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nº.3 del 2013 - Anno 26

Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa

direttore Ugo Canonici

DM & Comunicazione Organo d’informazione del Club C3

&

Comunicazione

Dal non facile al complicato

Poste Italiane S.p.A. Sped in a.p. - d.l. 353/2003 conv. l. 46/2004. art1.c.1 - LO/MI - Trimestrale

Marketing

Protagonista l’emozione

La Nota Un ombrellone in prima fila

Pubblicità Progresso

Non serve essere eroi


CLEIS SOLUZIONI PER LA COMUNICAZIONE

CLEIS è una Società di Comunicazione d’impresa specializzata nell’organizzazione di Eventi aziendali CLEIS SRL - Via L.Spallanzani,10 - 20129 Milano - Tel: 02 74 22 22 1 www.cleis.it - info@cleis.it


Sommario

Le uscite di dm&c • n.1 marzo • n.2 giugno • n.3 settembre • n.4 dicembre

Anno 26 - no 3 del 2013

EDITORIALE 5

Il bambino e l’acqua sporca di Ugo Canonici

LA NOTA 6

Un ombrellone in prima fila di Guido Montacchini

COMUNICAZIONE 8 10 12 15 22 24

Sorriso in ufficio di Pier Giorgio Cozzi Comportamento di reciprocità di Ugo Perugini Dal non facile al complicato di Bruno Calchera Non serve essere eroi di Alberto Contri Un film va visto al cinema di Roberto Villa La nona arte di Luigi F. Bona

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CREATIVITÀ E INNOVAZIONE 18 Caro Babbo Natale di Sarah Canonici

18

MARKETING 20 Protagonista l’emozione di Elena Muoio 26 Un premio in Formula 1 di Maurizio Quarta

COMUNICAZIONE CON I CANi 30 A tavola! di Davide Canonici

RUBRICHE 28 31 34 36

Comunicazione sociale Informalibri Fatti & Persone Club dell’Osso

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PENSIERO LIBERO 38 Ha sempre ragione il cliente? di Alessandro Lucchini

I temi trattati Direct Marketing una strategia di marketing che utilizza la comunicazione, con strumenti interattivi, verso un pubblico mirato per ottenere risposte misurabili

Marketing tutte le attività che vengono svolte per giungere alla vendita dei prodotti/servizi offerti (dalla ricerca, alle indagini di mercato, alla post vendita)

Comunicazione d’Impresa utilizza in modo integrato gli strumenti della comunicazione per far conoscere al mercato l’offerta e determinarne il posizionamento

I partner di questo numero: pag. 39 pag. 40

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dmc Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa

&

www.dmcmagazine.it Seguendo il passo dei tempi è nato dmcmagazine.it , il sito che si pone come punto di riferimento per tutti coloro che operano nel campo del marketing e della comunicazione di impresa. Una “agorà” nella quale ritrovarsi quotidianamente per essere aggiornati sulle ultime novità, per essere informati sulle linee e le tendenze.

La rivista dm&c, leader dal 1987, prosegue la sua opera di divulgazione della cultura del settore, appoggiandosi maggiormente sugli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Continua ad essere stampata, in un numero limitato di copie, e viene distribuita, nella sua versione digitale, con una news letter ad oltre 20.000 nominativi selezionati. Coloro che desiderano ricevere gratuitamente dm&c nella versione digitale possono inviare la propria mail a redazione@dmcmagazine.it o andarla a consultare sul sito www.dmcmagazine.it


Editoriale

Il bambino e l’acqua sporca

Ugo Canonici

Il nuovo che avanza, avanza e travolge tutto. Dando notevoli scossoni a destra e a manca e venendo a turbare quella sorta di mare della tranquillità, della “comfort zone”, nella quale quasi tutti ci eravamo accoccolati. E così oggi possiamo dire che non è solo la crisi che ci getta nello sconforto, ma sono tutte quelle cose nuove, che non avevamo mai fatto, e che siamo costretti a fare se vogliamo almeno procedere con l’onda. Tant’è, questo, dicono tutti, è ciò che produce il progresso. Quindi, a denti stretti, “benvenuto”. Si, va bene, il nuovo vuole cose nuove. E quindi gli imperativi categorici sono “creare” ed “essere innovativi”. Però calma. Certo, se non è giusto starsene fermi, a me sembra che sia anche sbagliato buttarsi a testa bassa nel nuovo, trascurando, dimenticando o addirittura rinnegando e buttando via tutto il passato. Ci sono certe cose, i fondamentali, che non si dovrebbero buttare via. Perché molti, nella loro sostanza, vanno ancora bene. Magari è sufficiente dare una spolverata, rifare un po’ il look, e soprattutto armonizzarli con le cose nuove. C’era un bel film di Massimo Troisi in cui diceva una frase del tipo “mi sono stancato di quello che faccio qui e così ho deciso di andar via. Basta, ricomincio da tre”. “Da zero” lo corregge il suo interlocutore. “No da zero”- ribatte – “tre cose buone le avrò fatte nella mia vita. Non vedo perché le devo buttare.” Anche nella comunicazione si dovrebbero tener ferme, per buone, almeno quelle tre cose che abbiamo imparato a fare bene. E pazienza se non erano tutte concentrate sul digitale, sul web o sui “social” che oggi sono sulla bocca di tutti. Non dimentichiamo che il nuovo che avanza coinvolge noi che la facciamo, la comunicazione, ma anche coloro che la ricevono. Che, come noi, col “vecchio” avevano preso dimestichezza. Ma guai ad entrare nella discussione vecchio-contro-nuovo. Come sempre deve aiutare il buon senso. Il mix della comunicazione non lo ha bocciato nessuno. Anzi. Si tratta di essere così bravi dal saper introdurre, accanto ai media di prima anche i media che il progresso ci ha messo a disposizione. So che questo sembra un ragionamento estremamente banale. Ma guardandomi in giro non posso non osservare che c’è chi riesce a pensare solo ad essere “innovativo”. Ed è quasi compiaciuto di gettare via il resto. Attenzione. Anche un detto popolare avverte che non è saggio buttare, insieme con l’acqua sporca, anche il bambino.

Ugo_Canonici@cleis.it

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La Nota Guido Montacchini

Il sole, il mare blu. Tempo di vacanze. Ambientazioni diverse e tempi diversi. Alcune immagini di vita vissuta che possono indurre a qualche riflessione

Quando la spiaggia diventa metafora

Un ombrellone in prima fila

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- Cuba, 1999. Un elegante villaggio turistico in un tratto di costa incontaminato. La proprietà è di una importante catena italiana e di conseguenza la nazionalità degli ospiti è facilmente immaginabile. La cucina “italiana” lascia un po’ a desiderare, ma il mare è in-can-te-vole! Gli ombrelloni sono strutture fisse in legno ricoperte di foglie di palma e sono discretamente distribuiti lungo la spiaggia. Non sono assegnati alle singole camere e non sono in numero equivalente alle camere stesse, del resto è altamente improbabile che gli ospiti si trovino simultaneamente tutti sulla spiaggia. Risultato: sveglia di prima mattina, corsa in spiaggia carico di asciugamani, magliette, attrezzature da mare per accaparrare e ben delimitare il territorio di un ombrellone in prima fila per tornare quindi tranquillamente in camera, per una doccia tonificante, barba, e poi colazione. Guarda! la lezione di risveglio muscolare, proviamo; magari un po’ di acquagym in piscina e poi, perché no, qualche ballo caraibico, o latino-americano, come si chiamava in quegli anni; non avevano ancora in-

ventato la zumba. E’ quasi ora di pranzo… un bagno in mare però forse ci può stare. Per fortuna mi ero assicurato l’ombrellone in prima fila! Scendo verso la spiaggia ed incontro coloro che hanno passato la mattinata in riva al mare, paonazzi e sfiniti; sfigati! Non hanno voluto svegliarsi presto e così han trovato tutti gli ombrelloni occupati; liberi, ma occupati; peggio per loro. La vita del villaggio ha le sue regole spietate. Faccio proprio solo un tuffo, mi asciugo e via, di corsa al ristorante. Siesta; attività sportive varie e verso sera di nuovo in spiaggia; tanto ho l’ombrellone in prima fila! Salento, 2002. Una rinomata località ed un lussuoso albergo con spiaggia privata. L’ostentata eleganza dell’albergo stride un po’ con l’anticipo della cena di gala di ferragosto al 14, in modo da non impegnare lo stuolo di camerieri per il servizio ai tavoli il “vero” ferragosto. A noi ospiti che ci frega, siamo in vacanza, noi, che vuoi che sia il 14 o il 15, ci han fatto un buon prezzo… Ma questa è un’altra storia.


La spiaggia è molto bella e curata, ma stretta e profonda. Mia moglie è incinta e, con il pancione che inizia a pesare, preferisce non prendere il sole nelle ore più calde. E’ stato un anno di lavoro impegnativo, e non ho voglia di mettere la sveglia anche in vacanza, tanto ci alziamo comunque di buon ora; colazione e… subito in spiaggia. E’ presto, non c’è quasi nessuno al mare: 2 famiglie con bambini piccoli, una coppia di anziani ed una signora tedesca, scesa a farsi una nuotata prima di colazione. Gli ombrelloni delle prime 3 file sono però tutti occupati; liberi, ma occupati. Asciugamani, magliette, attrezzature da mare delimitano in modo inequivocabile il territorio intorno agli ombrelloni disabitati. Peggio per noi, del resto le conosciamo le spietate regole. In tarda mattinata lasciamo la spiaggia quando iniziano a presentarsi i primi veri occupanti delle prime file che mi guardano con disprezzo: sfigato! Sardegna, 2008. La situazione qui è più evoluta. Comprensorio di ville intorno ad una spiaggia, libera. L’acqua è cristallina, come solo in Sardegna. Qui il posto ombrellone è per la stagione. I primi che arrivano in giugno piantano il loro ombrellone nei posti strategici, ci legano attorno 2 vecchie sdraio; qualche secchiello e paletta non mancano mai, giusto per allargare la linea di demarcazione. Non si vedono in spiaggia per giornate, settimane intere, ma quello spazio è loro. Isoletta greca, 2012, piena crisi economica. Piccola zona attrezzata su di una più ampia spiaggia. Arriviamo presto di mattina e, per pochi euro (pochi in confronto ai prezzi italiani!) ci assicuriamo un ombrellone in prima fila. Per pranzo ho già adocchiato una caratteristica taverna all’ombra degli eucalipti

poco distante. Raccogliamo il necessario e stendiamo bene gli asciugamani per marcare la proprietà dell’ombrellone ma veniamo gentilmente richiamati dal bagnino che ci invita a liberare lo spazio per gli eventuali altri avventori. Cerco di far valer le mie ragioni: ho pagato, è mio. Sempre con gentilezza ed affabilità cerca di spiegarmi che ho pagato ed ho un ombrellone assicurato per la giornata, ma non posso occupare un ombrellone se non lo uso. Risentito e un po’ perplesso lo assecondo, pronto a rimandare la polemica al nostro ritorno. In realtà la pausa ristoratrice si è poi prolungata più del previsto e torniamo in spiaggia solo dopo qualche ora. Il gestore ci accoglie con un sorriso e ci fa accomodare sotto un altro ombrellone; mi rode un po’ ammettere che la posizione è forse migliore di prima. Le mie certezze iniziano a incrinarsi. Sardegna, 2013. Le mie certezze vengono definitivamente spazzate via. Comprensorio di ville intorno ad una spiaggia dall’acqua cristallina, libera. Passo intere giornate, dalla mattina presto fino al tramonto, incantato ad osservare il naturale evolversi della giornata balneare, delle persone che arrivano, con esigenze ed ambizioni diverse in differenti orari, con il loro ombrellone e le loro attrezzature; allo stesso tempo altri smontano il loro ombrellone, ripiegano gli asciugamani ed appagati dal tempo trascorso in riva al mare, si ritirano lasciando spazio a chi invece sta arrivando. Il tempo è una dimensione complementare allo spazio e al possesso e consente a tutti di avere sempre un posto in prima fila. Che lo spietato individualismo figlio degli anni 90 stia lasciando il posto ad un condiviso e responsabile utilizzo delle risorse?

Riflessioni a margine La spiaggia come metafora del mondo degli affari, del rapporto tra concorrenti e fornitori e delle possibili sinergie e complementarietà. La spiaggia come metafora dei servizi (al cittadino o all’impresa) e del loro utilizzo condiviso. La spiaggia come metafora delle risorse ambientali, naturali ed energetiche e del loro sfruttamento responsabile. La spiaggia come metafora di se stessa e la responsabilità dei gestori nel suo utilizzo condiviso e responsabile. L’ombrellone come metafora dell’automobile, da una macchina per ciascuno al “car sharing”. La spiaggia come metafora della staffetta generazionale, nel mondo del lavoro, in politica. La spiaggia come ... aggiungi le tue considerazioni e, se ti va, condividile con redazione@ dmcmagazine.it .

