Interaction Design

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Ho consegnato questo documento per l’appello d’esame del 6 Giugno 2011 del corso Interaction Design Theory (Teorie dell’interazione) tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor alla Facoltà di Design e Arti, Università Iuav di Venezia. Per tutte le sequenze di parole che ho copiato da altri fonti, ho: a) riprodotte in corsivo, inoltre b) messo virgolette di citazione al loro inizio e fine, inoltre c) indicato, per ogni sequenza, il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altri fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario, inoltre b) il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze e immagini di questo documento sono state scritte o create esclusivamente da me. 20 Maggio 2011


Interaction Design Un viaggio attraverso le fasi di progettazione di un dispositivo tecnologico Claudia Miliziano



INTRODUZIONE

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AMBIENTI INTELLIGENTI sempre più circondati da dispositivi tecnologici

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FASI DELLA PROGETTAZIONE

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RICERCA DI DESIGN comprendere gli utenti e i loro bisogni attraverso l’intervista partecipativa

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CREARE LE PERSONAS il miglior strumento per identificare gli utenti

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TEMPESTA DI CERVELLI lasciamo spazio alla nostra creatività

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PAROLE E IMMAGINI comunicare il contesto e le azioni dell’utente con la tecnica dello storyboard

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Indice

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LA MIGLIORE INTERAZIONE stabiliamo le scelte da effettuare sull’interfaccia

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INVITI E VINCOLI sfruttare le proprietà dell’affordance per far capire l’usabilità dell’oggetto

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MODELLI MENTALI agevolare l’usabilità attraverso le correlazioni

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OPERAZIONE PROTOTIPO realizzare un modello di prova a scopo dimostrativo

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CONCLUSIONE

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BIBLIOGRAFIA



Introduzione

Ogni giorno, sin da quando apriamo i nostri occhi, ognuno di noi interagisce con ciò che lo circonda. Non ce ne rendiamo conto, ma ogni azione che compiamo è un’interazione. Un’interazione con l’ambiente, con le persone, con gli oggetti, con i servizi. Oggetti e servizi, in particolare, condizionano noi e i nostri comportamenti. Ecco perché, con l’avvento delle nuove tecnologie digitali, si è ritenuto necessario approfondire ciò che succede quando le persone entrano in contatto con esse. Nasce dunque una nuova disciplina: l’Interaction Design, il cui obiettivo è quello di progettare l’interazione tra prodotto tecnologico e utente e di realizzare una tecnologia che risponda efficacemente ai bisogni degli individui che la utilizzeranno. Attraverso l’analisi delle varie fasi di progettazione e alcuni esempi, questo booklet darà quindi la possibilità ad ogni lettore di comprendere più a fondo la professione dell’interaction designer, le tematiche affrontate, le pratiche e gli strumenti utilizzati da questa figura.

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Ambienti Intelligenti Sempre più circondati da dispositivi tecnologici

Fermiamoci un attimo a pensare a tutti gli oggetti o servizi che adoperiamo quotidianamente. Sono davvero tantissimi e molti di questi sono sempre più tecnologici. Se ci soffermiamo su questi ultimi possiamo notare che sono principalmente basati sulla manipolazione e sullo scambio di informazioni. Ecco perché oggi noi viviamo nella cosiddetta Società dell’Informazione, nella quale “l’intelligenza è distribuita e nascosta negli oggetti che ci circondano, producendo ambienti intelligenti con i quali interagire.” (Burzagli, Emiliani, Graziani, Accessibilità dell’informazione e degli strumenti informatici: ricerca e normativa, 1) Ma cosa sono questi ambienti intelligenti? E perché sono importanti? Ogni luogo da noi vissuto può diventare un ambiente intelligente: la nostra abitazione, il posto di lavoro, la scuola, gli spazi per il tempo libero, per il commercio, la salute, i trasporti… Ognuno di questi spazi, infatti, può essere reso più fruibile attraverso l’utilizzo di dispositivi integrati, che agiscono insieme per semplificare le operazioni quotidiane. Per rendere ciò possibile è però necessario che le tecnologie adoperate siano nascoste agli occhi delle persone che le utilizzeranno, ad eccezione di un’interfaccia che sia comprensibile, chiara e usabile. A tal proposito Donald Norman, uno dei padri della moderna psicologia cognitiva, asserisce che “la tecnologia migliore è quella che non si vede, perché è tanto semplice da usare da diventare trasparente”. (Norman, Il computer invisibile)

