Dossier Busan y gestos concretos

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MISSIONE OGGI

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A Busan il CEC

per la giustizia e la pace

Le assemblee generali del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), che a cadenza quasi decennale riuniscono oltre 340 denominazioni di tradizione anglicana, ortodossa e protestante, in rappresentanza di quasi 600 milioni di cristiani, costituiscono sempre un’occasione privilegiata per fare il punto sul movimento per l’unità dei cristiani, di cui quello con sede a Ginevra è l’organismo più grande, vedendo anche delegati della Chiesa cattolica nella sua Commissione “Fede e costituzione”. Tuttavia un appuntamento simile, per di più organizzato in Estremo Oriente, rischia di passare inavvertito in Italia, paese di tradizionale “monocultura cattolica” (peraltro sempre meno, data la crescita, complice l'immigrazione, di comunità ortodosse ed evangeliche). Come in passato per eventi analoghi, con questo dossier Missione Oggi intende, quindi, non solo adempiere il proprio compito informativo, offrendo materiali utili ad accompagnare l'evento, ma anche confermare il proprio impegno per l'unità dei cristiani in un momento non facile per l'ecumenismo. Risulterà allora, prima di tutto, incoraggiante osservare, sia pur a volo d'uccello, il panorama di quanto accade su questo terreno nei diversi continenti. Voci delle maggiori famiglie confessionali aiuteranno poi a inquadrare l'incontro nel suo contesto storico, a individuare le sfide con cui esso sarà chiamato a misurarsi e a indicare le prospettive che potrebbe aprire. Il tutto, naturalmente, con un particolare sguardo missionario e dal Sud del mondo.

a c u r a d i M A U R O C A S TA G N A R O e B R U N E T T O S A LVA R A N I

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Intendendo disegnare, sia pur a volo d’uccello, un panorama dei rapporti tra le Chiese cristiane nelle diverse parti del mondo, non si può non partire dall’Europa. Qui, infatti, si sono prodotti i grandi scismi che hanno diviso la cristianità – quello consumatosi nel 1054 tra Roma e l’Oriente, la Riforma protestante del XVI secolo, seguita dalla nascita dell’anglicanesimo – nonché le più lunghe e sanguinose “guerre di religione” (in realtà “intracristiane”, XVI e XVII secolo); ma qui è anche nato e si è maggiormente sviluppato, convenzionalmente a partire dalla Conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910), il movimento ecumenico.

Un pianeta

ecumenico? MAURO CASTAGNARO - BRUNETTO SALVARANI

EUROPA UN RICCO ECUMENISMO “POPOLARE” E ISTITUZIONALE

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el vecchio continente si contano oggi, secondo il Pew Research Center, autorevole istituto di statistiche statunitense, 565 milioni di cristiani (76% della popolazione), pari al 26% dei 2,2 miliardi di seguaci di Cristo stimati nel mondo, contro i 2/3 che gli europei rappresentavano un secolo fa. Di questi i cattolici costituiscono il 46% (262 milioni), gli ortodossi il 35% (200) e i protestanti il 18% (101). Le Chiese europee sono quelle che più risorse umane e materiali hanno investito nell’impegno per l’unità visibile, attraverso un ricco ecumenismo “popolare” e istituzionale. Il primo ha dato luogo a una fitta trama di incontri di conoscenza, preghiere comuni, iniziative sociali condivise,

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mentre il secondo si è tradotto in importanti accordi teologici, a volte di portata mondiale: dalla Concordia di Leuenberg, grazie alla quale dal 1973 le Chiese luterane e riformate d’Europa, cui si sono aggiunte poi quelle metodiste, vivono una comunione ecclesiale che comprende il riconoscimento reciproco della consacrazione pastorale e l’intercomunione, al pari della Comunione di Porvoo, che riunisce 13 Chiese anglicane e luterane accomunate dall’ininterrotta continuità dell’episcopato storico, fino alla Dichiarazione cattolico-luterana sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta nel 1999 ad Augsburg, che ha risolto una delle cruciali dispute alla base dello scisma d’Occidente, alla creazione di istituzioni interconfessionali (per esempio, la Conferenza delle Chiese europee, fondata nel 1959, che oggi raccoglie 125 tra le


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NORD AMERICA MANCANO ORGANISMI ECUMENICI REGIONALI La maggioranza dei cristiani (805 milioni, pari al 37% del totale) si concentra oggi nelle Americhe, dove rappresentano l’86% della popolazione. Di questi i cattolici costituiscono il 65% (520) e i protestanti il 33% (263), mentre gli ortodossi non arrivano all’1% (3). Nonostante storicamente il Nord America (soprattutto Stati Uniti e Canada) sia stato, insieme all’Europa, una delle culle del movimento moderno per l’unità delle Chiese cristiane, mancano organismi ecumenici regionali, sebbene in Canada esista un Consiglio canadese delle Chiese, fondato nel 1944, di cui fanno parte 30 denominazioni (anglicane, luterane, unite, battiste, vecchio-cattoliche, ortodosse, presbiteriane), tra cui quella cattolica romana, mentre negli Stati Uniti la Conferenza statunitense dei vescovi cattolici è membro di Chiese cristiane insieme neLa regione dei Caraibi a gli Stati Uniti, creato nel causa della diversità di 2006, che riunisce 47 Chiese dominazione coloniale e e organizzazioni di matrice della molteplicità delle cattolica, protestante storica, popolazioni trapiantatevi evangelicale e pentecostale, ha visto una precoce ortodossa, afroamericana e pluralità della presenza indipendente. La regione dei cristiana Caraibi, caratterizzata da grande mescolanza di etnie, lingue e tradizioni, a causa della diversità di dominazione coloniale (Inghilterra, Olanda, Francia, Spagna) e della molteplicità delle popolazioni trapiantatevi (schiavi africani, lavoratori asiatici ecc.), ha per questo visto una precoce pluralità della presenza cristiana (non solo cattolica, ma anche anglicana) e un maggiore pluralismo religioso, con forte influenza dei culti provenienti dall’Africa. Ciò ha favorito il movimento ecumenico, tanto che la maggioranza degli Stati ha un Consiglio nazionale delle Chiese, di cui fa parte quella cattolica (salvo Cuba, Porto Rico e Repubblica dominicana), la cui Conferenza episcopale delle Antille è membro della Conferenza delle Chiese dei Caraibi, sorta nel 1973 per favorirne l’unità, il rinnovamento e l’azione comune tra 33 denominazioni anglicane, battiste, cattoliche, luterane, metodiste, morave, ortodosse, pentecostali, presbiteriane, riformate e unite di altrettanti paesi, costituendo oggi una delle principali agenzie di sviluppo operanti nella regione. WCC/NAVEEN QAYYUM

WCC/MARCELO SCHNEIDER

più importanti Chiese europee protestanti, ortodosse, anglicane e vetero-cattoliche), allo svolgimento di tre grandi Assemblee ecumeniche europee (a Basilea nel 1989, a Graz nel 1996 e a Sibiu nel 2007) con delegati di tutte le famiglie confessionali, alla firma nel 2001 della Charta oecumenica, che detta le “linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa”. Consigli nazionali di Chiese, nella maggior parte dei casi con la partecipazione cattolica, esistono in molti paesi, con l’eccezione di quelli dell’Est. Negli ultimi anni, tuttavia, queste spinte sono parse raffreddate dai rigurgiti identitari che in tutte le Chiese suscitano la secolarizzazione, la crescita di nuove presenze religiose legate anche ai processi migratori dal Sud del mondo e la stessa difficoltà a raggiungere risultati concreti sulla strada dell’unità cristiana.