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Comunicazione Pier Giorgio Cozzi

Un tempo si diceva che costa meno fatica sorridere che essere scostanti. Adesso anche qualche studio sostiene che l’inciviltà sul posto di lavoro fa perdere fatturato

La gentilezza, (anche) al lavoro, paga

Sorriso in ufficio

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- Ineffabili questi americani. Nella patria del dollaro ne inventano (lat. invenio) sempre una nuova. Adesso avrebbero scoperto che, in ufficio, la gentilezza paga: meno stress, più motivazione, più lavoro, meno perdite. L’inciviltà sul posto di lavoro farebbe perdere alle aziende oltre Atlantico 8 milioni di dollari l’anno (dati Cisco). Per capire meglio la portata del danno, a mo’ d’esempio abbiamo esaminato il bilancio 2012 della prima azienda Usa nel campo della distribuzione organizzata, Wal Mart: fatturato 446.950 miliardi di dollari, risultato operativo 26.558 mld $, utile netto 15.669 mld $. Eh sì, un problema, niente da dire. Quanto a senso delle proporzioni, qualcosa non quadra: forse nel dar conto dell’entità del danno qualcuno ha… dato i numeri. Tuttavia, sottodimensionata o meno che sia la stima del danno, una cosa è certa: che si lavora davvero male. Oggi,

con la società insofferente alla gerarchia e all’accountability, più di ieri. Consigli e soluzioni Forse consapevoli che anche qui da noi (Italia) bisognerebbe fare qualche cosa su questo fronte, ma non siamo sicuri che sia proprio questo il motivo, il primo quotidiano milanese dedica mezza pagina abbondante all’argomento “Sorriso in ufficio”, corredato di consigli, citazioni di soluzioni aziendali e ricerche made in Usa: secondo il rapporto “Civilty in America: a nationwide survey”, il 63% degli intervistati giudica la cattiva educazione uno dei problemi più gravi; uno studio congiunto della Georgetown University e Thunderbird school of global management denuncia che il 98% di 3.000 partecipanti avrebbe assistito a maltrattamenti e offese sul posto di lavoro . La conclusione cui sono pervenuti studiosi ed esperti è questa: per mi-


gliorare la produttività basterà impostare un programma aziendale che preveda di utilizzare sempre, all’interno del team, “per favore e grazie”; di essere sempre role model, ossia fare da esempio; di (ogni tanto) far uscire i collaboratori dalla routine. Guardarsi negli occhi E siccome siamo nell’epoca del 2.0, ecco che alla voce “mail” i predetti distillano questa perla di saggezza comportamentale: massima attenzione e nessuna distrazione da telefono cellulare o computer quando qualcuno ci sta parlando, anzi guardarlo negli occhi. Sul posto di lavoro, poi, inviare sempre e soltanto e-mail professionali: se non lo sono, meglio non scriverle. Forse consapevole della intrinseca banalità di quelle proposte, il noto giornale economico Wall Street Journal ci ha aggiunto del suo: non si riprendano mai i sottoposti davanti agli altri; non li si critichino alle spalle; non finire mai le loro frasi; gratificarli quando sia il caso. Però, che consigli! Noi non ci avremmo mai pensato. Sapete che si fa? Li adottiamo anche noi, con la solenne promessa di esercitarli nelle aziende produttive, nel commercio e nei servizi; sempre dovunque e in ogni caso. Visto mai che così diamo una mano ad aumentare la produzione, aiutiamo la ripresa del nostro povero, economicamente disastrato Paese e rianimiamo il Pil? La voglia di fare Ritorniamo seri: un punto di vista il pezzo il quotidiano milanese non menziona, una specie di convitato di pietra, elemento indispensabile la cui presenza, coniugata a buona educazione e ad empatica “colleganza” sul posto di lavoro, è indispensabile perché ciò accada: la “voglia di fare”. Come quella che, per esempio, contraddistinse l’Italia dal 1945 al 1970,

eccellentemente illustrata da una mostra molto opportunamente intitolata: “la Rinascita. Storie dell’Italia che ce l’ha fatta”, bella rassegna di prodotti ma sopra tutto di eloquenti didascalie statistiche comparate, in esposizione fino a novembre a Palazzo Mazzetti ad Asti, che invitiamo a visitare per l’intrinseco messaggio che lancia, di stringente attualità: un percorso documentale sotto traccia ma davvero persuasivo, riferito al periodo della nostra storia capitalistica e della nostra “civiltà dei consumi” che vide l’Italia vincere l’Oscar della moneta più stabile e diventare la quarta potenza industriale occidentale. Un capitalismo gentile Quando il team building, al più, si riferiva alla formazione delle squadre di calcio, per dire e nessuno, azienda o dipendente, si sognava di proporre o chiedere la presenza di una “no venting rule”, l’anti-sfogo (locale + assistente) in ufficio di cui sembra vadano molto fieri in Lousiana. Una cosa però, del pezzo che ci ha informati sul nuovo trend manageriale statunitense, non abbiamo afferrato: l’autrice conclude il suo articolo affermando “Un capitalismo gentile è possibile”. Sul posto di lavoro – e, presumiamo, anche fuori - che ci azzecca la (buona) creanza con il capitalismo?

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Comunicazione Ugo Perugini

L’attuale congiuntura richiede mutamenti concreti e un salto di qualità non solo sotto l’aspetto tecnologico ma anche nei rapporti tra le persone Parliamo ancora di come rapportarci con gli altri al lavoro

Comportamento di reciprocità - L’individualismo in azienda non paga E’ vero, l’uomo è tendenzialmente egoista; ma in azienda certi comportamenti personalistici sono pericolosi e deleteri. Nella prospettiva futura, si fa strada una nuova filosofia, quella del “comportamento di reciprocità”. Nelle aziende, come nella società nel suo complesso, vi sono persone che si comportano in modo “individualista” e altre che, invece, sono decisamente più portate a un approccio “altruistico”. Una cultura sbagliata

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Fino a qualche tempo fa, la cultura delle imprese ha favorito i collaboratori che mostravano atteggiamenti individualistici, egoistici e orientati a far prevalere i propri interessi. Ritenendo che così facendo la stessa azienda avrebbe potuto avvantaggiarsene. D’altra parte, la tradizione del pensiero economico, a partire da Adam Smith, considerava questa caratteristica come naturale e basilare di ogni

persona. Quindi, da stimolare e sviluppare, piuttosto che controllare. Di qui il prevalere di giovani yuppies, rampanti, carrieristi spietati, disposti a tutto pur di raggiungere il proprio successo professionale. La selfishness, cioè l’ansia nel raggiungere il proprio obiettivo individualistico, negli ultimi tempi, però, sembra decisamente ridimensionata. Sia per le drammatiche conseguenze di certi comportamenti troppo personalistici, che hanno coinvolto in particolare la cosiddetta “finanza creativa”, sia per i risultati di studi e ricerche che testimoniano, attraverso esperimenti e giochi di strategia, come la scelta individualista provochi nei soggetti che la perseguono un risultato inferiore alle attese e sia, alla fine, dannosa alla stessa azienda nella sua globalità. Lo diceva J. Jacques Rousseau Già in passato alcuni grandi filosofi ci avevano segnalato questo pericolo. Come non ricordare al proposito


l’esempio riportato da Jean Jacques Rousseau nel suo “Discorso sull’origine della disuguaglianza”: “Due uomini sono impegnati nella caccia al cervo. Sanno che devono lavorare in modo coordinato per far uscire allo scoperto l’animale. Se, però, uno di essi, comportandosi, come si direbbe oggi da free riders, cioè da furbo che vuole violare le regole per suo tornaconto personale, si distrae e, vedendo un coniglio, preferisce raggiungere la preda più facile da catturare, ignorando il suo compito principale, procurerà un danno al suo compagno, ottenendo un guadagno molto più contenuto per sé.” Fiducia nel gruppo Come riuscire a far capire ai collaboratori che è conveniente e decisamente più efficace un comportamento “altruistico” piuttosto che scegliere la via dell’individualismo? Giochi di ruolo, simulazioni, esperimenti di vario genere hanno portato alla considerazione che alla base di un comportamento altruistico, oltre alla predisposizione personale, deve esserci la fiducia in coloro che fanno parte del gruppo di appartenenza e la certezza che nessuno di essi romperà il patto stabilito a priori né sarà indotto a prediligere scelte individualistiche, mandando all’aria il disegno complessivo. Come garantire comportamenti virtuosi del genere? E’ ormai appurato che in nessuna organizzazione esistono strumenti o supervisori in grado di monitorare, verificare e sanzionare in modo puntuale il comportamento troppo egoistico dei propri dipendenti. Uno strumento esterno, ormai un classico della strategia aziendale, è naturalmente l’incentivo, cioè il sistema che attraverso bonus, premi, gratifiche può favorire comportamenti virtuosi da parte dei collaboratori. Ma anche questo sistema, secondo recenti studi, mostra diversi limiti,

tanto che si è portati a sostenere che esista una relazione piuttosto labile e scarsamente efficace tra performance dei collaboratori e assegnazione di incentivi, per lo più considerati riconoscimenti ex post. Su un altro aspetto bisognerebbe lavorare: sul cosiddetto “comportamento di reciprocità”, inteso come atteggiamento che porta le persone a cooperare con gli altri e a stigmatizzare, fino a punire, quelli che a tali norme non si vogliono adeguare. Un sentimento comune In altri termini, la reazione a comportamenti egoistici e individualistici non andrebbe imposta dall’alto, adottando severe e astratte regole istituzionali, o affidando a supervisori impossibili compiti di controllo, dovrebbe il più possibile scaturire dal basso, da un sentimento comune prevalente, da uno spirito etico che pervade tutta l’organizzazione aziendale e ne costituisce il suo principio fondante. Secondo alcuni studiosi, questo processo è già iniziato, anche favorito dal clima di crisi che facilita il desiderio da parte dei collaboratori di difendere e preservare la propria azienda. All’egoismo si starebbe lentamente sostituendo un altro valore che alcuni definiscono semplicemente “status” e che in pratica rappresenta il piacere di condividere con altri i sentimenti di appartenenza alla propria azienda o gruppo e di identità, si vedano a questo proposito le intuizioni di George Akerlof (Nobel per l’economia nel 2001). Ci auguriamo che ciò sia realmente possibile, anche perché l’attuale congiuntura recessiva richiede mutamenti concreti di scenario e un salto di qualità verso livelli di eccellenza, non solo sotto l’aspetto tecnologico, ma anche e soprattutto in fatto di conoscenza, creatività, rapporti più corretti e solidali tra persone. Specie se operanti nella stessa azienda.

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Comunicazione Bruno Calchera

Se la mail ha soppiantato la lettera valgono ancora le antiche regole per scrivere bene una lettera? Le vecchie accortezze vanno bene per una buona mail?

Con l’e-mail l’attenzione si cattura in un secondo

Dal non facile al complicato - Si scrive tantissimo. Ormai sono veramente pochi quelli che scrivono le lettere, quelle classiche con busta e francobollo postale. Per lo più lo fanno le istituzioni pubbliche quando è importante dare un segnale forte che deve essere ben compreso e ripensato. Scrivono lettere le banche, alcune aziende (…davvero poche… che usano mandare cataloghi) con tanto di bollettino per pagare, infine giungono raramente lettere che sono predisposte per vendere: abbonamenti, libri, ecc.. Poche le proposte commerciali, poche lettere “amicali”, le cartoline sono da tenere in casa e non spedire, fine delle lettere d’amore, ecc… Lo strumento per eccellenza

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Ma la mail è lo strumento scritto per eccellenza. Il tema che si pone è se è possibile fare una lettera commerciale che non venga subito interpretata e trattata come uno/a spam. Ovvero la questione è : si può fare una buona lettera commerciale ed

utilizzarla come proposta di marketing a fini commerciali utilizzando il Web? Prima di rispondere alla questione si può verificare che in questi anni – e la crisi non c’entra – sono diventate più complicare le relazioni umane. C’è una grande diffidenza in una corrispondenza tra due soggetti che non si conoscono. Quelle di tipo commerciale hanno subito una impennata di problematicità che è singolarmente analoga alla nuova veste del “venditore”. Un estraneo che deve superare più obiezioni per poter solo presentare prodotti e servivi. Obiezioni fatte da pregiudizi, paure di truffe, istintiva diffidenza al nuovo, ecc... E’ divenuto più difficile fare la vendita diretta non solo per problemi di privacy, ma soprattutto per le difficoltà citate e trovare un interlocutore disposto ad ascoltare. Accade anche che lo stesso cliente non intende accostarsi al nuovo che gli viene presentato, ma lui stesso intende sceglierei le soluzioni e costruire direttamente con partner selezionati la “sua risposta” al bisogno.


