pag.2 EDITORIALE di Attilio Borda Bossana
pag.3 SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO NELLO STRETTO DI MESSINA di Vincenzo Caruso
pag.12 ELEMENTI CARATTERIZZANTI DI UN’AREA POETICA di Achille Baratta
pag.20 PELORÍS, LUOGO AL DI FUORI DEL NORMALE di A. Manganaro, A. Reale, M. Sanfilippo
ANNO XVI - N.2 MARZO/APRILE 2008 Pubblicazione bimestrale Registr. presso il Tribunale di Messina N.3 del 5 Feb. 1992
direttore responsabile
Attilio Borda Bossana direzione e redazione Uff. Stampa Comune Messina Palazzo Zanca, via Garibaldi 98123 Messina tel. 090675154-55 - 7722393 fax 090663347 indirizzo Internet www.cittadimessina.it
segretario generale dott. Filippo Ribaudo
consulenza redazionale ing. arch. Giovanni Maimone
progetto grafico, impaginazione Piero Saccà piersac@campolangher.com
pag.28 IL PIANO DEL RISCHIO INCENDI D’INTERFACCIA di AA. VV.
pag.36 I CENTO ANNI DALLA CATASTROFE di Giuseppe Campione
pag.44 NAVI MERCANTILI A MESSINA NEL 1908 di Attilio Borda Bossana
stampa Grafo Editor s.r.l. Via Croce Rossa, 14/16 Tel. 090.2931094 Messina postmaster@grafoeditorsrl.191.it realizzazione Comune di Messina
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di Attilio BORDA BOSSANA
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di Vincenzo CARUSO importanza strategica che lo Stretto di Messina ha rivestito nei secoli dal punto di vista geografico, militare ed economico, ha riservato a questa particolare area geografica attenzioni non comuni da parte delle grandi civiltà del Mediterraneo e delle potenze europee, soprattutto in età moderna. Spie, agenti segreti stranieri, operazioni di intelligence, di spionaggio e controspionaggio si sono avvicendate nella storia, sempre con l’intento di carpire informazioni circa la difesa delle coste, i luoghi più idonei per effettuare sbarchi di truppe o per sferrare attacchi offensivi volti alla conquista di Messina e della Sicilia o alla risalita della penisola dopo aver attraversato lo Stretto. Già nel XVI secolo, mentre Messina ridisegnava le sue fortificazioni sotto il regno di Carlo V, l’Ammiraglio turco Piri Re’is al servizio di Solimano il Magnifico, tracciava la cartografia della difesa dello Stretto in una mappa ricca di cuspidi, guglie dalla foggia tipicamente araba, che evidenziavano l’anacronistico punto di vista dell’autore in netta contrapposizione con il contemporaneo periodo storico che vedeva Messina in piena dominazione spagnola. Il periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo, segnò per l’Europa una fase molto critica dal
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Spionaggio e controspionaggio nello Stretto di Messina
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Tra gli agenti segreti stranieri chiamati a carpire informazioni sulla difesa delle coste, anche Lord Baden Powell, fondatore del Movimento Scout Mondiale.
punto di vista delle relazioni diplomatiche tra gli Stati. In un clima intriso di diffidenze e tensioni sempre più accentuate tra le potenze europee, lo spionaggio militare ricevette un notevole impulso orientato a carpire strategie, soluzioni difensive e piani di mobilitazione degli altri Paesi. Il più eclatante caso di spionaggio, avvenuto in Francia e passato alle cronache come l’Affare Dreyfus1, aveva di fatto confermato l’opinione diffusa
Cartografia turca dello Stretto di Messina realizzata nel XVI secolo da Piri Re’is, Ammiraglio alla corte di Solimano il Magnifico. che la sicurezza degli Stati andava garantita non solo con le armi e imponenti fortificazioni, ma con un’accurata e capillare azione di intelligence che avesse come scopo prioritario quello di sventare sul nascere eventuali complotti N.2 Marzo/Aprile 2008
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orditi contro l’incolumità e la difesa dei confini di ogni Paese. In quel travagliato arco temporale, l’Italia, facente parte della Triplice Alleanza che la legava all’Austria e alla Germania, era in pessimi rapporti con la Francia a causa delle contrapposte politiche coloniali in Africa; questa, a sua volta, nutriva aspri contrasti diplomatici con tutto l’impero austroungarico e con l’Inghilterra. D’altro canto, l’Austria e la
ventivamente la Serbia e anche l’Italia. Egli avrebbe approfittato volentieri del terremoto di Messina del 1908 per invadere il Paese, nonostante il patto di alleanza, perché riteneva gli italiani infidi e inaffidabili.2 Per tali motivi, i servizi segreti austriaci si erano attivati in quegli anni nella realizzazione di una serie di manuali, dati in dotazione agli ufficiali dell’esercito, nei quali venivano descritti nel dettaglio la geo-
Alfred Dreyfus, ufficiale di artiglieria dell’esercito francese accusato ingiustamente nel 1894 di spionaggio militare in favore della Prussia. Fu scagionato e reintegrato nei ranghi da un verdetto della Cassazione, dodici anni dopo, nel 1906. A lato, copertina della Domenica del Corriere, 1904. Visita del Kaiser Guglielmo II a Messina. Da F. Riccobono, Il Circolo della Borsa, Messina, 2006.
Germania, malgrado gli accordi della Triplice, non risparmiavano di manifestare segni di diffidenza nei confronti dell’Italia. Franz Conrad, Capo di Stato Maggiore fino al 1917 dell’esercito austro-ungarico, aveva infatti sempre insistito sulla necessità di attaccare preN.2 Marzo/Aprile 2008
grafia, il territorio, l’organizzazione politico-sociale e le dotazioni militari di tutte le aree dello Stato italiano confinanti con l’impero austro-ungarico3. Il tutto reso possibile da una fitta rete di spionaggio che, malgrado gli accordi stipulati, avrebbe consentito all’Austria,
in caso di guerra con l’Italia, una strategica azione di forzatura della frontiera nord orientale. Per far fronte ai problemi legati alla difesa dei propri confini e delle coste, l’Italia, dal canto suo, aveva intrapreso un esteso programma di protezione da eventuali attacchi nemici, investendo ingenti capitali non solo in armamenti, ma soprattutto nella costruzione di imponenti fortificazioni costiere e di montagna. Lo Stretto di Messina, in particolare, sin dai primi anni successivi all’Unificazione, era stato oggetto di dettagliatissimi studi strategici ad opera di numerose Commissioni tecni-
Cupole corazzate del Forte Montecchio (Colico). Da F. Larcher, Le Sentinelle del Regno. Forti Italiani sul fronte della Grande Guerra. Valdagno (Vicenza), 1998.
che costituite da alti ufficiali dell’Esercito e della Marina che, nel corso di quasi un trentennio, avevano dato vita alla produzione di un’enorme quantità di disegni, piante topografi-
che e preventivi di spesa per le opere e gli armamenti. Gli studi e i progetti riferiti alla realizzazione di opere permanenti e occasionali per la difesa dello Stretto di Messina, si susseguirono dal 1862 al 1914, in una continua revisione e scelta dei siti, in funzione dei continui progressi delle artiglierie che diventavano sempre più potenti e, conseguentemente, dell’evoluzione dei sistemi difensivi e d’attacco.Ogni nuovo progetto, pertanto, modificava, completava o, molte volte, annullava il precedente. Dalle prime proposte di costruzione di batterie armate poste a livello del mare fatte negli anni dopo l’Unificazione, si pervenne agli ultimi e definitivi progetti, realizzati sul finire degli anni ’80, di batterie armate con grossi calibri e posizionate a diverse quote sulla costa, adatte a contrastare le poten-
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La difesa dello Stretto nel 1889. Da M. Lo Curzio, V. Caruso, La Fortificazione Permanente dello Stretto di Messina. Messina, 2006.
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tissime artiglierie navali in dotazione alle flotte degli Stati europei più temuti: Francia, Germania e Austria. Un programma che certamente non poteva passare inosservato agli agenti segreti delle potenze straniere che nel controllo del Mediterraneo miravano a grossi interessi economici e militari. N e l 1 8 9 4 i l Te n e n t e d i Vascello Carl Didelot, riferendosi ad informazioni degli archivi segreti della Marina Francese, pubblicava a Parigi La Dèfence des Côtes d’Europe4 in cui forniva una descrizione dettagliatissima della difesa costiera dello Stretto e degli armamenti contenuti nelle fortezze. Malgrado gli accorgimenti tattici osservati nella costruzione dei forti messinesi e calabresi
in merito alla mimetizzazione del fronte a mare, che rendeva le opere totalmente invisibili al naviglio circolante nelle acque dello Stretto (l’aereo non era ancora in uso all’esercito), l’ufficiale francese ne descriveva, con dovizia di particolari, la posizione sulle alture facendo particolare descrizione di uomini e artiglierie.5 STRETTO DI MESSINA - E’ largo 3 Km all’ingresso Nord, che è la parte più stretta, 5 km davanti a Messina e 10 km davanti a Reggio. Le due rive sono guarnite di fortificazioni. Quelle posizionate sulla costa calabra comprendono, tra Scilla e Catona, uno schieramento ininterrotto di batterie radenti che puntano verso il basso costituite principalmente da pezzi da 320 mm, da 24 e da obici di 280 e 240 mm.Le opere della costa siciliana sono armate allo stesso modo. Ecco le più importanti delle due rive: COSTA CALABRA SCILLA L’antico castello di Scilla (alt. 70 m) armato da piccoli pezzi e dominante la città avente lo stesso nome (8.000 ab.); La batteria di Torre Cavallo (alt. 54 m) sulla punta avente lo stesso nome. Essa incrocia il suo fuoco con quello del Faro (costa siciliana) ; La batteria bassa di Alta Fiumara; La batteria del Calmone; La batteria antica del Pezzo, sulla punta bassa. La costa si Il Colonnello Robert Baden Powell, in una foto del 1900.
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Schizzo realizzato dal maggiore Baden Powell, in missione dell’Intelligence Service Britannico tra il 1891 e il 1893. I punti delle ali della farfalla indicano, secondo la grandezza, artiglieria pesante e leggera. Il poligono intorno al corpo dell’insetto, raffigurano la proiezione sul piano orizzontale del perimetro della fortificazione. Da W. Hansen. Il lupo che non dorme mai. La vita avventurosa di Lord Baden Powell. Torino, 1988. Artiglierie e fortificazioni in evidenza sulle ali della farfalla.
flette bruscamente a Sud e lo Stretto si allarga. VILLA SAN GIOVANNI La batteria di San Giovanni. Qui c’è il collegamento tra Villa San Giovanni e Messina per i passeggeri che attraversano lo Stretto e per le ferrovie tra la Calabria e la Sicilia La batteria limitrofa a Catona, di fronte a Messina. Queste opere sono situate in prima linea. In seconda linea, sulle alture circostanti: Il forte Torre Telegrafo (alt.111 m) posto al di sotto di Torre Cavallo; esso è armato di 6 pezzi di medio calibro; Il Forte Matiniti Superiore (alt. 317 m), armato da 10 pezzi a gruppi di due; Il Forte Matiniti Inferiore, armato da 8 pezzi a gruppi di due; Il Forte del piano Arghillà, armato da 6 pezzi; Il Forte Pentimele o Pentrimere.
CITTÀ&TERRITORIO Rappresentazioni di artiglierie distribuite lungo il profilo di un’altura, egregiamente camuffate tra le venature di una foglia disegnata. Da W. Hansen. Il lupo che non dorme mai. La vita avventurosa di Lord Baden Powell. Torino, 1988.
REGGIO (32.000 ab.) In questo porto si pratica un commercio importante (vini, sete, oli, frutta); in città c’è il capolinea delle ferrovie della costa ionica (da Napoli a Taranto). L’unica difesa è offerta da un forte sulla spiaggia che riceve due batterie. Incontra poi Capo Pellaro oltre il quale finisce lo Stretto. COSTA SICILIANA Sulla costa della Sicilia, la difesa di compone di due gruppi: Il gruppo del Faro e il gruppo formato da Messina e dai suoi forti distaccati. Il primo gruppo comprende: La batteria del Faro, armato da pezzi a lunga gittata pro-
tette da cupole corazzate e che incrociano il loro fuoco con quello della costa calabra;6 Il Forte di Monte Spuria (alt. 100 m) a Ovest del Faro, opera antica trasformata, ove è posizionato un semaforo; Le batterie da costa, recentemente e potentemente armate distribuite tra Faro e Pace; le principali sono quelle di Canalone, Ganzirri, San Martino e La Grotta. MESSINA (120.000 ab.) È uno dei porti migliori e più sicuri di questa parte del Mediterraneo.Essa rappresenta una importante posizione militare che assicura la difesa dello Stretto e le comunicazioni tra la Sicilia e la Penisola Italiana. Sulla penisola di sabbia (San Ranieri) che forma il porto si trovano la Cittadella, il Lazzareto e diversi forti, così come un bacino di riparazione.La stazione si trova in fondo al porto davanti l’ingresso Ovest della Cittadella. L’ingresso del porto è situato a Nord dove è posto il Forte S. Salvatore e l’edificio della Sanità.
