Citta&Territorio Luglio/Ottobre 2008 N 4-5

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pag.2 EDITORIALE di Attilio Borda Bossana

pag.3 L’OPERA DI SOCCORSO A MESSINA DA PARTE DELLE MARINE MILITARI di Stéphan Jules Buchet, Franco Poggi

pag.14 MESSINA-REGGIO, 1908-2008 MEMORIALE ALLE VITTIME DEI TERREMOTI di Francesco Cardullo

pag.34 MESSINA PRIMA DEL 28 DICEMBRE 1908 di Bruno Villari

pag.48 28 DICEMBRE 1908 QUEL TERREMOTO DI 100 ANNI FA di Giulio Santoro

pag.66 CENTO ANNI DOPO IL TERREMOTO DI MESSINA DEL 1908 di Giulio Santoro


ANNO XVI - N.4-5 LUGLIO/OTTOBRE 2008 Pubblicazione bimestrale Registr. presso il Tribunale di Messina N.3 del 5 Feb. 1992

direttore responsabile

Attilio Borda Bossana

pag.72 TESTIMONIANZA DELLA CITTÀ PERDUTA E DELLA CITTÀ FERITA di Attilio Borda Bossana

pag.80 IL MUSEO E IL TEATRO: DUE EDIFICI DELLA RICOSTRUZIONE LENTA DI MESSINA di Antonino Marino

pag.88 GLI INTELLETTUALI E LA TRAGEDIA di Gianpiero Chirico

pag.90 1908 - 1958: MESSINA E LE CONTRADDIZIONI DEL SUO PASSATO PROSSIMO di Caterina Di Giacomo

pag.92 LE GUARDIE MUNICIPALI DURANTE LA CATASTROFE DEL 1908 di Giuseppe Tomasello

direzione e redazione Uff. Stampa Comune Messina Palazzo Zanca, via Garibaldi 98123 Messina tel. 090675154-55 - 7722393 fax 090663347 indirizzo Internet www.cittadimessina.it

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Con le ragioni della rinascita, la passione del disegno futuro di Attilio BORDA BOSSANA ovecento, secolo breve ma smisurato, innovativo e costellato di speranze ma anche colmo di tragedie e disastri. A quel secolo appartiene una delle pagine più dolorose della storia di Messina;città, diversa da quella di oggi, che con il sisma del 1908, vide cancellare non solo il suo ambiente urbanizzato ma soprattutto registrò la dolorosa scomparsa di un passato di storia e tradizioni, di uomini e culture.Una cesura del tempo, una ferita ulteriore in un corpo già morto. In questo quadro apocalittico è stata sempre delineata da molti, una idea di città, prima del sisma, ricca e felice, e quindi successivamente decadente ed infelice. Sono tesi che storici e studiosi confrontano tuttora e che Città & territorio, proprio nel primo centenario, ribadisce con una serie di contributi che aiutano a capire la portata della tragedia, ad alimentare il dibattito sulle cause della sua implosione urbana e sulle origini di un processo di annientamento prima, di rinascita e di ricostruzione poi ed ora di ricerca di ruolo. Quell’evento, con tutta la sua drammaticità, accelerò il processo d’involuzione innescato probabilmente prima del 1908, e che certamente fu causa determinante della privazione, per lunghi anni, di una identità etnica.I processi migra-

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tori dispersero soprattutto capacità ed impegno imprenditoriale, specie per la caratterizzazione assistenziale di buona parte della ricostruzione. A quel sisma, molti storici attribuiscono poi l’attenuazione della carica di politicità della sua comunità, che in assenza di rilevanti opzioni diverse, trovò nell’azione delle istituzioni “pubbliche”, l’opportunità di soddisfazione di esigenze primarie e non. A fronte di tali effetti collaterali, il fenomeno tellurico fu anche quello che concentrò su Messina nuova attenzione, anticipando altresì diverse ipotesi e prospettive di sviluppo. Quel terremoto fu comunque l’elemento di discontinuità, non solo per la valenza distruttiva, ma specie per la eliminazione di quel tessuto sociale, che registrò una sorta di mutazione genetica. La dimensione immane, certamente incommensurabile, dell’evento, finì poi per determinare una visione meno obiettiva di vicende storiche e politiche che avevano contraddistinto Messina, nel settecento ed in tutto il secolo precedente al novecento. Quella apocalittica catastrofe, viene raccontata in questo numero monografico di Città & territorio, ampliando orizzonti che studiosi, esperti, ed analisti in questi quindi anni di pubblicazioni, sono stati sempre

proposti al lettore. Una visione sempre chiara, con la consapevolezza di mostrare un passato che appartiene fortemente all’immaginario collettivo, ma anche un presente con la mutazione forzata, di tanti aspetti della città. Ecco quindi che anche con queste pagine, per questo centenario, viene offerto quasi un racconto per appunti, un concerto a più mani, ma anche analisi e riflessioni scientifiche o interpretazioni suggestive che aiutano a capire gli ultimi cento anni della vita di Messina. L’indagine certamente si espande ad anni precedenti, quasi nell’ambiziosa speranza di individuare l’inizio del ciclo storico, esorcizzandone le influenze negative che potrebbero trovare conclusione, in questo nuovo secolo, con un percorso progressista. Cento anni fa, un anno di rottura ma anche di avvio del processo di ricerca della nuova identità, per costruire un futuro che nel 2008 non necessita più solo della ragione, ma richiede soprattutto “passione”.


L’opera di soccorso a Messina da parte delle marine militari

dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 di Stéphan Jules BUCHET, Franco POGGI ono le 05:21 del 28 dicembre 1908: per 45 secondi due grandi città del meridione d’Italia, Messina e Reggio Calabria, vengono colpite da una scossa di terremoto violentissima,2 mentre sono ancora avvolte nel silenzio della notte. Il sisma assesta il primo terribile colpo alle due città e al loro circondario, distruggendo le fragili costruzioni che, cadendo, seppelliscono decine di migliaia di persone indifese. Messina è la città più colpita: quasi il 90% degli edifici crolla, spesso lasciando in piedi solo le mura esterne, la maggior parte delle quali si sbricioleranno con le scosse successive. Le vie di comunicazione stradali e ferroviarie sono interrotte, silenziose restano le linee telegrafiche e telefoniche. Non c’è più illuminazione per le strade e nelle case a Messina, Reggio, Villa San Giovanni e Palmi; le tubature del gas sono rotte in più parti, e l’insidiosa sostanza alimenta i vari incendi che si sviluppano in continuazione. Oltre che nelle città menzionate, si riscontrano danni a Belpasso, Caltagirone, Maletto, Mineo, Noto, Riposto e San Giovanni di Giarre in Sicilia, e a Bagnara e Tricase in Calabria. Per le città costiere arriva poi il colpo definitivo a completare l’opera di devastazione: il maremoto, che, con inaudita

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L’articolo è stato interamente tratto, per gentile concessione, dal numero di dicembre 2008 del Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare.Per informazioni su numeri singoli ed abbonamenti alla rivista scientifica di storia navale, rivolgersi a: Ufficio Storico della Marina Militare Via Taormina, 400135 ROMA Tel 06.3680.7220 - Fax 06.3680.7222 e-mail: mstat.uagre.storico@marina.difesa.it

mio pensiero riconoscente corre pure spontaneamente agli ammiragli, agli ufficiali ed agli equipaggi delle navi russe, inglesi, germaniche e francesi che, mirabile esempio di solidarietà umana, recarono tanto generoso contributo di mente e di opera. Vittorio Emanuele III1

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violenza, si manifesta con numerose enormi ondate che si abbattono sui litorali, specie quelli siciliani, prima devastando e poi risucchiando in mare quanto incontrato nel procedere distruttivo. Messina, Reggio e Riposto vivono altri lutti e distruzioni, e altre località sono duramente colpite: Briga, Paradiso e Sant’Alessio sulle coste siciliane, e Gallico, Lazzaro e Pellaro su quelle calabresi. Il bilancio del terremoto e dei suoi effetti si aggira su circa 80.000 vittime a Messina e 15.000 a Reggio. È il periodo natalizio, e il personale sia dei servizi civili e sanitari, sia militare di stanza nell’area colpita, è ridotto per il periodo di ferie o licenza e,

inoltre, fra gli edifici colpiti ci sono anche quelli dei servizi civili e le caserme. Questi due fattori incideranno molto sulle successive azioni di soccorso e di coordinamento. A Messina il sisma distrugge il palazzo comunale e la maggior parte delle caserme. I vertici militari o sono assenti per

L’epicentro del sisma del 28 dicembre 1908. licenza o vengono travolti dal crollo degli stabili. 3 Pochi i sopravvissuti presenti:4 fra questi, si attivano subito il maggiore Graziani, capo di stato N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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maggiore della 24a Divisione di stanza a Messina, e il capitano di corvetta Arturo Cerbino, l’ufficiale della base navale più alto in grado superstite. Il personale alle loro dipendenze per lo più soccombe sotto le macerie delle caserme distrutte.Si salvano gli uomini imbarcati sulle unità della Regia Marina, che si trovano in banchina o alla fonda.5 Per quanto attiene alle autorità civil i e a i ve r t i c i d e l m o n d o imprenditoriale, è incolume il dottor Trinchieri, prefetto della città. I due ufficiali sopra menzionati, resisi conto della gravità della situazione, fatto un rapido giro esplorativo, e constatate l’impossibilità di effettuare comunicazioni telegrafiche e telefoniche e l’inagibilità di strade e ferrovie,6 provvedono a inviare due unità navali allo scopo di raggiungere il più vicino posto telegrafico operativo per inoltrare telegrammi alle autorità superiori (governo e presidi militari siciliani), mirati a descrivere la situazio-

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ne in atto e a richiedere aiuti. Le due unità designate, il Serpente e lo Spica, escono in mare aperto, dopo aver riparato alcune avarie riportate durante il maremoto ed essersi districate fra i rottami che hanno invaso le acque del porto. Il Serpente dirige prima verso Reggio, non sapendo che anche quella città era stata colpita pesantemente, poi per l’isola di Stromboli, ove il cavo telegrafico risulta reciso, e infine a Milazzo, dove solo alle 18:00 riesce a inoltrare il messaggio diretto al Presidio di Catania. Maggiore fortuna ha lo Spica che, nel pomeriggio, trova operativo il telegrafo di Marina di Nicotera e inoltra il proprio messaggio per le autorità centrali. Intanto, i due ufficiali vanno alla ricerca di qualche autorità civile superstite, con la quale coordinare gli interventi. Rintracciato il prefetto, il maggiore Graziani viene investito di pieni poteri per organizzare le azioni più immediate.Il coman-

dante Cerbino riesce a noleggiare alcuni piroscafi,7 da utilizzare per il trasferimento di feriti e profughi in altre città portuali. I marinai del Piemonte e delle restanti unità militari, suddivisi in drappelli, sono inviati a soccorrere i feriti della zona portuale. Viene istituito un servizio d’ordine a protezione delle banche, della dogana e dei centri ove sono depositati capitali, per evitare azioni di sciacallaggio, peraltro subito iniziate ad opera di bande di razziatori provenienti anche da fuori città. Nella tarda mattinata il coordinamento delle operazioni è assunto dal colonnello De Cosa, capo della direzione di Artiglieria, che, avallata l’opera sino al momento svolta, stabilisce di conserva con il prefetto e col comandante la stazione dei Carabinieri di MesEffetti del grande terremoto su Messina. (Foto W. von Gloeden)


Il ministero della Marina inviò nell’area del terremoto la Divisione Volante, comandata dal contrammiraglio Viale e composta dalle navi da battaglia Regina Margherita (nella foto), Regina Elena, Vittorio Emanuele e Napoli. (Fototeca USMM)

strofe giungono alle autorità centrali nel pomeriggio del 28 con la comunicazione telegrafica appoggiata dallo Spica alla stazione telegrafica di Marina di Nicotera. Il presidente del Consiglio, onorevole Giovanni Giolitti, riunisce in serata il consiglio dei ministri ed emana le prime direttive del governo. A seguire, lo stato maggiore dell’Esercito impartisce gli ordini operativi necessari alla mobilitazione di numerose unità presenti sul territorio nazionale. Il ministero della Marina ordina alla Divisione volante, comandata dal contrammiraglio Leone Viale, che si trova in navigazione nelle acque della Sardegna, di dirigersi verso lo Stretto di Messina.8 Durante il trasferimento, il Vittorio Emanuele è inviato a Napoli per imbarcare S.M. il re Vittorio Emanuele III e S.M. la regina Elena, partiti subito da Roma. Sempre da Napoli, e lo stesso giorno, parte l’incrociatore torpediniere Coatit, con a bordo il ministro dei Lavori Pubblici, onorevole Piero Bertolini, e

alcuni militari del Genio Esercito. A Catania le notizie arrivano nel tardo pomeriggio del 28, allorquando il piroscafo Washington prima, e i mercantili Scrivia e Montebello poi entrano in porto, trasportando i primi feriti. Le truppe di stanza a Catania (83° e 84° Reggimento) non vengono subito trasferite a Messina, sia per mancanza di ordini superiori o decisioni delle locali autorità civili, sia per timore che, in caso di necessità, non si sia in grado di mantenere l’ordine pubblico in loco.9 Successivamente,10 verificata l’agibilità della ferrovia, verrà inviato un treno speciale con l’84° Reggimento, che giungerà a Messina il 29 alle 09:30. Nel pomeriggio arriva in rada anche il piroscafo Regina Margherita, con a bordo un battaglione dell’8° Reggimento Bersaglieri di stanza a Palermo.11 Nel pomeriggio del 28 vengono requisiti i piroscafi della Società di Navigazione

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sina il proprio quartier generale a bordo di una unità militare italiana. Viene affidato a nave Saffo l’incarico di trasmettere un messaggio al comando regionale dei Carabinieri di Palermo, messaggio che riesce ad essere trasmesso verso le 1:00 da Porto Santa Venere e recapitato verso le 21:00. La situazione in città è drammatica.Manca l’acqua e la città è al buio; l’unica illuminazione è fornita dai proiettori delle unità in porto, che indirizzano i loro fasci di luce sulle macerie cittadine. Interventi dall’esterno Con certezza si può affermare che le prime notizie sulla cata-

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Generale, Regina Elena e Stura, e precettata un terzo, l’Ancona, per il trasferimento dei militari dell’Esercito di stanza a Palermo.12 Organizzazione dei soccorsi. Intervento della Marina italiana Una prima riunione ad alto livello, mirata a fare il punto della situazione e propedeutica a dare direttive, viene tenuta alle 02:00 del 30 dicembre a bordo del Regina Elena. La fotografia reale della situazione non esiste ancora: si ha

zia per mantenere l’ordine e impedire azioni delinquenziali,14 dare supporto alle truppe che giungono via mare e via terra, assegnando loro il settore di intervento, e riattivare anche le vie di comunicazione distrutte, onde consentire il deflusso dei profughi e l’arrivo dei soccorsi. A complicare la situazione si ha l’inclemenza del tempo. Presso le banchine del porto si è nel frattempo ammassato un gran numero di persone, e occorre sistemarle per libera-

Durante il trasferimento verso Messina, il Vittorio Emanuele fu inviato a Napoli per imbarcare i Reali d’Italia. (Fototeca USMM)

re l’accesso al porto e parimenti bloccarne l’afflusso di altre.Le banchine devono essere rese agibili, avendo subito gravi danni, e le operazioni di attracco, sbarco e imbarco sono difficoltose. Si cerca di riattivare la rete idrica e la fornitura di energia: l’unica acqua disponibile, la cui distribuzione viene severamente razionata, è quella della nave cisterna Velino. Come detto, le prime unità mercantili giungono il 30 mattina, e con non poche difficoltà, causa i danni alle banchine e l’affollamento delle stesse, iniziano le operazioni di sbarco. Queste operazioni si prolungano ulteriormente, per l’iniziale resistenza da parte dei comandanti dei piroscafi a mettere a disposizione le loro rimanenti imbarcazioni.15 Solo dopo un drastico intervento

solo una vaga idea dell’entità del disastro.Si conviene di suddividere la città in settori,13 e di assegnare a ciascun’area un responsabile che, con gli uomini messigli a disposizione, provveda ai bisogni più urgenti: raccolta dei feriti, salvataggio dei sepolti vivi, sgombero dei cadaveri, indirizzo dei superstiti verso il porto per il loro successivo trasferimento in altre città, supporto ai sopravvissuti che si rifiutano di trasferirsi. Il pericolo di un’epidemia incombe ma, per fortuna, l’evento non si manifesterà. Contemporaneamente, occorre istaurare un servizio di poliN.4-5 Luglio/Ottobre 2008

delle autorità, la situazione viene sbloccata.Da Napoli arriveranno 16 zattere con rimorchiatori. Oltre alle navi già menzionate, altre unità della Marina italiana giungono a Messina nel periodo 28 dicembre 1908-3 gennaio 1909,16 portando aiuti di vario genere e concorrendo al trasporto di feriti e sfollati: 31 dicembre 1908: la corazzata Sicilia con viveri e coperte (il 2 gennaio porterà materiali di soccorso e viveri), l’incrociatore torpediniere Minerva, il cacciatorpediniere Granatiere, il rimorchiatore d’alto mare Atlante e il trasporto Volta, tutti con materiali di soccorso; 1° gennaio 1909: la corazzata Re Umberto (materiali di soccorso e viveri), l’ariete torpediniere Lombardia (viveri), il rimorchiatore d’alto mare Ercole (materiali di soccorso e viveri) e la cisterna per acqua Verde (il giorno successivo porterà anche materiale radiotelegrafico); 3 gennaio 1909: il cacciatorpediniere Lanciere e le torpediniere Olimpia e Orfeo, tutti con viveri e coperte. L’intervento delle Marine militari estere I primi marinai di unità militari a prestare soccorso sono quelli del Piemonte, della torpediniera Saffo - che riesce a lasciare la fonda e a dirigere all’ormeggio in banchina - e delle unità alla fonda, molte delle quali hanno subito danni, ancorché non gravi. La mattina del 29 la rada di Messina vede l’arrivo delle unità del Gruppo Speciale della Flotta del Baltico, comandato dal contrammiraglio Vladimir Ivanovich Litvinov, e costituito dalle corazzate Slava e Tzésarévitch e dall’incrociatore Admiral Makaroff.17 A queste, nel prosieguo dei giorni, si aggiungeranno le unità della Royal Navy e delle Marine da guerra tedesca, danese, statuni-


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Sopra, la corazzata Tzésarévitch, insieme alla corazzata Slava, agli incrociatori Admiral Makaroff e Bogatir, e alle cannoniere Guilak e Korietz, faceva parte del Gruppo Speciale della Flotta del Baltico che, a dicembre 1908, si trovava in Mediterraneo per la campagna addestrativa dei guardiamarina. (Fototeca USMM). A sinistra, Guardiamarina e marinai dell’Admiral Makaroff, impegnati a scavare fra le macerie in cerca di superstiti. (Cortesia Comune di Messina) tense, francese, portoghese e spagnola. Il giorno del terremoto la squadra russa è alla fonda ad Augusta - per una sosta della campagna di addestramento in Mediterraneo per i guardiamarina del corpo dei cadetti quando le navi sono scosse da “forti sussulti. Le onde che dal largo arrivavano nella rada facevano compiere alle navi alla fonda giri completi sulle

ancore … Il comandante del gruppo navale … ordinò persino di suonare l’allarme di combattimento. Poi il mare si placò … La calma però era illusoria”. 18 L’ammiraglio Litvinov risponde alla richiesta del ministero della Marina di portare soccorso alle città colpite e, senza attendere istruzioni da San Pietroburgo, dirige sulla più vicina Messina. In rada si fermano le corazzate, mentre

l’Admiral Makaroff, su iniziativa del suo comandante, capitano di vascello Ponomareff, si ancora nel porto.Durante il trasferimento da Augusta, Livtinov impartisce gli ordini per l’organizzazione dei soccorsi e il razionamento delle scorte delle navi. Davanti ai soccorritori russi appare uno scenario apocalittico, ciononostante “non perdemmo tempo nell’iniziare il N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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lavoro di soccorso. Impiantammo un ospedale all’aria aperta sulla spiaggia e ricevemmo e trattammo un migliaio di uomini, donne e bambini”.19 I marinai russi, suddivisi in squadre, procedono verso la città, per cercare di recuperare le persone ancora vive sotto le macerie.Altre squadre si trovano sul lungomare o nelle sue vicinanze, per portare cibo e medicinali, lenzuola e coperte. Altri trasportano feriti all’ospedale da campo o sulle imbarcazioni che fanno la spola verso le unità navali, a bordo delle quali sono compiuti anche gli interventi chirurgici più impegnativi.20 Ma la situazione non è semplice. Spesso si sentiva il rumore del crollo dei pavimenti e delle mura [delle case]. Ciò costituisce il maggior pericolo per i soccorritori … e ho visto moltissimi terribili infortuni ai bravi soldati italiani che facevano più del loro dovere.21 In Russia, vari giornali pubblicarono brani di lettere inviate ai genitori da guardiamarina e marinai delle unità navali a Messina. Fra queste si può leggere: “Molti dei miei compagni restarono a bordo per ricevere i feriti, ma la maggior parte, fra cui io stesso, scese a terra, con gli uomini, portando pale e asce per disseppellire gli infelici sepolti … Seguimmo strade parallele, del resto non erano strade, ma ammassi di rovine, formati dal crollo dei muri, pietre … All’improvviso udiamo un boato sotto terra e sentiamo un’oscillazione; i muri che tenevano appena cominciano a crollare: Dio solo ci salvò; perché le pietre cadevano fitte … Le strade sono ingombre di rovine, dappertutto cadaveri in uno stato pauroso, nudi, con crani fracassati, e la maggior parte completamente schiacciati.Le case a quattro piani, essendo costruite molto male, erano crollate e

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i muri erano completamente sbriciolati … All’inizio, l’odore dei cadaveri e della putrefazione agiva molto fortemente su di me, ma dopo mi ci sono abituato … La notte era buia e pioveva a rovesci, ma ciò non impedì alla nostra squadra di lavorare fino al mattino”. I marinai russi partecipano anche all’attività di polizia per fronteggiare le azioni di sciacallaggio e presidiare edifici di particolare interesse, ed effettuano ronde con i militari italiani. I marinai dell’Admiral Makaroff mettono in salvo la cassaforte di 2 t della Banca di Sicilia e il suo tesoro.22 L’arrivo dei marinai russi23 e il loro operare è descritto dalla

Marinai italiani impegnati nel trasporto dei feriti. In alto, imbarcazioni e personale delle unità russe in banchina durante il trasporto di feriti e sfollati. scrittrice e giornalista Matilde Serao, in una corrispondenza apparsa su Il Giorno del 1° gennaio 1909: “... In un scenario terrificante di rovine ... ad un tratto sono apparsi dei visi umani, contratti dalla sorpresa, dall’ansietà e dalla pietà; degli uomini sono apparsi, venendo dal mare … per soccorrere i messinesi! Erano naviganti, ufficiali e marinai;di un’altra nazione;di un’altra terra; giunti da mari lonta-


Squadra di militari russi, armati di badili e picconi, si avviano in città per continuare a scavare in cerca dei sopravvissuti. In alto, l’incrociatore Bogatir della Marina russa, varato nel 1901, aveva un equipaggio di 573 uomini. (Fototeca USMM)

ni, da mari nordici, parlanti un’altra lingua ed ignari della nostra … E questi ufficiali e marinai si sono messi a estrarre i sepolti vivi da sotto le pietre delle case di Messina, essi per i primi; si sono messi a raccogliere i feriti, a cercare di medicarli, di sollevarli con qualche cordiale; si sono messi a confortare i moribondi ed a

chiudere gli occhi ai morti;essi per primi, questi russi, ufficiali e marinai, dal nobilissimo loro comandante al più oscuro dei mozzi. Ed in questa opera coraggiosa e pietosa essi hanno portato, insieme, l’impeto più santo e la delicatezza più profonda; così hanno rotto le loro mani contro le pietre ed hanno sanguinato, così, giacché temevano di uccidere qualche sepolto vivo, se adoperavano un piccone; essi hanno scalato le altitudini delle macerie;essi sono discesi nelle voragini fatte dal terremoto; essi hanno prodigato le loro forze e Dio le ha loro centuplicate perché essi, questi russi, per i primi, potessero salvare donne, uomini, e bimbi, in Mes-

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sina ... Con le loro mani rudi, i marinai di Russia, hanno tenuto nelle braccia i poveri bimbi messinesi, che piangevano chiamando la madre, e hanno cercato di farli quietare e di farli dormire; con le loro rudi mani, i marinai hanno dato da bere del latte, al mattino, agli orfanelli messinesi, ed i volti biondi e i chiari occhi azzurri degli slavi hanno sorriso ai volti bruni e rotondi, ai grandi occhi neri dei bimbi siciliani”.24 E lo scrittore Maksim Gor’kij,25 da Napoli, dove era giunta la corazzata Slava con un carico di feriti, scriveva:26 “Sia emblematico e profetico per la Squadra del Baltico questo suo primo battesimo di combattimento, ricevuto non nell’orrenda e spregevole azione di guerra dell’uomo contro l’uomo, bensì nella prestazione di aiuto fraterno all’uomo nella lotta contro le forze ostili della natura che colpiscono indistintamente tutti gli uomini”. Le navi maggiori russe restano in Italia fino alla sera del 3 gennaio, quando partono per Alessandria d’Egitto. Nel frattempo hanno trasferito a Napoli e a Siracusa 1800 feriti. Le due unità minori restano a Messina per un’altra settimana. L’intervento dei marinai russi è notevole, tanto da rimanere scolpito nei ricordi e da essere mantenuto vivo dalla città siciliana che, a più riprese, renderà onore e testimonianza dell’impegno profuso da quegli uomini, a prescindere dalla situazione politica internazionale in atto. Per quanto attiene alle altre nazioni, è più difficile recuperare documenti riguardo l’attività effettuata a Messina e Reggio in quel tragico periodo. Da alcuni di questi, presso l’Archivio federale di Germania, l’Archivio militare di Friburgo e l’Archivio politico del Ministero degli Esteri tedesco, si evin-

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ce la presenza di una squadra navale tedesca, costituita da cinque unità:27 la nave da bat-

taglia Ersatz Freya, e gli incrociatori protetti Victoria Louise, Hertha, Vineta e Hansa.In par-

PRIME UNITÀ MILITARI GIUNTE IN SOCCORSO A MESSINA E A REGGIO CALABRIA UNITÀ MILITARI

NAZIONE DANIMARCA

Incrociatore Heymdal

FRANCIA

Navi da battaglia Justice e Verité, incrociatore torpediniere Dunois, cacciatorpediniere Carquois e Fanfare, 2 torpediniere

GERMANIA

Nave da battaglia Ersatz Freya, incrociatori protetti Victoria Louise, Hertha, Vineta, Hansa

GRAN BRETAGNA

Navi da battaglia Duncan ed Exmouth, incrociatori leggeri Minerva e Philomel, incrociatori Euryalus, Lancaster e Sutley, torpediniera Boxer

ITALIA

Navi da battaglia Napoli, Regina Margherita, Regina Elena e Vittorio Emanuele, corazzate Re Umberto e Sicilia, incrociatore torpediniere Coatit e Minerva, ariete torpediniere Lombardia e Piemonte, cacciatorpediniere Granatiere e Lanciere, torpediniere d’alto mare Olimpia, Orfeo, Spica, Saffo, Serpente, Scorpione e Sagittario, torpediniere costiere 90 S, 106 S, 131 S, 138 S, 140 S, 151 S, nave trasporto Volta, navi cisterne acqua Velino e Volta, rimorchiatori d’alto mare Atlante ed Ercole