è oscuro più è probabile che la mail non venga aperta, o generi una immediata eliminazione. Così per riprendere un esercizio che per anni siamo stati costretti a fare, ripercorro le attenzioni da avere nello scrivere una mail e i tanti particolari indispensabili. Molte attenzioni C’era uno spazio un tempo nella vendita, e soprattutto nuove modalità di relazione commerciale, ora è il cliente che definisce cosa è nuovo e la diffidenza nell’accogliere un nuovo interlocutore è proporzionata alla “sigla del cappello”, con la relativa notorietà, che il venditore indossa. Griff o Logo che sia. E’ pur vero che nella rete ci sono infinite informazioni, ma non è possibile seguire veramente tutto il mercato nella sua complessità. Così occasioni si colgono o si perdono. Una buona mail Un valido strumento di conoscenza potrebbe risultare una buona mail. Se questa fosse letta. Una buona lettera, che naviga nella rete, indirizzata agli interlocutori giusti, ha qualche probabilità di essere letta? Le vecchie regole hanno ancora senso? E’ noto infatti che le mail inviate da chi non conosciamo o da chi non ha relazioni con noi vengono normalmente cancellate in un secondo. Mr. Voegele che ci insegnò a scrivere lettere, a posizionare le sottolineature, a verificare le buste, e a fare attenzione ai tempi di lettura, risolveva tutta la questione del ritorno utile della lettura con esito positivo - in 30 secondi circa. Il tempo di aprire una busta, seguire il cammino della lettera verso il suo destino: il cestino della carta o l’interesse con in mezzo l’inevitabile oblio. Ora con l’e-mail la partita è più stringata e si gioca in un secondo. Forse meno se si parte dalla verifica dell’indirizzo del mittente. Più

Una premessa: bisogna scrivere bene in italiano. Grammaticamente non si deve sbagliare. Occorre una conoscenza della analisi logica e del periodo, come si studiava a scuola, e avere un vocabolario ricco di parole e aggettivi. Alcune indicazioni di allora (ecco la sfida!) sono attuali oggi? 1) La formula GBS ( George Bernard Shaw) ha senso nel 2013? Essa consiste nella seguente regola: “ Racconta prima che cosa gli racconterai, poi raccontaglielo e dopo racconta che cosa gli hai raccontato “ Che in termini pratici indica: bada di essere chiaro nell’oggetto della lettera, non importa se non sei sintetico, ma devi essere semplice. Poi sviluppa il tuo discorso che deve essere dettagliato. Scritto bene, come se parlassi bene! Non un ragionamento, ma una serie di pensieri ragionati che tendono a far vedere, più che a far conoscere la tua proposta. Infine utilizza un Post Scritpum (PS) o un Nota Bene (NB) per riassumere i singoli elementi della tua lettera. Tre spunti per fare una comunicazione, riproporla ed infine sottolinearla. 2) Il metodo KISS ( Keep it Simple and Stupid) che significa: “Scrivi il più semplice possibile. Il lettore di un testo semplice e chiaro riconosce velocemente il vantaggio di una offerta (lo fa nei primi secondi) e quindi continuerà a leggere. “ Si pone il tema della linguista in un copywriter. Non ci si improvvisa scrittori, occorre conoscere la lingua, e una grande attenzione alla logica (la coerenza dei periodi) e la sequenza dei periodi, perché ad ognuno di

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Comunicazione

essi il lettore interiormente dica di sì ogni volta, continuando la lettura fino al grande sì che è l’interesse suscitato dalla lettera. 3) I consigli di Bill Jayeme (un grande copywriter americano) valgono ancora? - Domandati se vuoi entrare in contatto con un nuovo cliente o se vuoi vendere te stesso? - Il tuo format/mail assomiglia ad altri (mail più depliant elettronico)? - Il tuo messaggio è fatto da piccoli bocconi digeribili o da un unico boccone indigesto? - L’inizio della tua lettera dice: leggimi perché….o ..leggimi nonostante? - Il tuo lettore si stupirà o comincerà a sbadigliare Tutte piccolissime avvertenze che toccano la mente di chi scrive, ma che pongono l’interesse per l’interlocutore. Stupore e curiosità sono compagne alleate alla attenzione. Lo stupore dove è inserito nella lettera? Non può essere ridotto unicamente nella condizione commerciale, oggi ci vuole altro. Alcune di queste regole sembrano scontate o inutili. Ma la mail commerciale più frequente che si riceve evidenzia una condizione commerciale da cogliere al volo, molto raramente una novità di relazione, una possibilità di avviare una positiva partecipazione del cliente alla vita della azienda. Alcuni esempi

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Quante offerte per il last minute delle agenzie di viaggio? Un fast menù: quando, ora, prezzo….fa presto. Il dialogo con il cliente, al massimo, giunge quando perviene il questionario di ricerca di mercato, quando si diventa improvvisamente attenti alle opinioni degli altri.

Ma nella Mail/ Spam / Offerta non c’è varco di dialogo. Ad esempio, una novità sarebbe: “La nostra azienda offre tariffe speciali, in certi momenti dell’anno, con certe opportunità…” Abbiamo anche offerte buonissime per altri periodi dell’anno che non ti abbiamo descritto qui, ma cliccando qui puoi verificarle direttamente…. Questo è il nostro sistema per predisporre queste opportunità, cosa facciamo per essere efficienti… vorremmo mandarti con più frequenza queste buone occasioni …ti interessa?” Un altro esempio è l’invito ad eventi cui è necessario accreditarsi. La lettera, normalmente anticipata dal Save the Date, è semplice. Il programma in allegato è a volte così scarno che difficilmente si coglie la natura e l’importanza di questo o quell’intervento. Basta il nome del relatore si dice. Non serve sapere chi presenzia all’incontro. La cosa vale unicamente per le Istituzioni, perché evidentemente è più nota l’Istituzione di chi le rappresenta. Spesso i personaggi istituzionali valgono per il loro ruolo. Quanto agli altri personaggi, sono spesso sconosciuti e soprattutto non è noto il perché sono stati invitati ad essere relatori, quale sarà la loro importanza,… Qui un po’ di parole in più per suscitare una vera curiosità potrebbero essere necessarie. Ciascuno si fa una propria idea dello sviluppo di quell’evento, anzi è proprio una idea personale che porta all’adesione. Cosa che accade sempre ed è a questo punto che valgono i tanti suggerimenti per far imprimere il contenuto della lettera nella mente dell’interlocutore. In questo senso la lettera che accompagna il programma fa un ottimo servizio nei casi esemplificati, se davvero risponde alle tante curiosità, alle domande implicite, se avvia un percorso. Non butta in rete una proposta affidandosi al numero delle mail partite, ma cogliendo le ragioni del possibile interesse. Analizzandole e scrivendo il messaggio come si deve.


Comunicazione Alberto Contri *

I nuovi tempi chiedono un nuovo approccio alla comunicazione. Un interessante esempio è la campagna per la donazione degli organi Il lavoro di un team di esperti coordinati da Pubblicità Progresso

Non serve essere eroi - A quarant’anni di distanza dalla prima campagna di Pubblicità Progresso, dedicata alla donazione del sangue, cogliendo un suggerimento del Prof. Antonio Gasbarrini, Epatologo del Policlinico Gemelli di Roma e Presidente della Fondazione Fire, la Fondazione Pubblicità Progresso ha deciso di progettare una delle più impegnative campagne che si possano realizzare: quella a favore della donazione degli organi. Tema difficile da comunicare L’argomento è tra i più difficili da trattare, sia perché obbliga l’eventuale donatore a pensare alla propria possibile morte prematura, sia perché occorre fornire molte informazioni e poi perché – da ultimo – occorre anche aiutare a superare le barriere burocratiche alla formalizzazione della decisione di donare gli organi. E’ stato così ritenuto necessario costituire un comitato scientifico che coinvolgesse la massima istituzione del Paese in questo campo, il Centro Nazionale Trapianti, e l’AIDO, l’associazione di donatori più strutturata e

presente capillarmente sul territorio nazionale.

* Presidente Pubblicità Progresso

I mass media in rivoluzione Una campagna sociale di questa importanza càpita in un momento storico molto particolare, segnato da significativi cambiamenti. Nell’ultimo secolo si sono succedute grandissime innovazioni nel campo dei mass media. Nella stampa si è passati dalla linotipìa alla fotocomposizione, nelle telecomunicazioni c’è stata la nascita della radio, poi della tv, poi il passaggio dall’analogico al digitale, la nascita della telefonìa cellulare, la grande esplosione di internet con lo sviluppo dell’interattività e del social networking. Nelle ultime due decadi i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati in forma esponenziale, dalla comunicazione da-uno-a-tutti si è passati alla comunicazione da-tutti-a-tutti. La comunicazione pubblicitaria sta subendo straordinarie trasformazioni: si scopre che ogni mezzo ha una sua sintassi peculiare, che i target non sono più individuabili solo in

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Comunicazione

base a caratteristiche socio-demografiche ma in base ad atteggiamenti mentali, che la logica di fruizione sta passando da “push” (Il comunicatore che vuol convincere) a “pull” (il destinatario della comunicazione che sollecita informazioni ed emozioni). Altro fatto rivoluzionario è il nuovo atteggiamento dei nativi digitali – sempre più protagonisti sulla nuova scena mediatica – dediti ad un bricolage quotidiano che prevede l’impiego di molti mezzi di comunicazione in contemporanea (televisione, radio, computer, playstation, cellulare, I-pad,), sviluppando una sorta di atteggiamento “multitasking”. Tutto questo significa che stiamo entrando nell’era dell’economia della costante attenzione parziale, fatto non così positivo perché si vive sempre più di frammenti, ma fatto oggettivo con cui il moderno comunicatore deve sapere fare i conti. Da peak time a my time

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Nel moderno contesto il diagramma del processo di comunicazione si modifica: sta finendo l’epoca in cui si sta tutti-insieme-davanti-allatv, nasce l’epoca in cui ciascuno si fa il suo palinsesto (grazie a internet, youtube, e alla “catch-up tv”): quindi il “peak time” si trasforma in “my time”. Ciò significa che cercare di comunicare a tutti contemporaneamente diventa oneroso e spesso inefficiente. Diventa quindi prioritario comunicare a “cluster” ristretti di popolazione (un tempo venivano definiti “opinion leader di base” o “early adopter”, che oggi si riuniscono sempre di più in comunità virtuali individuabili per atteggiamenti mentali) lasciando a loro il compito di divulgare ad altri ciò che hanno appreso e condiviso. Mutuando un concetto della fisica nucleare, i comunicatori hanno l’opportunità di maneggiare una vera e propria reazione a catena: un’esplosione atomica generata dalla fissione

di un nucleo di pensiero forte e ben strutturato. Solo così il messaggio sarà in grado di essere veicolato in forma virale senza perdere nulla della sua forza iniziale. La nascita dei social network offre ulteriori opportunità su questo fronte. Obiettivi semplici e chiari In questo innovativo modo di procedere ci sono però strutture tipiche di un progetto di comunicazione che non solo vanno mantenute, ma addirittura rafforzate. Fondamentale quindi stabilire chiari obiettivi strategici: 1) Commuovere e coinvolgere emotivamente. Può apparire paradossale, ma il nostro scopo è quello di esorcizzare il pensiero della propria morte, sublimandolo con il pensiero della generosità di un atto che – pur augurandoci non si avveri mai – si riveli anche un atto di generosità verso i propri cari, esonerati dal dover prendere decisioni in eventuali drammatiche situazioni. 2) Informare accuratamente su una tematica complessa e sensibile Dalle informazioni fornite dal Comitato Scientifico, si evince che molte delle barriere alla donazione possono venire eliminate rispondendo con precisione alle principali domande che la gente comune si fa, alle quali viene fatta dare una risposta da autorevoli chirurghi dei trapianti. 3) Aiutare a superare le barriere tecniche all’adesione Purtroppo in Italia c’è ancora molta complessità dal punto di vista amministrativo. Se da un lato è fondamentale che i donatori siano iscritti in un Registro Nazionale, dall’altro sono varie e complesse le pratiche possibili per formalizzare la decisione di diventare donatore. Si è così deciso di usare l’iscrizione all’AIDO (Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule) come metodo facile e diretto per diventare donatori a tutti