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Il Capitano Gerardo Ercolessi. Da V. Caruso, Il caso Ercolessi. Messina, 2008. Sotto, Guglielmina Zona, moglie del Capitano Ercolessi. Da V. Caruso, Il caso Ercolessi. Messina, 2008
Messina è collegata tramite vapori con Reggio e San Giovanni e tramite le ferrovie meridionali italiane con Catania e tutta la Sicilia;tramite navi regolari con Liverpool, Marsiglia, Napoli, Livorno, Genova, Malta, Alessandria, Siria, N.2 Marzo/Aprile 2008
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Costantinopoli;svolge un commercio considerevole. Le difese immediate a Messina sono: Il Forte Campana e San Salvatore all’ingresso del porto; Il Forte S. Ranieri (faro) a Est della penisola; La Cittadella a Sud della penisola.Essa consiste di un vasto pentagono bastionato, a fossato inondato dal mare; Il Forte Don Blasco, sulla costa a Sud della città Le batterie della Stazione, del Porto, della Sanità (questa sta di fronte a Forte Campana) e del Porto Salvo, distribuite sulle banchine del Porto. Tutte queste sono di antica costruzione. Sulle alture che coronano la città ci sono i due nuovi e i due antichi Forti seguenti collegati con le opere secondarie, costituenti il campo trincerato di Messina; Il Forte Polveriera (alt.427 m) a Nord di Messina; Il Forte Menaja (alt. 400 m) a Sud del precedente; Il Forte Castellaccio (alt. 163 m), quadrilatero bastionato a Ovest della città; L’arresto del Capitano Ercolessi e della moglie a Messina. Tribuna Illustrata del 17 luglio 1904. Coll. F. Riccobono
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Il Forte Gonzaga (166 m) a Sud di Castellaccio. Qualche anno più tardi, nel 1901, il tedesco Hermann Theodor Frobenius7, pubblica a Berlino “Militar-Lexikon”dove, a proposito della fortificazione dello Stretto, dice: MESSINA.Posizionata a Nord dell’Isola di Sicilia e dello Stretto di Messina è difesa dal lato di mare dai forti S. Salvatore, Campana e Don Blasco. I fortini che stanno sulle alture immediatamente ad Ovest della città (Castellaccio e Gonzaga), non hanno alcun valore. Al contrario più ad Ovest e a Nord sono predisposti 6 forti moderni e, a difesa dello Stretto, da entrambe le rive, una quantità di opere in parte robuste ed efficaci. DAL LATO SICILIANO: Batteria corazzata Faro, Batteria Canalone, Ganzirri e La Grotta DAL LATO CALABRESE: Forte Scilla, Batteria Cavallo (di fronte al Faro) e Fiumara, Batteria Calmone, del Pezzo, S. Giovanni, Catona, Forte di Reggio. A differenza di quella francese, la descrizione del sistema difensivo dello Stretto da parte di un tedesco non stupisce più di tanto se si legge nella GAZZETTA DI MESSINA E DELLE CALA-
BRIE DEL 10-11 LUGLIO 1904 che
“L’Imperatore (Guglielmo II di Germania, nda) aveva visitato già Messina nel 1896 quando fece la sua passeggiata fino alla Portella di Colle S. Rizzo fermandosi in più punti ad osservare i luoghi ove eran poste le vicine fortificazioni”. Gli stretti rapporti italo-tedeschi, vincolati dal legame della Triplice Alleanza, induceva probabilmente l’autorità militare italiana locale a non osservare un atteggiamento particolarmente diffidente e cauto verso l’autorevole alleato, col quale anzi si pregiava con un certo orgoglio, di poter far bella mostra del proprio potenziale tattico e bellico.8 Lo Stretto di Messina, punto nevralgico del Mediterraneo, era quindi fortemente “attenzionato”dai servizi segreti stranieri.Dopotutto, le affermazioni del Tenente Generale Luigi Mezzacapo, Presidente della Commissione Permanente di Difesa dello Stato nel 1883, sottolineavano l’importanza strategica dello Stretto e della sua difesa al fine di assicurare il possesso della Sicilia e costringere una flotta nemica, che avesse voluto far rotta verso Oriente, a dover circumnavigare l’isola: “Fino a quando saremo in possesso dello Stretto di Messina, le invasioni francesi in Africa non impediranno all’Italia di prendere la posizione che le compete nel Mediterraneo” 9 Gli studi fin qui effettuati in merito allo spionaggio militare sullo Stretto di Messina, hanno sempre posto l’accento su operazioni di intelligence francesi e tedesche. Ma, negli ultimi anni dell’Ottocento, durante la realizzazione delle opere fortificate dello Stretto, anche l’Inghilterra non risparmiò le sue attenzioni su questa delicata porzione del Mediterraneo. L’agente segreto inglese, incaricato dal Governo Britannico
Esercitazioni di tiro dal Forte Giulitta Schiaffino). Coll. Riccobono.
sercito Britannico:“altrimenti il nostro Governo la farà passare per un imbroglione sostenendo che lei non è il maggiore Baden Powell. Lei potrà farsi riconoscere in qualità di agente segreto solo nelle nostre ambasciate e solo con gli ambasciatori stessi.Solo lì potrà trasmettere informazioni a Londra e ricevere i mezzi finanziari per il suo viaggio […]”.10 Nelle vesti di un bizzarro collezionista di farfalle e botanico, attrezzato di acchiappa-farfalle, libri specializzati, matita e quaderno per appunti, l’ufficiale inglese viaggiò per due anni passando da un Paese l’altro a raccogliere informazioni. Con l’intento di rendere estremamente visibile la sua presenza per eludere i sospetti, si arrampicava nei pressi dei presidi delle diverse guarnigioni e dalle alture disegnava fortificazioni, campi di manovre, posizioni di cannoni e di depositi munizioni. Quando veniva intercettato, egli mostrava agli ufficiali che lo interrogavano ciò che aveva disegnato sui suoi quaderni: farfalle, insetti, foglie, piante.Confabulando, dava spiegazioni all’apparenza altamente scientifiche, ma del tutto incomprensibili, che inventava sul momento, sulla presenza in
quel paese di varietà di farfalle e piante rare. In tali occasioni, il maggiore Baden Powell nei suoi scritti, affermò di aver constatato uno strano fenomeno: quanto più incomprensibile era ciò che diceva, tanto più intelligente veniva considerato dai suoi interlocutori; quanto più importante appariva, tanto più lo trattavano con timore reverenziale e tanto meno cercavano di investigare sulla sua attività o di fare domande per paura di tradire la propria ignoranza. Così a nessuno passò per la testa che i disegni delle farfalle e delle foglie in realtà non erano altro che mappe ben camuffate di fortificazioni, guarnigioni e degli armamenti individuati.11 “ Baden-Powell si trovava in Dalmazia nel corso della seconda settimana di Agosto 1892; e, benché egli menzionasse nel suo diario che il Console Generale Britannico a Serajevo, E.B.Freeman, fosse a caccia di farfalle quando egli andò a trovarlo, non viene fatto alcun altro riferimento a questa ricerca, o per la propria sicurezza o come copertura per un’attività spionistica. […] Ciononostante Baden-Powell si recò certamente ad eseguire schizzi delle fortificazioni sulla costa occidentale dello
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a raccogliere dettagliate informazioni circa la dislocazioni delle fortificazioni sulle coste dei paesi mediterranei e, in particolare dello Stretto, risulta essere un personaggio a molti noto per aver fondato nel 1907 l’organizzazione mondiale dello Scoutismo, il movimento giovanile più diffuso nel mondo: Lord Rober t Stephenson Baden Powell. Tra gli ufficiali più accreditati del Regno Unito, per la grande esperienza acquisita in lunghi anni di comando trascorsi in India e Sud Africa, il m a g g i o r e B a d e n Po w e l l comandante all’epoca la base navale di Malta, venne incaricato dal Ministero della Guerra per conto dell’Intelligence Service, nel maggio del 1891, a condurre indagini segrete in Italia, Albania, Grecia, Turchia, Bosnia ed Erzegovina riguardo alle fortificazioni, al potenziale bellico e alle truppe dislocate in quei territori. Durante la missione gli fu fatto assoluto divieto di indossare l’uniforme e di rivelare, in caso di cattura, il proprio nome, il grado e l’appartenenza all’e-
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Stretto di Messina, ed in quell’occasione egli mascherò la sua vera attività sotto le spoglie di un entomologo. Attraversando lo Stretto egli segnala di aver avuto una piacevole traversata osservando farfalle per tutto il tempo. Dato che lo Stretto era largo 5 miglia nel punto in cui lo attraversò, la menzione di farfalle sembra indicare più probabilmente forti che si affacciano sul mare piuttosto che insetti alati. In molte altre occasioni, quando egli riferisce di aver catturato farfalle, vuol proprio dire questo, come quando, il 25 aprile 1893, andò a caccia di farfalle con un amico ufficiale dell’esercito francese.12 Il “coperchio” su questa silente e pericolosa attività di spionaggio, si alzò improvvisamente la mattina del 5 luglio 1904 con la notizia che rimbalzò sulle pagine della Gazzetta di Messina e delle maggiori testate giornalistiche Manifesto Militare contro il reato di Spionaggio affisso a Messina il 23 maggio 1915. Copia conservata presso il Museo Storico di Forte Cavalli.
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nazionali: “Il sensazionale arresto di un capitano del Distretto che viene arrestato insieme alla moglie a Messina per Alto Tradimento!”; “Il delitto di lesa Patria compiuto dal Capitano Ercolessi.Sottrazione dei piani di mobilitazione. L’oro francese. 300 fotografie vendute alla Francia”.13 Il giovane Capitano di Fanteria Gerardo Ercolessi e la moglie Guglielmina Zona, accusata di complicità, venivano arrestati nella loro abitazione di via Palermo a Messina14 con l’accusa di aver sottratto e venduto ai francesi i piani di mobilitazione riferiti alle fortificazioni e alla difesa territoriale dello Stretto. Il fatto, che attaccava la sicurezza dello Stato, venne giudicato come uno dei più atroci delitti che non concedeva nessuna pietà verso il traditore della Patria. La pena, qualora il fatto fosse stato accertato, si sarebbe dovuta applicare in tutto il suo rigore. Per la prima volta dall’Unificazione, il giovane Stato Italiano veniva coinvolto in modo travolgente in un fatto di spionaggio militare simile al caso Dreyfus. L’opinione pubblica restò fortemente scossa dell’accaduto ed il fatto destò profondo turbamento e disprezzo per gli attentatori alla sicurezza nazionale. Il processo innanzi alla Corte d’Assise di Messina, raccontato in maniera dettagliata dalle cronache del tempo, si sviluppò in venti udienze. Facendo leva sulla pietà popolare per i figli degli Ercolessi, e forse ancor più sull’inveterato sospetto e sul dubbio acritico verso l’operato degli investigatori, gli avvocati della difesa ottennero, contro l’evidenza delle prove, la piena assoluzione di Guglielmina Zona e la condanna a soli cinque anni e dieci mesi di reclusione per Gerardo Ercolessi che, concluso il processo, fu
ignominiosamente degradato ed espulso dall’Esercito nella piazza d’armi della Cittadella. Malgrado prove inconfutabili, raccolte in anni di pedinamenti e di indagini incrociate effettuate anche oltre i confini dello Stato Italiano, il gran polverone alzatosi con il caso Ercolessi, si risolse con una sentenza che imputava al capitano la sola colpa di aver sottratto documenti riservati e negando che questi avesse venduto a Stati Stranieri importanti rivelazioni relative alla difesa del Paese. Ciò perché, probabilmente, una più dura sentenza del Tribunale avrebbe provocato aspre polemiche e pesanti accuse da parte dell’opinione pubblica contro il Governo, reo di incapacità a garantire la sicurezza dello Stato, malgrado gli enormi stanziamenti ottenuti dalle gerarchie militari per le fortificazioni e gli armamenti in nome dell’assoluta necessità di assicurare una pace duratura e scoraggiare qualunque invasione nemica. Ammettere che la sottrazione e la vendita di documenti segreti, riguardanti la difesa dello Stato, ad altri Paesi, fosse veramente avvenuta, avrebbe avuto certamente conseguenze disastrose. Per tali motivi, a seguito dell’accaduto, il Ministro della Guerra si preoccupò quasi immediatamente di promuovere azioni militari atte a rassicurare l’opinione pubblica circa l’efficienza della Difesa dello Stato, con particolare riferimento allo Stretto. A tale scopo, sin dai primi mesi del 1905 si effettuarono nelle acque dello Stretto di Messina, importanti esercitazioni che culminarono nelle Grandi Manovre Navali dell’ottobre del 1907 quando l’intera Flotta Navale Italiana, alla presenza del Re, delle Alte Cariche dello Stato e dei corrispondenti
NOTE 1
La guerra Franco-Prussiana, conclusasi nel 1870 con la rovinosa sconfitta della Francia, aveva alimentato per molti anni, nei ranghi dell’esercito francese, il sospetto che solo un tradimento interno aveva potuto portare il nemico prussiano fino alle porte dei Parigi, malgrado l’imponente sistema difensivo francese ritenuto a quel tempo, il massimo che l’ingegneria militare avesse mai potuto concepire. La caccia al traditore si concretizzò nel 1894 con l’arresto di Alfred Dreyfus, un ufficiale di artiglieria dell’esercito francese, ebreo alsaziano. Accusato di spionaggio a favore della Prussia, fu arrestato, condannato e mandato ai lavori forzati. Nonostante i documenti su cui si era basato il processo fossero palesemente falsi, Dreyfus fu condannato quale estensore di una lettera indirizzata ad un ufficiale tedesco in cui venivano rivelate importanti informazioni militari francesi. Fu riabilitato da un verdetto della corte di Cassazione emesso, dopo dodici anni, nel luglio del 1906. 2 Da “I Forti di Mestre. Storia di un Campo Trincerato”, p. 99, nota n° 63, Caselle di Sommacampagna (VR), 1997. 3 Il piano di attacco austriaco contro Venezia.Ed.Marsilio, Venezia, 2001. 4 M. LO CURZIO, V. CARUSO, La Fortificazione Permanente dello Stretto di Messina, storia conservazione e restauro di un patrimonio architettonico e ambientale. EDAS, Messina 2006. 5 DIDELOT CARL, La Dèfence des Côtes d’Europe, Paris, 1894, pp. 396-399. 6 Per la prima volta, in merito alla batteria del Faro, si parla di cupole corazzate, un sistema relativamente moderno utilizzato per far fronte all’evoluzione dei sistemi di attacco, adottato principalmente nei forti di seconda generazione realizzati nelle regioni del nord. L’esistenza di cupole corazzate nei forti messinesi, secondo la descrizione di Didelot, non trova però conferma nella documentazione finora consultata. 7 Herman Theodor Frobenius (1841– 1916). Ingegnere militare prussiano. Dopo la guerra tra la Germania e la Francia del 1870, ha ricoperto il ruolo di insegnante di fortificazioni presso la Scuola di artiglieria Cadet a Berlino. In buonissimi rapporti con l’Imperatore Guglielmo II, scrisse diverse opere su argomenti militari. 8 V. CARUSO, Il caso Ercolessi. Istituto di Studi Storici “G. Salvemini”. Messina, 2008. 9 M. LO CURZIO, V. CARUSO, La Fortificazione Permanente dello Stretto di Messina, Op. cit. 10 W. HANSEN, Il lupo che non dorme mai. La vita avventurosa di Lord Baden Powell. Elle Di Ci, Torino, 1988 11 W. HANSEN, Il lupo che non dorme mai... Op. cit. 12 Da una inedita traduzione del Dr. Letterio Rizzo del testo di Tim Jeal intitolato Baden-Powell, Pimlico, London, 1989. 13 V. CARUSO, Il caso Ercolessi. Istituto di Studi Storici “G. Salvemini”. Messina, 2008. 14 Nel 1904, la via Palermo si trovava nei pressi della Stazione ferroviaria. Dopo il sisma del 1908, nel nuovo assetto urbanistico, assunse l’attuale toponimo di via del Vespro per non generare confusione con la Strada Provinciale per Palermo. 15 C. Francato, Le grandi manovre navali del 1907. In m. lo curzio, v. caruso,
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delle maggiore testate giornalistiche, venne concentrata nelle acque dello Stretto di Messina per offrire una spettacolare simulazione di attaccodifesa. In quell’occasione, le navi da guerra, divise in due squadre, si diedero battaglia per diversi giorni col supporto delle artiglierie delle batterie da costa e delle fotoelettriche, con l’obiettivo di testare la capacità di fronteggiare l’eventuale flotta nemica che avesse osato forzare lo Stretto.15 L’anno successivo, con lo scopo di riesaminare i piani di difesa territoriale, il Ministero nominò appositi Commissari tra i suoi generali. A Messina venne inviato per tale compito, il Generale Tarditi. Gli anni seguenti furono così caratterizzati da una intensa attività militare orientata a testare costantemente l’efficienza delle fortificazioni e delle artiglierie e a ridare fiducia all’opinione pubblica sulla capacità dell’Esercito di garantire l’incolumità della popolazione e la protezione dei confini e delle coste, ma soprattutto che le ingenti somme destinate agli armamenti e alle fortificazioni, che avevano duramente messo alla prova l’economia dei cittadini con elevate tasse e privazioni, fossero pienamente giustificate per garantire con adeguati mezzi il mantenimento della pace. Durante la prima Guerra Mondiale, le pene contro le spie e contro coloro che con informazioni ritenute riservate avrebbero potuto mettere a repentaglio la sicurezza e la difesa, divennero più severe e punite con maggior rigore. Nei manifesti militari, apparsi sui muri cittadini allo scoppio del conflitto, si evidenzia quanta attenzione venisse riservata dall’autorità militare competente a questo delicatissimo argomento.