PORTOGALLO Nave difesa costiera Vasco de Gama RUSSIA

Corazzate Slava e Tzésarévitch, incrociatori Admiral Makaroff e Bogatir, cannoniere Guilak e Korietz

SPAGNA

Incrociatori Cataluña e Princesa de Asturias

USA

Le unità della Royal Navy che prestarono soccorso nell’area del terremoto furono le navi da battaglia Duncan (nella foto) ed Exmouth, gli incrociatori leggeri Minerva e Philomel, gli incrociatori Euryalus, Lancaster e Sutley, e la torpediniera Boxer. (Fototeca USMM)

Navi da battaglia Connecticut e Illinois, nave rifornitrice Culgoa

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ticolare, si ha notizia delle due unità, adibite a navi-scuola, Victoria Louise ed Hertha.28 Nella notte fra il 29 e il 30 la nave scuola Hertha, in navigazione nel basso Mediterraneo, riceve l’ordine di dirigere a Messina. Dopo aver completato il rifornimento di carbone e l’imbarco di coperte e viveri a Corfù, salpa e raggiunge la rada di Messina il 31 dicembre. Trasferisce i soccorsi sul piroscafo Stura, e con il proprio personale sanitario trasporta a bordo 78 feriti; dopo aver ricoverato 200 sopravvissuti riprende la navigazione e dirige per Napoli. Al termine del trasbordo fa ritorno a Messina, ove giunge il 2 gennaio con altri viveri e mezzi di soccorso. Il Victoria Louise riceve l’ordine di effettuare rifornimento di viveri e coperte e poi dirigere nell’area del terremoto. In navigazione verso Messina, la notte fra il 2 e il 3, al comandante dell’unità pervie-


incrociatori leggeri Minerva e Philomel, gli incrociatori Euryalus, Lancaster e Sutley, e la torpediniera Boxer. Il Sutley porta anche medici-chirurghi, carabinieri e soldati italiani, imbarcati la sera del 29 a Siracusa.30 Le unità della US Navy che vengono inviate a Messina e a Reggio Calabria per fornire assistenza umanitaria sono quelle della Prima Divisione, cioè le navi da battaglia Connecticut e Illinois, e la nave rifornitrice Culgoa. Si tratta di tre delle sedici navi da guerra statunitensi salpate un anno prima dal porto di Hampton Roads, in Virginia, per una crociera intorno al mondo, e da poco entrate in Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Sui luoghi sconvolti dagli eventi naturali prestano nel tempo il loro aiuto anche i marinai imbarcati sulle unità da guerra della Marina francese (navi da battaglia Justice e Verité, incrociatore tor pediniere Dunois , cacciatorpediniere Carquois e Fanfare, e due torpediniere), della Marina danese (incrociatore Heymdal), spagnola (incrociatori Cataluña e Princesa de Asturias) e portoghese (nave difesa costiera Vasco de Gama). Molte delle unità militari presenti a Messina sono utilizza-

te per il trasporto dei feriti e degli sfollati verso altri porti italiani. 31 In particolare, nel periodo 29 dicembre 1908-5 gennaio 2009, le unità militari Admiral Makaroff, Guilak, Hertha, Piemonte, Sicilia, Sutley, Tzésarévitch, Vittorio Emanuele e Volta contribuirono, assieme a unità mercantili, al trasporto di oltre 20 000 feriti.32 Onorificenze e riconoscimenti Il governo italiano, nel maggio 1909, delibera di assegnare una specifica attestazione a civili, militari, enti e organizzazioni che si erano adoperate nelle operazioni di soccorso. Con regio decreto n.33 del 6 maggio 1909,33 si stabiliscono

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ne un telegramma personale dell’imperatore: “Dopo l’ancoraggio annunciatevi al Re [d’Italia] che si trova a bordo della nave ammiraglia ‘Vittorio Emanuele’ e mettetegli a disposizione i viveri e le coperte da me inviate. Offritegli ogni tipo di aiuto, medico o altro, ed eseguite gli ordini impartiti. Wilhelm.”29 Oltre a viveri e coper te, entrambe le unità provvedono a fornire ai soccorritori materiale sanitario e acqua potabile, e il personale dell’Hertha viene mandato a terra per partecipare alle operazioni di soccorso. Il 5 gennaio i due incrociatori lasciano Messina.Il Victoria Louise, successivamente, sarà impegnato, così come il piroscafo tedesco Illyria, nel trasporto a Palermo di baracche e di generi vari per gli sfollati. Dell’impiego del personale o delle attività delle altre unità germaniche non si hanno indicazioni specifiche. Fra le navi mercantili tedesche da ricordare vi sono anche il piroscafo Therapia, che sin dal primo giorno del disastro trasporta profughi a Napoli, il piroscafo Bremen, che giunge da Alessandria il 31 dicembre portando generi alimentari e si adopera per il trasferimento a Napoli di 500 senza tetto, e il piroscafo Salvator, presente a Messina al momento del terremoto, il cui equipaggio si distingue nel concorso all’opera di spegnimento dell’incendio del Municipio. Anche marinai della Royal Navy partecipano alle operazioni di soccorso fornendo aiuto e assistenza dovunque sia necessario. A fianco di questi militari lavorano anche marinai delle unità mercantili britanniche presenti o inviate in loco.Le unità della Royal Navy dirottate nell’area del disastro, al comando dell’ammiraglio Sutton, sono le navi da battaglia Duncan ed Exmouth, gli

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La US Navy inviò a Messina e Reggio Calabria le navi da battaglia Connecticut e Illinois (nella foto), e la nave rifornitrice Culgoa. Facevano parte della Great White Fleet, la flotta da guerra statunitense salpata un anno prima dal porto di Hampton Roads, in Virginia, per una crociera intorno al mondo. Furono le prime unità da guerra straniere a portare soccorsi a Messina dopo il terremoto. (Fototeca USMM)

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le modalità per la concessione della “Medaglia ai Benemeriti del terremoto del 28 dicembre 1908”; in particolare: Medaglia d’oro, medaglia d’argento, medaglia di bronzo a seconda del grado di merito, alle persone ed agli Enti che abbiano acquistato, in modo eminente, titoli di pubblica benemerenza, in occasione del terremoto del 28 dicembre 1908 nelle Calabrie ed in Sicilia, sia prodigando personalmente assistenza, cure od aiuto ai superstiti, sia concorrendo con cospicue elargizioni in loro favore o provvedendo ai servizi di salvataggio, sanitari od amministrativi, ovvero ai bisogni materiali o morali dei danneggiati dal terremoto. - Attestato di menzione ono-

Medaglie ai benemeriti del terremoto del 28 dicembre 1908, assegnate a civili, militari, enti ed organizzazioni che si erano adoperate nelle operazioni di soccorso. N.4-5 Luglio/Ottobre 2008

revole a coloro i quali non siano in possesso di titoli sufficienti per ottenere la medaglia di bronzo di benemerenza. Il 3 marzo del 1911, a Messina, viene consegnata una medaglia d’oro 34 appositamente coniata dal Comune della città per il Gruppo navale della Flotta del Baltico.35 La cerimonia della consegna si svolge a bordo dell’incrociatore russo Aurora.36 Nell’autunno dello stesso anno vengono consegnate allo stato maggiore della Marina russa 3170 medaglie commemorative, da assegnare a ciascun militare della Marina russa che ha partecipato ai soccorsi a Messina. Le stesse onorificenze saranno consegnate ai militari stranieri delle altre nazioni, tramite i rispettivi ambasciatori a Roma. Inoltre, l’ammiraglio Livtinov è insignito della Gran Croce della Corona d’Italia, e i comandanti delle unità militari russe sono nominati commendatori. Nel 1978, a ricordo degli aiuti presentati all’indomani del 28 dicembre 1908 dalle unità della squadra navale russa, sarà apposta una lapide sulla facciata del Municipio di Messina,37 e nel febbraio del 2006, in occasione della sosta nel porto siciliano di un gruppo navale della flotta del Mar Nero, il sindaco della città scoprirà

La medaglia d’oro, appositamente coniata dal Comune della città per il Gruppo navale della Flotta del Baltico, consegnata il 3 marzo del 1911, a Messina, a bordo dell’incrociatore russo Aurora. Sotto, lapide apposta sulla facciata del Municipio di Messina nel 1978, a ricordo degli aiuti presentati all’indomani del 28 dicembre 1908 dalle unità della squadra navale russa. una lapide commemorativa nell’intitolare una strada alla Marina russa.38

Nastrini delle Medaglie ai Benemeriti del terremoto del 28 dicembre 1908. Sopra, la prima versione. Sotto, la versione con il colore dei filetti laterali modificato dal regio decreto del 21 ottobre 1909 n. 719.


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NOTE Parte finale dell’elogio scritto destinato al personale militare e civile, italiano e straniero, emanato a Roma il 5 gennaio 1909. 2) I sismografi dell’Osservatorio Ximeniano di Firenze registrano un forte terremoto di magnitudo elevata localizzabile nell’Italia. Non avendo ulteriori informazioni, l’Osservatorio diramerà un allarme generico segnalando, fra l’altro: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 cm ...Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”. 3) Relazione del tenente generale Francesco Mazza, comandante del XII Corpo d’Armata e regio commissario straordinario a Messina fino al 14 marzo 1909. AUSSM, Archivio di Base (AB), b.199, “Relazione sull’opera del R. Commissario straordinario Tenente Generale Mazza nelle regioni colpite dal terremoto del 28/12/08”, Palermo, 2 marzo 1909. 4) I militari dell’Esercito di stanza a Messina appartengono a: Comando 24a Divisione, Comando Divisione Salerno, 89° Reggimento Fanteria, 83° Reggimento Fanteria, Brigata da montagna del 22° Artiglieria, Compagnia Treni del 22° Artiglieria, 2a Brigata del 3° Artiglieria da costa, 2a Brigata del I Genio, I Compagnia del 3° Genio telegrafisti, Distretto militare, Direzione di Artiglieria, Direzione del Genio militare, Stabilimento di Commissariato e Sanità. 5) In banchina c’è l’ariete torpediniere Piemonte, e alla fonda si trovano le unità della squadriglia torpediniere d’alto mare (Spica, Saffo, Serpente, Scorpione e Sagittario) e quelle della squadriglia delle torpediniere da costa (90 S, 106 S, 131 S, 138 S, 140 S e 151 S). 6) In realtà il tratto ferroviario verso Catania rimane abbastanza agibile, e un primo treno partirà per Catania alle 10:00 giungendovi, con non poche difficoltà, solo la sera. 7) Noleggio dei piroscafi Washington, Scrivia e Montebello (questi ultimi due presenti a Messina). Il Washington stava entrando in porto, quando fu informato dal comandante del Montebello di dirigere, in quanto più veloce, per Catania (relazione citata, p. 5). 8) La divisione è composta dalle navi da battaglia Regina Margherita, Regina Elena, Vittorio Emanuele e Napoli. 9) Telegramma n. 368 (testo non disponibile) del generale Mandile, comandante del presidio di Catania (relazione citata, p. 8). 10) Telegramma del generale Mandile (testo non disponile) inviato alle ore 10.40 (relazione citata, p. 8). 11) A Palermo la notizia giunge alle 16:30 del 28 dal telegrafo di Scaletta Zanclea (relazione citata, p. 11). 12) Alle truppe giunte via mare si aggiungono quelle via terra: si tratta del 33° Reggimento Fanteria, proveniente da Girgenti, e di un battaglione dell’85° Reggimento da Trapani. Alcuni drappelli di questi reparti vengono dislocati nel settore settentrionale dei Monti Peloritani, in soccorso di quelle popolazioni (relazione citata, p. 15). 13) Settori (relazione citata): - I settore: individuato dal perimetro sud della città, il panificio militare, piazza Niccolò Fabrizi e piazza San Martino. Le truppe a disposizione del comando, assegnato al generale Mandile, sono quelle dei reggimenti di fanteria 83°, 84° e 86°. -II settore: delimitato dal settore I e dalla linea via San Camillo-Torretta Boccetta. Il comandante è il generale Bertinatti, che ha a disposizione gli uomini di due reggimenti di fanteria, l’81° e l’82°, e i bersaglieri dell’8° Reggimento. - III settore: circoscritto all’area delimitata dal II settore e il torrente Trapani. Il generale De Viry ha sotto il suo comando i fanti dei reggimenti 33°, 34° e 85°. - IV settore (denominato Settore Villaggi): ubicato fra il torrente Trapani e il faro. I militari del 19° Reggimento fanteria e del 9° Reggimento Bersaglieri, operano agli ordini del generale Saladino. 14) Relazione citata, p. 17. 15) Molte imbarcazioni sono state risucchiate dal maremoto, altre impiegate per il trasporto cadaveri verso i cimiteri San Ranieri e Maregrosso. 16) Allegato 3 della relazione citata. 17) Queste unità della Marina zarista furono raggiunte successivamente dall’incrociatore Bogatir (attardato ad Augusta per completare i rifornimenti) e dalle cannoniere Korietz e Guilak, queste ultime provenienti da Palermo. 18 V. G. Redanskij, “1908: l’operato del Gruppo Navale Speciale della Flotta del Baltico durante il terremoto di Messina”, Bollettino d’Archivio, dicembre 1993. 19) Intervista al comandante Ponomareff, Roma, 1° gennaio 1909, “What the Russian saw”, New York Times,. 20) Redanskij, op. cit. 21) V. Ponomareff, intervista citata. 22) Ibidem. 23) I primi a sbarcare sono quelli dell’Admiral Makaroff. 24) A. Borda Bossana, Messina e le navi della Marina Russa, Messina, Grafo Editor, 2006 (per conto del Comune di Messina). 25) Pseudonimo dello scrittore russo Aleksej Maksimovic Pescov. 26) 11 febbraio 2006. Intervento del ministro della Difesa, onorevole Antonio Martino, alle cerimonie di commemorazione del soccorso della Marina russa nel terremoto del 1908. 27) S. Di Giacomo, “Il terremoto di Messina del 1908 e gli aiuti tedeschi”, Storia e futuro n. 17, giugno 2008. 28) Si tratta di un breve rapporto del ministero della Marina, in cui si spiega tra l’altro la difficoltà di reperire materiale di quel periodo, “Art und Umfag der Hilfeleistung der Kaiserlich Deutschen Marine in Messina, anläßlich der Edbebenkatastrophe vom 28 December 1908”. All’interno della relazione sono riportati i rapporti compilati dai comandanti delle due unità. AUSMM, RB, b. 199. 29) Rapporto Segreto del comando del Victoria Louise, del 5 gennaio 1909. AUSMM, RB, b. 199. 30) Giornale L’Ora, edizione serale del 30 dicembre 1908. 31) I porti sono: Catania, Gaeta, Livorno, Milazzo, Napoli, Palermo, Siracusa, Taranto, Trapani. 32) Relazione citata. 33) L’art. 3 del decreto sarà poi variato con quello del regio decreto del 21 ottobre 1909 n. 719, che modificherà il colore dei filetti laterali del nastro della medaglia, da rosso a bianco. 34) Realizzata su disegno dello scultore Donzelli. 35) V. G. Redanskij, op. cit. 36) La medaglia è tuttora conservata sull’Aurora, nel frattempo trasformata in nave museo. 37) Sulla lapide commemorativa sono menzionate solo le unità maggiori, Admiral Makaroff, Tzésarévitch, Bogatir e Slava, ma non le due cannoniere Guilak e Korietz. 38) Si ringrazia il Comune di Messina per le foto gentilmente concesse, facenti parte del volume di A. Borda Bossana, Messina e le navi della Marina russa, ..., cit. 1)

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memoriale alle vittime dei terremoti di Francesco CARDULLO a una decina di anni ho avuto varie occasioni di lavorare attorno al tema dell’architettura come ricordo. Tema affascinante che ha valenze simboliche, morali, civili, etiche: ma che pur sempre è anche un tema architettonico, storicamente architettonico e non solamente appartenente alla sfera dell’arte. È trascorso un secolo dai trenta secondi che alle 05,20 dell’alba del 1908 hanno cambiato la storia di due città, della mie città:della città dove sono nato e vivo, e di quella dove insegno da trentadue anni.

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Solo melanconiche e struggenti note possono rivelare l’inesprimibile, dare l’idea di un mondo che non c’è più, una infanzia andata via, più della parola o dell’immagine. Una profonda nostalgia, commovente, perduta, che potrebbe avere nelle note della musica (penso a Satie, o a Dvorak, o Part) efficace ricostruzione. Altre discipline, come l’architettura, possono solo provare, attraverso le suggestioni visive dello spazio, ad avvicinarsi a quanto la musica riesce a suscitare. Agli inizi del 2007 mi sono chiesto, come architetto, come

Il testo e le immagini delle tavole sono un estratto, riveduto per questo numero della rivista, del libro: Cardullo Francesco, Messina-Reggio, 1908-2008, Roma, Officina, 2008. professore di progettazione architettonica, e soprattutto come cittadino che vive e lavora tra Messina e Reggio quale tipo di contributo potevo dare alle mie città per ricordare una ricorrenza densa di significato come i cento anni trascorsi dal terremoto che ha devastato gli insediamenti umani dello Stretto.


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Non ci sono, credo, a Messina e Reggio Calabria, sculture o architetture, steli o memoriali, che ricordano la furia della natura, l’azzeramento ed il ricominciamento, il fuoco e la cenere, la distruzione e la ricostruzione, che hanno caratterizzato ripetutamente nei secoli, più forse di qualunque città italiana, la storia delle due città. Penso sia necessario ricordare in modo permanente il principale evento che ha mutato il volto, ma anche l’identità di tutti gli abitanti delle due città principali dello Stretto, (che sono socialmente ed antropologicamente terremotati, nel senso di incapaci di diventare protagonisti di una rinascita e di un riscatto definitivo dalla condizione di precarietà), con un Memoriale, una architettura simbolica, che ricordi tutti i terremoti delle città, le vittime colpite, gli stravolgimenti della facies urbana, il vuoto del dolore, della volontà, dello spazio. Mi sembra che non esista nelle due città una memoria tangibile di quei catastrofici eventi; fisica, che si possa toccare e vedere, percorrere e attraversare, guardare da vicino o da lontano;memoria tangibile che aiuti a proiettare la riflessione N.4-5 Luglio/Ottobre 2008

dell’oggi nel passato, che permetta ai cittadini messinesi e reggini, di ogni generazione, di sapere da dove partono, come eravamo. La cultura è anche storia passata, che diventa insegnamento, ammonimento, ammaestramento per l’azione nel presente. Non mi sembra che la politica o la cultura espressa dalle città, a quasi cento anni dall’ultimo cataclisma (ma altri, altrettanto terribili, si sono succeduti nella storia, causando più volte la modificazione, anche radicale, del volto urbano: le città dello Stretto di fatto sono l’incarnazione del mito dell’araba fenice), abbia pensato ad un Memoriale che ponga l’evento principale della sua stessa storia al centro di una rifondazione. L’idea è quella che un architetto elabori, attraverso lo sforzo creativo più alto del suo mestiere, un progetto. Un progetto che per un architetto è anche un atto di speranza: di cambiamento, di modificazione, di miglioramento. Progettare è il nesso più solido che unisce l’uomo alla realtà ed alla storia: storia della città che è storia degli uomini che la realizzano, anno dopo anno.

Messina prima del terremoto. Nel 28 dicembre del 2008 ricorreranno cento anni dall’ultimo catastrofico terremoto. L’idea di cui mi sono fatto promotore è quella di progettare un Memoriale che ricordi i terremoti che hanno annientato la nostra storia più di una volta, e che ricordi anche tutte le vittime di questi eventi naturali tragici. L’idea, che ho realizzato, è che alcuni architetti, di Messina e Reggio Calabria, progettino e donino alla terra natale, o in cui comunque si opera professionalmente, un frutto del proprio talento di architetto, di architetto responsabile della facies urbana della città, della sua identità, del suo essere civitas e non solo urbs, come ci ricorda Sant’Agostino . Uso il verbo donare perché di questo si tratta. Penso che sia possibile donare alle nostre città un progetto di “Memoriale delle vittime dei terremoti di Messina e Reggio Calabria”, senza ricevere alcun compenso, anzi pagandosi anche le spese. Quello che penso è che ci accomuna l’essere nati, o vis-


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suti, o residenti, o comunque iscritti all’Albo degli Architetti di Messina e Reggio Calabria, e quindi per primi coinvolti in una idea che vuole coniugare progetto, luoghi e persone d’origine, ed infine l’interesse per l’aspetto civile del mestiere di architetto che ritengo straordinariamente importante per chi lavora in contesti degradati socialmente e fisicamente. Gli edifici della memoria e della celebrazione ricreano uno stretto legame tra la società e la cultura, e fra queste e l’architettura. Il Memoriale in ricordo delle vittime dei terremoti documenta e traduce in termini tridimensionali e diretti un avvenimento ed un periodo. Il concetto che caratterizza il Memoriale consiste nella sua funzione di tramite tra il passato, il presente, e il futuro. La narrazione storica, il passato ed il lutto, non è l’intera storia. Il Memoriale racconta una storia ulteriore, una storia propria del luogo. I Memoriali documentano la storia, la morte ed il dolore, tuttavia nello stes-

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so tempo creano un ulteriore prospettiva, in avanti, verso il futuro. Il Memoriale deve rinforzare, in termini di spazio e di progettazione architettonica, i miti esistenti e le condizioni sociali, caratteri forti della particolare area dello Stretto: luogo della nostra esistenza. Mi sono assunto la responsabilità di scegliere gli architetti-progettisti che avessero tre caratteristiche: a) il capogruppo, o il responsabile del progetto, doveva essere iscritto all’Ordine degli architetti di Messina e di Reggio Calabria (ci doveva essere un’identità tangibile, una appartenenza sentimentale, un coinvolgimento emotivo non astratto, ma personale, di famiglia, privato); b) l’età del capogrupporesponsabile doveva non discostarsi di molto dai quarant’anni (per rendere omogenee e confrontabili le esperienze, e per dare visibilità e fiducia ad una generazione locale relativamente giovane); c) il capogruppo-responsabile doveva aver mostrato interesse verso il progetto di architettura come

ricerca, come forma di un’arte, particolarmente simbolica in questo caso, piuttosto che professionale (dovevano essere persone di cui conoscevo, ed apprezzavo, il modo di progettare, l’interesse culturale, l’impegno verso l’architettura). Come tutti i criteri, sicuramente opinabili; come tutte le selezioni e le scelte, sicuramente parziali ed incomplete. Conosco tutti i capigruppo personalmente, e le scelte sono di mia unica responsabilità. Su quarantotto architetti che ho, inizialmente, invitato hanno aderito in ventiquattro, che in qualche caso, si sono aggregati, sino ad arrivare a dieci gruppi per Messina e dieci gruppi per Reggio Calabria, con un’alchimia dei numeri non voluta, ma felice. Complessivamente le persone coinvolte sono ottanta, considerando non solo gli architetti, o gli studenti, ma anche gli artisti o i fotografi o i sacerdoti. Un buon numero di persone di buona volontà cui ho chiesto di donare un “Memoriale dedicato alle vittime dei terremoti”. Donare è qualcosa di più di


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regalare. Donare implica gratuità del gesto, ma anche dedizione, attendere con amore e con impegno, con disinteresse e liberalità, dedicare il proprio tempo, avere cura, entusiasmo.Un architetto che dona un progetto, dona il proprio talento, una nuova idea di un luogo, una nuova idea di uno spazio, una nuova idea di modificazione in “meglio”di una parte di città, un nuovo significato ai territori dell’area dello Stretto. Un architetto che dona un progetto ha fiducia che il paesaggio dove vive possa cambiare. Il 10 febbraio del 2007 ho inviato una e-mail (con una certa fatica mi piego, giorno dopo giorno, alla modalità ed agli strumenti della comunicazione contemporanea) all’elenco degli architetti che ho scelto per renderli partecipi, anzi protagonisti, di questa mia idea: ricordare i cento anni trascorsi dal ter-

remoto simbolo dello Stretto attraverso l’elaborazione di un progetto di architettura. Nello scritto che ho inviato ho spiegato il senso dell’iniziativa ed ho quindi dato pochissime indicazioni, queste che riporto; dando quindi ampia libertà di scelta. Il tema: Memoriale commemorativo. La denominazione: Memoriale delle vittime dei terremoti di Messina e Reggio Calabria. Il contenuto: doveva essere uno spazio, si doveva poter entrare, attraversare, percorrere, uscire, ci si poteva sedere, sostare, ci potevano essere forme artistiche, sculture, pitture, versi, ma non doveva essere egli stesso una scultura, ma un’architettura. L’ubicazione: un luogo di Messina e di Reggio Calabria a scelta, che si riteneva significativo, qualsiasi piazza, lungomare, s t ra d a , c o l l i n a , a l t r o. L a

dimensione: completamente libera, architettonica, urbana, paesaggistica, piccola, media, grande, molto grande.La materia: materia e materiali, finiture e costo erano completamente liberi e lasciati a libere riflessioni. La formazione del gruppo: ciascun capogruppo del progetto era libero di coinvolgere chi voleva, anche artisti di vario genere e natura, pensando comunque di dover progettare una architettura e non un’opera d’arte. Successivamente ho anche inviato una bibliografia sul tema che avevo elaborato sia durante l’esperienza di progetto, sia come esperienza di scuola all’Università, all’interno dei miei corsi con gli studenti. I venti progetti del Memoriale affrontano temi simbolici legati al terremoto ed al maremoto: l’onda, la falda, le macerie, la stratificazione, il suolo originario, l’acqua, le crepe, lo squarcio, il ventre, il disorientamento, il buio, la luce, la claustrofobia, la paura, l’angoscia, il movimento.Ma lo fanno interpretandoli con gli elementi dell’architettura e non dell’arte, o della figuratività. I venti progetti, elaborati dai miei colleghi più giovani, sono belli: in modo diverso ma sono belli. Sono belli perché sono progetti di architettura e non hanno ceduto alla tentazione di diventare scultura. Temevo questa sirena contemporanea di trasformazione dell’architettura in forma artistica, deriva di alcune tendenze molto alla moda. Sono progetti di architettura, sono spazi che si possono abitare, nel senso ampio oltre che heideggerriano.Sono spazi spesso complessi, articolati, con altezze diverse, con misur e d i ve r s e , c o n r a p p o r t i Il Duomo di Messina proma del sisma del 1908.

