creazione di progetti efficaci, ma diventa sempre più una necessità per lavorare in quei territori, cosiddetti marginali, (lontani dalle grandi capitali dell’arte e della cultura) e agire concretamente nel tessuto sociale e culturale. Non è semplice trovare dei partner affidabili che condividano una visione comune. Riuscire a essere flessibili, o meglio “liquidi” come la nostra società descritta da Bauman, e non perdere di vista la propria mission è diventata una delle sfide più interessanti (e più difficili) per le organizzazioni culturali.
Banca della Memoria
1. La conoscenza della realtà di una comunità
e dei suoi bisogni non può prescindere da un’approfondita conoscenza del territorio, della sua storia, delle sue tradizioni e degli usi e costumi locali; un artista che intenda lavorare nel cosiddetto “spazio pubblico” deve quindi, innanzitutto, studiare la realtà e il contesto di riferimento, confrontandosi con la comunità locale sia come persona sia come artista
2. L’arte può stimolare un intervento artistico
collaborativo nel momento in cui riesce a toccare tasti familiari e comprensibili, suscitando il desiderio di interagire con ciò che si vede o di esprimere la propria opinione. Questo stimolo può avvenire in maniera più o meno intenzionale, e, allo stesso modo, chi prende parte a un intervento d’arte collaborativa può farlo in maniera più o meno consapevole, rendendo l’atto della creazione artisticamente più importante del risultato raggiunto.
3. Le amministrazioni pubbliche si dimostra-
no solitamente molto interessate ai progetti di valorizzazione dei territori di loro competenza; soprattutto le realtà più circoscritte, come i comuni e le province, appoggiano iniziative e progetti proposti da cittadini e associazioni. Nonostante non possano sostenere anche economicamente tali proposte, spesso decidono di dare il loro appoggio attraverso il patrocinio.
4. L’arte è bellezza, emozione, ma anche denuncia e provocazione. I mezzi dell’arte sono molteplici: pittura, scultura, architettura, installazione e, negli ultimi anni, anche video e multimedialità. Anche l’espressione emotiva che scaturisce dai racconti delle esperienze di vita può essere considerata una forma d’arte: grazie alle nuove tecnologie essa può diventare comunicazione, denuncia e, soprattutto, memoria sociale, ovvero un importante collegamento tra le vecchie generazioni e quelle future. 5. A seconda di come viene interpretata, l’arte
rivolta al pubblico può assolvere diverse funzioni –
informativa, di denuncia, educativa, ... – o, non dimentichiamo, può anche essere considerata da qualcuno come fine a se stessa. Far parte di una rete di soggetti che condividono la stessa visione della funzione pubblica dell’arte significa poterne amplificare al massimo le capacità comunicative sfruttando al meglio le risorse a disposizione in una rete di aiuto reciproco e collaborazione che può coinvolgere più enti e toccare realtà diverse. Allo stesso tempo, non bisogna cadere nell’errore di soffocare le voci fuori dal coro, garantendo a chiunque la possibilità di attribuire all’arte qualunque funzione si voglia, anche se si discosta dalla visione comune.
Eco e Narciso
1. Quando inviti un artista a lavorare in un contesto per realizzare un’opera in dialogo con quel contesto e con la comunità che lo abita, l’invito è rivolto specificamente a quell’artista perché vi sono delle riverberanze con la sua poetica. La comunità e l’artista condividono alcuni interessi comuni sorti partendo da esperienze, ricerche, urgenze diverse – tanto più feconde tanto più sono distanti – che sono costituenti per una fenomenologia dell’immaginazione alla base della sintonizzazione, che non coincide con la condivisione ma con la possibilità di un confronto. Le modalità e gli obiettivi sono dettati di volta in volta. Personalmente mi interessa attivare delle situazioni che per via indiziaria riescano a innescare attivamente un pensiero di apertura della storia (e delle storie) e a generare piccoli cambiamenti di stato. 2. Talvolta capita che un osservatore che non
abbia partecipato a un processo di arte relazionale veda l’opera, o anche solo la documentazione del percorso e del suo esito, e si immedesimi, la proietti sul proprio contesto, e la immagini come azione risolutiva, capace di interpretare desideri, conflitti, potenzialità. Succede in verità con una certa frequenza quando si ha l’opportunità di presentare nella loro articolazione i modi di operare di pratiche artistiche processuali e partecipate. Purtroppo la scarsa visibilità di queste iniziative limita l’opportunità di “contagio”. E purtroppo la scarsità di risorse, economiche e umane (intendo quelle effettivamente impiegate, non quelle impiegabili, che sarebbero tantissime e competenti, ma purtroppo disoccupate), limitano la possibilità di avviare nuove iniziative.
3. Il programma di arte pubblica “Eco e Narciso” è sostenuto dalla provincia di Torino che ha voluto scommettere ben due volte sul ruolo che l’arte può assumere nello spazio pubblico. La prima volta nel 2002 quando gli proposi il progetto in relazione alla Rete Ecomuseale. La seconda nel 2004 quando, viste le prime risposte positive del territorio alle attività di Eco e Narciso, proposi di invitare i 315 comuni della provincia ad affrontare una delle iniziative della loro agenda politica (dagli interventi urbanistici e ambientali alle azioni e progetti in ambito sociale e culturale) mediante il coinvolgimento di artisti come attivatori di dispositivi di intervento, dando vita al Laboratorio Artistico Permanente. Il LAP vedeva un ruolo attivo della provincia di Torino e dei comuni selezionati ai quali era chiesta una partecipazione diretta, sia in termini di connettori di relazioni con i cittadini e con l’associazionismo, sia in termini di impegno economico, facendosi carico della produzione delle opere. Negli ormai quasi dieci anni di lavoro di Eco e Narciso sono state decine le collaborazioni con le amministrazioni, per la maggior parte positive.
4. Faccio un esercizio. Provo a immaginare lo scenario che si potrebbe delineare se quanto
viene detto a proposito della spending review produrrà qualche effetto concreto. Ovviamente la visione che propongo ha tutti i limiti del mio livello di informazione, della mia disposizione a credere che qualche cosa si farà, e della mia propensione a pensare che si possa dare (nel senso di offrire) di più con meno. Ora ipotizziamo come fatta la manovra, che tagliando il personale del settore pubblico fa risparmiare già un bel po’ di denari, che però significa anche che non ci sono più quei lavoratori che si occupavano dell’erogazione di determinati servizi, che a rigor di logica vuol dire anche perdere i servizi: c’è tutto lo spazio per proporre modelli diversi di welfare che contemplino la gestione diretta della cosa pubblica, e che consentano, nonostante l’alleggerimento della struttura, un mantenimento, e anzi un’innovazione della gestione dei servizi pubblici. E in questo disegno c’è spazio per la cultura, l’arte, come attivatrice di sussidiarietà trasversale nella società e nell’impegno civico, e come enzima per delineare nuove attitudini al lavoro, all’imprenditorialità e alla produzione. Una via interessante può essere quella di partire dall’ascolto e dal potenziamento delle comunità di pratiche. In sostanza bisognerebbe proporre delle politiche culturali che sappiano guardare alla cultura non come a un’attività settoriale, ma secondo il senso che le attribuiva Ernesto de Martino: “Ora cultura significa iniziativa geniale che si consolida in una tradizione, tradizione che condiziona e alimenta l’iniziativa geniale, secondo una circolarità che l’effettiva considerazione storica vieta di spezzare” (Il modo magico, 1948; ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 97). Il senso che è proprio dell’identità italiana, nonostante le “rimozioni” dei tempi più recenti. Quanto detto giusto per essere propositivi e non iniziare una critica poco costruttiva su come, con l’avanzare della crisi, anziché valorizzare le proposte di qualità, cosa che in un primo momento in molti siamo stati inclini a credere che fosse quasi naturale, abbia portato ad assecondare ancora di più i particolarismi e a orientarsi sugli eventi anziché sui contenuti, sull’intrattenimento anziché sulla cultura.
5. Credo che ci sia un vantaggio fondamentalmente, ossia quello di poter fare massa critica. Lo lego alla risposta precedente e all’ipotesi di proporre delle politiche. La quantità in questo caso è un valore, però occorre sempre preservare con molta attenzione la qualità, perché quando si rivendicano dei diritti poi questi vengono salvaguardati dai concetti e dalle parole che li esprimono, e di fronte a categorie fragili come quelle in questione sappiamo come le parole non siano buone guardie e vengano usate e abusate secondo l’occorrenza. Insomma bisogna essere prudenti. Kaninchenhaus
1. L’unico modo d’intercettare i bisogni di una
comunità è cercare di condividerne lo spazio fisico e sociale. Per facilitare il processo d’integrazione degli artisti, viadellafucina ha attivato due meccanismi. Innanzitutto, la residenza è basata su un’idea di gemellaggio tra artisti torinesi e forestieri, in modo che chi si trova già sul posto possa fungere da primo punto di riferimento per chi invece viene da fuori, sia dal punto di vista della conoscenza diretta del contesto, sia come intermediario per le relazioni interpersonali necessarie a sviluppare una pratica collaborativa. In secondo luogo, il quartiere di Porta Palazzo a Torino è usato come laboratorio diffuso, evitando di racchiudere tutte le attività di residenza in un unico spazio, ma al contrario diffondendole, attivando diverse partnership con organizzazioni locali che si occupano di coo-
perazione sociale o con locali e bed&breakfast particolarmente sensibili alla causa.
2. Quando si parla di pratiche collaborative non
esistono più osservatori, ma è necessario coinvolgere i partecipanti fin dall’ideazione dell’intervento artistico. L’opera, quindi, si costituisce come naturale evoluzione del dialogo instaurato con la comunità. È un processo lungo, che impegna gli artisti per tutta la durata dei due mesi di residenza e che in diversi casi prosegue anche oltre. Per aumentare le occasioni d’incontro sono stati previsti diversi eventi pubblici, a partire da una cena di vicinato negli spazi del mercato, immaginata come benvenuto agli artisti, fino all’organizzazione di dibattiti e workshop in collaborazione tra i residenti ed i partner dell’iniziativa.
3. La relazione con le amministrazioni pub-
bliche va radicata su una comunità d’intenti e prospettive per il bene comune. Nel caso delle azioni su Porta Palazzo esiste una fortunata coincidenza, che agevola senz’altro il lavoro sul territorio. Tutti i progetti selezionati per la prima edizione di viadellafucina prevedono un forte coinvolgimento dello spazio pubblico, per cui il patrocinio della regione Piemonte, della città di Torino e della circoscrizione 7 si sono resi indispensabili. Inoltre, un’Agenzia di Sviluppo Locale dedicata completamente al territorio come “The Gate”, essendo partner attivo dell’iniziativa, costituisce un osservatorio privilegiato per il progetto sull’area in cui va a inserirsi. viadellafucina, infatti, ambisce esplicitamente a fungere da mediatore tra le esigenze della comunità e le amministrazioni pubbliche, in modo da facilitare il dialogo in vista di nuovi obiettivi strategici. Sembra che finora questo spirito sia stato colto a pieno anche dalle istituzioni.
4. Le possibilità dell’arte, ma più in generale della cultura, rispetto alla coesione sociale e all’indirizzamento dell’agenda politica, sono ancora troppo spesso sottovalutate. La dimensione della creatività costituisce una zona franca, in cui i conflitti sociali possono essere più facilmente ricomposti e in cui la progettualità trova maggiore margine di possibilità. Sfruttare un luogo come questo, sia esso fisico o immaginario, per fissare scarti e prospettive di miglioramento tra la programmazione politica e le reali esigenze della comunità è un’occasione da non perdere. Questa linea d’azione diventa tanto più necessaria in aree come quella di Porta Palazzo, che affrontano difficili dinamiche d’integrazione date dalla varietà dei flussi migratori che la attraversano.
