dmc
Anno 23 - nº. 6 del 2010
direttore Ugo Canonici
Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa DM & Comunicazione Organo d’informazione del Club C3
&
Comunicazione
Far del bene fa bene
Poste Italiane S.p.A. Sped in a.p. - d.l. 353/2003 conv. l. 46/2004. art1.c.1 - LO/MI - Mensile - 5 Euro
Internet
Il futuro della Rete è nomade La gestione delle obiezioni pag. 16
Marketing
Multicanalità
CLEIS è un’Agenzia di Comunicazione d’impresa specializzata nell’organizzazione di Eventi aziendali. Cosa facciamo: CREATIVITA’ Grafica - Web Presentazioni Audiovisivi
STRATEGIA Marketing & Comunicazione
COACHING
Cleis
EVENTI E MEETING In Out Motivazione
UFFICIO STAMPA Newsletter
FORMAZIONE Formazione finanziata
CLUB AZIENDALI GESTIONE FORNITORI GESTIONE AMMINISTRATIVA Fin dal 1998 ha acquisito la certificazione di qualità UNI EN ISO 9001: 2000 per i sistemi di gestione della qualità nella progettazione ed erogazione di servizi di comunicazione d’impresa e di servizi di formazione aziendale. Cleis Spa - via Lazzaro Spallanzani 10, 20129 Milano - Tel 02 7422 221 - cleis@cleis.it - www.cleis.it
dmc Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa
Le uscite di dm&c: • febbraio • aprile • giugno • agosto • ottobre • dicembre
&
www.dmconline.it dm&c è anche in tempo reale DM
il Direct Marketing è una strategia di marketing che utilizza la comunicazione per rivolgersi, con strumenti interattivi, a un pubblico mirato onde ottenere risposte misurabili.
Ma r k eti n g
tutte le attività che vengono svolte da un’azienda per giungere alla vendita dei prodotti/servizi offerti (dalla ricerca alle indagini di mercato, dal lancio del prodotto alla post-vendita).
C om u n i c a z i on e d ’ i mp r e s a
un processo che utilizza in modo integrato gli strumenti della comunicazione per far conoscere efficacemente al mercato l’offerta e determinare il posizionamento.
I lettori di dm&c da un’indagine del Maggio 2010 A QUALI AZIENDE APPARTENGONO
Utenti di comunicazione
61,3 %
Agenzie di comunicazione e meeting planners
26,7 %
QUALE FUNZIONE HANNO IN AZIENDA
Titolari, presidenti, amministratori
21,8 %
Commerciale, marketing
46,1%
Direzione pubblicità, responsabile Rel. Est.
24,2 %
Concessionari, editori
2,4 %
Associazioni professionali, Pubblica Amministrazione
Media
3,2 %
5,9 %
Creativi - direttori
2,6 %
Varie
3,7 %
Varie aziendali
2,1%
Per abbonarsi con un click www.miabbono.com/dmc dmc è media partner di:
www.clubdellosso.it
www.site-italy.com
GESTIONE OPERATIVA ABBONAMENTI Direct Channel S.r.l Via Pindaro 17 - 20128 Milano www.labuonacomunicazione.it abbonamenti@directchannel.it
L’abbonamento partirà dal primo numero raggiungibile. Per il rinnovo attendere l’avviso di scadenza.
Servizio la cortesia : 02.252007.200 Per ottenere copia cartacea di Abbon am en t o: 6 n u m dm&c e r i d i d m & c ( 2 5 Eu r o ) basta un click www.miabbono.com/dmc
Informativa ai sensi dell’art.13, D. lgs. 196/2003: I suoi dati saranno da noi trattati, manualmente ed elettronicamente al fine di gestire il Suo rapporto di abbonamento. A tal fine ci avvaliamo della collaborazione di Direct Channel Srl – Via Pindaro, 17 – 20128 MILANO. Ai sensi dell’art.7 d.lgs, 196/2003 potrà esercitare i relativi diritti, fra cui consultare, modificare, cancellare i suoi dati od opporsi al loro utilizzo per fini di comunicazione commerciale interattiva, rivolgendosi a Direct Channel Srl – Via Pindaro, 17 – 20128 MILANO. Preso atto dell’informativa, abbonandomi esprimo il mio consenso al trattamento dei miei dati personali per le finalità in essa espressamente indicate.
Sommario Anno 23 - no 6 del 2010
EDITORIALE 7
Trovare tempo per avere tempo di Ugo Canonici
LA NOTA 8
Glocalizzazione di Guido Montacchini
COMUNICAZIONE 10 13 16 18 22 26 28 36 39
Inventare e coinvolgere di Grazia De Benedetti Far del bene fa bene di B.C. La gestione delle obiezioni di Ivonne Porto Turismo dell’orrore di Pier Giorgio Cozzi Perché il pubblico capisca di Emiliano Ricci Comunicare in stile retrò di Domenico Matarazzo Parlare in pubblico: questione di stile di Ugo Clima Il futuro della rete è nomade di Carlo Cremona Conoscenza e Comunicazione di Bruno Calchera
8
MOTIVAZIONE
10
32 Dove andiamo quest’anno? di Fabrizia Vania Calzavara
MARKETING 20 24 34 42 58
Multicanalità di Andrea Boscaro Se non è etico non è vero WOMM di Marco Maglio Opportunità in tempi di crisi di Axel Lo Guzzo Da cliente a cliente-fedele di Antonio Ferrandina “Mi è venuta un’idea che vi racconto” di Erminia Casadei
COMUNICARE CON I CONVEGNI 56 Liguria “TERRADAMARE” di Giovanna Risso
20
RUBRICHE 44 48 52 54 60
Informalibri Fatti & Persone Comunicazione & Benessere Comunicazione Sociale Club dell’Osso
PENSIERO LIBERO 62 Linguaggio e potere di Alessandro Lucchini
48
dmc Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa
&
Amico lettore, dm&c viene realizzato sia su supporto cartaceo sia su supporto digitale. Se desideri ricevere la Rivista, gratuitamente, via e-mail, invia la richiesta a: direzione@dmconline.it segnalandoci le tue corrette coordinate. Se ritieni che anche un tuo amico sia interessato alla lettura di dm&c aggiungi anche le sue coordinate. Per ricevere la versione su carta puoi collegarti a www.miabbono.com/dmc.
Scrivici Subito!!! direzione@dmconline.it
La rivista, diretta da Ugo Canonici, si propone come testata leader nel settore del marketing, direct marketing e comunicazione d’impresa. Una marcia in più per chi vuole muoversi senza problemi nel difficile mondo del lavoro.
Editoriale
Trovare il tempo per avere tempo Che la risorsa più importante e più preziosa, oggi, sia il tempo, credo che non lo possa negare proprio nessuno. E infatti tutti noi spesso abbiamo sentito dire ( e abbiamo detto) “mi spiace, non ce l’ho fatta proprio. Mi sarebbe piaciuto, ma non ho avuto tempo…”. “Verrei volentieri, ma ho tanti impegni”. “Ah, se il tempo non fosse sempre tiranno!”. “Vorrei leggere di più, ma …”. E questo non vale solo per il quotidiano o per appuntamenti di secondaria importanza. Perché capita anche di sentir dire: “Quanto avrei voluto poter seguire la crescita dei miei figli, star loro vicino, essere un punto di riferimento. Adesso me li trovo grandi e quasi non ci conosciamo. Ma sai, non avevo tempo…”. “Mi piacerebbe dedicarmi un po’ al mio fisico, alla cura della mia salute, ma, cosa vuoi, non ho mai il tempo…”. No. Non intendo giocare a questo gioco. E non sono disposto a credere a quanto viene detto. Mi sembra un modo per cercare delle scuse a se stessi quando ci si accorge di avere sbagliato. Si sa, siamo sempre pronti a perdonarci! Ho letto una frase in un bel libro di Tiziano Terzani “trovare il tempo per avere tempo”. Se vogliamo, se sappiamo dare il giusto peso alle scelte, il tempo lo troviamo. Questo vale anche per il lavoro. Oggi stiamo vivendo un periodo di accelerazione spaventosa di tutto. Qualunque lavoro tu faccia, questo ti viene richiesto per ieri. Nel mondo della comunicazione ci si è accorti che c’è anche il giorno prima di ieri. Un mercato asfittico poi ti impone quasi di dover dire di si anche a richieste che in sé hanno già una dichiarazione: “non ti lascio il tempo per pensare”. Lo so, vale per tutti i lavori. Ma in special modo nella comunicazione: ci vuole il tempo per riflettere. La comunicazione deve giocare su tanti fattori, di tipo sociale, psicologico, emotivo. Deve guardarsi intorno per saper utilizzare l’attualità e rifuggire il déja vu. Deve recepire il briefing , lasciarlo sedimentare e poi proporre la giusta risposta. E per tutto questo ci vuole del tempo. Un tempo che l’interpellato deve trovare ma che anche il richiedente deve sapere che è necessario. Necessario nel suo interesse. Per avere una proposta che non poggi solo sulle capacità tecniche, sul mestiere, sul “riciclaggio” di un successo precedente. Se ci si accontenta, magari va bene anche così. Ma ne vale la pena? Quando sarebbe bastato, magari, trovare il tempo per avere tempo di richiedere le cose con un giusto anticipo…
Ugo Canonici
Ugo_Canonici@cleis.it
no6 - 2010 - dm&c
7
La Nota Guido Montacchini
E’ possibile un nuovo equilibrio che possa far convivere aspetti e vantaggi del mercato globale con lo sviluppo e i valori locali. Non lasciamoci sfuggire l’occasione
Una opportunità per impostare una nuova strategia
Glocalizzazione
8
dm&c - no6 - 2010
- E ci si è messo pure un vulcano dal nome impronunciabile - Eyjafjallajökul - su di un’isola in un angolo defilato del mondo, con la sua nuvola di cenere blocca per una settimana lo spazio aereo di mezza Europa. I primi segnali si erano avvertiti già nei giorni successivi all’11 settembre del 2001 quando lo sgomento e lo smarrimento per gli attacchi terroristici in America hanno di fatto paralizzato i trasporti mondiali. Ma allora l’attenzione era tutta rivolta altrove. Qualche anno dopo, la peggior crisi della storia moderna travolge i mercati e le economie di stati e individui. Nel frattempo le coscienze si risvegliano ecologiste e si vede e si pensa tutto “green”; si guarda con entusiasmo alle fonti energetiche alternative come il sole e si cerca di accorciare la filiera di distribuzione per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Le tensioni tra occidente industrializzato in crisi e paesi emergenti in espansione sommessamente si accentuano e si sviluppa in modo
leggero ma dilagante una diffusa attenzione del consumatore e delle pubbliche amministrazioni verso la provenienza dei prodotti o dei servizi che si acquistano. Nel 2007 a Torino nasce “Eataly”, nella storica sede della ex-fabbrica Carpano, che, riunendo un gruppo di piccole aziende che operano in diversi comparti di nicchia del settore enogastronomico, propone il meglio delle produzioni artigianali locali accorciando al massimo la catena distributiva. Nel giro di pochissimi anni ha aperto punti vendita a Milano, Bologna, Pinerolo, Asti e Tokyo. Cosa c’entrano tutte queste cose tra loro: un vulcano, la crisi, il terrorismo, la green economy, il “made in”, lo slow food? Forse nulla, ma sono sicuramente segnali che qualcosa sta cambiando, che è giunto il momento di cambiare, per andare oltre il modello di un globalizzazione estrema che è un po’ sfuggito al controllo o che non è stato probabilmente pilotato con la dovuta saggezza, definendo regole e tempi in modo da consentire un processo di trasformazione armonico e non traumatico.
Che stiano maturando i tempi per la glocalizzazione? Glocalizzazione è un neologismo introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman già a fine anni novanta che fonde 2 concetti apparentemente contradditori di globalizzazione e localizzazione. Fino ad oggi è stato strumentalmente sbandierato a scopi principalmente commerciali per addolcire o mascherare in realtà approcci globali molto spinti (mi viene ad esempio in mente il Mc-Italy di McDonald). Ma il significato più profondo del termine indica in realtà una ricetta estremamente potente, una strada ed una soluzione verso uno sviluppo sostenibile ed equilibrato che può solo portare vantaggi a tutti. Glocalizzazione è una evoluzione della globalizzazione, una opportunità di imparare dagli errori del passato e di iniziare una nuova fase di sviluppo che consenta di coniugare gli indiscutibili vantaggi che la globalizzazione ha portato con i valori, le diversità, le specificità, i grandi patrimoni locali (cultura, religione, storia, cibo, flora, fauna, clima, paesaggio, architettura, tecnologia, attitudini, abitudini, costumi…). Questo non vuol dire solo che la grande multinazionale che produce su scala mondiale deve effettuare una leggera (e apparente) personalizzazione del proprio prodotto globale per meglio cogliere le opportunità del mercato locale – oggi la percezione più diffusa di glocalizzazione – ma potrebbe anche voler dire ad esempio utilizzare al meglio le caratteristiche specifiche locali di ciascun territorio e relativi abitanti (non unicamente il costo della manodopera) per contribuire alle diverse fasi di realizzazione del prodotto stesso, dall’idea, alla progettazione, all’industrializzazione, alla produzione, alla promozione e vendita. C’è un inglese, un tedesco, un francese e un italiano… incominciano così molte barzellette che ricordo dalla mia infanzia. Non mi ricordo purtroppo il finale ma si rivelano
essere delle vere e proprie perle di saggezza popolare, una esaltazione delle caratteristiche, delle diverse capacità e approcci di ciascun popolo. Il blocco dei trasporti causato dapprima dagli attacchi terroristici e poi dal vulcano potrebbero suggerire modelli produttivi che combinano insieme le esigenze di efficienza di grossi poli produttivi (magari in paesi a basso costo) con centri di eccellenza di dimensioni più piccole per serie limitate ad alto valore aggiunto diffuse sul territorio, accontentando anche gli ecologisti con prodotti a km zero (o quasi). La crisi economica e la consapevolezza della necessità del recupero di competitività dei paesi più sviluppati ha sicuramente gettato le basi per una svolta innovativa nelle relazioni industriali che apre nuove e inesplorate opportunità. Leggo sul giornale che in Cina stanno mappando geneticamente tutti i più importanti vitigni italiani nell’ottica, si può immaginare, di riprodurre i più prestigiosi vini italiani. Mi domando: può un Brunello di Montalcino made in China, anche se geneticamente identico, suscitare le stesse emozioni di un bicchiere di Brunello Doc che evoca, nei tanti italiani e stranieri passati di lì, con le sue note di profumi e sapori, il ricordo di una vacanza toscana e di un bacio scambiato sotto le mura del castello di Montalcino, alla vista delle dolci colline senesi? Perché invece non valorizzare ed esportare con altrettanta passione uno dei tanti eccellenti prodotti locali cinesi suscitando altrettante emozioni nell’evocare magari il ricordo di un bacio scambiato all’ombra della grande muraglia in occasione del Dragon boat festival? E’ necessario costruire una Venezia di “cartone” nel deserto per attrarre i turisti in Uzbekistan oppure si possono valorizzare le antiche architetture islamiche di Samarcanda per offrire una più ampia alternativa al viaggiatore curioso difendendolo dall’appiattimento globale?
Comunicazione Grazia De Benedetti
Esterni da anni dialoga con le persone e con gli spazi per un modo diverso di vivere la città. Anche questo è un modo per attivare una comunicazione
Confronto, ricambio, coerenza
Inventare e coinvolgere - E se alberi e panchine non fossero più arredi fissi? In una piazzetta universitaria di Vienna, grazie a Esterni, si possono spostare dove si vuole alberi e sedute (montati su carretti), trasformando il luogo per goderne a piacimento, a seconda delle circostanze e della luce. Da 15 anni questa è la modalità di Esterni: tanta creatività per valorizzare gli spazi pubblici e proporre un modo diverso di abitare la città. L’associazione infatti è nata dalla sfida di una ventina di giovani che non si trovavano bene nella Milano degli anni ‘90, ma non volevano andarsene. Tutti laureati, dovevano inventarsi un motivo per restare, anche come lavoro. A Milano non succede niente. Perchè non provare a cambiarla? Promuovere l’incontro tra persone, l’aggregazione sociale, riscoprire e dare un senso agli spazi pubblici: su questi ideali hanno cominciato a muoversi. Tre progetti per cominciare
10 dm&c - n 6 - 2010 o
All’inizio furono tre progetti: il Controsalone del Mobile, lo Sciopero
dei telespettatori e il Milano Film Festival. Poichè il Salone del Mobile si svolgeva in una struttura, Esterni fece le sue proposte in luoghi aperti e pubblici, un’idea poi sviluppata in altre manifestazioni, come la settimana del design. Lo sciopero invece nacque in alternativa alla Tv, che fagocita l’attenzione della gente: un tram in cui godere di musica e poesia, conditi con cibo e bevande. Da allora, nel giorno dello Sciopero, iniziative e sconti per alcuni spettacoli a chi si presenta col telecomando. La passione per il cinema suggerì il Festival: film indipendenti, di qualità, di giovani registi e produttori, proiettati in tutta la città, grazie anche alla collaborazione col Piccolo Teatro, e molto seguiti dal pubblico giovane. Una piazza da colorare Esterni continua a sperimentare nuovi modi di comunicare, con risultati interessanti, a volte artistici. Nel 1996, ad esempio, invitò nella piazza della Borsa operatori del mondo del design a cui fu chiesto
di indossare una tuta bianca. Il luogo, attorniato da edifici bianchi, si ammantò di un candore suggestivo, tanto da giocarci: la piazza fu chiusa e per uscire bisognava colorare sé e gli altri! Spettacolo e divertimento con 2500 adulti intenti a dipingersi l’un l’altro e a trasformare lo spazio in un mondo coloratissimo. Il gruppo lavora così, ideando e producendo eventi culturali, campagne di comunicazione, progetti sperimentali, public art per lo spazio pubblico, al servizio di aziende profit e no profit, cittadini, amministrazioni. Si caratterizza per l’osservazione attenta delle città, la creatività, l’approccio responsabile e sostenibile, così come per l’uso di molteplici linguaggi, dall’arte alle nuove tecnologie, e la capacità di dialogare con comunità di persone piuttosto che con target. Lo stile Esterni Esiste uno stile Esterni? -Ci sono alcuni format che ripetiamo, -spiega il presidente dell’associazione, Beniamino Saibene - ma ci stanchiamo e cambiamo ogni anno, perchè ci interessa sperimentare. Ogni progetto pensato, ideato e realizzato diviene parte integrante della vita dell’associazione e dei suoi membri. Molti di loro si formano qui, poi vanno verso lavori più remunerati. Lo stile muta a seconda delle persone che fanno parte di Esterni (anche gli stagisti vi contribuiscono), perciò lo stile è cambiare ed è sempre giovane. Le idee nascono da questo continuo ricambio di persone, dal lavoro di gruppo (noi viviamo molto insieme) e dal confronto con gli altri, anche di generazioni e paesi
diversi-. L’associazione infatti ha molti contatti con altre realtà, anche all’estero, attraverso collaboratori stranieri, e un continuo flusso di informazioni: i ragazzi di Esterni captano, si informano, partecipano a mostre, riescono a farsi invitare a manifestazioni internazionali e lanciano concorsi a cui aderiscono da tutto il mondo. A “In un parcheggio di 2x5 metri, cosa ci faresti?” hanno risposto con 800 progetti, diventati 1400 alla seconda edizione. I 10 progetti selezionati vengono esposti nella Settimana del design e l’associazione aiuta
Comunicazione Festa all’Hangar Bicocca, con le torri di Kiefer
L’associazione oggi Dal 1995 l’associazione si è ingrandita molto (una quarantina di persone) e può contare su una fitta rete di validi collaboratori. Tra le varie attività, Esterni è uno dei partner del progetto cascina Cuccagna, che si propone di restaurare e far rivivere un’antica cascina nel centro di Milano. Il gruppo si dedica anche a fare formazione nelle università e nelle scuole. Di recente, la stessa inaugurazione della nuova sede, a cui “tutta la città” era invitata, è stata l’occasione, tra divertimento, musica e cibi, per scoprire uno spazio in un quartiere “distante” e il Laboratorio Creativo sullo Spazio Pubblico, progetto di rivalutazione di quella zona, ma anche degli altri quartieri milanesi. Le serate, o Open Source, ogni martedì, sono pensati anche in questa ottica. Vari progetti sono patrocinati e sostenuti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali o da altre istituzioni. www.esterni.org
12 dm&c - n 6 - 2010 o
a realizzarli, con un finanziamento di 2mila euro. Stile e creatività abbracciano anche gli oggetti che sono usati per gli eventi: i “made in Esterni”, disegnati e realizzati in proprio o da artigiani amici, oltre a dare visibilità, spesso, in seguito al successo ottenuto, vengono affittati o venduti. Questi arredi però restano di produzione sartoriale, cioè non diventano mai di serie. L’azienda si inserisce -Una nostra caratteristica è che non riusciamo a fare comunicazione per un prodotto che non ci interessa. Se ad un’azienda piace il tipo di atmosfera che creiamo, essa trova il modo di inserirsi e collaborare. E’ successo per il lancio di una birra: noi portavamo in giro per l’Italia l’“Amacaparking”, cioè avevamo sostituito le auto posteggiate con amache e proposte culturali, lo sponsor si è inserito con un bar dove vendeva il suo prodotto. Il FAI invece voleva comunicare ad un pubblico giovane i suoi valori fondanti e l’idea che la cultura può essere divertente. Con loro abbiamo lavorato a “Alla riscossa”, gioco a squadre con 60 prove per riscoprire la città. E’ una specie di caccia al tesoro, ma si svolge in 24 ore e alcuni ostacoli vanno superati da tutti i gruppi insieme. Ad esempio nell’edizione di quest’anno, la seconda, alle 5 del mattino, bisognava cercare un violinista per cantare tutti in coro “Nessun dorma” davanti al Teatro alla Scala!-
Fiducia valore del messaggio Divertirsi lavorando è nel DNA di Esterni. Un po’ “pierini”, questi ragazzi amano provocare per far riflettere su argomenti di cui non si parla e per incidere sul pubblico e sui media. Nascono così ironici “falsi d’autore”, come con “Sorridi sei su Ecopas”, cartelli e finte telecamere, simil Grande Fratello, nelle vie cittadine, e la campagna “Poveri voi”, in cui si sono inventati un progetto di finte ong che invitavano gli Italiani ad andare in Africa perchè “gli Africani hanno molto da insegnare”. Quest’ultima, presa sul serio, è uscita sui media ed ha avuto una certa diffusione. Il segreto di Esterni è nell’aver mantenuto gli ideali che l’hanno fatta nascere e nel coinvolgimento della gente, basato molto sul passaparola: -Le persone hanno fiducia in noi, -conclude Beniamino Saibene. -perché siamo coerenti e non ci facciamo comprare. Il rapporto così si è sedimentato e ha dato valore al nostro messaggio-.