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Entra a questo punto in gioco la figura dell’interaction designer. Sarà suo il compito di comprendere quali sono le esigenze degli utenti, studiarle e quindi proporre delle opportunità sottoforma di interfacce intelligenti integrate negli oggetti e nell’ambiente. Esse sono definite intelligenti perché possono essere in grado di riconoscere l’utente che le sta utilizzando, modificarsi in base ai suoi bisogni e alle sue scelte e anticipare i suoi desideri. Ma fino a che punto possono spingersi queste nuove tecnologie? Un esercizio molto interessante per un interaction designer può essere quello di immaginare in che modo potrebbe svolgersi una tipica giornata in un ambiente intelligente. Chiudere gli occhi e non porre limiti alla propria immaginazione. Non importa se quello a cui si sta pensando non esiste ancora, oppure se non si ha una piena conoscenza delle tecnologie da adoperare, è questo un passo importante da compiere per addentrarsi nell’interaction design e riuscire a progettare il mondo futuro.


In seguito ad avere immaginato una tipica mattinata in un ambiente intelligente ho disegnato tutto ciò che la mia mente aveva soltanto pensato. Questo esercizio mi è stato molto utile per comprendere a fondo che con lo sviluppo di nuove tecnologie i nostri bisogni e desideri potranno essere facilmente soddisfatti, ma anche che non dobbiamo dimenticare di fare sempre buon uso di esse.

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Fasi della Progettazione

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Ricerca di Design Comprendere gli utenti e i loro bisogni attraverso l’intervista partecipativa

L’interaction designer viene spesso chiamato a risolvere delle problematiche di una certa misura, quelli che vengono definiti problemi cattivi. Questi, non hanno un’unica soluzione, ma possono averne molteplici ed essere valide soltanto per dei progetti e delle situazioni specifiche. Il primo passo da compiere è quello di raccogliere il maggior numero di informazioni. Ma che tipo di informazioni sono necessarie? Inizialmente sarebbe opportuno approfondire le tematiche da affrontare, utilizzando libri, riviste, internet. Ma non va dimenticato che una componente fondamentale dell’interaction design sono le persone, capire le loro esigenze e i loro bisogni, applicando ciò che viene definito design centrato sull’utente. “Quando sorge una domanda su come qualcosa vada fatta, il volere e i bisogni degli utenti determinano la risposta.” (Saffer, Design dell’interazione, 32) Tra i molti metodi di ricerca che un designer può utilizzare sull’utente, uno dei più significativi a mio parere è l’intervista partecipativa.

la macchina fotografica non la metteva a proprio agio, ho quindi preferito catturare i suoi gesti e le sue espressioni riportandole semplicemente in forma scritta sul foglio. Poco dopo ho iniziato a porle delle domande che la facessero parlare liberamente di sé e della sua famiglia, alla quale è molto legata. Bisogna infatti ricordare che le domande devono essere rivolte in modo da lasciare ampio spazio a delle risposte articolate, e non a dei sì o dei no. Dopo qualche domanda si era già liberata da ogni imbarazzo, sembrava interessata e soprattutto divertita dalla nostra conversazione. Mi ha parlato dei suoi figli e dei suoi nipoti, dei suoi interessi, dei suoi desideri e delle piccole, grandi difficoltà che affronta quotidianamente. Nell’ora trascorsa in sua compagnia ho potuto conoscere più nel profondo questa donna e delineare le caratteristiche principali della sua personalità e dei suoi bisogni, in modo da poter in seguito proporre delle idee di servizi o prodotti che potrebbero essere d’aiuto a qualsiasi altra persona che si trovi nelle sue stesse condizioni.

