SPATIAL PLANNING AND TERRITORIAL DEVELOPMENT

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All’approssimarsi della chiusura dei programmi comunitari relativi al ciclo 2007-2013, ed in vista, per il 2014-2020, di una spinta ancora più marcata ad una programmazione realmente calata nei contesti specifici locali attraverso il concetto di CLLD (Community-Led Local Development), si pongono diversi interrogativi per l’Italia, in particolare per il Sud. Le Regioni del Mezzogiorno sono attrezzate a raccogliere la sfida in termini di una maggiore focalizzazione spaziale della programmazione? Le strategie nazionali e gli strumenti attivati sono in grado di supportare una diversa concentrazione delle politiche di sviluppo? Esistono i presupposti per un concreto allineamento tra programmazione della spesa e pianificazione alla scala regionale, sovra comunale e locale? Spatial planning e sviluppo del territorio discute il ruolo della spazialità nell’articolazione delle politiche di sviluppo nel nostro Paese, prima analizzando come siano state (o meno) orientate a questo concetto a partire da Progetto ’80, poi evidenziando come il nuovo paradigma concettuale dello spatial planning promosso dalla Commissione Europea abbia interagito e stia interagendo con il contesto italiano. Dal confronto tra la situazione italiana ed altre esperienze europee, alla luce del processo evolutivo delle politiche di sviluppo ampiamente illustrato all’interno del volume, le autrici suggeriscono che una più marcata declinazione della dimensione territoriale nelle strategie nazionali, insieme ad una maggiore attenzione per la spazializzazione delle strategie nella pianificazione ordinaria di scala regionale e locale, potrebbero contribuire al superamento delle criticità che ancora persistono nel Sud Italia. Questo testo si rivolge a coloro che ai diversi livelli sono impegnati nello sviluppo dei rispettivi territori, siano essi policy maker, funzionari pubblici o consulenti di pubbliche amministrazioni, nonché agli studiosi di pianificazione territoriale e politiche di sviluppo, in particolare europee.

€ 25,00

Spatial planning e sviluppo del territorio Spatial planning and territorial development

Claudia Trillo, Architetto, Ph.D in Progettazione Urbana e Fulbright Scholar presso la San Diego State University, collabora con diverse università italiane e straniere e si occupa di valutazione degli investimenti pubblici per lo sviluppo dei territori a livello regionale. Attualmente come Visiting Fellow dell’Università di Salford è il contatto locale dell’unità britannica nell’ambito di un progetto finanziato dal 7° programma quadro che si interessa di iniziative di rigenerazione urbana e forme di Partenariato Pubblico Privato in un’ottica di raccordo urbano-rurale. E’ autrice di numerose pubblicazioni sullo sviluppo turistico dei territori, sul rapporto pubblico-privato in urbanistica con particolare attenzione per la perequazione e sul raccordo tra programmazione delle risorse e pianificazione dei territori.

C. BEVILACQUA E C. TRILLO

Carmelina Bevilacqua, Architetto, Ph.D in Pianificazione Urbanistica e Master in Economics presso la Northeastern University of Boston, insegna Urbanistica all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria e si occupa di valutazione degli investimenti pubblici per lo sviluppo dei territori a livello regionale. Attualmente coordina un gruppo di ricerca internazionale finanziato dal 7° programma quadro che si interessa di iniziative di rigenerazione urbana e forme di Partenariato Pubblico Privato in un’ottica di raccordo urbano-rurale. Ha promosso l’istituzione dell’International Doctorate “Urban Regeneration and Economic Development” presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. E’ autrice di numerose pubblicazioni sul tema dei servizi per l’innalzamento della qualità e competitività urbana, sulla pianificazione territoriale strategica e sul raccordo tra programmazione delle risorse e pianificazione dei territori.

CARMELINA BEVILACQUA E CLAUDIA TRILLO

SPATIAL PLANNING E SVILUPPO DEL TERRITORIO

DIMENSIONE TERRITORIALE, POLITICHE DI SVILUPPO, PIANIFICAZIONE

SPATIAL PLANNING AND TERRITORIAL DEVELOPMENT

TERRITORIAL DIMENSION, DEVELOPMENT POLICIES, SPATIAL PLANNING

GIANNINI EDITORE


A Federico Rossi



Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo

SPATIAL PLANNING E SVILUPPO DEL TERRITORIO DIMENSIONE TERRITORIALE, PIANIFICAZIONE

POLITICHE

DI

SVILUPPO,

SPATIAL PLANNING AND TERRITORIAL DEVELOPMENT TERRITORIAL PLANNING

DIMENSION,

DEVELOPMENT

GIANNINI EDITORE

POLICIES,


Testi in inglese delle autrici. Si ringrazia Edward Kleckner* per la correzione di bozza delle traduzioni. English texts by the authors. The authors warmly thank Edward Kleckner* for revising the English texts. * Past President American Society of Landscape Architects / WI & VP of Scenic Wisconsin, Ret'd Urban & Reg'l Prin. Planner

Copyright delle autrici Giannini Editore 2012 80134 Napoli via Cisterna dell'Olio 6/B + 39 (0) 81 551 39 28 ISBN 978 - 88 - 7431 - 619 - 9


Indice Prefazione Francesco Forte ...................................................................................... 7 Preface ................................................................................................................... 13 Introduzione Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo ............................................ 15 Introduction ......................................................................................................... 21

Parte I Dimensione territoriale e politiche di sviluppo Carmelina Bevilacqua............ 25 Le politiche di sviluppo, nascita ed evoluzione .......................................... 25 Il Progetto â€&#x;80 : la prima territorializzazione degli investimenti pubblici ........................................................................................................................... 34 I Patti territoriali: la dimensione territoriale nella programmazione negoziata ........................................................................................................... 41 La politica di coesione: verso la programmazione dello Spazio Europeo ........................................................................................................................... 44 Dimensione territoriale e spatial planning Claudia Trillo ................................... 59 La dimensione territoriale delle politiche comunitarie .............................. 59 La dimensione territoriale comunitaria e la sua interpretazione nel contesto italiano .............................................................................................. 65 La sfida della territorializzazione nel Mezzogiorno: problematiche e prospettive di discontinuitĂ ........................................................................... 85 The territorial dimension as cross-cutting linkage among development policies, regional plans and regional programs ............................................... 97 Territorial dimension and development policies ....................................... 97 Territorial dimension and spatial planning ................................................. 98

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Parte II La valutazione della dimensione territoriale come raccordo tra pianificazione e programmazione Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo ...... 101 L‟elaborazione della metodologia nel rapporto di aggiornamento della valutazione intermedia del POR Campania 2000-2006 Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo............................................................. 103 Il caso-pilota dei PI Carmelina Bevilacqua ............................................... 109 Il caso-pilota delle aree rurali Claudia Trillo .......................................... 119 L‟applicazione della metodologia alla valutazione ex-ante del POR FESR 2007 – 2013 Carmelina Bevilacqua ................................................................ 127 L‟applicazione della metodologia alla valutazione ex-ante del POR FEASR 2007 – 2013 Claudia Trillo ............................................................. 145 Spatial planning e priorità di sviluppo: il PTR della Regione Campania e la Programmazione 2007-2013 Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo ............. 165 The evaluation of the territorial dimension for bridging the gap between plans and programs........................................................................................... 183 Appendice: Progetto SPIKE Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo .............. 185 Introduction .................................................................................................. 185 Territorial dynamic, innovative milieus and regional policy .................. 187 Innovation and Knowledge economy and competitiveness factors: the role of urban areas ........................................................................................ 190 Objectives of the proposed work .............................................................. 199 Methodology, specific goals and activities................................................ 203 Bibliografia ......................................................................................................... 207 Indice delle figure.............................................................................................. 217

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PREFAZIONE Francesco Forte

La stagione della nostra formazione scientifica ed etica ha coinciso con i grandi fermenti teorici e disciplinari volti a decodificare i volti originali delle metropoli, le nuove modalità di produzione, di consumo, di internazionalità, di rigenerazione urbana. In quegli anni si consolidava la “regional science”, cui ci si formava operando sui volumi di Walter Isard; si stagliavano i contenuti della “regional economics”, delineati nei test di J. Friedman e di William Alonso; si percepiva il ruolo innovativo dell‟economia delle risorse naturali ed i correlati “limiti dello sviluppo”. Assumeva ruolo transdisciplinare la dimensione spaziale delle decisioni di investimento pubblico. La nozione di strategia, di struttura, e di programmazione operativa si affermava nelle politiche pubbliche. La teorica e la conseguente metodologia di “soglia”, enunciata da Boleslaw Malisz (Implications of the Threshold Theory for Urban and Regional Planning, Journal of the Town Planning Institute, 1969), immetteva la conformazione della fisicità tra i fattori condizionanti la decisionalità nel definire la strategia allocativa di investimenti. La sempre necessaria accuratezza previsiva nell‟accentuarsi di condizioni di incertezza sollecitava la simulazione modellizzata in laboratorio degli esiti, come sollecitato da Ira S. Lowry. Si riproponeva la ricerca di correlazioni virtuose tra “piano e mercato”, avendo come traguardo nuove frontiere da conquistare nel perseguire la socializzazione del capitale e la cooperazione tra i capitali volta a innalzare la competitività delle città. La valutazione si affermava quale innovativa categoria scientifica resa impellente dal pluralismo degli attori e delle azioni possibili. Nella nostra Repubblica l‟attenzione alle “scienze spaziali” veniva sollecitata dai nuovi impegni annunciati dalle aperture politiche consolidatesi nei primi anni Sessanta. Il significato che si attribuiva alla categoria "programmazione", sinonimo di riforma dello Stato, necessitava di solidi apparati teorico metodologici, elevata capacità previsiva, e di conseguenza di scienza, di modellizzazione, di trasversalità di saperi. Nella nostra esperienza l‟attenzione alle “scienze spaziali” aveva peraltro acquisito una condizione peculiare, per il ruolo che attribuivamo, da architetti, alla spazialità, alla configurazione paesaggistica quale percepita nella intelligenza del “bel Paese” 7


(Antonio Stoppani, 1874), alla necessaria autenticità dell‟indispensabile voluta innovazione. E la spazialità riemergeva dalla consuetudine con lo storicismo meridionalista, fondando sul documento storico l‟istanza etica al riscatto, alla “modernizzazione” della vita insediata nelle città e nelle campagne, da proporre quale impegno delle politiche pubbliche. La teorica della rendita agraria conformava un enunciato scientifico che ha indirizzato la riflessione critica di Giustino Fortunato, concernente l'iniquità del prelievo tributario praticato dallo Stato centralizzato, essenziale percezione di opportunità di innovazione delle politiche pubbliche. E diveniva referente del messaggio di Emilio Sereni nel decodificare il paesaggio agrario. La modernità non poteva concepirsi quale portatrice di malessere, nella consapevolezza dei molteplici strumenti acquisibili nel praticarne i meriti dispiegandone le potenzialità di umanizzazione e socializzazione. Si delineavano gli usi distorti degli strumenti del moderno, ma la “speranza progettuale” consentiva di intravedere gli anticorpi volti ad arginare le negatività. Da architetti abbiamo teso a travasare il “sapere scientifico” nel costruire “progetti” di strutture urbane e territoriali. I piani o progetti sono anche essi soggetti storici, ed esplicitano le potenzialità intraviste nel perseguire l‟innovazione possibile in una specifica stagione della programmazione. Abbiamo teso a rendere ciascuna occasione di impegno operativo foriera di accumulazione, pubblicandola in volumi volutamente attrezzati, che editorialmente si collocano non casualmente tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Stabilizzatosi un ruolo pedagogico formativo, e stabilizzatosi uno stile della politica non invitante al confronto ed all'esplorazione dell'incertezza, nella vasta pubblicistica degli anni recenti la categoria della programmazione è stata da noi coltivata con riferimento all'efficacia attuativa dei programmi urbani, suggeriti ai Comuni per i quali si è operato. Ne consegue la strana personalità che ci connota. Ci dondoliamo tra frontiere dei saperi organizzati, alimentando su questa trasversalità capacità ideativa e logico deduttiva; ma non possiamo definirci “esperti” di programmazione, ed in particolare della programmazione protagonista di questo volume, condizionata e castigata da modalità e tempistiche che probabilmente ne rendono poco efficace l'approdo. L'invito formulato dalle curatrici a presentare il loro prezioso lavoro è presumibilmente conseguente 8


alla constatazione di analoghe fisiologiche condizioni strutturali dei loro saperi di riferimento. Siamo architetti, e non dissimuliamo questo sapere, amiamo la cultura del piano e del programma consolidatasi negli Stati Uniti, per il ruolo che in quelle prassi assolve l'autonomia, la negoziazione necessaria per condividere, la sostenibilità da conquistare. L'antiamericanismo non ci appartiene, e questi valori hanno significative implicazioni nei nostri percorsi esplorativi. La qualità dell‟architettura e dell‟insediamento è meta dell‟esplorazione scientifica e del nostro fare, in continuità con il pensiero di William Morris e John Ruskin. Nella contemporaneità la qualità è conquista faticosa, richiedendo contemporaneamente “government” e “governance”. Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo ci offrono un esaustivo contributo storico istituzionale, fondato sulla percezione della continuità tra stadi della struttura economico territoriale. Si evince che la grande stagione meridionalista si esaurisce agli inizi degli anni Novanta, coeva con la definitiva abolizione degli istituti speciali attivati nel corso della politica nazionale per lo sviluppo delle Regioni meridionali. La concertazione assunta come stile di decisione dell'erogatore pubblico regionale ha riformulato il ruolo della “valutazione”, ma non ha condotto ad esiti validi nel promuovere cambiamento della precarietà di stato, in conseguenza sia della fragilità delle micro strutture espressione di interessi locali che dell‟economicismo parzializzante l‟innovazione progettuale. Si conferma dal contributo scientifico quanto da tempo è noto: senza la nazione e lo spazio europeo e mediterraneo che la nazione conquista, non si delineano mete efficaci. Vi è una dimensione istituzionale del fare che solo l‟innovazione perseguita attraverso la legge della Repubblica può consentire di intraprendere. La legge sui principi per il governo del territorio, volta ad abrogare il ruolo conformativo del diritto immobiliare proprio agli strumenti generali di disciplina dell‟uso del suolo, necessariamente continua ad annunciarsi quale fondamento dei contenuti di un nuovo respiro programmatico della decisionalità locale. L‟accurata percezione di cui al Codice dei Beni Culturali (D.lgs. 42/2004, come riscritto nel D.lgs. 63/2008) dei poteri e dei ruoli ha consentito di arginare l‟avocazione alla Provincia del potere conformativo del “godimento” (Costituzione, art. 42), liberando il possibile federalismo amministrativo dalle inerzie proprie agli interessi mascherati dalla 9


virtuosa presunta tutela. Ed in questa constatazione può riassumersi la densità di informazione e commento, e l‟impegno che Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo testimoniano per il Mezzogiorno e i suoi territori. Sulla programmazione, oggi Nella programmazione dello sviluppo locale, definito il criterio ispiratore del paradigma, l'interesse dispiegatosi non si è volto ad approfondire l'innovazione necessaria nella ordinaria articolazione del fare cose. La cultura dei luoghi, e l'urbanistica che ne ha interpretato i sensi, testimoniano un lungo campo di impegno nella storia istituzionale e tecnico-scientifica. La fragilità degli istituti nel nostro Mezzogiorno tuttora inficia e condanna le nostre città. La consueta separazione emergenziale tra ordinarietà del fare e straordinarietà dell'evento ha sovrastato anche la nuova programmazione. L‟ordinario governo urbanistico delle città si è reso indifferente alla strumentazione posta in essere attraverso la nuova, virtuosa programmazione dal basso. Si è fatto ricorso a categorie parziali, legittimanti la decisione, e con queste si è operato, scoprendo tardi l'inefficacia. Fin dagli anni Sessanta criteri di azione hanno indirizzato lo stile delle azioni. Il concentrare/selezionare/configurare si è ritenuto quale manifestazione di mirata strategia urbanistica, economicofinanziaria, istituzionale, all‟origine dell‟innovazione delle politiche pubbliche per il Mezzogiorno affermatesi negli anni Settanta. Eppure questi criteri di programma non hanno inciso nel delineare le condizioni per la programmazione virtuosa dello sviluppo locale. Il danno conseguente alle separatezze si è rivelato immane. Tra il bocconcino prelibato di spesa resa acquisibile ai governi dei Comuni dalla programmazione regionale nei recenti anni, e la fatica politica di progettare il futuro del sistema città, si è accantonato questo ultimo motivo. Nella nostra esperienza è quanto avvenuto a Sapri, a Benevento, a S. Maria Capua Vetere, a Capaccio Paestum, città significative accomunate da tempi e metodi di progettazione urbanistica. La strumentazione della programmazione si è rivelata fattore ostativo al consolidamento della cultura delle città. Nella “defaillance” che abbiamo sperimentato, di certo hanno operato criteri di piano da noi 10


suggeriti, quali l'equità perseguita attraverso perequazione urbanistica, resa inconsistente dalla stessa legge regionale. Socializzare il capitale si propone quale frontiera di cultura locale, di continua conquista, che può dar luogo a insuccessi dell‟azione amministrativa. Si deve tuttavia ritenere che la strumentazione prescelta per la programmazione sia stata cinicamente assunta con l‟obiettivo di offuscare la decisionalità strutturante, per i vantaggi conseguenti dall‟acquisizione di consenso. Svincolato da mete coerenti orientate allo spazio e al tempo, non deve meravigliare che lo sviluppo locale abbia assunto il carattere di spesa pubblica sostitutiva, per opere edili locali ritenute utili dal vertice del governo locale, anche se indifferenti nel sollecitare sviluppo. Le decisioni volte ad incidere sulla precarietà di condizioni di stato richiamano dialogo tra attori nazionali, come insegna l‟innovazione sopravvenuta nell'impresa bancaria, o nella logistica aerea. I ricercati oblio e dimenticanza delle responsabilità nazionali nella politica regionale possono non solo non dar luce al nuovo, ma altresì erodere la dimensione sociale del riscatto ricercato attraverso politiche esplicite di sviluppo territoriale. La politica regionale avrà senso qualora il Mezzogiorno riuscirà a contribuire alle nuove frontiere dello sviluppo della nazione. La ricerca di compatibilità richiesta dall‟ispirazione alla sostenibilità del cambiamento non può ritenersi atto neutrale, dovendosi fondare nel nostro Mezzogiorno su equilibrio ricercato tra i principi dichiarati nella Carta Costituzionale (art. 4, diritto al lavoro; art. 9, tutela del patrimonio). Trattasi di acquisita affermazione, che si riempie di attualità sulla base della percezione della crisi epocale che si è consolidata nei recenti mesi, non percepita pertanto nelle trattazioni proposte nel volume, che tuttavia offre specifici spunti di riflessione ai tanti operatori impegnati nell‟assolvere gli impegni conseguenti alle novità richieste dalla programmazione nel quadro delle responsabilità conseguenti alla crisi. La novità che si dovrebbe immettere nelle politiche di coesione nelle Regioni del Mezzogiorno italiano nel 2007-2013 dovrebbe risiedere nel ruolo che le categorie “luogo e territorio” dovranno assumere. Novità quindi significativa qualora se ne esplorino le responsabilità nell‟esercizio dell‟ordinaria strumentazione per il governo del territorio. 11


