pag.2 EDITORIALE di Attilio Borda Bossana
pag.3 MONTALTO: MODERNA LETTURA DI UN BENE CULTURALE. IPOTESI MUSEALE di Ornella Hyeraci
pag.20 LA RICOSTRUZIONE DI MESSINA DAGLI ANNI CINQUANTA AD OGGI a cura di Francesco Cardullo
ANNO XVI - N.3 MAGGIO/GIUGNO 2008 Pubblicazione bimestrale Registr. presso il Tribunale di Messina N.3 del 5 Feb. 1992
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pag.36 L’INDAGINE GIUDIZIARIA SU GIACOMO LONGO di Vincenzo Caruso
pag.42 MESSINA 2020: VERSO IL PIANO STRATEGICO di A. B. B.
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L di Attilio BORDA BOSSANA
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di Ornella HYERACI mportanza del museo locale Nell’intento di restituire alla città un nucleo storico di pregnanza culturale e forte identità collettiva, il Santuario di Montalto, simbolo e sintesi della storia di Messina, si propone come futuro ideale archetipo di museo locale1 attraverso lo studio di un virtuale percorso espositivo, dando conoscenza e lettura del suo ricco patrimonio mediante preziose ed inedite testimonianze. La commemorazione del centenario del 1908, letta in chiave propositiva e non inse-
guendo l’immagine di una città ripiegata su se stessa, ribadisce l’importanza di ricomporre il profilo di un importante passato e di dare nuova veste a strutture che ne trascinano memoria. Da chiesa parrocchiale, dunque, con splendido rimando ambientale e testimonianze slegate della sua antica storia, come oggi il Santuario appare, a museo del genius loci, piccolo gioiello all’italiana, in un perfetto incastro c o n t e n u t o, c o n t e n i t o r e , ambiente. Ricostruito subito dopo il catastrofico sisma sulle macerie dell’antico edifi-
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Montalto: moderna lettura di un bene culturale. Ipotesi museale
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cio in posizione dominante e molto panoramica, con diretta esposizione dell’ampio terrazzo-sagrato sulla città e sullo Stretto, in muto intenso dialogo con il passato, il Santuario, parla attraverso la vibrante e sottile percezione di un genius loci evocativo ma anche continuativo, attraverso l’intima visione di una natura generosa quanto impietosa. La struttura, pur nascendo con vocazione storico-devozionale, oggi, Santuario di Montalto, lato Nord.
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all’interno della nuove normative, potrebbe acquisire il valore aggiunto di Museo Locale con dialettica espositiva, due concetti che sembrano scivolare in maniera retorica ma che risultano essere inclusivi di un’evoluzione della cultura museale che ha attraversato tutto lo scorso secolo e soprattutto gli ultimi trent’anni, lì dove la parola chiave del rapporto Bene-Pubblico è: comunicazione. Ribadito dalla Museologia di ultima generazione, il Museo locale, risponde a tre imprescindibili istanze: esigenza di appartenenza ed identità culturale in un con-
Particolare di una delle cinque tele. XVII sec. Apparizione della “Dama Bianca”. Santuario di Montalto (Foto Magika).
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testo sempre più globalizzante, risposta ad una politica di valorizzazione del Bene e del Territorio al di fuori del quale lo stesso Bene risulterebbe essere decontestualizzato ed infine, rispetto della peculiarità italiana: sor ta di incastro esemplare, dove la collezione s’iscrive nell’edificio, che la città riveste, e queste tre forme di museo si rispondono mutualmente.2 Come in un gioco di scatole cinesi, questa splendida unica sintesi, rapportata all’interno della nostra realtà, in una stratificazione culturale ed urbana altrove improbabile, superando il prioritario ruolo di Tutela e Conservazione pone, ancor p i ù che
Stemma dell’abbadessa Bartolomea Spatafora. XVI sec. Santuario di Montalto (Foto Magika). altrove, l’accento su altre due parole: Valorizzazione e Fruizione. Per chiarire il significato attuale di “processo di musealizzazione” è necessario modificare l’opinione corrente in merito, ed affermare che il museo esiste laddove esistono oggetti del passato, anche recente, per i quali, riconosciuta la loro qualità di testimonianza storica e/o artistica, ne viene affermata l’esigenza della conservazione e della tutela, ne vengono promossi, a tal fine,i necessari interventi di restauro e si conservano o si predispongono per essi condizioni ambientali atte a consentirne e facilitarne una corretta lettura storicocritica.3 Il concetto di dialettica espositiva, è inclusivo di messaggi dinamici ed interloquenti con il visitatore-ospite, discepolo, studioso; la possibilità di conoscere, confrontare ed osservare tramuterebbe la struttura del Santuario da semplice contenitore, in un Museo attivo, interdisciplinare, con propria elaborazione culturale. Finalità funzionali prioritarie in una città fatalmente condannata a perdere la sua
sola iberica per ben quattrocento anni, proprio quando la storia italiana stava entrando nel periodo d’oro di Dante e di Giotto.5 La rivolta del Vespro scoppiata a Palermo il 30 marzo 1282, sarà facile ed opportuno pretesto per l’implosione del ceto dirigente messinese.6 La fazione angioina capeggiata dai De Riso, che avevano monopolizzato il potere in città, verrà sopraffatta dai nostalgici del periodo svevo, rappresentanti dell’ideologia filo-aragonese. La storia della fondazione del Santuario trova motivazione all’interno di questa dialettica di potere. Di forte
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Madonna della Vittoria. Opera in marmo. XVI sec. Santuario di Montalto (Foto Magika).
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Madonna con Bambino. Opera in marmo. XVI sec. Santuario di Montalto (Foto Magika). memoria! Inutile ribadire l’importanza oggi, dello sviluppo sostenibile anche nell’ambito dei Beni Culturali, risveglio culturale dunque, ma anche risveglio economico all’interno di una politica sociale più ampia, con indotti che direttamente e trasversalmente, potrebbero interessare altri campi economici che ruotano attorno allo sviluppo della Comunità. Cenni storici Monumento perenne del valore cittadino4, il Santuario, nasce tra identità laica e religiosa, in un complicato contesto storico-politico all’interno della rivolta del Vespro, pagina nodale nella storia della Sicilia e dell’intero Mediterraneo, che troverà svolta proprio nella città della Stretto, ultimo baluardo angioino, segnando il destino dei siciliani che da quel momento si annetteranno alla peniN.3 Maggio/Giugno 2008
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impatto fu la scomunica che Martino IV lanciò contro i messinesi, il Papa, sostenitore angioino, aveva sfiancato il morale dei combattenti e solo un evento soprannaturale, come l’apparizione della Vergine, avrebbe potuto riabilitare le scelte politiche filo-aragonesi agli occhi del popolo devoto. Le leggende, come sottolinea Salvatore Tramontana, più che da astratti e ascetici atti di fede sono sempre scaturite da esperienze vissute, da situazioni locali, da circostanze fortuite. E naturalmente dalla continuità di particolari rapporti tra classi dominanti locali e potenza irresistibile del sacro nei ceti popolari.Continuità che nel caso della vicende messinesi è rappresentata dalla elevazione di un tempio alla Madonna della Vittoria…la dinamica di questo rapporto si basa soprattutto sulla necessità di esautorare la chiesa di Roma e di giustificare le scelte antiangioine.7 La versione storica, sulla fondazione del Santuario, analiticamente indagata attraverso un percorso storiografico attinto da autorevoli fonti,8 si affianca a quella devozionale e trova riscontro nelle immagini delle cinque tele9 situate all’interno della chiesa, che rappresentano fonte alternativa alla tradizione scritta. Il dibattito storiografico sul Vespro, nella complessità della sua vicenda, risulta essere disperatamente aperto10, sia per le conseguenze politiche di allora sulle sorti della Sicilia e del Mediterraneo, sia perchè trascina ancora oggi un ulteriore dibattito, che ruota attorno alla “questione meridionale” ed alle sue radici.11 Ad un secolo dalla nascita del Santuario, il passaggio di conS. Benedetto. Opera in marmo. XVI sec. Santuario di Montalto (Foto Magika).
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segne dall’ideologia politica a quella devozionale sarà definitivo e la realizzazione del monastero sotto l’egida della Chiesa, avvolgerà gli antefatti storici rivestendoli di un’aura di sacralità che, all’interno della tradizione, sfumerà il sottile
confine tra verità ed interpretazione.Luogo metafora di una realtà civile e conventuale, donativi e lasciti accompagneranno la sua crescita e il suo tramonto, identificando e declinando la sua storia, dal XV secolo in poi, con quella
Bartolomea Spatafora, abbadessa che lascia di sé un’orma profonda,12 la sua vicenda si intreccia con le vicende religiose dell’isola che fanno eco a quelle ben più lontane della Riforma e della Controriforma.Preghiera, capacità ammi-
nistrative, autorevolezza e diplomazia, tracciano il profilo di una gran dama feudale13 che tra vocazione ed autoaffermazione, segnò il destino del monastero. Abbadessa dal 1519 al 1563, Bartolomea diventa personaggio sintesi di vite segnate che, all’interno di una irrisolta inquietudine adolescenziale tra coercizione e libera scelta, pur sempre coatta nel precoce indirizzo di una vita claustrale, scrivono pagine poco note, quasi proibite, di una storia quotidiana lontana dalla grande storia, quella degli eventi, delle date da ricordare. Tutti i re nel venire a Messina non tralasciarono di visitare il Santuario, considerato da loro come Basilica reale,14 all’attenzione dei re si aggiunse quella dei pontefici, che concessero speciali e larghe indulgenze, elevandolo a dignità tale, da gareggiare con i primi santuari del mondo dedicati alla Vergine.15 Uno sguardo alla struttura In sul finire del XIII secolo il Santuario…era completo almeno nei suoi elementi principali..aveva la porta maggiore rivolta ad occidente e l’abside rivolta ad oriente… otto metri di larghezza e quattordici di lunghezza.16 Dal XV secolo in poi il piccolo monastero venne ingrandito per l’accresciuto aumento delle monache, nascondendo la visuale del Santuario alla sottostante città. La rivoluzione dell’arte barocca sconvolgerà la fisionomia medievale della primitiva struttura, indebolendo i muri perimetrali della chiesa che furono innalzati ed arricchiti di stucchi e pletorici decori. Preziosi intarsi marmorei, paliotti riccamente ricamati, tele, arredi liturgici e importanti paramen-
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delle sue abbadesse.Non verrà mai meno nel tempo il legame tra l’abbadessa di turno e la vita civile di cui ella ne portava l’eco. Montalto vive il rinnovamento della Chiesa, trovando forza e significato nella figura di
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S. Maria dell’Alto. Tavola. XIV sec. Santuario di Montalto (Foto Magika). N.3 Maggio/Giugno 2008
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ti sacri arredavano l’interno della chie-
sa. La prima mutilazione avverrà con il terremoto del 1783. Furono rifatti la vo l t a , i l p av i mento e numerosi restauri. La struttura rinnova la sua storia, dopo il disastroso terremoto del 1908. Già nel 1909, sorge un santuario-baracca in legno voluto da papa Pio X, seguiranno due fasi evolutive:la prima, eseguita nel 1911, in cemento armato con criteri antisismici che ricalca le dimensioni del vecchio Santuario, mantiene l’abside rivolta verso oriente e l’ingresso ad occidente;la seconda, con progetto realizzato nel 1928 dall’architetto Francesco Valenti, approvato dall’Ufficio Tecnico Arcivescovile del tempo, allungherà la navata, invertendo i poli dell’antica costruzione, e aggiungendo il transetto con la nuova abside e subito dietro questa, la canonica. Nella nuova chiesa fu posto un bellissimo organo, tuttora esistente, di 565 canne, opera delTonacella in seta (con particolare). XVIII sec. Curia Arcivescovile di Messina. In alto, Crocefisso ligneo. XV- XVI sec. Santuario di Montalto (Foto Magika).
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l’organaro Michele Polizzi;vetri istoriati, lavorati dal Prof.D’Amico di Pa l e r m o, d i cui oggi rimane u n a serie di fotografie riproducenti disegni su carta che, molto probabilmente, servirono come bozzetti o veline per la loro realizzazione.Le vetrate andarono distrutte con i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Il vecchio altare, salvato dalla porticina del tabernacolo in giù,17 fu sosti-
tuito tra nel 1915, dall’opera dello scultore Giovanni Scarfì e del marmista Ignazio Munaò. Oggi l’altare, vetusto quasi di un secolo, può essere ammirato assieme alle otto statuette bronzee, elementi d’insieme dello stesso. Nel 1925, Mons.Paino, fece fondere dalla ditta Colbacchini di Padova dei cannoni, regalati dal Governo allora in carica, sottratti
CITTÀ&TERRITORIO Pianeta in seta. XVIII sec. Curia Arcivescovile Messina. Sopra a destra, manta in argento sbalzato e cesellato. XVII sec. Santuario di Montalto (Foto Magika). Sotto, cartagloria in argento sbalzato e cesellato. XVIII sec. Curia Arcivescovile Messina.