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Elementi caratterizzanti di un’area poetica nei villaggi Paradiso, Contemplazione e Pace fino al Pilone e al Faro
di Achille BARATTA l miglior modo per giungere a Messina è all’alba dal mare, con il sole nascente, la città sembra una Musa accovacciata tra le montagne e lo stret-
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to, le finestre dal riflesso stralucente fanno da ornamenti e sembrano ammiccare come solitari sfaccettati brillanti, poi se passa una nube, la musa sembra mutarsi e trasformar-
si, e si aspetta solo di vederla alzare da un momento all’altro verso l’azzurro cielo staccandosi dal mare su cui è adagiata naturalmente con spontanea femminile mollezza. Una foto d’epoca di Torre Faro in bianco e nero (1) eseguita dal Pilone da Michelangelo Vizzini e una attuale di Filippo Isolino dallo stesso punto di vista come elemento di raffronto (2). Questa componente simbolica è introdotta volutamente perché non è possibile descrivere luoghi già celebri, che come sosteneva Guido Piovene, sembrano costituire una straordinaria riuscita della natura come il genio tra gli uomini. In questi luoghi omerici ci sono giorni nei quali la luce dorata e lo stesso paesaggio infondono a chi ne gode la vista un orgoglioso sentimento di sublimazione; è difficile in questo naturale insieme così classico e così unico, non concedere nulla all’illusione di sentirsi elementi di un sistema connaturato e coinvolti in un assoluto che è stato non a caso denominato: Paradiso (3), Contemplazione (4) e Pace (5) in un contesto a valle di una strada che in altura segue il mare verso il Faro, denominata Nuova Panoramica. La difficoltà di creare una vera identità collettiva condivisa è quella di modificare per quanto possibile i nostri rapporti col passato trasformando il pro-
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cesso automatico dell’erodersi del tempo in processo attivo nel ricordare ma al futuro con una evoluzione di nuova formazione. In un nuovo futuristico modo di rivivere la costa ParadisoFaro non si può dimenticare N.2 Marzo/Aprile 2008
che la strada che da Messina conduce a Capo Peloro è probabilmente una delle più antiche d’Italia: fu costruita dai Romani ai tempi delle guerre di Pompeo in Sicilia. È proprio perché per ricordare e dimenticare occorre
conoscere, e riporto una deliziosa descrizione pubblicata nel 1889 nella dispensa 34 sulle Cento città d’Italia. Questa costa singolare in riva allo stretto: stretta fra il mare e la montagna è pittoresca quant’altra mai. Perché se da
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un lato, permette d’abbracciare collo sguardo, anche nelle minime sinuosità tutta la costiera calabra, fino alla punta di Scilla, dall’altro, ha tutti i villini e gli ameni giardini dai quali emana intenso il profumo degli agrumeti in fiore, di tutta quella regione immediata a Messina che è detta senza esagerazione, il Paradiso. …fra quell’incanto di cielo e di mare, di verde e d’azzurro, l’occhio del viandante non ha posa un istante, colpito da sempre nuove bellezze: or dallo spettacolo grandioso dell’orizzonte che lo circonda:ora da quadri più ristretti e graziosi, ma sommamente, pittoreschi. E poi i laghi d’acqua salata in comunicazione col mare detti Pantani di Ganzirri descritti da Lucido e Orazio: Se la pesca abbonda in questi pantani non vi manca neppure la caccia, abbondante e prelibata: sono luoghi favoriti, per gli uccelli di passaggio: gru, aironi, pernottole e quaglie a migliaia nella primavera vengono a farsi pren-
dere e uccidere sulle rive dei due laghetti, e nell’inverno selvatiche, i pavoncelli, i capiverdi, e perfino-secondo il La Farina, gli uccelli del paradiso!.....Ad un paio di chilometri dai Pantani a nove da Messina, oltrepasso il villaggio del Faro, che ha dei punti di contatto con certe cittadelle arabe, al strada di perde nella pianura sabbiosa di Capo Peloro, protendendosi acuminata, come una lancia nel mare. È questo il punto classico dello Stretto: il punto dei cui orrori - forse alquanto caricati nelle tinte è piena tutta la poesia antica. In tale citazione più che in altre riscontriamo differenze notevoli con l’oggi in cui tutto è cambiato, tutto è stato trasformato (5,6). Ed ancora a proposito di Scilla e Cariddi e della sua storia: Siamo a Cariddi e davanti a noi spinge il suo sperone roccioso, a becco d’aquila come vorrebbero gli abitanti del luogoScilla.Tutta l’infarinatura di classicismo ricevuta dalla scuola
si riaffaccia alla nostra mente, davanti a questo punto che si è conquistato fra i secoli fama universale. Da Omero a Virgilio, da Ovidio a Catullo, fino a Tibullo, Giovenale, Stradone e Plinio, tutti i passi nei quali sono descritti questo Stretto che ognuno si figura tormentato dal mare procelloso, eternamente mugghiante, ricordati in quel momento, ebbero la più solenne smentita dalla serenità del cielo, e dalla tranquillità del Tirreno che per lo stretto canale andava a congiungersi nel Ionio.Vapori e velieri, filavano nell’un senso o nell’altro, velocemente, immemori dei pericoli che le fantasie degli antichi attribuiva al classico passaggio. E poi in Calabria dall’altra parte di quel ventoso mare azzurro che continua a incantare:Scilla sporge verso il Capo Peloro, mostrando la forma bizzarra del suo sperone, oggidì ricoperto dalle case d’un popoloso paese su cui torreggiano ancora le solide costruzioni N.2 Marzo/Aprile 2008
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d’una fortezza medievale, danneggiata assai dal terremoto, nel quale l’immaginazione degli abitanti trova il profilo dell’aquila dal becco alla testa, al collo alle ali, che sarebbero le falde della montagna inclinate verso Bagnara a settentrione e verso Villa San Giovanni e Reggio a mezzogiorno. Fra la punta di Capo Peloro , e Scilla, intercedono meno di tre chilometri: e nella quiete delle ore notturne, si sentono se il vento non è contrario, le voci dell’una all’altra parte della costa e d abbaiare dei cani di Scilla, risponde di frequente quello dei cani del Faro e della campagna peloritana, celebre soprattutto per la vigoria dei suoi vigneti… E i naviganti che in lui affissano lo sguardo, imboccano tranquillamente lo Strettto, ridendo delle antiche favole che per tanti secoli hanno reso tristemente celebri i nomi di Scilla e di Cariddi. (7) Nell’attraversamento dello Stretto ci sono due possibili varianti, una è quella di arrivare via mare a Messina e l’altra quella di ripartire all’ora migliore dal tramonto; l’insolazione fa intravedere una Calabria amica dominata dall’Aspromonte. (8) Guido Piovene scriveva nel suo libro Viaggio in Italia: occorre avvicinare l’isola al continente, così gli uomini d’affari possono andare e tornare con rapidità, distruggendo la vecchia idea settentrionale, che la Sicilia faccia parte di un continente misterioso, pressoché irraggiungibile. Sono passati decenni senza che tali semplici constatazioni, portassero a niente ed è passato probabilmente il tempo di sentire le voci di bioarchitetti internazionali come Masud Esmaillon o Mediana, che sostengono che l’uomo è l’architetto minore, che deve ascoltare gli architetti maggiori, il sole, il vento, l’acqua e l’om-
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bra. Con queste premesse viene esaltata la mia preoccupazione per la sostenibilità della costa che va da Pace al Pilone, trasformata in un groviglio di volumi (9). Si parla tanto di sostenibilità, spiega l’architetto Stefano Andi, presidente della sezione italiana del Forum internazionale di Architettura organica vivente, ma la sostenibilità non può essere solo risparmio energetico o economico, deve essere sostenibilità per l’uomo.Ecco quindi che, oltre all’analisi dei materiali e delle tecnologie, l’architettura organica vivente prende in considerazione gli aspetti artistici, estetici e spirituali, preoccupandosi anche di tutto ciò che è esperienza dello spazio in una sorta di sinergia con la natura. Secondo Andi, i livelli su cui operare si riassumono in una
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concezione dell’architettura come attività spirituale dell’uomo che induca immaginare luoghi per la residenza e il lavoro che consentano esperienze interiori ricche e variate. L’obiettivo si raggiunge anche attraverso qualità formali, materiali naturali, tecniche e strumenti rispettosi dell’ambiente. Filosofia, paesaggistica e architettura si incontrano ancora coniugando con il senso del bello come tema essenziale della democratizzazione urbana lunga mille anni di storiaoffrendo una visione che andava oltre verso una prospettiva di eternità nella quale si potessero radicare le nostre speranze terreno verso il divino creatore. Marco Romano, docente di estetica della città, nel suo nuovo libro La città come opera d’arte (Einaudi) e scrive che
regolatore che restituisse a nuova vita i quartieri più bui di Parigi. E lo voleva addirittura scolpito nel marmo, esposto nell’atrio del palazzo municipale, trasformato in una testimonianza perenne del glorioso futuro della città. Due concetti fondamentali di verità e di chiarezza che ancor oggi avrebbero potuto evitare le frodi e le alterazioni che hanno caratterizzato questo particolare settore a discapito della legalità e della stessa giustizia sociale. In ogni caso ogni idea è da prendere per la sua parte innovativa così come puntualizza Francesco Dal Co, professore di storia dell’architettura, quando sostiene: la periferia di Berlino disegnata negli anni venti da Mies van der Rohe, una periferia certo bellissima e oggi assai ambita dall’èlite degli intellettuali, ma dove quello che conta non è tanto la visione estetica quanto la misura del vivere, l’idea che ogni singolo spazio rispecchi fedelmente la tipologia delle persone che ci vivono, e questo non è certo soltanto una questione di bellezza. Anche per Stefano Baeri, direttore di Abitare e protago-
nista del simposio su La dimensione politica dell’architettura, organizzato a Firenze dalla Fondazione Targetti e dalla Fondazione Corriere della Sera, il modello per migliorare la qualità di vita non può essere così vincolante . Non credo che abbellire la città serva necessariamente a renderla anche più vivibile - dice Boeri. È una visione che definirei molto colta ma anche molto anacronistica, legata a una realtà imposta da pochi soggetti. Secondo Boeri dunque, l’idea della città come opera d’arte globale non aiuta a cancellare disuguaglianze che oltretutto non possono più essere localizzate soltanto nelle periferie ma in quelle che io chiamo le anti-città, vere e proprie zone franche nel centro di città come Bari, Genova e Napoli. Nel caso della costa di Messina occorre riferirsi ai parametri etici della bellezza. Le arti della conoscenza e la stessa l’architettura si identificano con la poesia così come intuito meravigliosamente da Gabriele D’Annunzio: Il verso è tutto. Nella imitazione della Natura nessuno istrumento d’arte è più vivo, agile, acuto, vario multiforme, plastico, obbe-
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l’idea della bellezza prende aspetti interessantissimi e molteplici che diventano di propedeutica importanza, e sostiene che una città bella va analizzata non soltanto come un’opera d’arte ma anche come ambiente ecologico per la sua democrazia, dove i suoi cittadini si possono sentirsi intimamente tali. Per questo l’idea progettuale deve superare necessariamente i confini della semplice forma per legarsi alla trasformazione di ogni individuo in un effettivo elemento di civitas, in una persona socialmente riconosciuta. L’assenza di democratizzazione estetica dell’architettura porta purtroppo a dolorose conseguenze che vedono troppo spesso periferie trasformati in luoghi di degrado non perché lontane materialmente dal centro, ma perché i loro abitanti sono privi di qualsiasi riconoscimento di appartenenza, sono una galassia asserragliata in un ghetto dove si perde l’idea stessa di democrazia. Dunque risanare (anche esteticamente) quelle periferie vuol dire avviare il loro riscatto sociale. Non a caso, Voltaire chiedeva nel Settecento, un nuovo piano
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diente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d’un fluido, più fragrante di un fiore, più tagliente d’una spada, più flessibile d’un virgulto, più carezzevole d’un murmure, più terribile d’un tuono, il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso; può avere dimensioni d’eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l’oltremirabile, può inebriare come un vino, rapire come un’estasi;può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può infine raggiungere l’Assoluto. È proprio l’oltremirabile pensiero dannunziano del godi l’onda che nel particolare lembo di terra di Sicilia sospesa tra due mari e costellata da due laghi (10) tutto è armonico e sembra che abbia resistito miracolosamente al costruito ma fermiamoci qualsiasi altro intervento diventa turbativa inaccettabile del sistema paesaggistico e della stessa nostra storia.
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Nell’area dello stretto a valle dei Peloritani, negli ultimi decenni la tecnica in generale e l’ingegneria in particolare ha visto incrementare il numero di problematiche che hanno, evocato preoccupazioni e responsabilità correlate non soltanto all’esigenza di costruire per l’uomo, ma anche a quella di tener conto dell’uomo nel costruire senza avere come riferimento una singola opera. Metodologie che intervenendo sempre più ricorrentemente nella progettazione rendono rilevante e attuale il problema dei etico-culturale e lo stesso aspetto del bello. Nell’abbraccio utopico tra architettura e filosofia, nella ricerca del bello e della sua tutela affiora e si conferma il problema etico Il principio responsabilità del filosofo Hans Jonas e di tutti quelli che lo seguono. Non si può certamente ignorare, infatti, che nelle epoche precedenti la ridotta incidenza, sull’ordine naturale tanto del potere tecnico-scientifico dell’uomo quanto del suo limitato sapere predittivo, non costituiva fonte di responsabilità. Il campo effettivo dell’azione tecnica e ristretto, e conseguen-
temente erano ristretti sia il controllo richiesto sulle circostanze, sia la responsabilità derivante da tale controllo; il lungo corso delle conseguenze era, in epoche passate, rimesso al caso, al destino oppure alla provvidenza. Diversamente, oggi, la natura pone in rilievo, attraverso la sua vulnerabilità il problema di potenziali irreversibili danni con conseguenze inimmaginabili che non riguardano solo le volumetrie ma possono riferirsi anche ad un uso dissennato del colore. In conclusione la centralità e la rilevanza della sfera progettuale si dimostra oggi tale da dischiudere una dimensione della responsabilità del tutto nuova: eventuali errori, negligenze, incompetenze possono comportare, infatti, conseguenze non più trascurabili per la collettività intera rimettendo in discussione la tradizionale attribuzione dei caratteri di inintaccabilità e di rigenerabilità alla natura; il che renderà tutti più attenti e sensibili alla sua vulnerabilità. In particolare bisognerà rinunciare definitivamente al mito della pretesa neutralità etica della sfera tecnica che non si
li che abbiamo ricevuto e come li riproponiamo. Se il processo di interpretazione della politica del territorio spesso contrasta in modo radicale con le lungaggini e i vuoti della legislazione urbanistica che attualmente ignora che quanto maggiore è l’opinabilità, tanto maggiore è il bisogno di inserire ciò che può apparire opinabile in un contesto che lo renda accettabile ad altri: in assenza di una verità certa, si cerca la verosimiglianza. La condivisione di un senso possibile senza cedere nel caos. Si potrebbe realmente sostenere che l’intero processo dell’organizzazione sociale non sia, in definitiva, che un continuo trovare accordi, norme, regole e riti per condividere senso e opportunità. Così che viene spontaneo chiedersi quale è il valore della poesia e della stessa creatività e quanto entrambi influenza il nuovo stile di vita che ne deriva. Certamente meglio tornare ai pensieri poetici che vedono la musa della bellezza sfiorata dai venti e accarezzata dall’onda dei mari e dei luoghi che all’alba e al tramonto
risplendono in un cielo in attesa delle stelle e della tremante luna in una notte sullo stretto tra Paradiso, Contemplazione e Pace ammirando e guardando dal Pilone che si erge sullo stretto. È certamente un tema affascinante che Francesco Parenti e Pier Luigi Pagani trattano nel loro libro, lo stile di vita: La creatività è un’impronta innovatrice e immaginativa della produzione intellettuale e artistica, che si distacca dallo standard culturale contingente, ma conserva, anche nell’atipia, una sua coerenza strutturale. Si supera così la definizione classica che i soggetti creativi hanno nel trovare nuovi rapporti e soluzioni, allontanandosi nel contempo dagli schemi del pensiero tradizionale e convenzionale. Tutto questo comporta una figura nuova di progettista o di progettisti che nella loro differenziazione culturale proponga una soluzione globale nuova che tenga conto coraggiosamente della cultura del bello inteso come irrinunciabile meta di armonia e di sviluppo fuori dalla retorica per raggiungere una coralità collettiva che la politica li attuerà come atto dovuto.