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modificano i luoghi in cui sono pensati. Sia quelli degradati, irrisolti, abbandonati che quelli consolidati e centrali.Li modificano migliorandoli, riconfigurandoli, ridando forma e senso a luoghi muti e sordi. In ultimo sono progetti belli perché si potrebbero costruire tutti: perché sono reali e realistici e perché le due città dello Stretto migliorerebbero ed accrescerebbero l’identità che li accomuna in un destino storico oltre che geografico. Contro la Storia e contro la Geografia, gli uomini e le donne dell’Area dello Stretto non riescono ad unirsi, non riescono a sommare le loro forze;non riescono ad elaborare sinergie economiche, strategie comuni di sviluppo, ipotesi di investimenti sovra territoriali, piani complessi, alleanze proficue. Non si riesce. Solo passaggi giornalieri di persone che lavorano o studiano, o comprano o si fanno visitare, da una parte o dall’altra, resi sempre più difficoltosi e scomodi, mai con l’idea di una comune appartenenza, di un’identità collettiva. Questi venti progetti di architettura, su un versante e sull’altro del mare che ci accomuna, tessono una tela ideale, nel segno del ricordo straziante ci uniscono. Tra febbraio e marzo del 2007 ho mandato gli inviti, tra febbraio e maggio del 2008 ho ricevuto i progetti. Poi il mio dono, il tempo da dedicare alla preparazione di un libro che contenesse i risultati di questa iniziativa. Gli architetti in quanto intellettuali devono produrre idee, possibilmente belle. Una volta espresse le idee appartengono a tutta la comunità civile. Questo è l’elenco di tutte le persone di buona volontà che hanno dedicato del tempo e dell’ingegno a questa mia iniziativa, li ringrazio tutti profondamente, senza questa loro

fatica il valore di testimonianza di questa ricorrenza, non ci sarebbe stata: Rocco Addesi, Ottavio Amaro, Marinella A r e n a , M a u r i z i o Ave r s a , Maria Azzalin, Rosario Badessa, Marianna Battaglia, Fabrizia Berlingeri, Salvatore Bettino, Salvo Bonaventura, Calogero Brancatelli, Serena Calcopietro, Desirée Campolo, Giorgio Cannizzaro, Annabella Cappellani, Daria Caruso, Emanuele Cassibba, Luisa Chiaromonte, Valerio Chiovaro, Giovanna Cogliandro, Daniele Colistra, Enrico Costa, Elisa Crimi, Andrea Cristelli, Ketty D’Atena, Alberto De Capua, Bartolo Doria, Gabriella Falcomatà, Francesca Faro, Francesco Fragale, Alessandra Foca, Adriana Galbo, Gaetano Ginex, Carmine Gioffrè, Vincenzo Gioffrè, Alba Guerrera, Antonino Guerrera, Andrea Ieropoli, Giovanni Laganà, Massimo Lauria, Andrea Lonetti, Tindara Maimone, Tommaso Maimone, Giorgio Marchese, Laura Marino, Giuseppe Mazzacuva, Tommaso Melchini, Francesco Messina, Giuseppe Messina, Velia Messina, Luana Messineo, Valerio Morabito, Loredana Musolino, Consuelo Nava, Attilio Nesi, Annunziata Oteri, Alessia Rita Palermiti, Francesca Passalacqua, Beniamino Polimeni, Michelangelo Pugliese, Paola Raffa, Stefania Raschi, Patrizia Raso, Antonella Riotto, Simona Rizzo, Trieste Russitto, Chiara Scali, Giuseppe Scarcella, Gabriella Sgrò, Daniela Sidari, Giuseppe Smeriglio, Giovanni Tebala, Daniele Tirotta, Fabio Todesco, Marina Tornatora, Domenico Tosto, Corrado Trombetta, Angela Velletri, ClaraStella Vicari-Aversa, Carmela Zuco. (I progetti che documento, per questo numero di Città e Territorio, sono solo quelli relativi alla città di Messina ed al suo territorio).

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dimensionali diversi. Sono spazi sotterranei, ipogei, e anche spazi aperti, ampi, luminosi. Sono cavità ombrose o gallerie, stanze o percorsi, o strettoie. Sono tutte modalità di architetture solide, imparentate strettamente con la storia dell’architettura e con tutte le modalità con le quali si è espressa, pur con linguaggi diversi, lungo le epoche. Sono però e comunque progetti moderni, nel senso di contemporanei, quindi non nostalgici, o eclettici, o in stile, o aulici: dunque materiali contemporanei, figure e forme che dell’astrazione, della linearità, del prosciugamento della parola, del rigore e dell’essenza. Sono progetti belli perché non fanno della dimensione un limite. Alcuni agiscono alla grande scala territoriale, oggi si dice paesaggistica, dove è coinvolta la natura, la grande distanza, la misura geografica sia dello sguardo che del segno; utilizzando sia gli elementi artificiali che naturali, coinvolgendo i grandi segni delle fiumare comuni ai due opposti territori, o le colline dei rilievi montuosi che premono sulle due città, o il porto, o l’intera area dello Stretto. Altri hanno scelto parti urbane di media grandezza e consistenza. Soprattutto, e non poteva essere diversamente, tratti di lungomare, tratti di costa, tratti di fronte a mare sia urbano che periferico; ma anche parti interne centrali e consolidate, della città. Altri ancora hanno invece lavorato ad una scala piccola, a volte interstiziale. Hanno scelto la strada della ricucitura urbana o architettonica, della cicatrizzazione dei vuoti; oppure della sistemazione del suolo, della leggerezza, della superficie piana orizzontale, della terra. Ed infine sono belli perché

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Messina prima del 28 dicembre 1908 di Bruno VILLARI elle settimane successive alla catastrofe del 1908 gli spiriti considerati fra i più illuminati e accorti, dissero che la città ricostruita sulle rovine della vecchia avrebbe dato inizio a un nuovo rinascimento. Era vero che le macerie avevano seppellito i cittadini, i tesori d’arte, i monumenti, i gioielli architettonici, ma non avevano seppellito il cuore della città.Quella rude spallata della natura si diceva - è vero che aveva disteso su Messina una cortina divisoria che concludeva

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una lunga storia di vivace protagonismo, ma avrebbe dato inizio a una rinascita destinata a oscurare il pur florido passato. Previsioni ottimistiche suggerite dall’amore verso la propria città, ma scarsamente realistiche e che non tenevano conto, come insegnava la storia, che i crolli di qualunque natura condannano la comunità colpita per almeno i cinquant’anni successivi. A Messina era già accaduto con il crollo del regime borbonico. All’indomani della libera-

zione garibaldina il sindaco Felice Silipigni non sapeva da dove cominciare. E tuttavia, malgrado il mare di guai in cui era immersa la città, egli non trovò di meglio, nell’ottobre 1861, che inviare una commissione a Napoli per chiedere al re sabaudo la demolizione dei forti che circondavano Un giovane ciabattino attorniato da ragazzi nella sua bottega in strada nella Messina di metà ottocento.


to dell’imperatrice Eugenia, ebbe l’incarico di nunzio apostolico presso la corte di Napoleone III.Ma servendosi del fratello Carlo Vittore, vescovo di S.Lucia del Mela, continuò per molti anni a ispirare l’atteggiamento ostile della diocesi messinese nei confronti delle istituzioni pubbliche e a sostenere i comitati filoborbonici che si erano costituiti nel Meridione. Nel 1865 - dopo tre anni dai fatti accaduti a Fantina nel settembre 1862 - si diffuse a Messina la notizia che cinque militari e due civili di una colonna di volontari in transito arruolati a Palermo da Garibaldi per attaccare Roma, erano stati fucilati per iniziativa arbitraria del maggiore Giuseppe De Villata che comandava il reparto inviato dal comando militare di Messina per fermarla. La

notizia sollevò un’ondata di sdegno in città anche perché si seppe che l’ufficiale non aveva fatto rapporto sull’accaduto evidentemente consapevole delle proprie gravi responsabilità, confermate anche dalla circostanza che il Comando di Messina, su richiesta dello Stato Maggiore dell’Esercito, aveva chiesto al Comune di Novara Sicilia un rapporto sui fatti e i nomi dei fucilati. Quando il sindaco di Novara inviò il

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la città. Iniziativa quanto mai grottesca se si pensa che le strade erano colme di rifiuti che i cittadini lasciavano dappertutto; e a tre mesi dalla liberazione non si era ancora pensato di organizzare un servizio di raccolta.Con l’inizio delle piogge autunnali fra buche, fango, pozzanghere e rifiuti galleggianti, il transito urbano era possibile soltanto sui carretti o i carri tirati da buoi. Nel febbraio del ’61 la nuova giunta si dimise precipitosamente lasciando la città in mano all’inetto governatore milazzese Domenico Piraino. La chiesa, ostile al nuovo regime liberal-massonico, non solo se la rideva, ma scavava sotto le fragili strutture della nuova amministrazione. A tenere i fili della resistenza al nuovo corso era sempre il vescovo della diocesi messinese Giuseppe Maria Papardo, principe del Parco, esule alla corte papale da dove continuava a ispirare l’atteggiamento ostile contro le istituzioni, continuando e incassare il ricco appannaggio di 400 onze della diocesi. Papardo era per la Chiesa un prelato eroico, degno della porpora cardinalizia per avere subito una condanna di espulsione dalla Sicilia da parte del dittatore.Infatti nell’agosto di quell’anno era stato esiliato da Garibaldi con l’accusa di attività sovversiva nei confronti del governo dittatoriale. Il vescovo, infatti, non soddisfatto di avere pubblicamente definito i garibaldini “predoni, disperati, nemici della giustizia e dell’ordine”, cioè malfattori, si era rifiutato di riconoscere il governo dittatoriale. La commissione che lo giudicò non emise però sentenza sicuramente per vigliaccheria e così il prelato fu esiliato con provvedimento amministrativo del dittatore. In seguito, con l’appoggio del cardinale Antonelli e il beneplaci-

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Raffaele Villari. Sotto, studenti di fine ottocento durante una escursione in campagna.

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rapporto, il giudice istruttore del Tribunale di Messina, Ludovico Fulci, aprì un’inchiesta che il Procuratore generale gli impedì di concludere rimuovendolo dall’incarico. Alla fine del ’61 il Comune non era ancora riuscito a disciplinare il commercio al minuto lasciando che i peggiori elementi cittadini occupassero abusivamente il suolo pubblico e vendessero senza controllo merce di provenienza in gran parte illecita. Né l’amministrazione prodittatoriale né quella luogotenenziale furono in grado di arginare il crescente fenomeno della corruzione. Appalti di favore, concessioni in esclusiva, gare truccate, posti negli uffici pubblici ad amici e ai maggiori offerenti, improvvise conversioni politiche, rischiavano di infangare e travolgere la rivoluzione.La stampa chiedeva con insistenza maggiore efficienza e rapidità della giustizia e lamentava la diffusione della criminalità, dell’insufficienza e inefficienza della forza pubblica. Anche

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sotto il profilo delle libertà individuali le prospettive non erano incoraggianti.I funzionari mandati da Torino avevano la stessa arroganza di quelli che mandava Napoli. I fautori del passato regime, protetti dall’anonimato e spesso dalla tolleranza tattica dei prefetti e dei questori, strumenti dei governi della destra, preoccupati di liquidare la sinistra mazziniana e radicale, attaccano con acredine (ma talvolta mirano giusto) i patrioti più in vista e più amati che avevano combattuto con Garibaldi, accusandoli ignobilmente di gravi delitti e abusi. Attacchi assurdi a cui nessuno credeva e che contribuivano notevolmente a creare un’atmosfera di sospetti nei confronti dei prefetti e delle istituzioni che li tolleravano e/o incoraggiavano. Ed erano in tanti che già giudicavano preferibile la calunnia ai tempi del regime borbonico perché almeno non era anonima. Dietro le porte delle chiese, dei palazzi patrizi e sulle soglie dei caffè lan-

gue una moltitudine di ragazzi abbandonati e di mendicanti, di dementi e derelitti a cui nessuno stende una mano. Anzi si chiede spesso al questore di internarli, ma soltanto per togliere quello sconcio alla vista dei galantuomini e dei forestieri. Nel 1865 Elisé Reclus scriveva che “la guerra, i bombardamenti (borbonici), i terremoti (quello del 1873 in particolare) rendono ampia ragione se Messina, favorita da posizione posizione sì felice, non abbia acquisita tutta l’importanza di cui sarebbe meritevole…”. Ma era convinto che la città si sarebbe ripresa al più presto quel posto che meritava con la costruzione della ferrovia Messina-Catania e “…allora non si dovrà più che fabbricare un viadotto fra le due rive opposte e la grande unione sarà compiuta”. A denunciare i problemi era Piazza Duomo all’inizio del novecento.


tanamento che le masse percepivano come un tradimento e che aveva finito col suscitare un malcontento mai raggiunto contro l’amministrazione borbonica. A mano a mano che cresce nei messinesi la percezione della lotta sociale, il partito democratico allarga il proprio messaggio a tutti gli uomini che condividono con esso le fondamentali aspirazioni di uguaglianza, libertà, emancipazione e benessere economico, senza discriminazioni ideologiche, religiose e sociali. Uniti in questa battaglia molti intellettuali messinesi di varia estrazione culturale e politica, da Emanuele Pancaldo a Tommaso Cannizzaro, da Raffaele Villari a Saja Merlino, da Ludovico Fulci a Luigi Pellegrino e tanti altri, aprono un dibattito che richiama un ampio interesse da tutta Italia su Messina e, in particolare, l’attenzione di Giovanni Bovio, di Felice Cavallotti, del messinese Francesco Guardione, del triumviro della Repubblica

romana Aurelio Saffi, di Edoardo Pantano, Napoleone Colajanni, Mazzini e Garibaldi. Il dibattito ha momenti di alta tensione dialettica e porta fatalmente a una successiva diversificazione allorquando la disputa fra Mazzini e Bakunin (cioè fra repubblicani e internazionalisti) diviene aperto dissidio. Questo vivace dibattito che non fu indolore (l’elenco delle testate sequestrate è piuttosto lungo, e quello degli arrestati lo è ancora di più), fu anche uno dei momenti di maggiore stimolo e aggregazione nella nostra città. Fu il momento di massima fusione e collaborazione fra intellettuali e popolo. Un’esperienza che trapiantò nel petto della città un cuore sano, forte e generoso che purtroppo fu seppellito sotto le rovine del 28 dicembre 1908. All’inizio degli anni Ottanta, a causa delle aggravate difficoltà economiche e il crescente disagio dei lavoratori, la città comincia a prendere le distanze dalle teorie enunciate da

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soprattutto il partito democratico che non sempre riusciva a dissimulare la delusione di essere stato escluso dal governo del paese dopo avere combattuto sulle barricate e sui campi di battaglia per realizzare una nuova società fondata sui principi che aveva agitato nella clandestinità. Ma dopo il ’70 la Sinistra affronta con maggiore impegno ideologico e operativo i problemi economici e sociali della città. La Società operaia di mutuo soccorso e d’istruzione diviene sempre più il punto di riferimento di una crescita sociale che aprirebbe nuove prospettive di lotta alle classi più deboli. Attorno a questi obiettivi si vanno coagulando varie correnti ideologiche, dalla sinistra radicale alla fazione democratica moderata, che si riconosceranno nella comune disapprovazione della politica della destra la quale era accusata di essere oramai lontana dalle premesse preunitarie che ne avevano motivato la partecipazione alla rivoluzione.Allon-

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Mazzini nel manifesto del ’74 per tendere verso una revisione in senso socialista. E malgrado ciò o forse per questo confuso intrecciarsi anche trasversale delle idee, la città continua a riconoscersi ancora in quegli spiriti onesti che dibattono i suoi problemi nelle piazze e sui giornali cittadini con l’impegno e la cura degli artigiani. La gente cioè intuisce che mazziniani o socialisti, massoni o cattolici, monarchici o repubblicani, gli uomini del Risorgimento e delle barricate sono i suoi veri rappresentanti, i soli a lottare a patire la persecuzione e il carcere per strappare al potere benefici per tutti. Ed è significativo che alle elezioni del ’74 l’affluenza alle urne sarà del 68,5% superando per la prima volta la media dell’insieme delle altre regioni. Tuttavia la direzione del Comune - il sindaco è nominato ancora con decreto reale - resta saldamente nelle mani della solita borghesia cittadina, con molti N.4-5 Luglio/Ottobre 2008

titoli nobiliari e pochi ideali, molto sospettata per un passato di titubanze, titolare di vasti interessi che la rivoluzione non era riuscita neanche a scalfire e che il nuovo Stato aveva anzi garantito. Vi sono alcuni parametri che possono dare un quadro, peraltro sommario, di quel primo ventennio unitario. Dal 1860 al 1882 la popolazione è cresciuta di 17.000 unità, abbastanza poche pur tenendo conto che il colera del ’67 aveva fatto alcune migliaia di vittime. Ma sicuramente il Comune aveva fatto poco o nulla per limitare il salasso della mortalità infantile i cui indici non furono inferiori a quelli preunitari. Fino agli anni Settanta non c’è una sola voce nelle deliberazioni comunali che riguardi provvedimenti in materia di pubblica sanità se si eccettuano le misure, peraltro inadeguate, per fronteggiare il colera del 1867.Bisogna attendere il 1871 per avere un regolamento di polizia urbana.Solo

La riviera di Pace con la linea tranviaria prima del terremoto. allora vengono approvate norme che riguardano l’igiene nella vendita dei prodotti alimentari, gli incendi, la discarica e lo scolo di acque malsane, i pozzi neri, il transito e la custodia degli animali, il deposito di rifiuti solidi per le strade e così via. Ma ancora dopo il ’71 i cadaveri dell’ospedale civico (il fatiscente ospedale cinquecentesco del Calamech) verranno ancora trasportati a mucchi, sopra brandine scoperte, per il seppellimento a Mare grosso. Il primo piano edilizio di ampliamento della città viene presentato soltanto nel 1867. I prefetti e i questori, estranei agli interessi della città e talvolta anche ostili, si occupano prevalentemente di spiare l’umore della gente e leggere attentamente i giornali non allineati per potere riferire al governo e prendere provvedimenti


CITTÀ&TERRITORIO L’arsenale e sullo sfondo la Palazzata di Messina in un’immagine antecedente al 1908. restrittivi nei confronti dei “socialmente pericolosi”o provvedimenti di sequestro delle testate che incitano all’odio di classe, che offendono l’istituto monarchico e simili pretesti. La polizia e la magistratura hanno occhi e orecchi dappertutto e perseguitano spesso con accanimento i giornali e gli intellettuali socialisti o ritenuti tali. Le circolari che riguardano gli scioperi, traboccano di grossolana ipocrisia: “…è dovere dell’età nostra il procurare che migliorino in tutto le classi operaie. Ma perciò appunto conviene proteggere le classi stesse contro le lusinghe insidiatrici di coloro che sotto la specie di maggiore bene mirano a travolgerle nelle agitazioni politiche e sociali: delle quali agitazioni le classi medesime

sarebbero le prime a ricevere danno”. Infatti gli ordini sono quelli di “ … prevenire …e, occorrendo, reprimere efficacemente i disordini…”. In altre parole mettere in galera preventivamente i soliti marchiati di sovversivismo e menare botte da orbi su chi manifesta. La situazione dell’ordine pubblico minaccia di precipitare anche per il rapido aumento dei prezzi. Fortunatamente c’è anche qualche buona notizia, come il massimo premio conferito al pittore Dario Querci e agli incisori Cucinotta e Micali, allievi di Aloysio Juvara, all’Esposizione universale di Vienna del 1873.Ma anche l’arrivo in porto del vapore Maddaloni di Nino Bixio diretto in oriente per aprire nuovi mercati, a cui vengono consegnati campioni dei nostri prodotti nella speranza di aprire quei mercati alla nostra pallida economia. Ma fu speranza vana. Vista la china in cui sta sci-

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volando la città, il Consiglio comunale nomina una commissione la quale conclude i suoi lavori scrivendo che la crisi è generale e non c’è niente da fare. Parlando nel ’75 al Circolo dei commercianti il deputato Tamajo si scaglia contro gli amministratori considerati inetti e traffichini e sui quali cadrebbe la responsabilità della crisi. E senza mezzi termini invita la cittadinanza a nominare delle commissioni di esperti e trattare direttamente col governo scavalcando gli amministratori. Ma non se ne fa niente. Dall’inchiesta parlamentare Franchetti-Sonnino emergono giudizi al vetriolo sulla dogana, sulle poste, sulla manifattura dei tabacchi, sulla questura, sulle caserme, sull’università e in pratica su tutte le strutture pubbliche. Particolarmente severo il giudizio sugli ospedali. Messo con le spalle al muro il Comune è costretto a nominare a sua volta una commissione d’inchiesta, presieduta N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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dall’architetto Leone Savoja, per lavare pubblicamente i panni sporchi dell’Ospedale civico. Fatta da gente onesta e perbene la Commissione non guarda nessuno in faccia e scrive una relazione incandescente dalla quale emerge intanto che l’ospedale manca di tutto:cibo, bende, ferri chirurgici, medicine e disinfettanti, apparecchiature per le diagnosi, reagenti chimici e perfino di un archivio. Ancora più disastrosa si rivela la condizione nelle corsie dove la biancheria, le coperte e i pagliericci sono insufficienti e malridotti. Mancano perfino i reparti per i contagiosi. La sala per i malati di mente è “qualcosa di peggio che un serraglio di bestie immonde”. La commissione rileva con una punta di macabra ironia, che la camera mortuaria e la sala anatomica sono proprio accanto a quella chirurgica. La ferrovia Messina-Catania non aveva prodotto i benefici sperati specialmente a causa dell’apertura della tratta CataUn anonimo ufficiale della guarnigione della Piazza di Messina (1894 ca.)

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CITTÀ&TERRITORIO nia-Caltanissetta che aveva sottratto a Messina il beneficio delle franchigie doganali (come previsto da una legge del ’65) e avvicinato il porto di Catania a due passi dalle miniere di zolfo. In una situazione economica così difficile, l’occupazione francese della Tunisia nel 1881, dirottando molti prodotti d’importazione verso i porti francesi e bloccando alcuni pro-

dotti tradizionali della nostra esportazione in Tunisia, aggrava notevolmente i già gravi problemi dell’occupazione. Il paese intero si agita, la Sicilia freme, Messina si dispera. Lo Stato italiano cerca di reagire allo scacco, ma teme un confronto armato con la Francia. E non trova di meglio che stanziare montagne di milioni per finanziare la costruzione di forti lungo le costa nazionali, specialmente in Liguria e Sicilia obiettivo, quest’ultimo, secondo i nostri strateghi, esposto a un attacco dalla Tunisia. Sulla costa dello Stretto perciò se ne costruiscono una trentina che serviranno soltanto a strappare dalla fame per alcuni anni centinaia di disoccupati delle due sponde.Nel complesso però sono soldi persi che potevano essere impiegati per grandi lavori civili nel Sud e quindi anche in Sicilia. Visto il disinteresse del nuovo Stato per i gravi problemi della Sicilia, la sinistra repubblicana di Palermo prende l’iniziativa di costituire l’Associazione radicale siciliana che riuni-

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Passaggio del tram davanti alla rivendita tabacchi Magazzini Bonaccorso. sce in federazione le Società operaie siciliane e alla quale aderiscono i più noti socialisti dell’isola e, naturalmente,il movimento operaio di Messina. Le più pesanti accuse al governo riguardavano la vendita dei beni ecclesiastici e l’imposta sul macinato. A nessuno era sfuggito che dei 250 milioni incassati dello Stato fra il ’62 e l’81, dalla vendita di conventi e proprietà della chiesa, soltanto poche briciole erano state impiegate nell’isola per lo sviluppo industriale;dal ricavato dell’imposta sul macinato, neanche un centesimo. Dunque era l’ora di passare all’offensiva e chiedere a pugni chiusi le risorse per il decollo dell’economia. L’inchiesta Fianchetti-Sonnino, del resto, aveva avvertito che se lo Stato non si fosse adoperato per mutare le condizioni delle classi umili, queste non avrebbero avuto altra alternativa che N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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il ricorso alla violenza. La risposta alla costituzione dell’Associazione radicale e all’avvertimento esplicito della Franchetti-Sonnino fu quella di rafforzare le guarnigioni militari dell’isola per essere pronte a soffocare nel sangue ogni tentativo di rivolta, come era avvenuto a Palermo nel ’66 dove l’esercito intervenne con barbarica irruenza o esemplare severità, a seconda dei punti di vista. Il 18 marzo 1882, verso le 9 del mattino, gruppi di persone cominciano ad aggirarsi nella piazza del Municipio. Verso le 11 sono migliaia i cittadini che fanno ressa intorno ad un uomo piccolo e magro, baffetti e pizzo alla moda, il viso pallido ma l’occhio intenso.Sì l’occhio, un solo occhio perché l’altro l’aveva perduto a Catania nel 1848 dove aveva combattuto fra gli insorti insieme al padre Salvatore e al fratello Nicola, tutti eroici patrioti a Messina dove era caduto il fratello Giu-

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seppe caduto agitando la bandiera italiana sugli spalti del forte Real Basso. Dopo la caduta della città, ai primi di settembre, i tre Bensaja erano fuggiti a Palermo dove si combatteva ancora. Caduta anche Palermo si erano rifugiati a Catania per battersi ancora contro le truppe di Filangeri. Rientrati a Messina dopo il decreto di amnistia, i Bensaja impiantarono un’impresa di esportazione di vini soprattutto per la Francia. Durante il colera del ’54 molti messinesi avevano trovato ristoro e vettovaglie nella loro dimora di Borgo Portalegni. Nel ’59, malgrado la stretta sorveglianza della polizia borbonica, la loro casa ospitava un centinaio di cospiratori di varie città dell’isola, della Calabria e di altre regioni italiane. Quando il cerchio della polizia si strinse, gran parte di quei ricercati, grazie alla protezione del console di Francia, trovò

rifugio su un mercantile francese precedendo di poco l’intendente Celesti che cercò comunque di salire a bordo e farseli consegnare dal comandante, incurante di provocare così un incidente diplomatico che, visto il numeroso stuolo dei ricercati che si potevano assicurare alla giustizia, valeva la pena di rischiare.Ma dalla cannoniera Intrepid, ormeggiata poco distante, saltò giù una squadra di marinai francesi armati di fucile che dissuasero Celesti dal suo proposito. Così i Bensaja e gli altri raggiunsero Marsiglia e poi Genova quand’era già la primavera del 1860. Ottenuto un incontro con Garibaldi alla Villa Spinola, Salvatore Bensaja gli chiese di arruolare lui e i suoi due figli. Ma Garibaldi accettò soltanto i due giovani e a lui chiese di tornare in Sicilia e svolgere opera di supporto mediatico e logistico. Il Bensaja par tì per Malta e raggiunse Catania clan-


e si fa interprete della fede tradita e delle attese deluse. Egli ricorda che malgrado le promesse di due sovrani, di molti governi di destra e di sinistra e di tutti gli uomini politici eletti dalla città, Messina non ha ancora il bacino di carenaggio, né usufruisce delle tariffe differenziate che avrebbero dovuto compensare della perdita del portofranco e degli altri benefici soppressi nel 1865. E si ha motivo di temere che la promessa rettilinea MessinaPalermo devierà su Milazzo col rischio di un altro brutto colpo all’economia già asfittica della città Egli accusa i parlamentari messinesi Pellegrino e Picardi di incapacità e disinteresse e il sindaco e il prefetto di indifferenza. Poi guida il corteo alla prefettura e dopo avere conferito col prefetto il Bensaja guida il corteo in piazza Duomo dove, dalla pensilina di una carrozza da nolo, esorta la gente a sciogliersi, dopo avere minacciato la rivolta se

il governo non avrebbe reso giustizia alla città. Sembrava essere tornata l’ora dei popoli ma era soltanto la rabbia incontenibile di una città tradita e sorvegliata strettamente da soldati e carabinieri minacciosi come fossero scherani di un potere straniero. In seguito a questi avvenimenti il sindaco Giuseppe Cianciafara rassegnerà le dimissioni e l’on. Pellegrino rinuncerà al mandato parlamentare.Il presidente della Camera di Commercio, riunito d’urgenza il direttivo, annuncia che partirà per Roma. Una commissione guidata da Ludovico Fulci, della quale fanno parte il garibaldino Nino De Leo, Perroni Paladini e altri, parte anch’essa per Roma insieme all’on. Picardi. Il prefetto, temendo un attacco, chiede al Comando militare di piazza tre compagnie di truppa nella prefettura.Un battaglione viene stanziato nel quar tiere S. Girolamo.L’autorizzazione per la processione di S. Giuseppe

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destinamente incontrando gli esuli colà rifugiati in attesa del momento favorevole per tornare a combattere. Dopo lo sbarco dei Mille corse a Palermo per riabbracciare i figli. Dopo la battaglia di Milazzo, dove Giovanni si era distinto, Salvatore tornò a Messina, recuperò la casa e parte degli averi e all’arrivo dei volontari in città mise a disposizione dei commilitoni dei figli tutto ciò che gli era rimasto. Dopo il ’60, disdegnando onori e ricompense, guardati con sospetto da questori e prefetti, i Bansaja scomparvero nell’ombra vivendo del ricavato dei beni via via venduti. Ma i messinesi continuarono a guardare alla loro casa di Borgo Portalegni dove non si era mai spento l’amore per la città malgrado le delusioni politiche e le tristi vicende familiari. Quella mattina del 18 marzo 1882 Giovanni Bensaja, parla con commozione ad una grande folla di cittadini esasperati