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me il Centro di studi ecumenici (Cee) in Messico, il Movimento ecumenico per i diritti umani (Medh) in Argentina, il Dipartimento ecumenico di ricerche (Dei), in Costa Rica, il Centro di studi biblici (Cebi) in Brasile, il Centro ecumenico “Diego de Medellin” in Cile, spesso ispirandosi alla Teologia della liberazione, dove si trovavano fianco e fianco cattolici e protestanti. A livello di strutture ecclesiastiche il dialogo ha compiuto passi rilevanti in ambito evangelico, con la fondazione nel 1982 del Consiglio latinoamericano delle Chiese (Clai), che riunisce circa

Serie sfide al movimento ecumenico latinoamericano sono le relazioni con le Chiese pentecostali e neopentecostali, spesso dedite a un forte proselitismo nei confronti dei battezzati delle denominazioni storiche

AMERICA LATINA Il vescovo Wolfgang Huber, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, durante il suo intervento all’Assemblea di Sibiu. A pag. 19 (dall’alto): il patriarca, Abune Mathias, della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo; L’Avana (Cuba), partecipanti alla 6a Assemblea del Clai (2013); Kampala (Uganda), partecipanti ad un laboratorio della 10a Assemblea dell’Aacc (2013).

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VIVACITÀ INTERETNICA E MULTICONFESSIONALE L’America latina, invece, ritenuto il “continente cattolico” per eccellenza, registra in effetti un’ampia maggioranza di cristiani fedeli a Roma, ma anche una significativa minoranza protestante ed evangelicale, frutto dell’immigrazione europea e dell’attività missionaria nordamericana, piccole comunità ortodosse della diaspora e soprattutto un gran numero di realtà pentecostali e neopentecostali in rapida crescita da almeno tre decenni. Qui il movimento ecumenico ha preso forma dalla fine degli anni 60 del secolo scorso con la nascita di svariati gruppi, reti e istituti impegnati per la giustizia, l’educazione popolare, la cooperazione tra le Chiese ecc., co-

140 Chiese e organizzazioni ecumeniche, soprattutto del protestantesimo storico, e della Confraternita evangelica latinoamericana (Conela), cui aderiscono denominazioni evangelicali e pentecostali. I due organismi convergono nell’organizzazione a scadenza più o meno decennale dei Congressi latinoamericani di evangelizzazione (Clade). La Chiesa cattolica partecipa formalmente solo in Argentina (Commissione ecumenica delle Chiese cristiane in Argentina-Ceica), Brasile (Consiglio nazionale delle Chiese cristiane-Conic), Guatemala (Consiglio ecumenico cristiano del Guatemala) e Panama (Consiglio ecumenico di Panama) a organismi interconfessionali nazionali, che non di rado si esprimono pubblicamente sui problemi sociali e politici. Serie sfide al movimento ecumenico latinoamericano sono le relazioni con le Chiese pentecostali e neopentecostali, spesso dedite a un forte proselitismo nei confronti dei battezzati delle denominazioni storiche (nelle quali peraltro crescono gruppi carismatici di solito attenti soprattutto alla propria identità confessionale), e con le riemergenti religioni indigene e afroamericane (per i rapporti con le quali è stato coniato il termine macroecumenismo).


Nella regione culla del cristianesimo, dove avevano sede tre dei cinque patriarcati della chiesa primitiva (Gerusalemme, Antiochia e Alessandria), vivono oggi solo 13 milioni di cristiani (5,5 milioni di cattolici, altrettanti ortodossi e 1,7 milioni di protestanti), pari al 4% della popolazione locale e allo 0,6% dei seguaci di Cristo sul pianeta. In maggioranza fanno riferimento a Chiese orientali antiche (pre-calcedoniane), come la

Nell’Africa subsahariana vivono oggi 516 milioni di cristiani, pari al 63% della popolazione del continente e al 24% del totale dei battezzati mondiali, rispetto all’1% rappresentato nel 1910. Di questi i protestanti sono il 57% (295 milioni), i cattolici il 34% (176) e gli ortodossi l’8% (40). All’inizio del movimento ecumenico moderno l’Africa era considerata “terreno di missione” senza identità ecclesiale propria, sal-

Chiesa copta ortodossa, o appartengono alla tradizione ortodossa, come la Chiesa di Cipro, cui si affiancano diverse Chiese cattoliche di rito orientale (maronita, melchita, caldea ecc.), mentre quelle protestanti o anglicane hanno minori dimensioni. Nel complesso queste Chiese rappresentano una piccola minoranza in ambienti a stragrande maggioranza islamica e le loro preoccupazioni riguardano i forti conflitti in atto nella regione, l’emigrazione dei cristiani verso altre parti del mondo per motivi economici e politici, nonché il dialogo coi musulmani. Per rafforzare la fraternità tra le Chiese, offrire una testimonianza comune della propria fede, favorire le relazioni con le altre religioni e promuovere l’azione di servizio alla società (per esempio, a favore della pace) è stato costituito nel 1974 il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, cui aderiscono 27 chiese (orientali, ortodosse, cattoliche, riformate, anglicane, presbiteriane e luterane) di 12 paesi.

La Chiesa copta ortodossa e le diverse Chiese cattoliche di rito orientale (maronita, melchita, caldea ecc.) rappresentano una piccola minoranza in ambienti a maggioranza islamica

WCC

AFRICA L’INFLUENZA DELL’INCULTURAZIONE

WCC / NAVEEN QAYYUM

MEDIO ORIENTE E NORDAFRICA FRATELLANZA TRA LE CHIESE DELLE ORIGINI

vo l’Egitto e l’Etiopia, con le loro antiche Chiese ortodosse, e il Sudafrica, dove la colonizzazione olandese e britannica aveva portato alla nascita di numerose denominazioni autonome. Con i processi d’indipendenza delle nuove nazioni tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso, le Chiese africane hanno cominciato ad assumere un proprio volto, introducendo nel dibattito ecumenico temi come il razzismo, la risoluzione dei conflitti, il rapporto tra evangelizzazione e culture. Attualmente nella maggioranza degli Stati esistono Consigli nazionali di Chiese cristiane o organismi analoghi, di molti dei quali la Chiesa cattolica locale è membro a vario titolo. Il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), che riunisce i vescovi cattolici del continente, pur non facendo parte della Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (Aacc), da alcuni anni collabora attivamente con l’organismo, cui aderiscono, oltre a 133 denominazioni africane, anglicane, battiste, copte, luterane, metodiste, morave, ortodosse, presbiteriane, riformate e unite, anche 32 Consigli nazionali di Chiese. Principali protagoniste dell’esplosione numerica dei cristiani in Africa sono comunque le innumerevoli Chiese indipendenti e penteco-

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All’inizio del movimento ecumenico moderno l’Africa era considerata “terreno di missione”

Da sinistra: Kampala (Uganda), 10a assemblea (2013) della All Africa Conference of Churches (Aacc): delegati dell’Assemblea e la sig.ra Sekai M. Holland, co-ministro per la riconciliazione e l’integrazione del governo dello Zimbabwe, durante il suo intervento all’Assemblea.