Ho intervistato Maddalena una domenica pomeriggio, con l’obiettivo di comprendere quali potessero essere le esigenze di una persona anziana che vive da sola. Ho portato con me un block notes, una penna e una macchina fotografica. Avevo già preparato alcune delle domande da porle, ma si sa che in questi casi una singola domanda può aprire le strade verso percorsi diversi di indagine. Dopo averle scattato alcune foto, ho capito che

Nella pagina a fianco ho riportato brevemente le informazioni più importanti tratte dall’intervista a Maddalena. Ho potuto delineare una figura molto particolare, poichè è una donna apparentemente forte, ma che dentro sé nasconde una grande fragilità. Nonostante sia circondata dai familiari soffre spesso di solitudine e vorrebbe trovare una soluzione a questo problema.

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Name

Maddalena

Age

76

Job

Ex nursery teacher

Family

She has two daughters and four grandchildren, but she lives alone

The most significative question How it changed your life when you live alone? Tipical day She gets up very early, says one prayer, makes cleans, cooks and watches TV. Free time She loves to do some baking, especially when she is sad or lonely, and loves to call her friends to have long talks with them. Physical problems She has leg pain and so rarely leaves. This condition made her suffer so much, because she can’t go to church and she often needs to ask for help to her family. Favorite period She loves holidays because invites relatives and friends and she can spend time with them. She and Technology She doesn’t have many problems with technology, rather she is very fashineted by it. She said: “I have many aches and I do some baking to vent...” “I have a great relationship with my childhood friends, but unfortunately they live in other cities” “I’m happy that there is the mobile phone, because it is a friend for me” “I would like to learn to use the computer!”

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Creare le Personas Il miglior strumento per identificare gli utenti

Dopo aver concluso le varie fasi della Ricerca di Design, ci si appresta ad analizzare tutto il materiale raccolto. Gli elementi, ad esempio ricavati durante le varie interviste, comportamenti ed esigenze comuni, saranno in questo momento utili per creare le cosiddette personas. Creare è la parola più adatta, poiché le personas non sono reali, ma sono degli archetipi che servono al designer per individuare degli utenti standard che potranno in seguito usufruire di un servizio o di un prodotto. Si individuano inizialmente dei gruppi di utenti, ricordando che non c’è un numero prestabilito, ma che “per la maggior parte dei progetti, il numero di persona dovrebbe essere piccolo, un valore qualsiasi tra uno e sette.” (Saffer, Design dell’interazione, 97) Si delineano quindi i tratti fondamentali: si dà loro un nome, un’età, un profilo socio-culturale, degli interessi e un volto per farli sembrare più reali. Successivamente bisogna studiarli più a fondo, soprattutto definendo gli scopi e le esigenze. È proprio attraverso le loro esigenze che sarà poi possibile gettare le basi per il nostro futuro progetto, comprendere di cosa hanno bisogno e in quale forma. Ricordando che ciò che progettiamo non deve necessariamente essere utile per tutti gli individui, ma che può essere adoperato solo da alcuni gruppi stabiliti di utenti. Attraverso l’esempio qui riportato, è possibile comprendere in modo più chiaro perché per un designer è molto utile adoperare il metodo delle

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personas. Esse comunicano tutte le informazioni interessanti sull’utente in modo semplice e veloce, e saranno, successivamente, “un sistema efficace per raccontare la storia del prodotto ed evidenziare meglio perché si sono operate determinate decisioni di design.” (Saffer, Design dell’interazione, 99) Nonostante le personas siano molto utili non bisogna però dimenticare che, poiché sono gli stessi designer a definire i possibili utenti, esse potrebbero essere state create ad hoc per l’oggetto disegnato. Quindi non si deve cadere nell’errore di ideare degli utenti perfetti per il nostro progetto, cioè gli utenti che stiamo proprio cercando.