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viene revocata dal questore. E per quel giorno, il 19 marzo, in risposta alla linea dura del governo, una folla di oltre 10.000 persone si raduna in piazza Municipio agitando bandiere e fazzoletti e urlando motti di sfida contro il sindaco, il governo e le truppe che hanno circondato la piazza. Il momento è molto critico allorché Bensaja, portato a spalla da un gruppo di giovani, si rivolge ai manifestanti invitandoli alla calma. Così il corteo, percorse le principali vie cittadine, si scioglie in via Garibaldi dopo avere ascoltato le lodi del Bensaja per il contegno civile tenuto durante la manifestazione.Il pericolo della rivolta sembra oramai scongiurato grazie all’abilità e al buon senso di Giovanni Bensaja. Il pericolo della rivolta sembra per il momento scongiurato grazia all’autorevolezza e al buon senso di Giovanni Bansaja che ancora una volta ha reso un servizio ai concittadini con coraggio e intelligenza. A sera, un gruppo di manifestanti che facevano ressa dietro le porte del Vittorio Emanuele, ottiene dal questore il permesso di entrare nella sala del teatro e cantare insieme al pubblico l’inno di Garibaldi. La sera del giorno dopo un gruppo di irriducibili percorre le principali vie cittadine spegnendo le luci pubbliche.È l’ultimo rantolo della protesta. Prima dell’alba del 21 le truppe hanno già riacceso le luci e riempito le carceri. Nella notte successiva la nave Flavio Gioia, proveniente da Palermo, sbarca sulle banchine del porto un battaglione di bersaglieri, uno di fanteria e cento carabinieri.Così il governo Depretis aveva risolto i problemi della città. Per fortuna il 26 marzo arriva Garibaldi e i messinesi dimenticheranno le loro miserie per accorrere al porto e

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assiepare le strade dove sarebbe passato il leggendario eroe. Dappertutto intorno al porto e nella via Garibaldi è un grande tripudio di evviva, di musiche patriottiche e di un accorrere continuo di gente da ogni parte. La calca è incontenibile e non sembra possibile che l’amato ospite possa sbarcare dalla nave Alfredo Cappellini che insieme alla Marco Polo faceva servizio passeggeri nello Stretto. Ma improvvisamente gli evviva e la musica si affievoliscono e tacciono come se qualcuno avesse dato l’ordine del silenzio. Garibaldi scende dalla nave, ma in braccio al figlio Menotti. Garibaldi portato in braccio! Nessuno crede ai propri occhi. Il leone dalla testa bionda, il volto fiammeggiante del 27 luglio 1860, non sale più su una carrozza tirata dalla folla entusiasta, ma è deposto in una carrozzella come un bimbo! Lui, l’uomo che aveva annichilito i nemici su cento campi di battaglia, ora era tanto rinsecchito e minuscolo da potere essere contenuto in una carrozzetta spinta dal figlio Menotti! Come si può trattenere il pianto? All’Hotel Bellevue di Francesco Mazzullo, Garibaldi riceve vecchi amici, commilitoni, autorità e giornalisti. Stefano Ribera garibaldino e direttore della Gazzetta di Messina, scrisse:“…Lo vidi a Milazzo dopo una battaglia tremenda, dopo un attacco sostenuto corpo a corpo con uno squadrone di ussari… lo vidi nella piazza appoggiato al suo cavallo col suo fazzoletto buttato sul collo, mangiare tranquillamente fichi freschi e bere dell’acqua pura… lo vidi a Messina, sull’antica torre del Faro, ricevere deputazioni, esercitare il potere civile, disporre la difesa del litorale.Ordinare le manovre del Tukory, osservare col cannocchiale e in pari tempo

conversare, mangiare soldatescamente del pane, del prosciutto e della frutta sicuro nella sua missione. Oggi lo rivedo dopo ventidue anni:sono bianchi i suoi biondi capelli, è pallido, sofferente, affranto, tormentato dall’artrite.Non più sul suo cavallo baio, ma tirato sul suo carroccino come un bimbo. E solo da un certo lampeggio fatale del suo sguardo pieno di fosforo e di bontà; solo attraverso un certo che di soggiogante, d’imperioso,d’affascinante che emana da quella fisionomia, tu puoi immaginare che quegli è Giuseppe Garibaldi”. Nel pomeriggio del 27 la carrozza del Generale esce dal portone del Belle Vue salutata da un boato di “Viva Garibaldi”.Egli è adagiato in mezzo a cuscini e gli è accanto la moglie Francesca Armosino.È molto commosso e solleva appena il braccio per salutare la folla. Di fronte a lui è seduto il conte Marullo, sindaco f.f., e in cassetta, accanto al cocchiere è seduto il garibaldino Bonfiglio. Sulla carrozza che segue sono i figli Menotti, Clelia e Manlio, Giovanni Bensaja, Greco Ardizzone, a cui ha donato i capelli tagliati in albergo, il fedele Fazzari (che gli scrive le lettere e spesso firmandole a causa dell’infermità dell’Eroe) e altri. La città è tutta sulle strade.Finestre, balconi, abbaini, tetti, inferriate, case diroccate, edifici in costruzione e ogni buco, sono pieni di gente che acclama e agita fazzoletti. Molti i fazzoletti che asciugano lacrime.“È una marcia trionfale”, scrive il cronista. Alla stazione, quando Menotti prende il padre in braccio e lo adagia sulla carrozzella, la gente ammutolisce. Garibaldi bacia Marullo e dice che baciando lui bacia tutta la popolazione della gloriosa città. Poi bacia Giovanni Bensaja ed è vinto da commozione


CITTÀ&TERRITORIO incontenibile. Forse avrebbe voluto dire che baciando lui baciava tutti i Mille che lo avevano seguito nella più gloriosa impresa della sua vita. Ma un nodo nella gola glielo impedì. Verso la fine degli anni Ottanta le condizioni economiche della città sembravano migliorare malgrado l’instabilità delle amministrazioni comunali e la scarsa autorevolezza dei sindaci di nomina regia.Ma anche il primo sindaco eletto dal consiglio comunale, Giacomo Natoli, fu costretto a dimettersi dopo circa due anni di carica e il governo nominò un commissario straordinario, il primo di una lunga serie. La repressione dei Fasci del ’94 ebbe ripercussioni dolorosa anche a Messina specialmente per il dissidio fra Nicola Petrina e Giovanni Noè, i due maggiori esponenti della sinistra cittadina.In quel periodo fece molta eco nel paese un discorso di Giovanni Pascoli, professore di letteratura latina, nell’ateneo

peloritano nel giugno del 1900, durante le manifestazioni delle feste universitarie. Trascinato dal clima goliardico e dalla massiccia presenza di studenti socialisti, ma anche tradito dal riaffiorare dei vecchi ideali giovanili, Pascoli lanciò in quell’occasione l’idea di un socialismo patriottico non meglio specificato che, comunque, sollevò un’ondata di entusiasmo ma anche molte alzate di spalle e di chiarimenti a cominciare da quello di Vittorio Cian che tentò di spiegare malaccortamente il socialismo di Pascoli in un articolo comparso su Nuova Antologia. Poi intervenne Petrina con un tono talmente pungente da costringere il poeta a rispondere per salvaguardare il prestigio conquistato fra i giovani socialisti messinesi.E scrisse: “…io mi sento più vicino a voi (cioè ai socialisti)…vicino ai vostri cuori se non alle vostre teste…io sto coi miseri…”. E poi disse anche l’esatto contrario: “…Dove sono le classi

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in Italia ? Povera borghesia di proprietari…di commercianti…di industriali…Povera borghesia che non marita le figliole! Almeno voi, proletari e proletarie, potete saziarvi d’amore…”. E infine: “…patriottismo per noi italiani equivale a socialismo…”.Così i messinesi, anzi gli italiani, seppero che cos’era il socialismo patriottico di Pascoli. Negli ultimi anni dell’800 Messina è una città povera ma gaia. Le tre grandi strade che l’attraversavano da nord a sud, la Cavour, la Garibaldi e la Vittorio Emanuele, vive e solenni per molti aspetti, ne sintetizzano nei toponimi la storia recente e la forte italianità. Ma sono anche anni che vedono il declino della sinistra e l’aggregazione delle coalizioni clerico-conservatrici.Sono anche gli anni di Concetto Marchesi e dei primi bagliori dell’astro di Francesco Lo Sardo che si mette in mostra come tenace oppositore del riformismo e della collaborazione di classe. N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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Ma la scena del potere reale è ancora dominata dai due grandi gruppi conservatori e monarchici che fanno capo al barone Ernesto Ciancialo e al barone Giacomo Natoli. Dentro questi gruppi ci sono i più bei nomi dell’aristocrazia cittadina, dal conte Marullo al marchese Cassibile, al barone Salvatore Forzano. Ci sono anche i bei nomi dell’alta borghesia, dagli avvocati Ludovico e Nicolò Fulci, a Giuseppe Arigò, Gaetano D’Arrigo e Antonino Martino, e i professori Giacomo Macrì e Gaetano Oliva. La piccola e variegata pattuglia degli oppositori democratici, i cosiddetti cani da guardia, spesso divisa da conflitti ideologici, e che fa capo a Nino De Leo, a Raffaele Villari, a Tommaso Cannizzaro, a Letterio Granata, Nicola Petrina e Giovanni Noè, sembra oramai in gravi difficoltà. Intanto l’Expo di Parigi, annunciando il nuovo secolo, aveva detto chiaro e tondo che bisognava cambiare la mentalità come erano cambiate le abitudini alimentari, l’abbigliaN.4-5 Luglio/Ottobre 2008

mento, la poesia, la musica, le arti figurative e la vita domestica. Qualcuno pensava già che si potevano fare macchine per tutto, anche per volare. C’erano due signori parigini che avevano perfino costruito una cassetta a manovella che proiettava su uno schermo immagini in movimento.Anche a Messina s’era tentato qualcosa di simile ma non aveva avuto seguito. Nella fotografia invece si affermava fra gli altri i Nicotra e Giovanni Benincasa, che fu il primo a introdurre il dagherrotipo a Messina. Ma fra tutti si distinse Ledru Mauro che fu anche fotografo di guerra nella campagna d’Africa del 1896. Era infatti alla battaglia di Adua al seguito della Brigata Dabormida. Il panorama culturale della città agli inizi del ‘900 è ancora dominato dagli intellettuali che si erano formati alla severa scuola post risorgimentale. Erano nella gran parte raggruppati nella Società messinese di storia patria fondata dal professore napo-

letano Giacomo Tropea nel 1899 e furono molto attivi nella pubblicistica storica. Anzi, proprio grazie alle loro attente ricerche, regolarmente pubblicate su Archivio storico messinese, si sono potute conservare notizie e documentazioni di grande interesse. Ma si andava affermando anche una nuova generazione come il musicista novarese Riccardo Casalaina e il messinese Eduardo Boner, il poeta delle inquietudini crepuscolari spesso in giro per l’Europa dove portava sempre nel cuore l’intenso amore per la città natale che egli sognava di incoronare un giorno “d’eliconia fronda”. Il mondo delle arti figurative vive ancora nella suggestione della fama di Giacomo Conti e di Dario Querci i due maggiori seguaci dell’arte romantica messinese. Ma già la nuova pittura di intenzione verista ha trovato il proprio spazio. A questa schiera di timidi innovatori appartengono Gregorio Panebianco, autore del “quadretto” legger-


graziose amazzoni, fanno bella mostra nei viali dello chalet montando stupende cavalcature lucide coma l’acciaio. Le sale da scherma hanno fama di essere fra le migliori del Sud e ciascuna vanta nella propria storia celebri maestri come Raffaele Basile che aveva vinto in duello il famoso Achille Parise che nella sfida rappresentava gli ufficiali della guarnigione borbonica. I duelli, spesso mortali, si svolgono alla Cittadella, nei parchi delle residenze estive della nobiltà o nei giardini dei ristoranti alla moda sui laghi. Rimase celebre quello alla sciabola fra l’avvocato Salvatore Russo e il sergente di cavalleria Vincenzo Ciancialo che ebbe luogo alla Cittadella nel settembre 1895 “per questioni assai intime”. I due si scontrarono a dorso nudo e senza guanti, segno che volevano uccidersi. Al primo assalto i sergente vibrò un gran fendente alla testa del Russo ma non riuscì a spaccargli il cranio e ucciderlo perché la sciabola gli ruotò nella mano. Al secondo assalto il Russo fu ferito ancora di taglio al braccio destro ma riuscì a infilare la sua sciabola nell’emitorace destro del sergente tagliandogli l’aorta. Il povero Ciancialo “girò su se stesso e cadde a terra cadavere, in un mare di sangue”. Il 24 dicembre 1908 la città vive la vigilia di Natale invadendo le strade e i mercati.C’è ressa dappertutto e dappertutto c’è il ben di Dio: frutta secca, arance, limoni e perfino ciliegie, pesche e albicocche. Le ceste dei pescivendoli sono colme di pescato fresco e variopinto e in grandi catini colmi d’acqua guizzano nerissime anguille. Banditori ben rasati e lustri, col basilico sull’orecchio e uno stacchino all’angolo della bocca, girano lentamente attorno alle ceste decantando la freschezza e la

bontà della merce, mentre le gente si accalca andando, tornando e confrontando prezzi e prodotti.A sera le strade sono quasi deserte. Solo pochi passanti si avviano frettolosamente verso casa con le mani infilate dentro le tasche e il collo incassato dentro le spalle. La vita è tutta dentro le case vetuste e fragili, dalla pietre connesse con calce e i soffitti di canne. Nelle cucine le donne armeggiano accanto ai fornelli fumiganti di olio fritto e di carbone bagnato. I vecchi siedono attorno al braciere. I ragazzi giocano a tombola attorno alla grande tavola che fra poco sarà apparecchiata per la cena a base di pidoni e spinci, pesce e braciole, arance, manderini, frutta secca e fiaschi di vino rosso adagiati fin dal mattino in una tinozza colma di ghiaccio coperto con stracci di canapa. I fumatori di pipa e mezzi toscani giocano a briscola su una tavola per lavare i panni posta su un barilotto vuoto. Nel fondo della notte, al suono della campane delle chiese tutti si alzano dai tavoli, indossano sciarpe e cappotti e accorrono in chiesa per partecipare alle funzioni della Natività e vegliando per lunghe ore con canti e preghiere. Finalmente alle tre nasce il Bambino e le strade si popolano di interminabili processioni di vergini, monache, preti, pie donne, uomini incappucciati, stendardi e tanto incenso inebriante. Tutto alla luce di sfolgoranti fiaccole multicolori. Poi è di nuovo tutto silenzio fino alla tarda dell’indomani.La sera del 27 quelli dei Circoli alla moda porteranno le loro donne ingioiellate al teatro per l’Aida; gli altri passeranno la serata in casa davanti a un fiasco di vino o con l’ago in mano a rammendare camicie e calzini ma alle cinque della mattina dopo, tutti si ritroveranno a quell’appuntamento fatale.

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mente impressionista dell’evacuazione della Cittadella, e Placido Di Bella, un artista che secondo i critici si affacciava alla ribalta con molti connotati di originalità e di vigore espressivo. Ma si potrebbero ancora citare una trentina di artisti che esposero le loro opere alla mostra “Arte e fiori” del 1900. Di alcuni di essi è anche rimasta un’ampia traccia, specialmente di Placido Lucà Trombetta, già allievo di Michele Panebianco e di Tommaso Aloysio Juvara, pittore fecondo e spesso incisivo come appare dal ritratto dello scultore Antonio Gangeri e da alcuni ritratti di personaggi illustri in possesso di collezionisti privati. Anche la vita quotidiana offre motivi di vario interesse. La nobiltà e la borghesia delle professioni e degli affari gravitano attorno al Tiro a segno, al Gabinetto di lettura, al Circolo canottieri, al Nuovo circolo del corso Vittorio Emanuela, ma soprattutto al Salone della borsa dove si gioca, si danza, si discute di politica e di affari, si combinano e scombinano alleanze, si fanno incontri importanti. Sul corso Vittorio Emanuele la numerosa colonia inglese della città ha anche aperto un Gabinetto di lettura per i marittimi in transito. Spesso si va ai laghi con le carrozze, ma alcuni audaci ci vanno anche con i tricicli a motore e perfino con le automobili a quattro ruote. I piccoli borghesi si consolano con la bicicletta che dopo gli esordi aristocratici era diventata la carrozzella dei proletari. Ma lo sfrecciare dei tricicli, della automobili, del tram a vapore e delle biciclette, lascia ancora spazio ai cavalli. Le sere d’estate gli ufficiali della piazza, spesso accompagnati da giovani cavalieri e

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28 dicembre 1908 Quel terremoto di 100 anni fa di Giulio SANTORO u una catastrofe di portata incommensurabile. Alle 5,22 di quel funesto 28 dicembre gli orologi degli edifici pubblici si fermarono di colpo, annichiliti dallo shock del cataclisma. Ma non si fermarono tutti i pennini delle stazioni di rilevamento sismico: quelli che non schizzarono per la violenza dello squasso furono sconvolti nel groviglio di un vortice di ghirigori impazziti. Anche se non rag-

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giunse, in valori di quantificazione, i picchi più alti della graduatoria dei terremoti di tutti i tempi, quello dello stretto fece riscontrare in termini di registrazione il primato della diffusione più estesa del dissesto tellurico lungo tutta la fascia della superficie terrestre, dalla faglia tirrenica di contatto delle placche continentali africana ed eurasiatica sino alle più lontane stazioni sismologiche

dislocate lungo le coste del Pacifico. Ma fu, soprattutto, il più spaventoso in quanto a perdite di L’orologio del Palazzo della Posta fermo al momento del sisma (oggi conservato al Museo delle poste di Roma). A lato, Palazzo della Posta Centrale di Messina fotografato il 29 dicembre 1908.


In basso, rilevamenti dell’onda sismica nelle stazioni di Tokio, Melbourne, Tortosa e Ottawa (dall’archivio di Nino Principato, per gentile concessione).

mente aprendo le viscere dell’abitato alla furia devastante del maremoto, trascinando così dal sonno alla morte migliaia di vite1. Lì invece, nella zona destinata alle abitazioni per i dipendenti dei servizi pubblici (militari, impiegati, ferrovieri) in una nebbia di polvere rossastra come una tempesta di sabbia nel deserto, vagavano allucinati i pochi sopravvissuti. Fu lì, nello spiazzale corrispondente all’attuale Ponte Zaera, che sin dallo stesso giorno venne allestito il primo rifugio per i feriti sotto il tendone del Circo di Giuseppe Bizzarro, accampato nella città in occasione delle feste natalizie. I soccorsi furono immediati, fatti salvi il caos e la scontata disorganizzazione propr i degli eventi non previsti.

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Sismogramma registrato dall’osservatorio Ixmeniano di Firenze alle ore 05 21’ 42’’ del 28 dicembre 1908.

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vite umane. Non è mai stato accertato, nemmeno in termini di ragionevole approssimazione, il numero delle vittime: e forse la indeterminatezza del dato numerico ingigantisce la sensazione di sgomento e di costernazione che alimenta il ricordo della catastrofe, indicandone nella nostra memoria i confini indefiniti. Forse ottantamila a Messina, forse addirittura centomila nell’indistinta frontiera della statistica fra i defunti ed i dispersi,gli uni come gli altri scomparsi nella voragine del passato. Ed i pochi che sopravvissero - ventimila si assume, con la approssimazione tipica di questi conteggi - furono quelli che ebbero la sorte di risiedere nella parte più a Sud della città, quella estesa grosso modo dall’altezza di Piazza Cairoli al Quartiere del Ponte Americano e che era un po’più elevata rispetto alla propaggine della riviera che dalla falce del porto si estende sino al Faro, che sprofondò rovinosaN.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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Sotto l’infuriare di una tempesta di pioggia e di scosse subentranti - eufemisticamente etichettate di “assestamento”, ma fonte di motivato panico per tutti i soccorritori - si avventarono i marinai delle navi italiane, inglesi, tedesche, russe (questi ultimi accorsi dalla rada di Augusta, ove era in corso di svolgimento una esercitazione militare), in una autentica gara di furore salvifico con i militari italiani subito inviati dal governo. Poco importa accertare chi sia stato il primo, in termini di ore o anche di giorni, e le rivendicazioni di un primato di tal genere immiseriscono il significato dell’opera di tanti soccorritori, tutti affratellati nell’impegno comune di portare N.4-5 Luglio/Ottobre 2008

aiuto con la massima abnegazione e spesso a rischio della propria vita2. Da allora ad oggi fiumi di inchiostro hanno scavato un solco profondo fra montagne di polemiche. Nella congerie di testimonianze, relazioni, documenti e memorie, non molto è stato prodotto in riferimento ai risvolti dell’evento nel settore filatelico ed in quello storico postale. Mi è sembrato doveroso, di conseguenza, in occasione del Centenario dell’evento, portare un modesto contributo sull’argomento in riferimento ai due aspetti essenziali del tema, relativi alle emissioni dell’epoca, ed allo svolgimento della corrispondenza subito dopo il sisma.

La serie delle emissioni di beneficenza in favore dei terremotati. In alto, i militari soccorrono le vittime del sisma. A quanto riporta un autorevole Catalogo, il mondo filatelico nazionale venne in aiuto ai terremotati con il ricavato di un asta filatelica pubblica, battuta a Roma, ed alla quale parteciparono i più importanti nomi dell’epoca (Bolaffi, Bourillon, Loli, Macola, Menichelli, Paletti, Ravel, Sinigaglia) per un incasso di oltre 2000 lire (che non sembrano poi una enormità a confronto con le cifre corrisposte nello stesso periodo da enti pubblici, istituzioni, associazioni e privati).


In campo internazionale, una commissione con sede e presidenza in Danimarca fece stampare una serie di francobolli a formato triangolare con dentellatura 11 x11, a stampa tipografica in fogli da 50 esemplari assemblati su cinque strisce di dieci valori ciascuna,allineati a vertici invertiti (tèté beche), e raffigurati soggetti tipici dell’isola, di colori differenti ma dello stesso valore facciale espresso nella moneta degli Stati partecipanti agli aiuti con personale di soccorso in terra o sulle navi ormeggiate nel porto:1 penny e mezzo per l’Inghilterra, 5 kopechi per la Russia, 10 pfennig per la Germania, 10 filler per l’Ungheria,10 Ore per la Danimarca,10 heller per l’Australia, 5

centesimi per l’Italia. Un undicesimo esemplare di valore facciale doppio e dentellatura 14, raffigurante l’effigie dei sovrani d’Italia, Vittorio Emanuele III e la Regina Elena, venne stampato in fogli da cinquanta con la stessa disposizione. Per solennizzare l’emissione furono allestite serie-tipo con annulli retrodatati, indicanti la data dell’evento (28 Dicembre 1908) in bolli tondo riquadrato di Reggio Calabria e Bagnara e circolare a cerchio di Messina e Palmi. Le immagini, disegnate da C. Dreyer entro un ovale sullo sfondo a tinta unita che fa da cornice seguendo il bordo triangolare dentellato, con la indicazione Sicilia e Calabria nei

due tondi agli angoli inferiori, mentre in quello al vertice appare il valore facciale,raffigurano scorci, monumenti e scene di vita emblematici della realtà paesaggistica, archeologica, urbanistica e culturale proprie del meridione siculo calabro. A parte il valore in rosso fragola dei sovrani d’Italia, l’attribuzione delle figure degli altri 10 esemplari va ricondotta, secondo l’accurata lettura dell’architetto Nino Principato, ai seguenti soggetti: - in bruno violetto: l’Etna sullo sfondo del Teatro Greco di Taormina; - in blu oltremare: la Chiesa di San Gregorio Magno a Messina in Via Monasteri, oggi Via XXIV Maggio. Tipica per l’originale campanile a chioccia, venne eretta sulle pendici del Monte della Caperrina, individuabile in un sito ancora riconoscibile in cima alla gradinata di San Gregorio, semi nascosta fra il Palazzo di Montevergine e la moderna costruzione della Questura in Via XXIV Maggio. La chiesa, inaugurata nel 1688 andò parzialmente in rovina con il terremoto; - in rosso arancione: palcoscenico del Teatro Greco di Taormina, con la cima dell’Etna sullo sfondo; - in verde brillante: la baia di Naxos ripresa dalla strada di accesso al Teatro Greco di Taormina; - in amaranto: il tempio della Concordia ad Agrigento, visto dall’interno; - in azzurro grigio:scorcio della Via Vittorio Emanuele con parti della Cattedrale e del Palazzo Reale a Palermo; - in verde bottiglia: colonnato del tempio dei Dioscuri nella valle dei templi ad Agrigento;

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La serie con valori in Filler, con l’annullo simbolico del 2812-08 di Palmi (Reggio Calabria), uno dei centri più colpiti.

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- in giallo:particolare del Palazzo del Duca di Santo Stefano a Taormina.Costruito nel 1412, al momento del terremoto era parzialmente distrutto, e fu restaurato da A. Dillon dopo la seconda guerra mondiale. Stante la esiguità dello scorcio, e l’angolazione della prospettiva, potrebbe trattarsi, in alternativa, di un dettaglio della Badia vecchia sempre a Taormina; - in celeste: lo Stromboli in eruzione visto dal mare; - in marrone: carretto siciliano con il profilo dell’Etna sullo sfondo. Si tratta, come è facile arguire, di una serie abbastanza appropriata nella scelta dei soggetti, ma tutto sommato poco accurata nella resa grafica, forse in ragione della fretta con la quale si doveva dar corso all’emissione a scopo di beneficenza delle etichette gommate, che ancorché accreditate da un atto di nascita internazionale avevano pur sempre una connotazione da assiFrontespizio della rivista “Il secolo XX” del febbraio 1909 che riporta la notizia della emissione della serie di beneficenza (in basso). milare quella degli erinnofili dei chiudilettera di varia matrice, come pure alle varie etichette dentellate di beneficenza quali quelle per la Croce Rossa, o per la lotta alla tubercolosi. Ai fini dell’inquadramento di questi valori nell’ambito filatelico oltre che in quello storico postale, appare del tutto appropriato quanto riporta la Rivista Filatelica d’Italia in un articolo del Gennaio del 1922, felicemente ripreso da C. Giorgianni: “Non sono francobolli, non avendo avuto potere di affrancazione della corrispondenza; pure la riteniamo meritevole di figurare in una colle-

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nerario di qualche triangolino impazzito dell’emissione di beneficenza in qualsiasi momento e da qualsiasi zona - è significativo che la notizia della emissione ebbe immediata notorietà attraverso la stampa dell’epoca, come si può riscontrare nell’articolo del numero di Febbraio 1909 del “Secolo d’Italia”dedicato al terremoto dello Stretto, e che riporta, a pag.19, l’immagine del valore da 10 Pfennig della serie di beneficenza, con il commento “…In Germania è anzi già in vendita un francobollo da 10 Pf ideato dal Prof. Dopler a questo nobile scopo; ma è consigliabile che ne sia emesso uno dal governo, e abbia carattere internazionale…”; notizia che, a parte la citazione d’onore della Germania nel ruolo dei paesi europei più pronti alle iniziative di aiuto; la inesattezza sulla consistenza della emissione (ridotta da dieci ad un solo valore), ed il motivato auspicio di una analoga issuance da parte del governo italiano (sul tipo dell’emissioni “war tax” dei paesi dell’area britannica, secondo un uso assai diffuso in quel periodo ad opera di tutti i governi), è sintomatica della tempestività della emissione di beneficenza e della sua diffusione, già nota e divulgata ad un mese dall’evento catastrofico. Sul tema della corrispondenza concomitante al cataclisma è d ove r o s o a c c e n n a r e a quanto riportato da numerosa letteratura sul particolare molto controverso circa alcune “lettere” datate in partenza già nei primi giorni seguenti la tragedia. In mancanza di qualsiasi riscontro sul loro percorso postale - e sempre che le stesse abbiano effettivamente viaggiato - è lecito presumere che, come avviene in tante situazioni di emergenza, queste lettere siano state trasportate con

occasionali mezzi di fortuna, magari consegnate a mano e usufruendo di una delle numerose navi in partenza dal porto: sempre che di lettere in senso stretto si tratti, rimanendo più probabile che gli scritti, sulla Frontespizio della pubblicazione di Pivello (Ed. La vita letteraria, Roma 1910). In basso, frontespizio della prima pubblicazione sulle lettere dei marinai russi da Messina (Ed. Guggiani, Roma 1909).