L‟enfasi sulla “perequazione territoriale” accompagna in Calabria il “piano associato”, strumento per promuovere razionalità ed efficienza nell‟erogazione di servizi. La pratica di criteri di gestione dei servizi ricondotti al “neosocialismo comunale” si è rivelata penalizzante. Le Regioni meridionali, che non sono riuscite a coordinare la legislazione “per il governo del territorio”, potrebbero convergere in pratiche di “programmazione specialistica”, quali i servizi alla popolazione ed alle imprese, essenziale fattore di competitività territoriale. Ed emulando quanto già in corso in Basilicata potrebbero concordare con lo Stato contenuti comuni di pianificazione paesaggistica fondata sul criterio di compatibilità di usi plurimi a condizioni qualitative riconosciute, demandando ai piani d‟area vasta di competenza locale la specificazione funzionale di obiettivi temporalmente delineati ispiranti la programmazione attuativa locale. Conclusione Trattasi quindi di volume prezioso, per più motivi. Riprende la memoria storica dello spessore scientifico delle discipline regionali, potendo di conseguenza guidare la formazione di reading list di contesto, in grado di memorizzare il consolidarsi di strumentazione scientifica. Consente di traguardare nuovamente all‟incontro virtuoso tra intenzionalità di governo attraverso la programmazione, l‟efficacia delle pratiche e la riforma delle istituzioni, dello Stato e delle Regioni. È prezioso per l‟incrocio che consente di intravedere tra riforme in atto (quali il federalismo fiscale), quelle che verranno (quali il federalismo amministrativo) e le politiche di coesione delle Regioni meridionali, congrue con la meccanica della programmazione.

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PREFACE In our youth we were deeply influenced by the new theoretical approaches to the emerging metropolitan challenges –new production/ consumer models, international connections, urban regeneration-. The “Regional Science” came to the fore thanks to Walter Isard; J. Friedman and William Alonso gave a powerful contribution to yield the “regional economics” field of studies. The role of the environmental resources and the related need to limit growth were becoming clear. The cross- cutting role of the spatial dimension in decision making processes clearly emerged. Concepts such as strategy, structure, and operational programming also were put forth. According to Boleslaw Malish‟s “Threshold theory“, physical patterns should be taken in account when allocating investments. Forecasting efforts rested on accurate models, as suggested by Ira S. Lowry. The land-use/ market connection was studied in order to find out possible outcomes in terms of social benefits, thus enhancing the urban competitiveness. We referred to evaluation as the conceptual framework needed to make different actors interact. In the Italian contexts, in the 60s political forces paid specific attention to the “spatial sciences”, by considering “programming” activities as broader renewal actions. Being architects, we realized the importance of landscape in the “spatial sciences”. Giustino Fortunato and Emilio Sereni‟s studies were further milestones. We trusted modernity as hope in the future, thus developing plans and projects. Unfortunately, nothing concrete followed these original intentions. Being architects, we are keen on the culture of US planning and programming approach, and we aim at pursuing high quality in the constructed environment. In todays world, pursuing high quality is a difficult challenge, thus requiring “government” and “governance” at the same time. The first part of the book offers an interesting overview on the territorial dimension of the cohesion policies in the South of Italy for the 2007-2013 programming period. Carmelina Bevilacqua and Claudia Trillo provide us with an exhaustive contribution, both historical and institutional, arguing that the greatest challenges for the South of Italy ran out in the 90s, when the special institutions for the southern regions developing 13


were dismantled. The local approach lacked in efficacy, both because of the fragmented decision making process, and because of the dispersion of resources. The paper argues that without the national level and the European spatial framework, no goals can be pursued with efficacy. The accurate interpretation of the key role of the Law 42/2004 (on the Cultural Heritage) in terms of reinforcement of the coordination role of the State, is one of the most innovative emerging thesis. Unfortunately, the current trends show how local government aimed at grabbing the available resources more than struggling in the construction of coherent and organic frameworks for strengthening the future development. It is not surprising that local development became synonymous with expenditure for matching ordinary needs and not for fostering development. Regional policies will make sense only when the South of Italy will impact on the broader national development. Services and landscape planning could be key strategies. This book is valuable for many reasons. It recalls the evolution of the regional science field of studies, thus providing a “reading list� on the topic. It raises questions on the efficacy in programming and governance reforms. It is of considerable interest because it shows possible mutual influences among fiscal devolution, governance devolution and cohesion policies in the Southern regions.

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INTRODUZIONE

Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo

Il complesso apparato delle attività connesse alla programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006, sia nella fase di progettazione che di attuazione attraverso strumenti di controllo e di valutazione intermedia e finale dei fattori performanti l‟azione dei Programmi Operativi Regionali (POR), è stato sottoposto ad un profondo revisionismo sollecitante una domanda di “effettivi” contenuti strategici nella programmazione 2007-2013. A chiusura del ciclo programmatorio 2007-2013, anche ai fini di una migliore impostazione del prossimo ciclo 2014-2020, è utile ripercorrere le tappe di un percorso complesso, caratterizzato da mutamenti in parte non prevedibili al termine del ciclo 2000-2006, ma che tuttavia sin nella sua impostazione concettuale riproponeva una serie di limitazioni che a tutt‟oggi si reputa costituiscano una remora al pieno dispiegamento delle potenzialità delle politiche di sviluppo in Italia. La complessità della problematica, ma anche la sua correlazione ad assunti che discendono da paradigmi disciplinari molto precisi e collocabili temporalmente, hanno sollecitato una rilettura critica il più possibile volta ad eludere semplificazioni o interpretazioni in chiave politica. Piuttosto, si è ritenuto di ragionare in termini di interazione tra sollecitazioni indotte dal confronto con il contesto comunitario e contesto nazionale, in una prospettiva dinamica e storica. Obiettivo del presente libro è quello di evidenziare l‟importanza di territorializzare le politiche di sviluppo, come ha la Commissione Europea sollecitato con l‟introduzione dello Schema di Sviluppo Spaziale Europeo nel 1999. A tal fine si colloca la questione della territorializzazione delle politiche di sviluppo in Italia in una prospettiva storica, a partire da Progetto ‟80, fino ad arrivare alla contemporanea implementazione del nuovo paradigma concettuale dello spatial planning. Lo spatial planning rappresenta uno dei paradigmi teorici di riferimento della pianificazione europea (Healey 1997a e Faludi 2000), riposizionando la dialettica tra pianificazione e programmazione all‟interno di una prospettiva istituzionalista (Healey 1997b) e pertanto rimettendo in gioco la dicotomia tra 15


modelli decisionisti tecnocratici ed istanze politiche negoziali in un‟ottica di governance dinamica del territorio. Le sollecitazioni che tale approccio comporta sono molteplici, e ben si prestano ad ispirare la costruzione di metodologie innovative per il supporto alle decisioni in materia di programmazione dello sviluppo del territorio. La recente letteratura sulle applicazioni dello spatial planning in Europa (Albrecht et al. 2003) evidenzia non soltanto differenze peculiari dell‟esperienza italiana rispetto alla ben più approfondita vicenda nord-europea (Rivolin 2004), ma anche l‟urgenza di analisi e valutazione di esperienze applicative che chiariscano limiti, pregi e potenzialità della messa in attuazione dei concetti teorici sottesi allo spatial planning europeo. Lo spatial planning è un paradigma concettuale relativamente nuovo nel contesto comunitario dal punto di vista teorico, implementato in maniera piuttosto disomogenea nei diversi stati membri (Haughton et al 2009). In estrema sintesi, lo spatial planning rappresenta la formalizzazione disciplinare del raccordo tra pianificazione e programmazione, al fine di garantire sviluppi di assetti urbani e territoriali armoniosi e auto propulsivi. Faludi e Waterhout (2002) chiarificano la nozione di spatial planning e ne collocano storicamente la sua comparsa nella vicenda comunitaria, sottolineando il ruolo primario assolto dallo spatial planning all‟interno delle politiche comunitarie quale driver di uno sviluppo regionale equilibrato, in cui l‟organizzazione fisica dello spazio rispecchia una strategia di sviluppo più complessiva (Consiglio d‟Europa 1984). Quest‟ultimo concetto è chiaramente espresso nel The EU Compendium of Spatial planning Systems and Policies (CEC 1997), da cui si evince che lo spatial planning si riferisce all‟azione, per lo più pubblica, di influenzare la distribuzione degli usi nello spazio, allo scopo di creare un‟organizzazione del territorio più razionale anche in termini di usi del suolo e di equilibrio tra istanze di sviluppo e di protezione ambientale, e per raggiungere obiettivi economico-sociali. In termini concettuali, la portata innovativa dello spatial planning è altresì da rintracciarsi nella capacità di supportare i processi di formazione dell‟agire pianificatorio e programmatorio, ovvero nella collocazione di piani e programmi un una prospettiva dinamica di governance territoriale (Healey 1997a e 1997b). In tal senso, la spazialità delle politiche europee acquista una connotazione molto particolare nella promozione dello sviluppo e 16


del cambiamento amministrativo. Il concetto guida che trasversalmente aiuta a costruire l‟impalcato dello spazio europeo è la consapevolezza che l‟Europa ha una varietà culturale concentrata in piccole aree che la differenzia da altri contesti più omologati. Tale varietà definisce le identità locali che, purché salvaguardate, rappresentano il punto di forza dello sviluppo dello spazio europeo. Alla base della sua concettualizzazione esistono due argomentazioni fondamentali. La prima riguarda la connotazione “spaziale” che giocoforza assume qualsiasi politica di sviluppo. La seconda si riferisce alla nascita della “politica di coesione” intesa come coesione “territoriale”, ovvero indirizzata alla diminuzione delle disparità regionali per la creazione di quello sviluppo armonioso promosso già nel Trattato di Roma del 1957. Trasferito nel contesto della cultura di pianificazione italiana, lo spatial planning suggerisce intermediazione tra scelte di piano, che attengono alla trasformazione fisica secondo un sistema di conoscenza e di regole dello sviluppo dello spazio, e priorità allocative delle risorse finanziarie. Analizzando il modo in cui lo spatial planning permea la cultura urbanistica italiana, Rivolin (2004) nota come sia difficile innestare il concetto di spatial planning in un contesto in cui l‟unico vero tentativo di orientare le politiche territoriali verso una coerente direzione fisica avvenne con Progetto ‟80. Le politiche di sviluppo sollecitate dai diversi cicli programmatori della spesa comunitaria hanno rappresentato, in assenza di una diretta competenza della Commissione Europea nel campo della pianificazione, un driver implicito di indirizzo per l‟allineamento dei contesti pianificatori nazionali alla logica del sostegno comunitario. Per il periodo 2007-2013, la politica di coesione ha manifestato una diversa propensione al cambiamento rispetto al periodo programmatorio precedente. Difatti, sin dai documenti preparatori si evinceva con chiarezza che il contributo allo sviluppo durevole doveva essere più tangibile attraverso operazioni di concentrazione finanziaria a garanzia della competitività del sistema territoriale. Le priorità riportate negli Orientamenti Strategici Comunitari (1. Rendere più attraenti gli Stati membri, le regioni e le città migliorando l‟accessibilità, garantendo una qualità e un livello adeguati di servizi e tutelando l‟ambiente; 2. Promuovere l‟innovazione, l‟imprenditoria e lo sviluppo dell‟economia della 17


conoscenza mediante lo sviluppo della ricerca e dell‟innovazione, comprese le nuove tecnologie dell‟informazione e della comunicazione; 3. Creare nuovi e migliori posti di lavoro attirando un maggior numero di persone verso il mercato del lavoro o l‟attività imprenditoriale, migliorando l‟adattabilità dei lavoratori e delle imprese e aumentando gli investimenti nel capitale umano) richiedevano che l‟intervento pubblico fosse capace di “stimolare il potenziale di crescita, in modo da ottenere e mantenere elevati tassi di crescita, anche affrontando le lacune nelle infrastrutture fondamentali e rafforzando la capacità istituzionale e amministrativa”. La strategia comunitaria mirava con chiarezza ad esaltare il ruolo della conoscenza nella eliminazione delle disparità non solo tra regioni europee, ma anche e soprattutto all‟interno di ogni singola regione. Ciò era rimarcato dall‟importanza della dimensione territoriale della politica di coesione: a livello locale gli Orientamenti Strategici “dovrebbero tener conto delle necessità in termini di investimenti sia nelle aree urbane sia in quelle rurali, in ragione dei ruoli rispettivi nello sviluppo regionale e al fine di promuovere uno sviluppo equilibrato, comunità sostenibili e l‘inclusione sociale”. All‟approssimarsi della chiusura dei programmi comunitari relativi al ciclo 2007-2013, ed in vista, per il 2014-2020, di una spinta ancora più marcata ad una programmazione realmente calata nei contesti specifici locali attraverso il concetto di CLLD (Community-Led Local Development), si pongono diversi interrogativi. Al di là delle inevitabili ripercussioni sugli impatti attesi indotte dalla drammatica crisi finanziaria internazionale ancora in atto, le Regioni del Mezzogiorno erano attrezzate a raccogliere la sfida in termini di una maggiore focalizzazione spaziale della programmazione? Le strategie nazionali e gli strumenti attivati erano in grado di supportare una diversa concentrazione delle politiche di sviluppo? Esistevano i presupposti per un concreto allineamento tra programmazione della spesa e pianificazione alla scala regionale, sovra comunale e locale? La tesi del libro è che, sin dall‟impostazione delle strategie regionali del Mezzogiorno per affrontare il ciclo programmatorio 2007-2013, la questione della territorializzazione della spesa – o spazializzazione, per utilizzare un termine più vicino ai documenti comunitari relativi alla configurazione dello Spazio Europeo come cornice di riferimento per il “disegno” dello sviluppo dei territori – è stata parzialmente elusa.