Le informazioni sulle personas della pagina a fianco sono state raccolte da me e da altri tre studenti durante il workshop Exhibit 2011 svolto presso l’Università IUAV di Venezia, al quale ho partecipato. Lo scopo di tale workshop era quello di realizzare un applicazione per mobile phone utile per il visitatore. Abbiamo quindi delineato tre diverse figure che abbracciassero tutte le fasce d’età e tipologie dei possibili visitatori: Ugo, lo studioso tradizionalista; Agnès, la turista indaffarata; Andrea, lo studente delle scuole medie giocherellone.


The traditionalist

The busy

The playful

Ugo 61 Milan University Professor

Agnès 32 Paris Architect

Andrea 11 Roma Student

Informations he is married and his wife travels frequently or attends any meeting

Informations she is married, but has no children and travels extensively for work

Informations he attended secondary school, but he is not very studious, he prefers to play

He loves history, literature, chess and gardening

She loves art, cooking, french films and collecting shoes

He loves sport, cartoons, friends and play games

Needs share his knowledge; clear and simple device; to be noticed;

Needs ability to manage time; planning her tour; more flexibility;

Needs fixed device; to participate actively; playful connotation;

He and Technology he is opposed to the technology

She and Technology she likes the interaction

He and Technology he is fascinated by the interactive objects

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Tempesta di Cervelli Lasciamo spazio alla nostra creatività

Vi starete forse chiedendo quando si inizia davvero a pensare al progetto. Abbiamo infatti capito cos’è un ambiente intelligente, fatto delle ricerche di design e creato le nostre personas. “Adesso il designer deve iniziare a scavare per creare realmente qualcosa. Ora deve materializzarsi un’idea su che cosa sarà il prodotto o servizio. È in questo momento che accade un miracolo.” (Saffer, Design dell’interazione, 97) Il momento di cui Saffer sta parlando è il brainstorming, che letteralmente significa “tempesta di cervelli”. Si tratta di una delle più efficaci e conosciute tecniche della creatività, nella quale in modo individuale o in gruppo si producono delle idee finalizzate a trovare delle possibili soluzioni a dei problemi. “Brainstorming can give a fast start to ideation and is often most useful early on, as the constraints are being shaken out.” Il brainstorming può dare un avvio veloce all’ideazione ed è spesso più utile nella fase iniziale, poiché si è liberi da vincoli.) (Moggridge,Designing Interactions, 731) Ci sono infatti delle direttive fondamentali da seguire:

stabilire un tempo preciso, il quale può variare in funzione del tipo di progetto e del numero di persone che stanno partecipando; essere concentrati, lavorando in un luogo tranquillo, senza che l’intervento di persone terze possa essere di disturbo; libera espressione di tutte le idee, non esistono idee stupide o semplici, al contrario è spesso proprio da queste che possono nascere progetti brillanti; nessun giudizio, soprattutto sulle idee degli altri, ricordando che nulla è sbagliato; essere veloci, sintetici e concreti. Per far questo può essere molto utile ad esempio l’uso dei postit, sui quali appuntare le idee, e se possibile accompagnarle con dei disegni. Infine, dopo aver ricoperto le nostre pareti di idee e proposte, bisogna dare avvio alla fase di valutazione. Alcune verranno scartate, altre approfondite, altre ancora combinate tra loro per creare delle idee progettuali migliori.

La foto della pagina a fianco è uno scorcio della fase di brainstorming effettuata durante il workshop Exhibit 2011. La foto è stata realizzata da Jan Eckert.

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Parole e Immagini Comunicare il contesto e le azioni dell’utente con la tecnica dello storyboard

Adesso che abbiamo pensato a delle idee concrete, per capire in maniera più facile e veloce come il progetto possa essere realizzato, è necessario creare degli scenari. “Si tratta, in fondo, di semplici storie: storie che raccontano come sarà utilizzato il prodotto o servizio una volta creato.” (Saffer, Design dell’interazione, 101) Le personas che abbiamo precedentemente ideato non sono state riposte in un cassetto, anzi adesso ci saranno molto utili poiché, rappresentando i nostri utenti, saranno gli attori delle storie che racconteremo. Ciò a cui si deve pensare inizialmente è collocare le personas all’interno dei loro contesti e capire come esse possano comportarsi quando entrano