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adegua alla ricerca affannosa del bello come bene potenziale di sviluppo e di crescita civile. L’enfasi non può essere più riferita tutta sulla sensibilità dello spettatore la cui esperienza estetica diviene indescrivibile o descrivibile solo a costo di irrisolvibili paradossi, occorre approssimarsi il piu’ possibile alla teorizzazioni di un enfasi collettiva in una società di pensieri differenti che poi si concretizza in una proposta democratica che diventi regola e assetto urbanistico di un territorio per una soluzione omogenea. Tale argomento offre alcuni elementi di riflessione sull’interpretazione di questa meravigliosa costa per tentare di incidere. (11-12) Tutto questo senza dimenticare quanto sostiene il neuroscienziato Edoardo Boncinelli quando scrive che: gli esseri umani sono istintivamente cercatori e produttori di senso e nella convinzione che se il significato appartiene alle cose, è stabilito dal codice ed è permanente, il senso appartiene a ciascuno di noi: è soggettivo e contingente. Deriva dal modo in cui, dopo averli decodificati, interpretiamo i segna-
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PELORÍS luogo al di fuori del normale A. MANGANARO, A. REALE, M. SANFILIPPO ol termine Peloro, Pelorias o Peloris viene chiamato il promontorio della Sicilia che si allunga naturalmente verso la costa calabrese. L’aggettivo deriva dal greco “enorme” o “ingente” e serviva un tempo anche ad indicare gli spaventosi fenomeni di vortici e gorghi localizzati nello Stretto e raffigurati in antichità con i mostri Scilla e Carid-
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Peloria, una ninfa che compare nella monetazione antica della città di Messina ad attestare un culto diffuso per la ninfa Pelorias a partire già dall’VIII sec. a.C. Proprio nella zona del prodi, le cui statue sono oggi visibili ai piedi della Fontana del Nettuno. Pur tuttavia, Capo Peloro deve il suo nome anche alla dea
Statue di Scilla e Cariddi, ai piedi della Fontana del Nettuno del Montorsoli. Sopra, antiche monete coniate a Messina.
montorio di Capo Peloro sono ubicate le Lagune salmastre di Ganzirri e Faro. L’origine della laguna di Capo Peloro risale alla formazione alluvionale della costa
orientale dello Stretto di Messina e si fa risalire tra il 3.000 ed il 2.500 a.C. (Biddittu et Al., 1979). È di formazione marina (Mazzarelli, 1938) ma riceve l’apporto di acque dolci da
numerose sorgenti (Bergamasco et Al., 2005). Il materiale alluvionale, derivato da terreni cristallini, ha formato le colline che si affacciano sullo Stretto;tutta la pianura costiera, che include i due Pantani, è derivata quindi dall’apporto di sabbie detritiche e dalle correnti marine, queste ultime hanno prodotto un cordone di dune che si estesero fino a Capo Peloro; la laguna così creatasi è stata suddivisa in più parti, questo, ha determinato la formazione di quattro Pantani (Ganzirri, Madonna di Trapani, Margi e Faro). In seguito si parla di tre laghi, come asseriscono, tra gli altri, Diodoro Siculo e Solino e dopo essi parecchi altri autori, da Cluverio a La Farina. Il terzo lago, situato tra i due laghi di Ganzirri e del Faro e denominato “Margi”, o “Marga” o “Maggi”, costituiva una palude pestifera più che un vero e proprio specchio d’acqua, al centro della quale secondo gli antichi sorgeva una postazione sacra dedicata al dio Nettuno, poi inabissatasi per sconvolgimenti tellurici. Più di quattro secoli fa lo scienziato messinese, Francesco Maurolico, riferì invece di due Laghi; questo suggerisce che probabilmente il Pantano di Margi sia stato precedentemente prosciugato da interramenti, o per bonifica ed il Madonna di Trapani si sia collegato al Pantano di Ganzirri o Pantano Grande. La laguna di Ganzirri ha una superficie di mq.338.400, forma allungata nel senso SO-NE con asse maggiore misurante mt. 1670 ca., larghezza massima mt. 282, minima mt. 94, profondità massima mt.6,50 e presenta una quantità d’acqua raccolta di circa 1.000.000 metri cubi.
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Schema della formazione dei lagni di Ganzirri.
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Il Pantano Grande presenta caratteristiche morfologiche tali da permettere un’ideale divisione in due parti: SW e NE, che si differenziano in maniera particolare per la loro batimetria e morfologia del fondo, ma anche per le caratteristiche fisico-chimiche delle acque (Abruzzese e Genovese, 1952; Crisafi, 1954;Cavaliere, 1967; Cavaliere, 1971; Bruni et al., 1973; Bruni et al., 1976; Bruni et al., 1984; Vanucci et al., 2005). La sua forma particolare, accoglie buona parte delle acque freatiche superficiali.Le variazioni di salinità che si verificano nel pantano sono principalmente dovute alla quantità di acqua dolce che vi si immette, anche sotto forma di precipitazione atmosferica, ed all’evaporazione dovuta alla radiazione solare. La zona SW è caratterizzata da sedimenti fangosi contenenti in parte idrogeno solforato, mentre la zona NE presenta sedimenti a grana grossolana. Sul fondo del Pantano inoltre, sono presenti macro alghe appartenenti alla divisione delle Chlorophyta e delle Rhodophyta (Cavaliere, 1967a; Cavaliere, 1967b;Giuffrè, 1991; Giuffrè et al., 1991). In particolare la zona NE è caratterizzata dalla presenza di mattes di Chlorophyceae affioranti in più punti. La loro estensione è variabile nel tempo e nello spazio (Cavaliere, 1963). Il Pantano Grande ha subito nel tempo numerosi pseudo-interventi di rastrellamento delle alghe.Inoltre in un passato più o meno recente nel Pantano Grande si sono registrati ripetuti fenomeni di distrofia (Sanzo, 1909), soprattutto nel periodo tardo estivo, che a volte hanno causato la moria di numerosi pesci. Il Pantano di Ganzirri, è collocato in un contesto fortemente antropizzato e gli organi pre-
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Moria di pesci a causa di distrofia nel Pantano Grande. posti alla sua tutela non hanno mai cercato “seriamente”di eliminare il grave degrado in cui versa. Solo di recente sono state effettuate e attivate alcune opere (anello di raccolta delle acque bianche e nere, tuttavia assolutamente insufficiente), ma malgrado ciò continuano a perdurare condizioni chimico-fisiche non eccellenti, con fenomeni distrofici e presenza di alghe potenzialmente tossiche.
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anche se non consente un grosso scambio con il Pantano Piccolo (<1%). Il toponimo Ganzirri deriva probabilmente dall’arabo Gadir (stagno, palude). Tale etimo appare verosimile, dato che nell’antichità l’intera zona dei laghi era paludosa, e solo con i primi stanziamenti e la creazione di nuclei abitativi stabili si determinò una progressiva bonifica del territorio. Il livello del Pantano non è stabile; esso infatti s’innalza con la cosiddetta “inchitura”, sensibilmente parallela alla fase della corrente montante dello Stretto, e si deprime invece con la “mancatura” o “secchezza”, pure parallela alla fase della corrente scendente dello Stretto. Il Pantano di Faro è situato a Nord del Pantano di Ganzirri. Esso presenta una superficie di mq 263.600, una forma quasi circolare col diametro maggiore nel senso N.O.-S.E. di mt. 660 ca., una profondità massima di mt. 28 ed una quantità d’acqua raccolta di 2.500.000 metri cubi, più alta rispetto al lago di Ganzirri per la maggior profondità.
Il Pantano Faro risulta più esposto a venti settentrionali, e presenta un carattere maggiormente marino. Il Pantano raggiunge la sua massima profondità (28m) nella porzione centro-orientale e la sua particolare struttura determina problemi legati alla circolazione delle acque. Scambi con le acque dello Stretto di Messina avvengono attraverso il “Canale Faro” o “Canalone” e, saltuariamente con il Mar Tirreno attraverso il Canale degli Inglesi. Particolarità di questo ambiente è la persistente presenza di idrogeno solforato a profondità superiori ai 10 metri e la presenza massiccia di microrganismi legati alla metabolizzazione dei derivati dello zolfo all’interfaccia fra zona ossica e zona anossica. Il toponimo di Faro potrebbe trovare qui una sua spiegazione; già nel 1543 Francesco Maurolico denominava gli abitanti della zona come “abitanti sotto il nome del Faro”. D’altra parte Domenico Puzzolo Sigillo (1927) ritenne di poter attribuire l’origine del toponimo alla parola pòros, passaggio (cfr.
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Pur in presenza ancora di questi gravi fenomeni, si fa sempre più pressante la richiesta, effettuata anche con numerosi articoli apparsi sui quotidiani, di un possibile ripristino della molluschicoltura, che sarebbe auspicabile, ma al momento non proponibile; questa attività in passato costituiva, infatti, una fiorente industria per gli abitanti di Ganzirri (Lo Giudice, 1913), anche se, per molti casi, soltanto come reddito aggiunto. Le acque del Pantano sono in comunicazione con il mare adiacente per mezzo di canali, alcuni fatti costruire dagli inglesi intorno al 1830, il primo dei quali, il canale Catuso, scavato nel 1807, è un canale molto stretto e solo occasionalmente aperto al mare e si trova nella zona sud del lago, mentre il secondo, denominato Carmine o Due Torri, è scoperto e si trova quasi al confine nord del lago e permette uno scambio di acque superficiali con lo Stretto di Messina;un terzo canale, scavato in contrada Margi nel 1810, collega il Pantano di Ganzirri con quello di Faro,
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Il Pantano Faro con il Pilone sullo sfondo.