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zione specializzata del Regno d’Italia, non fosse altro per il ricordo ad una immane sciagura nazionale che commosse tutto il mondo civile”; giudizio che colloca la serie al di fuori dei valori postali in senso stretto, ma che ne riconosce il diritto di rappresentanza nell’ambito collezionistico. Persistono notevoli incertezze sulla distribuzione di questi “francobolli”, e comunque sulla loro diffusione. Non è noto, poi, se qualche documento abbia viaggiato in paesi indicati dalla corrispondente moneta, fuori tariffa in aggiunta all’affrancatura o addirittura con il valore facciale riconosciuto come valido. Il CEI in proposito riporta che “si conoscono alcuni documenti postali (diretti in Russia da marinai russi) con i francobolli triangolari di seguito descritti.Sono molto rari”, anche se appare difficile accettare l’idea di una qualsiasi corrispondenza partita allora dalle zone terremotate con qualcuno di questi valori, che furono emessi un certo tempo dopo il sisma, quando le navi russe che soggiornarono nella zona per brevissimo periodo, si erano certamente allontanate da tempo3. In mancanza della conoscenza sulla data esatta dell’emissione, e della sua eventuale distribuzione, una ricerca sui principali cataloghi delle poste russe, sia di quella generica che di quella specializzata (quest’ultima particolarmente attenta alle emissioni locali e semi-ufficiali, anche per la notevole diffusione degli “ZEMSTVO” della posta rurale a servizio delle numerose comunità disperse nell’immenso territorio) non mi ha consentito di ritrovare alcun riferimento sull’argomento, che rimane comunque del massimo interesse. Ma a parte l’ipotesi di un improbabile imprimatur postale sull’iti-

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cui autenticità comunque non rimangono dubbi, in considera z i o n e d e l l a s i t u a z i o n e ambientale del momento siano originati come appunti di cronaca estemporanea - un po’ come avviene per le corrispondenze giornalistiche di guerra - ed in seguito presentate in forma epistolare per un migliore impatto divulgativo. Si possono fare rientrare nel novero di questa ipotesi le sei lettere dei marinai russi datate tra il 29 Dicembre 1908 ed il 13 Gennaio 1909, con indicazione di provenienza da Messina, Napoli, Siracusa e Augusta, e di cui alla originaria edizione in lingua francese giusta la loro raccolta ad opera di uno studente dell’istituto di Zoologia Marina di Napoli delle lettere tradotte del russo, e descritte in dettaglio secondo la divulgazione dello studioso Vittorio di Paola, nelle pubblicazioni a cura dell’Amministrazione Provinciale di Messina del 1988 e del 2006, ed in quella a cura di Attilio Borda Bossana su incarico dell’Amministrazione Comunale del 20064. Una traccia meno approssimativa sull’argomento può essere fornita dalla corrispondenza dei militari italiani inviati in numero massiccio sin dai primi giorni nelle varie zone colpite dal sisma, e nelle quali sostarono per alcuni mesi. In base ai documenti da me ritrovati, è abbastanza accettabile desumere che per lo meno a decorrere da due settimane dal cataclisma la corrispondenza dei militari italiani (dislocati in varie sedi) della provincia di Messina con i loro Corrispondenza da Messina, 18.4.09, a Pietramelara (Caserta), 20.4.09. Sopra, corrispondenza daMessina (annullo postale del 11.2.09) a Napoli (bollo di arrivo del 12.2.09).

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congiunti del continente fosse già attiva nei due sensi, o attraverso la rete della posta militare (ragionevolmente responsabile del servizio, ma sulla quale non ho trovato alcun elemento accertato) o di quella civile (per la quale ho potuto riscontrare la prima data al 15 febbraio 1909). Così da un modesto quanto prezioso libello, stampato a Roma nel 1910 in una edizione molto spartana da parte di una società editrice dal nome altisonante, “la vita letteraria” apprendiamo di una intensa corrispondenza fra il protagonista, tenente di una compa-

gnia del XXX Battaglione Bersaglieri, dall’improbabile nome di Pivello (forse nome di copertura, ma che comunque rimane tale nei colloqui virgolettati con i superiori ed i commilitoni) compresa tra le date riportate fra il 16 gennaio e il 23 marzo 1909 tramite lettere dirette ad una sua parente a Napoli, senza nessuna altra

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informazione utile, ai fini del percorso postale, se non da quanto si evince dalla sequela delle missive: che la corrispondenza con Napoli viaggiava nei due sensi sin dal 16 gennaio (quasi certamente con le navi che facevano la spola tra i due porti, portando da Messina esuli e feriti, e ritornando con truppa, viveri, masserizie, persone scampate che ritornavano nella città fantasma ecc.), con frequenza e tempestività (il 24 Gennaio l’autore riceve da Napoli una cartolina in risposta ad una sua spedita il 19) abbastanza regolari (nella lettera del 13 febbraio il protagonista rampogna la sua dulcinèa perché lei si lagna dei ritardi postali: “…dovresti anzi essere contenta che le mie lettere arrivano quasi tutte…”); che la stessa corrispondenza usufruiva della organizzazione militare sia per l’avvio (nella lettera del 19 gennaio lo scrivente comunica che per essere più sicuro della spedizione, per inviare la lettera si è recato dal suo accampamento al Comando Militare installato sulla nave Sardegna nel porto di Messina, dove si mangiava bene e si dormiva comodi ed all’asciutto), quanto per la ricezione, come quando a fine Gennaio la posta raggiunge la Compagnia accampata a Faro Superiore,

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L’ufficio telegrafico installato nella immediatezza dell’evento in un carro bestiame delle ferrovie. In alto, corrispondenza da Messina, 27.3.09, a Pietramelara, 30.3.09. N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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riempiendo di gioia il Comandante della Compagnia perché “ha ricevuto una cartolina ed una lettera che l’hanno ripagato di tutto quello che ha sofferto e compiuto qui”;che il supporto del primo documento scritto da Messina è una cartolina cedutagli da un commilitone imbarcato sulla stessa nave partita da Napoli, forse una franchigia distribuita ai militari in partenza per le zone terremotate;che il delegato di pubblica sicurezza incaricato dal

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Commissario Straordinario ed inviato prima del 28 Gennaio in missione a Castanea (località sulle estreme propaggini dei monti Peloritani sovrastante Faro Superiore) è molto indaffarato perché “deve sbrigare la corrispondenza”ed ha un sacco di lettere, anche se in un improvvisato sopralluogo nell’ufficio del responsabile il tenente Pivello con-

L’ufficio postale nella prima collocazione in una baracca in legno sul molo del porto, nell’immediato post-terremoto. Sotto, l’ufficio delle RR Poste e Telegrafi nella seconda collocazione provvisoria, sempre in un fabbricato in legno. statava che “il sacco di lettere era un fiasco di vino rosso che lui si sbrigava”; tutti indizi più o meno indiretti sull’importanza del tramite dell’organizza-


CITTÀ&TERRITORIO La sede definitiva del Palazzo delle Poste e Telegrafi, realizzata nel 1914 su progetto dell’ing. V. Mariani, nell’odierna Piazza Antonello.

La terza sede provvisoria delle RR Poste, fabbricata in muratura a Piazza Cairoli (1911) in attesa della costruzione del nuovo Palazzo delle Poste.

zione militare sia per il trasporto della corrispondenza che per la organizzazione logistica dei servizi, anche se non v’è riferimento ad Uffici di Posta militare. Nelle lettere successive, scritte da S. Teresa di Riva (in provincia di Messina, lungo la litoranea jonica) sino ai primi di Marzo, e nel corso dello stesso mese da Catania e da Licodia Eubea nella stessa pro-

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vincia, lo scrivente comunica che si poteva inviare e ricevere corrispondenza (cartoline e lettere) tramite gli Uffici postali, il che fa ritenere che anche i militari ricorrevano, per comodità o per necessità, al canale della posta civile5. Questa supposizione viene confermata dalla corrispondenza, da me occasionalmente visionata, di un altro militare (Aiutante Maggiore del XIX reg-

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Fronte/retro di cartolina spedita da Messina a Padova nel 1911. Sotto, esempio di corrispondenza da Messina (1908) prima del terremoto. Pagina a lato, fronte/retro di cartolina spedita da Reggio Calabria a Milano da parte di un componente del Comitato Milanese per la Calabria. gimento di Fanteria e che contribuì alla realizzazione del villaggio Regina Elena) attivo a Messina e provincia, costituita da una serie di cartoline illustrate, alcune delle quali con immagini del terremoto, tutte affrancate con il valore da 10 cent. dell’emissione del 1906 con il profilo di V. E. III (salvo una del 22 Febbraio, affrancata con quello da 5 cent.della stessa serie), con annullo circolare di “Messina Distribuzione”fra il 15/02 ed il 18/04/09 e con quello di “Messina Arrivi e Partenze” 2 fra il 27/03 ed il 24/04/09; alcune con l’impronta di bollo ovale di censura, e qualcuno con fascetta

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“da centesimi cinque”, probabilmente per l’autorizzazione per una tariffa ridotta dalle zone terremotate. Dal testo degli scritti emerge la regolarità del servizio postale sin dall’inizio della corrispondenza: già il 15 Febbraio lo scrivente, anche se spera che sia giunta a destinazione la sua lettera a mezzo del soldato partito tre giorni prima, assicura che ha ricevuto la lettera del 13 alla quale risponderà subito; mentre dalle corrispondenze successive risulta che lettere e car toline impiegavano 2/3 giorni per giungere a destinazione, e che la distribuzione della posta in arrivo avveniva due volte al giorno, mattina e sera. Il che conferma il dato di una ripresa tempestiva e di un funzio-

namento dei servizi di posta civile inimmaginabili a distanza di appena un mese dalla catastrofe6. Va ricordato che quest’ultima aveva sconvolto le due provincie dello Stretto in misura tale da indurre il Ministero delle Poste a disporre con R.D. del 7 Gennaio 1909 il trasferimento delle Direzioni Postali di Messina e Reggio C. rispettivamente a Catania sino al 25/08 ed a Catanzaro sino al 28/08 del 1909. Alla luce di questi dati assumono dimensione incommensurabile gli sforzi prodotti in loco per l’immediato ripristino dei collegamenti telegrafici e postali installati nell’immediatezza del post terremoto in ambienti di fortuna che possono essere definiti allucinanti, e via via ubicati in sedi sem-

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pre più dignitose, a conferma della importanza vitale dei servizi postali e dell’attenzione rivolta agli stessi da parte dell’autorità per rispondere alle esigenze di una comunicazione da considerare avventurosa almeno per tutto l’anno 19097. Ma v’è un altro aspetto della problematica meritevole di attenzione, ed è quello relativo alla diffusione della rappresentazione della catastrofe tramite le cartoline con le immagini del terremoto siculocalabro. Queste ultime furono allestite nella immediatezza dell’evento, in numero esorbitante ad opera di innumerevoli ditte di fotografia ed officine di stampa8.Per la maggior parte di scadente qualità grafica, aggravata dall’usura del tempo, languono ingiallite e affastellate entro cassetti e scatoloni degli insaziabili collezionisti di oggetti quasi sempre inutili. Ma ad una riflessione più accurata questi umili documenti svolsero il loro ruolo nella trasmissione del messaggio relativo alla catastrofe, e non soltanto nell’immediato post-terremoto, ma ancora per molto tempo, e a distanza ragguardevole dal luogo del disastro. Così due delle cartoline spedite dai militari in servizio nella città e nella provincia nel febbraio 1909 raffigurano scene del cataclisma, mentre missive della stessa tipologia con riferimento al sisma siculo-calabro, risultano spedite oltre che da Messina, da Reggio a Milano nel marzo del 1909 e da Catanzaro a Roma il 18 febbraio 1911. Una immagine della città distrutta compare a meno di due mesi dal terremoto addirittura in una cartolina spedita da Pola ad Abbazia il 19 febbraio 1909, in territorio austriaco, e quindi affrancata con il valore postale da 5 Heller con l’effigie dell’Imperatore Fran-

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cesco Giuseppe. Esempi tutti occasionali, ma emblematici della reiterazione di un ricordo che del tutto involontariamente veniva riproposto, con la cruda immediatezza delle immagini, alla attenzione ed alla coscienza di anonimi destinatari, propensi, come un po’ noi tutti, al comodo rifugio nella rimozione di un evento che in mezzo minuto aveva spezzato in modo non più riparabile la continuità storica e culturale della nostra martoriata città. Conclusioni L’incertezza e la confusione che regnano ancora oggi, a distanza di un secolo, sui vari aspetti dell’immane cataclisma non hanno risparmiato gli argomenti secondari,di certo meno appariscenti ma sempre interessanti, relativi al settore della comunicazione postale nei suoi risvolti filatelico e storico/postale. Da una rapida rilettura della copiosa letteratura ricca di dati spesso fra di essi discordanti, e dall’esame di qualche documento giunto occasionalmente alla mia osservazione, ritengo si possano proporre, sempre con la riserva della probabilità e dell’approssimazione, le seguenti osservazioni: 1) L’emissione delle etichette triangolari dentellate, frettolosamente allestita a cura di un Comitato Internazionale per il soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto, rientra nella categoria di quelle semiufficiali di beneficenza. Il suo uso postale non è accertato sia per la mancata convenzione con le Amministrazioni dei diversi stati, sia perché non sussistono riferimenti espliciti su qualche occasionale corrispondenza viaggiata. Essa quindi, come giustamenteù fu fatto osservare nella rivista filatelica del 1922, non trova collocazione nel capito-

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lo della storia postale, anche se rientra a pieno titolo nel novero di una collezione di documenti sulla tematica del terremoto, e rimane l’unico segno nell’ambito filatelico dell’impegno internazionale dell’epoca quale contributo per il soccorso alle popolazioni colpite da una sciagura ad impatto emotivo univoco ed ubiquitario; 2) Le lettere dei marinai della flotta russa datate nei giorni immediatamente seguenti il cataclisma, come pure quelle di scrittori e corrispondenti di varia nazionalità non hanno avuto riscontro di segni postali sul loro itinerario: probabilmente, se scritte in forma epistolare ed inviate nelle date indicate, viaggiarono con mezzi di fortuna, tramite consegna brevi manu e trasporto su qual-

Fronte/retro di cartolina da Monteleone Calabro a Roma con annullo del 18.02.911. Pagina a lato, fronte/retro di cartolina spedita da Pola ad Abbazia nel territorio dell’Impero austroungarico. cuna delle tante navi che facevano continuamente la spola tra Messina ed altri porti, in particolare quello di Napoli; 3) Dalle pubblicazioni dell’epoca, e da documenti postali relativi alla corrispondenza di militari italiani dalle zone terremotate con i loro congiunti in continente, risulta che sin dalla metà di Gennaio 1909 lo scambio epistolare di lettere e cartoline era attivo nei due sensi in modo tempestivo e regolare. La prima lettera datata in par-


tenza da Messina il 16 gennaio, e la cartolina da Messina del 15 febbraio riportano chiari riferimenti alla ricezione di posta dal continente. È da presumere che anche in questo caso quasi certamente la corrispondenza viaggiasse con le navi che collegavano i porti di Messina e Napoli; 4) Dai segni postali (supporti, affrancature, annulli etc), ma soprattutto dagli scritti emerge che la corrispondenza viaggiava tramite la rete della posta civile, anche se è lecito presumere che almeno per le operazioni di raccolta/convogliamento e di smistamento/distribuzione abbia svolto il suo ruolo la capillare organizzazione dei servizi militari. Non ho trovato alcun riferimento ad Uffici di Posta Mili-

tare, e rimane singolare, anche in confronto con quanto risulta da analoghe situazioni di emergenza che vedono impegnati cospicui contingenti di personale militare, che negli scritti i mittenti assicurano il buon funzionamento della posta civile raccomandandone l’utilizzo ai parenti, e senza fare alcun riferimento ad eventuali recapiti di posta militare; 5) Considerando che a causa del disastro territoriale le direzioni postali di Messina e Reggio C. erano state trasferite, giusta il R.D.del 7 Gennaio 1909 rispettivamente a Catania sino al 25/08 ed a Catanzaro sino al 29/08/1909, si rimane esterrefatti di fronte alla solerzia ed alla abnegazione di tanti volontari impegnati nel compito di ripristino

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dei collegamenti telegrafici e postali; 6) Nella persistente incertezza su tanti dati ancora indefiniti l’aspetto più significativo che emerge dalla rapida ricognizione dei pochi documenti giunti occasionalmente alla mia osservazione è quello più squisitamente umano, relativo all’impegno di aiuto ed allo sforzo di solidarietà che accomunò tanti protagonisti della più diversa estrazione senza che una dovuta riconoscenza premiasse, se pure soltanto con un istante di attenzione, la loro opera di umanità, tanto più eccelsa proprio perché rimasta ignota tra le pieghe del disinteresse e della ingratitudine. Per questo mi piace chiudere questa mia breve nota riportando le parole di commiato del Ten. Pivello al rientro dalla massacrante missione protrattasi per tre mesi:“un’ultima delusione: non si viaggia nemmeno tutti uniti. Il maggiore Paolini non potrà rientrare a Napoli alla testa del suo Battaglione: non potrà ricondurci tutti così come siamo, laceri scalzi emaciati, reduci da tre mesi di sacrificio continuo. Noi arriveremo a pochi per volta, oscuramente: è la vita”. Ringraziamenti Si ringraziano per le preziose informazioni e per tutti i dati messi a disposizione con generoso altruismo gli amici: Dott Attilio Borda Bossana, Prof.Giuseppe Pracanica, Prof. Renato Fasanella Arch. Nino Principato, Dott. Franz Riccobono, Prof Giulio Romano. Un particolare ringraziamento al Dott. Salvatore Leonardi, già Presidente della Provincia Regionale, ed al Dott. Gaspare Sinatra, già Commissario Straordinario della Regione per il Comune di Messina, per la disponibilità all’utilizzo delle immagini del terremoto riportate nei volumi editi ad opera delle rispettive Amministrazioni.

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NOTE CITTÀ&TERRITORIO

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1) Ancora oggi persiste la incertezza più macroscopica sulla determinazione del numero delle vittime che oscilla fra i cinquantamila morti delle valutazioni più ridotte sino agli oltre centoventimila riportati da alcuni giornali americani subito dopo il cataclisma. Come ha fatto rilevare Principato in una recente conferenza, l’ipotesi del dato più ragionevole si aggira intorno alle sessantamila perdite, considerando che almeno ventimila furono i sopravvissuti, ed un numero equivalente va accreditato ai numerosi dispersi, su una popolazione che all’epoca non superava nella città le centomila anime. 2) Grazie alla dettagliata ricostruzione di quei momenti drammatici fornita dalla suggestiva, quanto precisa esposizione di J. Carrère, forse i primi ad accorrere, alle luci dell’alba, furono i marinai italiani della secondo flottiglia torpediniere, all’ormeggio nel porto di Messina, assieme a quelli dell’incrociatore Piemonte, il cui comandante, capitano di corvetta Fassino, responsabile del comando della flottiglia, era morto sotto le macerie. Artefice di questa inverosimile operazione-lampo dell’opera di soccorso fu l’eroico capitano di corvetta Cerbino, comandante della torpediniera Spica, che scampato miracolosamente al crollo della sua abitazione in Via Garibaldi ed alle successive ondate di maremoto (i comandanti delle unità che stazionavano nel porto di Messina avevano in genere l’abitazione in vicinanza del porto, ove aveva sede il Comando Marina, in Via Seminario 6, grosso modo ove si trova il palazzo arcivescovile), e non trovando traccia del comandante della flottiglia, la cui abitazione era crollata, si recò fulmineamente sulla torpediniera Spica, malconcia per la collisione con il Piemonte per via dello sconvolgimento tellurico. Costatato che era rimasto il più anziano in grado in quella situazione di assoluta emergenza, assunse di fatto il comando Piazza della marina militare, affiancato dal capitano di corvetta Ciano, comandante in seconda dell’incrociatore Piemonte. Il comandante Cerbino provvide immediatamente all’opera di esplorazione e di primo soccorso inviando a terra gli equipaggi di tre delle quattro torpediniere della flottiglia e dell’incrociatore Piemonte, e facendo salpare la IV torpediniera (il Serpente) al comando del Capitano Belleni alla volta della costa Calabra per poter informare per telegrafo Roma. Il collegamento si rese possibile soltanto verso mezzogiorno da Nicotera, a causa della distruzione di tutte le stazioni da Villa S. Giovanni a S. Eufemia. All’impegno e alla determinazione di Cerbino, oltre alla prima informazione fatta pervenire al Ministero, si deve il salvataggio di almeno mille vittime del terremoto. Giunsero subito dopo i marinai di navi inglesi, tedesche e russe. Questi ultimi si distinsero in modo eccelso, e la loro opera ha lasciato una traccia indelebile nella memoria della città, la cui riconoscenza si rinnova quasi ogni anno con cerimonie e manifestazioni. A quanto riporta Rosa Maria Palermo Di Stefano a commento della VI lettera, tre marinai appartenenti alla cannoniera Gulak, particolarmente provati dalle operazioni di salvataggio, furono trasportati sfiniti a Siracusa ove morirono poco dopo. Nella notte fra il 29 ed il 30 dicembre i componenti della I squadra di intervento dei pompieri di Bologna provenienti da questa città con un treno carico di viveri e materiali, sbarcati a Scilla e traghettati su mezzi dell’esercito trovarono “i fanti, i bersaglieri ed i marinai delle navi italiane, francesi, inglesi, russe e tedesche che ci avevano preceduti di 24 ore…” (rif.to Attilio Borda Bossana, Capo Redattore Uff. Stampa Comune di Messina). D’altronde, che nell’opera di soccorso, se pure nel comprensibile caos del momento, fossero presenti, sin dal giorno del disastro, militari e soccorritori di qualsiasi tipo ed estrazione - assieme, purtroppo, ai criminali sciacalli che non esitavano a tranciare dita od orecchie ornate di qualche gioiello dai corpi di sepolti vivi sotto le macerie che imploravano aiuto - è confermato dalle testimonianze di parecchi sopravvissuti, come dai riferimenti di S. Tcha khotine, E. Iannelli, C. Natoli Grifeo ed altri. 3) secondo quanto mi ha riferito il Prof. G. Pracanica, accurato ricercatore sulla storia della città, le navi militari della flotta russa avrebbero salpato le ancore il 4 Gennaio 1909, a seguito di una improvvida “visita di commiato” effettuata dal Commissario Straordinario Gen. Mazza, che recandosi su propria iniziativa a bordo dell’Ammiraglia avrebbe bruscamente comunicato che i servizi da parte degli equipaggi russi non erano più richiesti stante la sufficiente opera dei militari italiani, e di conseguenza consigliava allo stesso, se lo avesse voluto, a recarsi con tutto il suo poderoso apparato assistenziale nella antistante Calabria, ove gli risultava sussistere una maggiore necessità di assistenza. Il Comandante della Flotta Russa avrebbe rifiutato l’offerta del contentino di recarsi altrove a recare i propri servizi non più richiesti, e sarebbe partito con tutta la flotta. Il comportamento del Gen.le Mazza sarebbe stato stigmatizzato anche da parte del Consigliere Militare dall’Ambasciata Britannica a Roma - sconcertato da una “sparata” altrettanto ingrata quanto poco opportuna e niente affatto diplomatica - che aveva avuto modo di apprezzare lo straordinario slancio umanitario e la efficienza dell’opera di soccorso da parte dei russi. Quest’ultima era stata già evidenziata con ampio rilievo dalla stampa di quella nazionale (Adjeskaia Novostj del 16 Gennaio) che riporta la notizia, poi ripresa dal Tempo di Roma del 1 Febbraio 1909 (F. Mercadante), del poco edificante commiato originario probabilmente a causa di un geloso risentimento da parte dello stesso focoso Generale . Comunque, ai fini dell’interesse del presente articolo, si può ritenere certo che le navi della flotta Russa si allontanarono da Messina il 4 Gennaio, secondo quanto riportato da M. Teresa Di Paola in una recente pubblicazione, e confermatomi da parte di Attilio Borda Bossana, Capo Redattore Uff. Stampa del Comune di Messina e massimo esperto sull’argomento. 4) Per l’inquadramento delle lettere dei marinai russi nel contesto di un loro ipotetico percorso, riporto

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l’annotazione di R. M. Palermo Di Stefano, che indica i documenti con la denominazione di “lettere” per rispetto al titolo originario di cui al volumetto stampato a Roma nel 1909, anche se l’aggiunta dei “frammenti di racconto” da parte dello studente che aveva raccolto la traduzione dal russo al francese degli originali ad opera dei non identificati traduttori M. B. ed I. G. finisce per interferire con le testimonianze delle lettere ingenerando confusione su date, percorsi e nomi. Al fine di poter ricondurre gli scritti ad una forma epistolare, l’unico nominativo riportato come mittente è quello del “Luogotenente Robkine” nella seconda lettera, e soltanto nella prima è indicato il destinatario (la madre). Sulla presenza delle navi russe a Messina, e dei loro spostamenti nei porti di Napoli, Siracusa ed Augusta, una ricostruzione attendibile delle date fa ritenere che almeno due navi (il Makarov e lo Slava) abbiano trasportato feriti a Napoli due volte, ed un’altra (la Tsézarevich) si sia recata a Siracusa il 30 dicembre, date compatibili con il trasporto delle lettere nei primi giorni seguenti il disastro. Sussiste, comunque, la preminenza assoluta dell’importanza documentaria di questi scritti, indipendentemente dai tempi e dalle modalità dei loro itinerari, e che rimangono testimonianza eccezionale della realtà del momento, quale può essere espressa in modo così efficace soltanto da ciò che si riporta nella immediatezza dell’evento. 5) Le lettere di Pivello in partenza dalle zone terremotate riportano le date del 17 e del 18 Gennaio da Messina; del 19 e del 24 Gennaio da Faro Superiore, del 24,28,29 Gennaio e del 3,6,9 e 10 Febbraio da Castanea, sempre in provincia di Messina; del 1,2 e 3 Marzo da S. Teresa di Riva e da Roccafiorita, località della provincia di Messina lungo la riviera Jonica; del 4,8 e 11 Marzo da Catania; del 12,19 e 21 Marzo da Licodia Eubea, in quest’ultima provincia; ed infine da Messina il 26 Marzo. 6) Le navi riportate nel testo impegnate nell’opera dei soccorsi e dei collegamenti con il porto di Napoli, sono nell’ordine successivo: il Galileo (16 Gennaio); Gen. Giacomo Longo (18 Gennaio); Sardegna (18 e 19 Gennaio); Enna (24 Marzo). 7) Riferimenti ed interviste, costituiti per lo più da memorie più o meno recenti o da “racconti di chi ricorda” raccolti e divulgati da altri, sono concordi per testimoniare la ripresa immediata dei collegamenti del telegrafo, ed una avventurosa riattivazione della comunicazione ferroviaria ad opera di autentici e spesso anonimi eroi nel momento del totale isolamento della città sconvolta. Così il Prof Giulio Romano, profondo conoscitore e brillante epigrafo della storia della città nel secolo XX, anche grazie ad una ricca raccolta di documenti a lungo coltivata con amore, in una sua pubblicazione in corso di stampa - e della quale mi ha generosamente anticipato alcune notazioni preziose per la ricostruzione dei fatti di quelle giornate convulse - riporta che già il 29 sera un impiegato postale della Ferrovia di Messina, tale Militello, riusciva a riattivare fortunosamente il collegamento via ferrovia dalla città alla stazione di Catania, ed il 31, su un carro merci carico di materiale spinto a braccia sino al ponte di Santa Cecilia, realizzava in modo artigianale i collegamenti che consentivano l’attivazione del servizio telegrafico della rete civile. L’episodio veniva evidenziato da parte dell’ispettore delle RR. Poste, Comm. Bruno Angelici, il cui figlio Ing. Ivo, dopo oltre mezzo secolo, avrebbe diretto il progetto della Metropolitana di Milano. Sempre sulla scorta di questa preziosa fonte di notizie, il 5 Gennaio1909 il R. Commissario Straordinario Gen. Mazza poteva far partire per Palermo dalla stazione di Camaro un treno con vetture Kappa per trasportare 181 detenuti, e contemporaneamente veniva ripreso il collegamento ferroviario Messina-Catania. Se si pensa che i collegamenti via mare furono ripresi sin dal 29 Dicembre specialmente con il porto di Napoli, l’isolamento della città fu breve, anche se per una ragionevole attività di sgombero, bonifica, vettovagliamento, assistenza sanitaria, approntamento di rifugi e di alloggi e di tutto quanto occorre per realizzare un simulacro di rinascita si doveva attendere per mesi, se non per anni. Per quanto di interesse per la presente ricerca, si può assumere che almeno nel settore delle vie di comunicazione, sia pure in condizioni di emergenza, i collegamenti via mare con il continente ripresero sin dal giorno seguente il disastro, e quelli con Catania e Palermo dai primi di Gennaio 1909. Anche per ciò che riguarda la comunicazione tramite la posta, la ripresa dei servizi, tenendo conto, ovviamente, della peculiare emergenza del momento, fù sorprendentemente rapida. Così, dal prezioso foglio cittadino Ordini e Notizie, stampato nella tipografia San Giuseppe e pubblicato con frequenza pressochè quotidiana dal 10 gennaio al 16 febbraio 1909, apprendiamo che già dal 7 gennaio la Direzione postale (alloggiata provvisoriamente presso lo (IOSTRO ) aveva comunicato la riattivazione della vendita dei francobolli, con il corollario della tassa da applicare sulle corrispondenze non affrancate in tariffa; nello stesso primo numero del foglietto informativo, datato al 10 gennaio, veniva resa nota la dislocazione di due uffici postali (il principale in piazza Stazione ed una succursale alla Marina) con servizi di accettazione e distribuzione delle lettere, e di due uffici telegrafici (rispettivamente in piazza Stazione ed alle Fornaci), con possibilità, seppure limitata, di pagamento di vaglia, mentre era sospeso il servizio dei Pacchi postali: dati che evidenziano come, indipendentemente dal ritrovamento di documenti viaggiati, sin dai primi giorni di gennaio, i servizi postali e telegrafici avevano ripreso una sia pur rudimentale attività. 8) Le bancarelle dei mercati rionali di mezza Europa e le offerte di numerose vendite all’asta pullulano di raccolte di cartoline della città distrutta dal terremoto, per lo più in serie di 10/20 immagini. A parte parecchi esemplari che non portano alcuna paternità di stampa, le diverse edizioni hanno nomi di ditte ed imprese di fotografia più o meno note: fra le altre Alterocca di Terni, A. L. N., Bertazzini di Napoli, Fioroni di Milano, Traldi e Salvaggi di Milano.