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in contatto per la prima volta con il prodotto o il servizio e, successivamente, come possano utilizzarlo. Quale sarà la loro prima reazione? Che tipo di approccio avranno? In che modo riescono a comprendere le azioni che devono compiere? “Utilizzando gli scenari, i designer possono realizzare degli schizzi con le parole.”(Saffer, Design dell’interazione, 102) Poiché spesso le immagini sono più efficaci delle parole, il designer può raccontare queste storie attraverso una sequenza di immagini, adoperando la tecnica dello storyboard. Non è importante essere bravi nel disegno, ciò che è rilevante è riuscire a comunicare le azioni


e il contesto, ecco perché si possono utilizzare delle illustrazioni fatte a mano o anche delle fotografie. Le immagini possono inoltre essere accompagnate da parte di testo: didascalie per dare delle ulteriori spiegazioni di ciò che sta accadendo, dialoghi o onomatopee. A tal proposito, non va dimenticato che lo storyboard è utilizzato per comunicare e spiegare agli altri il progetto e che, in molti casi, il designer non è presente per esporre ciò che accade, dunque è necessario che esso sia chiaro e comprensibile. Grazie allo storyboard, infine, è possibile notare delle problematiche prima non evidenziate o delle nuove opportunità da cogliere per migliorare il progetto.

Questo storyboard è stato realizzato da Gabriella Sperotto durante il workshop Exhibit 2011, in seguito alle ricerche effettuate insieme al mio gruppo di lavoro. Esso rappresenta chiaramente il modo in cui le personas, precedentemente create, entrano in rapporto con i dispositivi e l’ambiente.

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La migliore Interazione Stabiliamo le scelte da effettuare sull’interfaccia

In seguito alla realizzazione dello storyboard è necessario stabilire le funzioni che il nostro prodotto o servizio deve compiere e successivamente creare i cosiddetti flussi di compiti. In altre parole dobbiamo studiare e approfondire l’interazione. “Dato che i flussi di compiti mostrano quando gli utenti dovranno eseguire determinate azioni, aiutano a chiarire l’implementazione dei comandi.” (Saffer, Design dell’interazione, 105) È utile creare una disposizione che non sia arbitraria, ma deve esserci una naturale correlazione spaziale tra i comandi e il loro azionamento, stiamo parlando del cosiddetto mapping. “Un mapping naturale, col che intendo lo sfruttare analogie fisiche e modelli culturali, porta alla comprensione immediata. Per esempio, il progettista può utilizzare l’analogia spaziale: per sollevare un oggetto, muovere il comando verso l’alto.” (Norman, La caffettiera del masochista, 43) Si può quindi comprendere che un buon mapping fa si che si possano avere minori difficoltà con prodotti e servizi. È questa la fase in cui vengono prese delle decisioni che saranno importanti per determinare se ciò che si è progettato è un buon design,e se è stato raggiunto l’obiettivo di creare una tecnologia che possa rispondere efficacemente ai bisogni degli utenti. Adesso nulla può essere tralasciato, dobbiamo capire cosa succede quando l’utente si trova davanti al dispositivo tecnologico.

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Capire, ad esempio, quale tipo di manipolazione utilizzare, quella diretta, quella indiretta o entrambe? Nel primo caso possiamo usare la nostra mano, o delle estensioni di essa come il mouse, per eseguire un’azione sull’oggetto. Nella manipolazione indiretta invece, per interagire con l’oggetto, utilizziamo ad esempio un comando che non è effettivamente una parte dell’oggetto stesso. In entrambi i casi è bene che ogni azione venga seguita da un feedback, cioè una conferma che stia succedendo qualcosa, l’effetto del gesto appena compiuto. Pensiamo ad esempio, in che modo potrebbe essere migliorata l’usabilità di un distributore automatico del caffè? Siamo già a conoscenza dei compiti che esso deve assolvere, ciò che si deve fare adesso è trovare delle soluzioni più veloci e semplici per l’utente di ottenere la bevanda desiderata. Si potrebbe quindi applicare uno schermo che permetta di trascinare ciò che ci serve sul bicchiere come se lo stessimo realmente riempiendo.