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Bosforo), stretto di mare, che dunque si riferiva all’intero tratto costiero messinese antistante la Calabria e, in senso proprio, al tratto di mare che separa le due terre. Francesco Maurolico spiega la formazione dei nuclei urbani in prossimità del Capo Peloro con la prospettiva di un sicuro guadagno per mezzo dello sfruttamento dei Pantani, o delle vicine saline. Pare verosimile che i primi stanziamenti consistessero in miseri abituri sparsi nelle campagne circostanti i due Pantani, come emerge da una cronaca del terremoto del 1783 riportata negli “Annali” di Gaetano Oliva (1892). Con il provvedimento n. 1342/88 del 19.07.’88 i due Pantani ubicati nel territorio comunale di Messina, denominati “di Ganzirri” o “Pantano Grande”e “del Faro”o “Pantano piccolo”, sono stati dichiarati beni d’interesse etnoantropologico particolarmente importante, in quanto sedi di attività lavorative e produttive tradizionali connesse alla molluschicoltura (mitilicoltura e tellinicoltura) che rappresentano nel loro complesso un prezioso tratto della cultura tradizionale nella provincia e nel territorio della città di Messina. In forza di tale provvedimento i due specchi lacustri e le attività tradizionali che in essi si esercitano, sono considerati beni etno-antropologici dei quali occorre assicurare la tutela al fine di garantire l’identità e la memoria storica di un’attività che da circa tre secoli ha connotato l’economia e la cultura della zona di Capo Peloro. La Laguna di Capo Peloro è anche Riserva Naturale Orientata istituita dalla Regione Siciliana con Decreto assessoriale del 21 giugno 2001, ente gestore Provincia Regionale di Messina.Inoltre è Sito di Impor-
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tanza Comunitaria ai sensi della Direttiva 92/43/CEE e Zona a Protezione Speciale ai sensi della Direttiva 79/409/CEE nell’ambito del Water Project del 1972. In entrambi i Pantani la fauna è molto varia e tra le specie che popolano queste acque, oltre ai molluschi lamellibranchi, citiamo: cefali, branzini, orate, anguille, seppie e crostacei vari. La posizione geografica particolare dei pantani, ne ha fatto un luogo di sosta per uccelli migratori che si fermano da
Leggenda della Città di Risa. (Gamberini, 1920) queste parti durante le migrazioni primaverili e autunnali. A Ganzirri si possono ammirare Aironi, Cormorani, Fenicotteri ed anche qualche Falco di palude assieme al Nibbio bruno. A tutt’oggi in entrambi i pantani pesa la minaccia dell’inquinamento, poichè la zona è preda di una sempre più massiccia pressione antropica che, assieme ai fertilizzanti che filtrano dalle campagne circo-
e d’uso nei Laghi di Ganzirri e Faro” la “Leggenda della Città di Risa”. A questo punto, se mai Mariselva si dovesse risvegliare, non riconoscerebbe certo i luoghi da cui è stata rapita e strali di fuoco invierebbe agli abitanti del Peloro e a tutte le Province Regionali! È certo che, in un presente
non più procrastinabile, è assolutamente urgente, la “bonifica”definitiva del Pantano Grande e quindi il possibile ripristino della molluschicoltura (vietata con Decreto Regionale del 1986) e rendere visivamente “gradevole” il Pantano Piccolo, uniformando, o meglio eliminando, tutti i galleggianti presenti sulle acque.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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stanti, ne sta pregiudicando l’equilibrio biologico. Numerose ordinanze e provvedimenti non hanno dato finora gli esiti sperati, rischiando così di compromettere le risorse di una fra le zone più caratteristiche di Messina e, osiamo dire, delle più belle del mondo. Il Gamberini (1920) riporta nel suo libro “Circa i diritti della pesca
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ABRUZZESE D., GENOVESE S. - 1952 - Osservazioni geomorfologiche e fisico - chimiche sui laghi di Ganzirri e Faro. Boll. Pesca, Piscic., Idrob., 7: 3 -20 BERGAMASCO A., AZZARO M., PULICANÒ G., CORTESE G., SANFILIPPO M., MAUGERI T. - 2005 - Ganzirri Lake, north-eastern Sicily. In: “Nutrient fluxes in transitional zones of the Italian coast”. G. Giordani, P. Viaroli, D.P. Swaney, C.N. Murray, J.M. Zaldívar and J.I. Marshall Crossland. LOICZ Reports and Studies, n° 28 LOICZ IPO, Texel, The Netherlands: 103-110. BIDDITTU I., BONFIGLIO L., RICCOBONO F - 1979 - Eneolitico di facies Piano Conte a Ganzirri (Messina). Sicilia Archeologica, 12 (40): 40-87. BRUNI V., COSTANZO G., DE DOMENICO E., DE DOMENICO M., FARANDA F., GANGEMI G., GIUFFRÈ G., GUGLIELMO L., MANGANARO A. - 1976 - Ricognizione ambientale nel lago salmastro di Faro (Messina): Un anno di osservazioni (Aprile 1973 - Aprile 1974). Atti Soc. Peloritana Sc. Fis. Mat. e Nat., 22: 1-115. BRUNI V., CRISAFI E., DE DOMENICO E., GENOVESE L., MAUGERI T.L. - 1984 - Ulteriore ciclo di osservazioni microbiologiche nel lago di Ganzirri. IV Conv. Patol. Clinic. Igien. Ambient.: 367 – 374. BRUNI V., FARANDA F., DE FRANCESCO M. - 1973 - Ciclo di osservazioni microbiologiche nel lago di Ganzirri. Atti 5° Coll. Int. Oceanogr. Med., Messina: 519 - 529. CAVALIERE A. - 1963 - Biologia ed ecologia della flora dei laghi di Ganzirri e Faro, sua sistematica e distribuzione stagionale. Boll. Pesca, Piscic., Idrob., Vol. 18, Fasc. 2: 171 - 186. CAVALIERE A. – 1967a - Fauna e flora dei laghi di Faro e Ganzirri (Messina), nota I - I teleostei del lago di Faro. Boll. Pesca, Piscic., Idrob., 22: 83 - 102. CAVALIERE A. - 1967b - Fauna e flora dei laghi di Faro e Ganzirri (Messina), nota II - Osservazioni bioecologiche e distribuzione di Gracilaria dura (C. Ag.) nel lago di Faro. Boll. Pesca, Piscic., Idrob., 22: 167 - 174. CAVALIERE A. - 1971 - Fauna e flora dei laghi di Faro e Ganzirri (Messina), nota III - Osservazioni bioecologiche sugli Echinodermi nel lago di Faro. Boll. Pesca, Piscic., Idrob., 26: 237 249. CRISAFI P. - 1954 - Un anno di ricerche fisico-chimiche continuative sui pantani di Ganzirri e Faro. Bollettino Pesca, Piscicoltura e Idrobiologia, 9 (1) : 5-31. GAMBERINI - 1920 - Circa i diritti della pesca e d’uso nei laghi di Ganzirri e Faro. Monografia Marittima: 359-375. GIUFFRE’ G. - 1991 - Le diatomee planctoniche del lago salmastro meromittico di Faro, Messina. Un anno di osservazioni. Boll. Soc. Adriatica di Scienze. 72: 51 - 79. GIUFFRE’ G., MATARESE PALMIERI R., TOMASELLO D. - 1991 - Seasonal sequence of diatom colonization in a vertical profile in a Mediterranean meromictic brackish lake. Giorn. Bot. Ital., 125: 817 - 830. LO GIUDICE P. - 1913 - Le condizioni dei laghi di Ganzirri e del Faro (Messina) in speciale rapporto alla molluschicoltura. Riv. Mens. Pesca, Idrobiol., 14 (10/12): 193 – 206. MAZZARELLI G. - 1938 - L’origine marina dei laghi di Faro e Ganzirri. Boll. Pesca, Piscic., Idrob., 14(1): 31 - 40. SANZO L. - 1909 - Sulle cause dell’attuale moria dei Molluschi Bivalvi coltivati nei laghi di Ganzirri e Faro (Messina). Atti Reale Accad. Pel., 19 (I): 241-259. VANUCCI S., BRUNI V., PULICANÒ G. - 2005 - Spatial and temporal distribution of virioplankton and bacterioplankton in a Brackish Environment (Lake of Ganzirri, Italy). Hydrobiologia, 539: 83-92 N.2 Marzo/Aprile 2008
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Il Piano del rischio incendi d’interfaccia una nuova metodologia speditiva per la valutazione del rischio
Premessa numerosi incendi che si sono verificati nell’Italia Centro-Meridionale, nei mesi di luglio e agosto 2007, hanno reso indifferibile l’adozione di un provvedimento urgente da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, mediante l’Ordinanza n. 3606 del 28 Agosto 2007, riguardante “disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in atto nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e della regione Siciliana, in relazione ad eventi calamitosi dovuti alla diffusione di incendi e fenomeni di combustione”. In particolare, sono state considerate principali cause di innesco dei fenomeni di combustioni, i seguenti fattori: - Incremento delle tempera ture oltre i consueti limiti stagionali; - estensione dei periodo di siccità; - aumento dei comportamenti dolosi che hanno causato gravi difficoltà al tessuto economico e sociale; - incremento degli incendi in aree urbane. Quest’ultimo elemento si è rilevato determinante nell’incremento della pericolosità da incendi d’interfaccia, da cui sono scaturite le suddette misure speciali atte a fronteggiare, in maniera più efficace N.2 Marzo/Aprile 2008
STAFF TECNICO Ing. Francesco RANDO dirigente coordinatore dello Staff tecnico Dott. Geol. Daniele TRAVIGLIA responsabile del SIT di Protezione civile e Rischio Idrogeologico Dott. Arch. Massimo PASSARI responsabile Gruppo di lavoro Incendi d’Interfaccia Ing. Antonio RIZZO libero Professionista esperto di Protezione civile
il rischio per la pubblica e privata incolumità. Come primo obiettivo si è ritenuto importante dare rilievo alla prevenzione e degli incendi boschivi. Detta attività non poteva prescindere da una pianificazione, seppur di tipo speditivo, da integrare nella più complessiva pianificazione delle emergenze. In forza di detta Ordinanza, l’Ufficio Territoriale del Governo di Messina, ha incaricato l’Amministrazione comunale di Messina e più specificatamente l’Ufficio Staff “Protezione civile”, per la redazione della Pianificazione del rischio incendi d’interfaccia del territorio di Messina, secondo le modalità previste nelle linee guida predisposte dal Dipartimento Nazionale di Protezione civile, la cui redazione si è conclusa il 28 aprile 2008. Lineamenti territoriali e morfologici. Il territorio del Comune di Messina esteso per 211,23 Kmq, con una popolazione di 252.026
abitanti ed un tessuto edificatorio di 32.405 costruzioni, confina con i comuni di Villafranca Tirrena, Saponara, Pace del Mela, Monforte S.Giorgio, Scaletta Zanclea, Itala e Fiumedinisi. La morfologia del territorio è variabile, con una pianura costiera più pronunciata nel versante jonico e forme di rilievo aspre ed accidentate verso l’interno. In linea generale possono essere delineate tre fasce altimetriche, orientate secondo due direttrici principali NE-SW ad E-W, di cui una pianeggiante, una seconda a carattere collinare ed una terza decisamente montuosa. Dai suddetti versanti, si è originata una fitta serie di bacini idrografici, sottesi da linee di deflusso a carattere prevalentemente torrentizio. In particolare, nel versante jonico sono presenti ben 35 bacini, poco di più rispetto a quello tirrenico con 25 bacini. Il bacino idrografico più grande è quello del torrente S. Ste-
Rappresentazione del modello tridimensionale del suolo e l’idrografia principale. fano, con un’estensione di 16,4 Kmq ed una lunghezza dell’asta principale di 8,4 Kmq. Per quanto riguarda il livello di fragilità territoriale relativo al rischio idrogeologico, il comune di Messina presenta una superficie interessata da dissesti franosi di 201,7 Ha nel versante tirrenico e di 285,84 Ha in quello jonico. Infine, l’esposizione dei versanti risente maggiormente dell’effetto dei venti provenienti dai quadranti nord-occidentali e sudorientali, con precipitazioni più elevate nelle stagioni autunnale e invernale. Il clima può essere ricondotto al tipo temperato-mediterraneo, con precipitazioni abbondanti nel semestre ottobre-marzo, a cui si contrappone il semestre aprile-settembre,con precipita zioni scarse e occasionali, associate ad alti valori di temperatura e sensibili escursioni giornaliere. Le precipitazioni medie risultano nell’ordine dei 700-800 mm fino a massimi di 1.300 mm sui rilievi. L’Emergenza incendi in Sicilia nell’anno 2007
Il rapporto pubblicato dal Dipartimento Regionale di Protezione civile, relativo all’incremento della pericolosità da incendi ed ai danni provocati al patrimonio boschivo ed alla società civile, evidenzia che il 2007 in tutta la regione è risultato un anno critico per livello di pericolosità ed è stato messo a dura prova l’efficacia del sistema di Protezione civile. In particolare, nella provincia di Messina che alla pari di quella di Trapani ha fatto registrare il maggior numero di interventi, si sono verificate perdite di vite umane che hanno aggravato un bilancio, fin a quel momento, fortemente negativo. Gli effetti dannosi dell’incendio boschivo non si esauriscono una volta conclusa la fase emergenziale in quanto, la cenere prodotta nell’incendio svolge un’azione riduttiva della permeabilità del suolo, favorendo, in caso di pioggia, lo scorrimento selvaggio delle acque meteoriche e l’innesco dei processi erosivi sulle parti del territorio non più protette dalla vegetazione. Inoltre, laddove gli apparati radicali delle piante sono stati irrimediabilmente compromessi, si riduce sensibilmente l’azione di fissaggio ed anco-
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raggio del sistema piantasuolo-substrato. Infine, le mutate condizioni idrogeologiche comporteranno l’incremento del trasporto solido, la riduzione dei tempi di trasporto delle acque correnti, l’incremento delle velocità delle acque di ruscellamento, con il conseguente aumento della propensione al dissesto dei versanti. Dalla carta finalizzata al catasto degli incendi boschivi, le aree maggiormente colpite del territorio cittadino, nei mesi di luglio-agosto 2007, sono risultate distribuite a macchia di leopardo, la cui entità complessiva è risultata pari a circa 38 Kmq, quasi il 20% del territorio cittadino. Ha destato particolare impressione per la vastità dell’area vulnerata, il fronte d’incendio che a coinvolto nella zona nord le località di Masse, Spartà, Castanea, Curcuraci, Marotta, S.Michele, pari a circa 12 Kmq. Nella zona sud le aree colpite sono state numerose anche se di proporzioni inferiori a quella suddetta e comprese tra i due ed i quattro Kmq. In ultimo va rilevato come gli incendi determinano l’aggrava mento delle condizioni di rischio delle aree già vulnerate da frane e dissesti gravitativi, come è stato possibile constatare nel corso dell’emergenza di fine ottobre 2007, nelle zone di Giampilieri, Briga, Molino, Ponte Schiavo, S. Margherita. Sistemi di allertamento sugli incendi boschivi:il servizio HOTSPOT. Il Dipartimento Regionale di Protezione civile ha stipulato una convenzione con la società Telespazio, per l’attuazione del progetto RISKEOS in cui è presente una funzione, denominata HOTSPOT, in grado di fornire in tempo reale incendi presenti sul territorio regionale.
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Mappa degli incendi telerilevati (Agosto 2007). In basso, Rappresentazione grafica degli incendi (Agosto 2007).
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adiacente, esposte al contatto con i sopravvenienti fronti di fuoco. In via di approssimazione la larghezza di tale fascia è stimabile tra i 25-50 metri e comunque estremamente variabile in considerazione delle caratteristiche fisiche del territorio, nonché della configurazione della tipologia degli insediamenti. Tra i diversi esposti particoIl servizio si basa sul rilevamento da satellite “meteosat” della variazione di temperatura ad una risoluzione di circa 3 Kmq. L’aggiornato di sistema avviene in tempo reale secondo le modalità di acquisizioni d’immagine dei satelliti (ogni 15’). Ovviamente il servizio si presta meglio alla prevenzione e mitigazione degli incendi boschivi. I limiti del servizio consistono in alcune patologie di sistema quali errori di posizionamento degli incendi, impossibilità di distinguere gli incendi nell’ambito della stessa cella, il gap temporale tra la disponibilità del dato e il reale innesco dell’incendio. Nonostante i suddetti limiti, il servizio HOTSPOT consente alla SORIS di poter seguire l’evoluzione degli incendi in modo da poter coordinare in maniera tempestiva ed efficace i soccorsi. Una nuova metodologia speditiva per la predisposizione del Piano Incendi d’interfaccia. Per interfaccia in senso stretto si intende una fascia di contiguità tra le strutture antropiche e la vegetazione ad essa
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lare attenzione è stata rivolta alle seguenti tipologie: • ospedali, insediamenti abitativi (sia agglomerati che sparsi), scuole, insediamenti produttivi, luoghi di ritrovo (stadi, teatri), infrastrutture ed opere relative alla viabilità ed ai servizi essenziali e strategici. Per valutare il rischio conseguente agli incendi di interfaccia è prioritariamente necessario definire la pericolosità nella porzione di territorio rite-
nuta potenzialmente interessata dai possibili eventi calamitosi ed esterna al perimetro della fascia di interfaccia in senso stretto e la vulnerabilità degli esposti presenti in tale fascia. Sulla base della carta tecnica regionale 1:10.000, sulle ortofoto disponibili aggiornate all’anno 2003, sono state individuate le aree antropizzate considerate interne al perimetro dell‘interfaccia. Per la perimetrazione delle
predette aree, rappresentate da insediamenti ed infrastrutture, sono state preventivamente create delle aggregazioni degli esposti, finalizzate alla riduzione della discontinuità fra gli elementi presenti, raggruppando tutte le strutture ricadenti entro una distanza relativa non superiore a 50 metri. Definiti i buffer di m 25 e 50, si è proceduto a tracciare intorno a tali aree, una fascia di contorno (denominata fascia perimetrale) di larghezza pari a 200 m. Tale fascia è stata utilizzata per la valutazione della pericolosità. La metodologia proposta da Dipartimento Nazionale di Protezione civile ed adottata nel corso del presente studio, è basata sulla valutazione, seppur speditiva, delle diverse caratteristiche vegetazionali predominanti presenti nella fascia perimetrale, individuando così delle sotto-aree della fascia perimetrale il più possibile omogenee sia con presenza e diverso tipo di vegetazione, nonché sull‘analisi comparata nell‘ambito di tali sotto-aree di sei fattori, cui è stato attribuito un peso diverso a seconda dell‘incidenza che ognuno di questi ha sulla dinamica dell‘incendio. Tale definizione è stata effettuata utilizzando un software GIS della ESRI in possesso dell’Ufficio di Staff Protezione civile del Comune di Messina. Sono stati presi in considerazione i seguenti fattori principali: Tipo di vegetazione: distinzione delle diverse formazioni vegetali che determinano influenze più o meno marcate
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Carta degli esposti al rischio incendi d’interfaccia. In basso, carta della vegetazione.