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stali. Le prime sono state fondate nella prima metà del Novecento per affrancarsi dalla tutela dei missionari europei e affermare un “cristianesimo autenticamente africano”, cui le Chiese storiche hanno reagito favorendo in maggiore o minore misura processi di “inculturazione” delle proprie comunità locali. Le seconde sono sorte negli ultimi decenni nel quadro della “ondata pentecostale” che ha investito tutto il mondo e ha portato anche a una trasformazione in senso carismatico di varie Chiese fondate dai missio-

La sfida principale per il cristianesimo è costituita dal dialogo con le grandi religioni e tradizioni spirituali asiatiche

Sibiu (Romania), delegati ortodossi alla 3a Assemblea ecumenica europea.

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nari. I rapporti con tale universo religioso in ebollizione costituiscono senza dubbio le frontiere odierne dell’ecumenismo in un continente segnato anche dalla massiccia e diversificata presenza islamica oltre che, più profondamente, da cosmovisioni autoctone cristallizzatesi nelle religioni tradizionali, ma con cui è indispensabile misurarsi non per “cristianizzare l’Africa”, ma per “africanizzare il cristianesimo”.

ASIA-PACIFICO LA SFIDA DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO L’Asia e l’Oceania ospitano 285 milioni di cristiani (139 di protestanti, 131 di cattolici e 12 di ortodossi), che costituiscono solo il 7% della popolazione del continente e il 13% dei battezzati del mondo. Con l’eccezione delle Filippine, di Timor Est e in qualche misura della Corea del Sud, il cristianesimo è una religione di minoranza in tutti i paesi asiatici, in alcuni dei quali (Giappone, Mongolia e Thailandia) non arriva all’1% della popolazione. Eppure in

Asia c’è stata una presenza ininterrotta del cristianesimo fin dai tempi apostolici, in particolare nello Stato del Kerala (sud dell’India), dove, secondo la tradizione, fu l’apostolo Tommaso a introdurre il Vangelo. E negli ultimi anni si è registrato un notevole incremento del numero dei cristiani in Cina, Laos, Nepal e Vietnam. Già dall’inizio le Chiese asiatiche hanno contribuito al movimento per l’unità dei cristiani, tanto che alla nascita del Consiglio ecumenico delle Chiese, nel 1948, quelle del Sud del mondo erano le meglio rappresentate e quelle che per prime hanno rivendicato la loro autonomia dalle missioni europee protestanti o la necessità di una propria inculturazione, nel caso cattolico. Qui è stata creata, nel 1957, la prima organizzazione ecumenica regionale, la Conferenza cristiana dell’Asia orientale, antesignana dell’odierna Conferenza cristiana dell’Asia (Cca), cui aderiscono 95 denominazioni anglicane, battiste, indipendenti, metodiste, presbiteriane, siro-malabaresi, siro-malankaresi e unite, nonché 16 Consigli nazionali di Chiese. Dal 1996 la Cca e la Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fabc), che riunisce gli episcopati cattolici e ha celebrato nel 2012 i 40 anni di vita, hanno promosso il Movimento asiatico per l’unità cristiana. Naturalmente la sfida principale per il cristianesimo è costituita dal dialogo con le grandi religioni e tradizioni spirituali asiatiche (islam, induismo, buddhismo, shintoismo, taoismo, confucianesimo, zoroastrismo, giainismo ecc.) nonché dalla testimonianza in un contesto socioeconomico caratterizzato da grande dinamismo e perduranti sperequazioni. La maggior parte degli Stati dell’Oceania, a cominciare dall’Australia (ma la Nuova Zelanda non più dal 2005) ha un Consiglio nazionale delle Chiese, di cui la Chiesa cattolica è membro a pieno titolo e lo stesso avviene con la Conferenza episcopale cattolica del Pacifico e le Conferenze dei vescovi cattolici di Papua-Nuova Guinea e delle Isole Salomone rispetto alla Conferenza delle Chiese del Pacifico, di cui fanno parte 54 tra Chiese locali (luterane, anglicane, metodiste, cattoliche, presbiteriane, unite, ecc.) e Consigli di Chiese. Negli ultimi due decenni, tuttavia, il movimento pentecostale si è fatto strada nella regione, modificando notevolmente il volto del suo cristianesimo. MAURO CASTAGNARO - BRUNETTO SALVARANI


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Intervista al Rev. Olav Fykse Tveit

Un’assemblea di cristiani per la giustizia e la pace Q

uale Cec si riunirà a Busan, in ottobre, sette anni dopo l’assemblea generale di Porto Alegre? O, in altre parole, che clima si respira in questi mesi? Non vediamo l’ora di arrivare a Busan, perché crediamo sarà un evento stimolante

Sarah Numico ha lavorato presso il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) tra il 1997 e il 2004, accompagnando la genesi della Charta oecumenica. Già presidente nazionale della Fuci, laureata in lingue e letterature straniere, si occupa di questioni europee ed ecumeniche attraverso alcune collaborazioni giornalistiche. Sposata, con tre figli, vive a Cuneo.

e ispiratore non solo per il Cec, ma per tutti coloro che sono pronti a pregare con noi “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace”. Il tema dell’assemblea è espressione delle più profonde aspirazioni dell’umanità: vivere in un mondo segnato dalla giustizia e dalla pace, non solo per l’umanità, ma per tutta la creazione di Dio. L’assemblea sarà l’occasione per condividere le nostre esperienze in questo cammino verso la giustizia e la pace, per essere solidali gli uni con gli altri e per andare avanti insieme con rinnovata energia e speranza. Perché è stata scelta una città coreana come sede per l’assemblea? Busan, nella Corea del Sud, è stata scelta perché il Nord-Est asiatico è dinamico e vitale per il futuro del genere umano dal punto di vista economico, politico e culturale. Anche il cristianesimo si sta sviluppando rapidamente in quella regione. Le Chiese presenti nella Repubblica di Corea rappresentano un ampio spettro del cristianesimo, anche aldilà di quelle che aderiscono al Cec. È importante ri-

WCC / PETER WILLIAMS

A CURA DI SARAH NUMICO

Il rev. Olav Fykse Tveit, teologo e pastore della Chiesa luterana della Norvegia, è dal 2010 Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec).

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Da sinistra, in senso orario: Busan (Corea), chiesa presbiteriana; momento di riflessione durante una pre-assemblea del Cec (2012); il card. Kurt Koch e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. A pag. 23: veduta della città di Busan (Corea del Sud).