In seguito all’esercitazione che chiedeva di migliorare il mapping di un distributore automatico ho rappresentato le diverse azioni che può compiere un utente interagendo con esso. Quando il fruitore arriva davanti al distributore l’interfaccia propone contemporaneamente tutte le bevande e tutte le scelte vengono effettuate trascinando le icone sul bicchiere in basso a destra. In questo modo all’utente sembrerà di riempire il bicchiere, così come di mettere lo zucchero. Dopo aver effettuato le scelte basterà poggiare la mano sullo schermo per effettuare il pagamento, e successivamente bere la propria bevanda.

CHOOSE YOUR DRINK AND MOVE IT ON THE CUP

COFFEE

CHOCOLATE

WOULD YOU LIKE SUGAR?

CAPPUCCINO

TEA

BLACK COFFEE

WHITE CHOCOLATE

NO

WOULD YOU LIKE SUGAR?

NO

1

2

1

2

3

4

5

REST YOUR HAND

4

5

3

PLEASE WAIT...

NOW YOU CAN DRINK YOUR BLACK COFFEE

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Inviti e Vincoli Sfruttare le proprietà dell’affordance per far capire l’usabilità dell’oggetto

Nel precedente capitolo ho esposto in che modo è possibile progettare una buona interazione, ma l’esercizio che avevo svolto, pur lavorando bene a mio parere, sui flussi di compiti, le manipolazioni e i feedback, non rispondeva efficacemente alla richiesta di progettare la migliore interazione possibile. Qual è il problema principale che si può subito evidenziare? “Se un progetto ha bisogno di etichette scritte può darsi che sia difettoso. Le etichette sono importanti e spesso necessarie, ma l’uso opportuno di correlazioni naturali può ridurre al minimo la necessità. Ogni volta che sembrano indispensabili scritte e segnali, provate a considerare un progetto diverso.” (Norman, La caffettiera del masochista, 106) Ecco trovato il problema, avevo posto delle scritte per far comprendere all’utente cosa dovesse fare. L’utente deve essere sì aiutato a capire l’usabilità, ma ciò deve essere fatto rendendo visibile solo le cose giuste, deve essere l’oggetto stesso ad indicare il corretto utilizzo. Stiamo quindi parlando dell’affordance, cioè sfruttare al meglio gli inviti e i vincoli di un oggetto per comunicarne facilmente l’uso. In che modo deve essere preso, dove posizionare le nostre mani, quale azioni possiamo esercitare su di esso. Tutti questi inviti o vincoli possono essere percepiti dall’utente attraverso le proprietà fisiche e morfologiche dell’oggetto, oppure attraverso dei modelli concettuali, in altre parole le sue precedenti esperienze possono portarlo a comprendere quali saranno gli effetti delle sue

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azioni, ancor prima che queste siano compiute. Un esercizio che preveda di rintracciare esempi di buona e cattiva affordance, tra gli oggetti che ci circondano, potrebbe perciò essere d’aiuto per capire perché è importante non dimenticare questa proprietà. Si potrebbe però cadere nell’errore di pensare che l’affordance sia una proprietà dei soli oggetti, intesi come prodotti. Questo non è vero poiché anche i servizi devono rispondere alla legge dell’accessibiltà, ed è dalla teoria dell’affordance che si può trarre la teoria dell’usabilità delle interfacce di servizi, siti, cellulari, applicazioni per smart phone.