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Cento anni dopo Il terremoto di Messina del 1908 di Giuseppe GIUNTA rano le 5,21 del 28 dicembre 1908 quando si scatenò un terremoto dell’XI grado Mercalli, recentemente calcolato in circa 7.2 di Magnitudo, seguito dopo pochi minuti da tre successive onde di tsunami alte tra 8 e 12 metri, con il tragico bilancio di 120.000 perdite umane e quasi totale distruzione sulle due sponde dello Stretto. Gli addetti all’Osservatorio Ximeniano di Firenze annotarono: “Stamani alle 5,21 negli strumenti dell’osservatorio è incominciata una impressionante e straordinaria registrazione; le ampiezze dei tracciati sono state così grandi (oltre 40 cm) che non sono entrate

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contenuti del contributo del Prof. Giuseppe Giunta, Ordinario di Geologia Strutturale all’Università di Palermo, erano stati anticipati sul Giornale di Sicilia del 12 e 13 novembre 2008. Hanno collaborato: Silvia Orioli, Alessandra Giorgianni, Francesco Di Trapani.

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nei cilindri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave!”. Numerose furono le repliche di minore intensità che si ripeterono nei giorni seguenti la catastrofe, fino alla fine del mese di marzo del 1909. L’ultimo distruttivo terremoto, accompagnato da diverse onde di tsunami, che aveva flagel-

lato la Calabria e il messinese era stato quello del febbraio 1783.Cronache dell’epoca raccontano la più violenta e perFig. 1. Schema geologico-strutturale semplificato della Sicilia e delle aree circostanti. Le linee nere rappresentano le faglie principali con il loro movimento relativo(frecce). Le linee a tratteggio rappresentano i limiti principali di porzioni dell’orogene. In colore arancio sono indicati i principali edifici vulcanici. Le aree variamente colorate rappresentano i principali corpi rocciosi (emersi o sommersi) che costituiscono il sistema Maghrebide.


rando l’energia che produce il terremoto.Ciò si verifica a profondità variabili, dell’ordine dei km sino ad alcune centinaia di km al disotto delle terre emerse e del fondo dei mari; dall’ipocentro le onde sismiche si diramano in tutte le direzioni giungendo rapidamente all’epicentro con la minore attenuazione e quindi con maggiore carica distruttiva. Le fratture lungo le quali si genera il terremoto sono le cosiddette faglie sismogeniche; esse fanno parte di una fittissima griglia di faglie che interessa tutta la crosta delle regioni deformate, in superficie e sul fondo del mare, e interpretabile fino a diverse decine di km di profondità. In Sicilia settentrionale, Calabria meridionale e Basso Tirreno sono riconoscibili migliaia di faglie che si sono prodotte in tempi geologici recenti sino ad oggi.Tra queste faglie quelle sismogeniche sono in minoranza, ed il riconoscimento

dipende in ultima analisi dalla loro attività sismica. La griglia di faglie neotettoniche che affiora in Sicilia e in Calabria meridionale è stata definita attraverso analisi mesostrutturali per ricostruire il “campo di stress” agente nell’area, cioè la direzione e le caratteristiche degli sforzi tettonici. Le faglie che interessano il fondo del mare sono state invece ricavate dall’interpretazione di carte morfobatimetriche del Tirreno meridionale e dell’area dello Stretto di Messina. I dati ricavati dall’analisi delle zone emerse sembrano abbastanza compatibili con quelli elaborati dall’interpretazione della tettonica fragile nelle aree offshore , includendo anche la zona dello Stretto di Messina: nelle aree in esame la crosta terrestre è fittamente intagliata da faglie orientate grosso modo lungo tre direzioni preferenziali, da nordovest a sud-est, da ovest a est, e da nord-est a sud-ovest

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sistente sequenza di terremoti di cui si abbia memoria negli ultimi duemila anni. Quasi un secolo prima, l’11 gennaio 1693, la Sicilia orientale era stata colpita dal tristemente famoso terremoto del Val di Noto, che anche in questo caso innescò uno tsunami di estese proporzioni. La Sicilia e la Calabria fanno parte di un complesso sistema orogenico formatosi a partire da circa 25 milioni di anni fa come effetto della collisione tra la crosta africana e quella europea, che ha gradualmente prodotto una catena montuosa che corre dall’Africa del Nord all’Appennino e che prende il nome di catena Maghrebide (vedi Fig. 1). Gli sforzi tettonici sovrimposti su tale sistema in formazione, da circa 10 milioni di anni hanno provocato il progressivo collasso della porzione settentrionale della catena montuosa e la conseguente formazione del Mar Tirreno, con la compartecipazione del sottoscorrimento della crosta dello Ionio al disotto della Calabria, generando tra l’altro i vulcani delle Isole Eolie.Questi sforzi, ancora oggi attivi, producono la deformazione delle rocce attraverso piegamenti e fratture che conferiscono alla crosta terrestre un carattere di notevole eterogeneità. Il processo deformativo, che si sviluppa nei tempi geologici con estrema lentezza, è solitamente asismico, tranne in una bassissima percentuale di casi nei quali taluni volumi rocciosi sottoposti a sforzo si rompono improvvisamente, libe-

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Fig. 2. Schema illustrativo dello stato di fratturazione della crosta siciliana. In nero è indicata la griglia di faglie; i cerchi rossi in alto indicano l’epicentro del terremoto del 1908, quelli in basso una proiezione dell’ipotetico ipocentro. N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


Messina. Gruppo di sopravvissuti al terremoto del 1908.

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(vedi Fig. 2). In tale contesto la distribuzione della sismicità storica indica che la maggior parte degli eventi è di Magnitudo tra 2 e 4.5, con rare punte di maggiore intensità, come quelli del Val di Noto (1693), di Messina (1908), del Belice (1968), di Carlentini (1990) etc. Da un’analisi sulla localizzazione degli oltre 11.000 terremoti degli ultimi venticinque anni in Sicilia settentrionale e Basso Tirreno (vedi Fig. 3), si evince che gli ipocentri di tali sismi sono preferenzialmente ubicati da 10 a 30 km di profondità; nelle zone orientali inoltre, tra la Calabria e le Isole Eolie, una parte di essi raggiungono profondità di

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qualche centinaio di km, a dimostrazione dell’esistenza del sottoscorrimento (subduzione) della crosta ionica verso nordovest. Gli ipocentri meno profondi (10-30 km) sono distribuiti lungo un’ampia fascia tra le zone emerse e quelle sommerse, che costituisce un settore di particolare debolezza crostale, ove si evince che grandi volumi di rocce sono densamente fratturati. Le analisi statistiche dei dati sismologici hanno permesso di individuare in sottosuolo alcuni volumi di rocce ove si sono manifestate recenti sequenze sismiche legate a faglie che attraversano tali volumi; analisi sulla tipologia dei movimenti

lungo le superfici delle faglie mostrano la complessità delle relazioni tra i volumi sismogenici e le singole dislocazioni in un contesto di marcata eterogeneità meccanica. In questo complesso quadro sismotettonico si colloca il terremoto che nel 1908 scosse Fig. 3. Distribuzione della sismicità degli ultimi venticinque anni in Sicilia settentrionale, Aspromonte e Tirreno meridionale. I puntini rappresentano, nella A (in pianta) gli epicentri, nella B (in sezione) gli ipocentri dei terremoti. Si noti nelle due aree limitate in rosso le differenti profondità ipocentrali.


CITTÀ&TERRITORIO Fig. 4. Schema sismotettonico semplificato dell’area dello Stretto di Messina su un’immagine a rilievo delle zone emerse e del fondo marino. I puntini colorati indicano gli epicentri dei terremoti degli ultimi venticinque anni: in verde con profondità da 0 a 40 km; in azzurro da 40 a 90 km; in blu oltre 90 km. Le linee rosse rappresentano i sistemi di faglie neotettoniche principali; le linee blu i probabili sistemi di faglie sismogeniche, responsabili del terremoto di Messina del 1908 secondo varie interpretazioni; le stelle gialle tre possibili ubicazioni epicentrali, connesse alle sopradette faglie. l’area dello Stretto di Messina: a parte le numerose cronache dell’epoca e le successive puntuali descrizioni presenti in varie interessanti pubblicazioni, il mondo scientifico si interroga

ancora su alcuni aspetti, le cui risposte non sono facili e intuitive, in taluni casi controverse, dato che l’interpretazione dell’ evento, a causa dei pochi dati a disposizione, soffre di alcune problematiche non ancora definitivamente risolte, ed è ancora oggi oggetto di studio e di dibattito. Innanzi tutto:quale è stata l’esatta localizzazione del terremoto e quale faglia lo ha generato? Si ritiene (vedi Fig. 4) che l’epicentro della scossa principale sia ubicato in mare, quasi al centro della porzione meridionale dello Stretto (vedi figura), con una supposta profondità ipocentrale da 10 a 20 km, ma talune interpretazioni lo ubicano in un intorno di parecchi km da tale luogo (più prossimo alla costa siciliana o a quella calabra), cosa che evidentemente rende più complicata la ricerca della faglia sismo-

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genica.Come già detto, è estremamente difficoltoso individuare tale faglia tra le numerose possibili della griglia di deformazione che interessa quelle zone: almeno cinque sono quelle indiziate secondo differenti gruppi di ricercatori, alcune di recente riconoscimento in mare, ma ciascuna non risponde a pieno alle caratteristiche attese, considerando tra l’altro che una faglia che genera un terremoto di circa 7 di magnitudo deve necessariamente avere una lunghezza di parecchie decine di km (vedi Fig. 4). E poi ancora, la magnitudo: varie analisi sismologiche la definiscono intorno al valore di 7.2, il che significherebbe che nella scossa principale si sarebbe liberata l’energia pari all’esplosione di 32 milioni di tonnellate di esplosivo (pari ai maggiori test nucleari effettuati). L’indeterminazione dell’esatta N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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magnitudo comporta però che anche alcuni punti decimali di differenza corrispondono a grandi variazioni di energia liberata; a titolo di esempio, un terremoto di quasi 8 di Magnitudo, come quello di San Francisco nel 1906, libera un’energia corrispondente ad un miliardo di tonnellate di esplosivo.A parte la distruzione quasi totale lungo le due sponde dello Stretto, il terremoto di Messina avrebbe allontanato la Sicilia dalla Calabria di 70 cm, provocando anche un differente collasso cosismico (cioè contemporaneo e indotto dal terremoto) delle due sponde dello Stretto, in Calabria di -54 cm e in Sicilia di -73 cm. Un altro non meno importante tema riguarda l’innesco dello tsunami che ha seguito di pochi minuti la scossa principale: è sempre stata opinione comune che le tre onde di tsunami, alte parecchi metri, siano state indotte dalla severa spinta sulla colonna d’acqua provocata dal movimento improvviso del fondo del mare, che ha fatto prima ritirare il mare dalle coste N.4-5 Luglio/Ottobre 2008

per poi ricacciarlo con violenza su queste, aggravando notevolmente i danni e le perdite umane.Alcuni ricercatori, attraverso recenti campagne di geologia marina nello Stretto, avrebbero individuato un grosso volume di rocce e detriti poco fuori la costa di Giardini che sarebbe scivolato dalla scarpata siciliana verso il fondo dello Ionio a costituire un corpo di frana sommerso delle dimensioni di circa 20 km cubici.Tale frana sarebbe stata provocata dallo scuotimento del sisma del 1908 ed è ritenuta coresponsabile dello tsunami, considerando compatibili i volumi del corpo di frana e le velocità dell’onda anomala, che avrebbe viaggiato a circa 300 km/ora abbattendosi in pochi minuti sulle coste siciliane e calabresi. Cosa c’è da aspettarsi per il futuro? Quanto detto dimostra ancora una volta come lo studio della sismicità e della tettonica che la determina non permette ad oggi di potere prevedere puntualmente i terremoti in termini di ubicazione,

magnitudo e tempi. Le ricerche sinora condotte da geologi e geofisici sulla “Geologia dei terremoti” rappresentano comunque un enorme passo avanti rispetto al passato; le aree sismiche sono continuamente censite e monitorate da Istituti e Centri nazionali di settore, Università e Protezione Civile, ricerche che sono state tradotte in carte della pericolosità sismica e delle zone sismogeniche. Lo Stretto di Messina, il Val di Noto, il Belice, ed in minor misura la fascia tra la Sicilia e il Basso Tirreno, fanno parte di differenti zone sismogeniche di medio-alta pericolosità in termini di accelerazione del suolo attesa in un determinato intervallo di tempo.Ciò non vuol dire comunque che a Messina c’è da aspettarsi a breve un terremoto di magnitudo simile a quello del 1908, ma che certamente la zona sismogenica a cui appartiene l’area dello Stretto è caratterizzata da faglie capaci di generare terremoti di quelle magnitudo. Anche se alcuni calcoli statistici indicano in


circa 1.000 anni il tempo di ritorno per il terremoto del 1908, altri volumi di rocce sottoposti a sforzi tettonici possiedono carichi di energia in eccesso che potrebbe essere rilasciata in futuri forti terremoti, con epicentro più o meno distante ma ubicato nella stessa zona sismogenica. La probabilità è comunque piuttosto bassa, visto che sembra che nelle aree in questione l’energia viene rilasciata con una certa gradualità nel tempo attraverso sismi di medio-bassa magnitudo, e solo in pochi casi con picchi più alti, fatto questo che non può giustificare di disattendere il problema. A questo punto la domanda d’obbligo è: cosa accadrebbe oggi se si verificasse un terremoto di una certa magnitudo nella nostra regione o in Calabria meridionale? Bisogna osservare che il territorio nel quale viviamo non ha certo sufficienti attitudini a sopportare tali eventi per diverse ragioni, come la sua morfologia, la densità di popolazione, la presenza di centri storici spesso di

particolare pregio, la disordinata recente urbanizzazione, ed in generale un irrazionale uso del territorio, fatti questi che ne incrementano a dismisura i valori di vulnerabilità. Anche se la attuale normativa sismica prevede severi parametri da rispettare, questi in molti casi vengono disattesi o non sono facilmente applicabili alle costruzioni più vecchie, ed in pratica risulta molto difficile e oneroso mettere in sicurezza tutto il sistema territoriale. Alle attuali condizioni è verosimile prevedere che un terremoto di media magnitudo, come ad esempio quello di Palermo del settembre 2002, possa provocare danni di dimensioni superiori a quelle attese. Le analisi della pericolosità e della conseguente vulnerabilità vanno condotte alla piccola scala, valutando parametri sempre più di dettaglio, quali la delimitazione delle aree sismogeniche, la zonazione degli effetti di sito responsabili della amplificazione locale dello scuotimento, il censi-

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Via Garibaldi e il Teatro Vitt. Emanuele.

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mento delle strutture a rischio, etc. Molto è stato fatto in questa direzione: esistono pregevoli studi in cui si sono presi in esame con tecniche moderne le caratteristiche dei danni del terremoto del 1908, e prodotte carte della vulnerabilità del territorio applicate alla situazione odierna, che sono state recentemente presentate ad un convegno svoltosi a Messina e organizzato dall’ ISPRA e dall’ARTA della Regione Siciliana. Quale difesa allora? Innanzi tutto proseguire le ricerche multidisciplinari, migliorare il sistema di circolazione delle conoscenze, attuare un più stretto collegamento tra Istituzioni, Mondo Accademico e della Ricerca, Organismi di Risposta, Enti Locali, nell’ottica della previsione e prevenzione dei rischi naturali, in modo da essere in grado di gestire il territorio applicando tutte quelle azioni volte alla mitigazione degli effetti, utili a convivere con maggiore attenzione e forse serenità con i fenomeni naturali, primo fra tutti il terremoto. N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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Testimonianza della città perduta e della città ferita di Attilio BORDA BOSSANA a città perduta e la città ferita subirono dalla tragedia, un sovraccarico semiotico:sotto lo sguardo inorridito di un pubblico nazionale ogni scena diventò un simbolo, ogni aneddoto l’involucro di una verità più ampia. Un movimento di compassione e solidarietà patriottiche si innescò con proporzioni mai viste in un Paese ove la debolezza del sentimento di identità nazionale era luogo comune. Gli italiani non si sentivano ancora molto italiani e la loro identità era basata più sulla località geografica di appartenenza, sulla famiglia, sulla politica o sulla religione, più che sulla nazione. Ciò nonostante, volontari da tutto il Paese si misero in viaggio per raggiungere la città disastrata e dare una mano; quotidiani e periodici parlarono del disastro anche attraverso immagini fotografiche e disegni che illustravano le drammaticità. Comitati civici spuntarono come funghi per raccogliere fondi. Una città e un popolo sfrondati, ma non abbattuti, si incontrarono. È suggestiva in tal senso la testimonianza di Teresa Micali Caldarera (nella foto la seconda da sinistra, seduta davanti al marito ed in mezzo ai suoi figli), moglie dell’avv.Grand’Uff.Emanuele Caldarera, Marchese di Menta e Raulica, Procuratore Generale presso la Corte di

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Cassazione, all’epoca del sisma Giudice del 3° mandamento, scritta nel 1914 per tramandare la memoria di quella tragica notte agli eredi, che gelosamente hanno custodito il ricordo, oggi gentilmente concesso dalla nipote, sig.ra Maria Teresa Zuffo Ballo. La famiglia Caldarera abitava in via Bisalari, nei pressi dell’attuale via Università; di antichissima nobiltà, era originaria di S. Angelo di Brolo, dove possedeva un feudo, concesso, insieme al marchesato, da Federico II nel 1264. L’autrice della testimonianza, appartenente alla famiglia Micali, originaria di Roma, con

il marito continuò a vivere a Messina, ed ebbero tre figli, Ugo Caldarera - il bambino del racconto- che divenne magistrato di Corte di Cassazione e Grandufficiale della Repubblica; Arturo Caldarera, ingegnere, colonnello del Genio Marina Italiano, che partecipò alla campagna d’Africa, e Matilde Caldarera, che sposò lo spedizioniere Giuseppe Zuffo. Emanuele Caldarera fu magistrato del Regno, collaborò con il prefetto Mori negli anni 30 e fu uno dei primi giudici ad avere la scorta per il suo impegno contro la mafia. Teresa ed Emanuele Caldarera morirono nel 1937.


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...Guardando non vide più stanze, più isola, più chiesa! rava m o a l l a f i n e d i dicembre del 1908 ed una tristezza insolita opprimeva l’animo nostro, quasi avessimo presagito la sventura che doveva colpirci. Infatti, passammo il Natale quasi con le lacrime agli occhi e tanto io che mio marito non sapevamo

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spiegarci la ragione. Arrivammo così alla sera di domenica 27 dicembre in cui alla solita ora andammo a letto. nella nostra stessa camera, in un lettino chiuso, poco distante dal nostro, dormiva Ugo, l’unico figlioletto di ventun mesi che allora avevamo.

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La signora Teresa Micali Caldarera (la seconda da sinistra, seduta davanti al marito ed in mezzo ai suoi figli). Pagina a lato, il pallino in rosso indica l’abitazione della famiglia Caldarera in via Bisalari, nei pressi dell’attuale via Università.

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Alle quattro di quella notte avendo avuto il bambino un po’ di tosse si svegliò, ed io, cosa strana, contrariamente alla mia abitudine di essere un po’pigra nel saltare dal letto, quasi mi fossi sentita spingere da una forza irresistibile, misi subito i piedi a terra per andarlo a prendere, malgrado mio marito mi consigliasse di lasciarlo riaddormentare nel suo lettuccio più libero. Lo coricai nel nostro letto, aggiustai la lampada che tenevo sul mio comodino ed alle 4 e mezza ci riaddormentammo tutti. Quand’ecco che alle 5 e 20, ora tremenda che poi sapemmo, in cui tutti gli orologi rimasero fermi allo stesso e che mai si cancellerà dalla nostra mente, una terribile scossa di terremoto di cui al principio se ne capì subito l’entità, sentendosi addirittura rigirar sossopra, ci svegliò di soprassalto. Mai però potevamo prevedere, anche se un Angelo del Cielo ce lo avesse predetto, che in 55 secondi Messina non doveva più esistere perché fu l’ultima fase del Terremoto vorticoso che la distrusN.4-5 Luglio/Ottobre 2008

se completamente. Al cominciar della scossa ad un tratto ci sorprendemmo in mezzo al letto e mio marito abbracciandomi mi disse: Non aver paura, Teresina, finirà presto, ed io feci lo stesso col bambino che tenevo dalla mia parte cingendogli il collo col braccio. Nel tempo stesso che facevamo tale mossa e che mio marito aveva appena finito di profferire le sue parole sentimmo un cupo rumore, un crepitar di macerie, una densa polvere che ci otturava la gola e ci offuscava gli occhi, mentre un peso enorme ci schiacciava privandoci dei movimenti. Nelle fitte tenebre in cui restammo non potevamo renderci conto esatto di ciò che accadeva, e della posizione in cui ci trovavamo, altro non si avvertiva che il girare vertiginoso della terra ed un crollare continuo di pietre, calcinacci, canne e legni che ci cadevano addosso. In quel terrore, in quei momenti di angoscia indicibile, in cui capimmo che la casa crollava ed aspettavamo di sentirci ancora sprofondare nell’abisso, io ebbi solo la forza di invo-

Corso Cavour in una immagine antecedente il terremoto e, nelle foto della pagina a lato, come si presentava dopo il terribile sisma.

care Iddio e la SS. Vergine di Pompei alla quale promisi che se ci avesse liberati da così orribile morte, le avrei portato al suo Santuario a Pompei i miei orecchini di brillanti. Gridavamo continuamente al soccorso tanto io che mio marito, e colla certezza che fosse stata solo la nostra casa a crollare, chiedevamo aiuto dai vicini, chiamavamo a squarciagola la nostra brava cameriera, che poverina è stata disgraziatamente tra le vittime, ma nessuno rispondeva alle nostre invocazioni. Ci meravigliava tanto il silenzio e non potevamo frenare un forte risentimento all’altrui egoismo, ignari dell’immane catastrofe. Purnondimeno, speravamo che da un momento all’altro avremmo sentito accorrere i pompieri colle torce a vento, i soldati, i carabinieri, tutte quelle persone insomma, che in simili casi,


CITTÀ&TERRITORIO come sempre si è letto, sono i primi ad accorrere per prestare i loro soccorsi. L’oscurità ci opprimeva, dalle 5 e 20 prima che facesse giorno al 28 dicembre, ci volevano due ore buone; non potevamo renderci conto esatto dell’ora precedente in cui ci eravamo svegliati, speravamo presto nell’alba, come per attaccarci ad

un’ancora di salvezza; ma ben si capisce, sepolti a quel modo i minuti erano eterni. Mio marito stendeva le braccia per trovare sul comodino i fiammiferi, la candela e vedere così la nostra situazione, ma nulla più esisteva. Quel sepolcrale silenzio che faceva contrasto con le abitudini precedenti di Messina, dove per ogni

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minima scossa era un gridare, un urlare di tutto il popolino, che scappava per le strade invocando i Santi e la Madonna della Lettera, non sapevamo proprio spiegarlo; purtroppo non potevamo credere che in quel medesimo istante Messina era stata rasa al suolo ed 80.000 persone erano le vittime mietute, men-

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tre noi stavamo invece tra i pochi fortunati.Mio marito intanto faceva forza per cercare di divincolarsi da una trave in cui si sentiva impigliata una gamba e dopo varie fatiche vi riuscì, senza accorgersi però che si era ferito gravemente alla stessa gamba. Svincolatosi, brancolando del buio trovò accanto al letto i pantaloni e la giacca, e l’infilò, poi si mise carponi sul letto tastando dove mi trovavo io con il bambino.Non potendomi muovere gli davo la voce per farmi sentire, il bambino quando ci

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sentiva gridare piangeva, indiverso stava zitto; ma per noi era un avvilimento peggiore, dubitando sempre che potesse morire soffocato; giacché me lo sentivo vicino in quella stessa posizione in cui l’avevo cinto col braccio, ma per metà sepolto come me. Finalmente cominciò ad albeggiare e ci potemmo rendere conto della situazione in cui ci trovavamo. La casa da noi abitata, di eredità mia paterna, e che a me era stata assegnata come parte della mia dote, era antica e con tali sistemi fabbricata; si

usava allora mettere nelle volte un così detto trave maestro di enorme grossezza e che reggeva tutti gli altri; tutto il terzo piano esistente sul nostro era crollato, facendo ben tre vittime, come poi sapemmo: nulla più si vedeva dalla nostra camera, meno il solo quadrato del tetto che era combinato come sotto un’alcova.Bisognava proI primi soccorsi. Nelle pagine seguenti, altre immagini della città distrutta dal terribile terremoto.