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sull’evoluzi one degli incendi a seconda dei tipi di specie presenti, delle loro mescolanze, della stratifi cazione verticale dei popolamenti. È stata condotta questa distinzione mediante fotointerpretazione effettuata sulle ortofoto digitali, aggiornate all’anno 2003. Densità della vegetazione: rappresenta il carico di combustibile presente che contribuisce a determinare l‘intensi-
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tà e la velocità dei fronti di fiamma. Anche questo elemento è stato desunto mediante fotointerpretazione. Pendenza: la pendenza del terreno ha effetti sulla velocità di propagazione dell‘incendio: il calore, salendo, preriscalda la vegetazione sovraCarta delle acclività. In basso, Carta dell’esposizione dei versanti.
stante, favorendo la perdita di umidità dei tessuti, consentendo in tal modo l‘avanzamento dell‘incendio verso le zone più alte. Questa valutazione è stata ricavata utilizzando un’analisi GIS su appositi aster dataset. Tipo di contatto:contatti delle sotto-aree con aree boscate o incolti senza soluzione di continuità influiscono in maniera determinante sulla pericolosità dell‘evento. L’analisi è stata effettuata in overlapping, sovrapponendo un DEM (Digital Elevation Model) appositamente elaborato sulle ortofoto ed il layer della vegetazione. Incendi pregressi: particolare attenzione è stata posta alla serie storica degli incendi pregressi che hanno interessato il nucleo insediativo e la relativa distanza a cui sono stati fermati. Questi dati relativi agli incendi verificatisi nell’anno 2007, hanno consentito di definire dei buffer con pesatura differente a secondo che l’aggregato si trovasse entro una distanza inferiore ai 100 metri o compresa tra 100 e 200 metri. Anche questa analisi è stata effettuata mediante apposito raster dataset. Classificazione del piano AIB: è la classificazione dei comuni per classi di rischio contenuta nel piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi redatta ai sensi della 353/2000.Per il territorio comunale di Messina è stato previsto un unico valore. Il grado di pericolosità, scaturisce dalla somma dei valori numerici attribuiti a ciascuna area individuata all‘interno della fascia perimetrale. Il valore così ottenuto individua tre classi principali nelle quali suddividere, secondo il grado di pericolosità attribuito d a l l a m e t o d o l o g i a s o p ra descritta, le sotto-aree indivi-
ziali è stato ottenuto un valore complessivo rappresentativo del la vulnerabilità dell‘esposto. Tale valore complessivo sarà quindi rappresentativo delle tre classi di vulnerabilità, bassa, media ed alta. La valutazione del rischio è stata infine effettuata incrociando il valore di pericolosità in prossimità del perimetro esterno ai tratti con la vulnerabilità di ciascun tratto;il risultato finale è il rischio presente all‘interno e lungo tutta la fascia di interfaccia valutato secondo la seguente tabella.
duate all‘interno della fascia perimetrale. Nella tabella seguente sono indicate le tre classi di pericolosità agli “incendi di interfaccia“, identificate con i relativi intervalli utilizzati per l‘attribuzione:
La mappatura della pericolosità così ottenuta costituisce uno strumento di primo livello che consente di indirizzare la pianificazione dell‘emergen-
za attualmente adottata. Per ogni fascia di interfaccia, sono stati individuati tutti gli esposti al possibile fronte del fuoco. La vulnerabilità è stata pertanto definita in termini qualitativi, sempre mediante una metodica speditiva, valutando un peso complessivo sulla base del numero di esposti presenti in ciascuna classe di sensibilità, di cui alla tabella successiva, moltiplicato per il peso relativo della classe stessa.Alla sensibilità dell‘esposto è stato assegnato un peso variabile da 1 a 10. Dalla somma dei valori par-
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Carta degli incendi pregressi. Sotto, Carta della Pericolosità.
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Il risultato finale ha consentito di perimetrare le aree degli insediamenti esposti, per le differenti classi di rischio presenti nella fascia perimetrale in senso stretto: rosso sarà attribuito ad un rischio alto (R4), blu ad un rischio medio (R3), verde ad un rischio basso (R2) e giallo ad un rischio nullo (R1). L’uso del GIS nell’analisi del rischio incendi d’interfaccia. La metodologia precedentemente esposta ha evidenziato l’assoluta necessità di procedere per piani informativi omogenei (layer), da sovrapporre secondo una tecnica informatica conosciuta con il termine di “overlapping”. In passato per lo stesso procedimento si sarebbe operato manualmente, utilizzando tavole trasparenti dalla cui sovrapposizione di colori si definivano i relativi “pesi”. Oggi, grazie all’uso del “GIS” è possibile giungere, in tempi estremamente ridotti, a risulN.2 Marzo/Aprile 2008
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tati di analisi superiori, partendo da base di dati notevolmente più elevate. L’ufficio comunale di Protezione civile è da tempo attrezzato di una piattaforma ESRI ARCGIS 9.1, istallata su attrezzature hardware par ticolarmente potenti. La finalità è quella di costituire il SIT di “Protezione civile” in grado di gestire il Piano comunale d’emergenza. Per applicare in maniera efficace e rapida l’analisi GIS, visto i tempi imposti dall’Ordinanza 3606/07, si è proceduti medianCarta del Rischio. Pagina a lato, rappresentazione del modello di calcolo.
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te la costituzione di un modello di analisi automatizzato (Model builder), realizzato secondo uno schema a blocchi in architettura informatica di tipo visuale. I risultati acquisiti per la realizzazione della pianificazione del rischio incendi d’interfaccia, saranno successivamente integrati nel costituendo WebGIS della Protezione Civile Comunale, in modo da poter essere consultati in remoto in occasione dei futuri eventi. Conclusioni. La pianificazione relativa al rischio incendi d’interfaccia ha consentito, seppur nei limiti della metodologia speditiva adottata dal Dipar timento nazionale di Protezione civile, di far emergere aree del territorio, per vocazione, partico-
larmente vulnerabili, il cui livello di rischio è stato accentuato dall’espansione urbanistica determinatasi nell’ultimo ventennio. Il primo livello così definito, potrà essere in seguito approfondito e reso ancor più aderente alla realtà territoriale mediante l’utilizzo di fonti cartografiche aggiornate (ortofotografia digitale multispettrale da satellite), in modo da rendere attuale il SIT di Protezione civile in relazione all’uso del suolo, alla variazione del tessuto edificatorio, alla consistenza delle aree vulnerate dagli incendi, all’evoluzione geomorfologiche dei rilievi interessati dai dissesti. Dal punto di vista operativo, l’istituzione di presidi territoriali con l’utilizzo anche delle Asso-
Ringraziamenti Un particolare ringraziamento per l’aiuto e la fattiva collaborazione fornita va rivolto al Dott. Geol. Biagio Privitera, Responsabile della Provincia Regionale di Messina per il rischio incendi d’interfaccia, al Dott. Contarino Vice Prefetto dell’Ufficio Territoriale di Governo di Messina, al Perito Agronomo Antonino Aiello, collaboratore della struttura comunale di Protezione civile.
dal vigente Piano Regionale Antincendio Boschivo, associata ad un’efficace campagna di sensibilizzazione della popolazione più esposta, oltre ad una concreta attività di repressione nei confronti dei com-
portamenti delittuosi che stanno all’origine di gran parte degli incendi, comporterà, in futuro, una sempre maggiore riduzione delle aree incendiate e dei rischi per l’incolumità degli abitanti.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI - Presidenza del Consiglio dei Ministri O.P.C.M. n. 3606 del 28.08.2007 - Manuale Operativo per la predisposizione di un Piano Comunale o Intercomunale di Protezione civile - AA.VV.
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ciazioni di volontariato di Protezione civile, adeguatamente addestrate per il servizio Antincendio Boschivo (AIB), consentirà di minimizzare i tempi d’intervento nel coordinamento degli interventi e nella fattiva collaborazione delle strutture di protezione civile con gli Enti istituzionalmente deputati allo spegnimento degli incendi (Corpo Forestale e Vigili del Fuoco). Una corretta attività di prevenzione così come prevista
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- Città e Territorio 1-2/97 – I Bacini idrografici del territorio Comunale di Messina - A. Natoli, B. Copat, S. Dolfin, E. Cumbo, D. Traviglia, F. Rubino, A. Ucosich, A. Paratore, M. Costanzo, G. Bellomo, E. Bellomo. - Regione siciliana - Dipartimento di Protezione civile Emergenza Incendi Agosto 2007 - O. Bonanno, S. Levanto, M. Panebianco. - ISTAT - Popolazione residente ed abitazioni nelle province italiane Messina - AA.VV. - Assessorato Regionale Territorio e Ambiente - Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.)- Relazioni Bacini 001 e 102 - AA.VV.
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I cento anni dalla catastrofe:
e il “compasso della ragione”? di Giuseppe CAMPIONE Messina, “claves insulae”, come dice Edrisi, non solo, ma anche “nobilis Siciliae caput”, e, soprattutto, “emporio delle genti”, arrivavano le navi dagli estremi lidi della terra.Per questo gli abitanti “quasi non ponnu viveri senza mercantii et esercitii marittimi”, essendo la città, appunto, “situata in loco sterili di terreno” (I. Peri, Città e campagna in Sicilia dal XI al XIII, Laterza, 1978). Le fortune del sito, della posizione e delle professionalità marittimo-commerciali saran-
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no causa ed effetto di cospicui privilegi “concessi per rimunerazione di servigi prestati dalli Serenissimi reggi”. E forse i molti privilegi “con i quali si è gloriata la città di Messina di essere arricchita” (addirittura ne furono inventati altri “falsi e irregolari”, al punto che nella ‘caparbietà’ di difendere tali ‘imaginarie chimere’, si precipitarono, “all’ultimo scopo della loro meritata rouina”, scrisse il Masbel (M. La Torre, Messina come metafora e luogo idealtipo della politica,Rubbettino, 2000), furono sempre causa
che la medesima si rendesse nauseosa ...alle altre città del Regno”.La rivolta antispagnola vide la città assolutamente sola, proprio al termine di una lunga controversia, con Palermo, sul privilegio “di estrarre la seta solo da Messina”. Temeraria ambizione quella, si chiede, ancora con il Masbel, La Torre (Messina come metafora e luogo idealtipo della politica, Rubbettino, 2000, ib.), o un “voler vivere in libertà, quasi in forma repubblicana”? Forse Messina, analogamente ad altre repubbliche cittadine, rite-
nuta <inevitabilmente sediziosa>, vede la sconfitta delle sue ambizioni municipalistiche e si arrende a poteri autocratici, perde la voglia di comunicazione dei cittadini, che resteranno solo vassalli, intorno agli affari pubblici, <la civile con-
versazione>.Se, il ‘rex’è Leviathan, unità, indissolubilità, concordia di parti, il ‘populus’ è Behemoth, ribelle aggregato di mostri, sedizione, plurale. Così Messina, allora città temeraria senza accortezza, andrà incontro alla sua rovina, spe-
culare all’aurea mediocritas che si accontenta. Città vinta e sottomessa, vivrà come esempio, ‘universitad del mundo’ (M. La Torre, ib.) Ma il paesaggio e le anche memorie sono tutte lì. Messina era stata letta, dice Alberto Samonà (G. Campione, in La Loggia dei mercanti, 1972, CCIAA, Messina), come un teatro e il suo doppio: la città, dal mare-platea, come insieme di quinte, un palcoscenico che dalla palazzata-spettacolo si innalza sulle colline, con l’Etna come fondale; invece, tornata anfiteatro, con, sulla scena, il mare tagliato dalla falce, come nelle crocifissioni di Antonello, e, in fondo, l’ondulato disegno degli ultimi contrafforti dell’Aspromonte. Poi solo memoria e lamento. La cesura sarà più evidente dopo il terremoto del 1908, e non sarà solo virtuale. Nella logica interna del suo
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L’area interessata dal terremoto del 1908.
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Barche e velieri nella Cortina del porto (prima del terremoto). impianto gli avvenimenti, le epidemie, i disastri sono state come ferite profonde del tessuto sociale e delle strutture urbane, che si rimarginano con modalità e tempi diversi: scansioni temporali entro cui i vari elementi della struttura si ricombineranno alla ricerca di un disegno. E perciò è come se sempre si fosse guardato al tempo dello spazio della lunga durata e gli avvenimenti, tra storia ed eventi. Senza, è ovvio, trascurare l’avvenimento-mostro (l’eventoproblema), la rivolta antispagnola, ma soprattutto il terremoto, a partire dal quale si riproblematizzerà tutto. Per Messina si è a lungo pensato che il terremoto avesse azzerato le memorie, determinando una condizione di cittadini senza storia. L’avvenimento terremoto segnò infatti un taglio deciso, spietato, non solo nella struttura urbana e nella vita economica, ma soprattutto nella composizione demografica e sociale (G. Campione, Il Progetto urbano di Messina 2°, Gangemi, 1994). Messina appariva dopo la sua Iliade funesta, come un mondo livido e informe, tra cui vagavano le ombre degli scampati, e il resto della Terra leggeva, atterrito, il numero pauroso delle vittime, e contemplava la straordinaria visione di una città crollata in pochi secondi, come i castelli che i ragazzi fanno con le carte, scriveva Guido Ghersi ( La città e la selva, Garzanti 1983). E sarà il momento dionisiaco della “lieta baraonda da fiera” della “resurrezione” post-terremoto Copertina di giornale francese del 17 gennaio 1909.
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CITTÀ&TERRITORIO che caratterizzava Messina “un po’cantiere, un po’bivacco, un po’ mercato”. Una città abitata anche da “un miscuglio di gente forestiera assillata dal desiderio di far fortuna”, intenta alle “più ingegnose speculazioni”.
Città di “sventagliante fantasmagoria” nelle cui sale da pranzo e da convegno arrangiate si affollavano “funzionari, costruttori, legali, giornalisti, rappresentanti dei comitati di soccorso nazionali e stra-
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nieri, mondane, tutta una folla varia e strana, mutevole e gioconda fra la quale capitava spesso in raccolto atteggiamento qualche gruppo di persone a lutto” (P. Longo, Messina, città rediviva, 1933, ediz.