al nemico nella guerra 15-18, per realizzare delle campane che ancora oggi hanno un nome , la figura del Santo a cui è dedicata, un motto, l’anno di fusione e un’iscrizione. L’abbellimento della chiesa continuò con il decoro del soffitto, raffigurante personaggi biblici e simboli religiosi ad opera del
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prof.Gregoretti di Palermo, con il rifacimento della scala di accesso al Santuario e la terrazza antistante, che fu ingrandita ed adornata con l’aggiunta di colonnine. Oggi, si coglie subito la matrice Gotica e Romanica dell’architettura che ha una valenza di memoria storica per i messinesi perché richiama il periodo eroico dei Vespri Siciliani e della rivolta contro la dominazione straniera.18 Curato per circa sei secoli, fino alla soppressione del 1866, dalle monache cisterciensi, il Santuario deve la sua rinascita a tre figure chiave: Mons. L. D’Arrigo, Mons. A. Paino e Mons. F. Bruno. Dopo la morte di quest’ultimo avvenuta nel 1934, fu affidato nel 1946 da Mons. Paino ai PP. Redentoristi.Sarà il 1965, l’anno in cui diventerà chiesa parrocchiale, con successivo riconoscimento giur idico del Capo dello Stato. L’attuale parroco: Padre Lorenzo Campagna, nominato titolare della Parrocchia di S. Maria dell’AlN.3 Maggio/Giugno 2008
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to, il 4 agosto del 2003, subentra all’operato dei Padri Redentoristi e cogliendo il retaggio spirituale di Mons. F. Bruno, con volontà ed impegno si batte, affinché questo nucleo storico della città possa essere legittimato della sua importanza, nell’attesa di concretizzare l’idea del progetto museale. La collezione Tra le opere note, particolare attenzione merita la “Madonna della Vittoria”, scultura in marmo cinquecentesca attribuita al Calamech che fu ricollocata in cima al Santuario nel 1924 diventando simbolo di resurrezione della città colpita19; commissionata, quasi sicuramente, dal Senato dopo la battaglia di Lepanto congiuntamente a quella di Don Gio-
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vanni d’Austria, meriterebbe la possibilità di essere sostituita da una copia ed essere letta da vicino, per una valutazione estetica più approfondita e per una migliore conservazione e tutela, essendo esposta a tutte le intemperie. Il mezzo busto marmoreo raffigurante la “Madonna con il Bambino”, ci restituisce una severa geometria lauranesca che qui si tramuta in un più dolce colloquio con il Figlio.. il volto e le mani della Vergine appaiono realizzati nell’ambito delle botteghe messinesi di primo cinquecento da un maestro esperto della cerchia del grande cantiere del Duomo20. Una terza scultura, identificata iconograficamente da Elvira Natoli come S. Benedetto, fondatore dell’ordine al quale apparteneva il monastero, racconta… una parte della vicenda complessa della cultura artistica messinese del cinquecento21, rivelando la cifra stilistica di Martino Montanini allievo del Montorsoli, che a Messina ebbe committenza pubblica e privata22. Sarà la tavola trecentesca di “S. Maria dell’Alto” a dare un nome ed un volto al Santuario; dipinta a tempera con rilievi in oro come solevano dipingere i greci,23 eseguita da un anonimo artista bizantino, fu protetta in gran parte dalla manta d’argento durante il devastante terremoto del 1908 ed oggi, dopo un abile restauro24, offre splendida lettura di sé. Silenziosa, intensa sacralità traspare dal bellissimo Crocefisso in legno policromo, ottima testimonianza di quella produzione scultorea lignea, eseguita in ambito locale tra la prima metà del quattrocento e il primo –quarto del cinquecento, nelle botteghe dei Pilli, Matinati e La Comunella25, la lettura stilistica del Crocefisso riconduce alla bottega dei Pilli26.
Calice in argento sbalzato e cesellato. XVII sec. Curia Arcivescovile di Messina. A layo, Ostensorio in argento. XIX sec. Curia Arcivescovile di Messina. Raffinati tessuti serici ed oggetti liturgici in argento sbalzato e cesellato, rappresentano la vera sorpresa del patrimonio di Montalto, importanti testimonianze delle Arti Decorative di cui il territorio messinese è particolarmente ricco. Gli oggetti, per la maggior parte custoditi nella Curia Arcivescovile, troverebbero giusta collocazione all’interno dei locali del Santuario restituendo pagine della sua storia e lontane immagini di antichi fasti e magnificenza di culto. Numerosi i paramenti sacri, che testimoniano la perfetta esecuzione del ricamo e il sapiente utilizzo del filo policromo;elementi d’insieme: pianeta, manipolo, stola o elementi isolati con ricamo a campo pieno o impaginazione tripartita.In ambito settecentesco, eleganti disegni fitomorfi con andamento sinuo-
Gli argenti liturgici, parte integrante della stessa antica storia, testimoniano il minuzioso accurato lavoro degli artisti messinesi, calici del XVII si affiancano a reliquiari ed ostensori del XVIII e XIX secolo. Un’attenzione particolare merita la “Manta” in argento finemente cesellato, nel cui margine inferiore sono incise le iniziali di Pietro Juvarra, accanto allo stemma di Messina e la scritta: Verbus caro factum est propter amorem Virgo singularis inter omnes mitis29.Impossibile trascurare il bellissimo ostensorio di ignoto argentiere napoletano del 184230, dono di Ferdinando II di Borbone,31 il morbido plasticismo dell’angelo sorregge la teca, circondata da una corona di ametiste. Ipotesi museale: tra realta e possibilità
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16: Santuario e locali della parrocchia. In rosso i locali espositivi disponibili. Planimetria estratta dal progetto redatto dall’arch. M. Muscianisi. In basso, particolare riguardante solo i locali espositivi disponibili. In alto, lo stato attuale. In basso, come previsto dal progetto di ristrutturazione.
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TRASPARENZA DEL GIARDINO COPERTO: RIUTILIZZO E MEDIAZIONE
so ed asimmetrico sottolineano gli stilemi dell’epoca, restituendo splendide vibrazioni nel degradare dei colori e nella varietà dei punti del ricamo. Messina, fiera della seta per
antonomasia27, nel 1520 istituisce il “Consolato dell’arte della seta”e nel primo seicento, è ancora al centro del Mediterraneo con intensa attività produttiva e mercantile28.
L’idea del virtuale percorso espositivo all’interno del Santuario, nasce come studio sperimentale, argomento di tesi di laurea in Operatore dei Beni Culturali , su iniziativa della Prof.ssa Francesca Campagna Cicala, già Direttrice del Museo Regionale di Messina e docente del corso di Museologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina, inserendosi a completamento di tre progetti in essere. Il primo, riguardante il recupero e il risanamento conservativo della casa canoN.3 Maggio/Giugno 2008
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Santuario, locali della parrocchia e giardino. Planimetria estratta dal progetto redatto dall’ing. F. Porcino e arch. F. Panzera. L’immagine del riquadro, che indica un esempio tipo di copertura del giardino, è stata tratta da Sandro Ranellucci in Allestimento..., cit., p.206. Aquila, S. Maria dei Raccomandati, progetto di S. Ranellucci e G. Di Marco. nica e del Santuario, redatto dall’Ingegnere Massimo Muscolino, approvato in data 2 7 n ove m b r e 2 0 0 3 d a l l a Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina, dalla USL il 29 marzo 2006 e dal Comune di Messina, il 30 marzo 2006. Il secondo, concernente il recupero delle aree esterne ed illuminazione artistica, redatto dall’Ingegnere Fabio Porcino e dall’Architetto Filippo Panzera, con pare-
re favorevole della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Messina in data 19 ott. 2005, successivamente approvato dalla Provincia
Regionale di Messina in data 31 marzo 2006, oggi al vaglio della regione. Il terzo, riguardante il risanamento e l’adeguamento impiantistico ed igienico sanitario dei locali parrocchiali e della casa canonica del Santuario, redatto dall’Architetto Melania Muscianisi, comprendente la riqualificazione dei locali al piano terra in vista di una loro futura e parziale destinazione ad uso museale, con parere canonico favorevole da parte dell’Ufficio Tecnico dell’Arcidiocesi di Messina-Lipari-S.Lucia del Mela in data 24 feb. del 2007, oggi al vaglio della Soprintendenza.L’ipotesi museale parte: dal recupero della collezione, da un’attenta analisi della struttura, dalla compatibilità tra struttura e collezione e mette in atto, con idea concettualmente nuova, tutte le potenzialità del luogo, esaltandone il significato senza prevaricare le peculiarità.La realtà di due soli locali espositivi disponibili, per un Copertura vetrata progettata da Norman Foster. Londra, The Great Court of British Museum. Immagine tratta da Sandro Ranellucci in Allestimento museale in edifici monumentali, Roma 2005, p. 213.
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totale di 35,5 mq, accessibili attraverso un lungo corridoio di 14,50 mq, con ingresso rivolto ad occidente alle spalle della struttura absidale della chiesa, delinea chiaramente l’impossibilità di poter sistemare la collezione che, pur attentamente selezionata, non potrebbe essere esplicativa di un esauriente percorso informativo. Osservando le planimetrie dei progetti suddetti, si coglie tuttavia, previa autorizzazione della Autorità competenti, la possibilità di poter ricavare una maggiore superficie di allestimento, utilizzando l’ampio e luminoso giardino del Santuario, situato lateralmente alla navata della chiesa in direzione sud-ovest, in comunicazione con quest’ultima e il locale espositivo più ampio previsto. Il giardino, con adeguata copertura integrale e trasparente, tale: da mediare con il panorama circostante, da mantenere e meglio sistemare il verde al suo interno, da non alterare la spazialità della struttura e da essere potenzialmente reversibile, consentirebbe la possibilità di accogliere la sezione scultorea,32 risolvendo il pro-
blema dell’ingombro all’interno dei locali e dando adeguata lettura, grazie all’ottima esposizione. La fonte di luce naturale in posizione zenitale fornirebbe maggiore libertà espo-
sitiva, dosando l’illuminazione in base alle esigenze del materiale esposto ed accentuando la dinamica chiaroscurale. La soluzione di coprire o raccordare strutture storiche, con trasparenza di cupole o forme lineari, è ormai ampiamente in uso nel recupero di spazi, all’interno della cultura museale contemporanea, come è facilmente riscontrabile in Italia, terra ricca di edifici monumentali, ed all’Estero. La promozione culturale e l’educazione permanente della società debbono costituire gli obiettivi da raggiungere33 e la conservazione passiva ad oltranza, spesso contrasta con
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Parzialmente visibile in alto, lato Nord, la rotonda di Piazza Basicò, al centro la scalinata, in basso il Santuario. Sotto, invito dell’antica scalinata che parte da Piazza Basicò.
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questa insopprimibile esigenza. La struttura novecentesca del Santuario offre ancor più di altre, la possibilità di attuare la soluzione suddetta, assolvendo l’ istanza della funzione museale, impellente ed ineludibile nella realtà messinese, caso a sé nel contesto italiano. In tale prospettiva di ampliamento, la collezione, potrebbe essere interloquente con il visitatore, segnando un percorso cognitivo-emozionale che sottolineerebbe, attraverso l’integrazione ambientale, la percezione di un’aura evocativa, di una lirica dialettica tra presente e passato, di un’avvolgente visione, senza alcuna retorica, dei colori e della luce di questa nostra terra, che Antonello ha diffuso in tutto il mondo. La copertura consentirebbe, oltre l’esposizione permanente, esposizioni temporanee con oggetti di deposito o inerenti percorsi tematici relazionabili ad altri siti della città. L’abbattimento del muro, in continuità con la facciata del Santuario, che separa il giardino dallo splendido, antistante terrazzosagrato e la realizzazione di una zona di accoglienza, caffetteria e book-shop nella stessa area, già previsti all’interno del progetto di recupero delle aree esterne, darebbe possibilità di accesso diretto al giar-
dino con propria autonomia, offrendo inoltre, come già in altre città e come previsto dalle nuove normative, la possibilità ormai entrata nella consuetudine di un ampio pubblico, di integrare il momento conoscitivo con quello dilettevole. Percorso esterno RIAPERTURA DELLE ANTICHE VIE E GENIUS LOCI
Il suggestivo ambiente del giardino coperto costituirebbe, insieme alla riapertura dell’antica scalinata che parte da piazza Basicò e conduce alla terrazza del Santuario, elemento caratterizzante di quell’unicum, che il visitatore porterebbe con sé come irripetibile messaggio. La scalinata, sarebbe alternativa all’ingresso già previsto nella ristrutturazione delle aree interne, tramite la via Dina e Clarenza, che evita le barriere architettoniche, nulla impedendo di inserire all’interno di nuove progettualità, possibilità concrete per una scalinata a tutti accessibile.34 Il ripercorrere le antiche vie, sarebbe per il visitatore un centellinare il messaggio storico trasmesso dal nobile intento di Mons.Bruno35, preziosa insostituibile fonte per la ricostruzione della storia del Santuario e dalla volontà mirata di chi, oggi, sapientemente, programma il messaggio culturale.
Oltrepassato l’antico cancello e giunti alla terrazza del Santuario, la linea dell’orizzonte che ne oltrepassa i limiti non deluderebbe l’attesa e proprio lì si coglierebbe il senso di un’alchimia celata, di un’energia impalpabile che continuamente si rinnova in un chiaro-scuro di vita e di morte,di luci e di ombre, restituite all’occhio del visitatore di oggi come a quello di ieri. L’aura del luogo, parte integrante del Bene, impone un doveroso indulgere, per un contesto paesaggistico unico nel panorama italiano, importante premessa dunque, per la sottile percezione del genius loci: divinità impersonale che si limita ad incarnare il senso del luogo, i suoi odori e colori, le sue parvenze, le sue magie, i suoni e le parole che ad esso imperscrutabilmente si legano…36 E’qui la vera anima di Montalto! Brano di un’opera d’arte infinitamente grande, che nella natura, nella storia e nel suo svolgere diventa rimando all’unità cui appartiene, in un immaginario rincorrere il principio “brandiano”, secondo cui: l’opera, non è un mero insieme di parti, ma è un’intima connessione di queste, è un intero, non un totale.37 Percorso espositivo interno Superato l’ingresso già previsto dal progetto di recupero delle aree interne, con accesso dalla via Dina e Clarenza, il visitatore, si troverebbe all’interno del primo locale, con approccio storico, tramite la lettura delle tele che raccontano la storia della fondazione del Santuario e la lettera, con firma autografa di S. Ignazio di Loyola, inviata a Bartolomea Punto di arrivo della scalinata sull’ampio terrazzo-sagrato. Pagina a lato, parte del terrazzo-sagrato con affaccio sullo Stretto.
