L'albero in piazza - Rassegna stampa

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tavernacustica: Le Feste de l'UnitĂ 

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tavernacustica Cantautori italiani in acustico mercoledì 1 giugno 2011

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Le Feste de l'UnitĂ 

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Secondo la ricostruzione di Claudio Bernieri (L’albero in piazza – Storia, cronache e leggende delle Feste de L’Unità, Gabriele Mazzotta Editore, Milano, 1977), La prima Festa de L’Unità – o meglio “scampagnata dell’Unità” - viene organizzata a Mariano Comense nel settembre del 1945, sul modello delle Feste de L’Humanité che si tenevano a Parigi dal 1930 e a cui gli esiliati italiani avevano partecipato con i propri stand. Già nel 1947 si svolgono feste de L’Unità nelle principali città del Nord e del Centro (Torino, Milano, Genova, Firenze, Roma): si tratta ancora ritrovi di vecchi compagni e partigiani che avevano conosciuto il confino, il carcere e la lotta, ma ben presto l’atmosfera diventa quella della sagra paesana, con il ballo, il vino, la

Locandina Festa Nazionale de l'Unità di Torino, Italia ’61, 1981

polenta. La prima grande Festa de L’Unità che vede una partecipazione di massa è quella di Roma del settembre 1948- immortalata in un documentario di Carlo Lizzani -, che sancisce il ritorno di Togliatti alla politica, dopo l’attentato. L’obiettivo degli organizzatori è, da questo momento, quello di creare delle alternative alle celebrazioni dei santi patroni, ereditando perciò da queste ultime tutti gli aspetti tipici della festa popolare, con lo scopo tra l’altro di creare per il Pc reti di radicamento simili a quelle che la Chiesa possedeva già da secoli. Dagli anni 70, con il contributo dei movimenti studenteschi e il cambiamento dei costumi, La Festa de l’Unità si trasforma in un grande contenitore che mescola tradizione e nuova cultura pop-rock, sviluppando enormi apparati d'intrattenimento finanziati da grandi sponsor e guidati da organizzatori professionisti. Accanto ai nuovi cantautori impegnati e agli interventi di illustri intellettuali troviamo ancora i divi della canzonetta (come Gianni Morandi e Claudio Villa), e il classico binomio “tortellini e ballo liscio” sopravvive - per fortuna - all’avvicendarsi delle mode. Questo sincretismo è frutto di strategie commerciali, ma forse non solo, se pensiamo che ci troviamo negli anni del Compromesso storico. L’ultima Festa Nazionale de l’Unità si svolge nel 2007 a Bologna, mentre nel settembre del 2008 si tiene a Firenze la prima Festa Democratica Nazionale (e sul web la prima festa de L'Unità di Second Life). Un lungo dibattito ha animato il Pd a proposito del cambio di nome, ma quel che conta è che la sostanza è ancora la stessa. Accanto al liscio troverete i cantautori, o chi li rievoca. E qui entriamo in gioco noi, che vi proponiamo il nostro Tour Democratico 2011 nelle (quasi) più importanti feste della cintura torinese… Pubblicato da tavernacustica a 15:29

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Biografia Diario concerti passati Locandine

tavernacustica Rivoli, Torino, Italy Dario De Seppo (voce, fisarmonica, chitarra acustica, armonica, irish bouzouki); Ale Beltrame (chitarra acustica, chitarra classica, voce); Gioino D'Accurso (flauto traverso, cajon); Marco Segreto (contrabbasso e basso elettrico); Eugenio Rodondi (voce deandreiana e chitarra) Visualizza il mio profilo completo

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Dai mitra dei partigiani alla lap dance l' addio sofferto alla festa dell' U...

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http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/05/29/d...