gli effetti. Scaricando il modulo dal sito, compilandolo e inviandolo si diventa donatori e si viene automaticamente iscritti a cura dell’AIDO nel registro nazionale. L’obiettivo di comunicazione è: far diventare “cool” donare gli organi. Un articolato progetto Sono state così progettate una serie di attività tradizionali e innovative, integrate tra loro, operanti su diverse orbite coordinate e concomitanti, in grado di far avvenire la reazione a catena e promuovere la viralità positiva. Per progettare il tutto è stato costituito un super-gruppo di creativi ed esperti di ogni branca della comunicazione, con il supporto delle migliori società di produzione e post-produzione: in totale sono stati coinvolti oltre 40 tra professionisti e tecnici che hanno lavorato gratuitamente. Si conferma ancora una volta il grande gesto di gratuità costituito dalla comunità dei comunicatori riunita in Pubblicità Progresso, supportato attivamente dai Consiglieri della Fondazione, che rappresentano investitori pubblicitari, media, concessionarie, agenzie di pubblicità, istituti di ricerca di mercato. La campagna Gli spot: a due spot (diffusi via tv e sul web) è affidato il compito di raccontare una storia commovente in due puntate. Il videoclip: montando gli spot con le scene del backstage è stato costruito un videoclip da diffondere tramite tv musicali, youtube e social network. Il sito : www.doniamo.org costituisce la struttura portante della campagna. E’ costruito in modo da facilitare un percorso guidato verso la decisione. La campagna stampa: a Pubblicità Progresso non si ama partico-

larmente l’uso del testimonial, che spesso è una facile scorciatoia per sopperire alla mancanza di idee. In questo caso invece il testimonial risponde all’obbiettivo di “far diventare cool” donare gli organi. Autorevoli personaggi del mondo dell’impresa, della musica, del cinema, del giornalismo, dello sport, della ricerca, della moda, del design eccetera, mostrano con un certo orgoglio una grande tessera dell’AIDO, definita “La card del club più prestigioso d’Italia”. Una interessante curiosità Nel 2013 si è aggiunta una importante novità: in occasione della “mostra dei Cartoonists” che si è tenuta a Rapallo con la celebrazione dei 30 anni di Martyn Mistère, è stata sviluppata l’idea di far disegnare i più famosi eroi della Bonelli Editore dai rispettivi illustratori, mentre ostentano la card dell’Aido e affermano che non c’è bisogno di essere eroi per diventare donatori… I banner web: sono stati studiati per far visitare il sito e per far conoscere i sempre nuovi testimonial che verranno arruolati, scelti non solo per la loro adesione alla campagna, ma anche come rappresentanti di un’Italia che si impegna per uscire dalla crisi offrendo in estrema analisi anche il dono di sé, qualora se ne presenti l’occasione. Il coinvolgimento di Facebook Una campagna come questa confida molto nella creazione di gruppi di discussione, nella diffusione virale dei video, nel coinvolgimento di amici e conoscenti. Siamo da tempo in trattative con Facebook per cercare di fare inserire la dicitura “donatore di organi” tra i possibili parametri del profilo utente. La partecipazione a programmi tv e radio e le attività PR. Il coinvolgimento dei docenti e degli studenti del Network Athena. E c’è ancora dell’altro. Ma ci fermiamo qui.

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Creatività e Innovazione Sarah Canonici *

La cena di Natale deve essere considerata una importante occasione di incontro e di comunicazione. Forse oggi non è più di moda, ma ...

Inventa la festa coinvolgendo gli ospiti in modo diverso

Caro Babbo Natale * Sarah Canonici Direttore Operativo di Cleis Comunicazione, promozione, servizi per l’impresa; una società che lavora con particolare attenzione alla creatività e all’innovazione. www.cleis.it sarah_canonici@cleis.it

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-Letterina a Babbo Natale Caro Babbo Natale, vorrei raccontarti come mi piacerebbe organizzare quest’anno una bella festa di Natale. E’ sicuramente stato un anno difficile e pieno di sacrifici, ma non voglio rinunciare, insieme con le persone con le quali lavoro tutto l’anno, ad un momento di “positività” e di “costruzione” per un anno nuovo. Un po’ retorica? Forse, ma sicuramente la festa vuole essere un momento di networking costruttivo. Festeggiare il Natale infatti non vuol dire solo mangiare e brindare e godersi un bello spettacolo, anzi deve essere un momento di scambio, interattivo, dove poter “ascoltare “ e proporre delle idee (i classici buoni propositi) per il nuovo anno. E allora perché non Inventare una festa di Natale un po’ diversa. Se me lo consenti ti butto lì una “cesta” di spunti e di cose che si potrebbero fare (con un occhio sempre attento al budget). Qualche esempio.

1. Invitiamo uno chef (che va tanto di moda) ad un incontro, prima, che dia una serie di suggerimenti per preparare un banchetto con i fiocchi, e poi realizziamo la serata con i piatti creati da ciascun ospite, compreso chiaramente il management. 2. Se vogliamo essere tecnologici inventiamo un concorso sulla pagina facebook, dove postare decorazioni, idee regalo, suggerimenti e dove mettere un “mi piace”. Una specie di concorso pensando che la serata finale potrebbe proprio essere quella dell’incontro di Natale dove svelare i vincitori. 3. Se amiamo la musica potremmo far suonare i nostri commensali che troveranno un kit musicale (tutto tassativamente green) sul tavolo, da comporre, e insieme creare il gingle di Natale o giocare con i suoni e le melodie. 4. Perché non provare a creare un oggetto o una immagine natalizia prendendo spunto da uno dei più famosi


programmi televisivi per bambini: art attack? Far portare a tutti gli invitati un abito o un oggetto, che successivamente potrà essere dato in beneficenza. Si potrà dare sfogo alla fantasia e mettere alla prova la propria abilità e contemporaneamente fare un semplice gesto che potrà far felice anche qualcun altro. 5. Il Natale è rappresentato anche dal mondo delle fiabe cimentiamoci in uno spettacolo interattivo dove grandi e piccini possano esprimere le proprie emozioni utilizzando colori, suoni e parole… grazie all’aiuto di attori e scenografie si potrà dare vita ad una esperienza sensoriale unica! 6. E se poi vogliamo sottolineare il concetto di diversità per essere un po’ più figli del mondo, perché non interpretare e realizzare un Natale come lo festeggiano gli altri popoli? Per una volta possiamo lasciarci alle spalle le nostre tradizioni e immergerci in altre culture. Sicuramente sarà una esperienza costruttiva. Caro Babbo Natale quest’anno non

credo che si debba organizzare un Natale banale. Vorrei un qualcosa che permetta di “fare gruppo”, di cui si parli, e magari che insegni e che ci spinga a guardare oltre. Cosa dici, potrebbe funzionare? Oppure le obiezioni rischiano di affossare le considerazioni positive? Io penso che se vogliamo veramente innovare, cambiare qualcosa, dobbiamo usare di più la testa e non mettere solo mano al portafoglio! Sono fiduciosa, sono una che pensa positivo. Allora se hai bisogno di me non esitare a contattarmi! :-) Sarah P.S. Qualcuno mi ha detto che non vuole spendere soldi per una cena. Mandagli tu una letterina e spiegagli che è un peccato rinunciare a un momento aggregativo di comunicazione che darà sicuramente i suoi frutti. E’ un buon investimento. E poi, chi l’ha detto che sia necessario spendere tanto? Ricordagli che “usando di più la testa si può alleggerire poco il portafoglio”.

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Marketing Elena Muoio

“Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni” diceva Oscar Wilde. Il marketing emozionale cerca di generare messaggi che creino tentazioni forti Creare qualcosa di positivo che si faccia guardare

Protagonista l’emozione - Dalla prima fotografia scattata nel 1826 dallo scienziato Jaseph Nicèphore Niepce, che immortalò ciò che poteva ammirare dalla finestra di casa sua, a un’importante strategia di mercato. La fotografia diviene così uno strumento del “Marketing Emozionale” capace di far vivere esperienze ed emozioni memorabili. Protagonista nel mondo

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Insomma, la fotografia nata come strumento per catturare momenti familiari e personali, oggi è da molti posta in una posizione di massima evidenza; quasi la protagonista nel mondo. Ci troviamo di fronte a un’era dove l’immagine vale più di mille parole. Numerose aziende, nell’era del digitale, utilizzano la fotografia come strumento principale per la propria comunicazione. La logica è creare qualcosa di positivo che si faccia guardare. La creatività unita al marketing è il punto di forza delle strategie di comunicazione. Molti sostengono che la fotografia sta sostituendo la TV, come strumen-

to principale del marketing esperienziale che tende a valorizzare le attese dei clienti coinvolgendoli emotivamente, comunicando esperienze. Se ci guardiamo intorno, non possiamo non osservare che siamo circondati dalle immagini. E queste, per attrarre l’attenzione di chi le osserva, non devono essere necessariamente perfette, ma colpire, grazie un appeal immediato. Se il target a cui è rivolto il messaggio impiega più secondi a capire il senso, significa che quel messaggio e quell’immagine non sono efficaci. Le aziende, ovviamente, cercano di sviluppare una buona campagna promozionale che porti il consumatore a desiderare di possedere un determinato prodotto piuttosto che un altro. Che diventi una tentazione irresistibile. Come diceva Oscar Wilde: “Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni”. Nuovo marketing nuova era In questa nuova era si parla tanto di emozioni e di esperienze ma il marketing tutto questo come lo utilizza?


Come tutti sappiamo la parola “Marketing” significa “Piazzare sul Mercato”, un determinato prodotto o servizio a un determinato target. Con il passare del tempo la società si è evoluta, è diventata più complessa, la domanda è mutata, la tecnologia si è sviluppata, ed anche il marketing ha seguito questa evoluzione, e ha dovuto puntare su nuove tecniche di comunicazione. In un mercato, oggi non più concentrato sul solo prodotto ma orientato al soddisfacimento dei bisogni del consumatore, il marketing si è posto un obiettivo: “Indagare sulla mente del consumatore, sui desideri, per capire i bisogni e riuscire così a soddisfarli, facendo leva sulla componente emozionale che è quella che porta successivamente all’acquisto”. La teoria del marketing emozionale o esperienziale fu formulata dal professore della Columbia University, Bernd H. Schmitt con l’obiettivo di individuare che tipo di esperienza avrebbe valorizzato al meglio il prodotto, cercando di far innamorare il cliente di un brand. Il professore descrive questo marketing come un’esperienza memorabile che il cliente deve sperimentare. Ed è proprio questo lo scopo del Marketing Emozionale. Ma quando è memorabile? Quando supera le attese del cliente, arrivando in profondità nei sentimenti e riuscendo ad anticipare i suoi desideri. Emozioni e ancora emozioni Un esempio di campagna di marketing che fa leva sulle emozioni è la campagna Campari in Cina. Il Gruppo Campari è un’azienda leader nell’industria globale del beverage di marca, con prodotti commercializzati e distribuiti in oltre 190 paesi nel mondo. Campari è entrato nel mercato cinese nel 2002 con una campagna realizzata appositamente e studiata nei minimi particolari tutta basata sul colore rosso, che per i cinesi rappre-

senta la cordialità, la fedeltà, la lealtà e la sincerità. Ovunque appare il carattere “chi”, che vuol dire “rosso cinabro” colore di diversi oggetti della loro cultura, dall’abito da sposa, ai vestiti dei bambini nelle festività del capodanno. Il colore rosso della bevanda è visibile grazie alla trasparenza della bottiglia, l’uso delle erbe, che sono la base della composizione del prodotto, non solo danno un gusto particolare alla bevanda ma rientrano nella filosofia alimentare tradizionale cinese. Per favorire il riconoscimento e il senso di identificazione con il brand il logo Campari è stato mostrato nella sua traduzione cinese “Jinbali”. Questo, rappresenta un elemento di facilitazione per i cinesi, ben riconosciuto visivamente grazie alla traslitterazione, creando un forte impatto visivo che collega il prodotto al marchio italiano e allo stesso tempo internazionale. Un legame con i clienti Altro esempio viene dal gruppo Starbucks, una grande catena internazionale di caffetterie, che ha creato un portale per raccogliere le idee e i consigli dei clienti (riguardo all’arredamento dei locali) creando un legame con loro e facendoli sentire importanti, realizzando campagne di video marketing dove chiunque ha potuto partecipare semplicemente creando un video. Per la propria comunicazione online, che fa leva sulle emozioni, utilizza diversi social network e i video “emozionali”sono caricati su YouTube. L’obiettivo che si è posto è far vivere ai suoi clienti un’esperienza unica, facendoli sentire a casa, grazie a un arredamento particolare, all’uso di determinati colori, sapori e luci anche consigliati dai clienti, creando un’atmosfera tranquilla e amichevole all’interno di un locale pubblico.