5. Lavorare in network è l’essenza stessa di progetti come viadellafucina. Il dialogo tra interlocutori che hanno comunione d’intenti è estremamente utile sia nell’ideazione di linee d’azione comuni, sia nella costituzione di una rete di supporto operativa per i singoli interventi. Inoltre, una comunicazione unitaria e più ampia dei risultati raggiunti dalle diverse progettualità, non fa che amplificarne l’efficacia. Non esistono svantaggi, a patto che vengano rispettate le specificità delle singole modalità operative, senza piegarle ad un’omogeneità che risulta tanto impossibile quanto controproducente. La diversità delle organizzazioni che potrebbero afferire a una rete di lavoro condivisa ne costituisce il valore aggiunto.
però che l’artista possa creare un clima di collaborazione e d’intesa con singole persone interne alla comunità a cui ci si vuole rivolgere, che possano aiutarlo/a a cogliere, di questa, le necessità e i desideri ma soprattutto le tensioni e i conflitti. Infatti, più che essere in “accordo con” credo che l’artista possa mettersi in “tensione con” una determinata comunità, attivando modalità di ricezione, elaborazione e restituzione di una situazione collettiva composta e determinata da singole individualità in relazione fra loro.
2. Credo che l’arte possa, abbia la necessità e
soprattutto la responsabilità di agire sul reale in modo concreto, sociale e politico, anche in modo conflittuale. Il nostro presente è composto da un tempo e da uno spazio che sono molto dilatati e al contempo molto contratti, per questo le persone hanno oggi più che mai la necessità di interrogarsi su concetti quali identità e territorio ed al contempo la possibilità di ridefinirli a partire dalla propria esperienza e contingenza. L’arte, molto spesso, fa vedere le cose del mondo in modo diverso rispetto alla consuetudine, compresi la situazione politica e culturale del contesto in cui si vive e, quindi, i processi sociali e produttivi che riguardano l’uomo e la società. Ma l’arte non può stimolare direttamente gli osservatori di un’opera a diventare partecipanti di un evento artistico. L’arte può mettere in campo nuovi processi di produzione culturale che rimettano al centro il suo valore sociale e quindi l’uomo stesso, per costruire, attraverso la pratica, relazioni includenti e collaborative che superino il concetto di spettatore. Oggi, anche attraverso l’arte, è possibile acquisire nuove soggettività, non a partire dall’osservazione ma dalla partecipazione.
3. Il progetto nasce dalla volontà dell’ammini-
strazione pubblica di lavorare sul carattere sociale del territorio, dimostratasi consapevole del suo essere anche elemento di produzione culturale. Questo è stato determinante per la buona riuscita del progetto. Prima di tutto, perché il Comune si è posizionato come un interlocutore fortemente collaborativo, in ascolto, propenso a comprendere le necessità del progetto, ed è stato un aiuto concreto nel trovare, laddove possibile, soluzioni alle difficoltà che abbiamo incontrato. In secondo luogo perché questa esperienza restituisce il racconto di un’amministrazione pubblica consapevole di come la produzione culturale sia determinante per il rilancio anche economico di una territorio, indipendentemente dal suo essere paese o metropoli. Accogliendo poi l’evoluzione nel tempo del progetto, ha confermato di riconoscere il carattere sociale e innovatore della cultura, suggerendo ai suoi abitanti l’importanza del prendere parte responsabilmente alle questioni che investono il proprio territorio e sperimentando, attraverso l’arte, nuovi e virtuosi tentativi di legittimazione della cittadinanza attiva.
4. Credo che l’arte sia imprescindibile da una
Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie
sua dimensione collettiva o quanto meno plurale e che, praticando forme di produzione culturale che rimettano al centro il valore sociale della cultura – e dell’arte stessa – possa dimostrare l’importanza di forme produttive che non perseguano obiettivi economici e di mercato individualistici, capaci di rinnovarsi ed evolversi, capaci di innescare processi costituenti cooperanti e reali trasformazioni del tessuto sociale, sollevando questioni che riguardano la sfera pubblica e quindi, in finale, la condizione dell’essere umano.
tonizzarsi” con una comunità specifica – a meno che di questa comunità non facciano già parte –, soprattutto se intendiamo il termine “sintonizzarsi” come l’essere in accordo perfetto, il “portarsi a” una determinata frequenza. Credo
essere messa a confronto e in relazione con percorsi simili e non credo ci possano essere svantaggi in questo. Nel caso di soggetti che riconoscono di condividere una stessa visione della funzione pubblica della cultura nella società
1. Non credo che gli artisti possano “sin-
5. Credo che sia importante per qualsiasi ricerca
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contemporanea, soprattutto laddove questa non è universalmente condivisa, credo che il potenziale maggiore stia nella possibilità di mettere le proprie competenze in sinergia per imparare l’uno dall’altro, per potenziare ogni specifico percorso, per portare avanti un discorso composto da più voci, capace di affermare qualcosa che vada al di là dei singoli progetti, ma che attraverso essi si esprime in diverse declinazioni.
PAV-Parco Arte Vivente
1. La città, con i suoi luoghi e “non luoghi”, centri
e periferie, è da sempre lo spazio pubblico per antonomasia. Ed è lo spazio in cui anche l’arte, ancor prima degli happening e delle “derive” situazioniste, ha suggerito nuove forme di intervento e abitabilità dello spazio urbano. Le modalità e gli obiettivi degli artisti sono però molteplici, mutano in sostanza dal ruolo della committenza (pubblica o privata), dal rapporto con il pubblico e la comunità di riferimento, dalla funzione dell’artista nella contemporaneità, e, non ultimo, dal valore che l’arte può ancora assumere come espressione di un’esigenza sociale o come rappresentazione della società stessa. Le pratiche esplorative e performative, di matrice relazionale e volte alla creazione di processi piuttosto che di prodotti, sono, in un certo senso, mirate a dare spazio e voce a un terreno neutro d’incontro. E questo perché lo spazio pubblico è per definizione la “sfera delle relazioni” tra soggetti e attori diversi. In questa direzione, esperienze di lavori sul territorio in paesi come l’Olanda, la Germania o la vicina Francia, attraverso cioè la moltiplicazione di gruppi e collettivi (Raumlabor, Atelier van Lieshout o Atelier Balto, per citare alcuni nomi), segnano il passaggio dal riconoscimento dell’autorialità del singolo artista all’apertura verso – e dentro – il tessuto urbano (senza nome), spesso in spazi interstiziali (fisici e urbani), al fine di innescare processi di relazione tra le persone. L’artista è così anche mediatore, oltre che interprete di un sentimento espresso da una precisa comunità chiamata ad assumere il ruolo di committenza. In questo senso il modello francese di Nouveaux commanditaires, adottato in Italia dalla Fondazione Adriano Olivetti con il nome Nuovi committenti e curato da a.titolo, è un esempio di chiara riuscita di relazione e negoziazione tra i diversi soggetti coinvolti. Gli interventi “site-specific”, di cui la stessa arte relazionale è stata anche amara testimone nel suo essere prima di tutto “estetica” relazionale, cioè senza il principio dell’agire in base al confronto reale tra le parti sociali, ma facendo della relazione il mezzo più che il fine, si stanno trasformando in “people-specific”. Saper quindi riconoscere la qualità degli spazi – e le opportunità da offrire per la relazionalità tra le persone che vi abitano – diventa una delle principali qualità degli artisti che lavorano nello spazio pubblico. Poiché un luogo non è dettato necessariamente soltanto dalla sua geografia, ma in particolar modo dalla contrattualità che si riesce a innescare e che trasforma il luogo stesso in un terreno aperto di possibilità: quello del confronto con l’altro. Alcuni degli interventi realizzati e messi a punto al PAV-Parco Arte Vivente in questi ultimi anni (Pedogenesis di Caretto / Spagna, Noël en Aôut di Michel Blazy e Focolare del collettivo Terra Terra) si inseriscono in questa visione. Immaginare cioè lo spazio pubblico non come luogo dato, ma come spazio da interpretare e in cui convergono aspetti storici, geografici, culturali e sociali. Si tratta di istanze da connettere con il presente e soprattutto con gli abitanti del quartiere e il pubblico del Centro d’arte.
2. Il PAV si attesta sempre più quale opera
pubblica in toto poiché la sua mission non prevede
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logiche convenzionali ma si prefigge la processualità della ricerca secondo modalità sperimentabili. E per sperimentabile si intende il fornire l’accesso alla comprensione delle opere attraverso la loro piena fruizione: sensoriale, corporea, concettuale e valoriale. Date le premesse, l’interesse culturale del Centro d’arte contemporanea è quello di prevedere che le opere attorno alle quali s’incardina la programmazione siano oggetto di attivazione dei saperi. A monte della proposta espositiva vi è una costante ricerca articolata, di tipo seminariale e dialettico, che pone le basi per il tema annuale attinente ai temi della persona, delle comunità, dell’ambiente. La motivazione è il creare un orizzonte, ampio perché interdisciplinare, proiettato verso un fare artistico che assolva a vari gradi di funzione pubblica, che offra spazi di negoziazione e di sviluppo critico, che sia di stimolo all’invenzione di nuovi paesaggi sociali. Il coinvolgimento di una comunità, o di parte di essa, in un’opera pubblica, spesso richiede complesse professionalità che riescano a operare in realtà site specific, a conoscerne i soggetti, a creare dei contatti. Un ruolo importante è quello dei mediatori che in un museo svolgono la funzione di facilitare la conoscenza del territorio, di coltivare relazioni permanenti basate sulla comunione d’intenti, di costruire rapporti di fiducia reciproca familiarizzando con i cittadini e le loro istanze. Si possono distinguere due tipi di coinvolgimento dei riguardanti: la partecipazione diretta – con gli autori – alla costituzione dell’opera d’arte nelle sue fasi processuali e la partecipazione all’attivazione dei saperi che irradiano dal processo artistico innescato. Storicamente, artisti come Joseph Beuys e Allan Kaprow hanno tracciato orizzonti di partecipazione all’arte nella ricerca di arte come vita. Gli Happening di Kaprow (denominati in seguito events e in ultimo activities) sono tra i modelli ripresi, in seguito, dagli artisti relazionali. Lo stesso Piero Gilardi, sin dagli anni Settanta, ha portato il suo contributo artistico e militante alle istanze di cambiamento democratico, intercettando i bisogni del tempo, attraverso gli atelier creativi, collettivi e spontanei con i pazienti dell’ospedale psichiatrico di Collegno e dei centri di igiene mentale del territorio torinese. Il movimento operava per portare a un riconoscimento della dignità delle persone internate, seguendo la linea di pensiero di Franco Basaglia, culminata nel gennaio 1977 con la chiusura dell’ospedale psichiatrico San Giovanni di Trieste e la creazione di comunità terapeutiche aperte. Basaglia definiva così il nuovo statuto di persona con un’integrità psico-fisica: “Una cosa è considerare il problema una crisi, una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto, la crisi è una soggettività”. Al di là dell’opera d’arte quel che conta è che tale opera sia di stimolo alla persona e alla collettività. Ripercorrendo questi solchi, la metodologia adottata tiene conto di due sostanziali prassi di lavoro: la partecipazione ai workshop condotti dagli artisti presenti nell’ambito dell’Art Program, che spesso si traduce nella restituzione di opere collettive; la partecipazione ad azioni di laboratorio che si addentrano nella processualità, nella struttura e sintassi dell’opera d’arte.
3. La risposta non può essere unilaterale e
semplice, perché complesso e talvolta complicato e molto variabile è il rapporto con le Pubbliche Amministrazioni. Non è certo che si possa parlare in modo globale delle Pubbliche Amministrazioni come un tutt’uno: non esiste omogeneità e parità nel loro funzionamento, dipende da Assessorato ad Assessorato, da Ufficio ad Ufficio. è così in ogni tipo di lavoro, ma una delle prerogative delle Pubbliche Amministrazioni dovrebbe essere proprio la costanza e l’uniformità delle procedure e dei comportamenti tenuti nei confronti di tutti. Tenendo presente che molto conta anche il modo
in cui agisce chi si rivolge loro, e che quindi le responsabilità possono trovarsi distribuite tra le parti, ho avuto occasioni di collaborazione e di conflitto, di apertura e di chiusura. Sarebbe facile argomentare che le difficoltà, maggiori vengono nei casi in cui entrano in gioco finanziamenti, contributi, o comunque aspetti monetari; se ciò è vero è perché la scarsità di denaro mette chiunque maggiormente in difficoltà; mentre trattare o concedere quando non c’è denaro, ma magari pura e semplice interpretazione normativa, oppure attenzione e cura nel seguire una determinata pratica, rende le cose molto più facili e semplici. Si potrebbe dire, in altri termini, che il livello medio delle Pubbliche Amministrazioni pare sostanzialmente adeguato ai loro scopi, e che le difficoltà, sia intrinseche sia nel rapporto con il pubblico, derivano dalle difficoltà finanziarie che impongono alle Amministrazioni la verifica costante della qualità del progetto e della conformità alle finalità dell’ente stesso.