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neo alla realtà del passato, che ama affrontare tematiche di appartenenza sempre più confuse nell’attuale momento storico. Continuando il nostro virtuale percorso, il visitatore raggiungerebbe il giardino coperto dove, in un bagno di luce, le testimonianze scultoree sarebbero protagoniste, in una studiata ed avvolgente spazialità, in uno splendido rimando al di là del fittizio limite, segnato dalla trasparenza della copertura.Anche qui, l’andamento espositivo, seguirebbe un percorso diacronico. Dalla sezione scultorea, attraverso un ampio e comodo passaggio lateralmente alla navata della chiesa o, direttamente dal secondo locale, si avrebbe accesso al Santuario, meta del percorso. Qui, sarebbero collocate le opere inamovibili o cariche di significato devozionale oltre che artistico, impensabile una loro sistemazione altrove. Varcata la soglia, il visitatore, dal suo punto di osservazione sarebbe indotto a cogliere con immediatezza visiva ed emozionale: l’ampia navata, l’altare ed il soffitto, affidati dopo il1908, ad abili mani locali che hanno rinnovato la lettura artistica della struttura. E ancora, scrutando con lo sguardo, si indulgerebbe su una macchina processionale che custodisce
un dipinto di Adolfo Romano del 1915, raffigurante la Madonna della Vittoria, nuovi tratti di linee, racconterebbero la stessa antica storia, che ha fatto di questo luogo un confine , un limite, tra verità e leggenda. La preziosa Tavola trecentesca, pensata nel transetto di destra frontalmente all’altare centrale, ricongiungerebbe il senso di un percorso iniziato con istanza storica e devozionale; accanto ad essa, il Ciborio del XVII-XVIII secolo, sopravvissuto al terremoto del 1908, darebbe facile lettura della sua cifra stilistica, attraverso il morbido profilo di piccole volute e linee geometriche che scandiscono l’abile incastro dei marmi policromi. La parete del transetto nord, speculare a quello della Tavola, dovrebbe accogliere l’importante Crocefisso quattrocentesco in legno policromo, opera del Pilli. In alternativa alla sistemazione suddetta e compatibilmente alle istanze devozionali, la Tavola ed il Crocefisso, indiscussi protagonisti del Santuario, potrebbero essere accolti nei due altari laterali, rispettando l’ordine di un tempo! Analisi del percorso
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Spatafora il 2 febbraio 1550, che evoca la carismatica abbadessa e il revisionismo spirituale da ella attuato, legando la storia del monastero e della città ad eventi storici di ben più larga portata. Proseguendo attraverso il corridoio, si accederebbe al secondo locale non più fine, ma snodo di tutto il percorso, mediante un ulteriore piccolo corridoio di passaggio al suo interno, separato attraverso un’elegante griglia o parete in legno dal resto dell’area (linea rossa nella figura) e con ingresso diretto, sia al giardino frontalmente (linea blu) che al Santuario lateralmente (linea tratteggiata nera). Gli interni del secondo locale, dovrebbero accogliere ampie e luminose vetrine con gli argenti ed i tessuti dal XVII al XIX secolo, rispettando un andamento diacronico. Gli oggetti, oltre ad evidenziare l’importanza del Santuario in ambito cittadino per donazioni e lasciti, offrirebbero una rilevante testimonianza delle Arti Decorative, splendide opere di maestranze locali e non solo. Calici del seicento, arredi liturgici, reliquiari ed ostensori di epoca successiva si affiancherebbero ai molti preziosi paramenti sacri. Tra gli argenti, il posto d’onore andrebbe sicuramente alla “Manta”, finemente cesellata, opera di Pietro Juvarra, oggi poco leggibile per la posizione che occupa in alto sull’altare centrale. Come per la statua della Madonna della Vittoria, sarebbe bene che una copia la sostituisse.Sempre all’interno di questo spazio, è previsto un angolo espositivo di interesse antropologico, patrimonio minore, ma non meno significativo, come scrive Sergio Todesco, passaggio dall’evento al segno, come scr ive Alberto Cirese. Il patrimonio votivo popolare, attrae sempre di più un pubblico nuovo, estra-
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SOLUZIONI E PECULIARITÀ
L’itinerario espositivo scelto, finalizzato alla conservazione
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delle opere e ad una lettura a tutti accessibile, trova motivazione nell’ambito di una valutazione generale che, nella sua complessità, deve dare risposta a più istanze.Come sovente accade in strutture già esistenti, che devono rispettare compatibilità ed esigenze tra le più disparate, la programmazione di un’esposizione museale, diventa problematica e complessa dal momento che, i margini di libertà, sono pressoché nulli. Le coordinate confliggenti, su cui si svolge la soluzione del caso Montalto, sono rappresentate dall’esiguità dei locali disponibili per il progetto museale, da un lato e dall’esigenza di una corretta lettura del percorso espositivo che non eluda parte significante dello stesso, dall’altro. Premesso che, la collocazione delle fonti di archivio non è contemplata in questo lavoro, trovando sistemazione in altro locale della parrocchia, la collezione, circa settanta gli oggetti selezionati oltre quelli di deposito, è stata dunque, idealmente posizionata all’interno di un percorso misto, storicamente congruente, con individualità espositive diacroniche e adeguata lettura estetica. Inoltre, l’andamento circolare dei due percorsi, esterno ed interno, viste le varie possibilità di accesso e di snodo, potrebbe essere frammentato e programmato, rendendo compatibile le attività liturgiche e chiesastiche, consentendo una mirata scelta di comunicazione o, la possibilità di un approccio individualizzante a vari livelli interpretativi, nulla togliendo alla dialettica espositiva, accogliendo in pieno l’importante retaggio di museo attivo. Premesso ancora che, l’atto progettuale, deve essere interlocutorio e dialettico tra il museologo ed il museografo, per dare corrette risposte ad esigenze di conservazione che non osta-
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colino nel contempo la fruibilità e la lettura del Bene, a mio parere il percorso, all’interno delle coordinate suddette, non trova soluzioni alternative. Conclusioni L’evento catastrofico che interrompe, senza ritorno, la continuità storica non solo di Montalto, ma di tutto il tessuto cittadino, deve essere sempre tenuto presente come momento spartiacque, punto di partenza di un affannoso e travagliato recupero delle antiche testimonianze.La storia di Montalto, è la storia quotidiana che Messina esibisce attraverso il campanile dell’antico Duomo, segno inequivocabile della sua importanza e di una continuità che trova linfa solo, attraverso l’insopprimibile messaggio della nostra memoria. RicolloFregio marmoreo. XVII sec. Santuario di Montalto.
Percorso museale interno, indicato dalla linea blu e dalle linee tratteggiate nere. In rosso la separazione in legno, all’interno del secondo locale, che separerebbe lo stesso dal piccolo corridoio di passaggio. A lato, particolare del secondo locale con corridoio di passaggio al suo interno e le varie possibilità di accesso agli altri ambienti. care il patrimonio tra le mura del Santuario, in una difficile realtà di lettura del Bene, come quella messinese, restituirebbe pagine del passato in un rapporto concreto e dialettico a livello individuale e collettivo, ricomponendo parzialmente la grave mutilazione. L’identità religiosa, solo parte, di una riflessione interdisciplinare proteiforme che
memoria del suo passato. La realizzazione di un’area di accoglienza, potrebbe assecondare una migliore fruibilità del luogo, non più rivolta ad un pubblico elitario, ma ad un pubblico “altro”, inteso nella sua moderna accezione. Il Santuario, nucleo e rimando di un circuito museale in ambito locale, si porrebbe al centro dell’ attuale politica di valorizzazione del Territorio, offrendo oltre al risveglio culturale, possibilità lavorative con ritorno economico, tramite indotti diretti e trasversali. Splendida, irripetibile sintesi della tradizione italiana e ancor più siciliana, il Santuario di Montalto infine, prezioso museo del genius loci. Mons.Bruno conclude la Prefazione delle sue Memorie storiche, scrivendo:Vorrei che il libro fosse letto da quanti non conoscono la gloria del nostro Santuario, per sapere quale gioiello vanti Messina! Se arriverò, con questo lavoro, a far conoscere ed apprezzare meglio il valore storico e religioso del Santuario di Montalto avrò, con gioia, l’unica ricompensa che mi attendo dagli uomini, dopo tante fatiche; non ho altre mire.38 Doveroso riportare queste righe, in ossequio al ricordo di un uomo che, mediando la terribile frattura del 1908, segna l’inizio di una riflessione storico-devozionale che ci conduce fin qui, in un arricchimento delle sue fatiche e spunto di nuove iniziative culturali. In ultimo appello, la storia oggi, ha riservato a noi il privilegio di essere protagonisti e mediatori nei confronti delle future generazioni, dimenticare ora, in un passaggio storico dal profilo
sbiadito, potrebbe voler dire dimenticare per sempre! Partirebbe da qui un segnale positivo. A lato, capitello lapideo. XVIXVII sec. Santuario di Montalto. Sotto, tarsia marmorea. XVII-XVIII sec. Santuario di Montalto. In basso, ciborio in marmo. XVII-XVIII sec. Santuario di Montalto.
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attraversa i sentieri della storia e dell’arte, delle tradizioni popolari, di una condizione femminile da sempre irrisolta. L’ipotesi progettuale espositiva di Montalto, palinsesto di memorie cittadine, attentamente analizzata e valutata nei suoi molteplici aspetti all’interno delle nuove dinamiche culturali, concretizzerebbe tutte le potenzialità del luogo, affiancando ed integrando il progetto di riqualificazione delle aree interne che prevede l’uso espositivo dei locali al piano terra ed il progetto di recupero delle aree esterne con illuminazione artistica, dando risposta come richiesto dalle nuove normative, alla domanda di valorizzazione e fruizione del Bene, mediante un museo attivo e interdisciplinare, completo, ai fini di un percorso didattico.L’idea principale del progetto museale, ruota attorno alla possibilità di ampliare i locali espositivi interni con la copertura in materiale trasparente del giardino, il suo conseguente utilizzo come luogo ameno per incontri, mostre ed itinerari culturali tematici, oltre l’esposizione del materiale scultoreo che consentirebbe adeguata lettura di preziose testimonianze, ricongiungendo il complicato percorso artistico della città con permanente
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NOTE 21 ALESSANDRA MOTTOLA MOLFINO, L’eELVIRA NATOLI, scheda di S .Benedetto tica dei Musei,Torino 2004,p.170; A. MOT- in Il Santuario…, cit.,1995, p.77. 22 Cfr. Ibidem p.77. TOLA MOLFINO, Musei “Locali”e Musei “Universali” in Kalos arte in Sicilia, anno 19 n.4, 23 F. BRUNO in Il Santuario… ,cit., 1927, p.85. 24 Eseguito presso il gabinetto di restauro del ott-dic 2007, pp.26-31. 2 Citazione di Andrè Chastel in FRANCESCA Museo Regionale di Messina ad opera del BOTTARI e MARIO PIZZICANNELLA, L’ItaProf. Ernesto Geraci. 25 FRANCESCA CAMPAGNA CICALA ha tratlia dei tesori, Bologna 2002, p.107. 3 Citazione di Franco Minissi in SANDRO tato ampiamente ed accuratamente l’argoRANELLUCCI, Allestimento museale in edimento della scultura lignea in Sicilia nel Quatfici monumentali, Roma 2005, p. 43 trocento con particolare riferimento alle fami4 FRANCESCO BRUNO, Il Santuario di Monglie suddette, in occasione delle celebraziotalto in Messina. Memorie storiche, Messina ni antonelliane del 1981, si veda Per la scul1927, p. 81. tura lignea del Quattrocento in Sicilia, in Le 5 M. I. FINLEY D. MACK SMITH C. DUGGAN, arti decorative del Quattrocento in Sicilia, cat. Breve storia della Sicilia, Roma - Bari 2002, mostra a cura di G. Cantelli, Messina 1981. 26 CATERINA CIOLINO (a cura di), scheda p.110. 6 Cfr. ENRICO PISPISA, Messina MedievaCrocefisso in Il Santuario …cit. ,1995, p. 71. 27 MICHELA D’ANGELO, Storia moderna e le, Galatina (LE) 1996, pp.54-55. 7 SALVATORE TRAMONTANA, Gli anni del contemporanea in GIOVANNI MOLONIA (a Vespro. L’immaginario, la cronaca, la storia. cura di) Messina storia e civiltà, Messina 1997, Bari 2002,pp.57-58 p.72. 8 28 S. TRAMONTANA, E. PISPISA, C. SALVO Nel secondo seicento la rivolta antispane delineano il profilo. Per una sintesi si veda gnola spegnerà l’età dei privilegi, segnando O. HYERACI, Montalto: cronaca di una stoirreversibilmente il fertile periodo del comria dimenticata in Messenion d’oro, num.15/16, mercio messinese. 29 CATERINA CIOLINO (a cura di) in Il SanGennaio/Giugno 2008, p.15 e segg. 9 Restaurate, restituirebbero particolari oggi tuario…, cit.,1995, p.16. Pietro Juvarra capoilleggibili. stipite della più famosa famiglia di argentieri 10 Cit.di S.TRAMONTANA in GIOVANNI VITOmessinesi, padre di Filippo, meglio conosciuto LO, Medioevo, Milano 2000, p.425. come architetto in ambito piemontese. 11 30 Cfr. Ibidem p.425 e segg. La data viene riportata sul catalogo fatto 12 FRANCESCO BRUNO, Il Santuario…, cit., redigere nel 1998 dalla Curia Arcivescovile 1927, p.109. di Messina per la C.E.I., il catalogo riporta 13 CARMEN SALVO, Monache a Santa Maria anche la data 1689 per la manta in argento. 31 Cfr. F. BRUNO, Il Santuario…, cit., Messidell’Alto, Messina 1995, p.65. 14 FRANCESCO BRUNO, Il Santuario…, cit., na 1927, p.171. 32 Previ accorgimenti per un’adeguata tutela 1927, p.313. 15 Cfr. Ibidem p.113 e segg. e conservazione del materiale. 16 33 Ibidem p.82. Citazione di Franco Minissi in S. RANEL17 STEFANO MIRABILE, Storia del SantuaLUCCI, Allestimento…,cit., 2005, p. 44. rio di Montalto nella città di Messina, Messi- 34 Una splendida soluzione sarebbe la reana 1960, p.113. lizzazione di un ascensore con le pareti tra18 M.GABRIELLA MENTO, L’evoluzione archisparenti. tettonica del Santuario e la sua ricostruzio- 35 Autore della monografia già citata, redatta ne dopo il 1908, in Il Santuario di Montalto nel 1927, attraverso un attento percorso di in Messina a cura di CATERINA CIOLINO, archivio e un faticoso recupero delle fonti Messina 1995, p.48. residue. 19 36 Definizione tratta dalla lapide che comEUGENIO TURRI, Il paesaggio come teamemora l’evento, fatta incidere dal Canonitro, Venezia 1998, p.143. 37 F.BOTTARI, F.PIZZICANNELLA, L’Italia …, co F. Bruno, collocata all’interno del Santuacit., 2002, p.254. rio. 20 38 ELVIRA NATOLI, scheda Madonna con FRANCESO BRUNO, Il Santuario…, cit., Bambino in Il Santuario… cit., 1995, p.83. 1927, Prefazione, p.XV. 1
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La ricostruzione di Messina
dagli anni cinquanta ad oggi a cura di Francesco CARDULLO hi è stato l’artefice della ricostruzione di Messina? Chi ha progettato e realizzato le case e i servizi, le strade ed i marciapiedi, le piazze ed i giardini, le chiese e le scuole, gli ospedali e le ville al mare? La risposta è semplice e secca: le imprese di Messina e gli ingegneri di Messina, spesso con imprese di Messina guidate e sorrette da ingegneri di Messina. Non si tratta di affermazioni superficiali né di atti accusatori, ma semplicemente di constatazioni basate su dei dati di fatto. Le responsabilità non sono mai generiche, ma di persone
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Questo testo è una parte di un saggio più lungo di prossima pubblicazione in un libro dedicato al Centenario del terremoto di Messina a cura di Giuseppe Campione. precise e di categorie precise, con una partecipazione data da percentuali e da numeri, che sono sempre neutri ed impietosi. Ho condotto una piccola ricerca, naturalmente a campione, nei registri dell’archivio dell’Ufficio Tecnico del Comune di Messina relativamente a progetti presentati ed approvati dagli anni cinquanta del novecento sino al 2000. Negli anni cinquanta, prati-
camente il 100% dei progetti presentati ed approvati è a firma di ingegneri.1 Negli anni sessanta il 90% dei progetti è opera di ingegneri ed il 10% opera di architetti.2 Negli anni settanta l’85/90% dei progetti è di ingegneri ed il restante di architetti.3 Negli anni ottanta il 70/80% dei progetti è firmato da ingePanorama di Messina.