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Comunicazione Roberto Villa

Quando si utilizza un canale non tradizionale come il Web, il messaggio del film viene ricodificato e se ne propone una diversa lettura e interpretazione

L’emozione di un racconto cinematografico può essere condizionata dal canale utilizzato

Un film va visto al cinema -

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La fruizione della comunicazione su un tablet, uno smartphone od un notebook, è, di fatto, la visione di un film o programma Tv, la lettura di un libro o l’ ascolto di un brano musicale su apparecchi che, non sono solo dei semplici “riproduttori”, ma sofi-

sticati “computer dedicati”, mobili ed interattivi in grado di “produrre” comunicazione. L’ accoppiata hardware e software è andata oltre il salto generazionale attuando un salto di genere lasciando aperta qualsiasi altra ipotesi congiuntamente alla possibilità di intra-

vedere il superamento del concetto di semplice “trasporto”. Il Canale è il Messaggio Appare chiaro che, in quel tempo ed in quella sede agli albori della Rete, la “rete” fosse pensata come mezzo di trasporto e non già come “canale” sia nell’ accezione della Teoria dell’ Informazione (Claude Shannon 1949) sia le successive teorie della comunicazione e della linguistica. L’immissione in Internet di film, sia per le innumerevoli modalità di visione “multipla” che la rete offre, sia per la innumerevoli forme e dimensioni di visione dello spazio destinato allo “schermo”, non può non produrre una consistente modifica del “messaggio film” inducendo una differente fruizione da parte dell’ utilizzatore. Di fatto il passaggio da un metodo, o strumento, di visione ad un altro, consistentemente diverso, implica una inevitabile conversione di ordine tecnico che, nell’ ambito della tecnologia digitale, si traduce, in grandezza riservata ai fotogrammi


del film, nel numero totale di pixel ammessi, nel numero dei colori, e nel numero dei quadri al secondo scelti per la codificazione adatta al miglior trasferimento in rete. Questi elementi indicano che il film, ridotto nelle dimensioni e debitamente “trattato”, non potrà rispettare le qualità originali, perdendo non solo la qualità delle immagini ma cambiando considerevolmente il significato della struttura narrativa. Difficilmente nelle piccole immagini di un notebook, o di tablet, potrà essere percepibile, in un campo e contro campo fra due soggetti, la sfocatura dell’ uno a favore dell’altro, cosiccome una sequenza notturna, con pochi elementi visibili solo in completa oscurità, risulterà illeggibile per i riflessi generati dalle luci ambientali incidenti sullo schermo lucido di un apparecchio portatile. Nuovi strumenti linguistici Ogni “conversione” di un messaggio modifica e ricodifica inevitabilmente il messaggio stesso richiedendone una diversa lettura ed una diversa interpretazione. Di fatto, il “nuovo canale”, si propone con diverso linguaggio e richiede il possesso di nuovi strumenti linguistici al fruitore. Certamente molto poco potrà essere modificato nella conversione e fruizione di un telegiornale, fondamentalmente basato su un concentrato di testi letti, interviste ed immagini didascaliche di eventi d’ attualità. Parimenti non è nemmeno pensabile affrontare la visione di un film come “Il Gattopardo” di Visconti ed ancor meno il “Rigoletto” di Verdi nella versione ad alta definizione ed ad alta fedeltà realizzata dalla Rai nel 2011. Forse vale la pena riflettere ancora a sulla Teoria di Shannon: Emittente - Canale - Codice - Rumore di fondo - Ricevente. Il “rumore di fondo” dovuto al diverso mezzo, amplificato dal “rumo-

re” del contesto di visualizzazione, sono i multiformi compagni di una nuova fruizione del cinema che, perse le sue specificità, diventa un audiovisivo come tutti quelli prodotti per una “vita in Web”. La componente emotiva Se è vero che a quelle forme cinematografiche di grande qualità, elevate al rango di arte, sia da sempre attribuita la capacità di far vivere, o rivivere, i sentimenti dovuti all’ arte della regia, della fotografia, della narrazione per immagini, non è meno vero che le conversioni subite, l’ adattamento ai nuovi canali distributivi con il conseguente mutamento del linguaggio, abbiano ridotto la componente emotiva a livelli prossimi allo zero. Lo diceva Pasolini Audiovisivo, nelle più concreta visione pasoliniana, è l’ accezione attribuibile a qualsiasi lavoro, nato come “film” quando fruito attraverso “canali” semantici differenti, privo del rituale che lo elegge a Cinema, rimane un “messaggio” decodificabile solo per le connotazioni poiché il livello denotativo è stato sostituito dal canale, cioè il Web. Circa mezzo secolo fa nasceva lo “strutturalismo”, generato da un complesso di importanti studi linguistici e antropologici, che, fra l’altro, poneva l’ opera d’ arte come fruibile al di là dei significati previsti dall’ autore ed al di là del suo contesto. Quell’ antico lavoro di quei formidabili studiosi può dare spazio a letture e riletture di ogni elemento artistico oggi, e in futuro, al di là dei canali semantici usati per la sua comunicazione.

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Comunicazione Luigi F. Bona*

La difficile strada che hanno dovuto percorrere i fumetti per uscire dal “ghetto” di una subcultura e divenire la “letteratura disegnata”

A Milano è nato un museo che è un centro di cultura

La nona arte * direttore di WOW Spazio Fumetto presidente della Fondazione Franco Fossati

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- Avrebbe potuto iniziare tutto nell’ottobre 1950, quando il ventisettenne giornalista e sceneggiatore Roberto Renzi (papà di tanti personaggi di successo come Akim e Tiramolla) con la collaborazione di Antonio Terenghi (Pedrito El Drito, Tarzanetto ...) allestirono “Il giornale per ragazzi in Italia”, la prima esposizione italiana del fumetto, nientemeno che nell’atrio del Palazzo di giustizia di Milano per interessamento di un magistrato come Adolfo Beria d’Argentine, allora trentenne. Un cinegiornale Settimana INCOM dell’Istituto Luce è rimasto a ricordare il successo e le suggestioni dell’evento, con un folto pubblico di bambini e adulti intervenuti per vedere giornalini di tante nazionalità diverse, ritrovare i personaggi amati e scoprire l’esistenza di tanti altri sconosciuti. Come fuori-salone, nel capoluogo lombardo negli stessi giorni nascevo anch’io: forse c’era qualcosa nell’aria che mi ha segnato per la vita. Ma questa splendida e promettente partenza non ebbe seguito.

La formidabile crescita editoriale del fumetto italiano in quegli anni postbellici della Ricostruzione e del boom economico non era sufficiente a far uscire la “letteratura disegnata” dal ghetto del giornalinismo. L’immagine di sub letteratura comunque mirata all’infanzia o a un pubblico ignorante, alimentata da campagne censorie di ambienti religiosi o “benpensanti”, parallela ad analoghe campagne negli Stati Uniti e in altri paesi, avrebbe mantenuto il Fumetto fuori dalla scuola e dalle biblioteche per molti anni ancora, con qualche concessione a testate benignamente tollerate come il Corriere dei piccoli o il Vittorioso. La rivoluzione La vera rivoluzione per l’immagine del Fumetto avveniva nel febbraio 1965, grazie a Romano Calisi (docente di pedagogia all’Università di Roma), Umberto Eco (semiologo già autore del rivoluzionario “Apocalittici e integrati”) e Claudio Bertieri (giornalista e critico cinematografico), creando


a Bordighera il primo Salone internazionale dei Comics, trasferito l’anno seguente a Lucca con il prezioso contributo di Rinaldo Traini. In aprile usciva nelle edicole anche il primo numero di Linus di Giovanni Gandini, la prima rivista di fumetto del mondo. Il 1965 è la data di inizio di una fantastica epoca di rivalutazione della Nona Arte in Italia come in tutto il mondo. Lo studio del Fumetto ha portato alla proliferazione di saggi e di articoli in tutte le lingue, nonché allo sviluppo del cosiddetto “fumetto amatoriale”, costituito da riedizioni anastatiche o nuove edizioni integrali e restaurate, a bassa tiratura per un pubblico di appasionati e di studiosi. Questo boom del Fumetto porta alla nuova definizione di “fumetto d’autore” contrapposto a “fumetto di massa”. Elementi concomitanti Credo che si possa imputare la crisi progressiva che ha colpito il Fumetto italiano dagli anni Ottanta a oggi a questi due elementi concomitanti: il primo è che troppi autori non sembrano più spinti dal desiderio di inventare storie e modi narrativi ma da quello di mostrarsi come autori; il secondo è la scomparsa degli editori capaci di produrre fumetti. La conseguenza più singolare di questa situazione è che basta andare in Francia o in Belgio per trovare una situazione molto diversa, con un Fumetto che si mantiene a un livello decine di volte superiore sia come tirature sia come considerazione da parte del pubblico. L’immagine del Fumetto italiano era già questa nel 2011, quando la Fondazione Franco Fossati ha creato il Museo del fumetto a Milano. Già soltanto l’annuncio che stavamo per far nascere il museo mosse la partecipazione della stampa e la curiosità del pubblico.

Oggi è lanciatissimo, con il solo freno tirato della desolante assenza di contributi pubblici. Wow, lo spazio Fumetto Ma torniamo al discorso dell’immagine. Il nostro “museo del fumetto, dell’illustrazione e dell’immagina animata” si chiama WOW Spazio Fumetto: scelta determinata dalla necessità di passare un’immagine diversa da quella che, in Italia, abbiamo generalmente di un museo. I nostri riferimenti erano soprattutto musei visitati all’estero, a Parigi come a Berlino, e WOW sarebbe stato insieme museo, biblioteca, centro di documentazione, con area didattica, percorsi artistici con mille contaminazioni che prevedono proiezioni, spettacolo, musica e teatro... L’immagine del museo è quella di un luogo gradevole e accogliente, dove si entra senza pagare un biglietto e si comincia a conoscere o a ritrovare il fumetto e il suo intorno in tante forme: oggetti, pubblicazioni, momenti d’incontro. Soltanto in questa prima parte del 2013 sono già venuti al museo oltre seimila bambini e ragazzi per fruire dell’offerta didattica. Studenti delle scuole superiori e delle università vengono per momenti e corsi più studiati per loro. Il visitatore è assolutamente indifferenziato: dal bambino più piccolo all’anziano, tutti trovano qualche interesse nelle mostre temporanee o tra le 9.000 pubblicazioni disponibili in biblioteca a scaffale libero e gratuito. WOW è entrato nella rete comunicativa dei musei milanesi. Dopo 2 anni e mezzo, per molti venire al museo è diventato naturale, ci si sta bene e quello che il Fumetto ti offre è bello e stimolante. Anche i visitatori casuali rimangono affascinati, ritrovano nella memoria e nel cuore qualcosa che era stato rimosso o dimenticato.

A Luigi F. Bona è stato attribuito in Premio la Targa de La Buona Comunicazione, nel corso della Mostra Internazionale dei Cartoonists a Rapallo.

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Marketing Maurizio Quarta

Come il marchio Brembo ha pensato di attirare l’attenzione sulla propria attività e leadership tecnologica in occasione del G.P. di F1 Per poter beneficiare di una grande risonanza mediatica

Un premio in Formula 1 - In Italia il nome e il marchio Brembo sono certamente molto noti tra chiunque si occupi di automobilismo, non solo sportivo, e nel mondo dell’economia e degli affari, legato soprattutto al nome del suo presidente, Alberto Bombassei, e alla sua attività nell’ambito di Confindustria. Forse meno note ai più sono la dimensione ormai globale del gruppo e la sua vocazione e capacità di innovazione tecnologica. Tra le altre cose, Brembo è oggi uno dei più importanti fornitori di sistemi frenanti per il mondo del motorismo sportivo, Formula 1 e Moto GP su tutti. Il sistema frenante è una componente critica per qualsiasi mezzo da corsa, ma pur sempre un componente, quale può essere un ammortizzatore piuttosto che un volante o un sistema di guida. Salto di qualità