4. Un esempio recente di tali risposte al bisogno
di cambiamento e di presa in carico del bene comune a livello ambientale è il metodo artisticopartecipativo New Alliance che mette in pratica un’azione di mutuo soccorso tra uomini e piante. L’atto creativo di New Alliance consiste nel riconoscere, immedesimandosi l’uno nell’altro, la condizione di precarietà biologica e culturale che accomuna, e non divide, tutti gli organismi viventi. Riconoscendo questa interdipendenza fattuale ed esistenziale, il PAV, con il collettivo artistico statunitense Critical Art Ensemble, propone con forza di tornare a essere soggetti attivi dotati di intelligenza e creatività per invertire lo stato di precarietà dilagante. Questa precarietà può essere trasformata in forza positiva, costruttiva, opposta alla generale condizione di crisi, al fine di creare una simbiosi socio-politica intraspecie tra piante e persone. Il percorso, iniziato nel maggio del 2011, mette a fuoco la condizione di precarietà che accomuna le specie vegetali a rischio e le comunità i cui spazi sociali e culturali sono anch’essi instabili o minacciati. In molti Paesi, dove almeno la flora a rischio d’estinzione gode di una protezione legale, esistono leggi che puniscono severamente la raccolta o il danneggiamento di alcune specie vegetali. Queste leggi servono a un primo livello a suscitare la simpatia del pubblico, ma, ben comprese, soprattutto nelle loro “zone grigie”, possono diventare uno strumento etico, e soprattutto pragmatico, per battaglie di protezione dei territori. Sebbene come specie possano sembrare fragili, ciascuna pianta è di per sé tenace e attrezzata per la sopravvivenza. Vi è la possibilità di incanalare questa loro forza attraverso un’azione di riappropriazione del territorio, spazi umani e naturali che subiscono la minaccia dei più diversi agenti della speculazione, interessata esclusivamente allo sfruttamento delle risorse e al profitto. Le zone a rischio possono essere tutelate da una forma di simbiosi socio-politica tra il mondo vegetale e i loro abitanti, spesso troppo deboli per difenderle. Il verde crescerebbe perché i cittadini si impegnerebbero a coltivare sempre più piante a scopo di autodifesa, arginando la sparizione della biodiversità. A loro volta gli spazi pubblici godrebbero della stessa protezione legale che salvaguarda le piante a rischio d’estinzione, mettendo tutti al riparo dai tentativi di aggressione e sfruttamento. La precarietà in cui vivono le piante a rischio di estinzione (con i loro habitat) è la stessa precarietà che vivono gli individui che, proprio oggi, tornano a rivalutare le pratiche di orticoltura urbana, viste come fonte di sussistenza di fronte a una crisi economica che colpisce i cittadini economicamente più fragili. Nel concreto si tratta di seminare e coltivare pian-
te dotate di uno stato giuridico che le qualifica come “specie a protezione totale”, secondo la normativa europea, nazionale e locale. Si tratta di un processo di osservazione, cura e azione che, attivato dal CAE e sperimentato dal gruppo di lavoro del PAV, è oggi pronto a essere condiviso con chi parteciperà al workshop autoorganizzato: saranno messe a disposizione circa 100 piante di Catananche caerulea (o Dardo di Cupido) da collocare nei siti d’accoglienza. Per proteggerci reciprocamente. L’arte può anche operare per il diritto al riconoscimento di una pari dignità delle persone con disabilità, avviando dal basso un’istanza di cambiamento. Nel dicembre 2010, su iniziativa della Consulta per le Persone in Difficoltà di Torino (CPD) e del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli - Museo d’Arte Contemporanea, è stato avviato un tavolo di confronto per la formulazione di un decalogo sulle prassi di accessibilità da adottare nei luoghi della cultura di Torino e del Piemonte. Si tratta di un passo importante che vede la riflessione e la definizione di linee programmatiche in vista di una concreta applicazione dell’articolo 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, firmata per l’Italia nel marzo 2007 dall’allora Ministro per la solidarietà sociale Paolo Ferrero, e ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 18 del 24/02/2009 9. L’articolo detta alcuni importanti punti in cui gli Stati aderenti si impegnano “a riconoscere il diritto delle persone con disabilità a prendere parte, su base di uguaglianza con gli altri, alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire che le persone con disabilità: abbiano accesso ai prodotti culturali in formati accessibili.” Proprio i musei del contemporaneo sono stati tra i primi soggetti che hanno preso a cuore i temi dell’accessibilità su cui sempre più si applicano, fino a definire vere e proprie prassi di inclusione sociale. Il recente “Manifesto dell’accesso alla cultura per tutti” propone alle istituzioni culturali e museali un cambio di mentalità, focalizzando lo sguardo affinché il presupposto dell’accessibilità possa essere inserito, con continuità, già in fase di progettazione e programmazione delle mostre. Solo in questo modo l’eccezione può diventare routine e la mentalità cambiare, perché – sempre per usare le parole di Basaglia – “Noi desideriamo che il nostro corpo sia rispettato. Tracciamo dei limiti che corrispondono alle nostre esigenze, costruiamo un’abitazione al nostro corpo”.
5. Relativamente al progetto Resò, il programma di residenze per la mobilità internazionale degli artisti nata nel 2010 da un tavolo di lavoro istituito dalla Fondazione CRT per l’Arte Moderna e Contemporanea, e che riunisce le principali istituzioni dedicate all’arte contemporanea sul territorio piemontese, l’esperienza maturata ha segnato il consolidamento di una piattaforma di grande interesse per tutti i soggetti e le nazioni coinvolti. Una piattaforma che, dopo la fase di start-up iniziale, ha dimostrato di aver rafforzato le relazioni già in parte esistenti tra i partner del territorio che ne fanno parte. Ma soprattutto Resò è sentito e visto come un gruppo coeso, un forte network con una sua precisa identità e operatività, pur senza aver un luogo o uno spazio in cui esser riconosciuto (come invece solitamente avviene per un centro espositivo, galleria, ecc.). Le residenze, che vedono l’artista operare nei territori del Piemonte, di New Delhi, del Cairo, di San Paolo e di Rio de Janeiro, per un periodo compreso tra le 6 e le 10 settimane, hanno come obiettivo lo sviluppo di progetti in un’ottica di scambio, lo studio e la ricerca in un nuovo orizzonte di senso che rifletta le dimensioni del conoscere e delle pratiche proprie del fare. La residenza, intesa come uno dei momenti formativi nell’ambito della carriera di un artista, ha in sé anche il valore dell’”abitare”
un luogo, non solo dunque l’attraversamento temporaneo di una precisa città. E nell’abitare un luogo, l’artista può indirizzarsi verso pratiche alternative in un ampio discorso urbano e sociale per le quali lo spazio pubblico è inteso prevalentemente come paesaggio sociale. In questo contesto, infine, le relazioni che lo abitano possono considerarsi un “testo” che entra a pieno titolo nel processo di formazione e definizione dell’opera. Il progetto ZonArte, sempre attinente alle politiche culturali promosse dalla Fondazione CRT per l’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, è un altro esempio di network che vede operare insieme, con obiettivi e programmi comuni, i Dipartimenti Educazione dei principali musei del contemporaneo della città e della Regione. In questo progetto di rete sono privilegiati gli aspetti educativi e formativi che, proprio a partire dal patrimonio culturale di ciascuna istituzione, creano una relazione diretta e partecipativa con i più diversi pubblici. Dopo gli eventi realizzati alla Fondazione Merz, alla GAM di Torino e in Artissima18, il programma ZonArte 2012, alla sua terza edizione, è uscito dai confini nazionali presentandosi nella prestigiosa sede della quinquennale dOCUMENTA (13) a Kassel con l’installazione progressiva Orto_Grafico. La performance collettiva di costruzione del paesaggio si è inserita nel progetto Winning Hearts and Minds/Be part of dOCUMENTA (13) del Critical Art Ensemble, un vero e proprio “Speaker’s Corner” dell’arte all’interno della Railway Lecture Hall, che ha messo a disposizione uno spazio e un tempo dedicati a lecture e a eventi pubblici.
Progetto Diogene
1. Le modalità per “sintonizzarsi” con i bisogni
di una comunità ed i relativi obiettivi di assolvimento di tali bisogni, dipendono a nostro avviso dalle specifiche ricerche, dalle pratiche e singole inclinazioni degli artisti che operano nello spazio pubblico e non ci sembra possibile (e forse utile), individuare delle modalità “standard” di azione o degli obiettivi a priori. In quest’ambito, caratterizzato da una grande complessità, le “ricette” definite a priori sono alquanto rischiose, ed è difficile ragionare in termini di causa-effetto. Il rischio è di trovarsi di fronte, come purtroppo spesso accade negli interventi di arte pubblica e partecipativa, all’applicazione di una sorta di format (interviste con gli abitanti, festa di quartiere, ecc.), cioè all’attuazione di un protocollo che, sebbene possa in effetti funzionare sul piano sociale e anche politico, può avere, secondo noi, come risultato un abbassamento del livello della qualità artistica e un depotenziamento degli interventi, rispetto alla possibilità aperte, offerte dalle pratiche artistiche contemporanee. In linea generale siamo dell’opinione che gli artisti, possano (e forse debbano…) sintonizzarsi innanzitutto sui propri bisogni; quanto questi bisogni siano condivisi anche da altri membri della comunità dipende naturalmente dall’ambito di ricerca dell’artista e fa sì che questa “sintonizzazione” con la comunità risulti possibile ed efficace. Riteniamo che l’artista debba rispondere essenzialmente a un’urgenza interiore piuttosto che ai bisogni di qualche altro soggetto; solo così riuscirà a mantenere la giusta tensione nel suo lavoro. Quando le sue urgenze riguardano aspetti relativi a questioni sociali, allo spazio pubblico, alla comunità, allora la sintonizzazione con la comunità stessa avverrà in modo “naturale” e potrà risultare in un lavoro efficace anche dal punto di vista artistico. Nel nostro caso specifico Diogene è nato nel 2007 per rispondere innanzitutto alle nostre esigenze di confronto tra artisti e per cercare di riportare la pratica artistica, i contenuti a essa sottesi, le singole poetiche e il ruolo dell’artista nella società, al centro
del discorso. Per fare ciò si è scelto di operare all’interno dello spazio urbano con l’idea di approfittare, quasi in modo parassitario, delle risorse già disponibili e potenzialmente sfruttabili nella città (acqua, biblioteche, reti wifi, ecc.). Il fatto di occupare fisicamente il suolo pubblico ci ha portato col tempo a riflettere sulle dinamiche che la nostra presenza attivava all’interno della comunità dove lavoravamo. Stare fisicamente in uno spazio pubblico e il lavorarci costruendo qualcosa di tangibile, si sono rivelati essere, di per sè, modalità di azione efficace e non prevaricatrice rispetto al contesto che ci ha accolto.