ARCHIVIO LA REPUBBLICA DAL 1984

Dai mitra dei partigiani alla lap dance l' addio sofferto alla festa dell' Unità 29 maggio 2008 — pagina 13 sezione: POLITICA INTERNA Si può sopravvivere senza festa dell' Unità? Certo che sì, oltretutto la manifestazione cambia solo nome, d' ora in poi si chiamerà «festa democratica», e per quanto riguarda la miriade di feste dell' Unità che si tengono d' estate in tutta Italia, il cambiamento di denominazione avverrà in modo graduale, assicurano al Pd. Eppure, il grido di dolore levatosi da diversi lettori dell' ex quotidiano Pci Pds e Ds, nonché la protesta dei suoi giornalisti per i modi e le prospettive della decisione, vanno al di là degli effetti collaterali della più evidente fusione a freddo tra ex comunisti e Margherita, per giunta vieppiù raggelata dalla recente sconfitta elettorale. Emergeva netto nelle lettere pubblicate ieri il dato ormai anche politico della nostalgia. C' è chi ha colto l' occasione per lamentare ancora la fine dei «valori», il taglio delle «radici», il ripudio dell' «identità socialista»; e chi malinconicamente rimpiangeva un' «icona indimenticabile». Ma colpiva pure una valutazione più legata al presente, se non al futuro: «Non si butta al vento un marchio conosciuto di idealità, spettacoli e buona cucina», là dove l' elemento rimarchevole sta nel termine «marchio», mutuato dal mondo della pubblicità, del mercato, del consumo. Analogo concetto aveva espresso mesi orsono l' ultimo tesoriere diessino, Ugo Sposetti: «Non si cambierà mai nome a un prodotto di successo come la Nutella». Non c' è dubbio che l' accostamento tra la crema di cacao e nocciole e la festa dell' Unità sarebbe certamente suonato blasfemo a Willy Schiapparelli, protagonista della cospirazione antifascista, oltre che misconosciuto intermediario dei finanziamenti sovietici al Pci: a lui comunque si deve la prima festa, tenutasi a Mariano Comense, nel settembre del 1945, con i partigiani e i mitra ancora nella tenda comando, pannelli e tubi Innocenti disposti in uno spiazzo dal pittore Ernesto Treccani, programma a cura di Giancarlo Pajetta. Il compagno Willy s' era ispirato alle feste dell' Humanitè nella Parigi degli anni trenta, ma in un libricino pubblicato nel 1977, «L' albero in piazza» (Mazzotta), lo scrittore e musicologo Claudio Bernieri teorizza la discendenza di questi appuntamenti dalle feste della Rivoluzione francese e riecheggiando un gramscismo realizzato li definisce «l' unica forma culturale di massa in Italia». E in qualche modo lo furono, prima di diventare una specie di innesto pop nella cultura comunista e in seguito un marchio post-politico. Dalla «grande festa nazionale», appunto, come menzionata da Edoardo Bennato in «Sono solo canzonette», fino alle più piccole manifestazioni per anni e anni le feste dell' Unità produssero in mirabile equilibrio politica e salamelle, socialità e tortellini (questi ultimi successivamente dileggiati da D' Alema in polemica con Montanelli), pedagogia e musica per tutti i palati. Fino all' ultimo, si può dire, i militanti e le loro famiglie hanno sacrificato con entusiasmo giorni di ferie e ore di riposo per montare palchi, apparecchiare tavolate, cucinare, sciacquare piatti e appuntare coccardine sul bavero dei visitatori. La stagione più felice fu senza' altro quella di Berlinguer; una vera epopea, a ripensarci, non per caso imitata da quasi tutti gli altri partiti. Il modello andò in crisi giusto alla metà degli anni ottanta. O forse ben prima: a dar retta ai segni, e un po' anche alle profezie comunque colpisce che fu proprio a un festival dell' Unità, e in un dibattito con Giorgio Napolitano, che Pier Paolo Pasolini espose al massimo del suo vigore apocalittico la teoria del «genocidio culturale» degli italiani da parte della società dei consumi. Così come, sempre al festival dell' Unità di Milano, una dozzina d' anni dopo l' uomo della tv del Pci, Walter Veltroni, e l' imprenditore rampante Silvio Berlusconi cominciarono a prendere le misure l' uno dell' altro, e forse anche qualcosa di più - il vivido resoconto stenografico nel recentissimo libro di Michele De Lucia, Il baratto, Kaos. Anche per questo sorprende il sentimento dei lettori dell' Unità dinanzi a un evento che almeno a livello nazionale da tempo aveva definitivamente mutato pelle e senso. Il dubbio, semmai, o il sospetto, è che a un certo punto la formula festivaliera, oltretutto sempre più generica e gigantistica, abbia finito essa stessa per condensare e insieme rappresentare la decadenza e l' estinzione di una pur gloriosa cultura politica. Così, all' insegna della «modernità», parola inevitabilmente ambigua, i dibattiti vengono organizzati come i talk-show e arrivano gli sponsor, non solo la Fininvest, per dire, ma anche Ciarrapico. E per ragioni che trascendono la buona fede dei dirigenti e la passione dei militanti in questo modo la festa dell' Unità si trasforma nel tempio immenso della secolarizzazione rossa: gastronomia coatta e variegatissima, sfilate di moda, crollo di tabù: pubblicità, borsa, roulette, croupier, astrologia, lap dance e spogliarello. Una gran confusione dove la politica gioca ormai un ruolo secondario. Tra impegno residuale e sbraco auto-ironico l' antica egemonia, vanto del Pci, misura la propria inarrestabile scomparsa. Lungo i viali, negli stand, sotto i bianchi gazebi, insieme alle famigliole si ritrovano missionari, metallari, europeisti, cocktail alcolici e distributori automatici di succhi biologici; e poi piccole imprese, comitati antimafia, emittenti di quartiere, codici a barra, danza afrocubana e ricordi di Nilde Iotti. Ma soprattutto manca il cemento, difettano le premesse, tutto sembra giunto da quelle parti per caso, una città senza centro né cuore, un baraccone che la fantasia e l' esperienza scenica berlusconiana avrebbe concepito e realizzato con ben altra efficacia. E adesso la scelta di cambiare, ma solo il nome, per ora. Scrivono i giornalisti dell' Unità: editto di esproprio. Resta il dubbio di che cosa e un po' anche a chi. - FILIPPO CECCARELLI