CITTÀ&TERRITORIO prio credere al miracolo! Dal mio lato del letto vi era una porticina che dava in sala, ebbene questa porta che io la sera paurosa com’ero dei ladri, chiudevo sempre a chiave, fatalmente o miracolosamente non ebbe la girata mentre io ricordavo di avergliela data, dimodochè dalla fortissima scossa essa aperta e fece sostegno alla trave, che ripeto miracolosamente fu trattenuta su di essa, mentre inverso ci avrebbe colpito in pieno petto senza darci neanche il tempo di gridare Maria. Fu così che formatasi quella piccola alcova di travi, tavole e canne ci preservò dall’essere completamente schiacciati. Dopo aver fatto nella semioscurità questa prima triste constatazione, mio marito, che si era già liberato come dissi delle macerie e stava presso di noi accovacciato, sentendo che io imploravo aiuto dalle vicine di casa che reputavo egoiste, sconoscendo la terribile sorte che su loro era piombata, cercò di

rompere un po’ di quell’incannucciato per guardare in che stato si trovava la casa. Io non ricordo bene tutto, ma ho la visione perfetta di quel momento terribile:egli dopo aver guardato si fece d’un tratto irti i capelli e colla figura di quasi pazzo, terrorizzato esclamò: Che cerchi più gente? Da chi vuoi tu aiuto quando Messina più non esiste? È necessario spieghi per dar più chiara visione del terribile spettacolo, che la nostra camera era interna, accanto ad essa prospiciente sulla via Bisolari n.22 in prossimità del Duomo vi erano lo studio ed il salotto grandissimo, dirimpetto avevamo un’isoletta che dava da una parte sulla via Bisolari e dall’altra opposta in via Università, dove vi era la Chiesa del Carmine.Ebbene mio marito guardando non vide più stanze, più isola, più Chiesa, il solo quadro della suddetta Madonna era rimasto in fondo alla Chiesa completamente distrutta, e mio marito vedendolo ebbe un

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sussulto, comprese l’immenso sterminio e sentì venirsi meno. Intanto si continuava a gridare al soccorso, ma inutilmente, un bambino, Umberto Macrì, abitante al terzo piano su di noi, superstite della sventura, era rimasto sull’orlo di un precipizio e di tanto in tanto ci rispondeva dicendo che non si vedeva anima viva. Io schiacciata com’ero soffrivo assai, e cominciavo già a rovesciare materia gialla; il povero mio marito mi domandava come mi sentivo, se avvertivo delle rotture interne e se potevo in quello stato resistere ancora qualche po’, ed io incoraggiandolo gli rispondevo che pel momento mi fidavo, ma non sapevo in quale stata stato mi sarei trovata dopo, qualora per molto tempo ci avessero lasciati e certamente non avrei potuto sopravvivere. Fu allora che egli ebbe uno scoraggiamento fortissimo tanto che prese dal suo comodino rimasto, la rivoltella N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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e disse che se fra qualche ora non ci avessero salvati, lui avrebbe prima ucciso me ed il bambino e poi se stesso. M’impressionai molto di tale frase e lo pregai di riporre subito l’arma esortandolo ad avere coraggio e fede nella Vergine SS. Di Pompei che ci avrebbe fatto il miracolo. Allora pensò di salvare da solo prima il bambino, infatti scavandolo con le sue mani riuscì ad estrarlo dalle macerie e per fortuna lo vedemmo illeso senza alcuna contusione. Si levò la sua giacca e poggiandola sulle macerie me lo sedette accanto.Il guaio era per me, che per quanti sforzi facessi aggrappandomi al letto con l’aiuto di mio marito non potevo assolutamente svincolarmi per l’enorme peso che mi schiacciava.Egli sarebbe potuto uscire da quelle rovine in cerca di qualche persona che l’aiutasse, ma non voleva lasciare me nel dubbio che continuando le scosse finisse per sprofondare quel po’ di pavi-

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mento che tratteneva il letto seppellendomi completamente. Si continuava a gridare e finalmente un frate del Carmine ci dette una voce promettendoci che sarebbe venuto a salvarci, ma invano l’aspettammo. Più tempo passava, più cominciavamo a perdere la rassegnazione e la speranza, quando per nostra fortuna, continuando a gridare aiuto, un signore, Giuseppe Toscano, (ndr. poi divenuto parlamentare), passando da là riconobbe la voce di mio marito, che allora occupava a Messina il posto di giudice con le funzioni di Pretore, e sentendo le nostre tristi condizioni gli promise che stesse tranquillo, che appena procurata una scala sarebbe venuto subito ad astrarci da quelle rovine.È facile immaginare come tale assicurazione ci rincuorò alquanto ed aspettammo da questo nostro salvatore la liberazione come le anime del Purgatorio. Dopo un po’ sentimmo chia-

mare:giudice, giudice, si affacci, mi aiuti che son qua per loro. Mio marito incoraggiato subito da me, che non vedevo altro scampo di salvezza, uscì per dare aiuto a questo bravo signore e quando dopo pochi minuti me lo vidi vicino, certa di essere salvata mi sentii svenire dalla commozione. L’estrarmi fu assai difficile: enormi macerie avevo addosso, ci siamo anche accorti che il grosso marmo del nostro settimanale mi stava ritto su un piede e per miracolo non me lo ruppe. Era altresì di ostacolo far largo sotto quell’alcova intrecciata di canne, travi e tavole come un gioco d’artifizio, fortunatamente arrivarono ad afferrare le punte del plaid e spingendolo con la maggior forza che avevano, lo sollevarono un po’, quel tanto che bastò affinché io, aggrappata all’altra parte del letto facessi ogni estremo sforzo per svincolarmi in qualsiasi modo. In camicia, più morta che viva, terrorizzata da quanto i miei occhi cominciavano a vedere,


sue che mi fece mettere. Ricevetti dopo una sottana sgualcita ed una coperta bianca trovata là per terra, che una pietosa donna mi dette e mi servì per ricoprirmi un po’, anche al bambino fu dato uno straccio per avvolgerlo dalla pietà di qualcuno ed in questo stato, in così rigida stagione, c’incamminammo per andare in cerca della casa dei genitori di mio marito che furono pure tutti salvi. Non ci si raccapezzava più nulla, non potevamo più orientarci, montagne di macerie, feriti, cadaveri, scene strazianti si presentavano ai nostri occhi; mio marito camminava avanti col bambino in braccio, ed io appoggiata alla sua spalla, con gli occhi bassi per evitare di guardare un sì orribile spettacolo camminando a piedi quattro ore, nelle condizioni che vi sto descrivendo, arrivammo al villaggio Moleti dove il fratello di mio marito si era rifugiato con tutta la famiglia e là ci riunimmo. Ivi arrivati dl persone del paese ci hanno provveduto di qualche indumento e noi che fino alla sera precedente eravamo andati a letto con tutti i nostri comodi, attenti alla massima igiene, in quel momento ritrovavamo nudi, senza tetto, senza mobili, senza più nulla che ci ricordasse il nostro nido, e dovemmo adattarci ad indossare gli stracci che ci venivano dati dalla carità pubblica. È vero, come tutti ci dicevano, che dovevamo confortarci pensando di essere scampati all’immane flagello e potevamo nella sventura reputarci fortunati ma è sempre ben doloroso il vedersi in un momento privi di tutto, proprietà di casa perduta, mobili, pianoforte, porzione di gioie, di argenteria, corredo di entrambi, tutto sparito e ciò alla distanza appena di due anni e mezzo dal nostro matrimonio. Della nostra roba non potemmo recuperare altro

che il letto un comodino ed una sedia, che terremo sempre come ricordo. E mi sento ancora rabbrividire pensando che se un’ora prima non avessi io preso il bambino, sicuramente l’avremmo perduto e per il pensiero di perder lui al cominciare della scossa movendoci noi dal letto, saremmo piombati nel precipizio travolti dalle macerie. E’ proprio vero che i miracoli e noi per un cumulo di circostanze già cennate ne abbiamo avuto la prova più evidente. I nostri figli, nipoti, pronipoti leggendo certamente tale tremenda sciagura, l’unica così fatale che siasi finora registrata negli annali della storia, crederanno vi sia dell’esagerazione, ma noi che disgraziatamente siamo stati spettatori e vittime di tale disastro, possiamo accertare che, mai come allora, le descrizioni dei giornali e delle persone rispondevano assai meno che al vero, ed anche le mie, naturalmente scritte assai male, non accennano che in minima parte le ore terribili passate e le tristi conseguenze patite, che purtroppo lasceranno sempre in noi un ricordo incancellabile. Dopo venti giorni dal disastro io fui a Roma, in casa dei miei adorati genitori, che man mano mi provvidero di tutto, a cominciare dai fazzoletti. Là restai per otto mesi essendomi dopo gravemente ammalata, conseguenza di tutti i disagi e le sofferenze patite, e debbo la mia guarigione alle grandi cure avute in famiglia. Appena ristabilita, prima di tornare in Sicilia, fui a Pompei a sciogliere il mio voto e là, nel Santuario tra le lacrime di commozione, non cessavo di ringraziare la Vergine SS. Del Rosario del miracolo fattoci. Queste poche righe resteranno quale ricordo ai miei amatissimi figli dell’ora tragica del 28 dicembre 1908, ore 5,20.

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mi scese questo signor Toscano, mediante la scala da lui appoggiata su un precipizio, con pericolo della propria vita , e là mi fece sedere sulle enormi macerie. Commossa l’abbracciai e tanto io che mio marito non sapevamo come ringraziarlo dovendo esclusivamente a lui la nostra salvezza. Il bambino dalla stessa scala fu dato prima ad una pietosa donna che lo tenne in braccio finché io mi liberai. Ero quasi inebetita, mi sembrava di sognare vedendo quel terrificante spettacolo, dal profondo di quelle macerie sentivo giungere fin a me fiochi lamenti di persone sepolte, cui nessuno scampò alla morte, ed un brivido mi correva per le ossa; basti osservare che dalla nostra isola che contava una cinquantina di persone ne uscirono solamente sei, non parliamo poi di quell’isoletta dirimpetto, di cui restò viva la sola portiera. Mio marito ricordando il mio voto pensò prima di scendere da quel precipizio, che più non rivedemmo, di prendere qualche oggetto di valore fra cui trovò gli orecchini, poi anche lui venne giù e come pazzi di terrore e di angoscia ci guardavamo esterrefatti senza saper decidere il da fare. Nulla più si riconosceva, tutto raso al suolo, non esisteva più pietra su pietra, pochissime persone in tutto una decina erano là scampati come noi e nello stesso atteggiamento.Mi accorsi dopo che mio marito aveva copioso dalla gamba ferita e che non trovando come stagnarlo lo legò con uno straccio qualsiasi imbrattato di polvere e ringraziammo Iddio se non gli venne il tetano, grazie anche alle cure amorose ed assidue avute dopo da un capitano medico. Io ebbi solo delle leggere contusioni e come già dissi scesi nuda, mio marito trovò solo un paio di scarpe

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Il Museo e il Teatro: due edifici della ricostruzione lenta di Messina di Antonino MARINO a ricostruzione di Messina, dopo il terremoto del 1908, è caratterizzata dalla rapida redazione e approvazione del nuovo Piano Regolatore e dalla quasi contemporanea costruzione dei principali edifici pubblici della città.Accanto ai pochi monumenti storici rimasti nel sito originario (il Duomo, la chiesa dei Catalani, S. Francesco) sono sorti, nell’arco di un decennio, il Municipio, il Palazzo del Governo, il Palazzo di Giustizia, la sede dell’Università, il Palazzo delle Poste, la Stazione ferroviaria, la Curia, oltre ai principali uffici pubblici e privati, alle scuole e alle chiese. La rapida realizzazione di tali edifici e la qualità della loro architettura furono dovute alla disponibilità delle aree individuate sul Piano Regola-

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tore approvato nel 1911, alle ingenti risorse finanziarie messe in campo dallo Stato, alla corretta impostazione tipologico-funzionale degli edifici e alla qualità e preparazione dei progettisti incaricati della loro realizzazione. Tra gli edifici pubblici che non seguirono i tempi rapidi della ricostruzione sono da annoverare il nuovo Museo Civico della città rimasto per più di ottanta anni relegato nella sede provvisoria dell’ex filanda Mellinghoff sulla spianata di San Salvatore di Greci e il Teatro Vittorio Emanuele che, danneggiato dal terremoto del 1908 e successivamente dai bombardamenti dell’ultima guerra, fu sottoposto a parziali restauri che ne compromisero irrimediabilmente la funzionalità. Difficoltà legate alle disponibi-

lità finanziarie e una serie di decisioni contrastanti hanno dilatato enormemente i tempi di realizzazione dei due edifici con risultati ancora incompleti. Il semplice racconto della cronaca delle varie fasi della loro ricostruzione e le questioni emerse in questo arco di tempo sono particolarmente interessanti per riflettere sulla evoluzione dei diversi atteggiamenti relativi alla conservazione del patrimonio storico sia per quanto riguarda i nuovi interventi urbani che per i nuovi inserimenti all’interno di edifici storici. La storia dei due edifici ripropone all’attenzione degli addetStudio per la pianta. Grafite e pastelli colorati su carta velina.


ti ai lavori tutta una serie di questioni che non cessano di essere al centro del dibattito tra architetti, di discussioni tra amministratori e i responsabili preposti alla conservazione del patrimonio storico. Si tratta del problema centrale concernente le modalità e i metri di giudizio da seguire per l’inserimento di nuove In questa pagina, studi di progetto. Grafite e pastelli colorati.

costruzioni in un contesto urbano di particolare interesse e quelle concernenti le modalità di restauro e di ripristino funzionale di un edificio storico. Nel caso del Museo di Messina la storia comprende le varie soluzioni proposte dai progettisti che si sono occupati della costruzione del nuovo museo e rappresenta uno spaccato dell’evoluzione del concetto di museo dal 1913 ai nostri giorni.

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Nel caso del Teatro Vittorio Emanuele la storia riguarda soprattutto l’evoluzione delle tecniche del restauro sino alla radicale ricostruzione interna dell’edifico quale soluzione capace di garantire la fusione tra il mantenimento dei caratteri storici e le esigenze di sicurezza e funzionalità della struttura. Entrambi i casi sono comunque sintomatici di un problema più generale che investe sempre più gli interventi sul patrimonio storico delle nostre città e permette di verificare l’evoluzione dei criteri scientifici e delle soluzioni architettoniche nell’arco di tempo intercorso tra la prima idea e quella finale coincidente con la ricostruzione fisica dell’opera. Il Museo di Messina Limitandosi ai progetti più significativi redatti dal 1908 ai nostri giorni è possibile mettere a fuoco alcune delle idee che hanno accompagnato la lunga e lenta fase di definizio-

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ne del progetto di ricostruzione del Museo di Messina. Il problema della costruzione del nuovo Museo si pose nei primi anni dopo il terremoto. Infatti dopo le operazioni seguite per la conservazione della collezione del Museo Civico nella ex filanda Mellinghoff e la raccolta di tutti i reperti architettonici dei vecchi edifici di Messina nella antistante spianata di San Salvatore dei Greci (vicina al torrente Annunziata) la costruzione del Museo fu subito messa tra le priorità della ricostruzione. Nell’elenco dei principali edifici pubblici da finanziare a carico dello Stato il museo era al quinto posto. Primo tassello della storia del Museo è il progetto redatto dall’ingegnere Francesco Valenti nel 1913. Progetto protrattosi nel tempo (carenza di finanziamento da parte dello Stato, adeguamenti richiesti dagli organi di controllo del Consiglio Superiore dei LL.PP.) sino al 1940 quando lo si ritenne non più adeguato e superato dalle nuove concezioni museografiche. Il progetto del Valenti rispondeva ai criteri adottati da quasi tutti i musei dell’Ottocento. Da un lato seguiva le indicazioni degli schemi durandiani che prevedevano un edificio ad una sola elevazione articolato attor-

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no a tre cortili e illuminato da ampie finestre sulle pareti perimetrali, dall’altro seguiva i criteri di ricostruzione dell’opera d’arte in architettura, attraverso il montaggio dei principali reperti degli antichi edifici di Messina sulle pareti del nuovo museo. “I due grandi corpi di cui si doveva comporre l’edificio - dice la dottoressa Francesca Cicala Campagna erano costituiti da una parte anteriore rettangolare scandita all’interno da tre grandi cortili porticati realizzati con marmi provenienti dai chiostri di S. Domenico e di S. Francesco. All’esterno nella facciata principale erano collocate le finestre del primo ordine di Palazzo Grano, e nelle facciate laterali quelle del secondo ordine dello stesso palazzo, unite ad altre provenienti dall’Università, cui per rendere più grandioso il motivo architettonico, il Valenti disegnava delle finestre semicircolari in sintonia con lo stesso stile. Allo stesso criterio rispondeva la composizione del corpo centrale avanzato sulla facciata principale, da realizzarsi nel fronte con il grande portale di S. Giovanni presso l’Università, affiancato convenientemente dalle due grandi finestre provenienti da S.Placido Calonerò e nelle due testate laterali dal passaggio

carrozzabile, con la ricostruzione di due portali monumentali dell’Università e di Palazzo Grano”. Il progetto del Valenti rispondeva quindi alla concezione diffusa anche nell’opinione pubblica che sentiva prioritario il bisogno di restituire e conservare alla città il ricordo tangibile degli antichi reperti architettonici che rappresentano il punto di contatto con il passato. Ad altri principi rispondeva il progetto redatto dall’architetto Franco Minissi negli anni sessanta in cui la soluzione architettonica si configura come una sequenza di padiglioni autonomi collegati da percorsi vetrati disposti sulla spianata per lasciare sul posto il maggior numero dei reperti lì conservati. Una soluzione modernista in cui un sistema articolato di corpi dalle forme diverse si relaziona con l’atipica spianata archeologica di San Salvatore dei Greci e la ex filanda Menllinghof che nel frattempo era stata restaurata per ospitare il primo nucleo del Museo Civico.Il progetto Minissi rispondeva ai criteri prevalenti negli anni sessanta tenArticolazione dei volumi. Carboncino su carta velina.


CITTÀ&TERRITORIO dendo a mantenere i reperti archeologici lì dove erano stati trovati e ipotizzando soluzioni formali in cui il visitatore si muoveva tra di essi. Il progetto del Museo di Messina degli architetti Carlo Scarpa e Roberto Calandra del 1974 per le nuove soluzioni museografiche, per i sistemi espositivi previsti, per la qualità e varietà di invenzioni architettoniche, costituisce senza dubbio il tassello più interessante di questa storia. Scarpa coglie a pieno i caratteri del luogo. La spianata di San Salvatore dei Greci riunisce in sé le due anime di Messina:quella delle bellezze naturali, dei colori, del mare e quella dei ricordi, della memoria della tragedia.La spianata dove i superstiti del terremoto hanno raccolto e riunito insieme i reperti architettonici e decorativi dei palazzi più belli e signorili è anche una bellissima terrazza sullo Stretto. È alle due anime della città che Scarpa pensa nel modellare l’architettura del museo dando soluzioni e forme che prefigurano un sotto e un sopra: un sotto tutto rivolto alla storia e un sopra tutto rivolto al paesaggio. “L’idea - dice Roberto Calandra era di un edificio in cui il piano rialzato è posto a sei metri sopra

Studio di prospetto. Grafite su carta velina.

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Carlo Scarpa al Museo di Casalvecchio. Verona, 1966.

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il piano seminterrato in gran parte coperto, ma aperto da tutti i lati e destinato ai reperti architettonici di minore rilevanza. I resti più significativi dei reperti salvati da Salinas dopo il terremoto, come i portali e le facciate di chiese e palazzi sarebbe stati ricomposti su piani inclinati posti al limite del fossato e al di fuori della parte coperta. Attraverso le vetrate perimetrali e squarci nel pavimento si creavano dei coni ottici, da cui sarebbe stato possibile vedere contemporaneamente la pittura e la scultura dentro e l’architettura fuori in modo da percepire unitariamente le tre forme d’arte coeve”. Attraverso lo svuotamento del piano seminterrato si ottiene la continuità visiva tra le due parti del giardino permettendo di potere osservare i frammenti esposti anche da fuori. Il museo è articolato attraverso una precisa strategia espositiva con l’individuazione di spazi adatti ai diversi tipi di opere che vanno dalle grandi absidi del fronte nord destinate ad Antonello e agli antonelliani, alla grande sala vetrata destinata alle due statue del Montorsoli il Nettuno e Scilla, alla grande teca sospesa su un lato della granIl teatro Vitt. Emanuele prima del terremoto e, nella pagina a lato, dopo il sisma del 1908. de sala centrale destinata alle collezioni di ori e monete antiche. Purtroppo la morte improvvisa di Carlo Scarpa nel 1978, il passaggio delle competenze dallo Stato alla Regione Siciliana, una miope visione dei politici locali che ritenevano si potesse recuperare il tempo trascorso per la realizzazione del Museo adottando il sistema dell’appalto concorso, hanno determinato di fatto l’ac-

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di Messina. È questo un progetto che recupera alcune delle idee del progetto precedente, come le tre sale absidali e lo spazio a doppia altezza per le sculture del Montorsoli, ingloba nella parte seminterrata la cripta della piccola chiesa di San Salvatore dei Greci e riprende la soluzione del percorso archeologico nel giardino anteriore affacciato sul mare. Il Teatro Vittorio Emanuele Il teatro Vittorio Emanuele fu uno dei pochi edifici che non andarono distrutti nel terremoto del 1908, ma soltanto danneggiato nella parte posteriore con il crollo di parte della torre scenica. A differenza del Museo il problema del Teatro era tutto interno all’edificio e riguardava le modalità del restauro necessario per ripristinare l’antica funzionalità e per migliorare alcune carenze come la poca profondità del palcoscenico. La storia della ricostruzione del teatro segue in parte lo stesso iter di quella del Museo ed è possibile dividerla in tre fasi. La prima in cui vengono eseguiti una serie di lavori interni parziali che non risolvono il problema dell’apertura del teatro, una seconda fase in cui viene realizzato un progetto che

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cantonamento del progetto Scarpa la cui realizzazione avrebbe reso possibile un sistema espositivo moderno all’interno di una architettura innovativa che sarebbe stata di per sé una ulteriore ricchezza per la città. Infine il Museo realizzato (ma ancora non aperto) è frutto dell’appalto concorso bandito dal Comune di Messina, vinto con un progetto degli architetti Gaspare De Fiore, Fabio Basile e Mario Manganaro e la cui sistemazione interna e allestimento museografico è stato curato dall’architetto Antonio Virgilio della Soprintendenza N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


Cartellone dell’Aida, l’ultimo spettacolo prima del terremoto. In basso, prospetto del Teatro.

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affronta in modo radicale la ricostruzione del teatro con la totale ricostruzione dell’edificio inglobato nelle antiche murature esterne, infine una terza fase con la realizzazione della ricostruzione,a seguito di un appalto concor-

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so, che permette di aprire il teatro ma che lascia molto perplessi sia per la soluzione della nuova sala che per alcune carenze estetico funzionali. I primi lavori di restauro (192636) si devono all’ingegnere Vincenzo Vinci che curò la r icostr uzione

delle parti crollate.A lui si deve pure l’allungamento del palcoscenico e il suo completamento retrostante con la costruzione di una sala per concerti, la sala Laudamo, il cui prospetto esterno si intona allo stile neoclassico dell’edificio ottocentesco. I lavori di risarcimento dei prospetti esterni furono eseguiti con muratura di mattoni pieni mentre l’addizione posteriore della Sala Laudamo e parte dell’ampliamento del palcoscenico con struttura intelaiata in cemento armato e muratura compartecipante. La mancanza di finanziamenti necessari per opere di completamento impediscono l’apertura del teatro. I bombardamenti della seconda guerra mondiale provocano nuovi danni alla sala e a tutta la copertura. I lavori di restauro (1949-52) realizzati su progetto del Genio Civile di Messina apportano le prime sostanziali modifiche all’impianto ottocentesco della sala. “Vennero infatti costruite - come dice Gioacchino Lanza Tommasi - due gallerie in cemento armato sovrastanti il secondo ordine di palchi così come in cemento armato furono ricostruiti tutti i palchi della sala”. Anche questi interventi non si dimostrano risolutivi anzi alterano profondamente il sistema strutturale originario a tal punto che, dopo una serie di approfonditi accertamenti strutturali affidati al professore Antonio Benini che poneva in dubbio la possibilità di conservare il vecchio edificio, l’amministrazione comunale decide di avviare un progetto organico di ricostruzione del teatro dandone incarico all’architetto Roberto Calandra e agli ingegneri Antonino Barone e Santi


e alla risoluzione di problemi interni legati all’acustica e alla visibilità. Il concorso è stato aggiudicato ma il suo avvio rimane sospeso in attesa di reperire i fondi necessari per la realizzazione. Il lungo iter seguito per la ricostruzione dei due edifici dimostra quanto sia complesso e difficile intervenire sul patrimonio esistente quando i tempi della realizzazione si dilatano enormemente. A difficoltà oggettive legate ai finanziamento e alle modalità esecutive si sovrappone l’evoluzione di idee, di principi, di tecniche esecutive ma anche nuove necessità indicate dagli specialisti del settore e nuovi modi di sentire espressi dalla collettività. Sono trascorsi più di trenta anni e non si è ancora compreso l’enorme errore commesso nel non avere realizzato il progetto Scarpa per il museo;a venticinque anni dalla apertura del teatro non si è placata ancora la querelle relativa alla soluzione adottata di non ricostruire la sala con i cinque ordini di palchi preferendo la soluzione a gallerie sovrapposte. Anche se i due edifici comportano problematiche diverse, più legata all’evoluzione

tipologica e all’architettura il museo, più legata alle modalità del restauro il teatro, è necessario avere presente che di fronte all’assenza di teoria e di certezze qualsiasi decisione è derivata da scale di valori instabili legati al mutare della mentalità collettiva.Mentalità che, soprattutto in questi ultimi anni, tende sempre più ad affidare una valore preminente al portato storico del passato prediligendo la conservazione di modelli e di soluzioni antiche più facili ad essere accettate dalla collettività. Ora se l’attenzione verso il passato costituisce di per sé un fattore positivo, perché spinge verso una maggiore attenzione verso la storia, la stessa preoccupazione per il passato diventa elemento negativo quando viene assunta in contrapposizione all’innovazione, alla contemporaneità.È per questo che ritengo che le occasioni di ricostruzioni lente non debbano divenire motivo di rimpianto o di occasioni perdute ma spunto per interventi importanti frutto della scienza del presente.