Cerchiamo di diventare di nuovo un popolo pellegrino, un movimento radicato nella fede e impegnato per la giustizia e la pace per tutti. Il Comitato centrale del Cec ha proposto un “pellegrinaggio di giustizia e di pace” come elemento caratterizzante il programma del Cec dopo Busan. Un pellegrinaggio a cui si potranno unire molte persone ovunque esse si trovino, ma con un obiettivo comune e un senso di solidarietà e di mutua responsabilità l’una per l’altra. Uno dei temi principali sarà “la missione”, e un documento sulla missione ed evangelizzazione è stato preparato per l’assemblea: quali sono i motivi principali per cui è stata data grande attenzione a questo tema? 24

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[ECCLESIA.COM.BR

cordare anche i tanti cristiani della Cina. Il cristianesimo in Cina è in rapida crescita. Quali attese nutre lei personalmente rispetto all’assemblea e, in particolare, quali passi in avanti l’ecumenismo potrebbe compiere a Busan? Mi auguro che l’assemblea sia un evento stimolante e motivante e che ci mostri la via da seguire. I cristiani della Chiesa primitiva parlavano della loro fede come “la via”. Erano “popolo in cammino”, in movimento verso il regno della giustizia e della pace del Signore.

WCC / MARK BEACH

La discussione sulla missione è cruciale per il cammino futuro del cristianesimo e per le nostre relazioni con le diverse culture e le persone di altre religioni: l’elemento in gioco mi sembra sia come le Chiese guardano a loro stesse e agli altri

PANORAMIO.COM

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La discussione sulla missione è cruciale per il cammino futuro del cristianesimo e per le nostre relazioni con le diverse culture e le persone di altre religioni: l’elemento in gioco mi sembra sia come le Chiese guardano a loro stesse e agli altri. Le Chiese hanno compiuto un lungo percorso, liberandosi da una comprensione imperiale della cristianità. Il cristianesimo è in crescita ed è vitale nelle zone che un tempo erano considerate “terre di missione”. Parlare di missione oggi significa in realtà parlare della qualità della nostra comune testimonianza al mondo. Lei vede un miglioramento nei rapporti ecumenici, grazie agli impegni che le Chiese condividono per la pace e la giustizia?

Le Chiese oggi si sentono responsabili le une di fronte alle altre per quello che fanno o non fanno. Il movimento ecumenico ha creato una fitta rete di relazioni con un forte senso di solidarietà l’una rispetto all’altra e un impegno reciproco per la giustizia e la pace. Questo è di grande importanza quando le Chiese si trovano a dover affrontare situazioni di violenza o di conflitto. La maggior parte dei viaggi che compio, in qualità di Segretario generale del Cec, ha l’obiettivo di visitare quelle Chiese che hanno bisogno di solidarietà e di accompagnamento. Rispetto alla situazione dell’inizio del secolo scorso, possiamo parlare di una vera storia di successo del movimento ecumenico. Certo, c’è ancora molto da fare. Sono convinto che possiamo ottenere di più e spero che il “pellegrinaggio di giustizia e di pace” sarà uno strumento per questo. Che tipo di presenza o assenza rappresentano i cattolici per l’assemblea e in generale per il Cec? Che dire delle Chiese pentecostali? Sono molto contento che la delegazione cattolica ufficiale all’assemblea sia guidata dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani; sarà una delle più numerose a Busan. Ciò dimostra che l’impegno ecumenico è irreversibile per la Chiesa cattolica romana e che si continua a cooperare strettamente in molti settori. Per quanto riguarda il ruolo delle Chiese pentecostali, molte persone non sanno che il Cec ne include già diverse tra i suoi membri. La nostra collaborazione con i rappresentanti delle Chiese pentecostali è notevolmente migliorata negli ultimi dieci anni, anche attraverso il Forum cristiano globale [Un forum indipendente dalle strutture ecumeniche esistenti e aperto a tutte le Chiese e le organizzazioni cristiane – ndr], la cui fondazione era stata prefigurata dall’assemblea del Cec del 1998 a Harare, nello Zimbabwe. Siamo stati invitati ad andare a Busan dall’assemblea dei responsabili della Chiesa Yoido Full Gospel [la più grande Chiesa pentecostale della Corea del Sud; nata nel 1958, conta circa 1 milione di membri – ndr], che è anche membro del Consiglio nazionale delle Chiese in Corea. Il Cec si impegna a promuovere e approfondire la comunione tra tutti i cristiani. A CURA DI SARAH NUMICO


Intervista a Stephanos Avramides

Noi ortodossi siamo a nostro agio nel Cec A CURA DI SARAH NUMICO

Quali sono i punti di forza e le sfide dell’ortodossia oggi? Sebbene unita nella fede e nella comunione sacramentale, l’ortodossia è composta da Chiese locali autocefale con propri Sinodi indipendenti, benché tutti funzionanti nel quadro dei sacri canoni dei sette Concili Ecumenici e dei concili locali da essi riconosciuti. Qui stanno alcuni dei suoi punti di forza e di debolezza. Non si può dubitare della democraticità delle sue istituzioni amministrative anche se in passato, a causa dei limitati mezzi di comunicazione, incoraggiavano l’isolamento e il nazionalismo. Negli ultimi decenni la collaborazione, sotto la guida spirituale del Patriarcato ecumenico, è assai cresciuta e la convocazione di un Grande e Santo Concilio della Chiesa ortodossa è molto vicina al compimento. Le Chiese dei paesi oltre la cortina di ferro, dopo aver recuperato la libertà, cercano di adattarsi ai rapidi cambiamenti culturali e proclamare gli immutabili valori della Bibbia e della fede cristiana in una società che rifiuta quelli tradizionali. Gli ortodossi che vivono nel Vicino Oriente sono coinvolti dai

Il protopresbitero Stephanos Avramides è Segretario per le relazioni interortodosse e intercristiane del Santo Sinodo della Chiesa di Grecia.

disordini politici dei loro paesi, minacciati dallo scoppio di un grande conflitto, per cui sono stati costretti a emigrare e, se sono rimasti, devono affrontare la persecuzione da parte di musulmani fanatici o la morte incombente, sotto le bombe. Per esempio, dopo sei mesi nulla si sa del metropolita ortodosso di Aleppo, Pavlos, rapito durante una missione umanitaria nel nord della Siria. Eppure il dover riparare all’estero, benché costituisca una violazione dei diritti umani, crea una nuova diaspora, in cui annunciare e testimoniare la fede ortodossa.