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Le leve del marketing tradizionalmente utilizzate sono quelle tipiche del B2B. Ma un’azienda quotata e di dimen-

sioni globali ha bisogno di giocare su altri tavoli: ecco che allora Brembo, a differenza di altri fornitori di componenti, ha saputo fare il salto di qualità sfruttando comunicazionalmente il veicolo Formula 1 per acquisire una visibilità ed una brand awareness coerenti con quello che il gruppo è diventato negli ultimi anni. Nell’ultimo triennio infatti, a dispetto della difficile congiuntura economica, Brembo ha mostrato un impressionante trend di crescita: il giro d’affari è infatti passato da poco più di 800 milioni nel 2009 ai quasi 1,4 miliardi del 2012, con un trend crescente che molto probabilmente continuerà nel prossimo futuro per superare la soglia di 1,5 miliardi. In Borsa si è passati dai circa 7 euro del gennaio 2012 agli attuali 17. Sono i dati di un’azienda globale, presente con strutture produttive proprie in oltre quindici paesi in tre continenti (Europa, Cina e India, USA, Argentina, Messico e Brasile). Tra i fattori di successo di Brembo, un posto particolare spetta alla sua capacità di creare e gestire innovazione tecnologica: da sempre ha sa-


puto coniugare la ricerca di soluzioni estreme per il mondo delle corse con la loro applicazione sulle vetture di serie. Non è un caso che l’attuale Chief Techical Officer del gruppo sia Giorgio Ascanelli, volto molto noto agli appassionati di Formula 1 per i suoi trascorsi in Ferrari e da ultimo in Toro Rosso. Brembo e Formula 1 hanno quindi in comune, sia pur su scale decisamente differenti, due elementi fortemente distintivi: globalità e innovazione tecnologica. Quasi naturalmente, racconta Thanai Bernardini, direttore comunicazione Brembo, la “F1 diventa una leva di comunicazione solo come conseguenza del lavoro svolto dai progettisti Brembo per i principali team. Redbull, Ferrari, Toro Rosso, Sauber, ecc… “. Far parlare di sé Come creare sinergia tra i due mondi per poter permettere a Brembo di beneficiare dell’esposizione mediatica di cui gode la massima formula? La risposta nasce due anni fa in occasione dei cinquant’anni di vita del Gruppo con la creazione di un premio che alla sua prima edizione vede premiato un nome che ha in sé un potenziale di comunicazione “assoluto”: Bernie Ecclestone, cui viene donato un impianto frenante personalizzato con i colori della bandiera italiana. Evento che ha fatto certamente notizia, ma che rischiava di restare un episodio fortunato. Nel marketing la continuità è certamente un valore e Brembo ha dimostrato nei passi successivi una sagacia strategica non comune nel saper cavalcare l’onda della popolarità della Formula 1 e di alcune sue figure carismatiche in particolare: • Ecclestone ha legato il suo nome al Brembo Award • La seconda edizione ha visto premiato Luca Cordero di Montezemolo, Presidente di Ferrari. Non è forse casuale che Montezemolo sia sem-

pre stato uno dei più decisi assertori della capacità di Ferrari di trasferire know how dalle pista alla strada • Quest’anno a Monza, in occasione del GP d’Italia, il premio è stato consegnato a Niki Lauda, icona che pareva un po’ spenta e che è tornata in auge come presidente non-esecutivo del team Mercedes AMG Petronas F1 e soprattutto come protagonista del lanciatissimo film “Rush” di Ron Howard. “Sono felice di consegnare questo premio a Niki Lauda, anche se devo ammettere che è stato uno dei nostri peggiori clienti perché era uno dei più esigenti”, ha detto scherzando Alberto Bombassei, “ma solo così si ottengono le vittorie”. La consegna del premio è avvenuta come tradizione davanti al motorhome della FOM presieduta dallo stesso Ecclestone, e davanti a tutta la stampa italiana ed estera accreditata per l’evento monzese.

Foto: Rent a Journalist

Particolare apprezzamento A parte il richiamo costituito dai nomi di Ecclestone e Lauda, i giornalisti hanno un particolare apprezzamento per Brembo, che nasce da alcuni servizi di informazione utilissimi per lo svolgimento del loro lavoro: in occasione delle gare del Campionato del Mondo, Brembo mette infatti a disposizione dei media accreditati una serie dettagliata di contenuti tecnici relativi alle performance di frenata che caratterizzano ciascun circuito del Mondiale (lo stesso si fa per le gare del Moto GP). Nella Brembo Circuit Identity Card, una sorta di carta d’identità realizzata per ogni circuito del campionato, sono raccolte le caratteristiche principali della pista accoppiate ai dati tecnici delle principali frenate, “spiegate” attraverso una grafica chiara e di facile comprensione. Ciascuna Card evidenzia tutto quanto ha a che fare con la frenata ed è uno strumento molto utile per gli addetti ai lavori.

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Comunicazione Sociale Giuseppe Innocenti

Come può nascere una attivita di fund raising alla ricerca delle risorse per un’opera di bene: sconfiggere le malattie killer dei bambini

Evitare la strada della carità e percorrere quella della solidarietà

Una cena in meno Informazioni www.mkonlus.org www.lionsforafrica.org www.youtube.com/mkonlus facebook: MK Onlus IL TUO 5xMILLE a MK Onlus 03795530272

L’EDITORE

- Nel febbraio 2002 il Lions Otello Tasselli scriveva una lettera aperta al direttore della rivista THE LION: “Rinunciare ad una cena per devolvere il corrispettivo a favore della parte più debole della società, i bambini” Nel gennaio 2003 il Direttore commentando la piaga della mortalità infantile riportava che: “Nell’ultimo rapporto annuale sulla condizione dell’infanzia redatto dall’Unicef compaiono dei numeri che non vorremmo mai leggere: ogni anno 11 milioni di bambini muoiono di malattie che si potrebbero evitare”. Nel settembre 2003, sempre il Direttore ricordava la proposta del Lions Tasselli e scriveva: “La rivista, a mo’ di sondaggio, lancia la campagna “Una cena…in meno”, grazie alla quale i club che lo desidereranno potranno mettere a disposizione di un service, scelto attraverso un elenco predisposto da “THE LION”, l’importo corrispondente al costo di una cena effettuata dai soci durante un meeting”. Nel dicembre 2004 il sondaggio, fra 7 service proposti, indicava con una schiacciante maggioranza: “i

Lions italiani contro le malattie killer dei bambini”. Rapida successione In rapida successione si è giunti a delimitare l’intervento umanitario al solo BURKINA FASO che nell’anno 2005 l’OMS collocava al 182° posto fra i Paesi del mondo con una mortalità infantile (0-5 anni) del 20%, una mortalità materna del 10% e un PIL pro capite di $ 1220. Dall’anno 2005 sono iniziate le prime missioni esplorative che hanno portato a sottoscrivere un protocollo di collaborazione fra i lions italiani e i lions del Burkina Faso. Sono seguite altre convenzioni con le strutture pubbliche del Burkina Faso. Per lavorare al meglio e nel rispetto delle norme di legge in vigore in Italia come pure nel Burkina Faso si è provveduto a costituire la Onlus che in sigla si legge MK Onlus. (Mestre l’11 Ottobre 2007). Così nell’anno lionistico 2007/2008 il club Mestre Castelvecchio per MK Onlus ha potuto concorrere al


Premio Internazionale della Sfida al Cambiamento che ha coinvolto tutti i club del Mondo e che ha visto assegnare nella 91° International Convention Lions di Bangkok nel luglio 2008 il 2° premio per il progetto gestito da MK Onlus in aiuto dei bambini del Burkina Faso, grazie anche all’originalità delle fonti di finanziamento. Conti trasparenti MK Onlus ha scelto da subito di predisporre il Bilancio Sociale come testimonianza (e il dovuto rispetto verso i portatori di interesse interni o esterni al lions) rendendo conto della mission, delle attività realizzate e dei risultati conseguiti. Così che, in funzione delle aspettative e delle esigenze dei diversi portatori di interesse, ognuno possa riflettere sulle scelte adottate e valutare l’operato . Dopo tutti questi anni di attività siamo passati dai 278 club che avevano aderito nell’anno 2004 e avevano, con l’opportuno sondaggio, dato vita al service, ai 414 al 31 Dicembre 2012 nel mentre gli investimenti già realizzati superano il milione di Euro. Ora, con piacere leggiamo i dati dell’OMS per l’anno 2012 che collocano il paese al 163° posto fra i paesi del mondo, la mortalità infantile (0-5 anni) scesa all’8,5%, la mortalità materna al 5,6% e il PIL pro capite salito a $ 1.302 I riconoscimenti alla nostra attività in Burkina Faso si sono realizzati prima con l’iscrizione nella lista, presso l’Ambasciata d’Italia di Abidjan, degli operatori italiani di promozione sociale ( 24 in totale) e successivamente di ONG riconosciuta dal Ministere de l’Economie et des Finances. Altro dato, certificato, che ci rende orgogliosi di appartenere a MK Onlus operando gratuitamente senza ricevere alcun rimborso, è rappresentato dal rapporto fra le fonti di entrata e la ripartizione delle uscite che è

stabilmente collocata fra i 94 e i 96 centesimi destinati agli scopi sociali per ogni euro di entrate. La strada della solidarietà La nostra scelta è stata quella di evitare accuratamente la strada della carità, dell’elemosina e della beneficenza ma di seguire esclusivamente la strada della solidarietà anche applicando, nei rapporti istituzionali, il principio di sussidiarietà che la nostra Costituzione ha recepito nel 2001, dopo la regolamentazione nel trattato di Maastrich che ha qualificato la sussidiarietà come principio cardine dell’Unione Europea. L’elenco di quanto realizzato sarebbe troppo lungo da riportare integralmente ma una visita ai nostri canali informativi può fornire una visione chiara ed esaustiva di quanto realizzato sempre in partenariato con tutti i club Lions del Burkina Faso e con le autorità e le strutture operative del Paese. La nostra Onlus ha bisogno di aiuti, attraverso la raccolta fondi mirata e garantita. Il termine è un’espressione inglese che non deve essere tradotta semplicemente in “raccolta fondi”. “To raise” infatti ha il senso di: far crescere, coltivare, sorgere. Quindi in concreto operare per sviluppare l’incremento e la fidelizzazione per raccogliere sempre più fondi necessari a sostenere un’azione senza finalità di lucro. E rendere attori partecipi e responsabili tutte quelle persone, comunità e aziende che sentono il desiderio di essere coinvolte in una reale azione di promozione sociale.

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Comunicazione con i Cani Davide Canonici

Il comportamento del cane quando siamo a tavola può diventare particolarmente fastidioso. Anche in questo caso bisogna saperlo educare Il problema si risolve con la partecipazione di tutti i commensali

A tavola!

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Alcuni cani hanno la cattiva abitudine di fare la “l’elemosina” intorno al tavolo durante i pasti, con gli occhi imploranti, come a chiedere l’elemosina, all’inizio può essere quasi un fatto simpatico ma poi diventa qualcosa di snervante. Naturalmente questo fastidioso vizio è solo colpa dei proprietari stessi che, in momenti non sospetti, hanno fornito appetitosi bocconi mentre erano a tavola, inconsapevoli di generare problemi comportamentali. Come sappiamo molti tipi di educazione prevedono premi alimentari, allo scopo di fornire il cane di una gratificazione o di una buona ragione per ubbidire. Ma molto spesso il cane scambio questo premio come un vizio e ascolta il proprietario solo perchè gli dà del cibo. e questa può essere una ottima ragione per continuare a chiedere, induce il cane a credere che, per avere un premio, si deve stressare un commensale. Qualche consiglio E allora come ci si dovrebbe comportare? Qualche consiglio: • evita da subito di fornire bocconi in particolare a tavola • tutti i familiari, in assoluto, devono attenersi a questa regola • in caso di presenza di ospiti, educali a riguardo • durante il pasto evita di guardarlo • evita di rivolgergli la parola

• se dovesse appoggiare le zampe sulla tua gamba scostala in modo da farlo cadere • se dovesse dare musate sotto i gomiti, muovi il braccio per infastidirlo • i gesti devono sembrare molto naturali e non in contrasto ai suoi • in tutti i casi va ignorato totalmente come se non esistesse • se dovesse abbaiare per attirare l’attenzione, parlate fra di voi ad alta voce senza prestargli attenzione • la persona presa di mira, deve spostarsi sulla sedia in modo da rivolgere verso di lui una parte della schiena • il gesto non deve sembrare associato alla sua presenza • è possibile che girando intorno alla sedia vada dalla parte opposta per attirare l’attenzione • ripetere l’operazione in senso opposto, sempre in modo naturale • questo atteggiamento deve essere adottato da tutti coloro che sono a tavola • stai attento a non sbagliare, è sufficiente che uno ceda alle sue lusinghe, per vanificare tutto il lavoro fatto e validare il suo comportamento • se vuoi dargli qualcosa dagli una sua crocchetta o biscotto preferito • quando si è certi che il problema dell’insistenza a richiedere il cibo quando siete a tavola è rientrato, è possibile eliminare la crocchetta o biscotto, fornendo sempre meno bocconi fino a renderli completamente assenti.


iNFORMALIBRI

PROFESSIONE LOBBISTA Portatori d’interessi o faccend ieri? di Pier Giorgio Cozzi - Editore Lupetti

Le nostre cronache giornalistiche e giudiziarie degli ultimi cinquant’anni – quelle internazionali non sono da meno – sono ricche di misteri, di fatti e (più spesso) misfatti imputati al lobbismo ma che con le lobby nulla hanno a spartire. Nell’uso comune dei media e nella percezione dell’opinione pubblica la parola “lobby” è sinonimo di gruppo di pressione che, complottando da “dietro la siepe”, mira a sostenere con la corruzione oscuri interessi a favore di potentati vari: aziende, banche, gruppi finanziari, istituzioni e politici. Le varie P2, P3, P4; o certi club, come ad esempio la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, Aspen Institute; faccendieri alla Bisignani & c.; corruttori di politici operanti all’interno delle istituzioni in Italia e in Europa vengono correntemente definiti lobbisti e lobby la loro attività su cui i media esercitano scarso controllo. Nascono così e si alimentano trame oscure in cui persino l’omicidio di John F. Kennedy e le traversie politico-giudiziarie di Silvio Berlusconi non si sottraggono al sospetto di complotto disposto da misteriose, potentissime super-segrete lobby sovranazionali. Questo libro sostiene invece che, in un contesto pluralista, la lobby, in quanto legittima trasparente rappresentanza di interessi di aziende, associazioni, enti o gruppi presso le istituzioni centrali e periferiche (Stato e regioni), sia l’alternativa democratica al malcostume e alla corruzione dilaganti. Prefato da Beppe Facchetti, presidente di Assorel e con una postfazione di Gianluca Sgueo, docente di ‘Democracy Innovation’ all’Università di Coimbra, il testo diviso in quattro parti passa in rassegna il lobbismo com’è conosciuto nel mondo occidentale; illustra articolatamente le tecniche per fare lobby; prende in considerazione il “caso Italia”, le leggi anticorruzione e gli eventi collegati a questo fenomeno. L’ultima parte è una appendice riferita alla descrizione dei provvedimenti legislativi e normativi

presi da Unione europea, Stato e regioni per “agire” nei confronti delle lobby. Aggiungono interesse del volume: la descrizione di alcuni casi italiani di lobbi-

smo che hanno riscosso successo, delle associazioni nazionali di relazioni pubbliche e di public affairs, le considerazioni di Paul Seaman sull’attualità degli stakeholders e sul cambiamento in atto della loro funzione nell’impresa e nella società. Un libro che non dovrebbe mancare sulla scrivania di operatori della comunicazione, docenti e studenti di scienze politiche e di relazioni pubbliche. E, perché no? dei cittadini che vogliano documentarsi su un mezzo, il lobbying, che concorre a gestire la res publica secondo principi di buon governo. Soprattutto, democraticamente.