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Ruberto. Il progetto Calandra del 1974, prevedeva la totale ricostruzione del teatro mantenendo soltanto le murature perimetrali, il restauro del foyer anteriore e l’innalzamento della copertura per realizzare nuovi ambienti tecnici e per ampliare la torre scenica secondo le moderne esigenze teatrali. La sala era prevista con platea inclinata e tre ordini di gallerie senza palchi ed era in linea con le soluzioni prevalenti del momento di cui la ricostruzione del teatro Regio di Torino di Carlo Mollino era sicuramente l’esempio più importante. Il progetto rispondeva a precise richieste dell’amministrazione quale quello di prevedere un teatro di almeno 900 posti idoneo ad accogliere vari tipi di spettacoli, dalla prosa alla musica sinfonica, dalla lirica alla musica da camera. Con questo intento il progetto nella sua prima stesura prevedeva la demolizione della sala Laudamo e del retropalcosenico e la ricostruzione di una nuova sala sul fronte posteriore più larga e aggettante rispetto al corpo ottocentesco, dalle linee decisamente moderne destinata ad auditorium. Anche in questo caso l’amministrazione comunale per accelerare i tempi per la ricostruzione del teatro bandisce un appalto concorso (vinto dall’impresa Russotti di Messina) sulla base del progetto Calandra. Progetto che viene però in parte modificato in fase di realizzazione con la reintroduzione di due ordini di palchi nella sala, il mantenimento della sala Laudamo, la modifica del tetto con l’eliminazione della grande copertura in rame. A soli venticinque anni dalla riapertura del teatro è stato bandito un concorso di idee finalizzato alla riprogettazione di una nuova copertura che inglobi l’attuale torre scenica

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Interno del teatro prima del terremoto.

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Gli intellettuali e la tragedia di Gianpiero CHIRICO l novecento è propriamente detto il secolo degli intellettuali, il cui peso è divenuto sempre più consistente: direttamente politico, etico e morale. Nel 1898 qualcosa nasce o ridiventa1;la mobilitazione collettiva, lo schieramento degli uomini di cultura, la discesa in campo di essi dimostra la volontà, il cambiamento.2 Gli intellettuali diventano strumenti di idee. Se la categoria dei colti incomincia a parlare il linguaggio della presa di posizione, delle scelte e delle opinioni ormai in piazza; le idee e il volto delle ideologie si trasformano in qualcosa di reale e tangibile per tutti. Gli scrittori del Novecento vanno allo scoperto, marciando contro ingiustizie e prese di posizione contro governi. È il caso del terremoto di Mes-

Alessandrine Émile Zola

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Luigi Capuana

sina, dove anche con semplici messaggi di solidarietà intervengono non più in maniera disimpegnata; si è detto, altre volte, e lo ribadiamo, una mobilitazione collettiva come quella per le vittime del terremoto del 1908, rese un semplice intervento su un foglio un richiamo:il valore del manifesto.Una sola parola scritta turbò, sollecitò forse, un governo, quello di Giolitti, non pigro, come più volte è stato scritto ma incapace, direi pasticcione, e preso alla sprovvista dal primo grande problema dall’unificazione d’Italia. Gli intellettuali hanno imparato proprio alla fine dell’Ottocento l’importanza del loro ruolo di uomini di cultura;i quali devono stare in mezzo alla quotidianità, rappresentanti o discepoli di una realtà contingente. La necessità di entrare in azione a difesa della Cultura, della

Hermann Hesse

Civiltà, dell’Umanità, trasformerà il poeta e lo scrittore in condottiero armato3. Come si desume facilmente dall’elencazione dei nomi del ritrovamento, sono numerosi gli intellettuali, scrittori, poeti, saggisti francesi. Nei rapporti fra la letteratura italiana e le altre si possono individuare due fasi: nella prima è la nostra letteratura del Trecento e Seicento che svolge un ruolo predominante di influenza, il rapporto si rovescia nell’ultimo periodo, quando è quella francese, inglese e tedesca ad influenzare la nostra letteratura.Ed è sotto questo aspetto che dobbiamo cercare e trovare amicizie, affinità e legami; questo il motivo perché tutti gli intellettuali in questo libro si misero volontariamente a scrivere, e al servizio della Storia, consegnando il loro

Grazia Deledda


NOTE 1. Cfr. P. Pullega in Letterati e intellettuali - il dramma dei singoli uomini, nel 500, “La forma letteraria in Italia dal Rinascimento all’Umanesimo”, Milano, Zanichelli, 1988. 2. Cfr. B. Bongiovanni, Intellettuali. Interpretazioni e teorie, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993, III, pp.461-471. 3. Cfr. M. Serra, L’esteta armato. Il poeta condottiero nell’Europa degli Anni Trenta, Bologna, Il Mulino, 1990.

Antonio Fogazzaro

Il dolore condiviso, di Gianpiero Chirico, Gbm edizioni, € 29 Delle catastrofi che, nel Ventesimo secolo, colpirono il nostro Paese il terremoto del 28 dicembre 1908 fu la più tragica. Morirono migliaia e migliaia di persone (80 mila, almeno secondo i dati ufficiali). Ma le vittime furono molte di più, quasi novantamila. Si parlò di una seconda Pompei. La sciagura divenne attrazione per molti; e metafora di mal governo per l’Italia. Per ore prima che giungessero i primi soccorsi - non italiani - perirono sotto le macerie donne, bambini e vecchi scampati alla sventura, ma non alla tragedia del silenzio dello Stato e degli sciacalli; quest’ultimi non lesinarono in alcuni casi di mutilare le vittime per rubare anelli, denti, bracciali e tutto ciò che aveva valore. Più di aiuti i superstiti, infatti, poterono contare sulla solidarietà di poeti, scrittori e musicisti, che dimostrarono a loro modo e nella propria lingua amore per una terra, dimenticata. Centinaia di messaggi, vennero recapitati da ogni parte del mondo, ai giornali e allo Stato Italiano, forse, per risvegliare e sensibilizzare. Riesce difficile cancellare dalla memoria il ritratto della tragedia, che sconvolgendo travolse in un gorgo le città di Messina e Reggio. Il terremoto le devastò: negli anni l’aspetto mai mutato con vaste zone cicatricice lo ricorda. A distanza di cento anni un testo inedito sul Sisma parla il linguaggio del dolore; traccia l’immagine lontana e molto più forte dei colori in bianco e nero delle vignette della “Domenica del Corriere”. I vulgati ritrovati seguono il cammino della testimonianza e del cordoglio dell’ intera comunità internazionale. I 199 tra messaggi, spartiti musicali, poesie custoditi alla Houghton Library di Harvard University, sono oggi un volume, nel quale vengono raccolte, trascritte e tradotte 62 voci. I documenti vengono presentati nella versione autentica e con a margine la traduzione e trascrizione. I messaggi di cui oggi vi parlo - prima di giungere negli USA - furono collezionati dall’Associazione Lombarda della Stampa ed utilizzati per la compilazione di un numero unico ( 1909), pubblicazione posticcia: in ogni foglio - piccolo quanto carta da lettera - furono riprodotti sia in verticale, sia in orizzontali quelle firme per una terra devastata dallo Tzunami italiano. Dopo quel manufatto, oggi conservato in unica copia presso la Biblioteca Centrale di Firenze, gli originali messaggi sparirono. Per ricomparire nel 1955 a Harvard University. Come si è appreso, in un secondo momento, durante la nostra caccia per la ricostruzione storica, l’insieme delle mail ante litteram così possiamo chiamarle apparteneva prima dell’acquisizione da parte dell’ateneo ad una famosa famiglia americana, collezionisti di opere letterarie italiane, di nome Canady. I vergati una volta giunti negli Stati Uniti sono stati incollati, foglio dopo foglio ad un libro bianco, tipo album fotografico, con una copia recante una intestazione in inglese e storpiatura dei nomi.

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messaggio.Non a caso in molti scritti, gli autori parlano della nostra patria come la madre di tutte le Letterature. Non mancano gli spagnoli, inglesi, portoghesi, tedeschi, e naturalmente gli italiani scrittori, commediografi, personalità illustri, politici. Stranamente non vi sono le voci russe.Il testo non ha subito, però, manipolazioni né successive integrazioni. Esso si presenta ai lettori nell’aspetto di album e i suoi messaggi, sono accorati segni di affetto e singolare stima per la nostra Cultura. Il tam tam vibrato da una singola voce e da molte fece giungere da ogni parte d’Europa missive di cordoglio per la nazione della letteratura “classica”. Forse mancava il pane a Messina, ma non la solidarietà degli intellettuali che oggi vediamo riuniti sotto un medesimo stendardo: “Salvate l’Italia, patria di tutti”.

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TRASCRIZIONI DELLE LETTERE Quel che rende più angosciosa la situazione di parecchi che sentirono, come me, tutto il terrore della violentissima scossa, la notte del 28 dicembre scorso, videro Catania rimasta miracolosamente in piedi e quasi non prestavano fede ai loro occhi; quel che rende più angosciosa tale situazione è la certezza di sapere Messina distrutta e di non poter ancora credere che l’immane disastro sia vero. Ci par di sognare, e intanto abbiamo paura di destarci. È orribile! Luigi Capuana, Catania, 15.01.1909. Chi sei? Poter che le terre scuoti e il mar dal fondo percuoti, Sei tu l’orribil bandito Che Dante vide in Tacito? O viva fiera è la Terra Che trasal e rugge all’Uomo, Come leone mal domo, a chi, frustando, lo atterra? Antonio Fogazzaro.

Ho veduto ieri una superstite, una bellissima donna estratta dalle macerie dopo alcuni giorni d’agonia.È ferita ad un piede e si parla di amputarglielo: ella tuttavia non solo non si lamenta, ma pur avendo ancora negli occhi un’espressione di terrore e d’inquietudine, sorride al medico e parla di adottare uno degli orfani sfuggiti alla catastrofe. Pare l’immagine dell’Italia, in questi giorni di miseria e di grandezza. Grazia Deledda, Roma, 12-01-1909. I miei auguri per la Vostra impresa! Vi saluto con l’antica e cordiale ammirazione per i bravi colleghi italiani. Hermann Hesse, Gaienhofen, 16.02.09. Sono profondamente addolorata al pensiero dei miei cari amici italiani, molti dei quali probabilmente provati per la perdita di persone care. All’Italia che io amo, invio le mie condoglianze più sincere e dolorose. Alessandrine Émile Zola, 04.01.1909.

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1908 - 1958: Messina e le contraddizioni del suo passato prossimo di Caterina Di GIACOMO he il 1908 abbia segnato il momento di non ritorno, in termini di azzeramento della identità civile e culturale della città, si ritiene ormai semplicistica affermazione di “comodo”, utile a mistificare atteggiamenti negativi e il perdurante senso di rassegnazione nella società messinese, ma anche a svilire e sottovalutare soluzioni e iniziative di riscatto, che oggi, a distanza di un secolo dal Sisma, si delineano con più chiarezza nella cronistoria degli eventi. In realtà Messina, nei trenta anni che precedono la sciagura, aveva già intrapreso, come più volte rilevato, un percorso economico involutivo, determinato dall’abolizione del Portofranco, nel 1880, con la conseguente crisi delle attivi-

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tà portuali e commerciali. Mentre si andava profilando la sua connotazione di città fondata sul terziario impiegatizio e sui servizi, il cui ruolo nel sistema nazionale veniva limitato a mero scalo ferroviario, laddove la “sussistenza” dell’Università, che rifondata nel 1838, faticava a recuperare il prestigio seicentesco, del Museo, di Biblioteche, Archivi e spazi teatrali preservava la memoria di ben più auliche tradizioni. Peraltro anche il panorama artistico, agli albori del secolo è, con le dovute eccezioni, stagnante, sebbene il clima risorgimentale avesse favorito qualche dignitosa affermazione, specie nelle arti figurative, e in fondo, le catastrofiche conseguenze del Sisma sulla città

Palazzo Loteta, is. 409 via Garibaldi, G. Coppedè, 1920 (part. decorativo). In basso, Palazzina Baistrocchi Marangolo, is. 146 viale S. Martino, 1913 c. ottocentesca, evidenziano la vulnerabilità di un sistema edilizio più che mediocre e mettono in luce la debolezza tecnica di metodologie di restauro empiriche, sebbene motivate da una ancora rigorosa sensibilità storica, adottate in occasione dei precedenti terremoti del 1783 e 1894. L’emergenza sociale e le risorse finanziarie insufficienti caratterizzano, in parte giustificandone le debolezze ed i punti oscuri, tutti gli aspetti della Ricostruzione, dallo sgombero delle macerie agli interventi provvisori, che sortirono la città di legno con esiti “infiniti”, all’approvazione del Piano Borzì nel dicembre del 1911, al “sacrificio” di troppe sopravvivenze monumentali, all’adozione di contestabili criteri di restauro per quelle giudicate recuperabili, alla frenesia propagandistica degli anni del Regime, agli esiti dei Concorsi nazionali di progettazione per le Chiese della Diocesi e


Cine Odeon, is. 136 viale S. Martino, R. Günter, 1951, decori di F. Canonico. Sotto, Viale S. Martino, skyline odierno dei contigui isolati 136 e 146. per la nuova Palazzata. Altrettanto condizionate appaiono le modalità della sua seconda fase, quasi un’appendice della prima, dopo i bombardamenti aerei del ’43. Se, nella dignitosissima edilizia privata, si perpetuano fino a tutto il quarto decennio modelli neoeclettici e reminiscenze liberty e decò, in quella pubblica (civile e religiosa), si osserva il prevalere dello stile accademico neostoricistico, d’impronta romana, sia per una impostazione della cultura architettonica locale, sensibile alla diffusa esigenza di rappresentatività, sia perché i progettisti “di grido”, estranei all’ambiente messinese, e coinvolti nell’attività edificatoria della città, si limitano ad importare modelli già collaudati, come peraltro richiesto dalla committenza. Non a caso il progetto di unità abitativa antisismica, elaborato nel ‘15 da Le Corbusier (il modello Maison DOM-INO),

valere delle istanze Novecentiste di “ritorno all’ordine”. È qui che, negli anni cinquanta, si determina un irripetibile clima culturale, con la circuitazione di eventi straordinari e l’affermazione di innovativi orientamenti concretisti nei cantieri edilizi più evoluti, fino alla introduzione del Design nordeuropeo, esposto per la prima volta in Italia, proprio a Messina, alla Piccola Triennale del ’58, organizzata alla Fiera Campionaria, ove peraltro venne rimontato il padiglione milanese di Mario Comolli, demolito negli anni ottanta (sic). Proprio quando, ed è nel destino di questa sfortunata città covare nei rigurgiti di rinascita i bubboni della sua decadenza, si cominciano a delineare gli effetti dell’ indifferenza, non si sa quanto opportunista, nei confronti di quanto realizzato nei decenni dopo il Sisma, con le conseguenti offese, fra incuria e sopraffazioni, ad un patrimonio artistico e architettonico dalle valenze tutt’altro che insignificanti, la cui gravità è oggi sotto gli occhi di tutti, vieppiù peggiorata dalla troppo a lungo sottovalutata deperibilità dei materiali cementizi e dalla inadeguatezza degli espedienti tecnici, drammaticamente emerse nel lungo termine.

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non viene recepito. Mentre l’utilizzo massivo di eleganti e fantasiosi repertori decorativi di superficie, spesso prefabbricati, e selezionati in ragione delle colte valenze simboliche, negli edif i c i p u bbl i c i , m a anche nella edilizia privata destinata all’alta borghesia, oltre a presupporre il supporto di consulenze intellettuali ai singoli piani progettuali, e ad attestare consolidate esperienze tecnico-artigianali consolidate in città, è considerato l’espediente più efficace a contrastare i limiti dimensionali che una rigorosa normativa antisismica, ritenuta vincolante, antepone alla riconquista della perduta connotazione. Ma è a Messina, luogo che meglio di altri esempla diffusamente l’ambivalenza tipica dell’Arte di Regime, che allo scadere degli anni trenta e subito dopo la pausa determinata dal secondo Conflitto, si affermano fra i primi episodi razionalisti di rilievo nazionale, in sorprendente coincidenza, nelle arti figurative, con il pre-

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Le Guardie municipali durante la catastrofe del 1908 di Giuseppe TOMASELLO a catastrofe del 1908 aveva avuto segni premonitori già nei decenni precedenti; la sera del 26 novembre 1894 un terremoto danneggiò infatti gravemente Messina e la Calabria. Le Guardie municipali ed i Pompieri, all’epoca unico Corpo, si prodigarono per mettere in salvo feriti e abbattere cornicioni e facciate pericolanti. La notte dell’8 settembre 1905

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un altro violento terremoto sconvolse la Calabria e fu avvertito anche a Messina;lavoro immane per guardie e pompieri: la chiesa dei Teatini ebbe altri danni che si sommarono a quelli del 1894, danneggiata anche alla chiesa di S. Gregorio, quella di S. Giovanni di Malta ed il Palazzo Comunale. A Torre Faro implose la volta della chiesa del villaggio; a Castanea l’intera chiesa di

S. Giovanni divenne pericolante; infine, crollò il campanile di S. Maria La Scala. Qualche giorno dopo, in città si sparse la notizia che la Madonna era apparsa ad un giovane operaio malato di tisi; si lamentava del luogo miserevole in cui era abbandonato L’Ufficio Immigrazione in Corso Vittorio Emanuele.


il cippo della Vara ed intimava al popolo di rimetterlo al proprio posto, pena un terremoto distruttivo peggiore di quello che aveva colpito la Calabria. Sotto un temporale, migliaia di persone accorsero e trascinarono il cippo fino alla Chiesa degli Alemanni ove non poté e s s e r e r i c ove ra t o p e r l a ristrutturazione della porta che né impediva l’ingresso. Il Comandante delle Guardie Municipali, Signorile, giunse sul posto, le guardie ed i pompieri tentarono di placare gli animi esagitati della folla esasperata dalle settimane trascorse accampata fuori di casa, promettendo che avrebbero fatto di tutto per riuscire nell’impresa di far entrare il cippo in chiesa. I pompieri cominciarono ad abbattere il muro della chiesa ed il cippo fece il suo ingresso in chiesa. Smise di piovere, ma il terremoto era solo rimandato perché nell’anno si registrarono nove movimenti tellurici, oltre all’eruzione del Vesuvio di metà aprile. Ai soccorsi per l’eruzione partecipò anche un drappello di vigili insieme al comandante come si evince dagli articoli apparsi all’epoca sulla Gazzetta di Messina e delle Calabrie: “Stamani sono partiti per i paesi vesuviani il Comandante

dei Vigili, Signorile, con quindici dipendenti forniti di tutti gli attrezzi occorrenti. Un encomio del Ministero ai nostri vigili. - “Dal Prefetto di Napoli vengono segnalati al Ministero dell’Interno i lodevoli servigi prestati dal drappello che questo Municipio, con senso umanitario, inviò nella regione vesuviana. Difficilissimo essendo il compito, che Comandante e tutti i dipendenti, che, infaticabili, riuscirono di efficace aiuto, meritando lode grandissima.”. L’ultimo terremoto fu quello di

Palermo del 14 settembre e La Corte Cailler il 14 settembre 1906 scriveva sul suo “Diario” …a Messina, per fortuna non si è sentita alcuna scossa. Attendiamo:che ci riserbi qualche guaio serio?”. Ed il suo timore si concretizzò in una mite serata invernale quella del 27 dicembre 1908, giornata domenicale in cui i messinesi, si erano riversati per le strade e nei caffè sin dal primo pomeriggio. Aria di Natale con le guardie municipali che dopo aver vigilato perché i ciclisti non disturbassero con le loro “folli” velocità, rientrarono nella caserma del Palazzo Municipale, e nelle due Mandamentali Priorato (Casa Pia) e Arcivescovado (S. Alberto). Molti di loro, soprattutto i più anziani, nonostante l’abolizione del celibato del 1903 non si erano mai sposati; e poi, secondo il regolamento del 1900, molti erano di servizio per il pronto intervento, nonché per la custodia del Palazzo di Città; qual-

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A lato e in basso, vigili in posa davanti alle rovine del Duomo.

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Vigile in posa davanti a un palazzo. Sopra, primavera 1909. In alto a sinistra, brigadiere Stavolta Santi, uno dei vigili sopravvissuti. cuno era anche in perlustrazione notturna. Verso l’una, due leggere scosse sismiche: una sorta di inascoltato preavviso per le popolazioni abituate ai fremiti del sottosuolo. Alle 5 e 21, la prima scossa, devastante. Il mare ribollì e il Palazzo Municipale, dopo essere stato danneggiato dal terremoto, venne sommerso dall’acqua, uccidendo le poche guardie municipali sopravvissute. Rase al suolo pure le due caserme mandamentali, seppelliti tutti gli occupanti. Una pioggia sporca cominciò a cadere sulla città che non ebbe alba. Messina bruciava in più punti e dovunque si guardasse si scorgevano cadaveri imprigionati fra le macerie: questa volta non c’erano più i N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


altre cose, come si tratti di persone che sloggiano da una abitazione recando in un’altra le proprie masserizie e qualunque altro oggetto…un tale dimostrando zelo diceva ad un ufficiale dei carabinieri: Questi son tutti ladri! ... e l’ufficiale, certo assorto nei suoi dolorosi pensieri, meccanicamente ripeteva: Si, son ladri! E guardava senza nulla scomporsi!”. Per alcuni giorni la storia dei “vampiri saccheggiatori di cadaveri” fece il giro d’Italia. “Molti furono arrestati. Uno dei rapinatori, sorpreso in flagrante, si rivoltò alla guardia municipale

Saitta, estraendo e agitando un coltello. La guardia sparò un colpo di rivoltella, l’individuo cadde mortalmente ferito”. Portato a bordo lo sconosciuto e sfortunato sciacallo prima di spirare disse di essere “un dottore catanese occupato ad asportare oggetti e valori… per consegnarli alle autorità!”. Con l’arrivo delle navi russe, il “risveglio” dei vigili sopravvissuti, il cui comando provvisorio venne assunto da Antonino De Luca in qualità di graduato più anziano. Tali Guardie furono considerate in “ser-

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pompieri e le guardie municipali ad intervenire. Morirono tutti: il comandante Signorile, il vice principato Francesco, il sergente Leone, il sergente La Motta, l’eroico brigadiere D’Amico Francesco, delle cui gesta sono piene le cronache dell’epoca e tanti altri di cui non seppero i nomi, visto che gli archivi del personale andarono distrutti nel terremoto. Il sisma aveva provocato la strage nelle caserme; pertanto, il primo giorno post-tragedia, la forza di polizia di Messina fu rappresentata dal maggiore dei carabinieri Viola con pochi militi, guardie di P.S., guardie di finanza e qualche vigile urbano. Assieme ai soldati scampati ai crolli e ai marinai sbarcati dalle torpediniere, questi uomini provvidero ai salvataggi, ai soccorsi ed all’ordine pubblico. Sciacalli si riversarono tra i magazzini e i negozi per saccheggiarli, respinti dai pochi tutori dell’ordine rimasti. Lo svilimento sembrava colpire anche coloro che dovevano difendere l’incolumità pubblica. Così scrive il Cappello, superstite dell’immane tragedia: in un negozio di generi alimentari la gente si caricava “grosse forme di cacio di tutte le specie… scatole di sugna o di conserva di pomodoro o di acciughe e prosciutti e salami e bottiglie di liquori… è accanto un giovane vigile…gli chieggo: E’ lecito fare quello che fanno? - Oh! Si! Prenda chi vuole!...”. Anche gli altri sopravvissuti della forza pubblica non sono più organizzati “…un’altra processione di gente…con la più grande disinvoltura cammina l’un dietro l’altro portando grosse balle di stoffa, ombrelli e mille e mille

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Vigile in posa dentro la chiesa di Nostra Donna della Pietà. N.4-5 Luglio/Ottobre 2008


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vizio provvisorio” assieme a qualche guardia municipale in pensione rientrata in servizio provvisorio volontario. Trascorsero due giorni e due notti ed alle 9,30 del 30 dicembre, alla Marina sbarcò il Re Vittorio Emanuele III; ai suoi lati, la Regina Elena e il ministro Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando; dietro, il Generale di corpo d’armata Mazza, squadre di soldati del genio, di pompieri, di medici e di infermieri. Celebre la fotografia, custodita all’Archivio Storico di Messina, ove alle spalle di Re Vittorio Emanuele si intravede una guardia municipale con indosso un’umilissima e stazzonata uniforme da fatica, probabilmente rinvenuta nelle macerie di una delle caserme. Nel frattempo, in città, arrivavano squadre di volontari muniti di lunghe scale e picconi, deputati da ogni regione, dame con la fascia della Croce Rossa al braccio, giornalisti. Dai colli San Rizzo scendevano a precipizio carovane di soccorritori arrivati a piedi da ogni paese della provincia; i treni scaricavano in aperta campagna uomini, donne, Carabinieri, soldati, studenti, e, naturalmente, Vigili di altre città. Si distinsero, per la celerità con cui intervennero, i Vigili di Napoli; uno di essi, non reggendo all’orrendo scenario,

impazzì improvvisamente. L’elenco delle Guardie Municipali decorate dal Regno d’Italia dopo i soccorsi ai terremotati di Messina e Reggio nel 1908 conta: ìl Corpo di Catania con 14 menzioni onorevoli, 5 medaglie di bronzo, 2 medaglie d’argento; il Corpo di Milano (decorato con medaglia d’argento) con 1 menzione onorevole, 3 medaglie di bronzo; il Corpo di Napoli (decorato con medaglia d’argento); il Corpo di Palermo (decorato con medaglia d’argento); il Corpo di Reggio Calabria con 2 medaglie di bronzo;il Corpo di Roma (decorato con medaglia d’argento) con 2 menzioni onorevoli, 8 medaglie di bronzo, 12 medaglie d’argento. Tra i primi a giungere anche l’On. Giuseppe Micheli che, in assenza di ogni struttura e autorità, si autonominò dirigente, organizzò i primi soccorsi e costruì le prime sette baracche. Con l’aiuto di alcuni dei vigili sopravvissuti e qualche guardia daziaria istituì un servizio di consegna telegrammi, che intanto giungevano numerosi da tutto il mondo (esponendo in una baracca quelli che non si era riusciti a recapitare). Il primo agosto del 1909, l’Amministrazione civica venne affidata al commissario straordinario cav. Alessandro Salvatori che iniziò un’imponente

serie di deliberazioni d’urgenza, con trattativa privata, per il ripristino dei Corpi delle Guardie Municipali e dei Pompieri. Le divise per Guardie e Pompieri vennero fornite da varie ditte di Messina e Napoli alla velocità fantastica, allora ed ora, di 25 giorni;ed ancora letti, lenzuola, federe, cappotti, asciugamani, coperte, armi ed attrezzature di salvataggio.Vennero inoltre acquistate le prime sei biciclette Peugeot per i due Corpi, per i servizi celeri. In cinque giorni si effettuò la gara d’appalto per il restauro dei locali destinati all’alloggio delle Guardie Municipali. Messina era ancora un cumulo di macerie; malgrado ciò si facevano le cose in grande, se per la ricostituzione del Corpo il R. Commissario stimava per la pianta organica il fabbisogno di 100 tra graduati e guardie, così come i Pompieri, così suddivisi: Un comandante, un vice comandante, due marescialli, quattro brigadieri, quattro vice brigadieri, otto guardie scelte, ottanta guardie:delle quali due trombettieri e otto ciclisti. Sia i nuovi che i sopravvissuti entrarono in servizio il l° Aprile 1910. Ma, già prima di essere totalmente operativo, il Corpo tornò ad essere fulcro per la tutela della sicurezza pubblica. Il colonnello Giacomo Amoroso, proveniente dai quadri del Regio Esercito si trovò a guidare il Corpo nel momento più difficile della sua storia. Mentre dalla Fondazione fino ad allora, nonostante il variare di governi ed amministrazioni, le guardie municipali si erano mosse in una città conosciuta e riconoscibile;per la prima volta, si trovavano in una nuova Città, sconosciuta, estranea e feroce. Baracca caserma dei vigili.

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