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Sin dalla lettura comparata dei POR FESR 2007-2013 delle regioni dell‟obiettivo Convergenza emergeva che la dimensione territoriale aveva differenti connotazioni nelle diverse regioni del Sud. Per fare qualche esempio, per la Regione Campania assumeva un significato più amministrativo, nel senso che la dimensione territoriale avrebbe dovuto acquistare una sua “forma” attraverso l‟individuazione di categorie amministrative secondo cui orientare le scelte. Lo sviluppo urbano è stato concentrato, ad esempio, nelle città con popolazione maggiore di 50.000 abitanti. I vecchi Progetti Integrati avrebbero dovuto trovare una loro collocazione programmatica nei nuovi Accordi di Reciprocità, senza fare riferimento a linee di sviluppo spaziale ma solo a tematiche di sviluppo che potrebbero essere applicate in qualsiasi contesto, che sono stati abbandonati strada facendo. Per la Regione Puglia la dimensione territoriale aveva acquisito un significato più strutturale, secondo un approccio molto più vicino allo spazio europeo, attraverso la copertura regionale di Piani Strategici di area vasta (sovracomunale) per la definizione delle scelte di programmazione. Per la Regione Sicilia l‟elemento caratterizzante la dimensione urbana è stato lo sviluppo urbano, congelando, in un certo senso, la spazializzazione al solo asse designato, così come per la Regione Calabria. Le valutazioni ex post del ciclo programmatorio 2007-2013 faranno luce, se svolte, sui reali impatti sortiti dai diversi programmi. Tuttavia, sin da ora è possibile osservare che molte questioni rimangono ancora ad oggi aperte, indipendentemente dagli andamenti finanziari e dalle realizzazioni dei programmi regionali, questioni che sono riconducibili alla declinazione della dimensione territoriale in relazione a diversi fattori che vanno dal livello amministrativo della “decisione” (in base alla classica gerarchia Europa, Stato, Regione, enti locali, che si ridisegna secondo i principi dell‟integrazione verticale ed orizzontale) ed agli strumenti che in virtù dell‟esplicitazione “modulare” o “gerarchica” dei criteri della qualità spaziale ne consentono il controllo nelle fasi di pianificazione e programmazione delle risorse. Il processo di costruzione delle politiche di sviluppo nel Mezzogiorno sembra ancora vincolato ad una macro distinzione tra allocazione di risorse economiche e finanziarie ed effetti “spaziali” di tali decisioni; in altre parole, l‟elemento chiave di integrazione delle politiche settoriali 19


trova una sua connotazione strutturale e operativa nella traslazione “spaziale” delle decisioni, che tende talora a rimanere disattesa per il rispetto formale e sostanziale di alcuni presidi sia disciplinari che politici. Dal confronto con lo stato dell‟arte nel nostro Paese, alla luce del processo evolutivo delle politiche di sviluppo ampiamente illustrato all‟interno del volume, rispetto alle esperienze in corso in altre realtà europee, si conclude che una più marcata declinazione della dimensione territoriale nelle strategie nazionali e una maggiore attenzione per la spazializzazione delle strategie nella pianificazione ordinaria di scala regionale e locale potrebbero contribuire al superamento delle criticità che ancora persistono nel Sud Italia. Il volume di articola in due parti. La prima parte, articolata a sua volta in due sottosezioni, “Dimensione territoriale e politiche di sviluppo” e “Dimensione territoriale e spatial planning”, esamina in una prospettiva storica la tematica della territorializzazione della programmazione in Italia ed inquadra la problematica italiana nella cornice europea dello spatial planning, al fine di evidenziare discrepanze che vengono interpretate come una possibile spiegazione delle criticità riscontrate nel caso italiano. La seconda parte presenta una possibile applicazione della tesi teorica, attraverso la discussione di una concreta esperienza in cui le autrici hanno sviluppato una metodologia valutativa mirata al raccordo tra pianificazione spaziale e programmazione delle risorse nel contesto della Regione Campania. In appendice viene presentata la proposta di un percorso di ricerca che potrebbe ulteriormente sviluppare le tesi suggerite. Il testo si rivolge a tutti coloro che ai diversi livelli sono impegnati nello sviluppo dei rispettivi territori, siano essi policy makers, funzionari pubblici o consulenti di pubbliche amministrazioni, nonché agli studiosi di pianificazione territoriale e politiche di sviluppo, in particolare europee.

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INTRODUCTION This book seeks to provide a methodological framework to investigate the weak connection among policies, programs and plans, which still persists in the South of Italy, thus causing a lack of efficiency in the public expenditure, by evoking the historical evolution of the development policies in the South of Italy, and contextualizing them in the European broader perspective. Though it appears to be more theoretical than practical, it aims at proposing possible solutions to overcome the current lack of efficiency in the public expenditure, thus turning it into a more impacting driver for the regional development with a greater impact. To demonstrate that, the book provides the reader with some application of the suggested methodology, drawing from the experience of the authors as evaluators for a Regional Authority. For many years the authors have been evaluating regional development programs in the South of Italy, and they have arrived at the conclusion that a persistent lack of efficiency in public expenditures may be attributed primarily to a complete disregard of the spatial dimension while implementing strategies. Therefore, the authors have decided to search more in depth, both by analyzing the current situation in a historical and geographical perspective, and by promoting a broad technical discussion on the issue. After discussing the evolution of the territorial development policies in Italy, covering issues such as “Progetto 80â€? and the industrial development policies, the authors investigate the nexus between the Italian approach to territorial development and the European spatial planning emerging paradigm, in particular, by focusing on polycentrism, transportation networks and cultural landscape. They highlight that currently national policies fail in bridging the gaps between different scales, in particular, in facilitating appropriate synergies across regions at a spatial level capable to interpret the European spatial planning approach. Moreover, they observe how in the South of Italy a lack of physical planning at local level contribute to increase the gap between programs and plans, by weakening the local governmentâ€&#x;s effort to concentrate strategies in specific places.

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In conclusion, the authors suggest that a more “spatially- oriented� approach – both at national level, by means of a strategic spatial plan capable of addressing the regional efforts in the framework of the global competition, and at a local level, by means of updated ordinary plans, is able to provide a stable system of rules for properties and investors. This in turn would lead to having a better focus on specific critical areas, thus allowing these investments of capital to achieve visible impacts in terms of regional development. The book includes an annex that explores a possible research proposal to put the research forward on this field.

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Parte prima Part I



DIMENSIONE TERRITORIALE E POLITICHE DI SVILUPPO Carmelina Bevilacqua

LE POLITICHE DI SVILUPPO, NASCITA ED EVOLUZIONE

Le politiche di sviluppo, indipendentemente dalla configurazione operativa che hanno acquisito durante i diversi cicli programmatici – non tralasciando l‟esperienza della Cassa per il Mezzogiorno – si distinguono, nell‟ambito delle politiche pubbliche, per la loro mission, che è quella di rendere praticabili operazioni di mainstreaming dello sviluppo attraverso la messa a sistema di politiche settoriali1 che, a loro volta, concorrono a creare condizioni di sviluppo per un determinato territorio. Di conseguenza, le politiche di sviluppo sono per loro natura intersettoriali e comprendono la componente territoriale come specificazione dell‟oggetto dell‟azione pubblica. L‟evoluzione storica delle connotazioni contenutistiche delle politiche di sviluppo in Italia è inevitabilmente intrecciata al divario Nord-Sud. La questione meridionale si identifica, inizialmente, come unica problematica da aggredire attraverso le politiche di sviluppo, che, a loro volta, acquisiscono una prerogativa di sistema, dal 1950 in poi, con l‟istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. L‟obiettivo principale di questa istituzione consisteva, da un lato, nella formalizzazione di una interpretazione “moderna” del dualismo Nord-Sud verso un progressivo rilancio del Mezzogiorno in termini innovativi nella contribuzione alla crescita produttiva ed economica del Paese; dall‟altro, nell‟attivazione di un tipo di struttura amministrativa che potesse costituire un utile riferimento per la più generale riforma della Pubblica Amministrazione. Si stava, in altre parole, cercando di attuare il modello di sviluppo teorizzato da Hirschmann2 e consistente nel cambiamento strutturale non solo L‟Unione Europea individua nove categorie secondo cui articolare i settori nell‟ambito della politica di sviluppo europea: 1. Governance, diritti umani, stato di diritto e democrazia; 2. Sviluppo sociale e umano; 3. Sviluppo sostenibile e ambiente; 4. Ambiente e gestione delle risorse naturali; 5. Agricoltura e sviluppo rurale; 6. Sicurezza dei prodotti alimentari; 7. Sviluppo economico e commerciale; 8. Infrastrutture; 9.Migrazione. 2 Albert O. Hirschmann – teorico dello sviluppo regionale – elaborò negli anni Cinquanta-Sessanta la teoria della crescita economica basata su disequilibri continui necessari a costruire il cambiamento strutturale di economie lente. Questa teoria si contrapponeva alla teoria della crescita bilanciata basata sostanzialmente sulla costruzione di equilibri costanti tra domanda e offerta. Alla base della sua 1

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fisico ma anche governativo ed amministrativo del territorio oggetto delle politiche di sviluppo, cambiamento che avrebbe dovuto, sempre secondo Hirschmann, far evolvere culturalmente la società. Il fattore di successo pensato dal governo in quegli anni per la Cassa per il Mezzogiorno riguardava il suo carattere di “straordinarietà”. “L‘istituzione della Cassa non fu una scelta ispirata a una motivazione ‗risarcitoria‘, né ebbe come scopo fondamentale la compensazione degli svantaggi accumulati dalle aree meno sviluppate del Paese. Anzi, dopo i provvedimenti degli anni Trenta, che culminarono nel 1933 con la nascita dell‘Iri (Istituto per la ricostruzione industriale), la creazione della Cassa può essere considerato l‘evento più rilevante della ‗strategia della straordinarietà‘. Come l‘Iri, la Cassa per il Mezzogiorno fu infatti un ente di diritto pubblico, esterno alla pubblica amministrazione, incaricato di un preciso programma a termine. Come l‘Iri, fu concepito in circostanze eccezionali” (D‟Antona, 1997). La Cassa per il Mezzogiorno, difatti, prevedeva un programma di investimenti pubblici per il Sud di dieci anni. L‟importo complessivo degli investimenti era di circa 1.200 miliardi di lire, indirizzato ad opere pubbliche a carattere “strutturale”: acquedotti, impianti elettroirrigui, strade statali e provinciali, ferrovie, bonifiche. L‟imprinting politico era alquanto evidente: l‟ammodernamento infrastrutturale costituiva la condizione necessaria per attivare lo sviluppo industriale. Successivamente ai primi dieci anni, la Cassa per il Mezzogiorno continuò invece a sviluppare l‟intervento straordinario secondo programmi decennali fino al 1984, anno in cui con la Legge n. 64 la Cassa venne trasformata in Agenzia, per poi essere definitivamente soppressa nel 1992. La dimensione territoriale nell‟attività di programmazione legata all‟intervento straordinario è, nel primo decennio, fortemente collegata alle pianificazioni di settore: gli investimenti pubblici sono finalizzati alla realizzazione di opere teoria c‟è la consapevolezza che le regioni in via di sviluppo non solo sono povere di capitale, e, quindi, di imprese, ma anche di competenze specifiche capaci di amministrarne la crescita. Continui disequilibri dovrebbero stimolare la formazione di competenze capaci di mobilitare risorse affinché siano raggiunte man mano fasi di equilibrio da contrapporre ai disequilibri generati dai cosiddetti little push delle politiche di sviluppo (graduali cambiamenti strutturali che il contesto produce attraverso meccanismi evolutivi della pubblica amministrazione e della cultura imprenditoriale autoctona). Gli esiti dei suoi studi sono raccolti in diverse pubblicazioni, di cui The Strategy of Economic Development rappresenta la sintesi più conosciuta.

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pubbliche univocamente definite da un fabbisogno analizzato attraverso strumenti di pianificazione settoriale a livello regionale o nazionale, aventi come oggetto l‟infrastrutturazione del territorio, e quindi tutte le reti – idriche, dei trasporti – e le bonifiche. Successivamente, la dimensione territoriale si arricchisce di un‟ulteriore componente: dagli anni Sessanta in poi essa si esplica nelle scelte localizzative dei poli di sviluppo industriale, settorializzando la sua linea di policy nella concentrazione degli investimenti per la crescita economica. La distribuzione degli aiuti stanziati per lo sviluppo industriale delle Regioni meridionali fu affidata alla localizzazione di due tipologie di poli di crescita: le aree industriali ed i nuclei industriali (Legge n. 634 del 1957). Questi enti dislocati sul territorio meridionale concentrarono gli aiuti programmati, nel rispetto alle disposizioni del governo centrale, verso l‟installazione di imprese caratterizzate da forti investimenti di capitali. Questa impostazione determinò, di contro, una diminutio rispetto alla valorizzazione delle potenzialità locali finalizzate alla creazione di condizioni di sviluppo autopropulsivo. È ormai diffusa l‟opinione che la ragione di questo fallimento risiede nell‟aver attivato il cosiddetto big push (industria motrice) senza considerare la capacità del mercato di assestarsi secondo l‟incremento sostanziale dell‟offerta a discapito di una domanda locale debole e di difficile strutturazione. I criteri di scelta localizzativa delle aree industriali si basavano, sostanzialmente, sulla minimizzazione dei costi di trasporto, attribuendo un valore quasi nullo alle risorse naturali, in quanto non rientranti in una logica di profitto. Le aree venivano, così, collocate laddove il potenziale attrattivo, all‟interno di un sistema territoriale di riferimento, era maggiore. L‟introduzione di un‟area monofunzionale (le cosiddette ASI – Aree di Sviluppo Industriale) nell‟assetto territoriale sia comunale che regionale, determinò nell‟ambito delle politiche di sviluppo un allargamento dei soggetti decisionali in materia di investimento pubblico. In un certo senso il processo decisionale incominciò ad acquisire alcune forme di governance ante litteram, nella misura in cui il territorio aveva un ruolo centrale non tanto nella scelta dell‟area, quanto nella formazione del suo piano regolatore che orientava e regolamentava le scelte localizzative all‟interno di essa. I soggetti dell‟azione pubblica legata alla creazione delle condizioni di sviluppo 27


industriale nel opportunità.

Mezzogiorno

non

seppero

cogliere

questa

Figura 1 Aree di sviluppo industriale e nuclei di industrializzazione

Fonte: Urbanistica n. 57, 1971

Ciascuna ASI3, avendo come organo decisionale un Consiglio di amministrazione formato da un partenariato – diremmo oggi – I compiti di ciascuna ASI sono svolti da una struttura amministrativa nella veste di Consorzio locale. Tali compiti riguardano l‟estensione del credito agevolato “introducendo contributi a fondo perduto per iniziative industriali. A supervisionare l‘intero processo viene introdotto un Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno. Oltre a rivelare, stante il favore implicito per progetti ad alta intensità di capitale, un‘attenzione secondaria per la creazione di occasioni di lavoro – l‘emigrazione a nord essendo in realtà funzionale al 3

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istituzionale, politico ed economico, avrebbe potuto funzionare alla stregua delle Agenzie di sviluppo, promuovendo e “internazionalizzando” le risorse locali. Ma, non cogliendo la componente spaziale dello sviluppo, sostenendo esclusivamente l‟afferenza partitica e offrendosi come un contenitore amministrativo, l‟ASI si trasformò gradualmente da soggetto decisionale, attore della trasformazione territoriale, a soggetto istruttore/amministrativo delle istanze di localizzazione di imprese, senza la costruzione di uno scenario di sviluppo condiviso e sostenibile. Tabella 1 Le aree di sviluppo industriale in cifre Aree operative con terreni disp. Aree operative ma sature Aree non attuate

Aree con PR Approvato Aree con PR Adottato Aree allo studio

BASILICATA MOLISE CALABRIA CAMPANIA LAZIO PUGLIA ABRUZZO SICILIA SARDEGNA

Enti Gestori

Regione

2 3 5 5 5 6 8 11 16 61

8 5 11 12 18 16 33 26 22 151

14 5 14 54 21 26 39 43 25 241

5 0 3 23 3 3 4 7 2 50

1 0 0 19 0 7 2 10 1 40

0 1 0 1 3 1 4 9 1 20

1 1 1 0 2 5 0 6 0 16

Aree totali

Superficie totale (ha)

15 7 15 55 26 32 43 58 26 277

7.084,91 1.568,00 5.031,00 10.540,17 8.493,78 10.855,00 5.697,38 12.443,05 20.672,86 164.772,30

Superficie destinata dal PR ad attività produttive (ha)

2.849,00 1.068,00 2.571,90 7.780,19 5.566,56 7.399,00 3.648,44 7.457,75 10.057,45 96.796,58

Superficie disponibile per nuove attività produttive (ha)

1.158,50 320,50 789,50 780,70 1.430,00 2.040,10 1.065,62 2.081,99 4.215,32 27.764,46

Superficie immediatamente disponibile per nuove attività produttive (ha)