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anastatica. G.B.M.,1994 ). E questa Messina a poco a poco assumerà forma, contemplerà gli effetti del maremoto, del terremoto, gli incendi, lo sciacallaggio, l’arrivo dei primi soccorritori, la nave russa, la partecipazione dei sovrani, la durezza dello stato d’assedio, le prime leggi per l’emergenza, la municipalità che risorge, i drammi di orfani e vedove, le sedute dei civici consessi. I futuristi cantano la volontà prometeica della ricostruzione, quella che viene enfatizzata, spettacolarizzata quasi, dal poeta Jannelli: tendere spasmodicamente verso la ricostruzione… un leggere il passato-presente…attraversato da un fil di ferro…poi l’avvenire che cresce… e il sorrideremondo etc.etc. (G. Miligi, Prefuturismo e primo futurismo in Sicilia, Sicania, 1989). Dal “grumo di sentimenti e di irrazionalità, si tengono però lontani gli altri, gli scienziati alle prese con i problemi delle cause e degli effetti. Il primo pensie-
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ro, come si legge nella relazione del piano, avrebbe dovuto essere quello di conservare il mantenimento della vecchia città, conservandone, per quanto possibile, l’impronta generale, ed il ripristino della forma originaria (G. Campione Il progetto…,cit.). Invece l’impianto del Borzì, il tecnico della municipalità, sarà solo imposto da necessità, urgenze e ‘particulari’. Un’ icona senza invenzioni e proiezioni. Così la forte, commovente volontà dei superstiti sembrerà esaurirsi nel mantenimento del sito, ma da questo non deriveranno ritorni di ruolo o di antiche funzioni. E’ la cittadinanza che finisce, (M.La Torre, Messina…cit.). I diritti si collassanoo, restano solo concessioni di favori, mediate da suppliche, intercessioni, minacce: la contrattazione impropria dello scambio sarà la “costituzione materiale” di un patto sociale non sottoscritto ma comunque vigente.
Poi, dopo il terremoto, la guerra. “Sotto la gragnuola aerea si compì lo scempio...”(P.Longo, Rassegna stampa 1943: “Messina:vita apparente di una città abituata a morire” ). Anche quest’ultima rottura sembra confermare la tesi di Gambi (Quaderni di geografia umana per la Sicilia e la Calabria,V, 1960, Univ. Messina ), poi ripresa dalla Rochefort ( Le travail en Sicile, Presse univ e r s i t a r i e d e Fr a n c e , Paris,1961), sul ripopolamento di Messina, avvenuto ad opera “in più saliente misura di famiglie provenienti dai comuni rurali delle aree prossime …di mediocri impresari e trafficanti provenienti da regioni settentrionali… Resta perciò incompiuto il disegno di città. I ‘Working Papers’di Sociologia e di Scienza della politica (E. Tuccari 1971) fanno discendere l’”inaridirsi”dei “messaggi pervenuti da un passato non lontano”, da un uso del potere “spregiudicato ed obliquo”; un pote-
consapevole della lezione conciliare e di connotazioni profetiche. Come nella lezione di Mazzolari: una chiesa senza popolo? Poi le periferie, che, hanno strutturato in sé, accanto alle tradizionali microcriminalità suburbane, penetrazioni connotate da cultura di tipo mafioso: così sociologi urbani hanno riscontrato quasi l’insorgenza di situazioni di cittadinanza parallela e alternativa. In sostanza sono questi quattro non luoghi, luoghi mai effic a c e m e n t e c o n f i g u ra t i e sostanzialmente disancorati dalle palestre del vissuto, del continuum urbanizzato, dove il gioco problematico per essere risolto richiederebbe conoscenza (F. Fatta, In cielo, in terra e in ogni luogo, in Luoghi,non luoghi,super luoghi, istant book, della Università Mediterranea, 2007), che producono distopie e/o eterotopie, in un urbano che non riesce a specchiarsi nell’incubo del proprio crollo, né nell’utopia del
suo proprio contrario. Distopie dove l’umano è in non cale, dove l’immaginario si involve in un masochismo di massa (F. Muzzioli, Scitture della Catastrofe, Meltemi, 2007), la forma contemporanea della tragedia: ma “se tutti vengono sacrificati, il sacrificio è inutile”: is generally a narrative…(F. Jameson, The seeds of time, Columbia University, 1994). Ci aiuta splendidamente Flavia Schiavo (Periferie/Roma-Attraversi gli spazi di transizione, i frammenti, gli scarti, i bordi, con Pasolini, Fellini, Moretti, De Sica, Gadda, Wenders, Lynch, Mumford ,…2007) quando si riferisce a ciò che emerge dalle trame dei romanzi, al racconto verbovisivo delle storie, al nessunluogo (Pasolini avrebbe potuto dire : fai un passo e sei su uno stretto, su un mare di affascinante mitopoiesi;dove tutto, scriverebbe la Schiavo, è, “ossimoricamente”, vita, percezione, interpretazione, radicamento, appartenenza allo spa-
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re che si è andato formando in modo quasi separato dalla città, con logiche di tipo familistico (così presente in alcune aree meridionali) con forti ed esclusivi vincoli di appartenenza e di solidarietà.Si potrebbe forse ricorrere a ragionamenti maturati altrove, come nelle analisi della Becchi, per convenire che, anche alla scala messinese, prevalgono le ragioni del riprodursi di una società urbana come società divisa (G. Campione, Città e tendenze alla globalizzazione,in La composizione visiva del luogo, Rubbettino, 2003): Innanzitutto il blocco politico, gli affari, poi il difficile sbozzolarsi di nuovo ceto produttivo, poi una rara intellettualità indipendente, di valore, purtroppo fragile. Poi ancora l’Università, ancora espropriata da poteri impropri, che, pur con presenze di conclamato livello, viene descritta come in rapido declino. La chiesa, infine, solo a volte
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zio vivente). Ed eterotopie, dove si mette in crisi l’ordine del discorso, che inquietano, dice Foucault ( Le parole e le cose, Rizzoli, 1997), perché “minano segretamente il linguaggio…, devastano anzitempo le sintassi…che fanno tenere insieme le parole e le cose”. Perché determinano rottura dei “canali di mediazione che fondano la comunicazione.E la vita nella polis (ma <nomina sunt substantia rerum>?) è accettazione, mai iniziativa, ricerca di agire, solo inevitabile assoggettamento per la conservazione del sé residuo: blocchi storici, saperi, chiesa, poteri alternativi di periferie paradossalmente funzionali, tutti insieme non luoghi rispetto ad un asimmetrico urbano altro, non- luoghi che riversano sostanziale tensione torturante su (ex) cittadini dal destino inquieto, liberi dalla verità, e dalla moralità che definisce l’uomo (J. Patocka, Saggi eretici sulla filosofia della storia, PBE Einaudi, 2008).
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Allora ecco Messina, come idealtipo della condizione civile, della politica. Dice ancora La Torre (cit.): resterà il <fiume turchino> di Verga, resteranno i miti di Omero, ma sopravviverà soprattutto “l’instabile equilibrio tra forma politica e ordine naturale”. Con tutti i secolari veicoli di evidenza produttiva di giudizio: le “dande del giudizio”di Kant, appunto, gli schemi dell’intelligibilità, e della conoscenza. Non deve perciò sorprendere che non si siano attivate “funzioni capaci di propiziare la modernizzazione”, ripeteva Lucio Gambi (G. Campione, Lucio Gambi a Messina, in Rivista Geografica italiana, Fasc, 2, 2007, SSG; Firenze). Il futuro sarà, acriticamente svincolato dalla storia, affidato al permanente uso patrimoniale dello stretto, nell’ignoranza di ricadute produttive e di valori territoriali anche simbolici? E allora possono ancora immaginarsi funzioni che si colleghino ai processi di
un territorio, letto come storia sedimentata? Si riproporrà, il disegno di una città che si disisola e che potrebbe agganciare la nuova rete di relazioni prodotte dall’<arco etneo>, quello indotto dalla progressiva intermodalità catanese e dalla dirompente novità di Gioia Tauro (G. Campione, Comunicazioni, in Atlante dei tipi geografici, IGM, 2003, Firenze)? O questo è solo nello zigzagare della <esigente> che si crogiuola tra malinconia e impotenza. Anche la nostalgia del luminoso talento visuale dello stretto non sembra più varcare il grigio delle assuefazioni. In una recente prefazione Ezio Raimondi, che fu del Maestro “compagno di discussioni, in una entusiasmante fase di elaborazione culturale”, scriveva dell’avventura di un una geografia che avrebbe, occupandosi del territorio, dovuto introdurre l’analisi degli uomini in un condiviso rapporto tra natura e cultura, senza schematismi disciplinari, senza le
percorso nord-sud, -che, di fatto bypassa Calabria ulteriore e Sicilia nord-orientale e ne determina una più accentuata periferizzazione e marginalità- non potrebbe apparire <estraneo>, solo straripante sovrastruttura, puro segmento di una visione trasportista? L’<ineludibilità> del ponte, disancorata da probanti apparati concettuali, non finirebbe per degradare verso una sostanziale insignificanza, proprio perché smarrisce -in una oggettivazione di puro, anche se mirabolante, consumo- ipotesi di produzione e/o di riscrittura territoriale? Dalla “nuova geografia dei luoghi” alla banalità dell’intendenza? La rinascente liturgia di un pensiero visualizzato, il ponte appunto, sarà violenza spazializzata o ricomposizione artificiosa di antiche naturali lacerazioni, ma la terra non è anche le sue ferite, al di là delle cicatrici narrate da Ratzel (G.Campione, l’Europa, in Narrazioni di Geografia Politica, Rubbet-
tino, 2007)? Sarà simbolo di un bisogno di oltre, sarà come il girare la “manovella” per Serafino Gubbio operatore (L.Pirandello,Tutti i romanzi, vol 2, I Meridiani, Mondadori, 1973) per costruire possibilità altre, sarà tema collettivo di gruppi di un particulare di inesplicate molteplici significanze, che si vogliono inverare per ragionamenti lontani? E sarà chiave simbolica con congruità estetica e pertinenza ambientale? E i poteri variamente articolati trarranno, così come per i traghettamenti, altre occasioni di smisurato profitto? E le mafie? Il ponte, consentirà disegni, squadra e compasso alla mano, magari senza compasso della ragione, nuove geografie e per quali committenze? Avremo cioè più compasso che senso e ragione critica per misurare nuove epifanie spaziali? O solo segmenti di comunicazione che polarizzeranno improbabili spazi di altrove?
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‘paratie’ di cui parlava Bloch (M. P Guermandi-G. Tonet (a cura di), La cognizione del paesaggio-Scritti di Lucio Gambi sull’Emilia Romagna e dintorni, Bononia University press, 2007). E invece le fumisterie “riparazioniste” della nuova Sicilia, quella che ri-parla <con la bocca piena di sole e di sassi>, immagina percorsi più accentuati e ancora più rimunerativi di rinnovato mal-fare, senza “ uomini” per un “condiviso rapporto tra natura e cultura” ( G. Campione, Il lombardismo.in Repubblica, 18 Maggio, 2008). Così sarà per il ponte? Conciliate, pur in modo problematico, le questioni di sostenibiltà ambientale, il ponte avrebbe potuto avere senso territoriale, proprio perché consolidava ipotesi di nuova epifania della regione dello stretto, quella che ci raccontò Gambi, motivata da forti, antiche ragioni? Ma adesso, nella sostanziale indifferenza del progettato
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Navi mercantili a Messina nel 1908 di Attilio BORDA BOSSANA l Porto di Messina, da sempre elemento territoriale protagonista della storia della città, anche all’indomani del Terremoto del 1908, con il movimento di numerose navi, battenti varie bandiere, fu al centro delle vicende dei soccorsi che le Marine militari e mercantili portarono alla popolazione. Un porto, come scrisse Barzini sulle cronache del Corriere della sera del 19 gennaio 1909, ove alberature e ciminiere di navi si ergevano come “gigantesche torri rotonde vicino ai tragici avanzi dei palazzi decapitati”; un porto che doveva rinascere per ridare alla città “il centro generatore delle sue energie, la ragione prima della sua esistenza”, indicava lo stesso Barzini in una corrispondenza del 3 febbraio 1909. In tutta l’area dello Stretto, si ritrovarono oltre a 43 navi della Regia Marina, più di cento piroscafi, con marinai, soldati, operatori sanitari ed un consistente naviglio minore. Delle oltre diciassette mila persone
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ritrovate vive sotto le macerie, moltissime furono salvate dalle marinerie giunte nello Stretto all’indomani del 28 dicembre 1908. Più di 13 mila superstiti ricevettero aiuto dai militari italiani, 1300 da quelli russi, 1100 dagli inglesi e 900 dai tedeschi, ma furono anche consistenti le operazioni condotte da piroscafi della marina mercantile francese, statunitense, austro-ungarica, spagnola e
Vista di Messina dal porto e dal mare prima del 1908. In basso, il piroscafo V. Florio, olio di A. Jacobsen, 1880. danese oltre che dal naviglio requisito per l’occasione dal Governo italiano. Già ancorate nel porto di Messina dalla fatidica notte tra il 27 e 28 dicembre, si trovavano, alcune unità della Regia Marina , l’incrociatore Piemonte, le
torpediniere Serpente, Saffo, Sagittario , Scorpione e Spica; quest’ultima lanciò l’allarme a tutto il Paese, appoggiandosi all’ufficio telegrafico di Nicotera, in Calabria. Con queste unità stazionavano in porto i piroscafi Montebello e Scrivia oltre a Loreto e Simeto della società Navigazione Generale Italiana, ripartiti i primi due per Catania e gli altri due, uno per Napoli e l’altro, il 30 dicembre, sempre per Catania, con un carico di mille persone tra feriti e scampati al sisma. Il Montebello era una nave mercantile a vapore, considerata di dimensioni notevoli per quel tempo, con i suoi 96 metri di lunghezza, e che nelle sue stive di prua e di poppa con un sistema di cuccette montabili, poteva ospitare oltre mille emigranti nei collegamenti tra la Sicilia e New Orleans. Oltre ad agrumi ed emigranti siciliani, nella rotta di ritorno dagli Stati Uniti trasportava balle di cotone che da Palermo venivano poi trasferite a Genova dove si tesseva la stoffa jeans. Ma il piroscafo legò il suo nome anche al fatto che aveva trasfe-
Corazzata Regina Margherita. In basso, le navi Lombardia e Nord America. rito parecchi musicisti siciliani, futura primigenia del jazz americano. Lo Scrivia, venticinque anni prima del terremoto, aveva invece permesso la raccolta di campioni ittici provenienti dal ramo del Gange che porta il nome di Hoogly, presso Calcutta. Sorpreso dal sisma ma soprattutto dalle onde del maremoto, fu il mercantile Quirinale, protagonista di involontarie manovre cinematiche che lo portarono fuori dal porto, quindi a spiaggiarsi e poi riprendere il controllo della navigazione, ripartendo lo stesso 28 dicembre per Palermo con 46 profughi a bordo. L’ A v -