Come procede il dialogo con la cultura contemporanea? La Chiesa è nel mondo, ma non del mondo. Il suo scopo non è quello di adattarsi ai mutevoli desideri e valori della società, secolarizzandosi, ma di santificarla “ecclesializzandola”. Perciò è sensibile ai problemi sociali e interviene su questioni religiose, morali ed etiche concernenti non solo i suoi fedeli, ma la società. A livello panortodosso, nel 1986, alla III Conferenza pre-sinodale panortodossa, le Chiese si sono espresse sulla necessità che la pace, la giustizia, la libertà, la fratellanza e l’amore tra i popoli prevalgano e siano abolite tutte le discriminazioni razziali. A livello locale tutte le Chiese autocefale emanano dichiarazioni su questioni sociali. La Chiesa di Grecia si è espressa, per esempio, sull’attuale crisi finanziaria e ha anche speciali Comitati sinodali che si occupano di temi specifici quali le questioni europee, la bioetica, i diritti umani, la famiglia, la tutela dei bambini e il problema demografico, i migranti, i rifugiati e il rimpatrio, l’ecologia, le questioni femminili. Che problemi comporta per le Chiese l’emigrazione massiccia dai paesi di tradizione ortodossa? Uno dei problemi principali oggi è la diaspora in Stati dove non esiste una Chiesa “nazionale” in cui inserirsi e ci sono state migrazioni da diversi paesi ortodossi a partire dalla fine del XVIII secolo. Questi migranti, per necessità, hanno mantenuto i legami con le Chiese della loro patria e così si possono trovare più vescovi ortodossi nella stessa città e più amministrazioni nazionali ecclesiali nello stesso paese. Il futuro Santo e Grande Sinodo Missione Oggi | ottobre 2013

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del primato petrino. Papa Francesco ha già incontrato il Patriarca ecumenico Bartolomeo: il suo atteggiamento semplice e la sua apparente apertura a tutti fanno sperare nel progresso del dialogo. Come giudica la situazione generale dell’ecumenismo oggi? Data la grande diversità delle questioni dottrinali che separano le Chiese membra del Cec, i progressi in questo campo sono stati lenti e limitati, mentre lavorare insieme ha fatto molto crescere la conoscenza reciproca. Il Cec e altri organismi ecumenici sono stati più efficaci nell’affrontare insieme temi sociali ed è in questo ambito che ulteriori passi avanti possono essere compiuti. Quale attesa nutrono le Chiese ortodosse verso l’assemblea di Busan?

AFP PHOTO/SAKIS MITROLIDIS

Il patriarca ecumenico Bartolomeo I, sopra con l’abate Ephraim, già a capo del monastero Vatopedi del Monte Athos, sotto con il patriarca della Georgia, Ilia II. A pag. 25: Istanbul (Turchia), ingresso della cattedrale del Patriarcato ecumenico.

dovrà risolvere la questione. Significativa è la decisione presa nel 2009 dalla quarta Conferenza pre-sinodale panortodossa, che istituisce Sinodi regionali di vescovi ortodossi canonici per affrontare problemi comuni. Come si sentono le Chiese ortodosse nel Cec? Le Chiese ortodosse si impegnano per la promozione della comprensione e collaborazione su problemi comuni con le altre Chiese cristiane. Già nel 1920 il Patriarcato ecumenico invitava con un’enciclica alla creazione di “una Lega delle Chiese” simile alla “Società delle Nazioni” allora esistente. Inoltre, diverse Chiese ortodosse hanno partecipato alla fondazione del Cec e dall’assemblea di Nuova Del26

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hi, nel 1961, la maggior parte ne sono diventati membri attivi. L’ortodossia, che ritiene di dovere testimoniare la fede intatta e incontaminata, così come le sue tradizioni e l’etica, si sente a proprio agio nel Cec, collabora con le altre Chiese cristiane e cerca di imparare da loro, adattandosi, quando è possibile, ai metodi efficaci che esse impiegano nell’affrontare grandi problemi sociali contemporanei. Del resto, uno degli scopi del Cec è di condividere informazioni ed esperienze verso un’azione e una testimonianza comuni. Come procede il dialogo con la Chiesa cattolica? Il dialogo ufficiale è in corso dal 1980 e attualmente sta affrontando la questione

Negli ultimi decenni la collaborazione, sotto la guida spirituale del Patriarcato ecumenico, è assai cresciuta e la convocazione di un Grande e Santo Concilio della Chiesa ortodossa è molto vicina al compimento

Il tema “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace” offre alle Chiese l’opportunità di annunciare Gesù Cristo come il Creatore e Datore della vita, Colui che ha dichiarato che “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chi vive e crede in me, non morirà mai” (Gv 11, 2526). Gli ortodossi credono che si partecipa della vita in Cristo credendo in Lui, facendosi battezzare nel suo nome e accedendo ai sacramenti della Chiesa, che è il suo Corpo. Tale partecipazione inoltre conduce naturalmente a una vita di giustizia e pace. Questa verità dovrebbe essere proclamata dall’assemblea. Si dovrebbero anche approvare emendamenti alla Costituzione e ai regolamenti per facilitare la capacità del Cec di esprimersi con più forza a sostegno del Credo e degli insegnamenti cristiani fondamentali in un mondo che ha bisogno e sete di principi da vivere. A CURA DI SARAH NUMICO


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Intervista a Luigi Sandri Luigi Sandri, giornalista professionista, ha lavorato all’ufficio Ansa di Mosca ed è stato corrispondente della stessa agenzia a Tel Aviv. Vaticanista dell’Ecumenical News International di Ginevra e de L’Adige di Trento, è membro della redazione di Confronti. Tra le sue pubblicazioni: Dio in Piazza Rossa (Claudiana 1991) e Città santa e lacerata. Gerusalemme per ebrei, cristiani, musulmani (Monti 2001).

Testimoniare

lainriconciliazione un paese diviso A CURA DI BRUNETTO SALVARANI

“Beh, devo ammettere che ho una certa esperienza di queste assemblee del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec): ho già partecipato, da giornalista, a quelle di Uppsala (1968), Vancouver (1983), Harare (1998) e Porto Alegre (2006), e ora sto cercando di prepararmi per bene in vista di Busan”

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uigi Sandri, nato a Tuenno, in val di Non (Tn), nel 1939, cattolico, ha lavorato per parecchio tempo alla sezione esteri dell’Ansa e poi nelle sedi dell’agenzia a Mosca e Tel Aviv. Oggi segue le cronache vaticane per l’agenzia Ecumenical News International, il mensile Confronti e il quotidiano L’Adige, ed è autore di diversi libri di attualità ecclesiale: come, ad esempio, Ecumenismo e pace. Da Kingston 2011 a Busan 2013 (Icone, Roma 2011), firmato insieme a Gianni Novelli. L’ultimo, appena uscito, è forse anche quello più impegnativo (e senz’altro il più voluminoso): s’intitola Dal

Gerusalemme I al Vaticano III (Il Margine, Trento 2013) ed è il frutto di una lunga ricerca storica. In queste pagine egli ripercorre in una grande narrazione – offerta, per la prima volta con tale ampiezza, a un lettore non specialista – tutti i concili ecumenici e/o generali celebrati prima in Oriente dalla Chiesa indivisa e, poi, in Occidente: fino a interrogarsi sull’ipotesi di un futuro Vaticano III e su un Gerusalemme II, che veda convocate finalmente tutte le Chiese. Con lui, in occasione di una serata, che l’ha visto protagonista, organizzata agli inizi d’agosto durante la cinquantesima sessione del Segretariato Attività Ecumeniche (Sae) a Paderno del Grappa, abbiamo chiacchierato della prossima assemblea del Cec. Qual è il quadro del Cec che si avvia all’appuntamento di Busan? È un quadro in forte movimento, per le circa 350 Chiese che fanno parte del Cec, su diversi piani e rispetto a tanti temi. Basterebbe analizzare, ad esempio, la condizione delle Chiese ortodosse, che prima del 1989 di fatto – quasi tutte – non potevano esprimersi liberamente, poi è cambiato un Missione Oggi | ottobre 2013

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Il Sud Corea delle religioni

La Corea del Sud, da qualche decennio, è uno dei paradisi terrestri per i sociologi delle religioni. Per farcene un’idea, prendiamo a prestito il quadro offerto da Enzo Pace – docente di Sociologia delle religioni all’Università di Padova – sulla rivista brasiliana Caminhos.