Comunicazione B.C.
Una comunicazione mirata e personalizzata è indispensabile per far sviluppare una iniziativa di grande portata sociale. dm&c è pronta a far la sua parte
Il Banco Informatico cresce
Far del bene fa bene - Recentemente è stato presentato un importante accordo tra Banco Informatico, Tecnologico e Biomedico e la charity americana Techsoup , per la fornitura quasi gratuita alle Organizzazione Non Profit di software e hardware di Microsoft , SAP e Cisco System. E’ un grande impulso che il Banco Informatico ha ottenuto nel mercato dell’alta tecnologia, ma anche un grande riconoscimento della serietà di questa iniziativa. Stefano Sala, fondatore del Banco, è un imprenditore e si occupa di tutt’altro. Come è nata l’idea del Banco Informatico? Il Banco Informatico è nato nel 2003 da alcune semplici osservazioni della realtà: da una parte l’evidenza che molte aziende ogni 2 o 3 anni decidono di cambiare la propria attrezzatura informatica non perché essa non sia più funzionante ma perché obsoleta per le nuove esigenze e i nuovi programmi software sempre più demanding; dall’altra ci sono molte organizzazioni non profit, non solo nelle terre povere e lontane
ma anche dietro l’angolo della grande Milano, per le quali quegli stessi PC, obsoleti per le aziende, sarebbero una risorsa fondamentale per cercare di essere più efficienti. Noi del Banco Informatico non abbiamo fatto altro che mettere insieme queste due esigenze viste sul mercato. Quali sono state le difficoltà che sono sorte e che ha dovuto superare? La prima difficoltà, che è ancora quella di adesso, è quella del cambiamento culturale e della mentalità. Cioè: “se tu non utilizzi più un bene elettronico perché lo butti via prima di chiederti: ma potrebbe forse servire a qualcun altro meno fortunato di me?” Non è altro che ritornare alla saggezza dei nostri nonni o dei nostri genitori che quando noi, da bambini, crescevamo di statura, prendevano i nostri vecchi vestiti e dopo averli lavati e stirati (perché anche i poveri hanno una dignità!) li portavano in parrocchia perché potessero essere destinati a chi non aveva di che coprirsi. Oggi i beni elettronici sono i nuovi “vestiti”, perché con l’avvento
Stefano Sala Presidente Biteb onlus via di Vittorio, 61 20068 Peschiera Borromeo (Mi) tel. +39 02 54.77.45.01 fax +39 02 55.30.60.25
no6 - 2010 - dm&c
13
Comunicazione
della comunicazione e dell’informatica di massa il mondo ha cambiato velocità e quindi chi non ha la tecnologia informatica è ancora più svantaggiato di prima. Fortunatamente molte aziende hanno cominciato a “intuire” questo messaggio e soprattutto hanno cominciato a capire che “far del bene” a chi gli sta intorno è parte della propria mission e può dare anche interessanti ripercussioni economiche vantaggiose. Ma molto c’è ancora da fare: si stima infatti che solo il 10% dei PC che vengono eliminati vengano consegnati a chi li può sistemare e riportare in vita per nuovi usi.
14 dm&c - n 6 - 2010 o
Ritiene che nel nostro Paese il Volontariato abbia un ruolo? Se ne parla tanto e molti ritengono che senza la presenza di professionisti autorevoli è ben difficile valorizzare questa importante risorsa umana. Quali sono le ragioni e le condizioni per mantenere desta l’attività volontaria ? Come stimolare un ruolo attivo in un settore, quello dell’alta tecnologia, che per natura pare fatto per alcuni e non per tutti? E’ sotto gli occhi di tutti quanto bene il Volontariato faccia in Italia. E la crisi economica ha messo in luce come senza l’aiuto materiale di tante associazioni volontarie ci sarebbe un livello di povertà molto superiore a quello attuale. Tuttavia anche il mondo del Volontariato, a mio parere, deve porsi questa domanda: come posso fare meglio il mio lavoro di aiuto sociale? Ecco che il progetto Techsoup recentemente presentato in Italia con il quale tutto il mondo del no profit potrà avere accesso alle più moderne tecnologie informatiche di Microsoft, Cisco e SAP a costi molto vicino alla gratuità (con una media 96% di sconto) è un contributo decisivo per aumentare l’efficienza di chi tutti i giorni è sul campo a far del bene.
Come ha comunicato la sua iniziativa per consolidare un processo di raccolta e ridistribuzione di Personal Computer e Software per il III settore? Si dice che una notizia sulla stampa non basti mai, ma che occorra una stabile comunicazione mirata e personalizzata. Anche Lei ha fatto così? Come potrebbe descrivere i passi della Comunicazione del Banco Informatico? Purtroppo non si fa mai abbastanza comunicazione e anzi la sua domanda è uno stimolo per noi per poter fare ancora meglio. Ad oggi abbiamo cercato di comunicare inizialmente in modo mirato non avendo tante risorse economiche a disposizione. Ci siamo rivolti inizialmente ai responsabili IT delle principali aziende italiane, poi ai cosiddetti CSR managers ( i responsabili delle iniziative sociali) però poi abbiamo visto che per fare queste iniziative di donazione, ancorché di attrezzature informatiche obsolete, è fondamentale condividere i valori d’impresa. E così siamo arrivati a parlare con i CEO senza i quali questi progetti stentano a decollare. Si dice anche spesso che “nulla valga più di un incontro”. Che ne pensa? Che ruolo hanno avuto nel percorso da Lei avviato? Gli incontri sono decisivi: tutto quello che io ho capito nella vita l’ho capito “scontrandomi“ o incontrando persone, fatti o avvenimenti che mi hanno fatto capire qualcosa di più. Il Banco Informatico è nato proprio da alcuni incontri “decisivi”:ad esempio l’incontro con don Panizza, prete genovese e attuale vescovo del “cono norte” di Lima in Perù. E’ stato il primo che, raccontandomi, la sua avventura nella costruzione di un’Università di Economia e Commercio proprio nelle zone più povere di Lima, manifestandomi la sua esigenza di avere dei PC mi ha messo in moto nella verifica dello start up
del Banco Informatico come possibilità strutturata di ritiro e donazione di PC. Oppure l’incontro con Ettore Soranzo, ingegnere padovano, che lavorava in alcuni ospedali della Terra Santa. Ci ha fatto venire l’idea di estendere l’attività del Banco Informatico anche alle attrezzature dismesse degli ospedali e ad oggi, a partire da quell’incontro, abbiamo svolto più di 70 progetti di cooperazione internazionale. Il Banco Informatico sembra la classica iniziativa di natura sussidiaria. Come potrebbe infatti una azienda, un Ente pubblico operare in” modo orizzontale” su tutto il mercato ed essere utile là dove emerge il bisogno se quest’ultimo non potesse trovare un presidio sicuro dove ancorarsi? Le chiedo: c’è questa mentalità nel nostro paese? La sussidiarietà è davvero un modo nuovo di concepire la relazione tra cittadino e istituzione, tra aiuto e bisogno? Che esperienza può raccontare? Sicuramente il Banco Informatico è una iniziativa “privata” (è nato da alcuni professionisti ed imprenditori milanesi) ma svolge una funzione sociale aiutando cioè persone svantaggiate che potrebbero teoricamente chiedere aiuto direttamente allo Stato. Ma come sappiamo lo Stato non ha le risorse per occuparsi di tutte le necessità e, aggiungo io, a volte quando lo fa, non riesce ad essere efficiente. Ecco che allora credo che esperienze come il Banco Informatico, che svolgono un’attività sociale pur con danari soprattutto privati, debbano essere prese ad esempio per una nuovo modo di cooperazione tra profit e no profit e tra stato e comunità intermedie. Credo che queste modalità sussidiarie siano la chiave di volta per uscire dalla crisi economica e strutturale in cui versa anche lo Stato: se lo Stato infatti cominciasse sistematicamente a fare meno
cose direttamente e facesse fare più cose a organizzazioni no profit virtuose si migliorerebbero i conti pubblici e si migliorerebbe l’efficienza dei servizi. Quale futuro ha il Banco Informatico? Ritiene che sia indispensabile una informazione, una comunicazione più forte per far comprendere questa grande risorsa? Come è possibile tutto ciò davanti ai costi crescenti di ogni azione di comunicazione? Intanto credo che anche il mondo della comunicazione “a pagamento” dovrebbe in qualche modo dare delle opportunità al mondo del no profit che può permettersi spesso di pagare ma non come il mondo profit. Penso ad esempio ad alcuni mezzi di comunicazione che diano al mondo del no profit dei prezzi particolarmente agevolati per il mondo del no profit. Già il mondo della comunicazione ospita ogni tanto campagne sociali gratuite ma credo che si possa fare di più: ci potrebbe essere per esempio spazio per un “quasi mercato” dove un numero importante di no profit potrebbero spendere per la comunicazione qualche risorsa se potessero contare su prezzi particolarmente vantaggiosi. Cosa può fare un’azienda o un privato per aiutare il Banco Informatico? Innanzitutto il modo migliore per aiutare il Banco Informatico è donare i propri PC utilizzati o prossimi ad essere cambiati: la modalità è semplice basta andare sul sito www.biteb.org e ci sono tutte le modalità operative; secondariamente chiunque abbia voglia di coinvolgersi come volontario è bene accetto: da chi può dare del tempo per “testare” i PC, a chi può darci qualche area di stoccaggio fino a chi per stare in tema con la Vostra bellissima rivista, voglia dare al Banco Informatico qualche spazio di comunicazione.
no6 - 2010 - dm&c
15
Comunicazione Ivonne Porto*
“La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro, è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento, un atteggiamento, oppure un’opinione, tendiamo subito a pensare: “È ingiusto, irragionevole, scorretto, non è gentile.”Molto di rado ci permettiamo di “capire” quale sia per lui il significato dell’affermazione.” Carl Rogers Gestita positivamente è un consolidamento del rapporto
La gestione delle obiezioni * Consulente aziendale ivonne.porto@libero.it
- “Non m’interessa, ci devo pensare, vediamo, forse la prossima volta, costa troppo, la concorrenza mi tratta meglio, non ho il budget”, queste sono solo alcune delle molteplici obiezioni che qualsiasi agente di commercio si trova ad affrontare nella propria quotidianità lavorativa. Come afferma Heinz Goldman, uno dei maggiori esperti del mondo in marketing, comunicazione e management: “L’obiezione sta alla vendita come l’aria sta all’aereo”. Questa citazione pone la sua attenzione sulla naturalità o addirittura sulla propedeuticità dell’obiezione durante una trattativa. Infatti, se gestita positivamente, una critica si traduce in un forte potenziamento della fiducia del cliente e di conseguenza un consolidamento del rapporto. Che cos’è un’obiezione?
16 dm&c - n 6 - 2010 o
È sostanzialmente un segnale di comunicazione di una resistenza, di un dubbio, oppure di un interesse che il cliente, per varie motivazioni, invia al suo interlocutore. In realtà la contestazione per un operatore dovreb-
be essere prima di tutto una risorsa, un’opportunità esplorativa che consente di individuare gli equivoci e gli aspetti da approfondire oltre che un momento di verità in cui c’è la possibilità di dimostrare con i fatti la validità della propria offerta. La natura delle obiezioni Studi recenti sull’argomento identificano varie tipologie di obiezione in un elenco di possibilità denominato “resistenze all’acquisto”. Esse comprendono: 1. L’allontanamento del cliente da prodotti e servizi che si discostano dal proprio modo di essere, in questo caso il venditore viene percepito incapace di cogliere i veri interessi, desideri e finalità del compratore. 2. Il cliente mette in discussione la validità logica degli argomenti e soprattutto non riconosce i vantaggi dell’acquisto. 3. L’atteggiamento negativo nei confronti dell’agente a causa di esperienze passate negative, oppure una percezione immediata di antipatia. 4. Una comunicazione inefficace,
non solo sui contenuti, ma anche sul piano relazionale. 5. Rapporti con la concorrenza. 6. Il timore di correre dei rischi e la preoccupazione del denaro (Spendo troppo? Posso permettermelo? Riuscirò a pagare? Posso trovare la stessa cosa con un’altra azienda a un prezzo inferiore?). Il rischio dell’acquisto è una sorta di barriera mentale, reale o immaginaria, per cui una persona esita a prendere una decisione, è un’emozione intima che la mente del cliente giudica e giustifica con la logica. Qualunque sia la natura dell’obiezione, essa va sempre trattata, elaborata e riconosciuta come vera e va controbilanciata con tutti gli aspetti positivi dell’offerta, avendo ben chiaro qual è l’esigenza del cliente, e qual è il suo guadagno. È importante il valore, sono importanti rapporti, non solo il prezzo Sul prezzo è difficile Una delle obiezioni più difficili da gestire, per la maggioranza degli addetti al settore, è il prezzo. Questo è vero quando l’unica strategia di cui si dispone è effettivamente il costo, però, se ci si concentra solo su questo elemento, si rischia di trascurare gli aspetti più importanti del prodotto/ servizio, quelli che riescono a fidelizzare il cliente nel tempo, inoltre quando non c’è qualità tutto quello che rimane è il prezzo. La parola “valore” di questi tempi viene difficilmente definita e compresa. Tanta gente pensa che il valore sia qualcosa che un’azienda aggiunge. Dei piccoli servizi extra, un oggetto in regalo con il prodotto, una lieve riduzione di prezzo, qualcosa gratis. Queste cose sono promozioni, non valore. Il valore è qualcosa che si fa per il cliente, a vantaggio del cliente e questo può avvenire in vari modi. Ad esempio: 1. Fornire informazioni su come i clienti possono guadagnare, produr-
re, battere la concorrenza, crescere. 2. Assicurare un servizio migliore, veloce, efficiente. 3. Creare una relazione basata sulla fiducia, perché ogni vendita è sempre guidata e decisa dalle emozioni. È anche vero che non tutti comprano il valore, il 30-40% dei clienti sceglie il prezzo, ma il 60- 70% preferiscono il valore, sempre se siamo in grado di fornirlo. Prezzo contro valore. Quanto costa? Più si offre valore meno conta il prezzo. La gestione dell’obiezione Per gestire le perplessità del cliente, bisogna avere: una solida preparazione specialistica, una buona autostima, risorse personali e una padronanza delle tecniche di persuasione. Queste ultime comprendono: 1. Una notevole capacità empatica che seve prima di tutto per comprendere (prima cerca di capire e poi di farti capire). 2. L’ascolto, non bisogna interrompere mentre l’altro parla, mostrare segni di fastidio, agitarsi e perdere la concentrazione. 3. L’utilizzo delle domande che consentono un controllo sull’andamento della conversazione e servono per trasformare un’obiezione generalizzata in specifica. 4. La parafrasi per sintetizzare il contenuto e ristrutturare la percezione del cliente. 5. L’affermazione per spiegare meglio quello che non è stato compreso, trovare una soluzione, sottolineare i vantaggi e stimolare la riflessione. Non gestire oppure ignorare un’obiezione può causare: la perdita del cliente, la mancata vendita, non risolvere il problema e amplificarlo, l’interlocutore può farsi un’opinione sbagliata della nostra competenza e professionalità. Ogni figura commerciale deve sì raggiungere dei risultati, ma contemporaneamente soddisfare il cliente, con l’obiettivo di farlo rimanere tale il più a lungo possibile.
no6 - 2010 - dm&c
17
Comunicazione Pier Giorgio Cozzi *
Murder tour, il nuovo turismo? Assistiamo a un progressivo imbarbarimento dei costumi “civili”. Che non sia anche colpa della comunicazione?
Un marketing per creare “consumatori di spettacolare”
Turismo dell’orrore * giornalista e docente di corporate communication
18 dm&c - n 6 - 2010 o
- Lo spunto per le riflessioni che seguono in chiave di comunicazione, mi vien dato, da una triste, recente notizia di cronaca nera: il delitto Scazzi di Avetrana, dove una giovane vita è stata stroncata per motivi che la nostra etica e la nostra società rifiutano. E anche da altre notizie, diverse ma a questa riferentisi, rese pubbliche dalla stampa cartacea, televisiva e on-line nelle scorse settimane. Già a una cinquanta giorni dall’evento un’indagine sommaria rivelava che su Google alla voce Avetrana erano presenti circa 275mila risultati, alla voce Scazzi circa 437mila e oltre 20.000 immagini, e già 33 filmati comparivano su You Tube. Ha attirato la mia attenzione una ‘breve’ - come si dice in gergo giornalistico – che riprendeva, il giorno successivo alla messa in onda, il tema di un servizio trasmesso da quasi tutte
le edizioni serali (prime time) dei telegiornali, riguardante un nuovo fenomeno: il “turismo dell’orrore”. Davanti la casa del delitto le immagini televisive mostravano una folla di persone di ambo i sessi, di varia età, provenienza, estrazione sociale (molti giovani e giovanissimi), si sarebbe detto abbigliate per l’occasione, aggirarsi in prossimità della scena criminis e riprenderla con l’immancabile telefonino: un cancello di ferro e un telo a coprire un buco nel terreno; con l’aria un po’ svagata tipica dei “vacanzieri”. Intervistate, molte di loro candidamente confessavano il motivo della presenza: “volevamo vedere il luogo del delitto, la casa dell’assassino”; “non sapevamo dove andare. Abbiamo pensato di fare una gita qui…” l’ammissione di una donna con marito accanto e figlioletto per mano. Appagati di “essere in televisione”, qualche viso ammiccava sorridente, qualche mano salutava. Richieste di commentare il fatto, molte di quelle persone lasciavano trasparire sopra tutto curiosità e stupore. E una desolante assenza di umana pietas.