0,00 2,00 328,50 89,70 0,00 212,60 10,00 163,65 1.067,11 3.747,12

Fonte: Sistema SIFLI4

perseguimento di uno sviluppo senza tensioni salariali – questi interventi favoriscono l‘affermazione di una leva di mediatori politici locali che, in una versione degenerata del modello di Saraceno e Pastore, sfruttano la loro capacità di intermediazione finanziaria per interessi personali […] Sempre sul finire degli anni Cinquanta, la Cassa viene sempre più chiamata ad occuparsi di iniziative ordinarie accentuando la deresponsabilizzazione delle amministrazioni locali: man mano che la Cassa riusciva a raggiungere i suoi obiettivi […] il potere politico, i parlamentari, le amministrazioni locali premevano perché essa facesse altre cose rispetto a quelle previste nella sua ragione sociale. Così man mano la Cassa si è vista affidare negli anni funzioni in materia di macelli, di cimiteri, di asili infantili, di reti fognarie interne, di fontane pubbliche, […]” (Barca, 1997). 4 SIFLI è un sistema dedicato al monitoraggio e alla diffusione di informazioni di tipo infrastrutturale, economico, ambientale per la localizzazione delle imprese, relativamente all'offerta di aree industriali nel Mezzogiorno. L'iniziativa è promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico ed è gestita dall'Istituto per la Promozione Industriale (IPI). Da luglio 2008 è on line la versione aggiornata del sistema SIFLI, rinnovato nella grafica, più facile e intuitivo nelle modalità di

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Dal punto di vista dell‟approccio teorico alla base delle politiche di sviluppo, come esplicitazione della dimensione territoriale negli strumenti di attuazione previsti dall‟intervento straordinario, ritroviamo le teorie dello sviluppo regionale5. Esse sono caratterizzate da processi di pianificazione regionale concernente il dove programmare lo sviluppo. Il processo decisionale riguarda, quindi, dove allocare le risorse e dove localizzare nuovi progetti, dove incoraggiare lo sviluppo agricolo e dove la crescita urbana. Secondo Gore (1984) la teoria dello sviluppo regionale si basa su tre discipline accademiche sviluppatesi in Inghilterra e nel Nord America verso la fine degli anni Cinquanta, definite come regional science, regional economics, theoretical geography. La regional science trova il suo padre fondatore in Walter Isard, il quale definisce in termini molto generali tale disciplina come la scienza che studia le relazioni esistenti tra l‟uomo e l‟ambiente fisico che lo circonda. L‟innovazione apportata da Isard riguarda, sostanzialmente, l‟aver aggiunto la dimensione spaziale alle teorie economiche. Nei suoi lavori lo spazio economico presente negli autori tedeschi, come von Thunen, Weber, Ohlin, Lösch, viene enucleato in una dottrina generale della localizzazione. L‟elemento innovativo è il concetto dei transport input, che in termini astratti rappresentano il movimento di una unità di peso su una unità di distanza. I transport input sono fattori produttivi e, come il lavoro, possono essere sostituiti dal capitale, o dalla terra, in una economia senza la dimensione spaziale; allo stesso modo, in una economia territoriale un imprenditore che decide dove localizzare la sua impresa può considerare i transport input per il loro valore di sostituzione, associato ad ogni localizzazione alternativa. In questo modo, continua Gore, Isard ha operato una sintesi tra la classica teoria weberiana della localizzazione industriale, il pensiero di Lösch sulle aree di mercato e la gerarchia dei centri, e la teoria dell‟uso del suolo di von Thunen. La regional economics è stata definita come lo studio del comportamento economico dell‟uomo nello spazio (Siebert, 1969) e non si discosta di molto dalla regional science. utilizzo e consultazione da parte degli utenti. http://www.sifli.info/2008/Default.aspx 5 Rispetto alle basi teorico-disciplinari ascrivibili alla spazializzazione delle politiche di sviluppo, è riproposta una sintesi delle tematiche che l‟autore ha già sviluppato in “Politiche di Sviluppo e Pianificazione del Territorio”, 2001, Gangemi.

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La theoretical geography è invece un tentativo di includere la nozione di movimento, ovvero azione antropica che determina, qualunque essa sia, una qualche trasformazione sul territorio. In questo modo il movimento-azione produce una nuova geometria che a sua volta genera ed innesca una nuova azione. Quindi, geometria e movimento rappresentano un dualismo inseparabile della geographic theory (Bunge, 1966). Le teorie sullo sviluppo regionale su accennate definiscono gli strumenti di analisi e formulazione delle politiche di sviluppo e delle politiche territoriali (spatial policies), intese come quelle politiche concernenti gli aspetti localizzativi dello sviluppo. Le politiche territoriali cercano di raggiungere gli obiettivi prefissati attraverso la trasformazione del territorio in cui lo sviluppo è programmato o pianificato. Per correttezza di definizione, seguendo l‟impostazione anglosassone riportata da Gore (1984) “le politiche territoriali non possono raggiungere gli obiettivi prefissati se non di concerto con le politiche economiche. Inoltre i cambiamenti che tali politiche possono definire all‘interno di un programma di sviluppo riguardano la re-distribuzione spaziale dei fattori economici”. La definizione di pianificazione regionale territoriale che Gore riprende da Friedmann propone una visione più evoluta dell‟intervento pubblico per lo sviluppo. La pianificazione “partecipata” prende il posto della pianificazione razionalista basata su una conoscenza scientifica rivolta alla massimizzazione del “profitto” al minor costo possibile, indipendentemente dalla distribuzione delle vincite e delle perdite. Il concetto di pianificazione partecipata si basa sulla costruzione della conoscenza necessaria per l‟azione politica attraverso l‟interazione sociale tra i pianificatori e la community, “interpersonal dialogue marked by mutual learning” (Gore, 1984). Se consideriamo che l‟obiettivo principale delle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno, evolvendosi da un concetto di sviluppo indotto (big push) ad uno locale ed autopropulsivo, può essere sintetizzato nel tentativo di migliorare la capacità di attrazione territoriale per l‟allocazione di investimenti e la creazione di economie di agglomerazione, è abbastanza evidente il legame tra le politiche di sviluppo e la pianificazione territoriale, quella che Friedmann definisce territorial regional planning. L‟insuccesso delle politiche di sviluppo è notoriamente individuato nella programmazione di imprese ad alto investimento di capitali (capital intensive). Questi 31


trasferimenti-aiuti al Mezzogiorno avrebbero solidificato una cultura assistenziale piuttosto che incrementato una locale capacità produttiva; inoltre il mantenere alti i consumi al Sud anche durante le tornate negative di breve periodo non avrebbe fatto altro che rafforzare la produzione nelle regioni più sviluppate (Schachter, Engelbourg, 2005)6. Accanto alla tesi del capital intensive alla base dell‟insuccesso delle politiche di sviluppo, e alla più generale mancanza di riforme politiche e amministrative (Barca, 1997), si può ravvisare anche un mancato coordinamento tra presupposti di sviluppo economico e pianificazione territoriale. Si può, quindi, affermare che la cultura assistenziale, che ha generato nel Sud una forte dipendenza dal governo centrale, ha privilegiato l‟intervento sul territorio settoriale, contribuendo a mistificare ogni atto di pianificazione. La distribuzione dei fondi e dei trasferimenti economici è avvenuta senza una pianificazione a monte, ma solo attraverso atti di programmazione. Questo spiegherebbe in parte la dicitura di cattedrali nel deserto che contraddistingue alcuni mega stabilimenti (tra l‟altro oggi dismessi) localizzati sul territorio meridionale. In definitiva, le ragioni del fallimento delle politiche di sviluppo sono da ricercarsi sia nella installazione di industrie export oriented che nei modelli di scelta localizzativa utilizzati che hanno causato disastri ambientali e sfruttamento delle risorse naturali attraverso la speculazione sulla rendita fondiaria. Il danno ambientale prodotto da queste installazioni è diventato fonte di gravi perdite economiche, in termini di opportunità perse, in quanto frutto di politiche poco

A proposito della dipendenza del Sud nei confronti degli aiuti centrali, Schachter scrive (Schachter, Engelbourg, op. cit.): “In Southern Italy the entrepreneur has been faced with a problem in terms of labor cost. In the 1980‘s the southern average industrial productivity (output per worker) was 75% that of the North, a condition not reflected in labor contracts, which are prevalently national. This unhealthy combination acts unfavorable for the South because the Labor market and the employment structure do not correspond to the relatively inelastic supply and elastic demand for labor. It also promotes the creation of capital intensive industries in which employment is based on the rational market. One needs to be reminded that Italy is a completely integrated market - no internal borders, single monetary and fiscal policies, but also national labor contracts. These types of contracts, that do not reflect differences in labor productivity, have contributed substantially to capital intensity but have maintained high levels of unemployment”. 6

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lungimiranti e di un mercato che ha distorto i prezzi delle risorse naturali coinvolte7. La pianificazione territoriale nel processo decisionale riguardo la localizzazione di imprese pubbliche e private nel Mezzogiorno sembra aver ricoperto un ruolo secondario, almeno per due ragioni: 1) la necessità di una politica di industrializzazione per accelerare il processo di sviluppo nelle regioni più arretrate è stata interpretata come una emergenza, in cui gli obiettivi privati di speculazione sulle rendite fondiarie e gli obiettivi pubblici riguardanti il raggiungimento di un‟efficienza economica sono diventati sinonimi (Forte, 1979). Pertanto, la formulazione di un piano per lo sviluppo ed organizzazione del territorio avrebbe dissimulato gli strumenti dell‟emergenza; 2) mancando una cultura del piano, fallisce il tentativo di coordinare problemi di allocazione delle risorse con la preesistente forma urbana. Nel Mezzogiorno il piano viene criticato non per le sue limitazioni attuative né per una ipotetica inefficienza, ma perché senza il piano l‟attribuzione di fondi e finanziamenti pubblici segue logiche che possono essere cambiate a seconda del momento politico e della specificità dei gruppi di potere, attraverso il ricorso a varianti conformative di interventi scollegati da qualsiasi visione organica dello sviluppo del territorio. Da qui la dicitura “interventi a pioggia” molto diffusa e collegata a tutto il periodo di programmazione della Cassa dello sviluppo industriale. Accanto alle due motivazioni collegate alla natura del piano e alla sua mission, bisogna aggiungere che la gestione di tali strumenti e il loro utilizzo “ordinario” presuppone una struttura amministrativa orientata sempre all‟innovazione tecnica e alla sperimentazione di procedure che siano più consone al dinamismo delle trasformazioni della domanda sociale e imprenditoriale. Nella fase di forte cambiamento, soprattutto nel dopoguerra, si verificò che “la scelta di affidare il governo degli investimenti pubblici in larga misura a istituzioni pubbliche autonome – le partecipazioni statali e, per il Mezzogiorno, la Cassa – fosse più una rinuncia a tentare il rinnovamento dell'amministrazione pubblica ordinaria. Quando a partire dalla fine degli anni Cinquanta, questi strumenti, che avevano concorso al fortissimo sviluppo post bellico del Paese, avevano preso a degenerare e l'azione pubblica era stata catturata in misura crescente da interessi particolari, erano stati questi stessi interessi a contrastare una riforma 7

Panayotou, 1993.

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dell'amministrazione ordinaria. Né erano riusciti a introdurre elementi di riforma i tentativi di "programmazione" avviati a partire dai primi anni Sessanta e proseguiti fino ai primi anni Ottanta: essi erano segnati da una particolare attenzione, di stampo keynesiano, ai profili di domanda, da un'attenzione inadeguata al problema del controllo ex ante” (Barca, 2000). IL PROGETTO ’80 : LA PRIMA TERRITORIALIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI

Con il Progetto ‘808 si attiva la prima esperienza in Italia di territorializzazione della programmazione, più precisamente, la prima esperienza di costruzione delle condizioni di integrazione tra programmazione economica e pianificazione urbanistica e territoriale per il raggiungimento di una maggiore efficacia nelle scelte di allocazione delle risorse finanziarie. “Anche in Italia, prima del P/80 (Progetto ‘80), la programmazione economica regionale (che prima delle Regioni era stata promossa con i CRPE (Comitati regionali di programmazione economica) era tenuta separata dai ‗Piani territoriali di coordinamento‘, gestiti – in nome della antica legge urbanistica del 1942 – dai Provveditorati alle Opere Pubbliche. Non parliamo poi dei tradizionali Piani regolatori comunali, privi di ogni valutazione economica, e a questo si deve, per buona parte, la loro crisi di fattibilità e di gestibilità”9 (Archibugi, 2007). L‟integrazione su richiamata tra programmi economici e piani territoriali costruisce il frame di riferimento delle politiche di sviluppo. Ciò significa che la definizione di un sistema di pianificazione territoriale (partendo dunque dal piano territoriale regionale alle forme di piano locali) non può prescindere dalla Scrive Archibugi: “Progetto ‘80 è stato un progetto di riflessione e di programmazione promosso nel 1968 dall‘Ufficio del programma prima e dal Segretariato della programmazione poi, presso il Ministero del Bilancio e della Programmazione economica sotto la direzione di Giorgio Ruffolo, responsabile successivamente di entrambi. Esso si sviluppò nella stagione più felice (a cavallo degli anni Sessanta e Settanta) del governo, allora chiamato di ‗centro-sinistra‘, cioè di collaborazione politica fra il Partito della Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Socialista Italiano (PSI) […]. Nell‘esperienza del governo di centrosinistra (che si sviluppò dal 1964 al 1973 circa) il Ministero del Bilancio e della Programmazione economica fu diretto da due socialisti: Antonio Giolitti e Giovanni Pieraccini ed intorno ad essi si raccolse un gruppo di intellettuali (economisti, sociologi, politologi e urbanisti) per tentare di imprimere un profondo cambiamento alla società italiana, nella prospettiva del lungo periodo: la prospettiva – appunto – degli anni Ottanta”. Ricerca “Progetto ‘80” Centro Studi Piani Economici , Roma, 1992. 8

Continua l‟autore: “Purtroppo anche questa ‗primogenitura‘ del P/80, con la quale si sperava di modernizzare, sia pure lentamente, il modo di pianificare, si è dissolta, sia in Italia che altrove, e si è tornati ad una formulazione sostanzialmente separata dei programmi economici da quella dei piani territoriali, perfino nelle rispettive nomenclature”. 9

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formulazione di una politica di sviluppo regionale, e che una programmazione delle risorse finanziarie non può prescindere dalla formalizzazione spaziale della politica di sviluppo regionale e delle politiche territoriali. Il Progetto ‘80 nasce in un periodo politico fortemente proteso all‟innovazione, in cui l‟integrazione pianificazione-programmazione non solo era ben accolta ma addirittura considerata l‟humus sostanziale delle politiche pubbliche. Il Progetto ‘80 nasce anche in un periodo di forte crescita urbana che andava indirizzata verso un maggior riequilibrio territoriale, per attivare una sorta di coesione sociale, ma nello stesso tempo andava potenziata laddove consentiva lo sviluppo di scenari urbani di crescita regionale. Del resto il periodo del dopoguerra aveva posto come centrale e prioritario il processo di ricostruzione delle aree urbane distrutte. La città, infatti, divenne in quegli anni nella cultura occidentale l‟oggetto preponderante di riforme sociali ed economiche. È nel dopoguerra che nasce nell‟ambito degli studi di spatial planning il concetto della città come luogo dello sviluppo di un più vasto sistema territoriale a cui essa stessa afferisce. ―[…] La rapida espansione demografica, lo spostamento della popolazione verso le città, la domanda di rinnovamento e miglioramento dei servizi urbani, propongono in questi anni in tutti i paesi industriali tre obiettivi per l‘uso del suolo: che la crescita urbana avvenga in modo da offrire garanzia per l‘ambiente e la vivibilità delle città” (Barca, 1997), che si attui una sorta di socializzazione del surplus fondiario derivante dalle operazioni di espansione; che, nello stesso tempo, l‟espansione sia comunque supportata laddove consenta la costruzione di condizioni di efficienza economica, e quindi di benessere economico. Lo strumento di esplicitazione progettuale del Progetto ‘80 era il Quadro Territoriale per la Politica Territoriale, meglio conosciuto con l‟acronimo Quadroter10. Lo strumento Quadroter venne articolato secondo tre specifiche linee di ricerche, identificabili secondo sequenze cronologiche ben distinte. La prima, sviluppata Il Quadroter in realtà rappresenta il fulcro principale della ricerca avviata dal Centro di Studi e Piani economici, diretta dal prof. Franco Archibugi, che sin dall‟inizio delle sue attività ha avuto come obiettivo la costruzione di uno “scenario territoriale programmatico per l‘intero territorio nazionale, che includesse le opzioni e le scelte territoriali (cioè le migliori ed auspicabili forme di organizzazione del territorio), alla scala dell‘intero Paese e tenendo conto dell‘intera gamma di risorse territoriali e ambientali nazionali” 10

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nella seconda metà degli anni Sessanta, aveva come obiettivo l‟individuazione di Linee programmatiche per lo sviluppo del territorio propedeutiche alla formalizzazione del Progetto ‘80. Il contributo specifico al Progetto ‘80 fu la seconda linea di ricerca (Quadroter 2). “Il Quadroter 2 riesumò i risultati del Quadroter 1, lo arricchì di alcune prospettive ancora più unitarie alla scala territoriale nazionale, e costituì l‘ossatura del ‗progetto sociale Ambiente‘, che fu uno dei basilari ‗progetti sociali‘ del ‗Progetto 80‘. La ricerca fu pubblicata sotto il titolo di ‗Le Proiezioni territoriali del Progetto 80‘. Essa fu pubblicata dal Poligrafico dello Stato come ricerca ufficiale del Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, in tre volumi (1971); una edizione più ristretta è stata pubblicata come numero unico della rivista Urbanistica nel 1971, n. 57 marzo”11. Con la terza linea di ricerca il Quadroter si arricchisce della componente sostenibile dello sviluppo, redigendo agli inizi degli anni Novanta una serie di Mappe utili alla valutazione delle pressioni e alterazioni ambientali e alla destinazione programmatica di uso del territorio. Le proiezioni territoriali del Progetto ‘80 rappresentano una prima organica operazione di sistematizzazione della conoscenza per la programmazione dello sviluppo economico nella sua dimensione territoriale. La conoscenza organizzata per ambiti tematici rifletteva l‟articolazione degli obiettivi di sviluppo socioeconomico orientati al potenziamento delle reti di collegamento e degli insediamenti produttivi e turistici. In altre parole si delineava la naturale integrazione tra effetti economici dello sviluppo e trasformazioni di assetti territoriali conseguenti. Il nodo dialettico riguardava la presa di coscienza che i cambiamenti strutturali programmati per lo sviluppo di un contesto territoriale non possono prescindere dalla trasformazione, anch‟essa programmata, del suo assetto territoriale. Pertanto è attraverso la programmazione delle trasformazioni del territorio che si concretizza la politica di sviluppo. Le proiezioni territoriali del Progetto ‘80 sono difatti indirizzate alla costruzione di un modello di assetto territoriale attuale secondo cui attivare la sua trasformazione in base ad un modello programmatico. La trasformazione dell‟assetto territoriale contiene in fieri sia l‟aspetto fisico della trasformazione sia quello socioeconomico, essendo entrambi imprescindibili: la scelta della connotazione organizzativa delle attività sul territorio indirizza le politiche di sviluppo nella 11

Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, 1971.