2. Più che di un astratto concetto di Arte,
preferiamo parlare di artisti e delle loro pratiche. Progetto Diogene ha scelto di operare nello spazio pubblico in risposta ad una propria necessità di confronto sulla pratica dell’arte, prendendo spunto inizialmente dalle singole pratiche e poetiche ed in seguito cercando di allargare il confronto anche all’esterno, con altri artisti, con pubblico e ricercatori di altre discipline, indagando allo stesso tempo il ruolo dell’artista nella società contemporanea. Il fatto di svolgere questo confronto direttamente nello spazio pubblico, a “livello asfalto”, inizialmente con la costruzione di moduli abitativi di residenza auto costruiti e in seguito con l’utilizzo della carrozza del tram, ha fatto sì che ci trovassimo a confrontarci con lo spazio pubblico e con problematiche a esso connesse. La pluralità di linguaggi e interessi che caratterizza i componenti del gruppo Diogene ha fatto sì che la nostra attività non si sia focalizzata necessariamente su interventi partecipati o di arte pubblica, ma abbia mantenuto un’apertura nei confronti di qualsiasi pratica artistica e percorso di ricerca. Il nostro agire a diretto contatto con lo spazio urbano e la possibilità offerta agli artisti in residenza di fare altrettanto, fanno sì che le nostre azioni si inseriscano nella vita quotidiana del luogo in cui operiamo, consentendo alle persone interessate di essere parte di questo processo. In alcuni casi può accadere che le situazioni attivate da noi o le opere prodotte dagli artisti ospiti possano suscitare nelle persone una certa risonanza personale che facilita naturalmente il coinvolgimento delle stesse nel progetto. Un aspetto interessante sul quale stiamo riflettendo è quello relativo all’azione che gli oggetti possono esercitare nello spazio pubblico. In che modo la loro presenza può agire da catalizzatore di reazioni agenti a livello sociale e nelle dinamiche partecipative? Se da parte delle istituzioni, e probabilmente anche di chi ha la responsabilità della curatela, ci può essere la necessità di individuare delle modalità che definiscano a priori il coinvolgimento e la partecipazione, noi, in quanto artisti, riteniamo che non sia possibile offrire una risposta precisa in tal senso. Risulta anche difficile parlare di “osservatori” o di “pubblico” in generale, ogni situazione e contesto fanno storia a sé, e una modalità adatta ad un luogo può non essere appropriata per un altro.
3. La nostra esperienza di relazione con le
amministrazioni è stata sino ad ora positiva. Torino da questo punto di vista si è rivelata essere un territorio fertile, dove sono presenti interlocutori in grado di valutare le proposte e di sostenere quelle ritenute interessanti. Molte persone provenienti da altre città italiane, in visita a Torino, ci hanno fatto notare che un progetto come Diogene difficilmente avrebbe avuto la possibilità di essere realizzato nella loro città, soprattutto per la mancanza, all’interno degli enti pubblici locali, di referenti preparati ad accogliere proposte di questo tipo. Dal punto di vista strettamente economico il sostegno del progetto proviene però in primo luogo dalla Compagnia di San Paolo, che sin da subito ha creduto nel nostro progetto sostenendolo; in passato siamo stati finanziati anche dalla Regione
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Piemonte, ma in seguito il loro aiuto è venuto a mancare per ragioni economiche e, probabilmente, anche politiche. La rotonda stradale nella quale si trova la sede dell’associazione, il Tram Diogene, è davvero un crocevia nel quale diverse competenze si sovrappongono rendendo necessaria una collaborazione ad ampio spettro con gli enti pubblici. I dirigenti dei diversi settori hanno sempre dimostrato una buona attenzione verso le nostre attività. Collaboriamo con diversi assessorati (Cultura, Politiche per l’Integrazione e Ambiente) del comune di Torino e con gli uffici dei diversi settori (Arte, Rigenerazione urbana, Verde pubblico, occupazione del suolo pubblico, ecc.) e con la circoscrizione, per le questioni tecnico-pratiche (l’occupazione del suolo pubblico, uso dell’acqua potabile, ecc.). Collaboriamo anche con l’azienda dei trasporti pubblici torinesi GTT di Torino che, oltre ad averci concesso una carrozza di un tram in comodato d’uso gratuito, ci ha fornito anche un importante aiuto nel suo restauro.
4. In linea generale, pensiamo non si possa chiedere troppo agli artisti per la soluzione di problemi per i quali dovrebbe essere l’azione politica a dare delle risposte. Con ciò non vogliamo però affermare che l’arte non possa avere un valore politico o dei risvolti sociali importanti. Gli artisti possono, attraverso le loro pratiche ed elaborazioni concettuali, offrire visioni alternative sulla realtà; con il proprio lavoro essi sperimentano forme diverse di socialità ed economia, una gestione diversa degli spazi e del tempo, offrono prospettive sulle varie possibilità di conoscenza e di relazione con il mondo, sia nei suoi aspetti fisici e materiali, sia in quelli immateriali. Come tutto ciò possa però avere una ricaduta diretta nella realtà non è però prevedibile a priori, ed è probabilmente destinato a rimanere un’esperienza puntuale se non è accompagnato da una seria azione politica (culturale, sociale, economica,ecc. ) da parte di chi è chiamato istituzionalmente a svolgere tale compito. 5. La diversità a cui si fa riferimento nella doman-
da pensiamo caratterizzi anche le visioni sulla funzione pubblica dell’arte; ci può anche essere una pluralità di punti di vista su questo tema ma l’importante, secondo noi, è che esista la reale volontà di un confronto tra le diverse posizioni. Il fatto di
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far parte di una rete di soggetti che, anche sotto prospettive diverse lavorano in un certo ambito, favorisce, almeno in teoria, questo confronto. Non sempre tuttavia una rete di relazioni molto diffusa equivale a un confronto approfondito. Talvolta si ha la sensazione che le energie nel tenere in piedi il sistema di relazioni con gli altri soggetti, che con internet è capace di crescere in modo esponenziale in tempi relativamente brevi, sottragga preziose energie alle altre attività di ricerca e sviluppo del progetto, soprattutto in una condizione di debolezza strutturale, anche economica, del sistema in cui operiamo. Il rischio che si corre è quello di divenire come un organismo dal metabolismo basale troppo elevato.
3. L’atteggiamento dell’amministrazione pubbli-
URBE - Rigenerazione Urbana
4. L’arte può avere un importante ruolo di atti-
1. Pur presupponendo un’affinità di intenti, sin-
tonizzarsi con i bisogni di una comunità specifica non significa necessariamente instaurare un confronto diretto con la stessa: questa è una scelta determinata dal tipo di ricerca artistica e dalle modalità di trasmissione del proprio messaggio, oltre che dalla scelta dei propri interlocutori. Quando ci si trova a operare nello spazio pubblico, il linguaggio utilizzato rappresenta la variabile in base alla quale l’artista dialoga con la comunità e veicola il proprio messaggio, che può provocare, incuriosire o conciliare.
2. La ricerca di tipo partecipativo si basa su una
volontà di dialogo e di collaborazione, in grado di superare lo schema artista / fruitore, oppure sul coinvolgimento inconsapevole di attori passivi. Le opere d’arte partecipativa derivano dalle scelte metodologiche dell’artista, che entra in contatto con il pubblico secondo la propria sensibilità e i propri obiettivi. La creazione di un’opera partecipativa è costituita da una fase preparatoria, ideativa e progettuale, da una fase realizzativa, in cui i protagonisti sono coinvolti a diversi livelli, e una fase conclusiva di valutazione e critica. Prendere parte alle varie fasi del processo rappresenta quindi l’occasione per aumentare la coscienza del proprio ruolo all’interno della creazione artistica, esperienza che può stimolare il pubblico a una partecipazione sociale più attiva e consapevole.
ca nei confronti delle nostre iniziative è stato di grande interesse, trattandosi di progetti culturali dalla forte valenza sociale e in aree di città spesso trascurate. Nella realizzazione dei progetti c’è stato supporto dal punto di vista dello snellimento delle pratiche amministrative. L’interesse delle amministrazioni si è anche palesato nella formulazione di proposte che riguardavano l’avviamento di progetti in alcuni importanti spazi pubblici. D’altro canto a queste proposte, anche in considerazione dell’attuale situazione economica, non è seguito un opportuno supporto finanziario che agevolasse lo start-up della nostra attività, rendendone impercorribile la realizzazione. vatore nella crescita della coscienza sociale, aiutando le persone a riflettere sulle problematiche politiche ed economiche della società contemporanea. In questo senso può essere un valido strumento per individuare esigenze e desideri della società stessa. Questo ruolo può assumere grande rilevanza grazie alla diffusione di progetti artistici tramite la rete, così da raggiungere il numero maggiore possibile di fruitori, diventando veicolo della democratizzazione di determinati processi. Non per questo può sostituirsi alla politica e alla finanza nell’elaborazione di risposte concrete rispetto alla gestione della cosa pubblica.
5. Far parte di una rete costituisce una grande opportunità di crescita e fornisce costantemente nuovi stimoli. Inoltre, condividere con altri soggetti obiettivi e metodi accresce la consapevolezza delle proprie potenzialità, che aumentano esponenzialmente grazie all’attivazione di sinergie con realtà analoghe. È anche vero che far parte di una rete può nascondere delle insidie, da un lato quella di perdersi nell’infinita frammentazione di realtà diverse, dall’altro quella di fossilizzarsi in relazioni con realtà troppo simili. È quindi necessario non perdere mai di vista il quadro generale sull’ampio ventaglio di opportunità di collaborazione, oggi su scala globale, tramite una strutturazione chiara ed efficiente della rete, in modo tale da individuare i partner giusti e trarre il massimo vantaggio dalla collaborazione con soggetti con capacità e conoscenze derivanti da ambiti diversi.
During the preparation stage, the eleven participants were sent five questions on the main themes which the research presented in the exhibition has analysed and elaborated. Find below all their answers – like a sort of “virtual” collective dialogue – which examine the strategies of action and the different points of view on common and shared topics related to the role of the artist and the social function of art today.
1. In what way and with what objectives
can the artists working in the so-called “public space” tune in with the needs of a specific community?
2. How can art stimulate the spectators of a work of art to become participants in a procedural and collaborative artistic intervention?
3. From your experience, what kind of rela-
tion have you had with public administrations? Of conflict and narrow-mindedness or of collaboration and open-mindedness towards the project proposals?
4. How can art propose new ideas, paths
and methods in the present shattering of politics and crisis of management of the res publica (in terms of common good, democracy, economy)?
5. What do you think are the advantages
and the disadvantages in being part of a network of entities which, with their differences, share your same vision of the public function of art in contemporary society?
6secondsto 1. The public space needs a public to be alive. The public gives space a form. It gives it an identity with its history, its culture, its customs, etc. If an event occurs in a specific public space, the artists must be aware of the history and the culture of the space, they need to observe and analyse. It is mainly an instinctive process, but there are aspects around which the research revolves. In general, the artists have the responsibility to respect the daily users of the public space. There are different ways to involve the public in a collaborative process. If it feels part of a process and responsible for the decisions taken, it will start taking care, being aware and feeling responsible for the space. The collaborative approaches can be developed on different levels and with different methods. On one hand the artists need to decide how deep the collaboration is going to be, on the other hand the public aims at a validation of its own traditions and customs (they differ from country to country, even from region to region, in this sense the culture of the society plays an important role). It is necessary to have a balance between these two poles. The important ethical issue is the following: the collaboration between artists and public should be a fair exchange. The artist collects information and offers the public events / interventions in the collective space. 2. The way you get in touch with people is important too. The abuse of certain words creates sometimes a barrier in the communication. Even the word “art” works better when people are not expecting it to be. In some places this term is still “sacred”. Since participation aims at tearing down this very barrier, it brings art at the same level in other areas. In this sense, Andy Warhol played an important role: “Art is just another job”,
the artist is not celebrated. In participative actions the artist is as important as the public and this must come across. The public feels the artists’ desires more than they can imagine, in this phase the artist must be sincere and open.
3. As it often happens when the project is only
partially funded, it is necessary to engage in a fundraising operation both in the public and private sectors. This phase is rather demanding, it takes time and it does not always bring encouraging results, especially in times of financial crisis. In many cases the dialogue with the institutions is limited to a request for availability of a non-financial patronage, although the feedback on the projectual skills and on the innovative and creative value of our initiatives has been very positive so far.
4. We neither expect nor claim art to be the
solution to the general problematics of a country’s social and political life. Art should stimulate the development of the sensibility of the individual, then of the collectivity: for this reason it is fundamental to us to widen the scope of our artistic initiatives as much as possible, to create opportunities for a “creative contamination”. An external point of view which offers an unconditional perspective, also to practice one’s critical thinking.