Nella pagina precedente ho riportato tre esempi di buona affordance. Il primo esempio è una clip per fogli, attraverso le asticelle metalliche forate è possibile comprendere facilmente dove vanno poste le dita per aprirla e successivamente chiuderla. Anche la forma della levetta della zip comunica chiaramente che si deve tirare verso il basso per aprirla o verso l’alto per chiuderla. Infine i fori del sacchetto per la spesa indicano dove inserire le dita per prenderlo, e la sua forma concava suggerisce la funzione di contenitore. Qui di fianco ho invece riportato tre esempi di cattiva affordance. L’apri noci dell’Alessi, un oggetto di design che seppur perfettamente funzionante, ha una forma non riesce a comunicarne l’uso. In alcune automobili invece non è chiaro come poter inserire la retromarcia, spingendo il cambio oppure alzandolo? L’unico modo per scoprirlo è provando! Infine il citofono di casa mia, nonostante ci sia un tasto con scritto “ascolto” è il tasto in basso che si deve tenere pressato per poter sapere chi ha suonato. Anche se ormai sono a conoscenza di ciò, ogni volta presso tutti i tasti prima di riuscire a trovare quello corretto.

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Modelli Mentali Agevolare l’usabilità attraverso le correlazioni

Per creare una buona progettazione quindi, oltre a dover rendere visibili le cose, dobbiamo utilizzare un buon modello concettuale. È quello che viene definito modello del progettista, di colui che crea il dispositivo con cui l’utente dovrà interagire. Questo viene poi applicato al prodotto, creando un secondo tipo di modello mentale: l’immagine di sistema, la quale rappresenta il prodotto stesso, le sue funzioni e il suo aspetto. È quindi la mediazione tra ciò che è stato pensato dal progettista e l’utente, che a sua volta avrà un proprio modello mentale, definito appunto modello dell’utente, utilizzato per comprendere il funzionamento del sistema sulla base di esperienze passate. Se il modello dell’utente coincide con quello del progettista e quindi egli riesce a prevedere come il sistema funzioni, l’usabilità del dispositivo sarà ottimale. Per facilitare la comprensione di un dispositivo che sia nuovo per l’utente, il designer utilizza dei modelli concettuali che sono costituiti da elementi facili e già conosciuti. Ciò viene fatto attraverso l’uso della metafora, utilizzando qualcosa che già esiste, ponendola però in un contesto differente. Sappiamo, per esempio, che a volte l’interazione con alcune interfacce può essere davvero complicata e che ciò che interessa principalmente all’utente è raggiungere lo scopo prefissato, quindi adoperando una buona metafora l’interazione sarà più veloce e più facile per chi la sta utilizzando. Pensiamo adesso a cosa significa davvero utilizzare una metafora. Ad esempio, se dovessimo

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creare un programma utile ad uno studente universitario per calcolare il proprio bilancio economico,quale metafora potremmo utilizzare? “Il design dovrebbe sfruttare le proprietà naturali degli esseri umani e del mondo circostante, mettendo a frutto correlazioni e vincoli naturali.” (Norman, La caffettiera del masochista, 239) Io ho infatti preferito concentrarmi su un ciclo esistente in natura, impiegando la metafora della mucca, e nello specifico il ciclo alimentare. I vari cibi costituiscono le entrate, invece tutto ciò che viene espulso dal suo corpo le uscite.

Attraverso la metafora della mucca ho raffigurato il sistema economico di uno studente che vive da solo. Le entrate sono rappresentate da i cibi ingeriti dalla mucca: quelle fisse da erba e acqua, quelle variabili come piccoli regali dei parenti e i lavoretti, sono invece rappresentate dai cereali. Per le uscite ho utilizzato tutto ciò che viene espulso dal corpo dell’animale: quelle fisse come le tasse e il cibo, sono rappresentate dalle feci, quelle variabili come i vestiti, i trasporti e lo svago, dal latte prodotto.


Fixed incomes

Variable incomes

Fixed outgoinghs

Variable outgoinghs

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Operazione Prototipo Realizzare un modello di prova a scopo dimostrativo

Passo dopo passo il nostro progetto ha preso forma. Inizialmente avevamo in mano solo delle personas con delle esigenze e dei bisogni particolari. Abbiamo quindi dato sfogo alla nostra creatività e trovato delle possibili soluzioni alle opportunità che si sono proposte davanti a noi. Le abbiamo poi approfondite, studiando bene l’interazione e decidendo la corretta posizione dei comandi. Adesso abbiamo l’ultimo passo da compiere: racchiudere tutto ciò che è stato sviluppato nelle varie fasi progettuali all’interno di un prototipo.