ENZO PACE

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lla fine del secolo scorso la Corea del Sud – mentre circa una metà della popolazione si dichiara atea o agnostica – ha conosciuto un’espansione senza precedenti del cristianesimo. Più nella forma del protestantesimo che non attraverso le missioni cattoliche, che, tuttavia, hanno, anch’esse, cominciato a mettere

po’ tutto, e a Harare è scoppiata, di conseguenza, la questione della rappresentanza: tradizionalmente nel Cec ogni Chiesa vale un voto e soprattutto quella ortodossa russa, forte dei suoi oltre cento milioni di fedeli, ha percepito questa norma come una discriminazione… fino a protestare animatamente contro il fatto che il Cec guardi il mondo dal punto di vista delle Chiese evangeliche e solo con occhiali occidentali, trascurando la sensibilità squisitamente ortodossa, con il suo prezioso patrimonio di spiritualità e teologia (le icone, la liturgia, e così via). Essendo le Chiese ortodosse una trentina in tutto e quelle protestanti oltre trecento, in teoria le prime sono destinate a restare sempre in minoranza: ecco perché ad Harare hanno deciso di uscire clamorosamente dal Cec… mentre a Porto Alegre, otto anni dopo, si è tentato di comporre la disputa attraverso il metodo del consenso, con il relativo impegno a non mettere mai ai voti un problema ecclesiologico: si deve discutere e poi discutere ancora, fino a una composizione, a una convergenza, almeno parziale. Da questo punto di vista, è significativo che il documento teologico predisposto per Busan dalla commissione Fede e Costituzione parli di una visione comune di Chiesa (pur tenendo conto che, sin dall’incontro del Cec di Toronto, del 1950, si stabilì che la partecipazione di una Chiesa allo stesso Cec non implichi mai che essa debba rinunciare a una sua propria ecclesiologia). Ecco, Busan dovrà cercare di rispondere a questo panorama complesso, proseguendo nella – certo faticosa – opera di ricomposizione. Perché, a suo parere, è così simbolicamente rilevante la scelta di avere puntato, da parte del Cec, su una sede sudcoreana? Perché dietro quella terra c’è un gravissimo problema politico, che mette in pericolo la stessa pace mondiale: bi28

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radici. Quel paese, come altre regioni del Sudest asiatico, è stato tradizionalmente influenzato dapprima da una forma locale di sciamanesimo (penetrato dalla Mongolia in tempi ancestrali), successivamente dal buddhismo Mahayana (detto anche del Grande Veicolo) e dal confucianesimo (una presenza antichissima, subito dopo la sua nascita in Cina). Fra il 1962 e il 1994 i protestanti sono passati dalle 735 mila unità a 8 milioni, i cattolici da poco meno di 600 mila a 2 milioni e 600 mila e, infine, i buddhisti da 687 mila a più di 10 milioni (esiste anche il ceondoismo, una religione locale sorta nell’Ottocento il cui nome significa religione della via celeste). La crescita delle confessioni cristiane si accompagna alla rapida trasformazione economica che la Corea del Sud conosce appunto fra il 1960 e il 1990. La società

sogna ricordare, fra l’altro, che la penisola coreana registra oggi la più alta concentrazione di atomiche su scala mondiale. Dal 27 luglio 1953, data dell’armistizio di Panmunjeon, il 38° parallelo – il confine più fortificato al mondo! – divide le due porzioni della penisola coreana, che da allora si accusano reciprocamente (recentemente, ad esempio, la Corea del Nord si è scagliata contro quella del Sud, perché a suo dire quest’ultima starebbe preparando un attacco contro di essa, insieme agli Stati Uniti). Esiste qui, dunque, un rischio perennemente incombente: ecco perché si tratta di un fatto notevolissimo aver scelto la Corea del Sud, un vistoso atto di fede e di speranza da parte del Cec riflettere proprio in quella sede su “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace”. Organizzare da quelle parti un evento del genere non è e non sarà certo una passeggiata! Penso ne sarebbe felice Dietrich Bonhoeffer, che nel 1934 aveva ipotizzato un concilio mondiale di tutte le Chiese per osare la pace! E perché proprio la città di Busan? Stiamo riferendoci alla seconda città sudcoreana per numero di abitanti, oltre che quinto porto per volume di merci nel mondo intero: si tratta di una vasta metropoli industriale, un cruciale porto commerciale situato strategicamente fra Cina e Giappone (per dire, tutti i giorni dalla Cina si alWCC / IGOR SPEROTTO

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Un momento della 9° Assemblea del Cec a Porto Alegre (Brasile).


MORNINGTONPRES.ORG.NZ

KOREANBUDDHISM.NET

coreana, come altre realtà dell’Estremo Oriente, coinvolte nei processi di modernizzazione economica di tipo capitalistico, ha visto tramontare l’universo dei valori tradizionali legati al mondo contadino e alle comunità di villaggio. Valori fondati su un diffuso ed ereditato senso del sacro, che combinavano elementi dell’antica cultura sciamanica con la spiritualità confuciana. La modernizzazione socio-economica ha portato con sé, da un lato, maggiore benessere individuale, ma, dall’altro, nuove forme di disuguaglianza sociale. La Chiesa cattolica ha così potuto espandersi, essendo riuscita a presentare il suo messaggio religioso come una risposta etica al bisogno di giustizia sociale, piegando il suo linguaggio teologico alle categorie mentali proprie del popolo coreano. Divenendo una Chiesa nazionale coreana, il cattolicesimo ha potuto mettere radici, distanziandosi dalla teologia romana e guadagnando

Dall’alto: Isola Jeju (Corea del Sud), buddhismo mahayana, tempio Yakcheonsa; momento di preghiera di monaci e fedeli buddhisti per la conservazione della cultura coreana e il benessere delle persone; Seoul (Corea del Sud), Yoido Full Gospel Church, mega chiesa pentecostale.