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iNFORMALIBRI ANALISI DI BILANCIO Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali Autore: Marco Fazzini - Editore: Ipsoa - Anno: febbraio 2013 Pagine: 400 - Edizione: III

Il libro accompagna il lettore lungo un percorso di approfondimento progressivo per acquisire dimestichezza prima con le logiche, poi con i ferri del mestiere necessari per esplorare le dinamiche delle imprese. L’analisi di bilancio, in Italia, è considerata una materia relativamente nuova. Il recente interesse e le varie applicazioni che di essa possono essere fatte in diversi ambiti delle attività economiche hanno contribuito a donarle un’aura di modernità. Il volume ha come obiettivo quello di inquadrare in modo semplice e lineare come si sviluppa l’analisi di bilancio, comprendere quali sono la sua utilità e allo stesso tempo i suoi limiti e, infine, a chiarire quali strumenti utilizzare. La III edizione propone una revisione del testo, anche alla luce dei nuovi paradigmi interpretativi dettati dalla crisi italiana e europea. E’ stato inoltre inserito un nuovo capitolo sull’utilizzo di strumenti statistici nell’analisi di bilancio al fine di elaborare campioni per il benchmark settoriale e di individuare correlazioni e interdipendenze tra gli aggregati di bilancio. Inoltre è stato effettuato l’aggiornamento dei dati settoriali con l’introduzione di nuovi settori e un maggior dettaglio degli indici. IL SOFTWARE (Cd-Rom allegato) Allegato al volume il programma su CdRom che permette di effettuare l’analisi limitatamente ai bilanci civilistici e di svolgere un’analisi completa sulle dinamiche patrimoniali, economiche e finanziarie calcolando automaticamente gli schemi riclassificati (finanziario, funzionale e a valore aggiunto), il rendiconto finanziario e gli indici di bilancio. Permette di effettuare l’analisi per un

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arco temporale di cinque esercizi. STRUTTURA DELL’OPERA Capitolo 1 -Finalità e strumenti dell’analisi di bilancio. Capitolo 2 - Come impostare l’analisi di bilancio. Capitolo 3 - Riclassificazione dello Stato patrimoniale. Capitolo 4 - Riclassificazione del Conto economico. Capitolo 5 - Analisi della liquidità. Capitolo 6 - Analisi della solidità. Capitolo 7- Analisi delle dinamiche finanziarie. Capitolo 8 - Analisi della redditività. Capitolo 9 - Analisi del valore Capitolo 10 - Analisi della sostenibilità Capitolo 11 - Analisi dei gruppi aziendali. Capitolo 12 - Analisi delle strategic business unit. Capitolo 13 - Analisi delle aziende in crisi Capitolo 14 - Analisi settoriale.


PARLARE IN PUBBLICO Autore: Scott Berkun - Editore: Tecniche Nuove - Pagine: 254 - Euro 19,90

Questo testo, scritto dal veterano delle conferenze e illustre comunicatore Scott Berkun, rivela con precisione e ironia le tecniche che stanno dietro a un grande comunicatore. Combattere la tensione che sale prima e quella che serpeggia durante l’intervento a causa di fobie o paure, comunicare i concetti fondamentali e strutturarli lungo il discorso, esprimere le idee all’interno di uno spazio limitato di tempo, affrontare una sala piena o una vuota, coinvolgere i presenti, trarre esperienza dagli errori e correggere il tiro quando le cose si mettono male sono tutti temi che vengono affrontati con grande competenza, ma anche con quel tocco di umorismo che permette di rendere leggere anche le teorie più pesanti. I manager, i docenti, i politici e tutti coloro (e non) che fanno della comunicazione orale la loro professione, troveranno di grande aiuto l’esperienza dell’autore sia per quanto riguarda il comportamento che l’esposizione. Infatti Berkun analizza con sistematicità e sarcasmo gli imbarazzi e i successi che si sono alternati durante la sua lunga carriera.

Comunico …ergo sum Ugo Canonici

Comunico …ergo sum Se è importante saper fare, lo è altrettanto il far sapere. Utilizzando una buona comunicazione.

Prefazione di Enrico Bertolino

Deus Editore s.r.l.

Sarò Breve

Organizzare eventi aziendali

Scrivere. Una fatica nera.

La piccola libreria di Deus Editore www.miabbono.com/deus


Fatti & Persone

- Smartphone a gogo

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Dalla lontana Australia, arriva una campagna di sensibilizzazione contro il fenomeno del phubbing, ovvero la dipendenza da smartphone che distoglie l’attenzione dalle interazioni “reali” a favore della vita sui social network. Quale è stato il comportamento degli italiani in vacanza sulle nostre spiagge? Di fatto, dall’ultima indagine pubblicata dall’Osservatorio Mobile Internet, Content & Apps della School of Management del Politecnico di Milano, è emerso che in Italia sono ben 27 milioni a possedere uno smartphone e di questi, circa 22 milioni lo usano per navigare su Internet. Una vera e propria mania che in vacanza può dare origine a fenomeni curiosi. Essere sempre connesso o staccare del tutto e riemergere “online” solo al ritorno dalle vacanze? Per quanto affascinante sia la seconda opzione, basta dare un’occhiata a Facebook o a Instagram per vedere come, gli italiani, scelgano di restare sempre online. C’è chi controlla costantemente la mail di lavoro, chi aggiorna costantemente lo status su Facebook, chi posta migliaia di fotografie su Instagram per documentare ogni minuto della propria vacanza e chi si tagga e registra ovunque vada, per far vedere che è in ferie. Proprio per evitare spiacevoli disagi, qualche lido ha iniziato a esporre delle “regole di buone maniere” per limitare l’utilizzo dello smartphone e delle fotografie. Ma non è solo questione di esibizionismo, i social network e lo smartphone possono essere un valido supporto all’organizzazione e ottimizzazione della vacanza. Grazie ai “social geolocalizzati” è possibile fare nuove conoscenze, leggere e postare opinioni, consigli e recensioni su locali e su ristoranti per evitare le classiche trappole per turisti e ricevere spunti utili.

Ict, siamo indietro «Il settore del Information e Communication Technology (Ict) ha enormi potenzialità di crescita che possono andare a vantaggio dei cittadini e delle aziende, ma l’Italia è rimasta indietro e deve assolutamente recuperare il terreno perduto visto che oggi è al 52esimo posto al mondo per penetrazione dell’ITC, dietro al Montenegro o all’Oman». La situazione italiana è particolarmente arretrata rispetto alla media europea: solo il 52% delle famiglie italiane è connessa a internet, contro il 70% della media europea e il 90% dei Paesi più avanzati del Nord Europa. Ancora peggiore, se possibile, la situazione delle aziende per le quali il previsto aumento di circa 500 milioni di euro degli investimenti in Ict, riguarda al 95% le grandi aziende, mentre le pmi (che sono circa il 98% delle imprese italiane) raggiungeranno solo 5% degli investimenti complessivi. Infine, il “cloud”, che è una delle nuove frontiere dell’Ict, rappresenta solo il 3% degli investimenti delle aziende italiane in tecnologie informatiche. Semplicemente drammatica sembra poi la situazione delle pubbliche amministrazioni per le quali solo recentemente si è cominciato a prevedere un aggiornamento costante delle tecnologie Ict. Fa quasi sorridere che solo il recentissimo “decreto del fare” abbia previsto l’eliminazione di una tecnologia “antidiluviana” come il fax dalle amministrazioni pubbliche. Si valuta che gli investimenti in Ict fatti da un Paese si ripagano a breve termine con una significativa crescita del Pil. Basti pensare che i responsabili dell’Agenda digitale italiana hanno calcolato che un adeguamento del Belpaese agli standard più avanzati comporterebbe un aumento di almeno 1,5 punti di Pil.


“Cloud” in sanità

Vita da call center

Come molti altri settori, anche quello della sanità guarda al cloud computing come mezzo per migliorare la qualità dei servizi, riducendo allo stesso tempo i costi. Il mercato dei servizi informativi per la sanità, in particolare, ha bisogno di soluzioni in grado di far crescere le entrate. Attualmente si stanno snellendo e rendendo più accurati i flussi di lavoro, grazie a soluzioni come sistemi di archiviazione e trasmissione di immagini (PACS), sistemi informativi radiologici (RIS), sistemi informativi per la sanità (HIS) e sistemi informativi clinici (CIS). Tuttavia, il mercato ha bisogno di soluzioni che integrino queste tecnologie, rendendo disponibili tutti i dati rilevanti del paziente ed i dati di imaging in un unico centro, e,allo stesso tempo, accessibili da altre strutture. Una simile condivisione dei dati a livello aziendale può aiutare i fornitori ad aumentare l’efficienza e la spesa nominale. Il cloud computing si sta espandendo rapidamente e sta diventando un elemento chiave per le soluzioni a livello aziendale. Implementare le tecnologie di cloud in modo adeguato può aiutare i fornitori di servizi sanitari ad aumentare la qualità dei servizi medici e l’efficienza operativa, condividere informazioni tra diverse sedi geografiche e gestire le spese. Il concetto può essere applicato in vari modi, quali l’archiviazione dei dati e prevenzione della perdita di dati, il mantenimento dei dati dei pazienti e la condivisione autorizzata delle informazioni. . L’implementazione del cloud computing, tuttavia, è ancora in fase iniziale e permangono alcuni fattori limitanti come le preoccupazioni sulla sicurezza e sulla conformità, la carenza di personale qualificato e la scarsa diffusione della banda larga o le basse velocità di connessione.

Tutti li abbiamo chiamati almeno una volta nella vita e probabilmente avremo ancora bisogno di loro in futuro: gli operatori di call center che offrono supporto tecnico. Quei cortesi signori e signorine che di solito rispondono ad un numero verde per risolvere i nostri problemi. A loro è dedicato il nuovo fumetto della casa editrice Shockdom, “Supporto buongiorno. Storie di vita tragicamente vissute in un call center”, una divertentissima raccolta di aneddoti ambientati all’interno di un call center, con le richieste e i commenti più assurdi da parte di coloro che gli operatori chiamano simpaticamente “utonti”. Leggerete di modem posseduti, NAS usati per scongelare il pesce, hard­ disk scomparsi, router distrutti nel tentativo di eliminare un ragnetto. Ma soprattutto vi renderete conto di cosa riesce a dire la gente quando è al telefono con uno sconosciuto… Supporto Buongiorno raccoglie le strisce più divertenti pubblicate sul portale Shockdom con un corposo inserto di inediti. Autore del libro è Gabriele “gabville” Caprari, che racconta storie vissute in prima persona negli anni in cui ha lavorato presso un call center per assistenza telefonica sui prodotti di networking. “Supporto Buongiorno riesce a dipingere con leggerezza e ironia uno spaccato caratteristico dell’epoca i cui viviamo. – Ha commentato Lucio Staiano, fondatore della casa editrice Shockdom. – Quella dei call center è ormai una realtà fondamentale di questi anni, non c’è azienda che non abbia un numero verde o un servizio assistenza affidato a queste strutture. Spesso noi “utonti” tendiamo a prendercela con l’operatore al di là della cornetta, come se fosse la causa dei nostri problemi, ma nessuno è riuscito a presentare il punto di vista di questi ragazzi in maniera così diretta e, al tempo stesso, divertente”.