Che bella domenica! Un quotidiano nazionale del lunedì riportava così quella notizia: “Sono centinaia le persone che ieri hanno deciso di dedicare la loro domenica andando a visitare ad Avetrana i luoghi del delitto. La gente sfilava sia davanti alla abitazione della famiglia Scazzi, dove sono stati pietosamente lasciati fiori o biglietti, sia davanti alla casa della famiglia Misseri dove i curiosi si limitavano a soffermarsi un attimo per guardare verso il garage e la casa. Troppo, tanto che la via è stata chiusa al traffico veicolare per evitare il via vai dei morbosi turisti. Sono parecchie anche le persone che, con l’auto o a bordo dei motorini, sono andate a vedere il pozzo dove […] è stato trovato il corpo di Sara”. Qualche domanda A questo punto avrei qualche domanda. Ci rendiamo conto, quando facciamo un’analisi psicografica dei possibili target per i nostri prodotti, che al di là delle interpretazioni statistiche, i nostri potenziali clienti “sono” anche (forse soprattutto) questi? Quando, se parliamo di online business, con lo stesso obiettivo in mente analizziamo linguaggi, contenuti e forme espressive dei social forum, ci rendiamo conto della discrasia che nelle persone-bersaglio delle nostre attività di marketing potrebbe separare forma da sostanza? La nostra comunicazione d’impresa, i nostri messaggi di vendita sono davvero sintonici con “quelle” orecchie? Brutalmente: quanto tempo dovrà passare prima che qualche operatore più alacre dei suoi colleghi ponga in essere un’offerta commerciale rivolta a questi “turisti dell’orrore”? The show must go on? Non sarà che inseguendo il modello televisivo di comunicazione (ricor-
date il film ‘Live’ di Bill Guttentag, in cui l’attrice Eva Mendes interpreta una dirigente televisiva spietatamente orientata alla creazione di un nuovo reality show che incolli quanti più spettatori possibili allo schermo. E cosa può essere più macabramente interessante di un gioco dove l’unico perdente è tale perché muore in diretta?), insistendo a voler “spettacolizzare” ad ogni costo gli eventi, tutti gli eventi, anche quelli più tragici e dolorosi della nostra vita quotidiana subiscano questo destino? Non stupiamo allora se quella stessa gente, ai funerali, applaude. Sul versante del marketing, siamo sicuri poi che in questo modo proprio noi comunicatori non si contribuisca a indurre indifferenza e sufficienza nei customers, progressivamente trasformandoli in “consumatori di spettacolare” (sennò non compero)? A quando il primo meeting o incentive travel con “tragedia”, per aumentarne meraviglia e memorabilità? Che mestizia.
no6 - 2010 - dm&c
19
Marketing Andrea Boscaro
Meno negozi online improvvisati e più aziende multicanale: ecco il futuro dell’e-commerce. Uno strumento che deve adeguarsi ai livelli europei
Sei milioni di italiani comprano sulla Rete
Multicanalità
20 dm&c - n 6 - 2010 o
- La multicanalità non solo rappresenta la chance perché l’e-commerce italiano si adegui ai livelli europei, ma anche lo strumento perché le aziende interpretino al meglio come gli utenti oggi si informino in merito agli acquisti. Una delle esperienze più comuni per chi ha a che fare con i siti di ecommerce italiani – non solo quelli più grandi, ma la lunga coda dei negozi online del nostro Paese – è di telefonare loro durante una normale giornata di lavoro e, pur ripetendo l’esperimento per più giorni – avere sempre scarsissimo successo. La domanda nasce spontanea: ma come faranno gli utenti a fidarsi di un negozio che, se chiamato, non risponde mai? Purtroppo è questa una delle cause per cui in Italia la domanda di commercio elettronico c’è (6 milioni di italiani comprano sulla Rete), ma è l’offerta che latita, sono poche le imprese – quelle “vere” – che vendono sulla Rete. E allora chi vende online? Aldilà dei “soliti noti”, le cosiddette dotcom, aziende native del Web, che hanno saputo, grazie alle tecniche
di web-marketing, conquistarsi circa la metà di un mercato da 6 miliardi di euro di giro d’affari annuo, restano pertanto imprenditori perlopiù “improvvisati”, rivenditori troppo a valle nella catena del valore, che si occupano del proprio sito come secondo lavoro e che quindi, durante la giornata, non possono rispondere al telefono. Dati promettenti Certo, i dati emersi nel corso degli ultimi due anni sono stati promettenti. Intere categorie merceologiche come la moda, l’abbigliamento, il benessere, la cura della persona fino ad arrivare agli operatori della pubblicità classificata, hanno letteralmente rivisitato il proprio modello di business per adeguarlo alle caratteristiche dell’online. Da qualche anno la parola chiave che ha assunto il ruolo di fattore decisivo per l’e-commerce è infatti “multicanalità”. Il significato è semplice e valido per qualsiasi impresa: l’e-commerce, inquesta prospettiva, è solo uno dei
canali complementari all’interno di una strategia di distribuzione complessiva nonché una forma innovativa di servizio al cliente. Tale interpretazione va però anche al nocciolo del ritardo di questo mercato – cioè che sono le imprese della distribuzione e le PMI a far sentire la propria mancanza sul Web – e avvalora la tesi secondo la quale questo canale non solo non confligge con gli altri, ma ne supporta la forza in un contesto in cui i consumatori hanno cambiato il modo di informarsi su un prodotto e di suggerirne l’acquisto alla propria rete di contatti. La multicanalità La multicanalità in questo senso: * chiarisce come il canale digitale sia sempre una forma con cui i clienti si informano sul conto di un’azienda, e può essere configurato – come nel caso dei retailers dell’elettronica di consumo o come tour operator del calibro di Alpitour – come uno strumento in cui personalizzare la propria scelta per poi ritirarla presso il punto di vendita fisico; * consente di incentivare, sotto forma di coupon, un ulteriore acquisto presso il negozio; * permette di superare il “timore reverenziale” presente soprattutto nel varcare la soglia dei negozi del lusso e quindi abbatte le barriere all’entrata con informazioni più chiare circa i prodotti e i prezzi; * costituisce infine un potente strumento di conoscenza della propria clientela e del proprio valore concorrenziale grazie al comportamento degli utenti, alle scelte di acquisto, ai trend, ai commenti, ai feedback successivi all’acquisto. Soprattutto “multicanalità” in Italia significa condividere nell’ambito degli esperti di marketing il messaggio secondo il quale l’e-commerce non può essere solo appannaggio delle imprese native della Rete, le cosiddette dotcom, che – è vero – posseggono una cultura avanzata del web-
marketing, ma spesso sono soggetti troppo a valle nella filiera e non possono garantire prezzi, marginalità, condizioni vantaggiose per il consumatore e risorse di comunicazione capaci di sostenere la crescita dell’ecommerce nel suo complesso. Al contrario il commercio elettronico è un’opportunità proprio per produttori e distributori sia che operino in un ambito di nicchia – per servire al meglio il proprio cliente – sia che siano presenti su mercati più estesi dove la concorrenza richiede standard di innovazione continui. C’è da aggiungere che, quanto a multicanalità, Internet si è premurato poi di inventare soluzioni adeguate a consentire ad aziende offline di testare il canale digitale senza per questo intraprendere una strategia ecommerce avanzata. Buoni esempi Buoni esempi sono i club outlet che consentono alle aziende di utilizzare la Rete per vendere i prodotti last season a community ristrette di utenti - le piattaforme di e-commerce geo-localizzato - che incentivano il consumatore a recarsi sul punto vendita con una promozione legata al raggiungimento di una soglia minima di clienti aggregati attraverso il principio dei “gruppi di acquisto”- ed infine l’evoluzione di eBay che è sempre meno marketplace per la compravendita fra privati e sempre più strumento di marketing per i venditori professionali. Se pertanto la Rete ha nella multicanalità il segreto per il suo futuro, le imprese hanno nella Rete una chance in più per rinnovarsi e potenziare le due aree critiche del marketing odierno, la customer retention e la customer acquisition, due ambiti che oggi, grazie alla viralità che le piattaforme social incentivano, possono avvalersi di nuove tecniche e nuove opportunità per il manager che sappia servirsene con creatività ed attenzione.
no6 - 2010 - dm&c
21
Comunicazione Emiliano Ricci *
Dalla comprensione al dialogo: questa l’evoluzione dei modelli di comunicazione scienza-società per favorire la bidirezionalità del rapporto Coinvolgimento e discussione aperta tra scienziati e non-esperti
Perché il pubblico capisca * Giornalista Scientifico
22 dm&c - n 6 - 2010 o
- In questa rubrica abbiamo parlato spesso di “Public Understanding of Science” (PUS). Il PUS trova sostegno e fondamento nell’affermazione del fatto che le conoscenze scientifiche sono certe e fissate, ovvero che la scienza è una prospettiva privilegiata sul mondo, mentre il pubblico è ignorante di scienza. Da questo assunto teorico di base discende necessariamente una pratica di comunicazione scientifica improntata a quello che i sociologi chiamano modello “top-down”, o “deficit model” della comunicazione della scienza, secondo cui il pubblico, considerato come un oggetto omogeneo non meglio definito, non può che essere il ricettacolo passivo della conoscenza “pura” prodotta dalla comunità degli scienziati. In questo contesto, i compiti e l’individuazione dei modi per migliorare la comprensione pubblica della scienza vengono in massima parte affidati ai vari media, i quali hanno anche la responsabilità di tradurre in maniera semplice – spesso associata a un certo grado di approssimazione, se non di banalizzazione – le scoper-
te, le ricerche o i processi scientifici in atto. Rapporto tra scienza e società Naturalmente il modello “topdown” o del “deficit” non è l’unico disponibile per descrivere il rapporto fra scienza e società. Tanto che, nel corso degli anni, si sono sviluppati altri modelli, tutti però contestualizzabili nell’ambito del PUS. Un modello alternativo a quello del deficit è quello definito della “scelta razionale”. Questo nasce dal tentativo di rispondere alla domanda: “Che cosa hanno bisogno di sapere le persone per essere dei buoni cittadini in una cultura in cui la presenza della scienza è così rilevante?”. Un’ulteriore prospettiva è data dal modello contestuale, nell’ambito del quale la domanda a cui si cerca di dare risposta è: “Che cosa vogliono sapere le persone sulla scienza in determinate circostanze?” Questi tre modelli – deficit, scelta razionale, contestuale – hanno contribuito in maniera significativa all’ampio dibattito che negli ultimi
venti anni ha avuto come argomento il complesso rapporto fra scienza e società, contribuendo in maniera rilevante ad ampliare la riflessione che nel frattempo veniva svolta sul PUS. Dopo anni di pratica del PUS e di continue verifiche ed analisi della relazione continuamente evolutiva fra scienza, tecnologia e società, gli scienziati – aiutati in questo da illustri colleghi di varie discipline– si sono accorti che, oltre alla mancanza di risultati effettivi, si stava verificando un effetto collaterale negativo di notevole portata: la fiducia nella scienza e nel ruolo dello scienziato stava drammaticamente diminuendo di anno in anno, e proprio fra quei pubblici che il PUS avrebbe dovuto “formare”. Dal PUS al PEST Dopo una lunga serie di dibattiti in seno alla comunità scientifica da una parte e ai pubblici della scienza dall’altra, è ancora una volta il Regno Unito a fare da capofila. Così, nell’ottobre 2002, un gruppo di scienziati britannici pubblica sull’autorevole rivista “Science” una breve comunicazione, nella quale si dice esplicitamente che l’espressione “public understanding of science” è ormai datata e che al suo posto occorre introdurre un nuovo paradigma: quello del “Public Engagement with Science and Technology” (PEST). Nella nuova sigla traspare chiaramente l’invito a una riconcettualizzazione del rapporto tra scienza e pubblico. La direzione indicata è quella del coinvolgimento del pubblico, attraverso il dialogo, mediante una discussione aperta e paritaria tra scienziati e non-esperti che renda questi ultimi veri protagonisti nelle decisioni su problematiche scientifiche con ricadute sociali. Il passaggio dal PUS al PEST è ben più profondo di quanto possa apparire a prima vista.
Non si tratta infatti di una mera questione terminologica, bensì di un invito a spostare il perno della comunicazione scientifica dalla semplice promozione della comprensione dei fatti scientifici, secondo quanto indicato dal PUS, alla necessità della partecipazione del pubblico. Spostamento chiave, questo, e passaggio ritenuto necessario proprio per recuperare quella che da più parti viene percepita come una sempre più diffusa e crescente perdita di fiducia nei confronti della scienza. Pietra miliare L’appello all’“engagement” segna una nuova pietra miliare nella storia del rapporto fra scienza e società, un momento cruciale per risolvere la crisi in cui versava il PUS. L’aspetto fondamentale della metodologia di relazione fra la comunità scientifica e la società civile invocata dal PEST è descritto dalla stessa parola chiave: un invito a favorire il dialogo e la partecipazione al dibattito, nonché a promuovere l’interazione e con essa la bidirezionalità del rapporto. Sono tutti questi strumenti che, messi assieme, dovranno contribuire a superare l’annosa crisi del PUS. Il modo dialogico, volto a ripristinare il rapporto con i pubblici della scienza, è quindi visto dagli scienziati come la medicina per tutti i mali del PUS, sia che lo si voglia superare nella forma terminologica che nella sostanza contenutistica. Ma c’è anche chi propone di valutare un’ulteriore ipotesi di ricerca, che deve tenere di conto del fatto che la comunicazione scientifica si svolge e si sviluppa in uno sfondo assai più articolato e complesso di quanto è supposto dal PUS (almeno nella sua versione originale), e che gli scienziati non detengono necessariamente, né univocamente, il ruolo da protagonisti di questa comunicazione, qualunque sia il loro grado di interazione – dialogica o meno – con il pubblico.
no6 - 2010 - dm&c
23
Marketing Marco Maglio
Una comunicazione che offre molti vantaggi per diffondere rapidamente e in modo efficace un messaggio con le tecniche del marketing virale
Riflessioni sul marketing del passaparola
Se non è etico non è vero WOMM - Ve l’avevo promesso e mantengo la parola. Torno a parlare di WOMM o se preferite di marketing del passaparola. Nell’articolo precedente (Si scrive Passaparola; si legge Marketing) ho ricordato in cosa consista questa for-
ma di comunicazione e quali vantaggi offra per diffondere rapidamente e in modo efficace un messaggio con le tecniche del marketing virale. Corretto o fasullo Questa volta voglio occuparmi di un aspetto essenziale che fa la differenza tra il passa parola corretto e quello fasullo. Per diffondere informazioni corrette, per evitare di inquinare il mercato con bufale e tarocchi, occorre rispettare alcune regole che sono state codificate per la prima volta dal WOMMI, l’organizzazione americana del Word of mouth e che sono state riprese dall’associazione italiana WOMMI. Il codice etico WOMMI è semplice, composto da cinque articoli che vanno alla radice di questo metodo di comunicazione. Merita di essere diffuso, non soltanto perchè c’è sempre bisogno di etica, ma soprattutto perchè questo codice, come spesso fanno le best practices anglosassoni non pone divieti o obblighi.
avvocato.maglio@tin.it Avvocato in Milano e fondatore di Lucerna Iuris, il primo Network Giuridico Europeo formato da legali di tutti i paesi dell’Unione Europea esperti di questioni di marketing e di comunicazione. Insegna Diritto dei consumi e del marketing e Diritto della sicurezza Alimentare nelle Università di Milano e Parma. Dopo essere stato Consigliere Delegato di AIDIM (Associazione Italiana del Marketing Diretto ed Interattivo) per le relazioni istituzionali, le pubbliche relazioni e gli affari legali, dal 2004 presiede il Giurì per l’Autodisciplina nella comunicazione commerciale diretta e interattiva e nellevendite a distanza. E’ membro del Consiglio Direttivo di FEDMA (Federazione Europea del Direct Marketing) in rappresentanza dell’Italia.
Indica invece il modo corretto per fare azioni di Womm a regola d’arte. Ed è per questo che ve lo propongo: credo sia un buon punto di partenza per fare qualche passo avanti nella corretta pratica di questa forma di comunicazione. I 5 punti del codice Ecco il testo integrale del codice. Leggerlo aiuta a capire, più di molti saggi teorici, in cosa consiste davvero il world of mouth marketing. 1. Persone felici e interessate parleranno bene di te. Non serve molto altro. Comprendi a fondo questo concetto, dedicati ad esso e riscuoterai successo con il word of mouth marketing. 2. L’opinione onesta e autentica è il nostro medium. Non diciamo alla gente cosa dire e come dirlo. Riteniamo che le persone devono essere libere di farsi una propria opinione e di condividerla con parole proprie. Sosteniamo la conversazione naturale e stiamo molto attenti a non distorcerla. 3. Sosteniamo, avviamo e semplifichiamo la condivisione. I professionisti del word of mouth usano tecniche creative per incoraggiare la comunicazione. Facilitiamo la conversazione tra le persone, creiamo cose interessanti di cui parlare, creiamo community per condividere idee, e lavoriamo per trovare quelle persone che dovrebbero conoscere quello che facciamo. La pubblicità tradizionale spinge le idee sui consumatori. Noi aiutiamo a far circolare le buone idee. 4. Il word of mouth non può essere falsificato. L’inganno, l’infiltration, la disone-
stà, lo shilling, e altri tentativi di manipolare i consumatori o la conversazione sono deplorevoli. I professionisti del marketing onesti non ricorrono a queste pratiche, non lo faranno, e se ci provano saranno smascherati. I comportamenti scorretti saranno messi in evidenza dal pubblico e si ritorceranno in maniera letale contro chiunque li utilizzi.
5. Il word of mouth marketing dà potere al consumatore. I consumatori hanno il controllo e sono loro a dettare le condizioni di un rapporto nuovo, più sano tra i professionisti del marketing e le persone che usano i loro prodotti. I consumatori richiedono alle aziende soddisfazione, rispetto, prodotti e servizi eccezionali. Quando le aziende glieli offrono, le persone lo comunicano ai loro amici. I professionisti del word of mouth lavorano per accelerare questo processo, rimpiazzando la pubblicità aggressiva con servizi che mettano al centro il cliente, supporto e comunicazioni bidirezionali.
no6 - 2010 - dm&c
25
Comunicazione Domenico Matarazzo
La riscoperta della semplicità delle cose passate: la tendenza si manifesta puntualmente ogni volta che vi è una crisi economica. Ecco le opportunità..