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allocazione delle risorse finanziarie. Il Progetto ‘80 aveva difatti costruito il modello di assetto territoriale attraverso la caratterizzazione dei sistemi urbani e l‟intensità dei flussi, connotando, nella decisione di agire su di essi, il fattore principale dello sviluppo socioeconomico e quindi l‟elemento caratterizzante il modello di assetto programmatico. Figura 2 Il modello di assetto programmatico

Fonte: Urbanistica n. 57, 1971

I cosiddetti “criteri progettuali di un nuovo assetto territoriale” definiti per il modello di assetto territoriale programmatico si concentrano secondo due grandi scelte: l‘uso produttivo delle risorse culturali e naturali, attraverso il giusto connubio tra conservazione e sviluppo, e il potenziamento dei sistemi urbani, attraverso il miglioramento dell‟accessibilità a tutti i livelli (a livello regionale per eliminare fasce di isolamento di centri minori, a livello nazionale per la formazione di aree metropolitane di interscambio funzionale, a livello internazionale per l‟incremento dell‟apertura del sistema Paese ai flussi di merci e di persone).

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Nel Progetto ‘80 si sviluppa la concezione policentrica dei sistemi urbani come assetto strutturale per lo sviluppo. Il policentrismo si caratterizza in maniera diversa rispetto a quello che troveremo sviluppato nello Spazio Europeo alla fine degli anni Novanta. Esso, difatti, enfatizza la connotazione morfologica delle aree urbane individuando tre tipologie di strutture metropolitane in funzione della caratterizzazione gravitazionale delle aree urbane che ne fanno parte. Pertanto si “coltivano” strutture metropolitane prevalentemente reticolari laddove lo sviluppo urbano si è determinato in forma continua e compatta e dove i sistemi urbani sono “caratterizzati da una forte gerarchizzazione delle città che li compongono con le attrezzature e i servizi di tipo metropolitano concentrati nel capoluogo […] Le politiche di intervento in questi sistemi dovranno fondamentalmente basarsi sulla riduzione dei flussi migratori, soprattutto trasferendo nei sistemi metropolitani adiacenti (che sono stati qui chiamati sistemi di riequilibrio) il grande potenziale di espansione economica in essi accumulato, anche attraverso il controllo e, se necessario, il divieto di localizzazione di nuovi grandi impianti industriali”12; strutture metropolitane prevalentemente lineari laddove lo sviluppo urbano si è determinato lungo direttrici di connessione funzionale fra centri di diverso rango e dove i sistemi urbani sono caratterizzati da una grande influenza gravitazionale esercitata dalle aree metropolitane adiacenti (strutture metropolitane prevalentemente reticolari). “Funzione comune di questi sistemi è quella di riequilibrare le tendenze alla concentrazione nelle aree più forti e all‘assorbimento, attraverso processi di saldamento e di conurbazione, di nuove aree nelle strutture metropolitane già sviluppate”13; strutture metropolitane prevalentemente stellari laddove lo sviluppo urbano si è determinato in forma radiale e dove i sistemi urbani sono organizzati secondo legami di funzioni urbane e non metropolitane. “Tuttavia la loro ristrutturazione ed il loro rafforzamento urbanistico ed economico costituiscono l‘obiettivo di fondo del nuovo disegno territoriale […] Possono costituire, per la loro alta disponibilità di risorse territoriali, i capisaldi per una decisiva redistribuzione dei ‗pesi‘ insediativi attuali e le cerniere per la formazione di nuove direttrici di sviluppo”14. L‟innovatività dell‟intuizione strategica del Progetto ‘80 risiede anche nella caratterizzazione strutturale del territorio riorganizzata per sistemi metropolitani disegnati come parte integrante del sistema Istituto Nazionale di Urbanistica, Urbanistica n. 57, marzo 1971. Ibidem. 14 Ibidem. 12 13

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relazionale. L‟assetto derivante costruisce la struttura competitiva del Paese, aggiungendo all‟obiettivo di riequilibrio territoriale quello proattivo dello sviluppo competitivo. Figura 3 Modalità di attuazione del modello programmatico per sistemi metropolitani e per sistema relazionale

Fonte: Urbanistica n. 57, 1971

La vision strategica che il Progetto ‘80 delinea attraverso il modello di assetto programmatico è fortemente orientata alla riorganizzazione funzionale dei sistemi urbani dai quali discende, per le teorie localizzative proprie dell‟economia urbana e territoriale, la distribuzione degli insediamenti produttivi. Una concezione innovativa, dunque, in un periodo storico fortemente indirizzato allo sviluppo industriale come motore di crescita economica che avrebbe avuto, come si è visto, scarse ricadute sullo sviluppo socioeconomico dei contesti. Infatti, mentre il Progetto ‘80 teorizzava l‟armatura dell‟assetto territoriale del Paese, nel Mezzogiorno la cultura predominante in materia di sviluppo era ancora legata ai poli di sviluppo industriali, sganciati dall‟armatura urbana che si stava 39


invece evolvendo nel resto del Paese. La politica territoriale nel Mezzogiorno – come afferma Marcello Vittorini sempre nello stesso numero di Urbanistica – si concretizzava attraverso una politica di sviluppo polarizzato che, inserendosi nelle tendenze in atto, ne esaltava gli aspetti di squilibrio. Problemi di efficacia e di efficienza delle politiche pubbliche legate agli obiettivi di sviluppo regionale sono profondamente connessi al modo con cui le politiche vengono conformate alle specificità locali. Trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche e culturali producono effetti diversi a seconda dei sistemi insediativi la cui interrelazione contribuisce a conferire una specifica configurazione economica, sociale e ambientale al territorio di appartenenza. I sistemi insediativi, a loro volta, tendono a mantenere inalterata la loro struttura, che può essere definita dalla distribuzione spaziale della dimensione e delle funzioni degli elementi che la costituiscono (centri urbani, città metropolitane, aree rurali, ecc.), in quanto tutte le parti del sistema uniformemente fagocitano gli effetti delle trasformazioni, lasciando inalterate le differenze. Questo processo, che si basa su regole di distribuzione spaziale dei vantaggi di una trasformazione indotta, è spesso compromesso dalla gerarchia urbana che contraddistingue il sistema territoriale e la sua struttura insediativa, facendo catturare dalle aree urbane di dimensione medio- grande i vantaggi comparativamente maggiori15. La struttura spaziale di un sistema urbano può essere definita in base al “modello” di distribuzione di città e centri minori. La struttura insediativa di una regione diventa pertanto il risultato delle interazioni tra diverse situazioni storiche, politiche, sociali, tecnologiche e geofisiche – morfologiche – che caratterizzano la localizzazione, la dimensione e le funzioni degli insediamenti urbani e rurali. Il tentativo di spazializzazione delle politiche di sviluppo attraverso le proiezioni territoriali del Progetto ‘80 rimane senza seguito a livello centrale: non si producono strumenti di allocazione di risorse finanziarie che individuano priorità programmatiche in funzione del modello di assetto territoriale programmatico, né tantomeno vi fanno riferimento. Ma, come vedremo, lo scollamento tra 15

Una rivisitazione delle dinamiche di formazione delle gerarchie urbane e il loro adattamento alle sfide (positive e negative) della globalizzazione è trattata dall‟autore in Strategie di città” di Moraci, Bevilacqua, Officina Editore 2007.

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pianificazione e programmazione sarà il leit motiv anche dei più recenti periodi di programmazione degli investimenti pubblici. La causa della permanenza di questo scollamento è in parte legata ad una tradizione culturale che vede nella separazione disciplinare e, conseguentemente, di competenze l‟elemento di forte caratterizzazione amministrativa. Si assiste anzi ad una biforcazione sempre più crescente tra l‟economia che deve occuparsi dell‟andamento delle variabili macroeconomiche (occupazione, inflazione, produzione, benessere economico) che delineano la crescita e lo sviluppo di contesti amministrativi ampi (Regione, Stato), e la pianificazione territoriale che viene relegata all‟opposizione semplicistica di “vincoli”, e quindi utilizzata solo per la verifica conformativa dell‟attuazione finale di scelte fatte in sede di programmazione economica e finanziaria. Avendo solo questo ruolo, la pianificazione territoriale non viene più coltivata a livello sovracomunale, dove è maggiormente praticata la valenza strategica rispetto a quella conformativa (a meno che non si tratti di piani di settore – piani paesistici, piani ASI, ecc. – che possono formalizzarsi in un sistema di vincoli facilmente intellegibili), lasciando di fatto le politiche di sviluppo prive della specificazione territoriale dell‟azione pubblica. Il rapporto tra politica di sviluppo e forma delle trasformazioni territoriali è sempre stato, e purtroppo continua ad essere, il perno esplicativo di un gap, geneticamente innervato nelle Regioni del Sud Italia, di capacity building amministrativa, cui corrisponde un ritardo generazionale ai richiami dell‟innovazione e del cambiamento. I PATTI TERRITORIALI: LA DIMENSIONE TERRITORIALE NELLA PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA

Successivamente alla Cassa per il Mezzogiorno e quindi alla logica dell‟intervento straordinario basato su una forte volontà politica del governo centrale, in Italia si è sviluppato il periodo della cosiddetta programmazione negoziata in cui il sistema delle politiche di sviluppo si è strutturato sulle logiche dell‟accordo interistituzionale – Stato, Regioni, Province, Comuni – secondo un approccio bottom up. Dopo più di trent‟anni di intervento straordinario, il dibattito nazionale sulle politiche di sviluppo, orientate a diminuire il divario nord-sud, al fine di dare una svolta riformista alla trattazione centralizzata della questione meridionale, si focalizzò sulla 41


inadeguatezza delle logiche centralizzate al tema dello sviluppo. La concettualizzazione dello sviluppo locale, che pure si richiamava “a tre radici culturalmente importanti” (De Rita, Bonomi, 1998) risalenti ai primi anni Cinquanta16, portò alla definizione di diversi strumenti “contrattuali” normati nel 1996 nella legge istitutiva “della disciplina della programmazione negoziata”, tra questi appunto il Patto territoriale. La programmazione negoziata nasce in un periodo storico in cui risultano ormai acquisiti i presupposti dello sviluppo locale, ovvero la pluralità degli attori nella definizione di ciò che va fatto per stimolare lo sviluppo, la crescita economica e l‟occupazione di territori diversificati. Si voleva scardinare quella supremezia politicotecnica del centro caratterizzata da una “tradizione formalistica e autoritativa dell'amministrazione pubblica italiana, fondata contemporaneamente sull'assunto iper-illuminista di una onnipotenza informativa e conoscitiva dello Stato centrale e sull'astuzia pragmatica di emanare norme, disposizioni e ordini così oscuri da poterli poi "completare" caso per caso, con una discrezionalità non soggetta a scrutinio e fortemente aperta a cattura privata” (Barca, 2000). Se gli APQ (Accordi di Programma Quadro) avevano l‟obiettivo di individuare le grandi opere infrastrutturali decise secondo un disegno politico condiviso a livello regionale e co-finanziabile a livello centrale secondo un piano di sviluppo regionale, i Patti territoriali dovevano costruire l‟armatura locale dello sviluppo, i linkage sociali e produttivi che attivassero non solo un protagonismo locale per lo sviluppo, ma anche e soprattutto una crescente responsabilità politica nei confronti della comunità, riscontrabile nella visione spaziale dello sviluppo di area vasta (sovracomunale). Ad entrambi i livelli (quello regionale e quello costruito dal Patto) si attribuiva il tratto distintivo di attore locale. In particolare, il Patto territoriale “[…] La prima è quella della cultura comunitaria, rappresentata in Italia dalle esperienze e dall‘impegno sociale di Adriano Olivetti; la seconda è quella di alcuni organismi internazionali di stampo anglosassone che miravano a insediare in Italia la cultura del group-work e dello sviluppo sociale locale; la terza è quella della cultura cattolica che si occupò di Mezzogiorno e di riforma agraria, lungo una linea che parte dalle ricerche di Ambrico e Ardigò per i nuovi borghi agricoli materani, passa per un impegno serio nella SVIMEZ, e approda al collegamento con Economie et Umanisme di padre Lebret, convinto assertore dello sviluppo locale come processo di autocoscienza e autopropulsione delle comunità locali (di una cultura cioè che ritroviamo neell‘enciclica montiniana Populorum Progressio, la cui prima stesura fu proprio di Lebret” (De Rita, Bonomi, 1998). 16

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esaltava il ruolo del sindaco portatore di istanze locali misurabili e quindi targettizzabili. La Regione diventava il luogo in cui le specificità locali si distruibuivano secondo una logica di sistema innervato e pronto a rispondere ai richiami dell‟innovazione e del cambiamento. Ciò che si stava esaltando con la programmazione negoziata era appunto il territorio. Si era consapevoli che di fronte ai processi di globalizzazione e di internazionalizzazione la competizione fra territori si alimentava sempre più: “La competitizione si territorializza, svolgendosi sempre più tra sistemi territoriali locali – città, distretti, comprensori, Regioni – cioè tra imprese e territorio organizzati a rete capaci di interconnettersi e di stare nelle reti lunghe della logistica, della distribuzione, dei saperi, della ricerca, del trading e della finanza” (Bonomi, De Rita, 1998). La dimensione territoriale è coltivata come risorsa/opportunità da inserire nell‟ambito della formulazione dei programmi a sostegno dei patti o degli accordi. Non si comprende che la dimensione territoriale è il luogo dell‟esplicitazione strategica dei programmi stessi e che quindi rappresenta la dimensione reale dello sviluppo, rappresenta la sua concretezza spaziale. Se soprattutto con i Patti il territorio ha acquisito un ruolo attivo nella definizione delle scelte, la sua importanza è rilevabile solo come partecipazione alla costruzione dello sviluppo, sviluppo che deve comunque essere spazializzato in una cornice di pianificazione per essere attuabile. Difatti, nella costruzione dello sviluppo locale, la mole di lavoro fatto nell‟ambito del Progetto ‘80 per costruire assetti spaziali di sviluppo perde completamente di significato, perché considerata come espressione comunque centralizzata. Con lo sviluppo locale si chiede incessantemente ai territori di formulare una domanda ben precisa di sviluppo, e attraverso la costruzione del patto territoriale si chiede ai territori che lo compongono di integrare gli “interventi di incentivazione al capitale per compensare gli svantaggi localizzativi del territorio con gli interventi di contesto (infrastrutture materiali e immateriali) per rimuovere strutturalmente tali svantaggi”17.