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» FESTE DELL'UNITA' ADDIO! (HA SENSO RIMPIANGERE UN...

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29/05: FESTE DELL'UNITA' ADDIO! (HA SENSO RIMPIANGERE UN BARACCONE CHE DA MOLTI ANNI MISCHIA GASTRONOMIA TRASH, LAP DANCE, IMBONITORI, VIDEOPOKER E CARTOMANTI?) Category: General

Posted by: editor

E VOI: COSA NE PENSATE? (Lasciate un commento fazioso, grazie)

Si può sopravvivere senza festa dell´Unità? Certo che sì, oltretutto la manifestazione cambia solo nome, d´ora in poi si chiamerà «festa democratica», e per quanto riguarda la miriade di feste dell´Unità che si tengono d´estate in tutta Italia, il cambiamento di denominazione avverrà in modo graduale, assicurano al Pd. Eppure, il grido di dolore levatosi da diversi lettori dell´ex quotidiano Pci Pds e Ds, nonché la protesta dei suoi giornalisti per i modi e le prospettive della decisione, vanno al di là degli effetti collaterali della più evidente fusione a freddo tra ex comunisti e Margherita, per giunta vieppiù raggelata dalla recente sconfitta elettorale. Emergeva netto nelle lettere pubblicate ieri il dato ormai anche politico della nostalgia. C´è chi ha colto l´occasione per lamentare ancora la fine dei «valori», il taglio delle «radici», il ripudio dell´«identità socialista»; e chi malinconicamente rimpiangeva un´«icona indimenticabile». Ma colpiva pure una valutazione più legata al presente, se non al futuro: «Non si butta al vento un marchio conosciuto di idealità, spettacoli e buona cucina», là dove l´elemento rimarchevole sta nel termine «marchio», mutuato dal mondo della pubblicità, del mercato, del consumo. Analogo concetto aveva espresso mesi orsono l´ultimo tesoriere diessino, Ugo Sposetti: «Non si cambierà mai nome a un prodotto di successo come la Nutella»... (CONTINUA DENTRO...)... Non c´è dubbio che l´accostamento tra la crema di cacao e nocciole e la festa dell´Unità sarebbe certamente suonato blasfemo a Willy Schiapparelli, protagonista della cospirazione antifascista, oltre che misconosciuto intermediario dei finanziamenti sovietici al Pci: a lui comunque si deve la prima festa, tenutasi a Mariano Comense, nel settembre del 1945, con i partigiani e i mitra ancora nella tenda comando, pannelli e tubi Innocenti disposti in uno spiazzo dal pittore Ernesto Treccani, programma a cura di Giancarlo Pajetta. Il compagno Willy s´era ispirato alle feste dell´Humanitè nella Parigi degli anni trenta, ma in un libricino pubblicato nel 1977, «L´albero in piazza» (Mazzotta), lo scrittore e musicologo Claudio Bernieri teorizza la discendenza di questi appuntamenti dalle feste della Rivoluzione francese e riecheggiando un gramscismo realizzato li definisce «l´unica forma culturale di massa in Italia». E in qualche modo lo furono, prima di diventare una specie di innesto pop nella cultura comunista e in seguito un marchio post-politico. Dalla «grande festa nazionale», appunto, come menzionata da Edoardo Bennato in «Sono solo canzonette», fino alle più piccole manifestazioni per anni e anni le feste dell´Unità produssero in mirabile equilibrio politica e salamelle, socialità e tortellini (questi ultimi successivamente dileggiati da D´Alema in polemica con Montanelli), pedagogia e musica per