5. With the project Porta Pila Art Market, the as-
sociation 6secondsTO tried to work on the public function of art inviting market regulars – not usually moving in places dedicated to contemporary art – to become part of an artistic experience, directly participating to the creative process. We believe, in fact, that art – and contemporary art in particular – should be enjoyed by everybody; everybody has the right to satisfy his desire to live and be part of it. In this historical period, the public function of contemporary art should highlight and promote the inclusion and the integration at a cultural level, as an incentive to develop this virtuous practice in every social context. The action of a network of entities, operating in synergy and with a common intent, can make a difference in terms of the strength of involvement and the diffusion of new artistic and, above all, democratic sensibility and culture. The network must therefore be created, maintained, developed, widened with constant commitment from all involved, who participate of their own accord. A passive participation would not be productive and would not allow for the elaboration of the connections activated by the simple initial adherence to a common project.
a.titolo 1. As far as our methodology is concerned, a.titolo starts offering the people involved in an artistic project a civic experience which takes into account the plurality of identities forming a contemporary community nowadays, measuring itself against the different positions and the inevitable conflicts born from the dialogue. Too often the term participation gets confused with animation, while we start from the assumption that every single constituent of a community which “creates itself” for a specific occasion, or of a pre-existing one, is a bearer of imaginative worlds and actions which – through the idea, the project and then the production of the work of art – can give life to a place, an object or a situation able to “move”: change the perspective, contaminate a given situation or modify the connections crossing it. The importance for us of “what stays” has made us have a preference for interventions aspiring to be permanent or characterised by an extended time frame, so that the artistic experience is not similar to forms of episodic entertainment. We are interested in the transformative character of art in daily life, but also in its maieutic power. Today the so-called
public space, conformed by the principles of “public safety” and “urban decor” more than ever, is a space defined and organized in negative, according to messages of dissuasion and prohibition, a global phenomenon particularly obvious in Italy because of the ownership logics which more and more often define the so-called governance. Ultimately, it is less and less accessible to the people inhabiting it, despite the rhetoric of belonging which governs this phenomenon. Our projects move in the direction of a reappropriation, whose main vector is desire, which in 2010 the CENSIS itself defined as the “civil virtue necessary to activate the dynamics of a society too satisfied and flattened” on its annual Report on the social situation of the country. For over a decade we have shared the philosophy of the programme New Committents, created in France by the artist François Hers, of which we are cultural mediators, founded on a dialectic between desire and responsibility, where the driving force of an artistic project aimed at interpreting specific instances emerging from the civil society is the citizen. In this context art concurs in qualifying or building a social space, imagined and produced together with a group of people gathered with this aim, in the reciprocal acknowledgment of specific skills.
2. What we are trying to do right now is to set in motion practices able to draw a “third space”; not the one established by the urban planning and politics, nor the one lived or imagined, but a dimension resulting from a temporary and collective experience of inhabiting and caring for the places. Thanks to the Berlin collective Raumlabor, within the project New Committents in Barca (curated by a.titolo, Maurizio Cilli, Giulia Majolino e Alessandra Giannandrea), which sees the creation of a space for the youth from the Barca neighbourhood in Turin with the involvement of the residents, in the context of a building site of autoconstruction with discarded materials started in 2011, we are verifying the potentials of an approach characterized by a concrete practice of doing. Intervening in the urban context, you often deal with interlocutors in whose existential horizon art does not exist or has a marginal role, and you have to avoid the risk of incurring in compensatory, educational or “pastoral” logics. Conceiving, planning and realizing a place in real time, together with the “natural experts” of the territory, in an executive process open to the different contributions, and doing it in the very same place, implies without a doubt a greater attention to the context, its dynamics, its changes. Every time it means activating a shared work platform, a situation in motion which allows us to see a place in a different way from the ordinary, from its functions regulated or limited by the usual practices, charging it with future projections. To answer the question more precisely, in our recent path we have also experimented the transformation of the spectator into the committent. With the exhibition Mente Locale (Local mind), at the CESAC, Experimental Centre for Contemporary Art at the Filatoio di Caraglio, we developed a project on the basis of the model of New Committents. Can the exhibition be considered a public space? Can it work as a useful place for the citizens? These are the questions which opened the path trodden with a group of people of different ages and professions, residents of the province of Cuneo, who answered to our call to become committents of the theme of an exhibition, in a period of deep transformation like the present, when the economic crisis forces us to rethink the traditional models of creation and diffusion of culture and the notions of cultural supply and demand. Especially in a border area like the one CESAC is operating in, which, not by accident, represented the main “territory” of the discussion. 3. The relation with the public administrations, and
specifically with the local authorities, has been continuous for at least a decade: the Regione Piemonte, the city and province of Turin, the little administrative
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departments of the municipalities of the province in which we have been working. Not only because most of our projects have obtained their financial and logistic support or they need it to be realized, but also because the relation with the institutions represents a prerequisite for them to start. The “request for permission” which characterises each of our intervention in the public space is strictly linked to a strategy of shifting the cultural frames which we think should achieve results, first of all where the common good is governed pro-tempore. From the beginning we have regarded as an opportunity the fact of being able to introduce into an “authorized” context individuals usually excluded from the decisional process regarding the res publica, other than at the level of an occasional consultation, which ourselves were part of. More in general from the end of the ‘90s throughout the following decade, Turin was an interesting laboratory with respect to the projects which intertwined the cultural and the social contexts. The politics of urban requalification and regeneration have often involved art and culture. The quality of the connection between public administrations and independent organizations has been improving throughout the years, but in this moment of economic crisis experimentation and projectuality are more and more limited and we run the risk of dispersing visions and collaborations. It would really be a good time to try to think about diffused and sustainable politics which reflects at last about the relation, more topical than ever, among culture, art, urban public spaces and collective dimension.
4. It is a question which requires a very com-
plex answer, which in this context cannot but be answered in general terms. In our country there are different signals pointing in this direction, mainly not listened to by party politics. Art is able to activate, move, invite, inspire, update. Art is able to offer frames which can accommodate a civic culture which defines itself through forms of self-organization. It can contribute to the process of definition of new models of citizenship and to the construction of the “common”, as a consequence of that narrative imagination which Martha Nussbaum (Not For Profit: Why Democracy Needs the Humanities, 2010) defines as a specific and necessary skill of the citizen in articulating his relation with the surrounding world. Although from a theoretical point of view in the last few years situations have emerged which have highlighted critical factors with respect to the ability of art to activate real forms of empowerment, since the results depend on the awareness of the objectives and on the decisional power each of us enjoys within the processes, the artistic project, the one the social – specifically urban – sphere is interested in, on the basis of our experience, can play an active role in the shift from an attitude of passive fruition or opposition to a proactive function from the citizens’ part. In the perspective of the right to the city Henry Lefebvre talked about, the right to participate in an active way to the construction and the fruition of the city in its use value and not in its exchange value, in order to generate civic affection and belonging, but also of the right to art as an integral aspect of individual and collective life and constitutive element of the form and the idea of city, as it was transmitted to us. They are small but meaningful signals of an opportunity which whoever experiments and promotes these practices should grab and develop in its political value. Of what, in fact, concerns the city.
5. a.titolo was born in 1997 as a plural entity, from
a group of people, a group of female curators, critics and historians who shared an interest in the social function of art. We were united in the attention towards “network strategies inspired by horizontal, equal and collaborative models”, as we wrote at the time, which found an important moment of validation, not long after the founding, in the widened experience of sharing ideas, projects, moments of life of the artists’ network Oreste, fertile
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ground for our critical and projectual orientations. Oreste mainly consisted of artists close to that field of “relational” research which characterized that half of the decade. Our interest in shared practices would then inform our approach to the so-called “public space” too. Since then in Italy the attention towards these topics has been constantly growing, with the creation and development of several realities. We are linked by a relation of friendship and collaboration to some of them, old and new, we are united by mutual respect and common experiences with others, we maintain long distance relations of exchange of information with others: we can therefore speak of an informal network, while within the programme New Committents we are part of a more institutionalized European network involving France, Germany, Belgium. Our projects are based on the collaboration of a great deal of entities, individuals and organizations. In our opinion being part of a network is mainly a benefit. But its existence is not enough to guarantee its functioning. It works if it is something more than the sum of the parts. Potential disadvantages can be represented by its malfunctioning: lack of coordination, inability to enhance the multiplicity of entities forming it or to share ideas within, the imbalance among the various entities within collaborative projects, lack of a common aim or a difference of objectives. Finally: working with others is much harder than working alone. It is better to like each other.
Acting Out / Proofs (Francesca Busellato) 1. At the basis of an intervention in the public space it is important to establish a relation between the artist and the community receiving him. This meeting can be facilitated by the curators, like in the case of the project Proofs, or it can be determined directly by the artist who evaluates and chooses who to address. In both cases, an open approach and the willingness to listen to the people selected are the foundation on which the artist shoud base his path towards the realization of an artistic project, being it more or less participative. Dialogue, reflection and availability towards the community are the prerequisites to understand its needs. Artists can see what others cannot: the point of view is one of the main aspects of their research and the effectiveness of their work, because they do not offer solutions to problems, they might cast doubts, but they definitely act on the way we see things. The objectives of their work will therefore be determined by a balance between requests emerged from the territory and personal choices, taking into high consideration the requests of the community and maintaining their poetic dimension and artistic vision. 2. There is a difference that cannot be ignored between observing and participating: the audience, the spectator, the observer need to be put in the position to be able to understand in order to be able to participate, and, therefore, one of the prerogatives is to provide the right instruments of interpretation and comprehension where that does not usually happen. Generally, contemporary art is difficult to approach for publics not used to deal with its languages. When, instead, the prerequisites and the technical instruments are motivated as a form of creative expression of our times, art is more easily received and appreciated. Organizing public moments of presentation on the territory and specific moments of meeting with the citizens favours this objective. Citizens will be eased into understanding and maybe participating to the project if they have the chance to meet the artists, get to know their work and talk to them. This is not to say that they will want to actively participate and we need to respect the different sensibilities of people who are interested and curious but do not wish to become an active part of an artistic process. Their contribution
as observers and listeners is nonetheless very important because they will own an experience which can be conveyed to other citizens and because, even just observing, they can acquire instruments which will facilitate their understanding of the project and possibly lead them to future interventions.
3. The relation with the institutions is favoured when
the objectives of the project are shared, understood and then received by the administration. The experience of Proofs has been positive in this sense in both urban realities, favouring its success. In Genoa the relation with the public administration, and in particular with the Job Centre in Maddalena, allowed us to build a fruitful collaboration, offering the project the opportunity to use instruments and places like, for example, the residence in the ghetto e the laboratory in Piazza Cernaia, both in the historical town centre. In Turin the relation with the territory was strongly favoured by the support of “The Gate, Agenzia per lo sviluppo locale” (Local development office) and by the district of the area of Porta Palazzo. Here the dialogue with a group of residents who have given their availability to receive the artist and have shown themselves open to a continuous dialogue has been paramount and favoured by the intermediation previously built.
4. Obviously art does not have to occupy an
empty space, being it left vacant by politics or anything else, trying to find solutions to issues outside its nature. When creativity operates within communities and therefore within social spaces, like in the case of public art, I believe it has the objective to provide interpretations, points of view, opportunities of observation, vision and possibly an overturning of reality, to then be able to open a path to changes and actions going beyond the artistic project itself. Great artists have allowed the world to evolve and to conceive and build reality according to completely new assumptions. They have been the forerunners in terms of vision, actions have then followed, carried out by other people. I believe that in public spaces, and in particular in big cities, a series of small artistic interventions should be favoured, respectful of the territory and the people inhabiting it, which stimulate a new sensibility towards daily life and facilitate the meeting and the dialogue among people.
5. I believe it is always an advantage when
various people commit to work at projects which focus on collectivity, with fairness and respect towards the territory they cross. In my opinion the multiplicity of intents and objectives is always a value and it also stimulates the desire to work at one’s best and for the good of the territory and the people one makes contact with.
Asilo Bianco 1. Public art is a theme about which a lot has been debated and written in the last few years. This is not the place for a general disquisition but, in our opinion, it can be claimed that nowadays the awareness which surrounds public art and the needs of a community is rather advanced, and although we often meet very bad examples of artistic interventions, the direction seems to be the right one. From a conception of operating in the public space we could call “modernist”, that considered the public space as a white canvas on which to operate, irrespective of the history and the significance of the site, we are moving towards a more open approach which respects the context, a modality which considers the local community firstly as the “master of the situation” (Kabakov, 2001), that is the actor who acts, acted and will act on the site object of the artistic intervention, before and after the action of the artist. From the idea of the artist-demiurge to the one of the artist-medium: a professional who will listen to the
place and to the local community, to then produce according to what he has heard.