“Due sono i principali obiettivi del patto territoriale: 1) promuovere la cooperazione fra soggetti pubblici e privati di un dato territorio affinché disegnino e realizzino progetti di miglioramento del contesto locale; 2) favorire attraverso tali progetti e attraverso la concentrazione territoriale e tematica un volume di investimenti privati capace di produrre esternalità, ossia vantaggi anche per altre imprese e per nuovi investimenti”, DPS – La lezione dei Patti territoriali per la progettazione integrata territoriale nel Mezzogiorno, gennaio 2003. 17

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Lo si chiede attraverso la costruzione di una forte concertazione tra attori locali, quali i sindaci dei Comuni che vogliono associarsi per l‟individuazione di un unico disegno di sviluppo al fine di “assumere voce nella competizione globale”; gli stakeholder locali portatori di interessi delle imprese e dei lavoratori; le banche per “promuovere una cultura del credito secondo un localismo metodologico in cui la banca si rapporta positivamente con il territorio”. Nella concertazione assume importanza strategica la dimensione territoriale come risorsa da far fruttare, ma non si coltiva la strategia delle grandi trasformazioni, perché la compagine locale non ha riferimenti spaziali: la Regione o l‟Ente amministrativo di area vasta avrebbe dovuto disegnare lo spazio delle grandi trasformazioni entro cui far agire il sapere locale e le intuizioni imprenditoriali. Non può il Patto individuare interventi di trasformazione che abbiano un valore altamente strategico per l‟intero territorio a cui appartiene. In mancanza dello spazio dello sviluppo, i Patti si sono così limitati a poche iniziative strutturanti. La stessa progettazione integrata (i cosiddetti PIT), avviata sulla scorta dei Patti territoriali nell‟ambito della programmazione comunitaria 2000-2006 attraverso un meccanismo di concertazione tra i territori e la Regione (i Tavoli di concertazione istituzionale), pur sedimentando tra i diversi contesti locali la pratica concertativa, non è riuscita comunque ad attivare cambiamenti strutturali. LA POLITICA DI COESIONE: VERSO LA PROGRAMMAZIONE DELLO SPAZIO EUROPEO

La coesione economica e sociale rappresenta per l‟Unione Europea l‟obiettivo di sviluppo principale e consiste, come espressione di “solidarietà” tra gli Stati membri, nella riduzione dei differenziali di crescita e di sviluppo esistenti tra le regioni europee. La sua traduzione in politica comunitaria avviene attraverso l‟adozione di strumenti finanziari che consentono il riequilibrio socioeconomico, conferendo alla coesione un potente carattere di integrazione economica. A livello europeo, le origini della coesione economica e sociale come obiettivo di integrazione economica si possono far risalire al 1957 con il Trattato di Roma, attraverso il quale, per la prima volta, si discute della riduzione delle disparità regionali come elemento fondamentale di crescita dell‟Unione Europea. Negli anni Settanta, la Commissione Europea incominciò a intraprendere azioni 44


di coordinamento degli strumenti di politica di sviluppo utilizzati da ciascuno Stato membro supportando, dal punto di vista finanziario, grandi iniziative di infrastrutturazione e di innovazione tecnologica. È da segnalare la differente allocazione delle risorse finanziarie: per grandi infrastrutture nelle Regioni meno sviluppate (come le Regioni del Sud Italia); per progetti di ricerca e innovazione tecnologica nelle Regioni ad economia avanzata, che dovevano essere sostenute per mantenere alti i livelli di competitività (Schachter, Bevilacqua et al. 1997). È, infatti, a partire da quegli anni che si sviluppa il concetto di distribuzione dello sviluppo attuabile attraverso modelli di convergenza economica, che è alla base della politica di coesione. Durante gli anni Settanta e parte degli Ottanta le misure finanziarie intraprese dalla Comunità Europea (di seguito Unione Europea) risultarono poco incisive nel raggiungimento dell‟obiettivo di attenuazione delle disparità regionali: ciò fu in parte dovuto alle diverse logiche di mercato che ciascuno Stato aveva internamente. In un certo senso con l‟adozione nel 1986 dell‟Atto Unico Europeo la coesione economica e sociale acquisisce un ruolo di primaria importanza, insieme alla creazione di un mercato unico. Il Trattato di Maastricht nel 1992 sancisce l‟inclusione della coesione come politica europea, rendendola parte integrante del Trattato stesso (artt. 158-162). Il 1992 è l‟anno in cui è sancita in Italia la fine dell‟intervento straordinario e quindi della Cassa per il Mezzogiorno. Il processo di regionalizzazione delle scelte di programmazione dello sviluppo rivoluziona l‟approccio tradizionale di tipo top down (come è stato accennato nel precedente paragrafo) in cui il governo centrale risultava l‟unico responsabile sia della programmazione che dell‟attuazione. Nascono così strumenti di programmazione negoziata che attraverso la stipula di Intese Stato-Regioni su temi di sviluppo costruiscono Accordi di Programma Quadro (APQ) con fondi aggiuntivi per lo sviluppo, attualmente definiti nell‟ambito del Fondo per le Aree Sottoutilizzate18. Dal 2003 il Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS) rappresenta lo strumento finanziario principale per la realizzazione di interventi in particolari aree territoriali del Paese individuate sulla base dell'art. 27, comma 16 della Legge 488/99 (Legge finanziaria 2000), che riguardano: le sei regioni Obiettivo 1 del ciclo di programmazione 2000-2006 (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Sardegna, 18

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Tuttavia il mancato raccordo concettuale ed operativo con la pianificazione territoriale soprattutto a livello regionale si fa sentire nelle difficoltà di spesa che le Regioni, nei diversi cicli di programmazione, manifestano. I primi due cicli di programmazione legati alla politica di coesione, e cioè il 1989-1993 e il 1994-1999, non introducono forti innovazioni nell‟ambito della costruzione e gestione di atti di programmazione, eccetto che per l‟uso dell‟Analisi Costi- Benefici come prassi valutativa dell‟opportunità dell‟investimento pubblico. La stessa Commissione Europea si rende conto che la politica di coesione come politica di sviluppo necessita di essere spazializzata. Figura 4 I sistemi urbani per “grappoli”

Fonte: Andreas Faludi, (2002), European Spatial Planning, Lincoln Institute of Land Policy

La seconda metà degli anni Novanta è il periodo in cui lo spatial planning elabora, come base della costruzione di vision strategiche, modelli territoriali di sviluppo generati dalle reti, stravolgendo lo sviluppo per poli che aveva portato, sul finire degli anni Ottanta, alla Sicilia); la Regione Abruzzo; la Regione Molise; le aree del Centro-Nord ricadenti nell'Obiettivo 2 e quelle in regime di sostegno transitorio; le zone beneficiarie di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87.3 c. Le risorse FAS sono stabilite ogni anno dalla Legge Finanziaria e assegnate dal CIPE al fine di perseguire l‟obiettivo del riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese.

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teorizzazione centro-periferia nello spazio urbano organizzato a grappoli (Kunzmann, Wegener, 1991) e, a livello europeo, alla cosiddetta “banana blu” (Brunet, 1988) come armatura dei sistemi urbani più orientati all‟effetto metropolitano. Figura 5 Banana Blu

Fonte: Andreas Faludi (2002), European Spatial Planning, Lincoln Institute of Land Policy

Nel 1989 a Nantes si aprirono i lavori per la costruzione di un quadro territoriale europeo di supporto all‟integrazione dei diversi strumenti finanziari che l‟Unione Europea aveva istituito per la politica di coesione. Nel 1999 tali lavori si conclusero a Postdam con l‟approvazione da parte del Consiglio dei Ministri dell‟ESDP (European Spatial Development Perspective). Gli obiettivi strategici su cui il documento si basa sono: 1. “un sistema di città equilibrato e policentrico ed una nuova integrazione città/campagna (urbano-rurale)”; 2. “la parità di accesso alle infrastrutture e alla conoscenza”; 3. “uno sviluppo sostenibile, cioè una gestione prudente a protezione della natura e dei beni culturali”. 47


Essi corrispondono perfettamente – per stessa asserzione di Archibugi in una recente relazione19 – a quelli che già il P/80 poneva alla base della formazione del “Quadro territoriale di riferimento”. La spazialità delle politiche europee acquista una connotazione molto particolare nella promozione dello sviluppo e del cambiamento amministrativo. Il concetto guida che trasversalmente aiuta a costruire l‟impalcato dello spazio europeo è la consapevolezza che l‟Europa ha una varietà culturale, concentrata in piccole aree, che la differenzia da altri contesti più omologanti20. Tale varietà definisce le identità locali che, salvaguardate, rappresentano il punto di forza dello sviluppo dello spazio europeo. Alla base della sua concettualizzazione esistono due sillogismi fondamentali che permeano quest‟operazione di spazializzazione allargata alle regioni europee. Il primo riguarda la connotazione “spaziale” che giocoforza assume qualsiasi politica di sviluppo. Ciò è richiamato nel Rapporto “The Making of the European Spatial Development Perspective” curato da Andreas Faludi, l‟ideatore insieme ad altri studiosi dell‟idea dello Spazio Europeo come sistema territoriale oggetto di trasformazioni che vanno governate e indirizzate. A proposito della costruzione di politiche di sviluppo da parte della Comunità Europea, Faludi ne caratterizza la sua connotazione spaziale riprendendo la spiegazione sviluppata da Williams (1996): “Il termine ‗politica spaziale‘ si riferisce a qualsiasi politica che è formulata per un determinato territorio o che risulta esserlo nella pratica, sia quando è deliberatamente designata ad esserlo sia quando non lo è; a qualsiasi politica che influenza le decisioni riguardo alle destinazioni di uso del suolo e che necessita per la sua attuazione di integrarsi con le strategie di pianificazione locale e di essere supportata da amministrazioni locali e regionali” (Faludi, Waterhout, 2002). Ministero delle Infrastrutture, “Dal Progetto 80 all‟Italia che verrà”, Roma 20 Febbraio 2007, “Gli obiettivi strategici del Progetto 80 e il „Quadro territoriale di riferimento‟”, Relazione di Franco Archibugi. 20 Nel primo capitolo della prima parte dell‟ESDP si trova l‟enunciazione del territorio come una nuova dimensione delle politiche europee e la seguente affermazione: “The characteristic territorial feature of the European Union (EU) is its cultural variety, concentrated in a small area. This distinguishes it from other large economic zones of the world, such as the USA, Japan and MERCOSUR1. This variety – potentially one of the most significant development factors for the EU – must be retained in the face of European integration. Spatial development policies, therefore, must not standardize local and regional identities in the EU, which help enrich the quality of life of its citizens”. 19

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Il secondo sillogismo si riferisce alla nascita della politica di coesione come coesione territoriale indirizzata, come già precedentemente accennato, alla diminuzione delle disparità regionali per la creazione di quello sviluppo armonioso promosso già nel Trattato di Roma del 1957. Accanto a queste due argomentazioni che pongono le basi motivazionali per la costruzione dello Spazio Europeo risiede la questione, non secondaria, della sua utilizzazione. La Commissione Europea, come rilevano gli autori, non ha competenze amministrative nell‟ambito dello spatial planning, essendo tale attività gestita da ciascuno Stato membro secondo specifiche regole e pratiche normative e disciplinari. D‟altro canto, è diffusamente riconosciuta l‟influenza che l‟Unione Europea ha nell‟organizzazione dei sistemi territoriali attraverso i noti strumenti di programmazione relativi alla Ricerca e Sviluppo, alle reti transeuropee – energetiche e trasportistiche –, alla Politica Agricola Comune, ai Fondi strutturali e alle politiche ambientali. Tuttavia, la competenza amministrativa regionale e locale in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica non esclude l‟importanza politica dell‟Unione Europea nella caratterizzazione spaziale delle sue scelte, ciò ovviamente nella direzione di promulgare indirizzi strategici che vanno oltre l‟attribuzione di un semplice vincolo. Si coltiva a livello europeo la componente strategica dello spatial planning raccordando su di essa il futuro dell‟Europa ed offrendo un naturale aggancio alla realizzabilità della Strategia di Lisbona. È rappresentativo, rispetto allo sforzo di unitarietà strategica costruita attorno allo Spazio Europeo, il contributo della Germania21 nella declinazione visuale delle opzioni di sviluppo dell‟Europa. Nella figura che segue le opzioni cosiddette politiche che formano lo Spazio Europeo sono rappresentate secondo gli strumenti del visual planning comunicativo, ad avvalorare la natura strategica dello Spazio Europeo assolutamente non conformativa e/o prescrittiva. In particolare sulla prima colonna sono riportate le policy option che compongono lo Spazio Europeo, nella seconda colonna sono invece Si tratta del contributo del focus group della Germania – Volker Schmidt-Seiwert, Federal Office for Building and Regional Planning. 21

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riportati i simboli che caratterizzano la rappresentazione delle policy option. Figura 6 Il metodo dello spatial planning secondo la vision della Germania Astrazione geografica del territorio europeo

Policy option: Rafforzamento delle zone di integrazione dell’economia globale attraverso lo sviluppo di strategie spaziale trasnazionali

Le dimensioni territoriali: l’intero territorio, le nazioni, le regioni, i comuni e le loro interrelazioni

Policy option: Rafforzamento di un sistema metropolitano regionale (regioni, città, aree rurali) policentrico e bilanciato. Miglioramento dell’accessibilità locale e intrnazionale l colore per gli obiettivi di sviluppo spaziale

I

Policy option: Promuovere strategie integrate di sviluppo spaziale per cluster di città in ciascun Stato Membro nell’ambito di una cooperazione transnazionale e includendo i corrispondenti aree rurali, centri minori e villaggi.

Policy option Rafforzamento della cooperazione con particolare attenzione allo sviluppo spaziale delle reti.

Gli oggetti delle politiche spaziali: 1. Rafforzamento, espansione, sviluppo; 2. Promozione, miglioramento,in coraggiamento; 3. Riduzione, contrazione; 4. Sicurezza, salvaguardia, support; 5. Integrazione; 6. Protezione, conservazione, ristrutturazione

Fonte: Volker Schmidt-Seiwert, Federal Office for Building and Regional Planning

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Il raccordo concettuale tra programmazione e pianificazione attraverso proprio la dimensione territoriale, che esplicita la sostenibilità delle linee di sviluppo che un territorio può esprimere nel piano, diventa sempre più scontato nell‟Europa delle regioni Obiettivo 1, 2 e 3. Si intuisce, soprattutto nei numerosi studi preparatori alla costruzione dello Spazio Europeo e dell‟Osservatorio connesso (ESPON - European Spatial Planning Observatory Network), che la dimensione territoriale, definendo una metodologia di approccio del tutto condivisibile a livello amministrativo e sostenuta dal punto di vista disciplinare, nella programmazione comunitaria rappresenta la costruzione del contesto attuativo della politica di coesione. Sia dal punto di vista normativo sia sul piano disciplinare, diventa prassi in tutte le regioni europee collocare la programmazione comunitaria su strumenti di pianificazione territoriale regionali. Come a dire che senza di essi il programma operativo richiesto per l‟allocazione delle risorse finanziarie comunitarie non può essere costruito. I programmi operativi regionali del ciclo 2000-2006 già si pongono come strumenti che realizzano scelte pianificatorie regionali. Solo in Italia si assiste ad una proliferazione di Programmi Operativi poco sintetici e molto generalisti, soprattutto per il Mezzogiorno, perché in assenza degli strumenti di pianificazione esplicitanti il dove programmare, lo strumento POR non può che essere ampio, prolisso e quanto mai generalista. Tuttavia, il tentativo di territorializzare la politica di sviluppo è accolto con molto rigore pianificatorio e programmatorio nella politica di coesione che ha generato finora le due fasi di programmazione, quella passata del 2000-2006 e quella attuale 2007-2013. La dimensione territoriale permea l‟azione pubblica, detta le scelte, conforma gli interventi. In Italia, questa tensione si avverte soprattutto nella seconda fase della programmazione della politica di coesione. La costruzione del Quadro Strategico Nazionale, come cornice unitaria del disegno dello sviluppo, diventa l‟occasione per impostare la dimensione territoriale nei Documenti Strategici Regionali. Attraverso la dimensione territoriale si attua, così, l‟efficacia della programmazione unitaria – fondi nazionali, regionali ed europei – altrimenti realizzata attraverso documenti 51


programmatici singoli con il rischio di inutili sovrapposizioni. Il nuovo ciclo di programmazione in Italia si arricchisce del contributo “spaziale” che il Ministero delle Infrastrutture – Di.Co.Ter. – ha prodotto con una serie di iniziative di pianificazione e programmazione innovativa come il progetto S.I.S.Te.M.A., la promozione di Piani Strategici e piani di mobilità, progetti pilota per porti e stazioni. Il supporto alla definizione della dimensione territoriale del Quadro Strategico Nazionale si concretizza attraverso l‟uso di una vision strategica territorializzata, composta dalle reti materiali ed immateriali, e dai nodi/città dell‟armatura nazionale. In particolare, l‟assetto spaziale del Sistema Italia (non a caso l‟acronimo S.I.S.Te.M.A.22 – Sviluppo Integrato dei Sistemi Territoriali Multi Azione) è articolato in: - piattaforme produttive territoriali, “costituite da quei territori distrettuali emergenti che hanno saputo riconvertirsi ed accedere ai grandi circuiti internazionali, dando vita a sistemi produttivi che sono in grado di reggere con successo la competizione, ma che hanno ancora bisogno di essere accompagnati da politiche pubbliche mirate ad accrescere l‘accessibilità alle grandi reti e a potenziare la connettività tra locale e globale, a radicare la loro potenza nel territorio di contesto, evitando un insostenibile strappo tra poli di competitività e territori locali”; - territori urbani di snodo, “costituiti da quei sistemi città-territorio che hanno la capacità di fungere da ‗commutatori‘ tra i grandi flussi europei e internazionali e i territori locali, per loro natura predisposti a fungere da ‗ambiente innovatore‘ suscettibili di riverberare all‘intorno gli impulsi al cambiamento delle strutture produttive e sociali esistenti. Le città quindi vengono interpretate e proposte nel modello di sviluppo come motori di competitività, come ‗trasformatori‘ delle energie che attraversano le reti globali e come ‗diffusori‘ e Il programma “Sviluppo Integrato – Sistemi Territoriali – Multi Azione”, istituito con D.M. 10 luglio 2003 n. 988 e Delibera CIPE n. 36/2002, è finalizzato, in concerto con le istituzioni locali e all‟interno delle programmazioni regionali, alla promozione di progetti caratterizzati da soluzioni innovative di particolare rilevanza territoriale ed ambientale. Obiettivo strategico è la progettazione e l‟accelerazione degli interventi nelle aree interessate dalla realizzazione dei grandi sistemi infrastrutturali, perseguendo lo sviluppo del policentrismo e rafforzando la relazione tra armature territoriali, sistemi urbani e reti di secondo livello. 42 Ministero Infrastrutture – Di.Co.Ter., Verso il Disegno Strategico Nazionale, I Rapporto, giugno 2005. 22

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fertilizzatori del territorio locale, in una necessaria logica dell‘equità territoriale come componente essenziale della coesione territoriale”; - fasci infrastrutturali di connessione, “considerati come una combinazione efficace delle diversi reti di flusso che dovranno garantire non solo la facilità delle comunicazioni di beni e persone, ma anche una agevole propagazione dei servizi ‗quaternari‘ e delle conoscenze che rappresentano il vero valore aggiunto dell‘economia contemporanea. Dunque, non solo collegamenti aerei, marittimi, ferroviari, stradali completati con le relative attrezzature della logistica, ma anche reti digitali a banda larga integrate con i centri di eccellenza della ricerca scientifica e tecnologica”. Figura 7 Le piattaforme del progetto S.I.S.Te.M.A.