Dal nostro corrispondente negli Stati Uniti
Comunicare in stile retrò
26 dm&c - n 6 - 2010 o
- L’estate scorsa, all’ultima edizione di Pitti Uomo a Firenze sulla passerella sfilavano modelli con abiti inneggianti agli anni cinquanta. I cappelli di Borsalino ad esempio si ispiravano ad uno stile di vita sereno e tranquillo e per questa ragione l’uomo Borsalino indossava eleganti cappelli di paglia. Dovo invece é una casa tedesca che produce rasoi classici a lunga lama fin dal 1906 ma per anni ha servito solo una nicchia ristretta di appassionati dopo che il mercato é stato conquistato quasi interamente dalla Gillete. Oggi la Dovo viene riscoperta, vende 30.000 unitá all’anno e la lista di attesa per questi prodotti fatti a mano è di 9 mesi, nonostante un costo che si aggira intorno ai 300 dollari. Chi non vuole attendere nove mesi, con un click puó acquistare rasoi francesi prodotti in esclusiva per The art of shaving in New York. Il rasoio a lama diritta, riscoperto soptrattutto dai dandy che vivono in Manhattan non è tuttavia il prodotto di punta. The Art of Shawing è nata in un appartamento dall’iniziativa di due giovani: lui rappresen-
tante di prodotti cosmetici europei e con una pelle che si irritava ad ogni rasatura, lei con esperienza in medicine orientali e aromaterapia e motivata a creare una crema che aiutasse il suo fidanzato. Trovata la soluzione per il fidanzato, i due l’hanno presentata al grosso pubblico attraverso un piccolo negozietto e qualche articolo sulla stampa. I negozi si sono moltiplicati su scala nazionale e tutti con prodotti e look che richiamano i barber shop del passato. Nel 2009 the Art of Shawing veniva acquistata da Procter and Gamble. Tinozze da bagno Sempre in tema di prodotti da bagno, Vintage Tub and Bath é nata nel 1993 e fornisce vasche da bagno stile tinozza. Oggi vende una gamma completa di prodotti, e tutto rigorosamente in stile retró. Questi prodotti non vengono normalmente promozionati durante il periodo natalizio, ma ad una recente conferenza Mike Deckman, Internet marketing manager di Vintage Tub and Bath, ha
illustrato come anche a Natale contro ogni aspettativa una campagna email per prodotti come scarichi da bagno con la catenella avesse generato il trimestre più profittevole della storia dell’azienda. Tinozze da bagno, accessori per rasoi a lunga lama o guardaroba per abiti stile Borsalino si possono troavare anche presso l’Ace Hotel di Manhattan, un nuovo albergo rigorosamente arredato in stile retró. Qui le stanze valorizzano le cose del passato con uno stile essenziale, alcune pareti sono tappezzate con pagine di vecchi libri, altre hanno i colori con tonalitá che richiamano vernici per il bricolage degli anni ’50. Anziché molteplici artefatti di piccole dimensioni il décor fa perno su una singola opera d’arte anche di artisti famosi, grande abbastanza da occupare buona parte di una parete. L’arredamento comprende anche scrivanie che richiamano i tavoli per le macchine da cucire, dischi in vinile e accessori come chitarre originali di Les Paul. Il prezzo per una stanza economica é di 269 dollari e questa comprende letti a castello per rimanere fedeli allo stile. La riscoperta del passato La Nike ha rilanciato sul mercato scarpe stile anni ‘70 e per la pubblicitá stampa l’agenzia di design Opolis Design ha avuto l’incarico di ricreare pubblicitá nello stile dello stesso periodo. Ció significa rifarsi ad una grafica pre-Photoshop e pre-Adobe in generale. Per ottenere l’effetto desiderato il team di creativi ha creato una sorta di linea di montaggio dove ogni pezzo promozionale del prodotto veniva stropicciato e piegato a mano. General Mills invece da tre anni continua a registrare incrementi di vendita di alcune confezioni di cereali prodotte in scala limitata e con stile retró. Il target sono le madri di mezza etá e l’obiettivo é di stimolare in loro un sentimento nostalgico.
Nel primo anno di lancio le confezioni retró sono state pubblicizzate attraverso il passaparola e i blogs. Nel secondo anno invece le vendite sono decisamente incrementate grazie ad una campagna di PR nella fase di pre lancio. Fascino confermato Il fascino del retró nel settore delle colazioni e snacks é confermato dal fatto che anche Kellog’s, concorrente di General Mills, ha lanciato nel 2010 una nuova linea di cereali “Touch of Honey” indirizzata ai consumatori di etá intorno ai 65 anni. Le confezioni richiamano i prodotti Corn Flakes di decadi passate e la scelta non manca La lista continua con PepsiCo che lo scorso gennaio ha lanciato una campagna in cui vengono messi a confronto consumatori di Pepsi di generazioni differenti. The Allstate Corp.,gigante delle assicurazioni, invece ha lanciato una campagna che esalta come il gruppo sia vissuto attraverso ben dodici periodi di recessione. La primavera scorsa invece Bacardi ha lanciato “Bacardi Mojito, The Original” in cui il prodotto viene presentato attraverso molteplici periodi in cui Bacardi e’ stata la bevenda preferita di un selezionato gruppo di consumatori. Il retró non deve peró eliminare del tutto i riferimenti alla comunicazione moderna. L’esempio migliore viene da Nestlé che per promozionare le sue barrette di cioccolato Butterfinger ha abbinato personaggi televisivi di serie televisive famose negli anni ottanta con un concorso volto a diffondere il prodotto attraverso viral video. In questa promozione, eroi degli anni ottanta sono protagonisti di sketch in cui difendono una barretta di Butterfinger dai malviventi. I consumatori sono stati invitati a mandare un proprio sketch via video così il prodotto comunica sia con i giovani consumatori sia con la generazione precedente.
Comunicazione in retrò: le regole -creare agganci con la realtà attuale: humor e riferimenti ai fattori negative attuali aiutano ad aggiornare l’immagine. -studiare la grafica dei prodotti del passato. I logo rifiniti a mano ad esempio hanno un impatto emotivo piú forte rispetto al design di un logo disegnato in computer grafica (diffusi a partire dagli anni ottanta). -fare attenzione a non cadere nel nostalgico e diventare esclusivamente un prodotto della nonna. -se il prodotto non ha una storia o momenti di gloria nel passato, il retrò può non funzionare.
no6 - 2010 - dm&c
27
Comunicazione Ugo Clima *
La maggior parte degli oratori invece che sul palco vorrebbe essere altrove. Perché è una cosa che crea ansia, che genera impaccio, che provoca ...
“Le persone che non sorridono non sono persone serie”
Parlare in pubblico: questione di stile * Presidente Mercurio Misura. Esperto di management, marketing e comunicazione diretta, ha tenuto conferenze in numerosi congressi nazionali e internazionali, oltre ad aver diretto innumerevoli corsi di management per dirigenti e quadri
28 dm&c - n 6 - 2010 o
- Il naturalista francese Buffon ha affermato: “lo stile è l’uomo”. Se è vero per un anacoreta, è certamente ancora più vero per chi parla in pubblico. La disposizione naturale di un uditorio, anche quando ha deciso personalmente di partecipare ad un convegno, il che spesso non avviene perché un buon numero di presenti ci è stato mandato, è generalmente pessimista circa il suo imminente futuro. Nel migliore dei casi, il suo atteggiamento è passivo ed assente. In genere, quando non ha stretti vincoli di parentela con il relatore, sceglie i posti più periferici, possibilmente vicini alle uscite per garantirsi in ogni caso una via di fuga. Non di rado è diffidente e incline alla polemica, se questa non fosse ostacolata dalla situazione, che suggerisce il silenzio per la durata dell’esposizione. Raramente si aspetta contributi importanti per migliorare la propria vita o la propria professione. Diffida anche perché la situazione gli ricorda precedenti dolorose espe-
rienze con docenti, predicatori, accademici e politici, spesso noiosi divulgatori di ovvietà e luoghi comuni. L’unico strumento che un relatore possiede per superare queste difficoltà iniziali è la propria personalità, che purtroppo non lo serve mai così male come in quel momento. Via da qui La maggior parte dei relatori, infatti, ancor più della maggior parte degli uditori, vorrebbe essere altrove. Fanno eccezione i rari casi di chi abbia con queste situazioni una familiarità che gli consente di divertirsi. La maggior parte degli altri, ignora di percepire la propria ansia in modo infinitamente più intenso di quanto non la percepisca il pubblico, infinitamente meno interessato ai suoi stati d’animo. Così dedica molte energie per cercare di nasconderla, anche quando dovrebbe occuparsi d’altro. Infatti, proprio nel momento in cui dovrebbe conquistare la benevolenza dei partecipanti, infila una sequela di errori di comportamento, che confermano al pubblico le sue peg-
giori aspettative Per esempio, non sa sottrarsi alla liturgia dei ringraziamenti, rivolti al moderatore della riunione, al presidente che gli ha offerto questa opportunità, ai relatori che lo hanno preceduto, a quelli che lo seguiranno ed alle autorità che, malgrado la loro assenza dovuta ad improrogabili impegni, hanno caldeggiato il suo intervento e ad altri che in quel momento non gli vengono in mente. Spesso, l’unico escluso dai ringraziamenti è il pubblico presente all’evento, che essendo percepito come fonte di stress viene lietamente rimosso. Esordisce dicendo: “Mi scuso di non essere un oratore, ma non vi ruberò molto tempo”. O anche :“Perdonate se non sono particolarmente competente su questo argomento” o più spesso con un catastrofico “Sarò breve”, interpretato normalmente come una pietosa bugia, un malaccorto tentativo di mettere le mani avanti. Dire che la personalità e lo stile di chi parla in pubblico siano determinanti per il suo successo sembra una verità ovvia. Ma è altrettanto vero che spesso si dimentica che la persona che parla conta più delle idee che esprime. Eccitare l’attenzione Il contenuto del suo discorso, infatti, potrà arrivare al pubblico, solo se il relatore sarà stato precedentemente capace di eccitarne l’attenzione, “conditio sine qua non” per entrare in comunicazione con lui. Ciò è tanto più vero quando si parla in pubblico non tanto per trasmettere dati o informazioni che non scuotono emotivamente l’uditorio, ma quando si vuole essere convincenti e persuasivi, il che presuppone dover vincere delle resistenze psicologiche o intellettuali, come avviene di norma nei discorsi politici, o in quelli che vogliono sostenere una qualsiasi tesi. Non è facile accettare l’idea che si è disposti ad accettare quasi tutto da una persona simpatica, mentre si
è portati a rifiutare l’evidenza da una persona antipatica.La persuasione è fatta d’influenza e suggestione: per ottenerla in quanto relatori non c’è che il modo di esternare la nostra personalità’, cioè il nostro stile, la nostra “griffe”. Cioè la nostra capacità di lasciare un segno in chi ci ascolta. Non è un caso che lo stile prenda il nome dall’antico strumento di ferro o d’osso, per incidere su tavolette di cera, da cui stile incisivo. Atteggiamento contagioso Il nostro atteggiamento è contagioso. Se saremo entusiasti, trasmetteremo entusiasmo, se saremo spiritosi, trasmetteremo ottimismo, se saremo brillanti, trasmetteremo vivacità. C’è una sola cosa più contagiosa dell’entusiasmo, ed è la mancanza d’entusiasmo. Ma l’entusiasmo è tutt’altro che il naturale stato d’animo di chi inizia un discorso in pubblico. Lo stress, il timore di non essere compresi o di dire cose risapute, la situazione d’esame, il bisogno di salvare la faccia, tutto concorre a spegnerci e a metterci in agitazione. Proprio quando sappiamo che la calma, la sicurezza e la distensione di chi parla creano la migliore disposizione del gruppo. Tutto ciò mette in causa tutti i segni esteriori della nostra personalità, e particolarmente l’ espressione, ( sguardo, sorriso e mimica facciale), il linguaggio e i gesti. Lo sguardo Lo sguardo è il mezzo più immediato per stabilire il contatto, per creare simpatia e fiducia. Sarebbe quindi opportuno guardare tutto il pubblico, con simpatia e cordialità. Invece molti relatori concentrano il proprio sguardo solo su alcuni, fissano i propri appunti senza levare il capo, o
no6 - 2010 - dm&c
29
Comunicazione
scrutano intensamente, mentre parlano, un punto imprecisato dell’orizzonte. Naturalmente la mimica non può evitare di essere coerente con il modo di guardare: è difficile sorridere guardando i propri appunti e impedire al proprio volto di assumere un’espressione seria e piena di sussiego. Il linguaggio e i gesti Ma il vero specchio dell’anima sono il linguaggio e i gesti. Trincerati dietro un podio come in trincea ci si trova a dire, con un’espressione compunta adatta alle condoglianze e le mani ferme sugli appunti come se potessero volar via: “Sono lieto di trovarmi qui tra voi”. E invece i gesti sono la vita, sono la manifestazione più autentica dei nostri stati d’animo, ci denudano agli occhi di chi ci guarda. Domandarci se i nostri sono appropriati è un impegno al quale nessun relatore dovrebbe sottrarsi, e invece non lo si fa quasi mai. Si ritiene che in un processo di comunicazione pubblica, i concetti espressi abbiano la piena responsabilità del nostro successo e perciò non si debba badare troppo al linguaggio usato ed ai suoi importantissimi accessori: il tono, la voce, la velocità dell’esposizione. La voce
30 dm&c - n 6 - 2010 o
Lo strumento principe della comunicazione è la parola, ma la voce è il vestito che la parola indossa. Discorsi modulati come litanie, le quali hanno lo scopo di avvicinarci a Dio che nella sua infinita bontà le ascolta senza annoiarsi, in un discorso pubblico tramortiscono qualunque uditorio. Dovrebbe essere evidente che ci sono parole più importanti di altre, che quindi meritano di essere sottolineate e che le pause come nella musica dove hanno la stessa importanza delle note, vanno fatte per dare vivacità
al discorso, per renderlo meno monotono. Il pubblico ha mille motivi di distrazione, si stanca facilmente, ha bisogno di idee semplici. Il relatore deve pensare più rapidamente di lui, ma parlare più lentamente di quanto i partecipanti non pensino. Ma soprattutto, per un’elementare solidarietà umana, è bene che eviti la verbofagia, il ventriloquismo, il linguaggio complicato che ostenta raffinatezza culturale anziché desiderio di farsi comprendere. Soprattutto nei temi di marketing, il ricorso alle parole di gergo e alle sigle è tanto inflazionato, che capita di sentire relatori che dopo aver usato inavvertitamente un’espressione in italiano, sentono il bisogno di far seguire l’espressione inglese. Non, per fare un esempio, “customer relationship” ovvero “relazione col cliente”, ma “relazione col cliente”, ovvero “customer relationship”. Arroganza della cultura L’arroganza della cultura, bilanciata spesso dall’arroganza dell’incultura, rende difficile trovare l’equilibrio dato dalla chiarezza e dalla semplicità. Il motto di molti relatori :”Visto che le cose sono già difficili, perché non renderle incomprensibili?” Perché un viaggiatore dovrebbe “obliterare il titolo di viaggio”, quando sarebbe sufficiente “annullare il biglietto”? Perché mai, per dire che non si sa più dove andare a fare il bagno, si dovrebbe dire, come abbiamo sentito in televisione, che “…è difficile reperire arenili dove praticare la balneazione”? Ma soprattutto, perché in chi parla ad un pubblico, è così raro vedere apparire un sorriso? Alcune ragioni le abbiamo indicate, ma non sono ragioni valide. La serietà diventa sinonimo di tristezza. E invece, è vero il contrario: le persone che non sorridono non sono persone serie.
Motivazione Fabrizia Vania Calzavara*
Come guidare e motivare il Cliente alla scelta della destinazione. L’importanza del fascino del luogo ma anche del “messaggio”
Il valore delle emozioni
Dove andiamo quest’anno? * Managing Director di Heading South s.r.l. www.headingsouth.it President Elect V.P.Education
32 dm&c - n 6 - 2010 o
- Nel pensare alle vacanze vi siete mai posti la fatidica domanda “ Dove andiamo quest’anno?” Probabilmente si ,anche se in tempi diversi e migliori di quelli che viviamo , ognuno dichiarava le proprie preferenze per poi arrivare a scegliere quello che tasca….. e l’autorità in famiglia (moglie o padre ….) proponeva. Come nelle famiglie anche nelle realtà più complesse le decisioni su dove andare a svolgere il programma incentive o la convention aziendale, seguono più o meno lo stesso iter. Nei grandi gruppi, soprattutto, si confrontano idee ed opinioni differenti sul dove come e quando realizzare l’evento. Tra le altre cose, interessi legati allo sviluppo di un’ area o di un particolare settore produttivo fanno optare per una o per un’altra destinazione. Il tutto, naturalmente, con la limitazione imposta dal budget disponibile e … dal gusto della parte più “influente” dell’Azienda. Ad opinioni diverse non possono che corrispondere destinazioni diverse . Capita così che quando ci viene ri-
chiesto di proporre dei programmi per la realizzazione di un Incentive ci vengono chieste le destinazioni più strane , molte volte incompatibili fra di loro. Quindi come guidare e convincere il Cliente alla scelta della destinazione che noi riteniamo più giusta? Ma quali sono, a mio avviso, i criteri per ritenere “giusta” la scelta di un luogo piuttosto che un altro ? Una volta, neanche tanto tempo fa, la scelta di una destinazione veniva fatta solo esclusivamente in base a criteri di esoticità, unicità, esclusività del posto. Insomma andare con l’azienda laddove da soli magari non si darebbe mai andati. Perché l’azienda voleva far vedere che era capace di “dare” ai propri ospiti delle cose scelte con estrema cura. L’idea era quella di divertirsi, di vivere esperienze nuove e quindi di tornare a casa motivati e “riconoscenti” nei riguardi di una azienda che si prendeva tanta cura delle persone con cui aveva a che fare. E questo era cosa “buona e giusta” che ancora adesso deve avere il suo peso.