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ISOLATO 101, angolo Viale San Martino/Via Santa Cecilia. gneri ed il resto da architetti.4 Negli anni novanta il 45/65% dei progetti è firmato da ingegneri ed il 25/35% da architetti, mentre si registra un dato in crescita di 15/30% di pratiche di cui occorreva permesso, e quindi necessità di registrazione al Comune, presentate da geometri.5 La prima osservazione elementare è il numero superiore degli ingegneri iscritti all’Albo rispetto agli architetti; ed infatti: nell’Albo degli Ingegneri di Messina del 1984 ci sono iscritti 962 ingegneri, in quello degli architetti 295 iscritti, circa un terzo. Ma i progetti firmati dagli architetti non sono in percentuale pari ad un terzo di quelli degli ingegneri. Nell’Albo degli Architetti del 1999, alla soglia del secondo millennio, risultano iscritti 1.005 N.3 Maggio/Giugno 2008
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architetti, ed in quello degli Ingegner i 2.300, riducendo il gap a circa la metà di iscritti: ma le percen-
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ISOLATO 106, angolo Via Santa Marta/Via Mamertini. tuali della responsabilità progettuale non cambiano di molto. Il numero superiore di iscritti quindi, non giustifica, in questa misura, l’altissima percentuale: praticamente l’80/90% di costruzioni (di edilizia, di architetture, chiamiamole come vogliamo) realizzate a Messina, dal dopoguerra al 2000, sono state progettate dalla classe degli ingegneri di Messina. Questo dato, pur se piuttosto imbarazzante, ed in seguito spiegherò il perché, è comunque diffuso e comune in tutta Italia, anche se non con queste percentuali per la progettazione architettonica. L’ a r t i c o l o 5 2 d e l R e g i o Decreto 23/10/1925, n° 2.537, ”Approvazione del regolamento per le professioni di ingegnere ed architetto” recita: “Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile, che presentano rilevante carattere artistico, ed il restauro ed il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909 n° 34, per l’antichità e le Belle Arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere.” Quindi questo decreto legge
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legittima pienamente la possibilità sia degli architetti che degli ingegneri italiani, regolarmente iscr itti ai propri Albi, di progettare architetture (case, chiese, scuole, università, municipi, ospedali, teatri, piazze, eccetera). Quindi è normalissimo che a Messina il 90% della ricostruzione, quindi della città, è stata progettata dagli ingegneri. Possiamo dire, con ragione, che Messina è una città fatta da ingegneri, che ha le sue architetture, i suoi palazzi, pensati e realizzati dagli ingegneri. In realtà anche se questo sembra normale ed ineluttabile, nasconde una grande e profondissima incultura, sia della classe che gestisce e governa la città dagli anni sessanta, sia dei cittadini tutti che acquistano le case ed abitano la città. Una prima ragione, banale, è quella relativa agli statuti disciplinari che governano il percorso formativo dell’ingegnere e dell’architetto in Italia.6 Al di là delle differenze, piuttosto marginali, tra le università italiane, il piano di studi che forma le due professioni ed i due professionisti vede, schematicamente ma efficacemente, in Italia, una netta prevalenza di discipline tecniche nelle Facoltà di Ingegneria, ed una netta prevalenza di discipline storiche-compositi-
ve-urbanistiche in quelle di Architettura. Scienza e tecnica del costruire prevale nelle Facoltà di Ingegneria;forma e spazio del
costruire, del manufatto e della città, in quelle di Architettura.
ISOLATO 185, angolo Via Cesareo/Via Maffei. N.3 Maggio/Giugno 2008
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ISOLATO 481, angolo Viale della Libertà/Via Trapani. Per dirla semplicemente, come faccio quando insegno agli studenti di primo anno, è compito prevalente dell’architetto, e quindi sua preoccupazione primaria la “bellezza” dell’architettura, intendendola naturalmente nel senso Vitruviano di mettere insieme utilitas e firmitas con venustas: utilità e solidità con bellezza. E’, invece, per evidente formazione e cultura delle materie che si studiano nella Facoltà di Ingegneria, netta la prevalenza della preoccupazione degli ingegneri sugli aspetti strutturali, tecnici, tecnologici. In Architettura la bellezza è una sorta di scienza, e non il frutto di un gusto personale, per cui ci creiamo un alibi dicendo: a me piace, come se fosse un vestito. Si studiano discipliN.3 Maggio/Giugno 2008
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ne, si elaborano abilità, si insegna a sapere ed a saper fare, ci si confronta con una storia passata e ci si aggiorna continuamente con la contemporaneità globale, internazionale, mondiale: tutto per capire il senso, e saper interpretare la bellezza contemporanea in architettura. A questo punto è bene sapere che l’Italia è, credo, l’unica nazione in Europa a consentire agli ingegneri di firmare un’opera di architettura.In tutta Europa solo la figura dell’architetto è responsabile della progettazione di tutto ciò che costituisce l’ambiente costruito: l’architettura, la città, il paesaggio.Naturalmente esiste, quello che in area anglosassone viene definito engineering, la figura, anzi più figure, che sono responsabili della “ingegnerizzazione”dell’opera:strutture, impianti, tecnologie di varia natura, cantierizzazione, costi, ottimizzazione ambientale e via specializzando, col rapido progresso del modo di costruire. Quindi, per essere chiari, la responsabilità del progetto architettonico, delle forme, dello spazio, del rapporto con la città ed il paesaggio, della funzionalità è (e ritorno ad una parola semplice che le contiene tutte, che tutti adoperiamo, forse a sproposito, della bellezza delle “opere di edilizia civile”, parole della legge del 1925, che accomuna ingegneri ed architetti) di pertinenza escluISOLATO 510, Via Pola.
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siva degli architetti, in Europa, tranne che in Italia. La riflessione allora che faccio è sulla particolare specificità della ricostruzione di Messina che affida agli ingegneri, anzi al singolo ingegnere, quasi nella totalità, la responsabilità di tutto il processo progettuale: dall’architettonico allo strutturale, all’impiantistico, alla cantierizzazione.Senza nessun dubbio, senza nessuna umiltà, senza nessuna remora. Un atto di presunzione che viene giustificato dalla semplificazione delle procedure e non dai costi per il committente, stato o privato che sia: le parcelle infatti prevedono percentuali separate e diverse per la progettazione delle varie parti che compongono un progetto.Nessuna possibilità di costituire equipe, nessuna possibilità di separare le responsabilità, nessuna possibilità di cercare nel mercato delle professioni, una qualità conclamata.Non è un caso che sono pochissimi gli studi professionali di Messina che mettono insieme le competenze di ingegneri ed architetti. Ma queste riflessioni, che seguono ad una constatazione semplicemente numerica e percentuale (su quelle di merito a cui non mi sottraggo, si rimanda al capitoletto successivo), sono ancora parziali e limitate rispetto ad una successiva piccola ricerca che ho ISOLATO 135, Angolo Viale San Martino/Via Camiciotti.
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compiuto sui nominativi degli ingegneri e degli architetti che hanno costruito Messina nel secondo novecento. Una premessa. Prima della legge 5 Giugno 2001 n° 328, l’architetto, iscritto all’Albo degli Architetti, era una figura diciamo “generalista”, in grado di firmare e progettare quindi: sia piani urbanistici, sia progetti architettonici, sia restauri, sia piani paesistici, ed altro ancora. Il suo percorso formativo conduceva alla capacità di ”progettare” a tutte le scale: quindi i circa trecento architetti iscritti nel 1984 nell’Albo degli Architetti di Messina avevano formazione di studi e relative capacità, omogenee ed assimilabili. Invece i novecento iscritti all’Albo degli Ingegneri di Messina del 1984 sono suddivisi in 18 specializzazioni: aeronautica, automobilistica, chimica, edile, elettronica, elettrotecnica, idraulica, idrocarburi, industriale, meccanica, mineraria, navale, nucleare, ponti e strade, tecnologie, termotecnica e trasporti. Questo significa che nel percorso di studi dell’ingegnere, generalmente dopo i primi due anni di studi, si sceglieva una specializzazione tra le diciotto elencate che prevedevano nei successivi tre anni di studi una accentuazione delle discipline verso il settore scelto. È del tutto evidente che gli ISOLATO 146, Angolo Viale San Martino/Via Camiciotti.
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indirizzi in ingegneria civile edile hanno un percorso di studi più vicino e più prossimo, ma sempre piuttosto distante dalla formazione degli studi dell’architetto, (a quello della progettazione dell’architettura, della città, del territorio, del paesaggio); mentre il percorso di studi degli altri quindici indirizzi o specializzazioni si rivolge e specifica su altre competenze, più o meno accentuate, ovviamente, nelle varie Facoltà d’Italia. Per capirci ancora meglio è quello che succede nel campo medico, ma con tempi diversi:per sei anni si studia per diventare medici generici; poi per tre, quattro anni, si studia per diventare specialisti: in ortopedia, o oculistica, o cardiologia, o pediatria, o psichiatria, o altro ancora. Il titolo è sempre quello di medico, ma con una specializzazione. Va però precisato un piccolo dettaglio: a differenza del campo medico, qualunque ingegnere delle diciotto specializzazioni che prevede l’Albo nei primi anni ottanta, può firmare e progettare le opere di edilizia civile, come recita il regio decreto del 1925. Ho incrociato i nomi contenuti nei registri dell’Ufficio Tecnico del Comune di Messina, che mi sono serviti per la campionatura a percentuale che ho prima descritto, con gli Albi professionali del tempo che esplicitano la specializzazione per ISOLATO 290, Piazza Stazione.
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che da ingegneri edili. Nessun cittadino va da un ortopedico per farsi togliere un molare, o da un cardiologo per farsi misurare la vista, o da uno p s i chiatra
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rie, di piani di lottizzazione, di piani di fabbricazione, di piani di recupero, di piani particolareggiati sono stati redatti non solo da ingegneri, ma nean-
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ciascun ingegnere. Negli anni cinquanta del novecento una percentuale variabile tra lâ&#x20AC;&#x2122;80/90% degli ingegneri che ha presentato, ed avuto la licenza a costruire, a Messina, ha la specializzazione in ingegneria edile. Negli anni sessanta del novecento circa la metĂ degli ingegneri che hanno progettato e costruito Messina, non sono del settore edile. Negli anni settanta del novecento, una percentuale tra il 30/40% degli ingegneri che hanno progettato e costruito Messina, non sono del settore edile Negli anni ottanta del novecento, una percentuale tra il 40/50% che hanno progettato e costruito Messina, non sono del settore edile. Negli anni novanta del novecento, una percentuale tra il 35/45% che hanno progettato e costruito Messina, non sono del settore edile. PiĂš diffusamente le specializzazioni degli ingegneri, che hanno presentato progetti di edilizia a Messina dopo gli anni cinquanta sono: idraulica, industriale, elettrotecnica, trasporti, meccanica.Sono dati numerici piuttosto incredibili, una percentuale alta, troppo alta, di ville sul mare o sulle colline, di palazzi, di chiese, di sopraelevazioni, di sistemazioni di lungomare, di sistemazioni di marciapiedi e di piazze, di scuole, di giardini, di cappelle funeraISOLATO 301, Angolo Via Valore/Via Campo delle Vettovaglie.