Fonte: Di.Co.Ter.

Verso la fine del 2004 e l‟inizio del 2005 si assiste in Italia ad un fermento rinnovato sui temi della pianificazione strategica – esaltazione del ruolo delle aree metropolitane e delle conurbazioni 53


più o meno estese dei centri minori al fine di elaborare una visione policentrica per ogni regione – in preparazione del Quadro Strategico Nazionale (QSN). Tuttavia, nella costruzione del QSN 2007-2013 viene a mancare proprio la vision spaziale dello sviluppo, lasciando “appesi” gli sforzi che, malgrado tutto, erano stati fatti verso quella direzione. Con la pubblicazione ufficiale del Libro verde sulla coesione territoriale “Fare della diversità territoriale un punto di forza”, avvenuta nell‟ottobre del 2008 – Bruxelles, 6.10.2008 COM(2008) 616 definitivo –, gli Stati membri e le autorità locali sono stati chiamati ad elaborare un contributo rispetto ad alcune tematiche che la Commissione ha posto al centro del dibattito sull‟integrabilità della coesione territoriale con la coesione economica e sociale. Il Libro verde, infatti, rilancia alcune questione aperte (definizione di coesione territoriale, ruolo delle diverse scale o luoghi geografici dello spazio europeo, cooperazione e ruolo della commissione, coordinamento tra politiche settoriali e politiche territoriali, nuovi partenariati territoriali, possibili indicatori di misurazione della coesione territoriale) riconducibili all‟individuazione di modalità condivise su come attivare, in maniera “armoniosa” e senza intaccare il principio della sussidiarietà e la governance multilivello, la necessaria interazione tra programmazione dei fondi comunitari (coesione economica e sociale) e sviluppo spaziale (coesione territoriale). Il Libro verde assume tale integrazione come presupposto imprescindibile per lo sviluppo, sancito dall‟adozione della cosiddetta Agenda Territoriale siglata a Lipsia nel maggio 2007. Tale Agenda, infatti, pone al centro delle attività di programmazione l‟attuazione dello Spazio Europeo individuando attraverso il “primo programma di azione per la sua attuazione, adottato alle Azzorre nel novembre 2007 […] sei priorità territoriali (che vanno dai poli di innovazione regionali alle strutture ecologiche e alle risorse culturali, dallo sviluppo policentrico a nuove forme di partenariato e di governo territoriale) e le misure necessarie per porle in atto. A seguito di questo processo, nel 2007 la Commissione ha invitato gli Stati membri a rispondere a un‘indagine sulla concezione e l‘attuazione della coesione territoriale nelle pratiche nazionali”. Il contributo italiano al dibattito sull‟Agenda Territoriale sembra cogliere ancora parzialmente il carico innovativo della spazializzazione della politica di coesione 54


richiesta dal Libro verde. Ciò si evince in particolar modo nel fatto che il contributo italiano pone come problematico lo spacchettamento dei programmi operativi rispetto ai fondi comunitari, quando è proprio attraverso l‟operazione di suddividere i programmi che si attribuisce un ruolo unitario allo sviluppo spaziale. In questo modo i vari programmi ritornano ad avere la funzione che gli è più consona, ovvero quella di temporalizzare la spesa rispetto ad una strategia di sviluppo disegnata e spazializzata. Per il periodo 2007-2013 la politica di coesione è, quindi, orientata verso l‟introduzione di alcuni cambiamenti sostanziali: nei documenti preparatori, infatti, si evince con chiarezza che il contributo allo sviluppo durevole deve essere più tangibile e deve attuarsi con operazioni di concentrazione finanziaria a garanzia della competitività del sistema territoriale, comprendendo Il rilancio della questione urbana all‟interno delle politiche di sviluppo regionale quale elemento significativo della svolta strategica delle politiche di coesione verso una maggiore territorializzazione delle scelte programmatiche. La riforma della politica di coesione per il futuro ciclo di programmazione 2014-2020 ha innescato un nuovo dibattito che risulta fortemente condizionato dagli ultimissimi sviluppi riguardanti la politica economica comunitaria con il rafforzamento delle misure per la stabilità finanziaria. I temi in discussione discendono dal delicato trade-off, che ciclicamente si pone all‟atto dell‟impostazione dei nuovi periodi di programmazione, tra il considerare il ruolo della politica di coesione secondo il tradizionale approccio di assicurare la convergenza economica per tutte le regioni europee e, di contro, di ravvisare nella politica di coesione un ruolo più collegato agli obiettivi di Lisbona attraverso un miglioramento sostanziale della competitività concentrando le risorse e selezionando le regioni secondo altri parametri. La scelta dell‟approccio sostanzia, pertanto, la discussione sui seguenti punti: - l‟individuazione delle regioni oggetto/beneficiarie della politica di coesione; 55


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la definizione di nuovi obiettivi da perseguire; la formulazione di strumenti e dispositivi normativi/regolamentativi al fine di rendere perseguibili tali obiettivi.

Rispetto al ciclo programmatorio 2007-2013, i nuovi orientamenti sembrano convergere fortemente sulla necessità di sviluppare la dimensione territoriale della politica di coesione. Tale orientamento ha trovato già consenso nei risultati della consultazione avviata nel 2007 dalla DG-REGIO e conclusasi nel dicembre 2009. La dimensione territoriale della programmazione europea rimane l‟elemento caratterizzante anche il nuovo ciclo programmatorio. Rimane ancora da decidere la modalità di allocazione delle risorse finanziarie in base ai criteri di identificazione delle regioni e degli obiettivi di sviluppo. Tra le diverse ipotesi sta emergendo una possibile suddivisione tra le regioni dell‟allargamento post 2004, che verrebbero sottoposte ai tradizionali criteri di squilibrio della crescita (il PIL e l‟occupazione) e tutte le altre regioni che verrebbero invece sottoposte a nuovi indicatori identificativi di un disagio di crescita competitiva legati ai parametri di Lisbona. Le conclusioni della consultazione della DG REGIO possono essere sintetizzate nei seguenti principali nodi del dibattito: - migliorare il modo in cui le risorse locali e regionali sono utilizzate da tutti i territori; in questo modo tali risorse possono contribuire alla competitività di tutta l‟Europa; - focalizzare la politica molto più sui risultati in modo che gli impatti possono essere misurati; - semplificare il processo di implementazione della politica e allo stesso tempo assicurarsi che tale politica rimanga efficace ed efficiente; - focalizzare la politica verso il futuro e aiutare le regioni che sono più orientate alle sfide dell‟innovazione. A tali questioni si aggiunge l‟analisi che la DG REGIO ha prodotto al fine di orientare la riforma della politica di coesione considerando nuovi indicatori di performance regionale. Nel Documento Regions 2020 sono riportati i risultati relativi al grado di vulnerabilità 56


regionale rispetto alle sfide della globalizzazione. Quattro sono i cosiddetti “messaggi chiave”: 1. Le regioni europee mostrano forti differenze sul grado di vulnerabilità in relazione alla globalizzazione, al cambiamento demografico, al cambiamento climatico e all‟energia; 2. le regioni che mostrano di essere maggiormente influenzate da queste sfide sono localizzate nell‟Europa meridionale e sulle coste dell‟Europa occidentale e centrale; 3. quasi tutte le regioni avranno bisogno di trovare soluzioni legate al particolare contesto che hanno per governare la combinazione delle sfide della globalizzazione; 4. tali risultati saranno utilizzati come un input importanti per il disegno della politica di coesione post 2013. La dimensione territoriale diventa cruciale proprio con un approccio più strategico e focalizzato su poche priorità di Europa 2020. Allowing flexibility and different forms of strategic planning at the decentralised level will contribute to the Europe 2020 priorities. ‗Less is more‘: a limited, properly framed, number of EU priorities should be the basis for flexible, decentralised implementation. (EPO, 2010). Figura 8 “Key messages” per la futura programmazione 2014-2020

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Fonte: DG REGIO – Regions 2020

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DIMENSIONE TERRITORIALE E SPATIAL PLANNING Claudia Trillo

LA DIMENSIONE TERRITORIALE DELLE POLITICHE COMUNITARIE

Le indicazioni della Commissione Europea per il periodo programmatorio 2014-2020 mirano ad attuare gli obiettivi delineati nella strategia “Europa 2020”, ovvero, a trasformare il sistema economico europeo in un sistema intelligente, sostenibile e solidale, sostenendo tutti gli stati membri nel conseguimento di elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale (COM(2010)). L‟approccio territoriale, coerentemente con le indicazioni di Europa 2020, sarà fortemente orientate a livello sub regionale, intendo questo come una piattaforma adeguata a favorire la corretta integrazione intersettoriale finalizzata ad una crescita inclusiva. Tutto ciò, sulla scia delle indicazioni del report indipendente redatto da Fabrizio Barca nell‟aprile 2009, sarà caratterizzato da una forte connotazione locale, attraverso l‟approccio CLLD (Community- Led Local Development). Questo approccio si basa su una serie di elementi fondamentali quali: la definizione di un‟area precisa per l‟attuazione delle strategie; il basarsi su un approccio dal basso, intergrato (in particolare tra pubblico e privato), innovative, cooperative e basato sull‟uso delle reti. La dimensione territoriale già rappresentava uno dei principi cardine per la nuova programmazione comunitaria 2007-2013. Sin nella Comunicazione 299/20051, si richiedeva esplicitamente agli Stati membri e alle Regioni di tenere conto, nell‟elaborazione dei programmi e nell‟assegnazione delle risorse, delle esigenze specifiche delle diverse realtà territoriali, in modo da evitare che a causa delle disparità nello sviluppo il potenziale di crescita delle Regioni fosse inficiato. La necessità di collegare la spesa alle specificità territoriali, nonché di considerare la dimensione spaziale nelle politiche di sviluppo, non sono concetti nuovi nel contesto comunitario.

“Tener conto della dimensione territoriale della politica di coesione: La politica di coesione di distingue dalle politiche settoriali per la sua capacità di adeguarsi alle esigenze e alle caratteristiche particolari connesse alle diverse sfide e opportunità geografiche […]”; Commissione Europea, Comunicazione COM(2005)299, Bruxelles, 5.7.2005, Politica di coesione a sostegno della crescita e dell‟occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013. 1

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Un nodo problematico nell‟assicurare un efficace raccordo tra politiche di sviluppo promosse dalla spesa comunitaria e pianificazione spaziale delle scelte territoriale risiede nel fatto che gli usi del territorio e la distribuzione spaziale delle funzioni esulano dagli ambiti specifici di competenza della Commissione Europea. Tuttavia, è evidente che le strategie di sviluppo elaborate e promosse dalla Commissione possono considerarsi veri e propri driver di impatti spaziali. Pertanto, secondo Faludi e Waterhout2, sollevare questioni di competenza comunitaria sulla dimensione spaziale delle politiche è privo di senso. Gli stessi autori puntualizzano la definizione del concetto di spatial planning3 e ne collocano storicamente la sua comparsa nella vicenda comunitaria, evidenziando il concetto che lo spatial planning mira a direzionare uno sviluppo regionale equilibrato attraverso l‟organizzazione fisica dello spazio, rispecchiando una strategia complessiva (Consiglio d‟Europa, 1984, Carta sullo spatial planning regionale europeo). Questo concetto è ancora più marcato nel The EU Compendium of Spatial Planning Systems and Policies (CEC, 1997), dove si evince che lo spatial planning si riferisce all‟azione per lo più pubblica di influenzare la distribuzione degli usi nello spazio, allo scopo di creare un‟organizzazione del territorio più razionale anche in termini di usi del suolo e di equilibrio tra istanze di sviluppo e di protezione ambientale, e per raggiungere obiettivi economico-sociali4. La dimensione territoriale, in questa prospettiva, assume una forte connotazione in termini spaziali ed è investita in pieno dalle scelte strategiche e dai principi stabiliti in ambito comunitario. Faludi, Waterhout eds, 2002, pag. XI. “Spatial planning is Euro-English: a non-British (and non-American) concept conveyed in English words. […] the concept of spatial planning has already figured in the European Regional/Spatial Planning Charter (Council of Europe, 1984). The Charter portrays ‗regional/spatial planning‘ as giving geographical expression to the various policies of society; giving direction to a balanced regional development and the physical organization of space, according to an overall strategy” (Faludi, Waterhout eds, 2002, pag. X). 4 “Spatial planning refers to the methods used largely by the public sector to influence the future distribution of activities in space. It is undertaken with the aims of creating a more rational territorial organization of land uses and the linkages between them, to balance demands for development with the need to protect the environment, and to achieve social and economic objectives. Spatial planning embrace measures to coordinate the spatial impacts of other sectorpolicies, to achieve a more even distribution of economic development between regions that would otherwise be created by market forces, and to regulate the conversion of land and property uses” (Compendium, CEC, 1997, pag. 24). 2 3