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“Come tutti gli altri modelli e diagrammi, anche questo è uno strumento di comunicazione. I prototipi comunicano il messaggio “Questo è come potrebbe essere.”” (Saffer, Design dell’Interazione, 114) Il designer può scegliere tra diversi esemplari di prototipo, in base al tipo di progetto realizzato, a ciò che vuole comunicare e al tempo e alle risorse economiche a sua disposizione. Si può realizzare un prototipo che più si avvicini al prodotto o servizio finale, per materiali e funzionalità; si possono creare dei prototipi


digitali in grado di far vedere ciò che succede se si compiono delle azioni su di esso; oppure realizzare un prototipo di carta, un modo semplice e veloce, ma davvero efficace per comunicare il funzionamento del dispositivo. Per realizzare quest’ultima tipologia di prototipo basta veramente poco. Prendiamo come esempio quello creato insieme ad altri tre studenti per rappresentare un’applicazione per mobile phone, che sia utile all’utente per trovare un ristorante sulla base di alcune scelte particolari o addirittura bizzarre.

Gli utenti fruitori dell’applicazione Skitikkio sono gli studenti che vogliono passare una serata insieme, ma che non hanno un posto che possa ospitare tutti. Viene quindi in loro aiuto questa applicazione, che permette di trovare un ristorante e di effettuare alcune scelte particolari: la grandezza della sala, gli alcolici, il sesso del cameriere, come mangiare (adoperando le posate, le bacchette cinesi o le mani), scrivere la ricetta dei cibi che si vogliono mangiare. Insieme agli altri studenti (Carmen Picca, Carlotta Borasco e Bin Wang) abbiamo realizzato il prototipo in carta e successivamente simulato il funzionamento tramite delle riprese video, adoperando la tecnica del fermo immagine.

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Conclusione

Il viaggio attraverso le varie fasi della progettazione di un dispositivo tecnologico si è concluso. Sono stati illustrati i passi fondamentali da compiere e anche gli errori che non si devono fare. È stato sicuramente possibile comprendere che l’interaction design si occupa del futuro, di costruire un futuro sempre più vicino a noi, che sia fatto di prodotti e servizi che possono essere davvero molto interessanti e che possono, se realizzati seguendo i principi esposti in questo booklet, migliorare la vita di ognuno di noi. Spero che ciò che avete letto possa esservi stato utile non solo per capire che cos’è l’interaction design, ma anche per avvicinarvi di più ad esso. Spero soprattutto di essere stata in grado di trasmettervi un pò del mio interesse ed entusiasmo per questa nuova disciplina, sempre in continua evoluzione. e per la quale c’è ancora tanto da indagare e scoprire.

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Bibliografia

BURZAGLI L., EMILIANI P. L.,GRAZIANI P., Accessibilità dell’informazione e degli strumenti informatici: ricerca e normativa, Firenze <www.it-edean.ifac.cnr.it> NORMAN Donald A., Il computer invisibile, Apogeo, 1998 NORMAN Donald A., La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani, Giunti, Firenze, 1990 MOGGRIDGE B., Designing Interactions, MIT Press, Cambridge, 2007 SAFFER D., Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design, Pearson Education, Milano, 2007 Per le informazioni sul workshop Exhibit 2011 visionare il sito: <http://exhibit2011mobile.wordpress.com/>

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Copertina titolo: Futura Std Extra Bold, 30pt sottotitolo: Futura Std Book, 12pt Capitoli titoli: Futura Std Extra Bold, 30pt sottotitoli: Futura Std Book, 14pt testi: Futura Std Light, 11pt parole chiave: Futura Std Medium, 11pt citazioni: Futura Std Light Oblique, 11pt didascalie: Futura Std Book, 9pt numeri: Futura Std Book, 11pt Il booklet è stato realizzato adoperando: Adobe InDesign CS3 Adobe Illustrator CS3 Adobe Photoshop CS3

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