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se ha male alla gola, anche se tutti e tre sono dei medici, laureati in medicina. Il punto è proprio questo, una laurea in ingegneria dei trasporti non abilita a progettare una casa bella, o un asilo bello, o un giardino bello, e purtroppo neanche una laurea in ingegneria edile prepara a manipolare lo spazio architettonico ed urbano per giungere ad un risultato di qualità. Eppure, Messina è stata ricostruita in grandissima percentuale dagli ingegneri e frequentemente da ingegneri non edili.Non solo, ma nella maggior parte degli uffici tecnici del Comune di Messina, ma anche di tutti i Comuni della provincia, dove va giudicata e scelta, o comunque guidata ed interpretata, la qualità architettonica ed urbana ci sono questi vari tipi di ingegneri;nelle commissioni edilizie ed urbanistiche prevalgono gli ingegneri; alla Provincia, anche: solo la Soprintendenza è feudo degli architetti mentre il Genio Civile degli ingegneri, per evidenti motivi di competenze, che vengono riconosciute solo di fronte all’antico ed alla struttura: come se l’antico è il solo depositario del bello e quindi dell’architetto, mentre il contemporaneo, essendo luogo del brutto, può essere progettato da un ingegnere. Se un ingegnere è abile a progettare lo spazio contemporaneo perché non dovrebbe applicaISOLATO 451, AngoloVia Garibaldi/Via Nina da Messina.
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Messina, in un arco di tempo relativamente breve, e tutta nel novecento, è fatta da un insieme infinito di interventi di piccola e grande scala; di un costruito diffuso dal centro alla periferia; di servizi collettivi e di residenze; di palazzi del centro e di palazzine in periferia; di case popolari e di ville al mare o sui colli; di lungomare, lungolago; piazze, marciapiedi, giardini, strade, vie alberate e non; centri commerciali e zone industriali;linea del tram, e parcheggi, e tutto questo, è indubbio, è stato realizzato a Messina, in termini di percentuale altissima, dagli ingegneri di Messina. Case-belle, Case-brutte. Mi sono laureato con Alberto Samonà, figlio di Giuseppe Samonà, siciliano, una delle figure di architetto più importante nell’architettura italiana del novecento, nel 1976 a Palermo. Di Alberto Samonà ho frequentato gli ultimi due anni dei Corsi di Composizione Architettonica, oltre alla tesi, esperienze che sono state fondamentali e basilari per la mia formazione di architetto. In quasi tutte le lezioni di Alberto tornava la parola “qualità” come fondamento della ricerca e quindi del mestiere dell’architetto. Qualità del progetto, qualità del costruire, qualità della città. Termine, questo della qualità, che veniva contrapposto a quello della “quantità”, come suo opposto, come pratica errata del lavoro, come strada facile con cui esercitare una professione qualunque, e non un mestiere che aspira al bello: perché è evidente che qualità è il sinonimo “pudico” di bellezza, “bellezza in architettura”. Dagli inizi degli anni novanta del novecento mi occupo della storia urbana di Messina del XX secolo. Mi sembrava evidente, sin da allora, che ci fosse
un deficit d’interesse verso le architetture di qualità, ed in generale verso la parte di qualità della città. Nei professionisti miei colleghi, negli ordini professionali, nei temi di cui si occupavano i giornali e le realtà politiche locali, c’era un gran dibattere sulla necessità del costruire, costruire case popolari, costruire case borghesi, costruire ville e villette, ma nessuno che si occupava e preoccupava della qualità del costruire. Ho iniziato gli studi ponendo l’attenzione sulle architetture di qualità della prima fase della ricostruzione, sino agli anni quaranta del novecento, ed in particolare sulla ricostruzione dei servizi e delle architetture delle istituzioni: il fondamento di una città.8 Ero convinto allora, e sono convinto ancora oggi, che la città di fondazione, quella dei primi quarant’anni, malgrado tutte le critiche che le sono piovute per quello che poteva essere e non è stato, sia di gran lunga, nelle architetture istituzionali, nelle piazze e nelle strade, nei marciapiedi e nei giardini, nei quartieri di case popolari e nei palazzi borghesi del centro, di qualità nettamente superiore a quella costruita dalla fine degli anni cinquanta in poi. Malgrado tutte le pesantezze del linguaggio eclettico, lo stile di gran lunga più diffuso nelle architetture della ricostruzione di Messina. Non mancano le eccezioni verso il linguaggio moderno, lo stile razionalista, italiano in particolare, che declinato con molte varianti secondo i maestri di riferimento europei e mondiali si diffondeva nel mondo:Le Corbusier, Mies van der Rohe, Gropius e la scuola della Bauhaus, Oud e il neoplasticismo olandese, Aalto e la scuola del nordeuropea. La cittadella fieristica di Messina è un esempio significati-
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re la stessa abilità nell’antico? Il dato di fatto, comunque, schiacciante ed evidente, anche nella banalità dei luoghi comuni, sia della gente che della classe dirigenziale, governativa, politica, Messinese, sta in questa frase: è bene che l’ingegnere progetti (e giudichi negli uffici) l’edilizia civile, e l’architetto si limiti ad arredare gli interni delle case:al massimo si occupi dei prospetti. Questo pensano tutti, questo detta i comportamenti e le scelte di tutti, questo è quello che succede alla costruzione della città di Messina negli ultimi cinquanta anni. Per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco e da qualsiasi pregiudizio di casta: 1. penso che anche tra gli ingegneri, edili e non, possa albergare un talento lecorbusierano o miesano o wrightiano; 2. penso anche che la laurea in architettura non dia nessuna patente ad esercitare la bellezza, anzi il contrario, la presunzione di sapere fa ancora più danni, in termini di bruttezza; 3. penso che i dirigenti degli Uffici Tecnici di Comune, Provincia e Soprintendenza, che devono giudicare la qualità dell’architettura da costruire, oltre alla specifica formazione, se non hanno progettato o non hanno costruito, e se non vedono cosa si realizza nel mondo, non sono in grado di andare oltre un ottuso tentativo di interpretare leggi e norme.7 Le osservazioni numeriche e percentuali che ho svolto servono a dire che non è l’evento eccezionale, sia in termini di bellezza che in termini di bruttezza, a fare una città “bella”, non è l’unico straordinario edificio, progettato da ingegneri o architetti, non ha importanza, che realizza l’effetto città. No, la città, e in particolar modo una città ricostruita come
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vo: tutte le architetture realizzate all’interno del suo recinto appartengono a questa storia e sono state occasione per mettere in mostra il talento di Vincenzo Pantano e Filippo Rovigo, sicuramente le due figure di maggiore spicco dell’architettura messinese di qualità “moderna” dei primi cinquant’anni di storia urbana.9 Alla cittadella fieristica va accostata l’altra vicenda significativamente “moderna” della città di Messina: la ricostruzione del Teatro Marittimo.10 La Cortina del Porto come è stata ri-chiamata la Palazzata, ex-Teatro Marittimo, da Giuseppe Samonà, il suo intero artefice, è composta da una serie di isolati che costituiscono un riferimento sicuro di qualità nel campo delle architetture residenziali, con il piano terra adibito ad attività commerciali. Dopo questi esempi, oltre questi esempi, c’è ben poco. Dagli anni sessanta in poi l’architettura di qualità è praticamente scomparsa.
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Se volessimo giudicare serenamente l’architettura realizzata a Messina negli ultimi trent’anni, ci troveremmo in uno stato di disagio ed avremmo difficoltà a segnalare ed individuare degli edifici di qualità. Le architetture degne di poter figurare in una storia dell’architettura italiana, o anche di livello regionale, sono pochissime ed appartengono agli anni cinquanta. Tra queste certamente alune opere di V. Pantano, di F. Rovigo, di G. Samonà, che abbiamo menzionato, poi opere dello studio Calandra-DeCola, lo studio Sismiconsult, la casa di M. Ridolfi, alcune architetture sedi universitarie. Anche se abbiamo dimenticato qualcosa il quadro é comunque desolante.11 Specchio di questo striminzito elenco, che per la maggior parte delle opere si ferma agli anni 50/60, è lo stato di degrado, in senso lato, della città moderna.A chi dare la responsabilità di questo? Perchè la città che si è ricostruita dopo
il terremoto, nei primi quarant’anni del nostro secolo, ha un livello più che dignitoso sia negli edifici pubblici più significativi, sia nell’edilizia privata, ma anche nell’edilizia pubblica residenziale? Perché qualsiasi intervento anche di edilizia ultrapopolare è più curato, più disegnato, più pensato (al di là evidentemente della fatiscenza e del degrado del tempo) di qualsiasi quartiere contemporaneo? In poche parole perché la città, tanto criticata, del Borzì è nettamente migliore di quella contemporanea? Se poi osserviamo la vivibilità e l’uso della città le cose vanno ancora peggio: è praticamente impossibile camminare a piedi sui marciapiedi di Messina: sono invasi minacciosamente dalle macchine e dalle moto, squallide fioriere li occupano tristemente e stabilmente. Come è possibile (e tralaVista aerea di Messina, il porto.
Vista aerea di Messina.
propria parte, sicuramente sono la causa di molte scelte di programma sbagliate, di condizionamenti economici di ogni tipo, ma non hanno alcuna responsabilità sul prodotto finito. Una architettura può esser inutile, fatta con materiali poveri, ma non brutta. Certo gli ingegneri, negli ultimi cinquanta anni, hanno costruito molto di più degli architetti: la colpa è in grande percentuale loro.Ma è solo un problema di quantità, anche gli architetti quando si sono cimentati non hanno dato il meglio di sé.12 Il problema fondamentale è come sempre di ordine culturale, etico, civile. Di ordine culturale perché chi progetta pensa e realizza ciò che conosce, e se conosce poche “parole” scrive un verso povero e sempre uguale. Ma l’ordine culturale è anche quello del fruitore: una città, nel suo insieme, è espressione dei suoi cittadini, e se nessuno si oppone e si ribella alle orren-
de condizioni di ambiente e di luogo in cui vive non c’è possibilità di migliorare. Perché i messinesi continuano a comprare le case orrende, in condizioni di vivibilità da alveario saturo, costruite dagli imprenditori della città? Di ordine etico perché il progettista, architetto o ingegnere che sia, deve ricercare come imperativo categorico la migliore soluzione possibile. Si può parlare di contenitore se si bada solo alla funzionalità; di gabbia di ferro se ci si preoccupa solo della struttura; di vacuità se il proprio impegno é rivolto solo al prospetto. La migliore soluzione possibile è quella che coniuga questi tre elementi. L’etica del progettista sta proprio nel grande sforzo di ricerca creativa che deve compiere per raggiungere la bellezza attraverso il soddisfacimento di tutte le condizioni di funzionalità e staticità, ma anche di economicità, rispetto delle norme e dei regolamenti, rispetto dei luoghi, eccetera. Quan-
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sciamo rumore, inquinamento e traffico arrivati a livelli assolutamente insopportabili) vivere in una città in cui non si può camminare a piedi? In cui il pedone non è contemplato? Quale follia abbiamo alimentato? Chi si preoccupa di questo? E, per quello che ci potrebbe competere con il nostro ruolo di professionisti-tecnici-ingegneri-architetti, cosa facciamo negli assessorati, negli uffici comunali, nelle commissioni edilizie, nei nostri studi? Credo sia corretto che ognuno si assuma le proprie responsabilità ed in questo caso la totale responsabilità del disegno, della forma, dell’aspetto, del costruito, della città contemporanea, è degli architetti e degli ingegneri di Messina. Non ci sembra che occorrano molti giri di parole né che serva scaricare la colpa ai politici, o ai committenti, o ai funzionari. Ognuno di loro fa la
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ti di noi hanno come fine ultimo la ricerca della bellezza? Quanti di noi non si accontentano della prima soluzione trovata? Quanti di noi assecondano passivamente solo le esigenze speculative del manufatto edilizio? Quanti di noi hanno come fine ultimo la parcella, e basta? Quanti di noi studiano e ricercano, senza sosta, la soluzione meno banale, più interessante ed innovativa anche se più faticosa da raggiungere? Di ordine civile perché il mestiere dell’architetto e dell’ingegnere (solo in Italia) ha un altissimo valore sociale e collettivo. Ciò che noi progettiamo, anche la villa privata, ha prima di ogni altra cosa un valore ed un rapporto con l’esterno, con l’ambiente naturale e urbano, e col cittadino che abita una città e la usa. Ogni edificio ha un rapporto pubblico, o di uso o di visuale, e l’architetto e l’ingegnere deve avere il senso civico di adottare la soluzione che soddisfa le esigenze collettive di chi abita la città, e non soltanto l’edificio. Perché le aree di espansione, come ad esempio l’Annunziata sono degli agglomerati incredibilmente informi, privi cioè di un qualsiasi disegno, di servizi, di giardini, di piazze, di belle architetture, di effetto di città? Perché la stessa sorte capita sia agli interventi IACP, che ai quartieri o alle lottizzazioni turistiche private, che ai palazzi borghesi, che alle lottizzazioni realizzate con un Piano, che senza Piano, che agli interventi di risanamento con Piano e senza Piano? Perché non si progettano i servizi, i marciapiedi, le strade, le alberature, le piazze, i giardini? Perché non si progetta la città per farla diventare bella ed ospitale? Ed, in sintesi, perché non si ricerca la bellezza nel progetto d’architet-