2. Not all forms of art and artistic practices are suitable for a procedural and collaborative intervention, and that is probably good. In the last few years there has been a probably excessive flourishing of situations of participative art, very different among themselves and with very different outcomes. How the critic Hans Ulrich Obrist claims, “participation is the answer, but what is the question?”. The procedural and collaborative approach itself does not make a work of art better, nor more interesting. A lot depends on the background of the artist and on his practice, but the roles of curators and facilitators are as important, being them local cultural operators or outside professionals, actual mediators between the artist and the local community. A delicate role, behind the scenes, which requires a specific knowledge of the local community and a daily relation with the context we operate in. 3. Administrative departments, despite the similar
bureaucratic practices, are made of people. There are sensitive and open individuals, others are indifferent and little civilized, others are even hostile to cultural proposals which include innovative elements. In our experience we have met all types, luckily openness and sensitiveness have prevailed. One of the biggest problems, besides bureaucracy and more or less obvious political pressures, is the consolidation of the projects and a strategic vision which goes beyond the few years of the political cycles.
4. The world of art and of contemporary culture
in general surely can take an important action of proposal counting on creativity and innovation first of all. In fact, in this historical moment the action of those entities who can bring forward highly innovative proposals is more and more necessary. We believe that history and the contemporary contingency teach us that you cannot have a real aesthetics without ethics. For this reason the mission of each cultural operator should be guided by a great awareness and by an ethical rigidity which the world of politics has probably lost too long ago.
5. By now the creation of cultural networks is not only a precious instrument for the realization of effective projects, but it is becoming more and more necessary in order to be able to work in those so-called marginal territories (detached from the big capitals of art and culture) and to act concretely in the social and cultural fabric. It is not easy to find reliable partners who share a common vision. To be able to be flexible, or better “liquid” as our society as described by Bauman, and not to lose sight of one’s mission, have become one of the most interesting (and difficult) challenges for the cultural organizations.
very interested in projects enhancing the territories within their jurisdiction; small realities in particular, like municipalities and provinces, support initiatives and projects proposed by citizens and associations. Although they cannot financially support these proposals, they often decide to give their support through the patronage.
4. Art is beauty, emotion, but also exposure and
provocation. The means of art are many: painting, sculpture, architecture, installation and, in recent years, video and multimediality too. Even the emotional expression flowing out of tales of life experiences can be considered a form of art: thanks to new technologies it can turn into communication, exposure, and social memory above all, that is an important link between old and future generations.
5. Depending on how it gets interpreted, art
addressed to the public can serve different functions – informative, accusatory, educational,… – or, we must not forget, it can be considered as an end in itself by some. Being part of a network of entities sharing the same vision of the public function of art means to be able to maximise the communicative power, exploiting as best as we can the resources available in a mutual help and collaboration network, which can involve more organizations and touch different realities. At the same time, we do not have to make the mistake of suffocating who thinks differently, guaranteeing anybody the possibility to assign art any function they want, even if it is not in line with the common vision.
Eco e Narciso 1. When you invite an artist to work in a context to realize a work of art in dialogue with that context and the community inhabiting it, the invitation is specifically addressed to that particular artist because of the reverberations of his poetics. The community and the artist share some common interests emerged from different experiences, researches, needs – the more different the more fruitful – which are the constituents of a phenomenology of imagination at the basis of a harmonization, which does not coincide with the sharing but with the opportunity of a dialogue. The modalities and the objectives are re-set every time. Personally I am interested in setting up situations which can actively trigger a thought of opening of the story (or stories) and generate little changes of conditions from few basic elements.
1. The knowledge of the reality of a community and its needs cannot exclude a deep knowledge of the territory, its history, its traditions, its local costumes; an artist meaning to work in the so-called “public space” must first of all study the reality and the context of reference, dialoguing with the local community both as a person and as an artist.
2. It happens sometimes that an observer who has not taken part in a process of relational art sees the work, or even just the documentation of the process and the outcome, and empathizes with it, he projects it on his own context, and sees it as a resolutive action, able to interpret desires, conflicts, potentialities. In truth it happens quite often when we have the opportunity to present in an articulated way how procedural and participative artistic practices operate. Unfortunately the scant visibility of these initiatives limits the chances of “contamination”. And the lack of resources, both economic and human (I mean the ones actually employed, not those employable, who would be very many and competent but unfortunately unemployed), limits the possibility to start new initiatives.
2. Art can stimulate a collaborative artistic interven-
3. The public art programme “Eco e Narciso” is sup-
Banca della Memoria
tion when it manages to strike a familiar and understandable chord, arousing the desire to interact with what we see and to express our opinion. This stimulation can occur in a more or less intentional way, and equally who takes part in a collaborative art intervention can do it in a more or less conscious way, making the act of creation artistically more important than the result achieved.
3. Public administrations usually show themselves
ported by the province of Turin, which twice decided to gamble on the role art can assume in the public space. The first time in 2002 when I proposed the project in connection with the Ecomuseum Network. The second in 2004 when, given the territory’s first positive responses to Eco e Narciso’s activities, I suggested to invite the 315 municipalities of the province to face one of the initiatives of their political agenda (from urban and environmental interventions to actions and projects in the social and cultural sec-
tors) through the involvement of artists as activators of devices of intervention, creating the Laboratorio Artistico Permanente (permanent artistic workshop). The LAP saw an active role of the province of Turin and the selected municipalities, asked for a direct participation, both in terms of connectors of relations with the citizens and the associations, and in terms of a financial commitment in funding the production of the works. In the almost ten years Eco and Narciso has been working, there have been dozens of collaborations with the administrations, mostly positive.
4. I am going to do an exercise. I try to imagine a
possible scenario where everything that has been said about the spending review will have a concrete result. Obviously the vision I offer has all the limitations of my level of information, my disposition to believe that something will be done, and my propension to think that you can give (in the sense of offer) more with less. We are now going to assume that the maneuver is done, which makes us save a lot money cutting back on public sector staff, which also means that we do not have all the people who supplied certain services, which logically speaking means that we lose the services: there is plenty of room to propose new welfare models which contemplate a direct management of the res publica, and which allow a maintenance or rather an innovation of the management of the public services, despite the lightening of the structure. And in this picture there is space for culture and art, as activator of a transversal subsidiarity in the society and in the civic commitment and as an enzyme to define new aptitudes towards work, entrepreneurship and production. Starting from listening to and potentiate communities of practices might be an interesting way. In essence we should propose cultural politics able to look at culture not as a sector activity but according to the sense given it by Ernesto de Martino: “Nowadays culture means a genial initiative consolidating into a tradition, tradition conditioning and feeding genial initiative, according to a circularity that the actual historical consideration forbids to break” (Il mondo magico – The magic word, 1948; ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 97). A sense which belongs to the Italian identity, despite the most recent “dismissals”. All this in order to be proactive and not to start a not very constructive critic on how the progress of the crisis has brought us to indulge in particularisms and to focus on events rather than contents, entertainment rather than culture, instead of enhancing quality proposals, except that at first a lot of us were inclined to believe it was almost natural.
5. I believe there is a fundamental advantage, that is
to be able to create a critical mass. I am referring to the previous answer and to the idea of proposing politics. In this case quantity is a value, but we always need to carefully preserve quality, because when we claim rights, they get safeguarded by the concepts and the words expressing them, and in front of categories as fragile as the ones we are dealing with, we know that words are not good guardians and that they get used and abused according to the situation. In short, we need to be prudent.
Kaninchenhaus 1. The only way to intercept the needs of a community is to try to share the physical and social space. To facilitate the process of integration of the artists, viadellafucina has activated two mechanisms. First of all, the residency is based on the idea of the pairing of an artist from Turin and an outsider, so that the local one works as a first point of reference for the other, both from the point of view of a direct knowledge of the context and as intermediary for the interpersonal relations necessary to develop a collaborative practice. Secondly, the neighbourhood of Porta Palazzo in Turin is used as a diffused
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laboratory, avoiding to enclose all the residency activities in a single space, but on the contrary spreading them, activating different partnerships with local organizations which deal with social cooperation or with venues and bed & breakfasts particularly sensitive to the cause.
2. When we speak of collaborative practices observers do not exist anymore, but it is necessary to involve the participants starting from the conception of the artistic intervention. This way the work constitutes a natural evolution of the dialogue established with the community. It is a long process, which occupies the artist throughout the two months of residency, and which quite often carries on further. Various public events have been planned in order to increase the opportunities to meet people, starting from a neighbours’ dinner in the market space, thought of as a welcome to the artists, to the organization of debates and workshop in collaboration among the residents and the partners of the initiatives. 3. The relation with public administrations
needs to be based on a communion of intents and perspectives for the common good. In the case of the actions in Porta Palazzo there is a lucky coincidence which without doubt facilitates the work on the territory. All the projects selected for the first edition of viadellafucina contemplate a strong involvement of the public space, for this reason the patronage of Regione Piemonte, City of Turin and District 7 have become necessary. Besides, an agency of local development totally dedicated to the territory like “The Gate”, an active partner in the initiative, represents a privileged observatory for the project on the area it is set in. viadellafucina, in fact, explicitly aims at working as a mediator between the needs of the community and the public administrations, in order to facilitate the dialogue with a view to new strategic objectives.
and understanding with individuals within the community he decides to address, who can help him / her to grasp its needs and desires but above all its tensions and conflicts. In fact, more than being in “harmony with” I believe the artist should put himself “in tension with” a specific community, activating the modality of reception, elaboration and feedback of a composite collective situation determined by individuals in relation with each other.
2. I believe art can, needs and above all has the responsibility to act on the real world in a concrete social and political way, even in a conflictual manner. Our present is made of time and space which are very dilated and very contracted at the same time, for this reason today more than ever people need to question concepts of identity and territory and, at the same time, the possibility to redefine them starting from their experience and contingency. Very often art shows things of the world in a different way from the one we are used to, including the political and cultural situation of the context where we live and therefore the social and productive processes regarding man and society. But art cannot directly stimulate the observers of a work to become participants in an artistic event. Art can implement new processes of cultural production which bring the focus back on its social value and therefore on man himself, in order to build, through practice, inclusive and collaborative relations which go beyond the concept of spectator. Today, also through art, it is possible to acquire new identities, not from observation but from participation. 3. The project is born from the public administra-
4. The opportunities of art, and more in general of culture, as regards to social cohesion and influence on the political agenda are still too often undervalued. The dimension of creativity represents a free zone, where social conflicts can be more easily reconstructed and projectuality finds a wider margin of opportunities. Exploiting a place like this, being it physical or imaginary, to define gaps and perspectives of improvement between the political programme and the community’s real needs is a chance we cannot lose. This line of action becomes even more necessary in areas like Porta Palazzo, which face difficult dynamics of integration given the variety of migration streams which have affected it.
tion’s willingness to work on the social character of the territory, showing itself aware of its being also an element of cultural production. This has been decisive for the positive outcome of the project. First of all because the municipality was a highly collaborative interlocutor, listening, inclined to understand the necessity of the project and concretely helping to find, where possible, solutions to the difficulties we met. Secondly, because the feedback of this experience is a tale of a public administration aware of how cultural production is important for the relaunch of a territory, also from an economical point of view, irrespective of it being a village or a metropolis. Welcoming the evolution of the project with the time, it confirmed the recognition of the social and innovative character of culture, suggesting that its inhabitants appreciate the importance of getting involved responsibly with the issues investing their own territory and experimenting, through art, new and virtuous attempts to legitimate active citizenship.
5. To work in a network is the essence of projects
4. I think that art is inseparable from its collective or
like viadellafucina. The dialogue with interlocutors with a communion of intents is extremely useful both in the conception of common lines of action, and in the construction of an operational support network for the single interventions. Besides, a single and wider communication of the results achieved by the different projects will amplify the effectiveness. There are no disadvantages, as long as the specifics of the single operational modalities get respected, without bending them into a homogeneity as impossible as counter-productive. The diversity the organizations could bring into a shared network represents its added value.