zano parecchi voli direttamente per Busan), ragguardevole anche sul piano culturale e turistico. Del resto, è l’intero paese sudcoreano a offrire oggi, da un lato, un singolare orizzonte ecumenico, e, dall’altro, a risultare una sorta di concentrato delle maggiori questioni ecclesiali e sociali attuali: vi si registra una crescita esponenziale delle Chiese di ascendenza evangelicale e pentecostale, con relativo dissanguamento delle Chiese storiche (anche perché la sanguinosa guerra del 1950-1953, mai ufficialmente terminata, ha sventrato Seul, la capitale, e favorito l’arrivo di diverse denominazioni dagli Stati Uniti), ma anche una secolarizzazione devastante e una forte ricerca di senso; tecnologie assai avanzate e, insieme, sacche di povertà decisamente estese. Con un gioco di parole, direi che lì si può sperare tantissimo e disperare tantissimo… Quali sono le questioni aperte che sarà più difficile veder risolte a Busan? In realtà, non sono poche né di secondaria rilevanza! A partire dalla celebrazione comune della cena del Signore, che mi parrebbe destinata a restare irrisolta a causa delle diverse letture da parte dell’ortodossia (che vede l’intercomunione come un premio, un traguardo finale) e del protestantesimo (che la legge come un viatico); per giungere al

una relativa autonomia da Roma. Anche il protestantesimo ha conosciuto una straordinaria crescita, non tanto e non solo nelle forme tradizionali, quanto piuttosto secondo modelli radicalmente nuovi: sia le grandi Chiese pentecostali (come la Full Gospel Church) sia le nuove Chiese post-protestanti, come la Chiesa dell’Unificazione del reverendo Moon (fondata nel 1954) o la Chiesa che fa proseliti trasformando le partite di calcio in scontri fra le forze dello spirito e quelle del male (!), proliferate e moltiplicatesi negli ultimi decenni, mostrano quale sarà la direzione di marcia che il cristianesimo assumerà nel futuro: per un verso, come religione non estranea alla culture nazionali e locali, anzi capace di accogliere concezioni che provengono dagli strati profondi delle credenze storicamente precedenti e, per un altro, come nuova immaginazione nel credere.

rapporto con la Chiesa cattolica, che – com’è noto – non è membro del Cec, anche se da sola conta più fedeli di tutte le altre Chiese sparse sulla terra! Poi, evidenzio due altri problemi di grande portata: il potere delle Chiese e la presenza femminile. Quest’ultimo, in particolare, mi sembra strategico perché, se non le prenderanno sul serio, le donne sono destinate a spaccare le Chiese stesse! Infine, ma non da ultimo, non dimenticherei la grave situazione economica del Cec, che da diverso tempo rischia di metterne in discussione la stessa esistenza. Sarebbe importante che anche nel nostro paese si discutesse di quanto avverrà a Busan, ma è difficile essere ottimisti al riguardo, perché viviamo una condizione di triste provincialismo... Che cosa si può fare da qui, partecipando sia pur da lontano ai lavori dell’assemblea? In primo luogo, ritengo sia decisivo che nei gruppi, nelle parrocchie, nelle comunità locali, si diffonda la notizia di questo evento, e soprattutto si preghi affinché l’assemblea del Cec riesca, e riesca bene: anche perché, se le Chiese non si dimostrano capaci di fare la pace tra loro, è impossibile che siano prese sul serio nella loro azione dagli osservatori esterni. La pace fra le Chiese è decisiva, per poter risultare credibili agli occhi del pianeta! E pregare, nello specifico, perché a Busan si dia un gesto profetico da parte delle Chiese, in vista dell’annuncio sempre più efficace del Vangelo di Gesù. È san Paolo che ci esorta: “Lasciatevi riconciliare!”, e la riconciliazione esige il pentimento. Nel nostro caso, occorrerà mettere al primo posto il gesto del samaritano della parabola lucana, e ricordare sempre che il ferito della parabola, in Corea, è un intero popolo spaccato in due. A CURA DI BRUNETTO SALVARANI Missione Oggi | ottobre 2013

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Intervista a Nilton Giese

Un ecumenismo di gesti concreti A CURA DI MAURO CASTAGNARO

Quali attese nutrono le Chiese latinoamericane nei confronti dell’assemblea di Busan? Queste assemblee sono un’occasione per condividere ciò su cui ciascuno lavora. Come Clai metteremo l’accento sull’approccio ecumenico nella teologia pratica, in vista di un ecumenismo di gesti concreti. Tema dell’assemblea sarà “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace”. Quale pensa possa essere il contributo specifico delle Chiese latinoamericane? Come Clai vogliamo condividere due iniziative che coordiniamo. La prima è il Programma di accompagnamento delle vittime della violenza in Colombia, con cui, mediante delegazioni internazionali che convivono fino a 3 mesi in luoghi di conflitto, forniamo sostegno emotivo e spirituale a comunità colpite dal conflitto armato. La seconda è quella di sfidare le Chiese ad approfondire i temi legati alla salute sessuale e riproduttiva nelle loro pastorali giovanili e di giustizia di genere. Dopo l’Africa, l’America latina ha il più alto numero di gravidanze precoci. In maggio si è svolta a Cuba la VI Assemblea del Clai. Come valuta lo stato dell’ecumenismo intraevangelico in America latina? Stiamo abbattendo pregiudizi nelle Chiese pentecostali che considerano l’ecumenismo una strategia della Chiesa cattolica per far tornare tutti sotto Roma. Questa idea è molto forte nel mondo protestante. Perciò il 30

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Clai ha deciso di approfondire gli aspetti positivi dell’ecumenismo fondati su una teologia pratica. Nei Tavoli che in ogni paese riuniscono i membri locali del Clai i temi più richiamati sono stati quelli collegati alla gravidanza di adolescenti, alla mortalità materna e alla violenza sessuale. Col Fondo delle Nazioni Unite sulla popolazione e lo sviluppo (Unfpa) abbiamo preparato materiali didattici, che comprendono una base teologica, per discuterne nelle Chiese. Alcuni osservatori sostengono che il boom del movimento pentecostale comincia a rallentare. Come giudica questo sviluppo e questa presenza nel continente? Il movimento pentecostale è presente in America latina da oltre un secolo, poiché i

Oggi a preoccupare sono le megaChiese neopentecostali, che promuovono in modo aggressivo un discorso di “guerra spirituale” contro le altre religioni (comprese quelle indigene e i culti afroamericani) ed enfatizzano la lotta contro i demoni per rendere possibile la prosperità

Nilton Giese, pastore della Chiesa evangelica di confessione luterana in Brasile (Ieclb), è segretario generale del Consiglio latinoamericano delle Chiese (Clai). Dopo gli studi alla Scuola superiore di teologia (Est) di São Leopoldo, nello Stato del Rio Grande do Sul, ha esercitato il ministero in Brasile e Costa Rica, insegnando anche al Seminario evangelico di Matanzas, a Cuba.