Buona e giusta ma insufficiente. Perché l’evento incentive non può dimenticare di essere un momento di comunicazione. Un momento che l’azienda coglie per poter far passare quei messaggi aziendali che è opportuno che gli ospiti conoscano per poter svolgere meglio il loro compito nei riguardi dell’azienda stessa. Informazione, quindi, oltre a motivazione. E allora, in questo quadro, anche la scelta della destinazione comincia ad avere una forte pregnanza comunicativa. Un esempio? Se il momento aziendale richiede che le persone acquisiscano il concetto del’importanza di lavorare insieme e lo slogan dell’evento è (ad esempio) “uniti si vince”, potrebbe aver senso organizzare il viaggio nella città in cui si svolge la finale dei campionati di uno sport che è emblematico per il gioco di squadra (non solo il calcio, ma anche la vela, il canottaggio, il rugby e via così secondo lo sport di moda o preferito). Se invece si richiede ai collaboratori di essere innovativi e creativi cosa ne pensate di un incentive che ha come meta la prestigiosa sede della consegna dei premi Nobel, o la visita ad una struttura della Silicon Valley ? Sono solo esempi che si possono anche non condividere. Ma l’importante è essere d’accordo sul fatto che anche la scelta della destinazione contiene in sé un forte messaggio. Un altro criterio che porta punti alla scelta di un posto è la possibilità che le cose “al contorno” offrano la possibilità di riuscire a bilanciare correttamente i momenti che si svolgono insieme all’insegna del far circolare le idee e quelli che consentono svago e distensione. Anche qui il tutto non dimenticando
di lasciare il giusto tempo “libero” affinché ognuno possa approfondire, secondo il proprio gusto personale, quello che più gli interessa della destinazione stessa.Terza cosa. Importantissima. La destinazione deve contenere in sé ( e noi organizzatori dobbiamo esaltarla in ogni modo) la capacità di emozionare. E’ l’emozione infatti la “chimica” che rende l’evento indimenticabile. E’ l’emozione che fa sì che,tornando a casa, non vediamo l’ora di raccontare che… E’ ancora l’emozione che lascia un forte desiderio di poter partecipare ancora in futuro, ad un evento simile. “Viaggiare è come sognare, la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato” diceva Edgar Alan Poe. Non sempre ricordiamo ciò che sogniamo, ma difficilmente dimentichiamo ciò che abbiamo vissuto durante un viaggio. E se questo è un viaggio incentive allora chi l’ha organizzato può dire “obiettivo raggiunto”. Poi la scelta della destinazione sarà funzione anche di altre mille ragioni che non sto neanche ad elencare. Ma io credo che, compito di chi organizza, sia cercare di spiegare alla “parte più influente” dell’azienda che quanto abbiamo detto sopra è importante e non deve essere soffocato, che so dal fatto che il Presidente ha dei ricordi piacevolissimi di un suo soggiorno in quella città o in quell’isola…
no6 - 2010 - dm&c
33
Marketing Axel Lo Guzzo *
Le fiere e i congressi, rappresentano ancora il principale strumento di comunicazione nel B2B. A condizione che siano gestiti con estrema cura Da marketing event a business event
Opportunità in tempi di crisi *ax.loguzzo@gmail.com
34 dm&c - n 6 - 2010 o
- Il modo miglior per avviare un’azienda è la partecipazione della stessa a fiere di settore e generaliste. E’, infatti, provato, ovviamente a livello di teorie di marketing ed economiche, che la presenza, anche con un piccolo stand alle fiere giuste può aumentare più del doppio il giro d’affari dell’azienda in fase di avviamento e consolidare il business delle aziende già presenti da qualche tempo sul mercato. Partecipare a una fiera è, dunque, un modo efficace per entrare in contatto con nuovi potenziali clienti, migliorare
l’immagine della propria impresa e comunicare le novità. Proprio per questo negli ultimi anni si è sviluppato un particolare settore del marketing con lo scopo di sviluppare competenze che riescano a trasformare la fiera, intesa come evento di mercato a evento d’affari, permettendo così l’ottimizzazione delle risorse sia umane sia finanziarie. Per conseguire questi obiettivi gli esperti hanno creato il “Marketing Fieristico”, utile per trasformare la fiera da “Market Event” a “Business Event”. Il piano di marketing Il piano di marketing per la partecipazione a una fiera si articola quindi in tre fasi: il pre-fiera, l’in-fiera e il post-fiera. Ovviamente ognuna di questi stadi ha delle precise fasi da rispettare dalle quali non ci si deve allontanare troppo per non compromettere i risultati. La fase pre-fiera è principalmente un piano di comunicazione e pubblicità che deve mirare alla divulgazione dell’evento sia ai clienti effettivi sia a quelli potenziali
elogiando non solo l’evento in sé ma anche tutta la progettazione e allestimento fieristico che sarà effettuato per l’occasione. La seconda consiste proprio nello svolgimento dell’evento stesso partendo dall’affitto dello spazio per lo stand fieristico fino ad arrivare a tutta la gestione dei contatti, e mira a ottimizzare in tutti i sensi, lo sviluppo delle relazioni con chi partecipa all’evento. In questa fase un ruolo fondamentale l’hanno sia i commercianti dell’azienda, o i titolari stessi nel caso di un’azienda di piccole dimensioni, sia la struttura fisica dello stand, la sua grandezza e la sua progettazione, che deve essere studiata in modo da mettere in luce le caratteristiche che il visitatore deve riuscire a portare nella memoria una volta uscito dallo spazio fieristico; una sorta quindi di biglietto da visita dell’azienda stessa. Infine l’ultima fase, permette di consolidare il lavoro svolto e di fare verifiche sui risultati ottenuti gestendo in modo personalizzato tutti i contatti derivati dallo svolgimento delle due fasi precedenti. In sostanza se si è lavorato bene nelle prime due fasi questa terza serve a consolidare la gestione dei contati. In tutti i periodi, comunque, vanno tenuti presenti due aspetti. La partecipazione La partecipazione a una fiera non è un evento estemporaneo e isolato, ma deve essere parte integrante di un piano di comunicazione dell’impresa; esporre in fiera è un’opportunità unica per creare o aggiungere valore all’immagine della propria impresa, è una “vetrina” da sfruttare. In secondo luogo, è necessario scegliere la fiera anche in conformità a diversi fattori, come il posizionamento, le finalità, il pubblico e il relativo profilo, i costi dei servizi, della logistica e così via. Inoltre, un altro elemento da non sottovalutare, è che
un evento fieristico assume un’importanza sull’incentivazione a livello economico del territorio locale a carattere molto forte. Fiere e congressi Anche il comparto degli eventi congressuali, sempre più legati per complementarietà alle fiere, attiene al marketing fieristico ed ha una particolare valenza anche legata allo sviluppo del turismo a livello locale. Da un punto di vista generale, quindi, tutte le azioni attuate da un piano di marketing fieristico sono strettamente influenzate dalle azioni anche politiche espresse sul territorio; ne conseguono, pertanto, uno stretto legame tra marketing fieristico e marketing territoriale. Non per ultimo, è un momento privilegiato per vedere le offerte dei concorrenti, per raccogliere il maggior numero d’informazioni sul settore in generale e sulle specifiche tendenze a livello di prodotti dei propri concorrenti diretti e indiretti. Feed back Un’occasione per raccogliere un feedback immediato da parte dei clienti per quello che riguarda i prodotti, la qualità del servizio, le caratteristiche generali dell’offerta particolarmente stimolante per sviluppare nuove idee e prodotti futuri. Se i vantaggi sono tanti, resta un punto a sfavore indiscusso: il costo. Costo che è percepito elevato, anche se sono poche le aziende, soprattutto di piccole dimensioni, a considerare con attenzione tutte le voci di costo inerenti alle fiere. A mitigare l’impatto negativo dell’investimento richiesto dalla fiera, c’è, però l’elevato ritorno dell’investimento in termini di patrimonio contatti che si acquistano e che una successiva buona azione commerciale potrà trasformare in clienti effettivi.
no6 - 2010 - dm&c
35
Comunicazione Carlo Cremona
Ci stiamo avviando verso l’era del “post computer”, con dispositivi sempre più semplici e leggeri che sono costantemente collegati alla Rete ABC Internet
Il futuro della Rete è nomade
36 dm&c - n 6 - 2010 o
- Si racconta che il celebre fisico danese Niels Bohr - insignito del Premio Nobel per i suoi fondamentali contributi allo sviluppo della meccanica quantistica - abbia un giorno affermato, forse neppur troppo scherzosamente, che “fare previsioni è una cosa molto difficile, specialmente se riguardano il futuro”. Mi è sembrato dunque opportuno cercare qualche conferma dei dati contenuti nello studio Ericsson citato nella scorsa puntata di ABC, e cioè che nel mese di luglio 2010 il numero degli abbonamenti di telefonia mobile nel mondo avevano raggiunto i 5 miliardi, che di essi 500 milioni permettevano la connessione a Internet e che, se questi ultimi continueranno a crescere ai ritmi attuali, entro il 2015 diventeranno 3,4 miliardi, per cui, fra quattro anni, la maggior parte degli accessi alla Rete potrebbe avvenire attraverso dispositivi mobili. E a dire il vero le conferme non sono mancate. Verso la metà dello scorso mese di agosto, Gartner - la più autorevole società di analisi del mercato Ict - ha comunicato che nel secondo
trimestre del 2010 erano stati venduti in tutto il mondo 326 milioni di dispositivi mobili - con un incremento del 13,8% rispetto allo stesso periodo del 2009 - e che al loro interno gli smartphone (i telefoni cellulari dotati anche di funzioni applicative) rappresentavano il 19%, con una crescita, rispetto all’anno precedente, di oltre il 50%. Pertanto, se partendo da questi dati si fanno due conti, si vede che alla fine del 2010 i dispositivi mobili venduti nel corso dell’anno supereranno gli 1,3 miliardi, e di questi 250 milioni saranno smartphone. Più recentemente - restando questa volta in Italia - TIM (Telecom Italia Mobile) ha affermato che il volume di traffico generato dai suoi clienti con chiavette, smartphone e iPhone vari aveva raggiunto nel 2009 i 30 petabyte (ovvero 60 miliardi di megabyte), mentre nel 2010 la sua rete, opportunamente potenziata, ne smisterà il doppio. E, per quanto riguarda il prossimo futuro, la sua previsione è che questo genere di traffico continuerà a crescere a tassi annui pari ad almeno al 50%.
Tutti dati che rafforzano l’ipotesi che ci si stia effettivamente avviando verso l’era del ‘post-computer’, com’è stata battezzata da Steve Jobs dell’Apple, uno dei suoi più convinti profeti. Un’era di dispositivi sempre più semplici e leggeri, di mini-pc non solo capaci di svariate funzioni ma, soprattutto, di rimanere costantemente collegati alla Rete, alla quale sarà possibile accedere in ogni momento per scaricare dati di ogni tipo. Oggetti multimediali che si adatteranno sempre meglio alle necessità di chi li usa, che staranno nelle loro tasche o nelle loro borsette, e saranno in grado di fornire servizi che oggi richiedono ancora, in buona parte, l’uso di veri e propri computer. Tuttavia l’aspetto più importante di tali sviluppi non è, come potrebbe a prima vista apparire, quello puramente tecnologico, ma il fatto che l’impiego sempre più diffuso di questi dispositivi sta creando i presupposti di quella che sarà, in un futuro ormai prossimo, la sua più rilevante conseguenza: una nuova rivoluzione nel mondo delle comunicazioni i cui effetti potrebbero rivelarsi ancora più dirompenti di quelli determinati, negli ultimi 10-15 anni, dall’affermarsi di Internet. Anche se forse la maggior parte degli 11 milioni gli italiani che, secondo una ricerca effettuata dal Politecnico di Milano lo scorso mese di luglio, preferisce collegarsi a Internet con il cellulare, probabilmente non ne è ancora pienamente consapevole.
formation Age’, il Karl Marx dell’era post-industriale - in un recente intervento all’Università di Milano-Bicocca ha fatto notare che: “Se la comunicazione è il processo fondamentale dell’attività umana, la connettività ubiqua e permanente diventerà un fattore di trasformazione sociale. In una collettività di persone sempre connesse in Rete nasceranno nuove figure lavorative, si plasmeranno nuove strutture sociali, s’inventeranno nuove relazioni e linguaggi.” Ed ha aggiunto: “Oggi il più potente e versatile strumento di connettività è diventato il telefono cellulare nel quale stanno convergendo diversi media, dall’accesso ad Internet ai video alla musica alla messaggistica. La comunicazione senza fili è la tecnologia che ha avuto la più rapida diffusione della storia. Già il 60% della popolazione del pianeta è connessa ‘wireless’, con riflessi immensi sulla società, anche se ci troviamo ancora in una fase di transizione. Chi detiene il potere ha infatti paura di questa libera comunicazione: le aziende temono le nuove possibili forme di concorrenza, i governi temono di perdere il controllo delle loro popolazioni, i politici vedono a rischio le loro poltrone. Sono tutti nel panico, si sentono spodestati dalle nuove generazioni di internettiani, meglio informati e più rapidi nel reagire alle diverse situazioni grazie all’accesso ubiquo, e forti della sempre maggiore solidarietà fra pari che s’instaura nella Rete».
Il nuovo mondo mobile
Moltitudini intelligenti e sciami umani
Ci si sta dunque muovendo verso una connettività ubiqua che - come qualcuno ha detto - libererà gli utilizzatori della Rete dalla necessità di fruire dei suoi servizi stando seduti a una scrivania. Anche se non è solo questo il punto. Manuel Castells uno dei maggiori studiosi della società dell’informazione, definito dal Wall Street Journal, dopo la pubblicazione della sua trilogia ‘The In-
Ma quali saranno le nuove figure lavorative, le nuove strutture sociali, le forme di relazione e i nuovi linguaggi che l’ ‘ubiquitous computing’ renderà possibili? Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto Howard Rheingold, uno dei più autorevoli studiosi delle implicazioni culturali, sociali e politiche delle nuove tecnologie informatiche, che nel volume
no6 - 2010 - dm&c
37
Comunicazione
Manuel Castels
Steve Jobs
Howard Rheingold
38 dm&c - n 6 - 2010 o
‘Smart Mobs: The Next Social Revolution’ - non proprio freschissimo di stampa ma che rimane comunque di grande attualità e di cui esiste una traduzione in italiano - analizza le audaci innovazioni di cui saranno sempre più protagoniste le ‘comunità virtuali’ ovvero le ‘smart mobs’ (‘le folle, le moltitudini intelligenti’) attuali e prossime venture. Con questa espressione Howard Rheingold indica infatti i gruppi di persone che usano i dispositivi per la comunicazione a distanza e le sottostanti tecnologie - a loro volta in continua rapidissima evoluzione - per organizzarsi e agire in modo coordinato anche senza conoscersi tra di loro. Riecco dunque i concetti di ‘sciame digitale’, di ‘intelligenza collettiva’, di queste forme di aggregazione le cui possibilità, note in natura, incominciano a emergere anche nei comportamenti e nelle interazioni umane, stimolate dalle possibilità insite nelle tecnologie mobili. Come ad esempio nelle comunità che si formano all’interno dei social network - Facebook, Twitter o Myspace - dove idee e opinioni avanzate da pochi singoli possono rapidamente essere condivise, e influenzare migliaia se non milioni di persone. Con effetti profondi non solo sulle abitudini di cooperazione, comunicazione e consumo, ma anche sui modi di fare marketing e business. Chi si occupa di marketing dovrà ad esempio capire come ci si rivolge non più al singolo consumatore, ma a intere comunità le cui scelte potranno essere determinate dai giudizi espressi, nei social network, da pochi elementi che in questo modo assumono la guida dello “sciame” e gli indicano la direzione da seguire. E poiché queste scelte possono cambiare in modo non facilmente controllabile, diventerà sempre più importante riuscire a coinvolgere attraverso forme di comunicazione di tipo collaborativo chi è in grado di controllare gli sciami umani e influenzarne i comportamenti.
Naturalmente c’è ancora molto da imparare, ma alcune aziende, come Philips, Volkswagen, McDonald’s, Harley Davidson, Nike hanno incominciato a compiere test ed esperimenti in questo senso. In particolare il noto produttore di computer Dell, sia pure in forma limitata, sta esplorando uno schema di marketing che promuove la creazione di “sciami” attorno ai suoi prodotti. Man mano che il numero di persone che s’impegnano ad acquistare uno specifico modello di laptop aumenta, diminuisce il prezzo finale di cui tutti i partecipanti allo sciame, la cui durata nel tempo è limitata, potranno beneficiare. Vincoli e caveat Siamo comunque ancora all’alba di un rivolgimento la cui piena realizzazione richiederà, tra l’altro, che siano nettamente migliorate le prestazioni delle attuali reti cellulari, ampliandone sia la capacità sia la larghezza di banda che, per il momento, con l’attuale tecnologia 3G-HSDPA, non può superare in download i 14,4 Mbit/sec e in upload di 2 Mbit/sec (entrambi teorici). Gli operatori stanno ovviamente lavorando in questa direzione. TIM afferma ad esempio di aver già resi disponibili i 21 Mbit/ sec a Roma e a Milano, che verranno via via estesi su tutto il territorio nazionale, e prevede di avviare entro il 2011 i servizi a 42 Mbit/sec. Ma per la nuova rete 4G-LTE, che dovrebbe consentire velocità fino a 100 Mbit/sec bisognerà aspettare la fine del 2012, data alla quale incomincerà a introdurne gradualmente i servizi. Infine non si possono sottostimare i possibili contraccolpi legati al passaggio dall’Internet che conosciamo oggi, all’Internet senza fili né spazio, dove si giocherà un’importante sfida tra il potere economico e la libertà digitale delle persone. Un tema che prima o poi bisognerà pur trattare su ABC.
Comunicazione Bruno Calchera
Per poter comunicare in modo efficace è necessario crearsi un notevole background di conoscenza. Ed è importante vivere le cose in prima persona Considerazioni dopo la lettura di un libro
Conoscenza e Comunicazione - Capita anche di approfondire le tematiche di un libro. Chiacchierare di un libro è una faccenda rara nel comune “ vivere”. Normalmente si preferisce che siano altri a parlare di argomenti complessi, per non far trasparire il proprio personale pensiero, o meglio, per adeguarlo alla opinione della maggioranza. Il libro di Ugo Cononici, “Comunico ...ergo sum”, ha il pregio si essere schietto. Di porre il tema del comunicare in modo molto personale il che manifesta il coraggio di avere consapevolezza e di offrire il frutto di ciò a tutti. E’ una conoscenza non solo di cosa dire ma soprattutto di se stessi. Se questo libro approfondisce la tematica della comunicazione, la novità sta nel metodo: infatti Canonici lo aggancia alle sue molte esperienze personali. Sono il background del volume. Emerge che la forza delle considerazioni sta proprio nelle implicazioni personali fatte di esempi raccontati nella testimonianza vissuta, che fa stimare il volume per l’alto tasso di conoscenza.
Qual è la relazione ? Così è nata la discussione: chiedendoci: che relazione c’è tra conoscenza e comunicazione? La riflessione che segue non è una recensione del libro “ Comunico … ergo sum”, ma l’ulteriore riflessione personale suscitata dalla lettura del volume e da quella discussione con l’autore. Il tema della conoscenza è superato spesso dal termine informazione. Conoscere è solo essere informati, e di conseguenza, la Comunicazione è informare. Il problema non è linguistico, ma di relazione . Comunicare la conoscenza implica un approfondimento su che cosa è conoscenza, come avviene questo processo, quando si può dire che “si conosce”? E perciò comunicare la conoscenza come avviene? Non è innanzi tutto un problema di strumenti, ma prima avviene la necessaria decisione di cosa comunicare, e quale conoscenza comunicare. Diceva un importante autore mo-
no6 - 2010 - dm&c
39
Comunicazione
derno:” imparare qualche cosa vuole dire mettersi in grado di giudicare, la propria vita, la propria esperienza – trarne profitto diremmo noi - . Questa è una saggezza che viene dalla conoscenza più approfondita del vero. E la conoscenza più approfondita del vero non sarà mai tale se non è anche affettiva, cioè amante la realtà stessa.” Canonici attraverso giudizi tratti dalla sua storia ben fa capire una acuta osservazione della realtà, tanto acuta da diventare affettivamente bagaglio della propria umanità implicata nel processo di valutazione e di conseguenza di comunicazione. Per conoscere, il metodo è imposto dall’oggetto. L’importanza della realtà
40 dm&c - n 6 - 2010 o
Un semplice modo di affermare che la prevalenza della valutazione e del giudizio proviene dalla realtà. Il prodotto per essere conosciuto deve essere guardato, e compreso accettando le regole che l’oggetto stesso impone per la sua conoscenza. Così la comunicazione che ne consegue è una dipanazione delle infinite osservazioni nate dal metodo. Devo conoscere il servizio o il prodotto che offro al mercato, ed è la ragione stessa che l’utente finale stimerà. La forza suggestiva di certa comunicazione pubblicitaria spesso non agevola la conoscenza, ma induce l’apparenza di una conoscenza. Ad esempio la forzatura sulla immagine che deriverà dall’usare quel prodotto, farà magari vendere di più per opera dell’impulso, ma alla fine difficilmente sarà portatrice di
conoscenza, e di fidelizzazione, e di legame con il compratore, cioè di valutazione personale positiva, infatti poco racconterà di sé, molto si perderà nella nebbia dell’inconscio. Conoscenza e Comunicazione. Due parole che vanno comprese. Ad esse ci si deve educare. Conoscere non vuol dire solo il sapere razionalistico, ma anche il saper credere. Infatti la forza del testimonial esalta la conoscenza. Ad esempio: “io non ho visto il Sud Africa. Ma credo a coloro che l’hanno visitato, fotografato. Alle immagini che provengono da laggiù. Non ho dubbi. Non dubito, poiché non ho rapporto diretto, che la TV mi trasmetta immagini da un’altra nazione. Credo e basta! E’ conoscenza per fede semplicemente, credo. E spesso conosciamo per fede, perché siamo certi della credibilità del testimone o della testimonianza. La ragione però spesso vive delusioni: il testimone mente, o la testimonianza non è vera. Il rischio è uno scetticismo davanti alla comunicazione: “meglio non credere a nessuno!”, come “scegliere persone e testimonianze credibili”. Meglio sarebbe pensare così: “ non sono educato a riconoscere una vera testimonianza, non mi faccio le domande giuste per verificarlo, mi faccio abbindolare facilmente”. E’ una lealtà che pochi hanno. Sovrabbondanza di conoscenza La comunicazione diventa indispensabile in una sovrabbondanza di conoscenza. Se è naturale, quando si è fatto un grande incontro, dirlo a tutti, amici, parenti, e si vive dentro una forte pulsione comunicativa, tanto più è naturale se la conoscenza ha generato un prodotto innovativo, se il proprio desiderio creativo ha mosso l’io a brigare, costruire qualche cosa di nuovo e fantastico. Una novità. Ogni strumento di comunicazione sembra una limitazione rispetto alla cascata di conoscenza che
sgorga dalla propria esperienza. Da qui nasce la necessità, l’esigenza di avvalersi sempre di un mix di strumenti e di messaggi. Più strumenti usati bene, insieme allargano la comunicazione della conoscenza della cosa o del servizio. Conoscenza della novità. Se non v’è novità , la novità la si inventa. Ecco il dramma di molta comunicazione pubblicitaria di oggi! Scetticismo imperante Quanto scetticismo accompagna la campagne sugli additivi chimici dei prodotti di bellezza, di igiene! “ Ma come “ – si vorrebbe dire – “è cambiato il packaging, quel prodotto ha dentro quel nome latino e sconosciuto. “Ma chi lo conosce?” Ecco la vera questione! “ Chi lo conosce?” “Mi piacerebbe saperne di più su sta cosa!”, sarebbe una lodevole e successiva riflessione suggerita da una educazione al giudizio! Ma chi sono allora grandi grandi comunicatori, non chi sono quelli che più creativamente hanno saputo declinare un messaggio per farne un successo solo commerciale di un momento? Tre esempi Ho tre esempi davanti agli occhi: Il Papa, Mr. Michelin e Pietro Barilla. Il primo, Benedetto XVI, arriva dopo Giovanni Paolo II, detto il Grande Comunicatore. Una definizione vera, ma che spesso tradiva un alcunché di ambiguo: come se fosse un manipolatore delle coscienze attraverso l’immagine sapientemente usata dai media. Questo Papa, ad esempio nell’ultimo viaggio in Inghilterra, ha saputo cogliere l’essenzialità dell’umano, ha approfondito la conoscenza del cuore di ognuno offrendo un messaggio, una valutazione del presente che era ben comprensibile dai colti e dai semplici. Dal popolo. E la stampa ha dovuto registrare ciò
che stentava da tempo ad accettare: un papa non intellettuale, comunicativo, timido, ma deciso, ecc … solo di un tipo diverso dal precedente, ma con una altissima capacità di cogliere il cuore umano, uno che conosce il fondo del problema umano. Michelin, per chi lo ha ascoltato non solo è un pozzo di scienza e di conoscenza : non solo dei pneumatici. Ma del “ fare squadra”, del fare una azienda e tener conto del fattore umano complesso, innanzi tutto. E del desiderio di conoscere tutto, dall’arte al territorio, alla scienza.. Ecco, la sua comunicazione personale è stata spesso il faro per la comunicazione dei suoi prodotti. Le agenzie diventavano matte per cogliere il Suo pensiero, non facilmente accontentabile e sempre badava alla corrispondenza tra conoscenza di prodotto/sistema/ mercato a messaggio. Con target e mix diversi di comunicazione. Infine Pietro Barilla, il fondatore di un impero alimentare, che ha fatto della relazione approfondita con i suoi collaboratori, a qualunque livello, veri co-partners. Barilla - Casa. E’ l’idea della relazione tra la fabbrica e il territorio. Tra produttore e utente finale. La pasta buona aveva trai i fruitori proprio i dipendenti che ne elogiavano le qualità. Anzi Barilla voleva sapere ogni particolare di produzione e era solito tener presente – per amor di conoscenza – i giudizi dei collaboratori, degli acquirenti parmensi e memorizzava – lo testimoniano i figli- tutti i passaggi di produzione, specie la modalità distributiva e di spedizione al fine di accrescere la qualità del prodotto. L’idea di Casa Barilla oggi viene mutuata da una tradizione e da una conoscenza educativa respirata in famiglia. Per tali ragioni il binomio conoscenza-comunicazione è inscindibile. Toglie i veli alle apparenze, dona certezza, sveglia la ragione, coglie la bellezza, insegna il messaggio più adeguato, utilizza i media appropriati.