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venire partì per Palermo imbarcando 24 profughi, i britannici Ebro e Mariner con il Salvador e Therapia, battenti bandiera tedesca e l’austro-ungarico Andrassy, collaborarono all’opera di trasporto dei sopravvissuti a Palermo e Napoli. All’indomani del sisma tre unità della squadra navale russa, l’incrociatore Makaroff, e le corazzata Slava e Tzésarévitch seguite dall’incrociatore Bogatyr, giunsero in soccorso dal porto di Augusta, offrendo l’aiuto dei loro equipaggi alla popolazione terremotata, mentre altre navi mercantili facevano rotta su Messina. Una delle prime fu certamente la Washinghton, della compagnia La Veloce, che si trovava in navigazione nello Stretto già il 28 dicembre e che nella stessa giornata ripartì per Catania con 1000 profughi. Il piroscafo americano sarebbe affondato poi nel 1917, nel mar Ligure, dopo essere stato silurato; dal suo relitto, che oggi è e posizionato a tre miglia SSE al largo di Camogli, davanti a Punta Chiappa, nel primo dopoguerra l’Artiglio, nave attrezzata per lavori subacquei, recupero il carico. Il 28 dicembre giunse anche da Napoli il piroscafo Colombo che ripartì il gior no dopo per il capoluogo campano con a
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bordo alcuni feriti e profughi. Dalla compagnia Ngi, il Governo italiano noleggiò poi le navi Sardegna, utilizzata come centro di comando delle operazioni di soccorso, ed il piroscafo Savoia che dal gennaio 1909, ormeggiarono a pontili d’emergenza attrezzati nel N.2 Marzo/Aprile 2008
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disastrato porto peloritano. Il Sardegna di 5 mila 525 tonnellate di stazza, varato nel 1902 per conto della Società di Navigazione Sitmar di Genova era impiegato per il trasporto merci e passeggeri sulla linea Genova-NewYork.Passata alla Ngi, dal 1912 al 1916, coprì la linea Genova-Buenos Aires e successivamente, sino alla radiazione nel 1928, garantì i collegamenti con Spagna, Grecia e Turchia. Il Savoia acquisito invece nel 1897 dalla Compagnia La Veloce , fu trasformato da yacht reale, costruito nel cantiere di Castellammare di Stabia nel 1883, in nave passeggeri per il Nord e Sud America, restando in servizio sino al 1923. Nei primi quattordici anni di vita il panfilo reale era stato utilizzato come nave di rappresentanza e da diporto dei sovrani d’Italia. Le due navi alloggio costituirono il primo avamposto dei soccorsi, la cui gestione, nella catena di comando, non mancò di suscitare lamentele per disfunzioni organizzative e ritardi nella distribuzione di viveri, a fronte della funzionalità che le squadre navali straniere dimostrarono negli aiuti prestati direttamente. Il Sardegna ripartì da Messina per Napoli con 108 superstiti il 3 gennaio. Raggiunsero ancora Messina il 30 dicembre 1908, la Ionio, ex G.B.Lavarello, che trasportò uomini del 19° Fanteria e del 9° Bersaglieri, vettovagliamento anche per il personale delle Poste e generi di soccorso, ed il piroscafo Solunto, dirottato dalla linea Napoli-Palermo per prestare soccorsi e trasportare superstiti; mentre dal Verona, furono sbarcate nei primi giorni di gennaio 1909, legnami per costruire i primi ricoveri baraccati, viveri e coperte. Il 29 dicembre era partita da Genova, con viveri e materiali, l’Indiana, costruita nel 1905
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dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso (Genova) per conto del Lloyd Italiano, la nave era impiegata per i collegamenti Genova-Napoli-New York. L’Indiana che stazzava 4.996 tonnellate, ed imbarcava oltre 1620 passeggeri, nel 1918 venne ceduta alla Ngi e nel 1924 passò alla Sitmar Line, ribattezzata Romania. Impegnata a traspor tare materiale di soccorso anche la Vincenzo Florio, nave mista vela-vapore, con tre alberi, costruita nel 1880 nei cantieri di Glasgow da A. Stephens & Figli. Con una stazza di 2840 tonnellate, per 116 metri e capacità di trasportare oltre 550 passeggeri in tre classi, aveva avviato i collegamenti con l’America il 22 maggio 1880, linea Catania, Messina, PalermoNewYork. Destinata poi al trasporto merci verso l’Eritrea e quindi impiegata sulla rotta per il Sud America, dieci anni dopo tornò a collegare NewYork compiendo altri 29 viaggi, prima di essere demolita nel 1923. Ai soccorsi parteciparono anche la Lombardia della Ngi ed il grande piroscafo passeggeri Regina d’Italia che per due mesi fu impiegato come nave alloggio e sul quale trovarono rifugio i bambini sperduti e gli orfani. Per gli orfani
fu anche impegnata a Messina, l’Opera Nazionale Marinaretti di Venezia, sorta nel 1906 e poi soppressa nel 1923, per raccogliere sulla nave asilo Scilla, gli orfani dei pescatori e marinai del litorale adriatico e dar loro l’istruzione elementare e successivamente quella professionale ed avviare i più dotati agli studi nautici medi e superiori. Il piroscafo Lombardia, varato nel 1901 dal cantiere G.Ansaldo & Co. di Sestri Ponente, aveva una stazza di 4815 tonnellate; lunga 132,25 metri, imbarcava 1360 passeggeri; dopo essere stato impiegato nello nello Stretto, il 16 marzo 1909 passo alla compagnia La Veloce. Garantì i collegamenti tra Genova e Napoli , sino all’aprile del 1911, quando fu venduto alla Russia;ribattezzato Jerousalim andò in demolizione nel 1928. Progettata invece da G.Clark Ltd.per conto della Compagnia Britannica di Navigazione Prince Line con il nome di Sardinian Prince e varata nel 1907 dal cantiere inglese Sir J. Laing & Sons Ltd. di Sunderland, fu acquistata con il nuovo nome Regina d’Italia dal Lloyd Sabaudo, la seconda di queste navi. Poteva ospitare oltre duemila passeggeri e compi il suo viaggio inaugurale sulla linea Geno-
La nave Elba. Pagina a lato, sfollati in attesa di essere imbarcati sulle navi. va, Napoli, Palermo, New York. Prima dell’arrivo a Messina aveva fatto viaggi da Genova in Sud America, proseguiti per New York sino al 1916 , e poi ripresi dopo la Grande guerra, in maniera regolare, nell’aprile 1919. L’anno successivo fu sottoposta a lavori di restauro per ospitare solo passeggeri di seconda e terza classe ed impiegata dal gennaio 1920 sulla linea Costanza, Costantinopoli, Smirne, Pireo, Messina e New York ; dall’aprile 1922 fu trasferita definitivamente sulla linea Genova - Sud America, e nel 1928 fu radiata ed avviata alla demolizione. A queste navi si era successivamente unita, sempre trasportando aiuti e soccorsi, la San Giovanni della Società Sicula Americana di Navigazione, varata nel 1907, il piroscafo con stazza di oltre 6500 tonnellate fu impiegato sulla rotta di collegamento con New York dai porti di Napoli e Palermo e quindi per i collegamenti con il Sud America. Nel 1921 passò alla Ngi e cambiò denominazione in Palermo sempre per rotte transoceaniche sino al suo disarmo, avvenuto nel 1928. Ma anche la Regina Elena della Ngi, costruita nel
1907 dai Cantieri Liguria di Ancona, che poteva imbarcare 1125 passeggeri. Utilizzata nei collegamenti tra Genova, Napoli e New York, e sulla linea tra Genova ed il Sud America, durante la Prima guerra mondiale fu adibita al trasporto truppe fino al 1918 , quando fu affondata da un sottomarino tedesco. Tra le navi attrezzate ad ospedale, operò a Messina anche il piroscafo Taormina, noleggiato per tale scopo e fatto salpare da Genova, nella mattinata del 1 gennaio 1909. Giunse nello Stretto dopo due giorni di navigazione ed accolse oltre 200 feriti di cui 10 poi sbarcati a Napoli l’8 gennaio ed altri a Livorno. Varato nel 1908 dai cantieri D.& W. Henderson Ltd. di Glasgow, per conto della compagnia Italia Società di navigazione a vapore, il piroscafo stazzava 8272 tonnellate e disponeva di cabine per 60 passeggeri in prima classe e 2500 in terza. Dopo il viaggio inaugurale della linea per l’America, iniziato il 3 settembre 1908 da Genova e proseguito con gli scali di Napoli, New York, Filadelfia, nel 1909 fu riadattato per ospitare altri 120 passeggeri in prima classe. L’anno successivo fu sottoposto a nuovi lavori per migliorare l’ospitalità di bordo e il 16 dicembre 1911, raggiunse per l’ultima volta, il
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porto di Filadelfia; nel 1912 venne infatti venduto al Lloyd Italiano che lo destinò ai collegamenti Genova, Napoli, New York. Fu poi ceduto nel 1918 alla Navigazione Generale Italiana che, la utilizzò, sino al 1923, nei collegamenti Genova, Marsiglia e New York, e quindi in crociere nel Mediterraneo, prima di un ultimo viaggio, nel 1927, a New York e la demolizione, nel 1929. Anche l’Ancona che faceva parte dei sette piroscafi della Società Italia di Società di Navigazione a vapore, nata a Genova, nel 1899, fu destinata al trasporto di materiale per la Croce Rossa Italiana. La nave, 8188 tonnellate di stazza, era stata costruita nel 1907 dalla Workman, Clark & Co. Ltd. di Belfast; lunga 147 metri, ospitava 2560 passeggeri. Dopo il viaggio inaugurale del 26 marzo 1908 da Genova, con scali a Napoli, NewYork ed arrivo a Filadelfia, nel 1909 e nel settembre 1910 fu sottoposta a lavori interni per rimodulare l’ospitalità della prima e seconda classe. Nel 1913 passò, con il resto della flotta, alla Ngi per continuare i collegamenti con gli Stati Uniti sino al 7 novembre 1915, quando con a bordo numerosi emigranti, imbarcati a Genova, affondò con 206 passeggeri, a sud della Sardegna, dopo il siluramento di un sottomarino austriaco. Il 29 dicembre 1908 era stata dirottata a Messina la Birmania, in navigazione da Napoli a Siracusa e che il 31 rientrò a Napoli trasportando circa 1250 superstiti; a lei si aggiunse il 31 dicembre, la Tebe messa a disposizione del Prefetto di Napoli come nave soccorso, che imbarcava 12 medici con una tenda ospedale.Altre tende e materiale sanitario sbarcato dalla nave Stura, insieme a fanti e bersaglieri, permise la creazione di altri punti
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sanitari in città mentre veniva utilizzato anche il piroscafo Letimbro, a bordo del quale, qualche anno dopo, nel novembre 1914, si registrò una rivolta tra 120 beduini ed ascari eritrei, prigionieri di guerra. Allo stesso scopo fu anche impegnata la Regina Margherita, della Ngi, che giunse a Messina con a bordo quattro medici e militi, in un pomeriggio di pioggia torrenziale che ostacolò le operazioni di sbarco delle scorte sanitarie, portate a termine con l’ausilio di marinai inglesi.Varata a Genova, nel 1884, la Regina Margherita, nel dicembre dello stesso anno fece il viaggio inaugurale attraverso l’Atlantico per l’armatore Erasmo Piaggio, uno dei più noti industriali liguri del periodo, attivo nella cantieristica navale e senatore del Regno.Nave di cinque mila tonnellate lorde fu la prima unità italiana illuminata elettricamente ed essere dotata di cabine di prima e seconda classe lussuosamente arredate. Ma anche la terza classe era molto confortevole rispetto agli standard tradizionali. Oltre ad una apparato motore con due macchine alternative disponeva di due alberi e bompresso come ausilio velico. Con tali caratteristiche gli fu attribuito il merito di essere il primo transatlantico a stabilire viaggi tra l’Europa e l’America. Alla fine dell’800 la Piaggio si era fusa con i Florio dando vita alla Navigazione Generale Italiana che acquisì la nave sino al 1910, quando fu ceduta alla Società Nazionale di Servizi Marittimi. Il 9 novembre 1911 fu trasformata in nave ospedale, durante la guerra di Libia, alle direttive del Sovrano Militare Ordine di Malta, compiendo sette viaggi tra l’Italia e Tripoli, Derna, Bengasi e Tobruk e riportando in Patria 1162 soldati feriti.L’undici febbraio 1913 affondò nel
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porto di Genova. Il 2 gennaio era poi giunto da Napoli il Nord America, costruito nel 1882 dal cantiere John Elder & Co. di Glasgow per conto della compagnia Thomas Skinner & Co. fu utilizzato come nave soccorso, ospitando i sopravvissuti del terremoto di Messina, e trasportandone molti a Napoli. Piroscafo di 4826 tonnellate di stazza, subito dopo il varo, con il nome di Stirling Castle era stato utilizzato per il trasporto del tè dalla Cina acquisendo fama per la sua velocità. Nel 1883 passò alla compagnia La Veloce ed utilizzato nel collegamento tra da Genova ed il Sud America;fu noleggiato nel 1885, dalla Gran Bretagna per il trasporto di truppe a Suakin nel Sudan, e successivamente dai Russi, per il trasferimento di soldati, da Odessa a Vladivostok, durante la rivolta dei Boxer, movimento insurrezionale popolare che si sviluppò nella Cina settentrionale dal 1898 e sfociò in un conflitto aperto tra Cina e grandi potenze. Nel 1900 nei cantieri Palmers & Co. fu sottoposto a lavori strutturali con la eliminazione di uno dei tre alberi e il miglioramento della ricettività e quindi impiegato, dal maggio 1901 sino al 1908, sulla linea Palermo - Napoli - New York. Dopo l’attività di soccorso a Messina e trasporto di superstiti a Napoli, fu trasformato in nave da carico e operò sino alla sua demolizione, avvenuta nel 1911. Particolari furono le vicende del piroscafo Florida che, dopo aver imbarcato a Napoli, alcuni profughi del terremoto, diretti negli Stati Uniti, il 22 gennaio 1909, al largo di Nantucket nella stessa zona di mare dove nel 1956 sarebbe affondato l’Andrea Doria - entrò in collisione con la Republic, nave della White Star Line, compagnia di bandiera anche del Tita-
nic, naufragato tre anni più tardi. Varato il 22 giugno 1905 dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso per il Lloyd Italiano di Genova, il Florida (5 mila tonnellate di stazza, lungo 116 metri) poteva ospitare quasi 1700 passeggeri. Lo speronamento con la Republic, fu determinato dalla scarsa visibilità per la nebbia, e causò l’affondamento della nave americana, sulla quale erano imbarcati familiari che rientravano in Italia alla ricerca di parenti nelle zone terremotate, e gravi danni alla zona prodiera del Floridia, che riuscì comunque a raggiungere New York, ove sbarcarono i “fortunati” passeggeri, scampati prima al terremoto e sopravvissuti poi, alla collisione. Dal Republic, prima del suo affondamento, fu lanciato il primo Cqd, “come quick distress”, acronimo telegrafico utilizzato sino al 1912, come segnale di soccorso radiotelegrafico e poi sostituito dal Sos, permettendo il pronto arrivo dei soccorsi e limitando così, le vittime a tre. Dopo i lavori in cantiere, il Florida riprese a navigare sino al 1911, quando fu ceduto, con il nominativo di Cavour, alla Compagnia di Navigazione Ligure Brasiliana. La nave passò poi alla gestione della Compagnia Transatlantica Italiana concludendo tragicamente la sua attività il 12 dicembre 1917 quando, dopo la collisione con l’incrociatore ausiliario italiano Caprera, naufragò. Alle numerose navi mercantili intervenute in aiuto di Messina e Reggio Calabria, insieme ad unità delle Marine da guerra, furono concesse dal Re e dal Governo italiano, ricompense e benemerenze per l’impegno umanitario dimostrato nelle operazioni di soccorso e nell’opera assistenziale a favore delle vittime di quell’immane tragedia.