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Club dell’Osso

Demetrio Minutilli

Il Club dell’Osso discute dell’andamento del congressuale in questo particolare momento storico. Ci sono sprazzi di luce

Ottimismo in crescita

www.clubdellosso.it clubdellosso@clubdellosso.it

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Nel corso di un incontro in “casa” Club dell’Osso si sono commentati alcuni dati relativi al congressuale di questi ultimi tempi, con un occhio rivolto ai congressi organizzati dalle Associazioni. Un po’ di ottimismo, e dati alla mano il mondo congressuale dà significativi segni di ripresa. Il 2013 registra un buon incremento di partecipanti, e la previsione per il 2014 vede un anno con ulteriore crescita sia nel numero di congressi che di partecipanti. Questo dato emerge anche da un sondaggio che ICCA, International Congress and Convention Association, ha condotto in collaborazione con la IMEX, su un campione di responsabili eventi di associazioni internazionali. I risultati dell’ultimo sondaggio annuale continuano a dipingere un quadro positivo per il settore della meeting industry , nonostante le pressioni economiche . E’ stato detto che quello associativo è tradizionalmente, in termini di numero di eventi, il segmento di mercato più stabile e meno volatile: al contrario delle aziende, che pianificano i propri eventi in base ai budget e alle opportunità del momento, le associazioni hanno un’attività congressuale regolare che subisce fluttuazioni limitate. Tuttavia gli ultimi anni di crisi economica planetaria hanno avuto un impatto negativo anche sugli eventi associativi, molti dei quali hanno visto ridursi la platea degli iscritti e il supporto degli sponsor. Alla domanda se la continua turbolenza economica globale ha avuto un impatto negativo sulla loro associazione e/o eventi nel 2013

quasi il 57 per cento ha risposto ‘Sì’ La stessa domanda era stata posta nel 2012 e la percentuale era del 60 per cento , il che significa che il settore internazionale degli eventi associativi è stato sicuramente influenzato mostrando una crescita rispetto al 2012. Positive anche le stime per il prossimo anno: il 30% delle associazioni dichiara che organizzerà nel 2014 un numero superiore di eventi rispetto al 2013. Previsioni in positivo La percentuale degli ottimisti è in crescita di ben 8 punti rispetto all’anno scorso, quando soltanto il 22% pensava in positivo all’anno a venire. Per contro, si assottiglia quest’anno il fronte dei pessimisti: meno del 7% pensa che l’anno prossimo ridurrà il numero di eventi, a fronte di un 11% che si era espresso negativamente lo scorso anno In termini di numero di partecipanti le previsioni sono ancora migliori: quasi la metà delle associazioni (il 47%) dice che nel 2014 i delegati ai congressi aumenteranno In conclusione, visto che tutti i principali indici mostrano un aumento anno su anno, considerando che il trend sembra stia invertendo la rotta, l’indagine suggerisce una previsione in positivo, nonostante il continuare delle difficili condizioni economiche. E‘ una grande notizia vedere che il settore sta riacquistando un po’ di ottimismo. Ma bisogna che ciascuno faccia la sua parte non rinunciando mai alla ricerca dell’innovazione e al rigoroso controllo della qualità.


dmc

Comitato scientifico Bruno Calchera Membro delegato del Tavolo del Terzo Settore della Regione Lombardia. Già Direttore U.O. della Comunicazione Istituzionale della Regione Lombardia. Giornalista. Direttore Marketing in case editrici. Consulente alla Comunicazione in Enti pubblici e privati. Impegnato in attività del Terzo Settore da più di 30 anni. Alberto Contri Attualmente presidente della Fondazione Pubblicità Progresso e DG della Lombardia Film Commission. E’ stato Vice Chairman di McCann Erickson World Group Italia, consigliere della Rai, AD di Rainet, Presidente AssAP. E’ docente di Comunicazione Sociale alla IULM. E’ Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Marzia Curone Partner di “Relata”, Agenzia di Marketing e di Comunicazione di Relazione. Presidente del settore Direct Marketing di Assocomunicazione, Coordinatore del Comitato Interassociativo Marketing Diretto. Michele Faldi Direttore dell’Alta Formazione e delle Alte Scuole dell’Università Cattolica del S. Cuore. Ha lavorato presso centri culturali ed istituti di ricerca e formazione in Italia e all’estero. Da sempre si è occupato di Higher Education. Chiara Grosselli Già responsabile del Marketing e delle Comunicazioni per l’IBM in Italia, delle Relazioni Esterne e della Fondazione IBM Italia. Collabora con diverse associazioni per sostenere l’imprenditoria femminile. Ha vinto il Premio “Marisa Bellisario”.

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dm & comunicazione

Fondato nel 1987 Rivista di Direct Marketing, Marketing e Comunicazione d’Impresa Autorizzazione tribunale n° 300 del 19/04/1991 Anno 26 - n° 3 del 2013 Direzione, Redazione, Grafica, Amministrazione: Via Spallanzani 10 - Porta Venezia - 20129 Milano tel. +39.02.74.22.22.1 - fax +39.02.74.22.22.23 e-mail: redazione@dmconline.it redazione@dmcmagazine.it - www.dmcmagazine.it Direttore Responsabile: Ugo Canonici Capo Redattore: Sarah Canonici Redazione: Carlo Cremona, Grazia De Benedetti Coordinamento Redazionale e Grafica: Davide Canonici Editore Incaricato: Bruno Calchera Collaboratori: Ugo Clima, Pier Giorgio Cozzi, Barbara Coralli, Vittoria A. D’Apice, Antonio Ferrandina, Axel Lo Guzzo, Antonella Lucato, Alessandro Lucchini, Marco Maglio, Domenico Matarazzo, Demetrio Minutilli, Guido Montacchini, Ugo Perugini, Maurizio Quarta, Margherita Ruggiero, Mario Silvano, Roberto Villa Pubblicità: Gestita direttamente dall’Editore (redazione@dmcmagazine.it) tel +39.02.74 22 22.1 Iscrizione ROC: 16511 Deus Editore s.r.l.: via Spallanzani, 10 - 20129 Milano - P.I. IVA 11422020153

Club C3:

Il club per chi opera nel mondo della comunicazione d’impresa, ha come missione una corretta divulgazione della cultura della comunicazione. dm&c è l’organo d’informazione del Club C3

Alessandro Lucchini Giornalista e copywriter, è autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi di business/web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. Stampa Maurizio Nichetti Architetto, attore, sceneggiatore, regista di cinema, televisione e cartoni animati. Debutta nella regia cinematografica con RATATAPLAN a cui faranno seguito una decina di lungometraggi. Attivo anche nel teatro di prosa, nel teatro lirico e nel cinema d’animazione.

LIGURGRAF s.n.c. Via Moggia 80/G c.a.p. 16033 Lavagna (Ge) Italy Tel 0185.598342 - www.ligurgraf.it - info@ligurgraf.it Gestione abbonamenti Via Pindaro, 17, 20128 MILANO Tel. +39 022520071 Fax +39 02252007.333 info@directchannel.it

Bruno Patrito Silva Fondatore e presidente di Direct Channel - con oltre 30 anni di esperienza, maturata prima nell’ambito di prestigiose aziende leader dell’I.T. e trasformata successivamente in attività imprenditoriale.

www.directchannel.it - www.miabbono.com Mario Silvano Presidente di Silvano Consulting, società di formazione, consulenza, marketing operativo, sviluppo quadri commerciali. Dal 1961 tiene corsi in Italia e all’estero. Autore di libri su marketing e vendita.

Chi sono i 20.000 lettori di dm&c (da un’indagine del Gennaio 2013)

A QUALI AZIENDE APPARTENGONO

Roberto Vallini Già direttore della Comunicazione di AEM Milano, e vice Presidente della FERPI. Giornalista, è stato Portavoce del Presidente della Lombardia Roberto Formigoni, ha pubblicato il libro “Per una Lombardia federale”. E’ Direttore Editoriale e di informazione di Telereporter, Odeon Tv e Telecampione.

QUALE FUNZIONE HANNO IN AZIENDA

Utenti di comunicazione

67,4%

Titolari, presidenti, amministratori

19,1%

Agenzie di comunicazione e meeting planners

25,1%

Commerciali, marketing

51,8%

Associazioni professionali, Pubblica Amministrazione

7,5%

Direzione pubblicità, responsabili Rel. Est.

29,1%

Qualora non vogliate ricevere più questa pubblicazione potete inviare una mail a redazione@dmcmagazine.it, specificando nell’oggetto “cancellatemi dal data base”.


Pensiero Libero

di Alessandro Lucchini*

Piccole storie di ordinaria cafoneria

Ha sempre ragione il cliente? *Alessandro Lucchini, giornalista e copywriter, Autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi business/ web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. www.palestradellascrittura.it lucchini@msoft.it

38 dm&c - n. 3 - 2013

Pausa pranzo, Milano, pizzeria. Proprietari cinesi, pizzaiolo maghrebino, cameriera nera come il carbone, di una bellezza che fatico a guardare la lista, rapito dal suo passo da gazzella e dal sorriso dolcissimo. La pizza arriva in cinque minuti, buonissima. Masticando, penso. Sono a metà del mio secondo giorno di lavoro, dopo le ferie. Sento più l’energia accumulata o la spossatezza del rodaggio? stamattina come ho gestito il ritmo in aula? e gli sguardi diffidenti? e le domande? e le obiezioni? e quanta voglia ho di rispondere alle decine di mail arretrate? e quelle due telefonate rognose, riuscirò a farle prima di sera? Finisco, vado a pagare. Accanto alla cassa, mi attrae un cartello che dice: «Il cliente ha sempre ragione è un concetto inventato da un cliente. Ha ragione chi è educato, cortese e comprensivo nei confronti di chiunque stia svolgendo un lavoro nel quale il cliente non è competente. Perché dopo 12 ore passate a sorridere, spiegare, ascoltare, rispondere al telefono, rispondere alle mail, tentare ancora di lavorare mentre lo stato fa di tutto per farti chiudere 7 giorni su 7, alla fine della giornata un vaffanculo non si nega a nessuno.» Sorrido, chiedo il permesso di fotografarlo. Poi ci medito: com’è che si arriva a giustificare una cafoneria, anche se come risposta alla cafoneria altrui? E poi: chi sono quei “chiunque stia svolgendo un lavoro nel quale il cliente non è competente”? Quasi tutti. Mica solo i medici, verso i quali siamo tutti in inferiorità cognitiva e psicologica. O i giudici, cui la toga conferisce indiscutibile autorità. Anche chi ci ripara il computer, o la lavatrice, l’automobile, chi ci progetta un software, chi produce il telefonino. Chi ci cucina la pizza, appunto (tutti sempre pronti a sentenziare: “troppo molle, troppo secca, poco cotta, lievitata

male, bruciata, pomodoro sa di niente, mozzarella così così…). E mi tornano in mente le storie di maleducazione registrate in queste vacanze. Non parlo dei racchettoni sul bagnasciuga, della musica alta nei bar, di quelli che non si alzano dal tavolo del ristorante anche se han finito da un pezzo e tu sei lì che aspetti, di quelli che lasciano i cani liberi di imbrattare i giardini. Parlo del contesto specifico citato dal cartello: il pretendere di insegnare a chi lavora come deve fare il suo mestiere. E dico la vacanza, un tempo in cui, dopo tutto, si potrebbe essere, se non rilassati, almeno un po’ più disponibili e cortesi del solito. Al ristorante, al bar, al negozio di articoli sportivi, al noleggio delle barche, al rifugio in quota, trovi un sacco di gente espertissima in come si servono i panini, di come si cucina il capriolo con la polenta, di come si affittano i gommoni. Mai fatto altro nella vita, stando alla spocchia con cui pontificano. Il punto più alto è stato un pomeriggio in un pronto soccorso. Va beh, lì si può capire: l’ansia fa perdere il controllo. Ma anche una breve antologia del repertorio registrato fa impressione: «Fate passare prima gli stranieri! - Vi siete dimenticati di me! - Cosa state aspettando?!? - Dategli almeno un antidolorifico! - Ha bisogno urgente di un elettrocardiogramma! - Ma non vede che sta male? - Sbrigatevi a fare qualcosa! - Mi chiami un responsabile! - Vi denuncio a Striscia la notizia! Chiamo i carabinieri! - Io pago le tasse! - Sono io che ti pago lo stipendio!» Chiudo questo pensiero da vecchio noioso con un desiderio: da domani, all’ingresso di ogni locale pubblico (sì, anche il pronto soccorso) firmare una “carta del cliente”, un atto che m’impegna a comportarmi in modo educato e rispettoso di chi sta lì e si fa un mazzo tanto per darmi quello che mi serve, come e quando mi serve.




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