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tura? Certo sono tutte domande retoriche. Ognuno ha la risposta. Anzi le risposte sono le stesse e tutte addebitano le colpe agli altri: al committente, alle imprese, al sistema, al Comune, alla Regione, allo Stato. Si potrebbe, invece, cominciare da noi. Da noi in quanto cittadini e poi, solo poi, in quanto ingegneri ed architetti.13 Concludo questo saggio con delle immagini senza commento.Nella civiltà delle immagini la parola conclusiva spetta a loro. Ho scelto cinque progetti realizzati di architetture belle e cinque di architetture brutte. Di architetture di qualità e di architetture banali. Non ho scelto edifici importanti, istituzionali, collettivi. Sono “edilizia corrente”, quella che non è fatta per stupire, ma che costituisce la maggiore quantità, in misura percentuale, del tessuto della città. Quella, dunque che proprio perché corrente ha la maggiore responsabilità della qualità, diffusa o non diffusa, di una città. Sono residenze, case, edifici interni al perimetro urbano, anzi interni al perimetro Borzì. Lungo viale San Martino, via Garibaldi, strade principali o secondarie, su piazze centrali, agli angoli di nodi urbani importanti, su fronti a mare, in luoghi molto significativi della città, o che sarebbero potuti diventare molto significativi. La bellezza/bruttezza in architettura si misura anche, in percentuale molto alta, nel modo in cui istituisci, o no, rapporti urbani, relazioni significative, o no, con l’esistente, con la strada, con il vuoto delle piazze, con il mare, con l’esterno, con l’affaccio.Mi limito quindi a prendere esempi che, “fanno città”, che si trovano nel suo centro identitario.Sarebbe troppo facile infierire su quello che si è realizzato, e si sta realizzando, oltre
la circonvallazione, lungo la Panoramica, lungo la litoranea, a Tremestieri. Mi assumo la responsabilità della scelta, quindi della parzialità di ogni scelta; del giudizio, quindi della soggettività di ogni giudizio:il curriculum delle cose che ho scritto e di quelle che ho progettato mi consentono di espormi.14 Le cinque “case-belle”, senza giudicare la tipologia, gli spazi interni, le soluzioni distributive, hanno delle volumetrie urbane dignitose, con delle idee, con dei riferimenti culturali alti, con delle soluzioni architettoniche di facciata semplici e raffinate, di civiltà del costruire. Esse sono: l’isolato dell’Upim, il 101, tra Viale San Martino e via Santa Cecilia;l’isolato 106, comparto IV, di via Santa Marta; l’isolato 185 C, ad angolo tra via Cesareo e via Maffei in zona Tirone; l’isolato 481, su viale della Libertà, tra via Trapani e via Canova; l’isolato 510, su via Pola, tra via Cuppari e via Fulci, sullo spazio triangolare con le palme.15 Le cinque “case-brutte”, hanno delle soluzioni urbane ed architettoniche, di affaccio su strada, su piazza, su angolo, su mare, banali, ovvie, senza un rapporto di verità tra struttura ed epidermide, senza pensiero, senza tensione, senza cultura figurativa, di cattivo gusto, o peggio ancora di superficiale conoscenza dell’architettura.Esse sono:l’isolato 135, accanto al comparto IG progettato da F. Rovigo, su viale San Martino, angolo via Camiciotti, lato monte; l’isolato 290, che affaccia su Piazza Stazione, angolo via del Vespro; l’isolato 301, ultimo isolato della Cortina del Porto, dopo la Dogana, prima della Stazione del Mazzoni, ad angolo con via Campo delle Vettovaglie; l’isolato 451, su via Garibaldi, ad angolo con via Nina da Messina.16
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Ho consultato, grazie alla disponibilità del geom. Polentarutti, venti carpette, con progetti tutti di edilizia di varia natura, che riportano i nomi dei seguenti ingegneri, che a volte si ripetono: A. Crisafulli, M. Cucinotta, M. Paladino, G. De Cola, V. Campo, S. De Francisci, A. Potestà, A. Jannello, A. Marotta, A. Grosso, A. De Salvo, G. Mazzeo, A. Paholly, D. Valentini. 2 Appaiono tra le carpette consultate, naturalmente a caso, i nomi degli architetti Filippo Rovigo e Roberto Calandra mentre tra gli ingegneri: C. Conti. P. Valentini, A. Garufi, M. Cucinotta, E. Bitto, S. Jelitro, G. Bertuccio, A. Currò, G. Aloisio, N. Cutrufelli, C. Silvestro, V. Casà, P. Falzea, M. Paladino, T. Russo, G. De Cola. 3 Negli anni settanta cambia la modalità di registrazione e le rubriche, divise per anno, riportano oltre alle ditte, il luogo ed il tipo di progetto anche il nome e la qualifica dei progettisti. Ho quindi potuto consultare cinquecento nomi e progetti con il risultato che il dato si mantiene perfettamente in linea, percentualmente, rispetto agli anni precedenti in cui ho consultato direttamente le carpette. Tra gli architetti i nomi di A. Indelicato, E. Carrozza, V. Potestà, G. Donato, P. La Spina, C. Fulci. Tra gli ingegneri, oltre a quelli già ricorrenti negli anni cinquanta e sessanta: D. Sindoni, G. D’Andrea, G. Intelisano, G. Criscenti, V. Cacopardo, B. Mondello, G. Serraino, N. Caligiore, L. D’Andrea, F. Colonna, S. Capraro, A. Crinò, A. Valentini, A. Russo, E. Mazzullo, L. Pellegrino, P. Palano, S. Pidalà, E. Siracusano, G. Grimaldi, G. Alveario, A. Valore, A. Merlino, G. Caminiti, G. Caruso, P. Impollonia, S. Pernice, F. Rigano, S. Trischitta. 4 Tra gli ingegneri, ai nomi ricorrenti degli anni settanta, si aggiungono i nomi di: G. Sciabà, C. Borzì, G. Bonanno, P. Settineri, M. Rinaldi, G. Rotondo, A. Cicala, L. Bernava, G. Parisi, S. Sciacca, M. Sterrantino. 5 Tra gli ingegneri si leggono i nomi di: P. Settineri, A. Porcello, G. Pernice, L. D’Andrea, A. Passaniti, L. Pellegrino, A. D’Andrea, Donia e Grimaldi, P. Battaglia, M. Celona, S. Pidalà, F. Colonna, A. Teramo, A. Ansaldo, F. Gulletta, A. Alonci, A. Danzè, G. Guerrera, G. Di Dio, A. Silvestro, G. Rotondo, E. Contraffatto, F. Arena. Tra gli architetti i nomi sono: A. Bellamacina, E. Nuccio, C. Augusto, L. Orlando, E. Carrozza, L. Runci, S. Geraci, A. Battaglia, M. Rella, G. Pantò, C. Colonna, M.G. Arcovito, F. Zaccone, G. Falzea, B. Bertuccio, A. Ciraolo, M. Giunta, A. Marino, A. Bartolomeo, A. Isgrò, A. La Corte, S. Zappia, N. De Domenico, A. De Benedictis. 6 Sono presidente del Corso di Laurea in Architettura, della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, e da diversi anni mi occupo di fatti istituzionali, ed ho promosso il ripristino del Corso di Laurea quinquennale nella Facoltà in cui insegno, dopo che era stato eliminato, in ossequio alla nuova legislazione. Conosco bene quindi la situazione formativa in Italia sia di Architettura che di Ingegneria. 7 In trenta anni di insegnamento al Laboratorio di Progettazione Architettonica presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria ho insegnato a circa tremila studenti calabresi e siciliani: solo una ventina avevano un vero talento verso il progetto di architettura. 8 Cardullo, Francesco, La ricostruzione di Messina 1909-1940: l’architettura dei servizi pubblici e la città, Roma, Officina, 1993, pp.126. 9 Cardullo, Francesco, La Fiera di Messina: un esempio di architettura razionalista, Roma, Officina, 1996, pp. 99. 10 Cardullo, Francesco, “La Cortina di Messina 1930/1958: un manuale dell’arte del costruire”, in Cardullo, Francesco, Giuseppe e Alberto Samonà e la Metropoli dello Stretto di Messina, Roma, Officina, 2006, pp. 9-73. Vedi anche: Cardullo, Francesco, “L’architettura dello Stretto: progetti a grande scala nella storia urbana di Messina”, in: Rebecchini G., Cardullo F., Roseti C., Architettura civile, Roma, Gangemi, 1992, pp. 18-46. Continuo ad occuparmi di Messina con una certa regolarità, a partire dal 1992, sulla rivista Città e Territorio, curata con grande dedizione da Attilio Borda, che si occupa, invano o quasi, di evidenziare problemi, progetti e questioni della città di Messina. 11 Appartengo al Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana presso il Dipartimento DASTEC della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria che si intitola: “Il progetto dell’esistente e la città meridionale”, guidato da Laura Thermes. A partire dalla sua fondazione, nel 2000, abbiamo fatto studiare e ricercare ai dottorandi le architetture di qualità della Calabria e della Sicilia. Successivamente, in particolare i dottori Amoroso, Serafina, Berlingeri Fabrizia, Pastore Francesca, Russitto Trieste e Velletri Angela si sono occupati di schedare, nel 2004, le architetture di qualità dei territori che affacciano nello Stretto di Messina. 12 È stata pubblicata da poco una raccolta-guida dell’architettura di qualità in Sicilia: Oddo, Maurizio, Architettura contemporanea in Sicilia, Trapani, Corrao Editore, 2007, pp. 862. Le segnalazioni che riguardano opere realizzate nellla città di Messina sono 52, poche. Tra queste tutte quelle storiche che abbiamo menzionato, a cui si aggiungono piccole opere, o allestimenti, o interni, di giovani architetti messinesi che si affacciano faticosamente, molto faticosamente, nel campo della professione in città. A loro va il mio totale augurio e speranza di cambiamento dello stato delle cose. 13 Questa ultima parte del capitoletto è stata ripresa da un pezzo che è stato pubblicato nella Gazzetta del Sud del 3 Novembre del 1993, che avevo intitolato “Sul mestiere di architetto a Messina”, e che il giornale aveva intitolato “Perché manca l’effetto città”. Non riporto la parte conclusiva. E’ sempre piuttosto antipatico, oltre che vanitoso, auto-citarsi, ma a distanza di quindici anni non riesco a cambiare pensiero sulla città. 14 Sono professore ordinario di Composizione Architettonica ed Urbana presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria (con questo ruolo siamo soltanto in tre nell’intera provincia di Messina, tra architetti ed ingegneri), e presidente del Corso di Laurea in Architettura, sempre della Facoltà di Reggio Calabria. Avendo un ruolo istituzionale mi prendo pubblicamente, razionalmente, la responsabilità di quello che scrivo. 15 Si potrebbe aprire una riflessione tra il rapporto che sussiste tra il livello di maturazione civile raggiunto da una istituzione, e quindi da una città, attraverso la capacità o meno di creare un archivio, per forza di cosa della memoria, degli atti prodotti dalla cittadinanza. Gli archivi del Comune, del Genio Civile, dello Iacp, della Soprintendenza sono luoghi che testimoniano l’inettitudine di chi dirige ed è responsabile di queste istituzioni nella città di Messina: è la classe dirigente, e non l’impiegato che deve capire l’importanza di far funzionare un archivio, di saperlo organizzare, di informatizzarlo, di renderlo consultabile. Non sono disastrosi alla stessa maniera, c’è sempre la buona volontà del singolo dipendente, ma basta scambiare qualche parola con queste persone per capire lo stato di totale abbandono di chi dovrebbe rendere efficiente la struttura. Desideravo soltanto conoscere gli autori, i progettisti, delle dieci architetture che cito, non avevo la necessità di vedere i progetti, le carte. È più facile andare su Marte. Sono soltanto riuscito a sapere, e mi auguro che qualche altro giovane speranzoso continui e ci riesca: l’isolato 101 è un progetto del 1963 redatto dalla Sismiconsult, sigla che riuniva gli ingegneri N. Cutrufelli, A. D’Amore, G. De Cola e l’architetto N. Tricomi (uno dei pochissimi studi che contemplava più competenze, di diversa responsabilità, a Messina; l’isolato 106, comparto IV, è un progetto del 1953, redatto dall’ing. Enzo Cacopardo, per conto della Società Cooperativa Edilizia SCECLA; l’isolato 185 C, comparto III, è un progetto del 1953 redatto dall’ing. Enzo Cacopardo, con le strutture dell’ing. Salvatore Caprara, per conto dell’Immobiliare Oratorio della Pace/CIFRE; l’isolato 481, è un progetto del 1963, redatto dall’architetto Roberto Calandra e dall’ing. Giuseppe De Cola; l’isolato 510 è un progetto del 1952, di cui non ho trovato l’autore, ma, forse, per le strutture il responsabile è l’ing. Vincenzo Russo per conto della ditta PACE come Case per Lavoratori. 16 Dell’isolato 135 e del 146 non ho trovato gli autori. L’isolato 290 è un progetto del 1969 redatto e realizzato da Caligiori e Salini Luigi costruzioni; l’isolato 301 è un progetto del 1957, redatto dall’ing. Michele Paladino per conto della Società Cooperativa Edile Domus dei giornalisti messinesi; l’isolato 451 è un progetto del 1970, redatto dall’ing. Domenico Marcello Campo.