tutti i palati. Fino all´ultimo, si può dire, i militanti e le loro famiglie hanno sacrificato con entusiasmo giorni di ferie e ore di riposo per montare palchi, apparecchiare tavolate, cucinare, sciacquare piatti e appuntare coccardine sul bavero dei visitatori. La stagione più felice fu senza´altro quella di Berlinguer; una vera epopea, a ripensarci, non per caso imitata da quasi tutti gli altri partiti. Il modello andò in crisi giusto alla metà degli anni ottanta. O forse ben prima: a dar retta ai segni, e un po´ anche alle profezie comunque colpisce che fu proprio a un festival dell´Unità, e in un dibattito con Giorgio Napolitano, che Pier Paolo Pasolini espose al massimo del suo vigore apocalittico la teoria del «genocidio culturale» degli italiani da parte della società dei consumi. Così come, sempre al festival dell´Unità di Milano, una dozzina d´anni dopo l´uomo della tv del Pci, Walter Veltroni, e l´imprenditore rampante Silvio Berlusconi cominciarono a prendere le misure l´uno dell´altro, e forse anche qualcosa di più - il vivido resoconto stenografico nel recentissimo libro di Michele De Lucia, “Il baratto”, Kaos. Anche per questo sorprende il sentimento dei lettori dell´Unità dinanzi a un evento che almeno a livello nazionale da tempo aveva definitivamente mutato pelle e senso. Il dubbio, semmai, o il sospetto, è che a un certo punto la formula festivaliera, oltretutto sempre più generica e gigantistica, abbia finito essa stessa per condensare e insieme rappresentare la decadenza e l´estinzione di una pur gloriosa cultura politica. Così, all´insegna della «modernità», parola inevitabilmente ambigua, i dibattiti vengono organizzati come i talk-show e arrivano gli sponsor, non solo la Fininvest, per dire, ma anche Ciarrapico. E per ragioni che trascendono la buona fede dei dirigenti e la passione dei militanti in questo modo la festa dell´Unità si trasforma nel tempio immenso della secolarizzazione rossa: gastronomia coatta e variegatissima, sfilate di moda, crollo di tabù: pubblicità, borsa, roulette, croupier, astrologia, lap dance e spogliarello. Una gran confusione dove la politica gioca ormai un ruolo secondario. Tra impegno residuale e sbraco auto-ironico l´antica egemonia, vanto del Pci, misura la propria inarrestabile scomparsa. Lungo i viali, negli stand, sotto i bianchi gazebi, insieme alle famigliole si ritrovano missionari, metallari, europeisti, cocktail alcolici e distributori automatici di succhi biologici; e poi piccole imprese, comitati antimafia, emittenti di quartiere, codici a barra, danza afrocubana e ricordi di Nilde Iotti. Ma soprattutto manca il cemento, difettano le premesse, tutto sembra giunto da quelle parti per caso, una città senza centro né cuore, un baraccone che la fantasia e l´esperienza scenica berlusconiana avrebbe concepito e realizzato con ben altra efficacia. E adesso la scelta di

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cambiare, ma solo il nome, per ora. Scrivono i giornalisti dell´Unità: editto di esproprio. Resta il dubbio di che cosa e un po´ anche a chi. (Filippo Ceccarelli, La Repubblica)

Comments Pushabin wrote: Libido Enhancer Wow, this Post is really helpful! Thanks! 29/03 13:00:08

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