no6 - 2010 - dm&c
41
Marketing Antonio Ferrandina
Una volta creato un sito per vendere un prodotto bisogna preoccuparsi di ottenere molti accessi. E soprattutto di non perdere il contatto Una dozzina di consigli
Da cliente a cliente-fedele www.piano-marketing.blogspot.com
Seconda Parte
-Parlando del piano di lancio di un nuovo prodotto abbiamo sottolineato come sia importante capire, attraverso analisi di mercato, se l’offerta può avere successo. Abbiamo detto di ricerche offline e di quelle on line. E grazie a queste ultime siamo entrati nel mondo del web. E qui si è esaminato come ottenere il risultato di attrarre il “navigatore” al nostro sito. Affinché diventi Cliente, ma soprattutto Cliente-Fedele. Oltre a facilitare il raggiungimento del sito bisogna pianificare una strategia di marketing o, se preferite, di web marketing. Proviamo adesso a esaminare alcune strategie di web marketing che ci possano portare a un risultato soddisfacente. Sei strategie vincenti
42 dm&c - n 6 - 2010 o
1. Ottimizzazione e posizionamento ai primi posti nei motori di ricerca: studiare i meta-tags del proprio sito (titoli, argomenti, parole chiave, ecc). 2. Contenuti visibili nel corpo delle pagine
3. Focalizzare le prime 250 parole dei contenuti visibili di ogni pagina e inserirvi sino a tre parole o frasi chiave scelte per l’ottimizzazione. La più importante entro le prime 10 parole. 4. Ovviamente le tecniche di posizionamento di un sito ai primi posti nei motori non si riducono solo a questo, ma sono due aspetti importanti di una serie di azioni da intraprendere. 5. Motori di ricerca principali, Directories, e campagne PPC. Segnalare i siti nei motori di ricerca principali, neanche a dirlo uno su tutti Google, ma anche in importanti directories come Open Directory (DMOZ, importante proprio per Google ) e Yahoo. Parallelamente a un posizionamento ai vertici nei motori, prendere anche in considerazione il posizionamento a mezzo Pay per Click, se il vostro budget lo consente, e se nel vostro caso il rapporto costo per click parola chiave è conveniente. Tra i migliori troviamo senz’altro Google AdWords che consente di avere una buona visibilità anche in altri motori come
Virgilio e Arianna. Una volta ottenuto il click è necessario canalizzare il prospect in una pagina di atterraggio (landing page o squeeze page) per ottenere la sua mail, offrendo in genere un bonus omaggio. 6. E mail Marketing. Creare una Newsletter - molti utenti non comprano subito, ma possono comunque continuare ad essere interessati ai vostri prodotti o servizi e sia a loro che ai clienti acquisiti è necessario fornire un servizio di supporto ed informativo. E’ per questo motivo che è fondamentale inviare loro una newsletter periodica con contenuti interessanti e aggiornati sui servizi o i prodotti offerti e/o argomenti ad essi correlati. E’ quindi indispensabile offrire la possibilità, a chi visita il sito, di iscriversi alla newsletter inserendo in ogni pagina web del sito questa opzione. Altre sei strategie 7.Diffusione di contenuti a mezzo e-mail automatica - impostare sul proprio server di posta una casella e-mail in modalità autorisponditore che fornisce informazioni di qualità con cadenza settimanale. Questo comporta maggiore possibilità di rimanere in contatto con la propria utenza divulgando informazioni utili e proponendo nello stesso tempo prodotti o servizi. 8.Firma nelle e-mail - potrà sembrare una cosa scontata, ma è importante impostare il proprio programma di posta elettronica affinché alla fine di ogni messaggio inserisca una firma automatica contenente Nome. Cognome, indirizzo lavorativo, indirizzo e-mail, indirizzo del sito web e indirizzo per sottoscrivere la propria Newsletter. 9.Article Marketing - Diffondere i propri articoli - gli articoli che vengono scritti nelle newsletter, se includono contenuti aggiornati e di reale interesse, possono essere pubblicati da altri siti che trattano gli stessi ar-
gomenti o da portali generalisti che hanno migliaia di accessi al giorno. 10.Scambio di Links - Al fine di accrescere la Link Popularity del sito e il fattore di Page Rank di Google del proprio sito proporre uno scambio di link con siti possibilmente della stessa categoria di appartenenza e di qualità, anche di altre nazioni. 11.Forums - Aprire un Forum di supporto ai propri servizi o prodotti, significa mantenere un contatto costante con i propri utenti e quelli potenziali. Inoltre, i loro contenuti vengono continuamente visitati dagli spider dei motori di ricerca, contribuendo a migliorare il posizionamento del sito nei loro indici. 12.Aprire un programma di affiliazione - E’ un ottimo mezzo per convogliare traffico mirato e aumentare la link popularity, soprattutto se gli affiliati vengono scelti in base a determinati criteri. L’affiliato verrà pagato in base al pay per click, ovvero per ciascun click generato dal suo sito dovrete pagargli un importo la cui entità deve essere valutata in base a vari fattori. Bisognerà dotarsi anche di un software di statistica per controllare e filtrare gli accessi provenienti dagli affiliati.
no6 - 2010 - dm&c
43
iNFORMALIBRI MARKETING SOVVERSIVO Venti storie che hanno cambiato i mercati di Marcello Cividini - Maggioli Editore - pag. 192 - 26,00 Euro
Utilizzo di tecniche senza confini per cambiare le condizioni dei mercati. Non occorre essere manager per fare marketing che cambi le regole. Occorrono idee nuove oppure la nuova applicazione di idee usate in altri campi con successo. A volte le cose nascono perché qualcuno ci ob-
bliga a farlo, spesso le idee valide vengono dalla contaminazione delle diverse culture. Ci sono occasioni in cui le menti fertili traggono spunto dall’osservazione delle circostanze avverse. Sono questi i momenti in cui i problemi da affrontare si trasormano in opportunità da sfruttare. Questo libro non è un trattato scientifico . Racconta 20 storie di aziende, ignorate dai più, che grazie al marketing, hanno cambiato, senza che noi ce ne accorgessimo, il modo in cui consumiamo. Come elemento comune a tutte queste storie si ritrova una volontà ferrea, che sembra spesso irragionevole ai più . Una volontà cieca per non vedere i sorrisini di quelli che si credono intelligenti.
GUERRILLA MARKETING Come esercitare leadership sul mercato prendendo a morsi la crisi
di Mauro Baricca - Maggioli Editore - pag. 190 - 20,00 Euro
44 dm&c - n 6 - 2010 o
Cosa è il marketing? Il marketing è truffa. illusione, suggestione. Il Marketing è soggettivo, il marketing è falso, il marketing è poesia. Il marketing è guardare la foto di un campo di lavanda e... sentirne il profumo. IL MARKETING è.. Per cortesia, non pensare alla rana viola e continua a leggere... Vedi? Non solo ci hai pensato , ma l’hai visualizzata, la TUA rana viola, che è diversa dalla mia ... quante volte con gli altri senza pensare che le loro rane viola sono diverse dalle nostre? Eppure noi cerhiamo sempre di vendere la nostra rana viola, proprio come la vediamo noi, solo che loro, le persone che ci interessano, non la vedono o non la vogliono vedere.
Non perdere l’opportunità di acquisire migliori conoscenze nel campo del guerrilla Marketing e del Marketing di relazione. A chi si rivolge questo testo? A chiunque, questo libro è per tutti; e per te, che ti stai chiedendo: “Lo acquisto o non lo acquisto? Ma cosa ci sarà di così interessante in questo testo?”. Acquistalo: in questo libro c’è la tua vita, ci sono le tue relazioni, c’è la capacità di venderele tue idee in modo divertente e costruttivo. Non importa il mestiere che fai, questo libro non è dedicato solo agli imprenditori o agli operatori del marketing, questo libro è per te: immagina di poter migliorare la tua comunicazione,il tuo approccio e le tecniche per aumentare l’interesse degli altri nei tuoi confronti... IL MARKETING è.
L’AZIENDA SOSTENIBILE Le strategie di 10 aziende industriali per raggiungere sicurezza sul lavoro, salute e cura dell’ambiente di Aldo Canonici - Franco Angeli - pag. 184 - 22,00 Euro 20 Aprile 2010: un incendio scoppia a bordo della piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon” della BP nel Golfo del Messico. 11 tecnici che sono a bordo muoiono, il greggio si disperde in mare alla velocità di 2,2 milioni di litro al giorno, è in atto una catastrofe ecologica senza precedenti al mondo. Si rafforza il concetto ormai maturo che la sicurezza sul lavoro ha travalicato i confini più tradizionali ed è parte di un impegno molto più ampio. Le aziende devono sempre più divenire sostenibili, abbracciare oltre alla sicurezza l’ambiente e la salute, insieme unite in un unico settore. I confini dello stabilimento si allargano alla salute dei familiari del dipendente. Essere un’azienda sostenibile diviene un vantaggio competitivo, un investimento e non più un costo. Ormai cadono e vengono superati i compiti tradizionali. Cambia il ruolo del management, l’operaio tradizionale non esiste più, si tende ad occuparsi di tutti gli stakeholder - non soltanto di quelli relativi alle risorse umane. Gli spazi non si limitano alla fabbrica, ma si estendono alla sicurezza nella scuola, ai luoghi di vacanze, agli spazi in itinere. Dieci grandi aziende europee, tutte tra le best-performer, sono state intervistate e raccontano le proprie strategie sull’argomento, i trend in corso, le azioni intraprese per favorire la sicurezza sul lavoro, come sta cambiando il fattore rischio, come meglio organizzarsi nel settore. Si chiarisce in questo concetto anche il ruolo del nostro paese: l’Italia non è la “maglia nera”del vecchio continente, come a volte con grande leggerezza vie-
ne indicato, ma se si prende in considerazione il settore della grande industria è al livello di quelle degli altri paesi. Il benchmarking si conferma ancora una volta come un intelligente strumento per confrontare le proprie iniziative e strategie con quello di altre aziende eccellenti in Europa e potere così autovalutare lo stato dell’arte e la posizione in cui ci si trova.
no6 - 2010 - dm&c
45
iNFORMALIBRI MANAGEMENT PLURALE Diversità individuali e strategie organizzative di Maria Cristina Bombelli - ETAS Editore Per anni il diversity management, la funzione aziendale che si occupa della conoscenza e della valorizzazione delle differenze delle persone all’interno delle organizzazioni, è stato un argomento da “addetti ai lavori”, ma oggi la situazione è cambiata. Nell’attuale mondo del lavoro, in-
fatti, la diversità – di genere, di cultura, di origine – è ormai riconosciuta come un valore, e va quindi gestita come un obiettivo concreto per il successo delle aziende. Tuttavia, molte imprese si dicono attente a questi temi solo a parole, con il rischio che il tutto si risolva solo in una moda o in facile retorica svincolata dalla realtà. In questo libro l’autrice, pioniera italiana del settore che ha seguito progetti di diversity management delle più significative aziende italiane e multinazionali, fa il punto sulla situazione attuale e sui dubbi che rimangono aperti, offrendo al lettore una serie di consigli per mettere in pratica la nuova cultura della pluralità e mettendo in guardia dai pericoli e dagli errori.
COMUNICAZIONE INDUSTRIALE Rassegna delle tecnologie e degli standard Ethernet, wireless, fieldbus e seriali utilizzati nell’industria e nell’automazione di Armando Martin - Editoriale Delfino - 24.00 euro Trattato moderno e di facile consultazione dedicato alle tecniche di connessione e trasmissione dati. “Comunicazione Industriale” è il primo saggio nel panorama editoriale italiano, che passa in rassegna l’universo delle tecnologie e dei sistemi di comunicazione per l’industria con un linguaggio semplice e rigo-
Comunico …ergo sum Ugo Canonici
Comunico …ergo sum Se è importante saper fare, lo è altrettanto il far sapere. Utilizzando una buona comunicazione.
Prefazione di Enrico Bertolino
Deus Editore s.r.l.
Sarò Breve
Organizzare eventi aziendali
roso. Dai modelli di rete alle interfacce di connessione, dai bus di campo agli standard wireless, dalla comunicazione embedded a quella per il motion control, da Ethernet (nelle sue numerose declinazioni) agli standard informatici e di sicurezza, e ancora apparati di networking, smart grid, telecontrollo, cablaggio strutturato e reti di trasmissione dati. Il testo si rivolge ad un pubblico molto vasto, non ultimi gli studenti delle scuole secondarie e delle università molto spesso a digiuno di questi argomenti.
Scrivere. Una fatica nera.
La piccola libreria di Deus Editore www.miabbono.com/deus
SOLUZIONE TEMPORARY MANAGEMENT Nuovi professionisti per la creazione di valore di Maurizio Quarta - Franco Angeli - pag. 215 Il temporary management (TM) è oggi oggetto di uno strano effetto pendolo: se prima se ne parlava troppo poco, oggi se ne parla troppo, soprattutto legandolo ai temi della crisi, rischiando di farla diventare l’ennesima “moda di business”. Siamo in presenza di una forte crescita d’interesse per lo strumento, di un sensibile aumento della domanda da parte delle aziende, specie PMI, ma anche di un aumento incontrollato di offerta non qualificata, che può però creare al mercato un dannosissimo effetto boomerang. Obiettivo del libro è far sì che di TM si parli nei giusti modi e nelle giuste misure come di uno strumento utile, che non serve sempre, comunque e dovunque, e che ha successo se correttamente applicato nelle opportune situazioni. Il libro si rivolge in primo luogo alle aziende e ai manager. L’interesse delle prime, specie delle PMI, è testimoniato dall’introduzione al volume scritta da Vincenzo Boccia, Presidente Piccola Industria di Confindustria, dalla prefazione scritta da Paolo Iacci di AIDP e da un commento di Paolo Citterio, Presidente di GIDP. L’interesse dei secondi è testimoniato da due brevi commenti di Federmanager (Giorgio Ambrogioni) e Manageritalia (Giuseppe Truglia). Alle aziende vengono date indicazioni pratiche sulle situazioni tipiche di utilizzo. sulle diverse modalità di approccio ad un progetto, sulle corrette modalità di valutazione di costi e benefici e sulla gestione delle varie fasi di un intervento. Soprattutto, si è cercato di dare alle aziende, specie alle medie e piccole, una serie di criteri per acquisire consapevolmente questo servizio in un mercato sempre più confuso e affollato. Ai manager verrà fornita una serie di spunti di riflessione su chi è il Temporary Manager, su chi può diventarlo, e soprattutto su quali scelte deve aver effettuato e su come deve essersi “attrezzato” personalmente e professionalmente, fornendo una sorta di checklist
personale con cui confrontarsi continuamente, anche per evitare inutili illusioni e aspettative. Anche ai manager vengono dati spunti per non farsi “intrappolare” da entità non professionali che possano speculare sulla necessità di trovare lavoro da parte di molti. Grazie all’ampio panel di riferimento su cui si basa, il libro offre spunti interessanti anche ad altre categorie di lettori: • alle aziende erogatrici del servizio per la condivisione di un modello di sviluppo basato sulle esperienze straniere più significative • al legislatore d’ impresa per la creazione di un quadro normativo che faciliti la diffusione dello strumento, specie nelle PMI • alle parti sociali per la definizione di un contesto contrattuale ed operativo favorevole alla diffusione di questa modalità di lavoro • alle associazioni manageriali per un corretto sviluppo istutuzionale del mercato, basato sugli approcci innovativi e moderni dei paesi più evoluti.