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L’indagine giudiziaria su Giacomo Longo
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autore de “Un duplice flagello” pubblicato nel 1911 sull’operato del generale Mazza e del Governo Giolitti dopo il sisma del 1908 di Vincenzo CARUSO
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edico alla insipienza e alla inettezza del Governo Italiano tutto l’odio mio; ed al generale Mazza, gli scatti impetuosi di una eterna male-
Notizie tratte dal fascicolo del Fondo Prefettura conservato presso l’Archivio di Stato di Messina Giacomo Longo. Pagina a lato, in basso, il Il R. Commissario Tenente Generale Francesco Mazza, Comandante del XII Corpo d’Armata. In alto, panorama di Messina dopo il terremoto.
dizione. Da lui, all’ultimo della sua stirpe sciagurata, passi sempre severa, sempre tremenda, l’eco disperata dell’ultima parola dei miei fratelli di sventura, sepolti sotto le rovine di una illustre città. Al suo cuore, ritratto singolare del cuore di Giolitti, dedico a perenne supplizio il gemito straziante e l’agonia lenta di centinaia e centinaia di feriti lasciati morire sulla banchina del porto; e possano le inulte ombre di tanti assassinati, torN.3 Maggio/Giugno 2008
mentare senza posa i suoi sonni. Ai diecimila uomini di truppa, venuti in mezzo a noi in pieno assetto di guerra, e per costituire il vero disastro - giacché il 28 dicembre 1908 rispetto a loro non fu che un momento di sventura - io dedico il ricordo vergognoso della loro opera vandalica […]. A S. M. Vittorio Emanuele III dedico la mia protesta, rispettosa sì, ma sincera, sentita e solenne. Considerate o Sire, l’opera infruttuoso del Vostro Governo […]. A voi, onorevole Giolitti, dedico la nostra gioia e il nostro conforto per non avervi fin qui veduto”. È con queste parole che Giacomo Longo inizia la prefazione al suo libro “Un Duplice flagello: il terremoto del 1908 e il Governo Italiano”, testo alquanto raro, che verrà prossimamente ridato alle stampe per
tornare ad essere testimonianza civile dei tristi fatti che seguirono la sciagura del tremendo sisma. Parole, dure, piene di rancore e risentimento nei confronti di un Governo e del suo più “duro”rappresentante, il Regio Commissario Tenente Generale Francesco Mazza, colpevole di omissioni e inettitudine, nei confronti delle popolazioni bisognose di soccorso, e di negligenza mostrata nell’amministrazione degli aiuti umanitari ricevuti da ogni parte del mondo. Nell’intento di invocare il sovrano intervento di Vittorio Emanuele e della Regina Elena, a difesa delle ingiustizie subite dai superstiti e a garanzia che gli aiuti offerti da tante nazioni come la Russia, l’America, la Francia e la Germania fossero ben impiegati, Giacomo Longo, un comune cittadino abitante nel borgo di Torre Faro, si era prodigato nella stesura di un libro che potesse costituire, nelle mani del Re, la prova inconfutabile per denunciare pubblicamente l’operato del Generale Mazza, autore dello Stato d’Assedio proclamato il 4 gennaio 1909, e del Governo Giolitti. Fu per tale motivo che, una volta realizzato e stampato il suo “capolavoro”presso la tipografia Arti grafiche La Sicilia di Carlo Magno a Messina, Giacomo Longo si preoccupò di
CITTÀ&TERRITORIO darne la maggiore diffusione possibile nel timore di una probabile censura da parte delle autorità, dato il contenuto altamente accusatorio nei confronti del Governo, reo di non aver saputo gestire l’emergenza e, ancor più, di aver abusato dei propri poteri contro le vittime della più grande catastrofe della storia. A maggiore garanzia che la denuncia sortisse gli effetti desiderati, Longo si premurò di inviarne due copie al Re, una alla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Messina e un numero non definito di copie a persone a lui note, emigrate in diverse città italiane e di Paesi europei e d’oltre mare. Con tale gesto, egli dimostrava di non temere affatto il pericolo di subire querele per diffamazione, né denunzie da parte delle autorità governative, anzi lanciava senza timore la sfida di poter essere chiamato al banco degli imputati per dar voce a quanto scritto e documentato nel suo libro. Ma come reagì l’Autorità Governativa alle gravi accuse mosse da un comune cittadino, in un periodo storico in cui
la censura non consentiva fughe di notizie che potessero compromettere, in modo diffamatorio, l’immagine del Paese agli occhi del mondo? La notizia della pubblicazione del libro venne di fatto annunciata nell’edizione di sabato 13 aprile 1911 da un solo giornale minore locale chiamato Il Risveglio che, a differenza della Gazzetta che non fornì alcuna notizia in merito, riportava con molto risalto l’opera coraggiosa di Giacomo Longo: “DUPLICE FLAGELLO.Questo è il titolo di un grosso volume pubblicato a cura del Sig. Giacomo Longo, ove sono messi nella loro vera luce tutti i fatti scandalosi che nello scompiglio del disastro furono compiuti da eroi collocati sotto la protezione e col nulla osta del Generale Mazza e del Governo d’Italia. Il libro è pieno di verità controllate, che bisogna leggere per conoscere se non altro quale scempio si sia fatto della carità pervenutaci dall’estero. All’autore la nostra lode, ai critici inverecondi non rispondiamo”. [Il Risveglio, 13 aprile 1911]
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In tempi brevissimi, il Procuratore Generale del Re, Cav. Ragazzoni, ne informò il Ministro dell’Interno il quale, nel prendere atto della comunicazione ricevuta, invitò la competente Autorità giudiziaria locale ad una oculata vigilanza, in accordo con l’Autorità politica, affinché “niun inconveniente venga a deplorarsi”.1
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Lettera inviata il 22 maggio 1911 dal Capo di Gabinetto del Ministro dell’Interno al Prefetto Angelo Buganza, nel quale si concorda con la soluzione di non dare pubblicità alla pubblicazione del libro scritto da Giacomo Longo. Archivio di Stato di Messina Fondo Prefettura.
Lettera inviata dal Ministro dell’Interno al Prefetto di Messina il 7 maggio 1911 in cui si comunica la ricezione del libro “Un Duplice Flagello”. Archivio di Stato di Messina Fondo Prefettura. In basso, Il Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti (1942-1928).
Ricevuta tale raccomandazione, il 21 aprile 1911 il Procuratore Generale si premurò di inviare una lettera riservata al Prefetto di Messina in cui, dopo aver relazionato sul parere del Ministro, esprimeva la propria opinione sul da farsi: in riferimento alla legge del 28 giugno 1906 n° 278 e alle sentenze emesse dal Procuratore di Cagliari in un precedente analogo caso, non era possibile impedire la diffusione del libro, salvo ordini contrari. Sottolineava altresì, che il costo elevato del libro pari a £. 4 non avrebbe comunque consentito una vasta diffusione.2 Al Prefetto non restava quindi che allertare la Questura ed avviare le indagini necessarie a fornire utili informazioni in N.3 Maggio/Giugno 2008
merito alla figura dello spregiudicato autore dell’opera. Il 30 aprile 1911, il Questore di Messina era già nelle condizioni di poter riferire al Prefetto. Chi aveva raccolto le informazioni non era certamente immune da un atteggiamento pregiudizievole nei confronti della vicenda. Bisognava trovare elementi che consentissero di screditare i protagonisti del grave atto denigratorio nei confronti del Governo Italiano. Dalle “diligenti investigazioni” eseguite dal Delegato di Pubblica Sicurezza Attilio Stagni, dal Delegato Signor Cortisano e dal Maresciallo Di Ciuccio, risultò quanto segue:3 “Uniformemente alle richie-
ste verbali fatte dalla S.V.Ill.ma [sono state svolte] le indagini atte a stabilire ed accertare il vero autore del libello intitolato “Un duplice flagello” la cui pubblicazione è comparsa sotto
il nome di Giacomo Longo di anni 35, fu Francesco e di Francesca Bonanzinca, da Torre Faro. Anzitutto si accennerà a brevi linee chi è il firmatario di tale
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Comunicazione del Ministro dell’Interno al Prefetto di Messina, inviata il 17 Maggio, in risposta al risultato delle indagini eseguite su Giacomo Longo. Nella lettera si invita il Prefetto alla restituzione all’autore, delle copie del libro inviate al Re. Archivio di Stato di Messina Fondo Prefettura. In basso, il Teatro Vittorio Emanuele dopo il sisma.
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opuscolo, quale le sue attitudini e coltura, i suoi legami, il suo passato per dimostrare come in effetti il Longo non sia che un prestanome. Il Longo ebbe bassissimi natali; studiò fino alla terza elementare e non potè migliorare la sua coltura perché gravato di una malattia agli occhi. Il Longo nelle sua vita si è rivelato di animo volgare, aggressivo e prepotente e in forza di tale carattere è riuscito nella pacifica contrada di Torre Faro ad essere temuto. Egli infatti vive di espedienti facendo l’affarista e spillando
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per questo o quell’affare denaro dalla classe marinareccia. Il Longo fu sotto processo per diffamazione, per furto di vino e ricettazione in danno di un certo Fumia, già delegato municipale, perito nel disastro tellurico del 28 dicembre ‘908. Non ha occupazione Proclami del Gen. Mazza pubblicati sul 1° numero del periodico “Ordini e Notizie” del 10 gennaio 1909.
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alcuna però vive bene e veste bene. Il Longo è parente del notissimo strillone inteso “l’Orbo”.Il Longo ha altresì mostrato idee socialiste e molto tempo prima del disastro tentò di costituire una cooperativa tra i marinai di Torre Faro e Ganzirri, che non attecchì. Circa quattro o cinque mesi orsono circolò a Torre Faro e a Ganzirri un manoscritto dattiloscritto a firma di Giacomo Longo. In esso si esponevano cronologicamente dei fatti poco
onorifici a carico dei militari qua convenuti pel disastro del 1908 e di autorità, facendo i nomi del Generale Mazza, del Comm. Trinchera, del Cav. De Bernardines e dell’Ingegnere Capo del Comune Simonetti.[…] Essendo cieco, dettò tutte le minute ad alcuni giovanotti del paese che vennero poi rivedute e corrette dal Sacerdote prof. Giovanni Scarfì insegnante di lingue presso il locale Seminario.Il materiale è stato fornito al Longo da molti naturali della vicina Ganzirri – Torre Faro, da messinesi e in parte dalla lettura dei giornali.. Le spese per la pubblicazione furono sostenute da persone del luogo che furono indotte ad acquistare azioni da £. 25 così da racimolare £. 1.000 che in varie riprese versò al tipografo Magno al quale firmò alcune cambialette. Quasi tutti acquistarono a malincuore le suddette azioni perché tutti temevano il Longo essendo questo un intrigante temerario e capace di ogni falsa denuncia presso le diverse autorità. Questa prima edizione consta di 2.000 volumi di cui circa 100 furono già spediti in America. […] Nel volume doveva comparire pubblicato anche un capitolo contro il Papa ed in difesa del vescovo D’Arrigo, in non buoni rapporti con la Santa Sede; ma è stato soppresso, dietro mandato del vescovo per inframmettenza del Canonico Bruno.4 Il Longo, prima di pubblicare il volume si è consultato con l’avvocato Baratta. Segue a questo punto un dettagliato rapporto sul tipografo Magno e sul numero di copie spedite in Italia e all’estero, nonché dei nomi degli azionisti che contribuirono con £. 25 alla stampa del libro:
“giornaletto locale”, non aveva dato alcuna risonanza alla pubblicazione, suggerì di non dar seguito alla denuncia al fine di non fornire al libro “quella rèclame che il compilatore brama ed invoca”.7 In conseguenza a ciò, con nota del 17 maggio 1911, il Ministro chiese al Prefetto di restituire al Longo le copie inviate al Re accompagnandole con una comunicazione che ritenesse più opportuna.8 Nel ricevere da parte del Capo di Gabinetto del Ministro parere favorevole sulla linea suggerita da seguire,9 il Prefetto Buganza diede ordine imme-
diato al Sindaco di provvedere alla restituzione delle copie del libro. E così che, nella giornata del 28 maggio, Giacomo Longo, tra lo sconcerto e lo sconforto più amaro si vide recapitare, dal delegato comunale direttamente a casa, le copie che, in nome del popolo messinese, nella speranza di ricevere giustizia aveva inviato al Re Vittorio Emanuele e all’amata Regina Elena.10 Fu come dire: “Il Re vi ringrazia per il pensiero che avete avuto nell’inviare questa vostra opera, ma a Sua Maestà non interessa”.