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Il card. Jorge Bergoglio è sempre stato molto aperto al dialogo ecumenico. In Argentina ha pregato con gruppi pentecostali che non sono ecumenici, ma hanno posizioni conservatrici sul piano etico. Come Clai abbiamo avuto vari incontri, specie sull’impatto negativo del debito estero sullo sviluppo dei nostri paesi, chiedendo una revisione dei contratti bilaterali in ogni nazione da parte della società civile. Il card. Bergoglio è pure noto per le forti critiche al governo argentino e per la sua opposizione ai diritti sessuali e riproduttivi. WCC/MARCELO SCHNEIDER

ne confessionale. In molte Chiese protestanti l’introduzione di canti pentecostali e preghiere con la partecipazione attiva dei fedeli ha reso più vivo il culto. Come sono i rapporti tra le Chiese aderenti al Clai e la Chiesa cattolica romana? In generale abbiamo ottime relazioni con le conferenze episcopali. In qualche caso un certo allontanamento si è verificato a causa dei conflitti politici locali: in Honduras per l’appoggio del card. Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, al colpo di Stato che nel 2009 ha rovesciato il presidente WCC/MARCELO SCHNEIDER

primi pentecostali giunsero in Brasile nel 1910. L’istituzionalizzazione cambia le comunità pentecostali. I pastori e le pastore cercano una formazione teologica di qualità e spesso la trovano nei seminari delle Chiese protestanti storiche. Allora l’apertura ecumenica è naturale. Oggi a preoccupare sono le megaChiese neopentecostali, che promuovono in modo aggressivo un discorso di “guerra spirituale” contro le altre religioni (comprese quelle indigene e i culti afroamericani) ed enfatizzano la lotta contro i demoni per rendere possibile la prosperità. In ge-

LWF/MILTON BLANCO

Penso che le Chiese storiche si siano maggiormente aperte alla spiritualità a partire dalla liturgia, ma nella predicazione restino abbastanza fedeli alla loro tradizione confessionale. In molte Chiese protestanti l’introduzione di canti pentecostali e preghiere con la partecipazione attiva dei fedeli ha reso più vivo il culto

nerale le Chiese neopentecostali non chiedono ai membri una partecipazione, ma provocano conflitti familiari e interecclesiali per le pratiche che esigono come prova di fedeltà a Dio: vendere la casa e consegnare il ricavato alla Chiesa, assaltare luoghi religiosi afro o indigeni per espellere il potere del male ecc., il tutto affinché Dio ricompensi la fedeltà della persona con beni materiali. C’è una “pentecostalizzazione” delle Chiese protestanti storiche latinoamericane? Penso che le Chiese storiche si siano maggiormente aperte alla spiritualità a partire dalla liturgia, ma nella predicazione restino abbastanza fedeli alla loro tradizio-

della Repubblica Manuel Zelaya; in Paraguay, perché diversi vescovi hanno consigliato al presidente Fernando Lugo di non opporre resistenza alla propria destituzione per evitare uno spargimento di sangue; in Venezuela per il conflitto col governo promotore del “socialismo del XXI secolo”, che ha diviso le Chiese. Come Clai puntiamo a discutere col Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) una proposta di gestione dei conflitti. Non vogliamo eliminarli con un pensiero unico. Proponiamo di dibattere il modo in cui caratterizzare le Chiese come spazi democratici. Che aspettative ha suscitato nelle Chiese del Clai l’elezione di Papa Francesco?

Molti temono che come Papa, applichi la sua militanza attiva in questo campo anche ad altri paesi della regione. Quali sono le sfide e le potenzialità dell’ecumenismo in America latina? La VI Assemblea ha stabilito che il Clai deve continuare a sollecitare le Chiese a tener conto dei diritti sessuali e riproduttivi, deve approfondire il tema della giustizia sociale per favorire il varo di politiche contro la fame e per l’occupazione, soprattutto giovanile, deve promuovere una pastorale ecumenica di accompagnamento dei movimenti sociali e consulenza pastorale alle lotte popolari. Inoltre intendiamo favorire una pastorale ecumenica di sostegno ai migranti (chi emigra e le famiglie che restano), un’azione congiunta delle Chiese in caso di catastrofi (prevenzione, formazione di comunità in situazioni di rischio, pressione politica per il diritto a una casa decente, cura pastorale e psicologica delle vittime) nonché il dialogo e la cooperazione con altri organismi ecumenici o confessionali, come il Celam. A CURA DI MAURO CASTAGNARO Missione Oggi | ottobre 2013

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AFP PHOTO / SASA KRALJ

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Porto Alegre (2006).

Harare (1998).

Le assemblee del Cec

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Da Amsterdam a Porto Alegre 1948 - Amsterdam (Olanda): “Il disordine dell’uomo e il disegno di Dio”

WCC

l Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) si definisce una “fraternità di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore, secondo le Scritture, e si sforzano di rispondere insieme alla loro vocazione comune per la gloria di un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo”, camminando “sulla via dell’unità visibile in una sola fede e in una sola comunione eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo”, nell’evangelizzazione, nel servizio all’umanità, nell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Il Cec è sorto nel 1948, dalla fusione delle organizzazioni interconfessionali Fede e Costituzione (Faith and Order) e Vita e Azione (Life and Work) – cui si aggiunse nel 1961 il Consiglio missionario internazionale – nate dopo la Conferenza missionaria mondiale di Edimburgo del 1910, considerata l’inizio dell’ecumenismo moderno. Ha sede a Ginevra, in Svizzera, e oggi costituisce il più grande e rappresentativo organismo ecumenico del mondo, riunendo, alla fine del 2012, 345 Chiese di 110 paesi, in rappresentanza di oltre 560 milioni di cristiani di tutte le principali famiglie confessionali, soprattutto protestanti, anglicane e ortodosse. La Chiesa cattolica romana partecipa come “osservatrice”, mentre è membro a pieno titolo della commissione “Fede e costituzione”. Questi incontri hanno visto il progressivo allargamento del numero dei membri

1954 - Evanston (Stati Uniti): “Cristo, la speranza del mondo” 1961 - New Delhi (India): “Gesù Cristo, la luce del mondo” 1968 - Uppsala (Svezia): “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” 1975 - Nairobi (Kenya): “Gesù Cristo libera e unisce” 1983 - Vancouver (Canada): “Gesù Cristo, vita del mondo”

Nuova Delhi (1961).

1992 - Canberra (Australia): “Vieni, Spierito Santo, rinnova tutta la creazione” 1998 - Harare (Zimbabwe): “Volgetevi a Dio, rallegratevi nella speranza” 2006 - Porto Alegre (Brasile): “Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo” Amsterdam (1948).

WCC / FACEBOOK.COM

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del Cec, prima alle Chiese ortodosse dell’Europa orientale all’inizio degli anni 60, poi a quelle divenute autonome dopo la decolonizzazione, con uno spostamento del baricentro dell’organismo verso il Sud del mondo. La riflessione ha sempre cercato di coniugare l’ispirazione biblica, l’illuminazione teologica e l’analisi socioculturale, affrontando temi come l’evangelizzazione e la testimonianza cristiana, il rinnovamento della cristologia e della visione ecclesiologica, la spiritualità e i sacramenti, il dialogo ecumenico e la comunione tra le Chiese, lo sviluppo economico e la giustizia in-

ternazionale, il razzismo e il ruolo della donna nella società e nella comunità ecclesiale, la promozione della pace, la salvaguardia dell’ambiente e le minacce alla pace. La discussione è stata a volte attraversata da tensioni, come quelle che hanno spinto ad Harare a istituire una Commissione sulla partecipazione delle Chiese ortodosse, critiche verso “l’egemonia protestante” sul Cec, e slanci, per esempio verso la creazione di un Forum delle Chiese cristiane e delle organizzazioni ecumeniche che coinvolgesse la Chiesa cattolica romana e le Chiese pentecostali. (m.c.)


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