Par coii bsogna semnà / Chi semina raccoglie 1. I do not believe that artists can “tune in”
with a specific community – unless they are already part of this community – , especially if by “tuning in” we mean being in complete harmony, “moving” to a given frequency. I believe, though, that the artist can create an atmosphere of collaboration
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at least plural dimension and that, practising forms of cultural production which bring the focus back on the social value of culture and art itself, it can show the importance of productive forms which do not pursue individualistic economical and marketing objectives, able to renew and evolve, able to start cooperative constituent processes and real transformations of the social fabric, raising questions regarding the social sphere and therefore, ultimately, the condition of the human being.
5. I believe it to be important that any research is
put in comparison and relation with similar paths and I do not believe there are any disadvantages in doing so. In the case of entities that acknowledge that they share the vision of the public function of culture in contemporary society, especially where this is not universally shared, I believe that the main potential is the opportunity to put one’s skills in synergy in order to learn one from another, to enhance every specific path, to carry on a choral dialogue able to assert something that goes beyond the single projects, but that expresses itself in different declinations through them.
PAV-Parco Arte Vivente 1. The city, with its places and “non places”,
centres and suburbs, has always been the public space par excellence. And it is the space where art has suggested new forms of intervention and habitability of the urban space, even before the happenings and the situationist derivations. The artists’ modalities and objectives are many though, they change substantially according to the role of the client (public of private), the relation with the public and the community they refer to, the artist’s function in the contemporary world, and not least the value art can still assume as an expression of a social need or as a representation of society itself. Explorative and performative practices, with a relational background and engaged with the creation of processes rather than products, are aimed at giving space and voice to a neutral meeting ground. And this is because the public space is by definition the “sphere of relations” among different entities and actors. Moving in this direction, that is through the multiplication of groups and collectives (Raumlabor, Atelier van Lieshout or Atelier Balto to name a few), experiences of works on the territory in countries like the Netherlands, Germany or nearby France mark the passage from the acknowledgement of the authority of the single artist to the opening towards – and inside – the (nameless) urban fabric, often in those interstitial (physical and urban) spaces, in order to start processes of relation between people. The artist is therefore mediator besides interpreter of a feeling expressed by a certain community called to assume the role of committent. In this sense the French model of Nouveaux commanditaires, adopted in Italy by the Adriano Olivetti Foundation with the name Nuovi committenti and curated by a.titolo, is an example of an obvious success story of relation and negotiation among the different entities involved. The “site-specific” interventions, of which relational art has been a sad witness in being a relational “aesthetic” first of all, that is without the principle of acting on the basis of a real dialogue between the social parts but treating the relation as the means rather than the end, are turning into “people-specific”. Being therefore able to recognize the quality of the spaces – and the opportunities to offer for the relationality among the people inhabiting it – becomes one of the main skills of the artists working in public spaces. Because a place is not necessarily defined only by its geography, but particularly by the contractuality which we can start and which turns the place itself into an open land of opportunities. The land of dialogue with the other. Some of the interventions realized and finalized at the PAV – Park of Living Art in the last few years (Pedogenesis by Caretto / Spagna, Noël en Aôut by Michel Blazy and Focolare by the collective Terra Terra) are part of this vision. That is imagining the public space not like a given place, but as a space to interpret and where historical, geographical, cultural and social aspects converge. They are topics to connect with the present and above all with the inhabitants of the neighbourhood and the public of the art centre.
2. The PAV proves itself to be a public art in toto
work more and more, since its mission does not contemplate conventional logics but aims at a procedural research according to experimentable modalities. And by experimentable we mean providing access to the understanding of the works through their full fruition: sensorial, corporeal, conceptual and value-wise. Given this preamble, the cultural interest of the contemporary art centre is to ensure that the works around which the programme revolves are objects of an activation of knowledge. At the root of the exhibit proposal there is a constant articulated research, seminarial and dialectic, which lays the foundation for the annual topic related to the theme of the individual, the communities, the
environment. The motivation is to create a horizon, wide because interdisciplinary, projected towards an artistic doing which performs different degrees of public function, which offers room for negotiation and critical development, which stimulates the invention of new social landscapes. The involvement of a community, or part of it, in a public work, often requires highly skilled professionals able to operate in a site specific reality, to know the entities, to create contacts. An important role is the one of the mediators, who have the function to facilitate the knowledge of the territory in a museum, to cultivate permanent relations based on a communion of intents, to build relations of mutual trust familiarizing themselves with the citizens and their requests. We can distinguish two types of involvement: the direct participation – with the authors – to the realization of the work of art in its procedural stages and the participation to the activation of the knowledge radiating from the artistic process started. Historically, artists like Beuys and Allan Kaprow traced horizons of participation to art in their search for art as life. Kaprow’s Happenings (later called events and eventually activities) are among the models relational artists have later referred to. Piero Gilard himself, since the ’70s, has brought his artistic and militant contribution to the demands of a democratic change, and capturing the needs of the time, through creative, collective and spontaneous ateliers with the patients of the psychiatric hospital in Collegno and the mental health centres of the territory of Turin. The movement worked to bring about an acknowledgment of the dignity of the patients, following Franco Basaglia’s line of thought, which culminated in the closing down of the psychiatric hospital San Giovanni in Trieste in January 1977 and the creation of open therapeutic communities. Basaglia defined the new statute of a person with a psycho-physical integrity like this: “One thing is to consider the problem a crisis, another thing is to consider it a diagnosis, because a diagnosis is objective, a crisis is subjective”. Besides the work of art, what matters is that such work is a stimulus for the individual and the collectivity. Retracing these steps, the methodology adopted takes into account two substantial work procedures: the participation to the workshops run by the artists operating within the Art Program, which often translates itself into the realization of collective works; and the participation to laboratory actions which elaborate the procedure, the structure and the syntax of the work of art.
3. The answer cannot be unilateral and easy, because the relation with the public administrations is complex, sometimes complicated and very changeable, you cannot talk about public administrations in a global way as a whole: there is no homogeneity and equality in their functioning, it differs from Department to Department, from Office to Office. It is like that in every job, but one of the prerogatives of public administrations should really be the consistency and the uniformity of the procedures and the behaviours towards everybody. Keeping in mind that the attitude of the people addressing them matters as well, and therefore that the responsibilities might be shared between the parts, I have had occasions of collaboration and conflict, open mindedness and narrow mindedness. It would be easy to argue that the major difficulties occur when financing, contributions, or any monetary aspect are involved; if that is true, it is because lack of money puts anybody in difficulty; while negotiating and granting is much easier and simpler when there is no money, but it is just a question of a mere interpretation of the norm, or attention and care in following a certain issue. 4. A recent example of such answers to the need for a change and a taking charge of the common good at an environmental level is the artistic-par-
ticipative method New Alliance, which practices an action of mutual aid between men and plants. The creative act of New Alliance consists in recognizing, identifying themselves with one another, the condition of biological and cultural precariousness which unites, does not separate, all the living organisms. Recognizing this factual and existential interdependence, the PAV with the US collective Critical Art Ensemble strongly proposes to go back to being active entities endowed with intelligence and creativity in order to subvert the state of spreading precariousness. This precariousness can be transformed into a positive and constructive strength, in opposition to the general condition of crisis, in order to create a socio-political symbiosis among plants and people, interspecies. This path, started in May 2011, focalises on the condition of precariousness which unites the vegetable species at risk and the communities whose social and cultural spaces are similarly unstable or threatened. In many countries where at least plants at risk of extinction benefit of legal protection, there are laws severely punishing the picking or the damaging of some vegetable species. At a first level these laws help to excite the sympathy of the public, but well understood, especially in their grey areas, they can be an ethical and above all pragmatic instrument to fight for the protection of territories. Although some species might seem fragile, each plant is in itself tenacious and equipped for survival. There is an opportunity to channel this strength of theirs through an action of reappropriation of the territory, human and natural spaces being threatened by the most different actors of speculation, exclusively interested in the exploitation of the resources and in profit. The areas at risk can be safeguarded by a form of socio-political symbiosis between the vegetable world and their inhabitants, often too weak to defend them. The green would increase because citizens would engage more and more in growing plants as a form of self-defence, containing the division of the biodiversity. On their part public spaces would benefit of the same legal protection which safeguards plants risking extinction, saving everybody from the attempts of aggression and exploitation. The precariousness plants risking extinction live in (with their habitats) is the same precariousness individuals are experiencing, who, today, re-evaluate the practices of urban horticulture, seen as a source of subsistence while facing an economic crisis hitting the most economically fragile citizens. In concrete terms it is about sowing and growing plants endowed with a juridical status qualifying them as “species with total protection”, according to the European, national and local regulations. It is a process of observation, care and action which, activated by the CAE and experimented by the group of work of the PAV, is now ready to be shared with who will take part in the self-organized workshop of 23 September: about 100 plants of Catananche caerulea will be provided, to be placed in the reception sites. To protect each other. Art can also operate for the right to the acknowledgement of an equal dignity of people with a disability, starting a demand for change from below. In December 2010 a dialogue group started in order to formulate a set of rules on the procedures of accessibility to adopt in places of culture in Turin and Piedmont, on the initiative of the Consulta per le Persone in Difficoltà (Council for people in difficulties) of Turin (CPD) and of the Educational Department Castello di Rivoli - Museo d’Arte Contemporanea. It is an important step which includes a reflection and a definition of programme policies with a view to a concrete application of United Nations’ Convention on the Rights of Persons with Disabilities article 30, signed for Italy in March 2007 by former Ministry of Social Solidarity Paolo Ferrero, and ratified by the Italian parliament with law 18 of 24 February 2009 9. The article dictates a few important points where the adherent countries commit “to recognizing the right of people with disabilities to take part, on the basis of
equality with the others, in the cultural life, and adopt all the adequate measures to guarantee that people with disabilities have access to cultural products in an accessible form.” The very museums of contemporary art have been among the first entities to take the themes of accessibility to heart, to which they apply more and more, to the point of defining actual procedures of social inclusion. The recent “Manifest for the access to culture for everybody” suggests that cultural and museum institutions should change their mentality, focusing on the topic so that the prerequisites for the accessibility can be consistently already included in the phases of planning and programming of the exhibitions. Only this way the exception can become routine and mentality change, because – to quote Basaglia again – “We want our body to be respected; we set boundaries corresponding to our needs, we build a house for our body”.
5. Relatively to Resò, the programme of residency
for artists’ international mobility born in 2010 from a group of work instituted by CRT Foundation for Modern and Contemporary Art, which gathers the main institutions dedicated to contemporary art on the Piedmontese territory, the experience gained marked the consolidation of a platform of great interest for all the entities and countries involved. A platform which, after the initial start-up, has demonstrated to have strengthened the already partially existing relations among the partners of the territory who are part of it. But above all Resò is felt and seen as a cohesive group, a strong network with a specific identity and operativity – even without a place or space to identify it (as it usually happens for an exhibition centre, a gallery, etc.). The residencies, which see artists operating in the territories of Piedmont, New Delhi, Cairo, Sao Paulo and Rio de Janeiro for a period of 6 to 10 weeks, have as objective the development of projects from the perspective of exchange, study and research of a new horizon of sense which reflects the dimensions of knowing and the practices of doing. The residency, meant to be a formative stage within the career of an artist, contains the value of “inhabiting” a place, non just the temporary coming across a specific city. The project ZonArte, also related to the cultural politics promoted by CRT Foundation for Modern and Contemporary Art of Turin, is another example of a network which sees the educational departments of the main museums of contemporary art of the city and the Region operating together, with common objectives and programmes. This network project favours the educational and formative aspects which create a direct and participative relation with the most different publics, starting from the cultural heritage of each institution. After the events realized at the Merz Foundation, at the GAM of Turin and at Artissima 18, the programme ZonArte 2012, at its third edition, crossed the national borders presenting the progressive installation Orto Grafico at the prestigious venue of the quinquennal dOCUMENTA (13) in Kassel. The collective performance of construction of the landscape has become part of the project Winning Hearts and Minds / Be Part of dOCUMENTA (13) of the Critical Art Ensemble, an actual “Speaker’s Corner” of art within the Railway Lecture Hall, which provided a space and a time dedicated to lectures and public events.
Progetto Diogene 1. We believe that the modalities to “tune in” with
the needs of a community and the relative objectives to fulfil them depend on the specific researches, practices and single inclinations of the artists operating in the public space and we do not think it possible (and perhaps useful) to identify in advance standard modalities of actions and objectives. In this area, characterized by a great complexity, “recipes” defined in advance are quite risky, and it is difficult to reason in terms of cause-effect.