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[…] Il Magno è ritenuto una spia dei gesuiti […]. Il libro del Longo è stato richiesto dai compaesani residenti all’estero e da quasi tutti i librai nazionali ai quali si è rivolto in precedenza con circolare. Nel frattempo, il Ministro dell’Interno, inviava al Prefetto di Messina una nota nella quale, nell’informare l’Autorità Governativa locale della spedizione da parte di Longo delle due copie del volume indirizzate ai Sovrani, ne richiedeva un parere, considerato il tono polemico dell’opera, al fine di dare giusto seguito all’omaggio ricevuto.5 Nuove informazioni intanto venivano prese sulla vicenda che andavano a rinfoltire il fascicolo aperto sul conto di Giacomo Longo: […] Mi risulta che terminata la scritturazione, l’opuscolo venne affidato al sacerdote Giovanni Scarfì, professore del Seminario, per la dovuta correzione. Mi risulta inoltre che il gesuita padre Calvi, persona ritenuta molto intelligente, abbia preso parte scrivendo anche egli qualche cosa e ciò non è da mettersi in dubbio perché nel libro si doveva pubblicare un capitolo contrario al Papa e non si è pubblicato; ad avvalorare tale affermazione sono in grado di dire che l’Arcivescovo D’Arrigo ha pagato £. 90 al tipografo Magno per il lavoro che aveva già eseguito e £. 150 al Longo per autorizzare a togliere quel capitolo. Il Longo ha spedito due copie al Re e alla Regina d’Italia e ai Ministri di Francia, Inghilterra e America. Firmato Brigadiere Donato.6 Completata la raccolta di informazioni, il Prefetto Angelo Buganza fu nelle condizioni di inviare il 16 Maggio al Ministro degli Interni una dettagliata relazione sulle indagini svolte e, nel rassicurare che la stampa locale, ad eccezione di un
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NOTE 1
Procura Generale del Re presso la Corte d’Appello di Messina, 21 aprile 1911, oggetto: Libello diffamatorio Duplice flagello di Longo Giacomo. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, busta n.136. 2 Ibidem. 3 Regia Questura di Messina. Commissariato di P. S., Sezione Mosella, Gab n.1946, del 30 aprile 1911, oggetto: Circa il libro edito dalla tipografia “La Sicilia” in Messina dal titolo “Un duplice flagello” - Esito indagini e Regio Ufficio di P.S.Scalo Marittimo Messina, oggetto: Risultato informazioni. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b.136. 4 Dopo il 1870 il Papa viveva in una specie di isolamento dentro le mura vaticane.Accorrere in soccorso alle popolazioni colpite dal sisma avrebbe comportato la rottura dell’isolamento e riconoscere, de jure et facto, quello Stato Italiano, “illegittimo ed usurpatore”, che la politica vaticana disconosceva e avversava da quasi quarant’anni. Per tali motivi, il Papa non uscì dal Vaticano, limitandosi a inviare “paterne benedizioni a mezzo di un diplomatico telegramma”. Cifr. S. ATTANASIO, 28 Dicembre 1908 ore 5,21. TERREMOTO, pp. 120 - 122, Palermo, 1988. 5 Ministero della Real Casa, Divisione prima, prot. n. 3926 del 7 maggio 1911, oggetto: Longo Giacomo circa omaggio a S. M. il Re. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b.136. 6 Corpo delle Guardie di Città, Brigata Marittima n.44, oggetto Informazioni. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b. 136. 7 Gabinetto Prefettura di Messina. Lettera al Ministero dell’Interno, Gabinetto del Ministro, Roma. Prot. n.504 -1 del 16 maggio 1911, oggetto: Pubblicazione di un volume “Un duplice flagello”. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b.136. 8 Ministero della Real Casa, Divisione prima n.4208 del 17 maggio 1911. Lettera del Ministro al Prefetto di Messina, oggetto: Longo Giacomo di Torre Faro. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b. 136. 9 Ministero dell’Interno, Uff.Capo di Gabinetto, Roma , 22 maggio 1911. Lettera riservata al Prefetto di Messina. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b.136. 10 Municipio di Messina. Albo Pretorio, Prot. n.120 del 28 maggio 1911. Comunicazione al Prefetto di Messina oggetto: Restituzione di volumi a Longo Giacomo fu Francesco. Archivio di Stato di Messina, Fondo Prefettura, b.136. N.3 Maggio/Giugno 2008
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Messina 2020: verso il piano strategico di A. B. B. l piano operativo per la redazione del piano strategico Messina 2020, approvato dal Comune di Messina, rientra nell’ambito della pianificazione strategica, per promuovere un processo di governance urbana, tendente ad un coordinamento di vari soggetti, anche istituzionali, per il raggiungimento di obiettivi condivisi per svilup-
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pare, in modo integrato, sia gli assetti economici, che quelli sociali e culturali. Un progetto che oltre agli obiettivi dei Fondi europei 20072013 ha come scopo la valorizzazione della sinergia tra impresa, ricerca e tecnologia. La partecipazione del Comune di Messina all’avviso di selezione per la promozione di Piani strategici, previsto dalla deli-
bera CIPE n. 35 del 2005, era stata elaborata nel 2006, con il progetto “Messina 2020 verso il Piano strategico”, ed oltre agli obiettivi dei Fondi europei 2007-2013, ha come scopo la valorizzazione della sinergia tra impresa, ricerca e tecnologia. La Pianificazione Strategica è da costruire non solamente in riferimento (scenari, risorse
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Pesca del pescespada nello Stretto negli anni ‘50. A lato, lago piccolo a Ganzirri. Pagina accanto, foto aerea del porto con la Madonnina. e indirizzi) alla programmazione dei Fondi europei del 2007-2013, ma anche in relazione alle strategie di Lisbona e Göteborg e puntando su ricerca, innovazione, economia della conoscenza e rapporto stretto ed innovativo tra impresa, ricerca e tecnologia. Si tratta di un disegno che fa riferimento al ruolo ‘’metropolitano’’ che Messina, capitale del Val Demone, proiettata nel Mediterraneo, vuole riconquistare nel prossimo futuro. La costruttiva collaborazione tra vari organismi scientifici del territorio, per una maggiore efficacia sull’intera economia urbaN.3 Maggio/Giugno 2008
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na, necessita di un adeguato sistema di servizi dedicati, finalizzato da un lato ad insediare imprese eccellenti e dall’altro creare servizi avanzati che favoriscono l’insediamento in città di professionisti del settore. Il progetto è per una città della conoscenza, organizzata attraverso il Piano Strategico che mira anche ad allentare la fuoriuscita dalla città delle intelligenze messinesi. Con circa 250 mila residenti sul territorio comunale, Messina è la terza realtà demografica della Regione caratterizzata come polo metropolitano e di conseguenza, l’area si contraddistingue come un vitale centro di servizi non soltanto per la città e per i più piccoli comuni limitrofi dell’area della Provincia, ma per la sua caratteristiN.3 Maggio/Giugno 2008
ca geografica: la funzione metropolitana si estende anche verso la Calabria e l’area dello Stretto. Secondo i dati rilevati al censimento del 2001 la città rappresenta il 38 per cento della popolazione provinciale ed il 52 per cento di quella dell’area metropolitana e raccoglie il 34 per cento delle unità produttive della provincia mentre con riferimento all’area metropolitana la quota sale al 47 per cento.La Terziarizzazione della città si evidenzia attraverso il valore del coefficiente di specializzazione superiore a 1, in pratica, per tutte le classi di servizio: trasporti (1,67), sanità (1,46), pubblica amministrazione (1,20), attività immobiliari e ricerca (1,17), attività finanziarie (1,15) ed istruzio-
Sopra e nelle pagina seguenti, foto aeree di Messina. ne (1,07).Utilizzando uno strumento statistico che sintetizza l’andamento occupazionale del territorio (l’indice di Fuchs) e prendendo come parametro di confronto l’andamento della regione Sicilia, la città evidenzia, sia per gli anni Ottanta che per gli anni Novanta, un segno negativo, sintomo di difficoltà, a seguire l’andamento occupazionale della Regione. La capacità di ‘’recupero’’ del territorio sembra, però, rilevante in quanto tale scarto si è ridotto da -7,9% a -1,0%. Circoscrivendo l’analisi al solo settore manifatturiero lo scenario cambia ed il territorio messinese presenta un andamento
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occupazionale positivo; si evidenzia, quindi, la presenza di un maggiore dinamismo. La dimensione demografica presenta una rilevanza fondamentale per l’area anche se la frastagliata orografia che cir-
conda la città e la ricerca delle condizioni di vita più ‘’a misura d’uomo’’ hanno condizionato la struttura della popolazione. Due sembrano le dimensioni che caratterizzano la città: la crescita dell’indice di vec-
VILLARD 10
Seminario itinerante di progettazione dedicato a Messina 08_08: ricostruzioni 2008 n a p p r o fo n d i m e n t o scientifico che produrrà idee per contribuire a capire le linee di sviluppo futuro della città, come ha sottolineato il sindaco, Giuseppe Buzzanca, nell’inaugurare al Monte di Pietà, di Villard 10, il semi-
U
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nario itinerante di progettazione dedicato a Messina 08_08: Ricostruzioni 2008, promosso e sostenuto dall’Ordine degli architetti della provincia di Messina e patrocinato dal Comune. Vi partecipano 13 facoltà di architettura Venezia, Asco-
chiaia e l’emigrazione all’esterno.Il primo indicatore (115,4 al 2001 a fronte di 108,1 di Catania e 84,1 di Palermo) la colloca come la più ‘’vecchia’’ tra le grandi città siciliane. In particolare, è il dato delle anzia-
li Piceno, Genova, Napoli, Palermo, Roma tre, Reggio Calabria, Milano Bovisa, Ancona, Alghero, Beirut, Patras e l’École d’architecture de ParisMalaquais. L’iniziativa prevede la messa a punto di un progetto, il cui tema verrà sviluppato nel corso delle diverse tappe, tramite revisioni collettive con l’apporto dei docenti e tutor delle facoltà partecipanti. Il seminario, dopo Messina, a novembre sarà a Venezia, quindi ad Ascoli Piceno, a Roma, Parigi, Genova, a maggio a Napoli ed a luglio
2009 tornerà a Messina per il momento conclusivo come ha evidenziato l’architetto Rita Simone, del coordinamento locale Villard. L’iter seminariale è scandito infatti da incontri dedicati all’approfondimento di argomenti diversi e alla scoperta della città nel corso del quale vengono affrontati impor tanti aspetti del dibattito architettonico contemporaneo, a partire dalle specificità culturale e didattica mettendo al centro la cultura italiana e lavorando con il territorio, il tessuto urbano e le architetture. Il seminario itinerante mette in contatto, attraverso un viaggio in Italia, studenti di varie scuole con il meglio della cultura architettonica italiana, incrociando esperienze e conoscenze che riguardano la progettazione, la storia, l’urbanistica, la grafica, ma anche la letteratura, il cinema, l’arte; e che hanno come sfondo comune i cambiamenti in atto nelle città, nel territorio e nella cultura del Paese. Villard prende il nome dall’omonimo architetto dell’età gotica, chierico itinerante, attivo nella seconda metà del duecento, inventore di un’originale didattica basata sull’esperienza e l’osservazione diretta. Il suo Livre de portrature, taccuino di viaggi attraverso le città e la cultura della sua epoca, è quaderno di schizzi, ma anche raccolta di modelli e libro di testo, destinato ai giovani architetti. A. B. B.
territorio mostra, rispetto ai dati regionali, una maggiore potenzialità: la forte crescita di coloro che sono forniti di titoli di studio elevati può rappresentare un elemento altamente competitivo.In riferimento alle infrastrutture, è da considerare strategico il sistema portuale dello Stretto di Messina (MessinaMilazzo), riconosciuto come uno dei quattro sistemi portuali di valenza extraregionale dal Piano attuativo del Trasporto marittimo del 2004 della Regione Siciliana.Il sistema portuale, in riferimento al Sistema Portuale Integrato Regionale, ha come specificità quella del turismo crocieristico (circa 5000 passeggeri a settimana). Sarebbe auspicabile, proprio per la sua espansione, che Messina si doti di interventi di riqualificazione di tipo urbanistico tali da rendere l’area retroportuale, il giardino di accesso alla città. La Città, essendo interessata dal Corridoio 1 Berlino-Palermo, dovrà disegnare, inoltre, un’adeguata architettura infrastrutturale di supporto e di completamento.L’hinterland è caratterizzato da numerose frazioni (Villaggi) che oggi rappresentano satelliti di una periferia poco servita ma, allo stesso tempo, detentrice di storia e tradizioni da tutelare e valorizzare all’interno del tema dell’identità. La Città di Messina ha scelto di puntare alle strategie ed ai temi che il Piano si propone, e per poterne perseguire al meglio gli obiettivi, necessita che il territorio sia rappresentanza di un area a ‘’geografia variabile’’, ovvero una città che riesce, pur mantenendo i suoi confini amministrativi, a fare sistema al suo interno ed al suo esterno coinvolgendo, in base alle differenti aree tematiche, differenti territori. Il Piano strategico ‘’Messina 2020’’, assume infatti la
caratteristica di essere a geografia variabile in quanto interessa, per specifici temi, un’area vasta della provincia con proiezione sull’area dello Stretto e sul Mediterraneo. In tale quadro è auspicata, infatti, la creazione di collegamenti stabili e di connessioni attive con alcune città per potenziare attività e sviluppare progetti in vari settori economici, sociali e culturali.Innanzitutto il legame con la città di Reggio Calabria è da potenziare verso il disegno di una città rete, che a sua volta attivi relazioni stabili con altre città siciliane ed europee con le quali esiste un legame storico. Gli assetti strategici del territorio, in riferimento all’analisi di contesto ed alle aree di impatto, prevedono come principali aree tematiche: infrastrutture per la città e per il territorio, pensate come armatura del territorio e della città, rispetto agli scopi che vuole perseguire e rispetto alla qualificazione complessiva del contesto urbano, provinciale e mediterraneo mediante l’attivazione di procedure di Valutazione Ambientale Sostenibile. Il tema infrastrutture per la città parte dal trinomio - rapporto mare/monti; - vocazione fieristica; - città della conoscenza. Da tenere in considerazione, nel processo a mediolungo termine, il Corridoio 1 Berlino-Palermo e tutto ciò che ne consegue, Sviluppo d’impresa e governo del mercato del lavoro (Innovazione e Competitività). La riflessione dovrà partire dalle vocazioni del territorio e collegare tali vocazioni alla progettualità presente e alle strategie di sviluppo in itinere. Il ruolo, particolarmente rilevante sul territorio, degli istituti di Ricerca è una delle opportunità ai fini dello sviluppo in quanto una ‘’maggiore integrazione tra i vari centri di ricerca e tra
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ne che ne fa alzare l’indice (142,1) con le implicazioni che gravano sul sistema di welfare. Inoltre, da un decennio il saldo migratorio si presenta negativo. Il capitale umano presente sul
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questi e il territorio’’ favorirebbe l’incontro tra sapere tecnico - scientifico ed economie locali specializzate.L’attenzione al ruolo del governo del mercato del lavoro e della costruzione di tutele e di strumenti di protezione degli attori deboli del mercato del lavoro è da tenere presente e da tematizzare. Riguardo la riforma dell’amministrazione, di dovrà intervenire per: modificare e razionalizzare l’organizzazione della macchina amministrativa; migliorare e/o costruire strumenti di valutazione e controllo, come mezzo per migliorare l’efficacia e l’efficienza della Pubblica Amministrazione; attuare strumenti adeguati di decentramento amministrativo della città (interno) e di dialogo con le amministrazioni (esterno) dell’area metropolitana e della provincia. Per la concorrenza, legalità e cultura dello sviluppo, l’area tematica dovrà legare: le politiche
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volte a migliorare la cultura d’impresa; le politiche volte a migliorare la concorrenza, nel senso di politiche volte a creare l’ambiente in cui l’impresa opera liberamente ed in cui la Pubblica Amministrazione è trasparente; le politiche volte a creare le condizioni della legalità dell’azione della Pubblica Amministrazione e della condotta degli attori dello sviluppo finalizzate a migliorare la qualità della vita cittadina. Per il Welfare cittadino la costruzione di un Welfare municipale è certamente un’area tematica omogenea e fondamentale per il Piano Strategico e sarà necessario dare risposta alla crescente disoccupazione dell’area, all’invecchiamento della popolazione, al degrado nelle periferie. Lo Sviluppo del progetto prevede una prima fase conoscitiva/diagnostica, propedeutica alle successive, che rappresenta la base conoscitiva di cui la Città si doterà per l’elabo-
razione delle successive ipotesi di sviluppo. La fase diagnostica persegue la finalità di comprendere la situazione di partenza ed i punti di forza e di debolezza della città, una fotografia da cui partire al fine di progettare un quadro coerente di proposte e obiettivi d’azione. Saranno analizzati svariati ambiti (economico, politico, demografico, culturale e sociale) ed il risultato sarà la formulazione di uno spettro di tematiche specifiche del contesto messinese, una base informativa e indicativa finalizzata alla formulazione delle proposte e delle linee strategiche del Piano. Ulteriori contributi verranno dall’analisi di altri piani strategici, in particolare quelli elaborati dalle città con punti di forza e di debolezza simili a quelli che si individueranno per l’Area messinese, al fine di iniziare sin da subito una riflessione in merito alle città strategiche con cui ‘’fare rete esterna’’.