no6 - 2010 - dm&c
47
Fatti & Persone
L’Oriente si racconta a Palazzo Reale
Tutte questi oggetti d’arte si riferiscono alla mostra sull’Islam a Palazzo Reale
E’ un dialogo culturale tra Oriente e Occidente la splendida mostra a Palazzo Reale “al-Fann. Arte della civiltà islamica”, sino al 30 gennaio 2011. Un affresco completo della civiltà islamica attraverso la sua arte, con una ricchissima varietà cronologica (mille anni dal VII al XVII secolo), geografica (dalla Spagna all’Estremo Oriente) e tipologica (tappeti e tessuti, raffinati metalli cesellati, ceramiche, sculture, miniature, preziosi gioielli e oggetti in avorio). In anteprima mondiale le 350 opere della collezione al-Sabah dello sceicco Nasser Sabah e di sua moglie, comunicano bellezza e raffinatezza e invitano a scoprire l’arte di una civiltà millenaria, poco conosciuta in Occidente, e degli incontri, scambi e influenze con altre espressioni artistiche, compresa la nostra. Il percorso di visita è semplice ma di grande impatto: le opere più mirabili in sequenza cronologica, fino ai capolavori dei tre grandi imperi cinquecenteschi, Ottomani, Safavidi e Moghul, seguite dall’approfondimento di aspetti peculiari: la calligrafia, la geometria, gli arabeschi, le figure e i gioielli, di cui questa Collezione rappresenta forse la principale raccolta mondiale. Inaugurato Eataly in USA
48 dm&c - n 6 - 2010 o
A New York, a Manhattan, è sbarcato Eataly, il meglio dell’alimentazione buona e sana made in Italy. Per educare il gusto degli Americani, di recente stanchi del loro cattivo cibo, Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, ha portato l’eccellenza dei prodotti culinari di ogni regione, dei cuochi di ogni settore e del design inerente alla cucina. Al numero 200 della Quinta Strada, un bell’edificio 800, in 7mila mq, ospita un villaggio di raffinatezze italiane, dalle carni ai dolci, i corner
“prosciutto e bollicine” in piazza, la fontana con zampillo di cioccolato, ma anche ristoranti, enoteca, libreria, scuola di gastronomia. C’è posto anche per un lancio turistico a rotazione di ogni regione e per ospitare prodotti Usa selezionati. Vivere solo con l’e-commerce Single, 35enne con bimbo piccolo e cane per un anno vivrà solo di acquisti online. E’ questo il progetto “IeSItalian e-shopper” realizzato da CNR Media, col patrocinio di Netcomm -Consorzio del Commercio elettronico italiano. Lo scopo è scoprire cosa significa usare l’e-commerce, per tutte le esigenze quotidiane, dal cibo ai libri, dai viaggi alle polizze. Il messaggio comunica che la maturità raggiunta dal commercio elettronico in risparmio, qualità, garanzia, sicurezza è tale da poterne fruire tutti per tutto. Una giornalista di CNR, dal profilo simile a molte altre donne, munita di pc, carta di credito e acconto Pay-pal, è pronta a risolvere le sue esigenze quotidiane solo sul web e a testimoniarlo in un blog, in un diario su Epolis e in trasmissioni pure giornaliere su CNR Radio Fm e Cnr Tv News, raccontando le proprie impressioni e il grado di soddisfazione, oltre a promuovere le aziende scelte. Un’avventura realistica/giornalistica tramite una comunicazione multicanale: una proposta inedita e forte con cui attirare l’attenzione del pubblico. Le aziende piemontesi investono sulle donne La Regione Piemonte ha premiato le aziende più attente alle donne. L’iniziativa, avviata nel 2009, ha individuato tra le aziende piemontesi con oltre 100 dipendenti, quelle “virtuose”, cioè con un congruo numero di donne in organico e nella dirigenza: 58 realtà su 1076 del campione. I dati hanno messo in luce le con-
dizioni che favoriscono l’emersione delle donne, specie a livello dirigenziale: un management “open minded” e/o internazionale; il lavoro in team e molto centrato sui risultati; la tecnologia; l’adesione a valori di non discriminazione e pari opportunità. Per un’organizzazione aziendale più “amica” delle donne, alle aziende piemontesi sarà distribuita la pubblicazione “é-quality viaggio nelle imprese dove parità è qualità”. Per approfondire il progetto “Aziende che investono sulle donne”: Ufficio Consigliera di Parità regionale, segreteria CP@regione.piemonte.it E’ nata Univendita E’ nata una nuova associazione di categoria della vendita diretta a domicilio: è Univendita, (www.univendita.it) con sede a Milano, in piazza Cadorna, 2. L’hanno fondata sei aziende, Tupperware Italia, Vorwerk Folletto, Just Italia, Vorwerk Contempora, Cartorange e Jafra Cosmetics, dopo la loro uscita clamorosa la scorsa estate da Avedisco. Alla guida, Luca Pozzoli (Tupperware Italia) in qualità di presidente e Ciro Sinatra (Vorwerk Folletto), vicepresidente. Segretario generale è Daniele Pirola. Innovazione, sviluppo, credibilità, alti standard etici: sono le parole chiave contenute nello statuto di Univendita. «Capisaldi dell’impegno dell’associazione -conferma Luca Pozzoli. -sono la gestione attenta della propria reputazione, la ferma convinzione di riunire l’eccellenza della vendita diretta a domicilio e fare sistema per contribuire attivamente allo sviluppo sostenibile del settore. La nostra visione della vendita diretta a domicilio è incentrata sulla massima trasparenza e sul rispetto dei consumatori». A livello europeo, l’associazione si riconosce nei valori di DSE (Direct Selling Europe), a cui intende aderire. Il comparto della vendita diretta a domicilio in Italia ora ha quindi due associazioni di riferimento.
Alleate per conquistare l’estero E’ tempo di rete. Il Made in Italy deve puntare alla qualità e alla sinergia, ovvero fare gruppo, ognuno con le proprie caratteristiche, per ottenere vantaggi commerciali, fiscali e di maggior potere contrattuale verso le banche. Lo dicono anche ministri e Confindustria, ma alcune realtà industriali sono già passate ai fatti. E’ il caso di otto aziende premium con prodotti complementari della zona Carpi-Modena, che hanno avviato il loro esperimento di Rete: uno showroom a Milano, in cui presentano tutte insieme i loro manufatti. L’obiettivo è di affrontare meglio i mercati, specie esteri. Ma questo è solo il primo passo per aziende alle prese con i costi di pubblicità e ricerca, e con una concorrenza, spesso sleale. Il +4,2% dell’export tessile italiano nel I semestre 2010 fa ben sperare. La rete al servizio dell’arte Il sistema museale pubblico e privato ha il suo portale, ArtWireless. Lo scopo é di creare un network di Musei e Gallerie ricco di servizi online: visite guidate virtuali, audioguide, consultazione di cataloghi, vendita e prenotazione biglietti. Inoltre in www.ArtWireless.it vi sono blog e forum sui dibattiti del momento. Direttore del portale è Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale italiana per l’Unesco (collaboratrice nella creazione) e rettore dell’Università Iulm. Il portale si articola in quattro grandi macroaree: la prima, informativa, raccoglie articoli e news sulle novità dell’arte in Italia; la seconda è dedicata ai musei, per segnalare eventi e mostre; la quarta sui servizi wireless per l’ accesso, con cellulari predisposti, a tutte le informazioni disponibili sull’opera che si sta guardando. durante la visita a un museo.
no6 - 2010 - dm&c
49
Fatti & Persone
Erix Logan
erix@erixlogan.com
Fino agli anni 50 gli spettacoli di Varietà riempivano i teatri Italiani grazie al forte richiamo che le diverse attrazioni esercitavano. Tra queste gli illusionisti erano le celebrità assolute, poiché, contrariamente ad acrobati, comici e fantasisti, erano in grado di reggere interi spettacoli con il proprio accattivante repertorio di donne segate a metà, apparizioni, sparizioni, levitazioni e mille altre fantastiche rappresentazioni. L’avvento della Televisione ha cambiato le abitudini, sconvolto le tradizioni e inglobato dentro di sé il Varietà. Contrariamente al Circo, che per sua diversa storia e natura rimase fedele al proprio contesto, la Magia è esistita, in Italia e per molti anni, solo in TV; mentre all’estero rimaneva popolare anche negli spettacoli dal vivo. Il mago Erix Logan riporta in teatro la grande tradizione dell’illusionismo, Arte primaria che è nata con l’uomo e che insieme ad esso si è sviluppata nel corso dei secoli. Lo spettacolo prevede anche una soluzione didattica “conferenza-spettacolo” che sviscera la relazione tra l’uomo e la Magia. Lo spot nella rivista
50 dm&c - n 6 - 2010 o
Già questa estate alcune riviste italiane ci avevano dato un assaggio
sperimentale di un nuovo modo di coniugare carta stampata e immagini in movimento. adesso sembra che stia partendo con vigore in USA la rivoluzione del video spot inserito in una rivista. Quando si sfoglia la pagina parte il video parlato che promuove due prodotti. In fondo la tecnologia è quella dei biglietti d’auguri con musica. Al momento ci sono ancora degli ostacoli da superare: l’inserto è troppo grosso, lo spot è lento a partire e i costi da valutare. L’esperimento però ha raccolto commenti positivi da parte del pubblico e l’iniziativa potrebbe stimolare promozioni innovative in un mercato in difficoltà come quello dei giornali e della pubblicità connessa. Sul web c’è lo“skin advertising” Tra le novità online, alcune imprese hanno incominciato ad adottare lo “skin advertising”, un nuovo modo di fare pubblicità, per cui gli annunci si dispiegano proprio come una pelle, avviluppando l’home page di un sito. C’è chi pensa che il visitatore del sito potrebbe viverlo come un disturbo, ma chi è favorevole obietta che l’intrusione viene facilmente perdonata, se il sito offre servizi gratis come fa, ad esempio, un quotidiano con le notizie. L’Italiano in pillole Italiano in pillole si propone di rispondere a molti dei dubbi sull’uso della lingua italiana parlata e scritta, con una serie di 12 video della durata di 5-6 minuti che offrono non solo regole, ma anche notizie curiose e interessanti sull’italiano corrente. Le lezioni sono tenute dal professore Giuseppe Patota, ordinario di Storia della lingua italiana presso l’Università degli Studi di Siena-Arezzo, linguista già noto al pubblico televisivo per avere realizzato rubriche e pro-
grammi dedicati all’insegnamento e alla diffusione della lingua italiana. Tutte le videolezioni saranno regolarmente consultabili sul sito www. garzantilinguistica.it per l’intero anno scolastico 2010-2011 al ritmo di due al mese, corredate dalla trascrizione integrale dei testi, che gli studenti potranno copiare e salvare in forma di appunti, e da una batteria di esercizi per verificare la comprensione degli argomenti trattati e misurare i propri progressi. La raccolta completa di questi materiali costituirà, nel suo insieme, una vera e propria “videogrammatica” dedicata alle regole, alle eccezioni e alle curiosità della lingua italiana che, oggi, registra molti elementi di novità e di trasformazione rispetto al modello di lingua tradizionalmente insegnato a scuola e descritto nei testi di grammatica. Site Italy per la sostenibilità Si è tenuto a Milano, presso l’Hotel Milano Scala, un evento formativo di Site Italy. Il titolo: “ Segnali forti dal fronte della sostenibilità (come sviluppare business puntando alla sostenibilità)” e ha affrontato l’attualissimo tema del valore che l’approccio green aggiunge alla brand awareness (in tutti i campi, non solo nella meeting industry). L’incontro si è svolto nell’ambito della settimana sulla sostenibilità dell’Unesco e rientra nel programma di eventi a tema che Site Italy inaugurò a Firenze un anno fa, sempre con il patrocinio dell’Unesco. Moderati da Ugo Canonici, sono intervenuti: Maurizio Faroldi, direttore dell’hotel Milano Scala; Elena Vender Caldarelli, green member del Direttivo di Site Italy, Ceo dell’agenzia Kontiki; Stefania Fontana, consulente per la Regione Lombardia; Massimo Cacciotti, area manager Nord Ovest dell’ente certificatore BSI Italia; Filippo Borghesi, di Green Graffiti, e Grazia Sapigni del Consiglio Direttivo di Site Italy .
La Cicrespi e il suo secolo La Cicrespi festeggia i suoi cento anni di vita. L’azienda progetta, produce, integra e garantisce assistenza di sistemi per identificazione, tracciabilità e sicurezza, di prodotti, processi e percorsi. La sua specializzazione, realizzata in collaborazione con i suoi partner internazionali, assicura sempre la soluzione di valore specifica per le esigenze di ogni cliente, anticipando e favorendo le evoluzioni tecnologiche e di mercato. Un’azienda, fra le leader nel mondo, fatta di uomini e donne che da un secolo ripercorrono, evolvono e ottimizzano l’intuito e l’impegno dei leader Crespi fondatori prima e di Monticelli, Bettetini, Tavecchia poi. Il presidente Carlo Monticelli fa capo alle due generazioni attuali, insieme alla figlia Renata Monticelli Bettetini, amministratore delegato, a Carlo Tavecchia, a sua volta amministratore delegato, marito di Chiara Monticelli, motore per vent’anni della Cicrespi, scomparsa per malattia nel 2006. La Cicrespi, per mercato, per filosofia, funzione e destino, non è solo un’azienda autoctona, è un micromondo che ha percorso la storia italiana, interpretandola e adeguandosi alle vicende. La sua attitudine “internazionale” fa valere questo concetto in chiave universale. Non si comprende in pieno la storia di questa azienda e di queste famiglie, se non le si pongono in un contesto che non solo riguarda il nostro Paese, ma si estende molto più lontano. La Cicrespi per arrivare a tutto questo ha attraversato un secolo diventandone parte integrante.
no6 - 2010 - dm&c
51
Comunicazione & Benessere
Antonella Lucato
Sono stati fatti passi da gigante nell’accesso alle varie professioni da parte delle donne. Ma c’è ancora tanto da fare verso un traguardo che comicia ad essere condiviso
Un universo in movimento
Donna è bello - Che il valore del pensiero femminile sia una risorsa per l’economia mondiale oggi non lo nega (quasi) più nessuno. Ma per arrivare a questo punto il percorso non è stato facile né veloce. Ancora oggi le leve del potere sono per la maggior parte nelle mani degli uomini, e le percentuali di donne “che contano” sono molto diverse da Paese a Paese. La trasformazione del ruolo della donna è stato lungo, faticoso e contrastato.
Terza Parte
Uno sguardo indietro
52 dm&c - n 6 - 2010 o
Guardando indietro il lavoro del genere femminile era relegato in categorie ben definite: filandere, mondine, braccianti, sarte braccianti. Nei primi quaranta anni del Novecento per le donne, anche se appartenenti alla media e alta borghesia
gli accessi professionali erano preclusi. Fare e allevare figli era il loro compito. In Italia sino al 1963 si poteva licenziare la donna che si sposava e l’accesso alla magistratura non era consentito. Negli anni setanta vengono emanate alcune leggi che vanno nella direzione di favorire l’avvicinarsi al lavoro anche all’altro sesso. Che però continuava a “storcere il naso”. Ma, passo dopo passo, l’avvicinamento si mostrava inevitabile. Nuove figure La tipologia dell’imprenditrice più diffusa negli anni cinquanta e sessanta era quella della compagna d’avventura. Mogli diventate imprenditrici a fianco del marito con il quale dividevano l’onere e l’onore dell’attività industriale. Come Wanda Ferragamo nel settore calzature e articoli di lusso in pelle o, a Milano l’Editrice Giancarla Mursia. Due casi in prima fila tra i tantissimi
Antonella Lucato La comunicazione nelle sue diverse forme espressive è il filo conduttore che accompagna studi, formazioni e attività di una vita. Il Gesto e la Parola, la Relazione tra comunicazione verbale e non-verbale è stato il tema della tesi in Relazioni Pubbliche all’Università Iulm di Milano. Master in linguaggi espressivi, psicologia della comunicazione e psicosomatica, un’intensa attività di comunicazione in note aziende multinazionali e l’insegnamento in prestigiose Scuole di formazione arricchiscono l’esperienza sino all’approdo alla scrittura. I libri pubblicati, diversi per genere, in comune hanno la ricerca interiore, l’arte sottile di scoprire e conoscere se stessi. Scrive per testate italiane ed internazionali. meno noti. Un successo più difficile perché ottenuto partendo da zero è quello delle imprenditrici di prima generazione, nel campo della moda, Mariuccia Mandelli impose la sua griffe Krizia, debuttò producendo gonne e camicette per le amiche milanesi, lasciandosi alle spalle gli studi delle magistrali e qualche anno di lavoro come maestra. Rosita Missoni capovolse l’iter d’impresa a coppia associando alla sua ditta il marito Ottavio. Diverse velocità Considerato in cifre però il numero di queste donne alla testa dei cambiamenti era molto piccolo, il grosso delle truppe era lasciato ben indietro e avanzava con passo incerto. Al salto di quantità mancavano le condizioni economiche. Soltanto tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta si fece strada una nuova tipologia di
imprenditrice legata alla terziarizzazione. Sotto la spinta della richiesta di servizi in campo sociale, amministrativo, di relazioni pubbliche, di pubblicità, risorse umane e selezione del personale, aumentavano le imprese
create da donne che si mettevano in proprio sfruttando una precedente esperienza alle dipendenze di un’azienda. Realizzazione professionale E il raggiungimento di un’equità economica e la possibilità di realizzazione professionale era molto più probabile da imprenditrice che da manager. Negli anni novanta le donne dirigenti d’azienda negli Stati Uniti erano il 40%, in Svezia e Norvegia il 15%, in Germania il 12,5%, in Francia il 10%, in Italia il 3,5%. In compenso la pressione dal basso, quella delle nuove generazioni continua a crescere. Le studentesse sia nella scuola media superiore che all’università sono la maggioranza e molto determinate. Una nuova coscienza avanza verso un futuro di consapevolezza, autonomia ed equilibrio tra maschile e femminile.
no6 - 2010 - dm&c
53
Comunicazione Sociale COOPI è presente in più di 20 Paesi in Africa, America Latina, Asia e Europa con progetti di emergenza, riabilitazione e sviluppo
Il nostro impegno, ieri e oggi Informazioni COOPI – Cooperazione internazionale ONG Onlus Headquarters: Via F. De Lemene 50 – 20151 Milano –Italia Tel +39.02.3085057 r.a. – Fax +39.02.33403570 coopi@coopi.org - www.coopi.org C.F. e P.IVA 80118750159 Per le aziende contattare l’ufficio corporate all’ indirizzo: aziende@ coopi.org Rif. Licia Casamassima COME SOSTENERCI in banca: c/c bancario Banca Popolare Etica – IBAN IT 06R 05018 01600 000000102369 – intestato a COOPI – Cooperazione Internazionale ONG Onlus On line: www.coopi.org Per informazion: aziende@coopi.org
L’EDITORE
- COOPI - Cooperazione internazionale è una Organizzazione Non Governativa italiana, laica e indipendente, fondata nel 1965 da padre Vincenzo Barbieri e legalmente riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri. In oltre 40 anni di attività, ha portato a termine più di 700 progetti in 50 paesi del Sud del Mondo, coinvolgendo 50.000 operatori locali e assicurando un beneficio diretto a 60.000.000 di persone. Oggi COOPI è presente in più di 20 paesi in Africa, America Latina, Asia e Europa con oltre 150 progetti di emergenza, riabilitazione e sviluppo; promuove il sostegno a distanza con più di 30 progetti in Sierra Leone, Uganda, Perù, Repubblica Centrafricana e Senegal. Le nostre principali AREE DI INTERVENTO: SALUTE: miglioriamo i servizi sanitari di base e realizziamo programmi di prevenzione AMBIENTE: Lavoriamo contro il degrado delle città e delle aree naturali. Diamo gli strumenti per lo sviluppo agricolo e l’approvvigionamento d’acqua potabile. Miglioriamo le condizioni igienico- sanitarie ISTRUZIONE: promuoviamo l’istruzione scolastica, professionale e l’alta formazione universitaria DIRITTI UMANI: tuteliamo i diritti delle comunità e valorizziamo le differenze culturali ASSISTENZA UMANITARIA: assistiamo le popolazioni vittime di conflitti e di catastrofi naturali
LA NOSTRA MISSIONE: COOPERARE PER LO SVILUPPO COOPI vuole contribuire, attraverso l’impegno, la motivazione, la determinazione e la professionalità delle sue persone, al processo di lotta alla povertà e di crescita delle comunità con le quali coopera nel mondo, intervenendo in situazioni di emergenza, di ricostruzione e di sviluppo, per ottenere un miglior equilibrio tra il nord ed il sud del pianeta, tra aree sviluppate ed aree depresse. LA NOSTRA VISIONE: UN MONDO SENZA POVERTA’ COOPI aspira ad un mondo senza povertà, capace di realizzare concretamente gli ideali di eguaglianza e giustizia, di sviluppo sostenibile e coesione sociale, grazie all’incontro e alla collaborazione fra tutti i popoli. IL TUO AIUTO FA LA DIFFERENZA I nostri progetti umanitari sono finanziati dall’Unione Europea, dalle Agenzie dell’ONU, dal Governo Italiano, dagli Enti locali e da altri Governi Europei. Siamo sostenuti da cittadini, aziende, fondazioni e volontari. La nostra associazione impiega più del 90% dei fondi raccolti per i progetti sul campo, in oltre 20 Paesi del Sud del mondo. NATALE CON COOPI Biglietti augurali cartacei ed elettronici, calendari e panettoni solidali: tutti i prodotti per il Natale 2010 su www.coopi.org Se, invece, volete festeggiare con una cena aziendale, scegliete “Operazione Tavola Solidale”.