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The risk is to be faced with the application of a sort of format (interviews with the inhabitants, neighbourhood party, etc.), as unfortunately too often happens with interventions of public and participative art, that is the implementation of a protocol which we think could cause a reduction in the level of artistic quality and a disempowering of the interventions in connection with the open opportunities offered by artistic contemporary practices, although they might work on a social and even political level. Generally, we believe that artists can (and maybe must…) tune in with their own needs first of all; how much these needs are also shared by other members of the community depends of course on the field of research of the artist and allows this “tuning in” with the community to be possible and effective. We think that the artist should essentially answer to an interior urge rather than the needs of other entities; only thus he will be able to maintain the right tension in his work. When his urges regard aspects related to social issues, public space, community, then the tuning in with the community will occur in a “natural” way and will be able to generate an effective work even from the artistic point of view. In our specific case Diogene was born in 2007 mainly to answer to our needs of a dialogue between artists and to try to bring the artistic practice back to the core of the issues, with its contents, the single poetics and the role of the artist. To do so, it has been decided to operate within the urban space with the idea of taking advantage of resources already available and potentially exploitable in the city (water, libraries, wifi networks, etc.), almost as parasites. The fact of physically occupying a public ground has brought us to reflect, with time, on the dynamics that our presence would activate within the community we were working in. To be physically in a public space, to work in it, building something tangible has revealed itself to be an effective modality of action, not abusive towards the context receiving us.
2. We would rather talk about the artists and their
practices, than about an abstract concept of art. Progetto Diogene chose to operate in the public space as an answer to its own need for a dialogue on the practice of art, initially taking our cue from the single practices and poetics and then trying to widen the dialogue to the outside, with other artists, with the public and researchers of other disciplines, at the same time investigating the role of the artist in contemporary society. The fact of having this dialogue directly in the public space, at a “concrete level”, first with the construction of selfbuilt habitative units of residence and then with the use of the tram carriage, allowed us to find ourselves face to face with the public space and with the related problematics. The multiplicity of languages and interests characterizing the components of the Diogene group ensured that our activity was not necessarily focused on participative or public art intervention, but kept itself open to dialogues about any artistic practice or research path. Our acting in direct contact with the urban space, and the opportunity offered the artists in residency to do the same, ensures that our actions become part of the daily life of the place we are operating in, allowing interested people to be part of this process. In some cases it can happen that situations activated by us or works produced by the guest artists might excite in people a certain personal reverberation which of course facilitate their involvement in the project. An interesting aspect we are reflecting on is the one relative to the action that objects can exert in a public space. How can their presence act as a catalyst for reactions acting at a social level and in the participative dynamics? If the institutions, and probably who is responsible for the curatorship, might have the need to identify in advance modalities defining the involvement and the
participation, as artists we believe it is not possible to offer a precise answer in this sense. It also proves difficult to talk of “observers” and “public” in general, every situation and context have their own history, and a modality suitable to a place might not be appropriate for another.
3. Our experience of relation with the administrations has been positive so far. From this point of view Turin revealed itself to be a fertile territory, where there are interlocutors able to evaluate the proposals and to support the ones considered interesting. A lot of people visiting Turin from other Italian cities told us that a project like Diogene would have been difficult to realize in their cities, mainly because of the lack of referents prepared to receive proposals of this type within their local public institutions. From a strictly economical point of view the support to the project comes from Compagnia di San Paolo, which has believed in our project supporting it from the very beginning; in the past we have been financed by Regione Piemonte too, but its support stopped for economical and possibly political reasons. The roundabout where the association is based, in the Tram Diogene, truly is a crossroads where different skills overlap making a broad spectrum collaboration with public institution necessary. The directors of the various sectors have always shown a good attention to our activities. We collaborate with various departments (of Culture, of Politics for Integration and Environment) of the City of Turin and with the offices of the various sectors (Art, Urban Regeneration, Public Parks and Gardens, Occupation of Public Ground, etc.) and with the districts, in connection with technical issues (occupation of public ground, use of drinking water, etc.) We also collaborate with the public transport company of Turin GTT which, besides granting us a tram carriage on a free extended loan, gave us an important help with its restoration. 4. We generally think that artists cannot be asked
too much to solve problems which political action should address. Having said that, we do not want to state that art cannot have a political value or important social implications. Artists can offer alternative visions of reality through their practices and conceptual elaborations; with their work they experiment different forms of society and economics, a different way of managing spaces and time, they offer perspectives on the various possibilities of knowledge and connection with the world, both in its physical and material and in its immaterial aspects. It is not foreseeable in advance how all this can directly affect reality, and it is probably destined to remain an experience ending in itself if it is not accompanied by serious political (cultural, social, economic, etc.) action by whoever has been institutionally assigned that duty.
5. We think that the diversity the question refers to characterizes the visions of the public function of art too; there might be a multiplicity of points of view on this topic but the important thing, we believe, is that a real willingness to have a dialogue among the different positions exists. The fact of being part of a network of entities working in a certain area of interest, even if under different perspectives, favours this dialogue, at least in theory. A very diffused network of relations does not always equates to an in-depth dialogue though. We sometimes have the sensation that the energies in keeping up a system of relation with other entities, which is able to grow exponentially in a relatively short time thanks to the internet, takes precious energies away from other activities of research and development of the project, especially in the condition of structural and economic weakness of the system we are operating in. The risk we run is of becoming an organism with a too high basal metabolic rate.
URBE - Rigenerazione Urbana 1. Even presuming an affinity of intents, tuning in with the needs of a specific community does not necessarily mean to establish a direct dialogue with it: this is a choice determined by the type of artistic research and by the modalities of transmission of one’s message, and by the choice of one’s interlocutors. When you find yourself operating in the public space, the language used represents the variable on the basis of which the artist enters into dialogue with the community and conveys his message, which can provoke, intrigue, accommodate. 2. A research of a participative kind is based on a willingness to have a dialogue and a collaboration, able to go beyond the scheme artist / spectator, or on an unconscious involvement of passive actors. The works of participative art derive from the methodological choices of the artist, who makes contact with the public according to his sensitiveness and his objectives. The creation of a participative work consists of a preparatory phase, creative and organizational, a realization phase, in which the protagonists are involved at different levels, and a conclusive phase of critical evaluation. Taking part in the various phases of the process represents therefore the opportunity to raise the awareness of one’s own role within the artistic creation, an experience that might stimulate the public to a more active and conscious social participation. 3. The attitude of the public administration towards
our initiatives has been of great interest, being cultural projects of strong social value and in often neglected urban areas. There has been support to the realization of the projects through the streamlining of administrative paperwork. The interest of the administrations also revealed itself in the formulation of proposals regarding the start of projects in some important public spaces. On the other hand these proposals, even considering the current economic situation, were not followed by an adequate financial support which would favour the start-up of our activities, making them impossible to realize.
4. Art can have an important role of activator
in the development of a social conscience, helping people to reflect on the political and economic problematics of contemporary society. In this sense it can be a valid instrument to identify needs and desires of the society itself. This role can be greatly relevant thanks to the diffusion of artistic projects through the network, this way reaching the highest possible number of spectators, conveying the democratization of certain processes. It cannot replace politics and finance in the elaboration of concrete answers regarding the management of the res publica.
5. Being part of a network represents a great
opportunity of growth and constantly provides new stimuli. Besides, sharing with other entities objectives and methods raises the awareness of one’s potentialities, which increase exponentially thanks to the activation of synergies with similar realities. It is also true that being part of a network can hide pitfalls, on one hand the one of losing oneself in the endless fragmentation of different realities, on the other hand the one of fossilizing with realities too similar. It is therefore necessary never to lose sight of the big picture of the wide range of opportunities of collaboration, today on a global scale, through a clear and effective structuring of the network, in order to identify the right partners and take the most advantage from the collaboration with entities with skills and knowledge coming from very different areas of interest.
ARTInRETI
Pratiche artistiche e trasformazione urbana in Piemonte / Artistic Practices and Urban Transformation in Piedmont ricerca a cura di
Cecilia Guida
/ research curated by
/ concept and coordination Juan Esteban Sandoval, Paolo Naldini assistente / assistant Elisabetta Rattalino graphic design Liudmila Ogryzko editing Cecilia Guida editing & coordination Luca Furlan traduzioni / translations Elena Pasquali concept e coordinamento
contributi fotografici di
/ photographic contribution by
Enrico Amici, Aurora Meccanica (per / for Cantiere Barca di / by a.titolo), Stefano Grosso e / and Luca D’Amico (per / for Archimemoro di / by Banca della Memoria), Giorgio Caione e / and Lorenzo Mascherpa (per / for Asilo Bianco), Michele d’Ottavio e / and Fernando Manfredi (per / for Eco e Narciso), Ilaria Zennaro (per / for Par Coii Bsogna Semnà), Giuditta Nelli e / and Luca Vigliani (per / for Acting Out/Proofs), partecipanti ad ARTInRETI / ARTInRETI participants
Via Serralunga 27 - 13900 Biella, Italy 015 28400 - www.cittadellarte.it
President Giuliana Carusi Setari Vice President Maria Pioppi Artistic Director Michelangelo Pistoletto Director Paolo Naldini Project research and exhibition coordination Juan Esteban Sandoval, assistant Elisabetta Rattalino Exhibition Project Manager Alessandro Lacirasella Press and Communications Office Margherita Cugini Graphic Design Liudmila Ogryzko Editor Luca Furlan Web Daniele Garella Web community Marcello Venturini System Administration Andrea Oitana Architecture Office | n.o.v.a civitas Emanuele Bottigella, Tiziana Monterisi, Armona Pistoletto Education Office | Unidee Linda Mercandino artists’ curator Margarita Vazquez Ponte assistant Elisabetta Rattalino Fashion Office Cittadellarte Fashion best Olga Pirazzi Politics Office | Lovedifference Filippo Fabbrica, Emanuela Baldi Production and Design Office Armona Pistoletto Administration Elisa Cicero, Luciana Friaglia, Annalisa Marchioro, Roberto Melis Archive Marco Farano Store Elena Pasquali Facilities Salvatore Falcone, Sandra Ottino
cittadellarte edizioni, Biella, 2012.
Stampato presso tipografia Grafica Biellese srl su carta certificata / Printed on paper certified F.S.C. Forest Stewardship Council, E.C.F. Elemental Chlorine Free metalli pesanti assenti – heavy metal absence
In partnership with Regione Piemonte
With the support of Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT
ispirare e produrre un cambiamento responsabile nella società attraverso idee e progetti creativi
Cittadellarte is a new form of artistic and cultural institution that places art in direct interaction with the various sectors of society. An organism aimed at producing civilization, activating a responsible social transformation necessary and urgent at local and global level.
Cittadellarte è un nuovo modello di istituzione artistica e culturale che pone l’arte in diretta interazione con i diversi settori della società. Un organismo inteso a produrre civiltà, attivando un cambiamento sociale responsabile necessario ed urgente a livello locale e globale.
Cittadellarte is an open community where individual and collective energies get activated towards the achievement of a common good in the different areas that constitute the social structure: from sustainable architecture and town planning to sustainable fashion, from industrial design and production to the development of craftsmanship, from international political relations to communication, nourishment and spirituality.
Cittadellarte è una comunità aperta in cui le energie individuali e collettive sono attivate, verso la realizzazione del bene comune, nei diversi settori che costituiscono la struttura sociale: dall’architettura e urbanistica alla moda sostenibili, dal design e produzione industriale allo sviluppo dell’artigianato, dalle relazioni di politica internazionale alla comunicazione, al nutrimento e alla spiritualità.
Cittadellarte is a non-profit organization of social utility, recognized by and under the patronage of the Region of Piedmont since 1998. Its headquarters are in Biella, in a 19th Century former wool mill, itself a piece of industrial archeology and protected by the Ministry of Cultural Assets.
Cittadellarte è un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale, riconosciuta nel 1998 dalla Regione Piemonte e con essa convenzionata. Ha sede a Biella in un’ex manifattura laniera (sec. XIX), complesso di archeologia industriale, tutelato dal Ministero dei Beni Culturali.
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