Comunicare con i Convegni Giovanna Risso
Il buon esito di un congresso non è legato solo alla validità della struttura che lo ospita ma anche a quello che il territorio circostante può offrire
Continua il nostro viaggio nell’entroterra savonese
Liguria: nonsolomare
56 dm&c - n 6 - 2010 o
- Colletta è un antico borgo medioevale arroccato su una collina situato a pochi chilometri dalla costa della Riviera, immerso nel verde dalla Valle Pennavaire. Fu gradatamente abbandonata dai suoi abitanti tradizionali e a metà del 1900 si ridusse ad un pittoresco cumulo di rovine. Oggi, le sue case di pietra e le sue viuzze sono state totalmente ripristinate e ancora una volta le sue finestre guardano sulle fasce coltivate ad ulivi e ciliegi della valle. Il borgo ospita regolarmente eventi culturali, come mostre d’arte e concerti oltre che eventi gastronomici per celebrare il miglior cibo e vino italiano. Oltre alla bella piscina del borgo, la zona offre la possibilità di praticare molti tipi di attività all’aperto quali escursioni a piedi, in bicicletta, scalate ed il campo da golf di Garlenda. Per gli appassionati del trekking ed escursionismo si consiglia uno degli itinerari più affascinati del savonese, Castell’Ermo o Peso Grande. Castell’Ermo è un monte situato lungo la dorsale che divide la valle Arroscia dalla valle Pennavaire e che gode di una posizione di grande pregio paesaggistico. La parete Nord del Castell’Ermo é quella che più affascina, per la presenza di alte torri dalle forme più bizzarre e dalle pareti strapiombanti. Il sentiero inizia alla fine della strada asfaltata che attraversa Borgo, una
frazione di Vendone. Si sale inizialmente lungo un bosco di castagni e una volta giunti al poggio, dopo un dislivello di 400 metri (in un’ora e mezza circa) occorrono ancora poco più di 45’ per giungere in cima al Castell’Ermo. Per gli ultimi 250 metri di dislivello ci troviamo in un ambiente aperto e soleggiato, dove la vista spazia sulla piana di Albenga e la valle Arroscia. In cima la Cappella di San Calocero, che sembra non arrivare mai, è più che meritata. Dalla Cappella è consigliabile una breve variante al Monte Nero che si trova ad Est del Castell’Ermo che sul lato occidentale presenta un insieme interessante di torri, guglie e creste alte fino ad un centinaio di metri note come “il Giardino”. Il sentiero, a sinistra della Cappella di San Calocero, conduce direttamente in cima al Castell’Ermo. Dalla vetta possiamo vedere impressionanti strapiombi, di fronte la vista spazia su molti monti tra i quali il Saccarello, il più alto della Liguria e dell’Alta Via e il Monte Fronté (2153 m.) dal quale ha origine il torrente Arroscia che attraversa un’area tipica della produzione del vino Pigato. Ecco un’altra ragione, oltre il mare, da offrire agli organizzatori congressuali, che possono trovare ottima ospitalità nelle strutture di Loano2 Village, per organizzare eventi indimenticabili. (Ufficio Marketing Loano2 Village)
Marketing Erminia Casadei
Trasferire il know how, alle strutture alberghiere, con contratti di gestione, management e franchising, con un occhio attento alla formazione del personale
Non vendere solo camere ma destinazioni
“Mi è venuta un’idea che vi racconto” www.orahotelsgroup.eu
Nella foto Vincenzo Presti
58 dm&c - n 6 - 2010 o
- Certo è un momento delicato questo, non si parla altro che di crisi quotidianamente e la crisi è responsabile di tutto, di un mercato che non gira, di clienti che non arrivano. Insomma peggio di così … Ma c’è chi invece non si ferma mai, chi è in corsa da sempre e ha il coraggio imprenditoriale di portare avanti nuovi progetti. E perché no, anche un po’ ambiziosi. E’ Vincenzo Presti, che ha avuto un’idea. Con il suo Gruppo alberghiero Ora Hotels, nel giro di soli due anni ha reso operative 26 strutture ricettive in 6 paesi diversi, dall’Italia alla Spagna, al Messico, al Kenya, alla Tanzania, al Madagascar e, a breve, con nuove aperture anche verso l’Europa dell’Est e il Mozambico.
Un marchio, quello di Ora Hotels, nato come nome da una “ispirazione” teologica: per inaugurare la nuova struttura di Assisi, il Cenacolo, a Presti, fondatore e Presidente del network, è venuto in mente il celeberrimo detto francescano “Ora et Labora”, a significare che il credere in un progetto ed il grande lavoro di una squadra di professionisti concertata, conducano alla realizzazione di un importante progetto. Un progetto che ha l’obiettivo di aprire oltre 100 strutture alberghiere, per diventare il gruppo alberghiero italiano di riferimento nell’attività di management. “In un paese quasi privo di ricambio generazionale nelle proprietà alberghiere, c’è un gran bisogno di aria nuova. Noi non acquistiamo alberghi, ma
come i grandi gruppi internazionali, come Mariott e Intercontinental, offriamo il nostro know how con contratti di gestione, management e franchising, apportando tutta la nostra esperienza operativa, commerciale, di marketing e amministrativa direttamente sul campo. E lo sviluppo che il nostro Gruppo ha avuto in soli due anni dimostra che c’è ancora tanto da fare”. Ma qual è la ricetta giusta? Come avete fatto? “Coinvolgere tutti gli attori è stato il primo passo” racconta Vincenzo Presti “e condividere questa iniziativa con estrema trasparenza con investitori e fornitori, creando sinergie finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo comune: generare business in una visione di insieme e non, vendere solo “camere”, ma “destinazioni”, valorizzandone i territori, attraverso la promozione delle risorse paesaggistiche, culturali, enogastronomiche”. Sorride il Presidente di Ora Hotels, mentre continua nel suo dire: “Il fattore umano è l’elemento essenziale e
rappresenta per Ora Hotels il fattore critico di successo di questa avventura. Convincere gli investitori della possibilità di attuare un progetto importante, interessare i fornitori a diventare partner di questa iniziativa, coinvolgere e motivare i collaboratori per esprimere al meglio la loro capacità di accoglienza e ospitalità, incuriosire ed emozionare chi può scegliere dove trascorrere il proprio soggiorno. Il Gruppo alberghiero investe moltissimo sulla formazione del proprio team, un vero team work abituato al lavoro di gruppo, a prendersi cura degli ospiti con un servizio accurato e attento, per offrire la massima assistenza e consulenza. La filosofia ORA propone a tutti, investitori, fornitori, collaboratori, ospiti, di essere i protagonisti di questa nuova storia, una storia scritta da tutti, giorno per giorno, attraverso la loro esperienza, un’esperienza fatta di percezioni, di riflessioni, di suggerimenti e di emozioni” per poter affermare un nuovo slogan: “ci prendiamo cura del tuo star bene”!
Timing sviluppo prossimi 5 anni
no6 - 2010 - dm&c
59
Club dell’Osso
Demetrio Minutilli
Nello Yorkshire abbiamo visitato una piacevole città inglese, a misura d’uomo, accompagnati dal sole
Leeds: il Club oltre Manica
www.clubdellosso.it clubdellosso@clubdellosso.it
60 dm&c - n 6 - 2010 o
Due ore di volo con Jet2.Com e si atterra a Leeds Bradford, in una Gran Bretagna affascinante, accolti dalla contea selvaggia e suggestiva dello Yorkshire. Il capoluogo, Leeds, sul River Aire, custode di una storia che conosciamo a partire dal V secolo. Eccitante e cosmopolita. Il regno degli amanti dell’ottimo cibo, del vino, dello shopping e della cultura. Sede di tante attrazioni e business, in continua ascesa ed espansione. Il tutto in una dimensione a misura d’uomo. Leeds, dapprima importante centro per la produzione e commercializzazione della lana, ora importante nell’ambito dell’istruzione, grazie alle numerose Università. Oggi la città è, aldilà di Londra, uno dei maggiori centri finanziari del paese. Ospiti di Conference Leeds, il locale Convention Bureau, i Soci del Club hanno toccato con mano le varie possibilità che la destinazione offre alla Meeting Industry. Al nostro arrivo, la classica serata uggiosa, e dopo un breve trasferimento siamo a cena all’ Engine house Cafe, un piccolo ed accogliente ristorante situato in una antica fonderia, sapientemente recuperata. The Queens e il Met Hotel sono state le nostre basi durante la visita. Ottime strutture recentemente portate agli antichi albori, con ampi spazi congressuali, situate nel centro di Leeds. La cosiddetta New Urban Revolution ha tirato a lucido la città, che è stata liberata dall’alone polveroso da cui era soffocata ricevendo un completo restyling. Oggi ci si trova di fronte ad uno dei distretti più eleganti e
alla moda della Gran Bretagna, con ristoranti sofisticati e locali sempre vivi, oltre ad essere un vero e proprio tempio della musica, teatro di importanti esibizioni di artisti da tutto il mondo. Ne siamo stati noi testimoni con una piacevole serata trascorsa al Grand Theatre & Opera. Altri settori fondamentali per Leeds sono il turismo e lo shopping. A lungo Leeds è rimasta esclusa dalle rotte principali dei vacanzieri, ma ultimamente è stata protagonista di una titanica operazione di recupero e valorizzazione delle sue risorse. Grazie alla splendida giornata di sole,abbiamo girato in lungo ed in largo la città a bordo di un sightseeing bus. Dalla Leeds City Square, ai Clarence Dock, una sorta di cittadella sull’acqua, lungo le sponde dell’Aire, e quindi alla zona fluviale che si presenta splendidamente rinnovata, con i terrazzi delle warehouses trasformati in locali trendy, i vecchi ponti di legno creano un affascinante contrasto con le passerelle più moderne. Dove prima sorgevano i magazzini dell’industria tessile sono stati aperti ristoranti, caffè e pub. Per il lunch non potevamo mancare l’appuntamento da Nash’s, il regno del tradizionale fish and chips. Un intero pomeriggio lo abbiamo dedicato ad una lunga passeggiata per le vie più caratteristiche del centro. Molto interessante anche la visita ad Harewood House, una storica e elegante dimora. In chiusura di giornata ed a conclusione della nostra visita, la cena dallo Skylounge del City Inn Hotel, , salutando i nostri Amici d’oltre Manica con un see you soon.
dmc
Comitato scientifico Bruno Calchera Giornalista. Collabora con diverse realtà del Terzo Settore. Già Direttore della Comunicazione Istituzionale della Regione Lombardia, dopo essere stato Direttore della Comunicazione per l’Assessorato alle Politiche Sociali.
Marzia Curone Partner di “Relata”, Agenzia di Marketing e di Comunicazione di Relazione. Presidente del settore Direct Marketing di Assocomunicazione, Coordinatore del Comitato Interassociativo Marketing Diretto. Michele Faldi Direttore dell’Alta Formazione e delle Alte Scuole dell’Università Cattolica del S. Cuore. Ha lavorato presso centri culturali ed istituti di ricerca e formazione in Italia e all’estero. Da sempre si è occupato di Higher Education.
Chiara Grosselli Responsabile del Marketing e delle Comunicazioni per l’IBM in Italia, delle Relazioni Esterne e della Fondazione IBM Italia. Collabora con diverse associazioni per sostenere l’imprenditoria femminile. Ha vinto il Premio “Marisa Bellisario”.
Alessandro Lucchini Giornalista e copywriter, è autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi di business/web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano.
Maurizio Nichetti Architetto, mimo, sceneggiatore di cartoni animati, attore, autore, regista di film di successo e di cortometraggi. Debutta nel cinema con Ratataplan, a cui faranno seguito una decina di altri film. Lavora anche per il teatro e per la televisione. È direttore artistico del teatro film festival di Trento. Mario Pasquero Dopo esperienze in aziende leader del Largo Consumo (Ferrero, Diageo, Paglieri) in ambito Marketing e Commerciale entra in Poste Italiane come Direttore Marketing di Postel e poi nella Capogruppo Poste. Oggi è consulente specializzato in Direct Marketing e Product/Trade Marketing per il Largo Consumo.
dmc
dm & comunicazione
Fondato nel 1987 Rivista di Direct Marketing, Marketing e Comunicazione d’Impresa Autorizzazione tribunale n° 300 del 19/04/1991 Sped. abb. post. 50% - Anno 23 - n°6 del 2010 Prezzo di una copia 5 Euro Abbonamento annuale (6 numeri) 25 Euro - www.miabbono.com/dmc Direzione, Redazione, Grafica, Amministrazione: Via Spallanzani 10 - Porta Venezia - 20129 Milano tel. +39.02.74.22.22.1 - fax +39.02.74.22.22.23 e-mail: redazione@dmconline.it - www.dmconline.it Direttore Responsabile: Ugo Canonici (direzione@dmconline.it) Capo Redattore: Sarah Canonici Redazione: Carlo Cremona, Grazia De Benedetti, Luca Palestra Coordinamento Redazionale e Grafica: Davide Canonici (davide@dmconline.it) Editore Incaricato: Bruno Calchera Collaboratori: Fabrizia Vania Calzavara, Erminia Casadei, Pier Giorgio Cozzi, Vittoria A. D’apice, Antonio Ferrandina, Silvia Frattini, Valentina Guerra, Axel Lo Guzzo, Antonella Lucato, Alessandro Lucchini, Marco Maglio, Domenico Matarazzo, Demetrio Minutilli, Ugo D. Perugini, Maurizio Quarta, Andrea Rettore, Emiliano Ricci, Giovanna Risso, Margherita Ruggiero, Elena Schiavon, Mario Silvano Pubblicità: Gestita direttamente dall’Editore (pubblicita@dmconline.it) tel +39.02.74 22 22.1 Iscrizione ROC: 16511 Deus Editore s.r.l.: via Turati, 26 - 20121 Milano - P.I. IVA 11422020153
Club C3:
Il club per chi opera nel mondo della comunicazione d’impresa, ha come missione una corretta divulgazione della cultura della comunicazione.
dm&c è l’organo d’informazione del Club C3 e-mail: clubc3@dmconline.it www.dmconline.it
Bruno Patrito Silva Fondatore e presidente di Direct Channel - con oltre 30 anni di esperienza, maturata prima nell’ambito di prestigiose aziende leader dell’I.T. e trasformata successivamente in attività imprenditoriale.
Mario Silvano Presidente di Silvano Consulting, società di formazione, consulenza, marketing operativo, sviluppo quadri commerciali. Dal 1961 tiene corsi in Italia e all’estero. Autore di libri su marketing e vendita.
Roberto Vallini Già direttore della Comunicazione di AEM Milano, e vice Presidente della FERPI. Giornalista, Direttore del TG di Antennatre, è stato Portavoce del Presidente della Lombardia Roberto Formigoni, e Direttore Editoriale di Telereporter.
Gestione data base, confezionamento e postalizzazione
Via Pindaro, 17, 20128 MILANO Tel. +39 022520071 Fax +39 02252007.333 E-mail: info@directchannel.it www.directchannel.it - www.miabbono.com
Qualora non vogliate ricevere più questa pubblicazione potete inviare una mail a redazione@dmconline.it specificando nell’oggetto “cancellatemi dal data base”.
Pensiero Libero
di Alessandro Lucchini*
Riflessioni sul linguaggio da una conversazione con un dirigente pubblico
Linguaggio e potere *Alessandro Lucchini, giornalista e copywriter, Autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi business/ web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. www.palestradellascrittura.it lucchini@msoft.it
62 dm&c - n 6 - 2010 o
Questa rubrica non ha mai ospitato un’intervista. Se il pensiero è libero, è libero. Un’intervista segue una traccia. Ma il caso merita un’eccezione. Marco Bertoli è direttore generale del Comune di Sesto San Giovanni. Mentre apriva un convegno sulla comunicazione, e parlando di come dev’essere una città oggi, l’ho sentito dire parole come “competitività” e “capacità attrattiva”, e che la competizione passa dai valori ma anche dal linguaggio, e che il linguaggio può diventare sistema di potere. Merita approfondire. “Competizione” è parola privatistica. Che significa per una città? Bisogna competere per sviluppare se stessi. Se Sesto vuole avere un futuro, deve competere con altri pezzi del mondo, deve fare scelte importanti e produttive per la gente e il territorio. Se riusciamo a portare avanti il progetto di Renzo Piano, e attirare a Sesto “funzioni nobili”, come dicono gli architetti, significa che grandi centri di eccellenza mondiali giudicano Sesto più attraente rispetto alla periferia di Barcellona, Berna, Lione o Francoforte. In passato Sesto l’ha fatto; è stata un’eccellenza nell’industria europea: Falck, Marelli, e Breda sono pezzi di storia. Cos’è rimasto della “Stalingrado d’Italia”, di quel momento storico-sociale, di quell’ispirazione collettiva? Il venir meno delle grandi fabbriche avrebbe potuto causare sconquassi enormi, come a Liverpool o Manchester. In vent’anni Sesto ha perso 30/40 mila posti di lavoro, su una popolazione di 80.000 persone, senza sconvolgimenti sociali. Con l’aiuto della legislazione nazionale, con la cassa integrazione, ma anche grazie al tessuto sociale, qui si è impedito il disastro. Sesto inoltre è una città plurale: circolano qui l’ex segretario nazionale della Cigl Pizzinato, l’ex segretario nazionale
delle Acli Bianchi, l’ex presidente della Provincia di Milano Penati, il fondatore di Emergency Gino Strada, il designer Giovanni Sacchi, Don Comegna, l’inventore della Caritas Ambrosiana. Quella che Sesto si porta dietro non è nostalgia: è memoria. Non è passato: è memoria per il futuro. Un popolo che ha memoria è un popolo che guarda avanti. La sua esperienza è varia. Come ha visto cambiare il linguaggio della politica, dell’industria, dell’impresa, dell’amministrazione pubblica? “Parlare difficile” costruisce un sistema di potere lontano dal comune sentire. È vero che ci sono elementi di specialismo; ma quando il linguaggio specialistico viene usato fuori dalle necessità della disciplina, allora diventa elemento di potere. Impedisce la comunicazione orizzontale. E questo porta a che gli italiani non parlano con gli arabi, gli arabi non parlano con i cinesi... Torno a Sesto: se Sesto vuole competere, deve poter comunicare universalmente, altrimenti ci si restringe, si parla il dialetto. Il dialetto non è solo lingua di popolo, è anche lingua di casta, codice elitario. Che cosa manca al linguaggio della politica per attrarre i giovani? Il mondo è oggi più complicato di quando ero ragazzo io. Allora era diviso in due: c’erano i buoni e cattivi. Oggi in quante parti è diviso? Ha però un vantaggio il ragazzo di oggi: può trovare nel lavoro elementi di miglioramento del mondo in cui vive, e congiungere passione professionale e passione civile. Noi avevamo la vita divisa in modo artificiale: da un lato la politica, i valori, e dall’altro il lavoro, la vita. Per cambiare in meglio il mondo, la mia generazione aveva solo la politica, il lavoro era tutt’altra cosa. I ragazzi di oggi possono sperare che il loro lavoro non sia inutile, ma che serva a cambiare il mondo un po’ in meglio.