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Si tratta quindi di approfondire, non di eludere, la problematica di come i principi comunitari interagiscono con il contesto culturale e amministrativo pianificatorio italiano, allo scopo di verificare se questi ultimi rappresentino catalizzatori o remore al pieno dispiegamento degli effetti delle politiche di sviluppo attivate. Una rilettura complessiva delle principali indicazioni strategiche comunitarie in chiave territorializzata, porta a riconoscere nei paradigmi concettuali del “policentrismo” e del “paesaggio” nell‟accezione della Carta Europea del Paesaggio (CEP) due elementi chiave nella costruzione di un quadro di riferimento teorico. Da un lato, la rappresentazione concettuale di un‟Europa policentrica e dei flussi suggerisce di dare concretezza, alle scale nazionali, a direttrici per nuovi assetti spaziali che declinino il policentrismo alla scala nazionale, regionale e locale, in modo da cogliere le opportunità e da contenere i rischi sottesi alle scelte strategiche macro, anche in termini di bilanciamento urbano rurale. Dall‟altro, la ratifica della CEP da parte degli stati membri presupporrebbe impone di traslarne i contenuti in direttrici rivolte alla dimensione materica del territorio come portatore di valori collettivi alla scala comunitaria. Entrambe le affermazioni sono di seguito diffusamente argomentate. Il concetto di polycentrism, su cui si fonda l‟analisi delle reti urbane europee, viene considerato un obiettivo chiave del Piano di Sviluppo Spaziale Europeo (ESPD), sin dall‟adozione dei principi di Lipsia avvenuta nel 1994, in quanto si ritiene che una struttura urbana policentrica contribuisca ad uno sviluppo regionale più equilibrato, alla riduzione delle disparità regionali, all‟incremento della competitività europea, all‟integrazione delle regioni europee nell‟economia globale e allo sviluppo sostenibile. Sin dal 1999, anno in cui fu siglato dagli allora ministri comunitari il documento ESPD, si pose quale assunto di base che l‟approccio spaziale alle politiche potesse contribuire ad una migliore, meno costosa e più efficiente implementazione delle politiche stesse, valendo naturalmente anche l‟opposto, ovvero che, in assenza di un approccio spaziale alle politiche di intervento ed in mancanza di coordinamento spaziale e di una prospettiva spaziale di sviluppo, sussistesse il reale pericolo che gli interventi risultassero contraddittori, inefficienti e più costosi. A partire da questo assunto fu sviluppato ESPON (European Spatial Planning Observation Network), complesso programma tra i cui scopi vi era quello di analizzare ed esaminare il valore aggiunto della 61


dimensione spaziale nella pianificazione e nel coordinamento delle politiche di intervento. Nel definire quali fossero i livelli di analisi spaziale a cui fare riferimento, ESPON adottò il “Three-LevelApproach”, che nel rispetto del principio di sussidiarietà declinava la scala delle analisi a livello macro (europeo), meso (transnazionale/nazionale) e micro (regionale/locale). Dunque, il concetto di policentrismo non si riferisce meramente all‟idea di uno sviluppo bilanciato del territorio e rispettoso delle peculiarità locali, bensì pone la necessità di considerare un vero e proprio sistema di reti integrate i cui nodi assumono ruoli diversificati in funzione della scala di lettura delle analisi e delle strategie (trans-scalarità). Questo significa non soltanto che l‟approccio alle problematiche di sviluppo dei nodi-luoghi non può essere statico, ma anche che a diverse scale di approccio corrispondono diversi soggetti/livelli istituzionali. La dimensione territoriale locale, in un‟ottica policentrica, viene a trovarsi immersa nel reticolo di flussi e nodi, con connotazioni, ruoli e funzioni che emergono con chiarezza o restano latenti a seconda della scala delle relazioni in cui vengono letti. L‟idea di policentrismo è un elemento fortemente connotante la dimensione territoriale, conferendole un‟accezione intrinsecamente trans-scalare in termini di relazioni spaziali e in termini istituzionali multilivello. Ciò è ancora più rafforzato da politiche comunitarie solo in apparenza settoriali. Nel rapportare reti a scale differenziate, assume grande importanza il sistema dei flussi attivato alla scala macro. Una potente matrice organizzativa dello spazio europeo, avente grosse ripercussioni alla scala locale, sono le reti TENs (Trans-European Transportation Networks). Sebbene considerate un‟espressione di politica settoriale, emerge con chiarezza il loro ruolo come drivers di sviluppo per alcune aree e di segregazione per altre, come evidenziato dalla letteratura5. La politica europea per la realizzazione delle TENs era chiaramente direzionata sin dall‟inizio “When it comes to the analysis of strategic planning in European Union, policy analyst can follow two distinct routes. One can either search for a policy program or strategic spatial planning and analyse it, or can analyse existing policy program that not claim to be about strategic planning but may nevertheless have powerful spatial effects” (Hajer, 2000, pag. 135). Questo secondo caso è proprio rappresentato dalla CTP (Common Transport Policy, la politica comune dei trasporti) e dalla sua politica di sviluppo di una rete transeuropea. 5

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all‟innalzamento di competitività del sistema Europa nel suo complesso, e difatti aveva tra i suoi obiettivi per il 2010 “estesi assi e corridoi di trasporto di respiro europeo che colleghino le reti nazionali per formare le reti trans-europee; un efficiente sistema di porti e aeroporti così come per l‘energia, in modo da collegarci con i mercati mondiali e con i maggiori produttori di energia”6 (EIB, 1998). Hajer evidenzia come “Il programma TENs può essere riguardato sotto forma di un più ampio discorso di sviluppo che potrebbe essere chiamato Infrastrutturiamo l‘Europa o […] l‘Europa dei Flussi”, parlando altresì in termini molto espliciti della necessità di individuare i problemi di interconnessione tra la scala comunitaria e le altre scale7. L‟esistenza di un programma che non può dirsi settoriale ma che può essere riguardato come espressione dell‟idea di un‟Europa dei flussi fa nascere una serie di criticità, che richiedono di essere affrontate alle diverse scale nazionali e regionali. Difatti, la creazione dei corridoi porta con sé inevitabilmente non solo opportunità e nuove geografie della segregazione, ma anche nuovi assetti nel network multipolare del sistema relazionale europeo. La dimensione territoriale risulta quindi non soltanto ancora di più calata in un sistema reticolare dinamico, ma anche attraversata da flussi alla scala europea che ne definiscono il ruolo in una prospettiva ben più ampia di quella locale. Il concetto di policentrismo non si lega solo all‟idea di un‟Europa dei flussi, ma permea di significato la graduazione dall‟urbano al rurale, che nell‟accezione data al termine rururbanization da ESPON 1.1.2.8, discende più dal sistema di relazioni che da una condizione di stato. Difatti, viene proposta una vera e propria graduazione della condizione di urbanità vs. ruralità di un territorio, in funzione di complessi e raffinati sistemi di indicatori. Ulteriore driver non dichiarato nella rielaborazione della dimensione territoriale, correlato alla nozione di Europa dei flussi tra aree a vocazione differenziata, ―[…] extensive, Europe-wide transport axes and corridors linking the National networks to form Trans- European networks (TENs); efficient air and sea ports as well as Energy transport networks linking us with world markets and major Energy producers” (dal documento TENs brochure EIB, July 1998). 50 “The TENs program can be understood in terms of a broader policy discourse that could be called ―Infrastructure Europe‖ or, as we will define it here, of Europe of Flows” (Hajer, 2000, pag. 138). 7 Sottolinea difatti come la “multilevel governance now takes the form of shared discorsive principles that permeate governance in Europe” (Hajer, 2000, pag. 139). 8 ESPON 1.1.2, 2004. 6

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può essere considerato la Politica Agricola Comune (PAC), come già evidenziava Faludi et al. (2000, pag. 243): “L‘azione della Comunità Europea influenza gli assetti spaziali di sviluppo […] anche le politiche ambientali e la PAC hanno rilevanza spaziale”9. L‟azione della PAC, in virtù del nuovo ruolo multifunzionale attribuito all‟agricoltura, mira tra l‟altro a creare i presupposti per un riequilibrio tra aree rurali e aree urbane, così da preservare i caratteri distintivi del paesaggio agricolo. Ciò crea un raccordo concettuale tra Europa dei flussi e gestione del paesaggio, considerato come una vera e propria risorsa identitaria per i cittadini comunitari. Il paesaggio, inteso nella sua accezione olistica e in virtù della sua nuova centralità conferitagli dalla CEP, dovrebbe rappresentare un elemento imprescindibile nella declinazione della dimensione territoriale delle politiche. Difatti, esso “rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell‘Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell‘identità europea”; altresì, “la qualità e la diversità dei paesaggi europei costituiscono una risorsa comune per la cui salvaguardia, gestione e pianificazione occorre cooperare”. Dunque il paesaggio, rappresentando un bene identitario per la comunità intesa nel suo senso più ampio (cittadini dell‟Unione), richiede un approccio alla sua gestione di tipo multilivello, in quanto i valori di cui è portatore non possono essere gestiti in un‟ottica locale. La CEP è dirompente nel conferire centralità al ruolo del paesaggio in ogni caso (in quanto la Convenzione si applica praticamente a tutto10) e circostanza (in quanto si richiede impegno “a integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un‘incidenza diretta sul paesaggio” art. 5). Il rispetto dei principi della CEP dovrebbe connotare in modo molto forte gli indirizzi all‟azione regionale e locale, introducendo un principio rilevante in termini di impatto sulla dimensione territoriale

“The action of the European Community influences spatial developments […]. Environmental policy and the Common Agricultural Policy (CAP) have spatial relevance, too”. Faludi, Strategic Planning in Europe: Institutional Aspects, in Faludi, Salet (a cura di), 2000, pag. 243. 10 Art. 2: “[…] la presente convenzione […] concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati”. 9

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delle politiche di sviluppo, da coltivare in un‟ottica multilivello11, ovvero, con diverse declinazioni, a tutte le diverse scale di governo del territorio. In sintesi, la Commissione gioca un ruolo forte nella definizione di regole spaziali per la dimensione territoriale: il concetto di policentrismo, le reti TENs, la PAC e i principi sanciti dalla CEP possono essere considerati veri e propri indirizzi metodologici nella definizione della dimensione territoriale secondo un‟ottica comunitaria, che richiedono una implementazione trasversale e transcalare ai fini dell‟efficace implementazione delle politiche di sviluppo. Eravamo (e siamo) attrezzati per questo? LA DIMENSIONE TERRITORIALE COMUNITARIA E LA SUA INTERPRETAZIONE NEL CONTESTO ITALIANO

Nel contesto italiano possono rintracciarsi tre principali correnti di pensiero, che si ricollegano a tre diverse declinazioni del concetto di territorializzazione dello sviluppo. Una prima interpretazione del ruolo del territorio nelle politiche di sviluppo focalizza sul concetto di sviluppo locale come fattore propulsivo dal basso e coltiva in modo marginale i valori materici dello spazio. Un secondo approccio si ricollega alla cosiddetta scuola territorialista italiana, che conferisce maggiore enfasi agli elementi materici del territorio, individuando quadri identitari che esplicitino le specificità dei luoghi come riferimento nella costruzione di strategie di trasformazione. Una terza interpretazione si inscrive nell‟accezione di dimensione territoriale quale spatial planning (Faludi). Nelle sub-sezioni successive, si discuterà il nesso tra le diverse correnti di pensiero e il rapporto con il concetto di spatial planning europeo. Dimensione territoriale, sviluppo locale, negoziazione Una prima interpretazione della dimensione territoriale si ricollega al concetto di sviluppo locale come valorizzazione del ruolo degli attori alla scala locale (De Rita, Bonomi, 1998) e può presentare punti di tangenza con un‟accezione del governo delle città inteso in termini In Italia, l‟aver accentuato in modo molto marcato il ruolo delle Regioni nella costruzione di scenari programmatori correlati alla spesa non ha giocato sempre un ruolo positivo, in quanto la riflessione sullo sviluppo territoriale, gestita a scala regionale, ha talvolta prodotto visioni poco lungimiranti o comunque prive di respiro extraregionale. Nel contesto italiano, il conflitto tra Stato centrale e Regioni nella definizione di strategie per la spesa è una realtà attuale. 11

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neocontrattualistici (Perulli, 2004; Urbani, 2000). Nel Manifesto per lo sviluppo locale, De Rita e Bonomi conferiscono centralità alla scala micro come fattore propulsivo di sviluppo economico e sociale (pagg. 55-56): “Oggi si chiede al locale, alla dimensione territoriale, di essere dinamico rispetto ai processi globali, e al centro amministrativo di essere sussidiario a questi processi a reti lunghe […]. Occorre quindi capire che il riapparire della centralità del locale dipende essenzialmente dalla nuova centralità assunta dal territorio nelle dinamiche produttive, perché il territorio come fabbrica diventa l‘ambiente in base al quale si può competere”. Questa visione della dimensione territoriale come portatrice di capacità autopropulsiva dal basso è rintracciabile in gran parte della declinazione avvenuta del concetto di progettazione integrata per la passata programmazione dei fondi comunitari. La categoria concettuale della negoziazione in questo tipo di approccio è sicuramente preponderante, rispecchiando il principio 12 dell‟equipotere nella filiera istituzionale sancito dall‟art. 117 della Costituzione. La collaborazione di soggetti plurimi, compresa la componente privata, risulta anche molto forte. In questo approccio, il sistema normativo di limitazioni allo sviluppo viene vissuto come elemento coercitivo e classificato come emanazione di un principio autoritaristico. Perulli13, ad esempio, focalizzandosi sugli aspetti negoziali del governo della città, in particolare sulle alleanze pubblico-private, osserva come “molte delle politiche pubbliche di nuova generazione sono di questo tipo. […] le politiche pubbliche scelgono un‘altra strada: non la coercizione pubblica ma il dialogo tra gli attori pubblici e privati, non l‘arma puntata su attori inadempienti ma l‘uso accorto di incentivi per farli partecipare a tavoli di negoziato e a percorsi di intesa consensuale”. E ancora: “un tratto fortemente unificante è la scala territoriale di queste politiche: il nuovo management pubblico agisce per agenzie decentrate, i patti e i Piani Strategici si realizzano nelle città e in aree metropolitane, persino le imprese globali cercano Viene ad esempio ipotizzato l‟uso del contratto, come metodologia alternativa all‟imposizione delle scelte: “con questa risposta lo Stato assume le forme del negotium, quelle che hanno sin qui regolato le transazioni commerciali. Esso si spossessa di quel monopolio che lo ha finora caratterizzato, che consiste nello spogliare ogni altro potere concorrente di quegli attributi che esso solo può detenere. Nella veste di attore contrattuale, lo Stato si mette alla pari degli altri attori, pubblici e privati. Infatti lo Stato ricorre al contratto non solo con gli attori privati ma anche al proprio interno, tra le diverse amministrazioni e corpi dell‘amministrazione” (Perulli, 2004, pag. 24). 13 Perulli, 2004, pagg. 11 e 13. 12

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ancoraggi nelle economie locali. Naturalmente la dimensione circoscritta degli esperimenti analizzati è motivo per interrogarsi sui rapporti con gli altri livelli di governance”. L‟equivoco che si è generato, a partire da queste posizioni, è quello di assimilare le politiche di scala sovralocale alle politiche di stampo autoritaristico. Il nodo, tuttavia, non è tanto il potere rivestito dai diversi soggetti della filiera istituzionale, quanto la corretta scala di governo delle problematiche territoriali; si tratta cioè di capire a quale scala vanno trattate determinate questioni in modo tale che nessun attore, dal locale al sovralocale, riceva danno dalle scelte, ciò che Fulton e Shingley (2005) definiscono “il problema della scala”14. È evidente che non si propugna di ritornare a forme di pianificazione dall‟alto che possano essere intese come forme di violenza verso le comunità locali, creando quei conflitti ben noti che portarono alla nascita dell‟advocacy planning negli USA. Ma è altrettanto chiaro che, senza una forte regia sovralocale, la competitività del livello locale, soprattutto nell‟era della globalizzazione, non è gestibile se non fortuitamente e accidentalmente15.

“There is often a mismatch between […] the scale at which planning problems occur and the scale at which they can be addressed. […] Unfortunately, it is rare that these problems can be dealt with at the same scale at which they occur. Cities or counties usually have no obligation to take into account regional problems created by their actions […] ”, pagg. 406-407. 15 Un caso esemplificativo è quello dei NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio cortile di casa, riferito agli oggetti indesiderati come le discariche), che in una moderna concezione possono diventare oggetto di meccanismi compensativi di area vasta. Ancora, l‟elaborazione di quadri di riferimento che consentano di indirizzare le politiche di sviluppo può supportare meccanismi compensativi e/o redistributivi, che rendono più efficaci i tentativi di concentrazione delle azioni su territori specifici, attenuando gli interessi localistici alla frammentazione. Si pensi ad esempio all‟articolo 15 della LUR Emilia Romagna n. 20 del 27/3/2000. Tale articolo prevede che tra Comuni e Provincia possano essere stipulati accordi, il cui oggetto (comma 3) può consistere in “forme di perequazione territoriale, anche attraverso la costituzione di un fondo finanziato dagli enti locali con risorse proprie o con quote dei proventi degli oneri di urbanizzazione e dalle entrate fiscali conseguenti alla realizzazione degli interventi concordati”. Sulle problematiche applicative di tale articolo esistono due studi approfonditi, l‟uno relativo agli aspetti giuridici, l‟altro a quelli economicofinanziari, entrambi elaborati a cura della Sezione Emilia Romagna dell‟INU insieme alla Provincia di Modena, dal titolo rispettivamente “Gli aspetti giuridici del modello di perequazione territoriale” e “Modello di perequazione territoriale”, entrambi datati settembre 2002. 14

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Nel contesto italiano, la questione della corretta declinazione del principio di sussidiarietà si pose con forza nel 2003 non a caso proprio in merito ad infrastrutture individuate a livello centrale attraverso la cosiddetta Legge Obiettivo (DDL 443/01, “Delega al Governo in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive”). L‟eccezione16, sollevata da alcune Regioni, di legittimità costituzionale dell‟art. 1 della Legge Obiettivo, determinò come risposta una Sentenza della Corte Costituzionale (n. 303/2003) utile a ribadire il senso di ruoli e funzioni degli enti nel rispetto del principio di sussidiarietà con riferimento alle problematiche di scala nell‟azione sul territorio. Tra le questioni di legittimità sollevate su cui la Corte si espresse, vi era infatti anche quella della presunta ingerenza statale nella materia di competenza regionale del governo del territorio, in quanto la Legge Obiettivo individuava una serie di opere puntuali e specifiche con modalità di fatto top down. La Sentenza n. 303/03 affermò tra l‟altro che il principio di sussidiarietà va sempre letto insieme a quello dell‟adeguatezza, e dunque, lungi dall‟essere un concetto astratto, va considerato quale “metodo per l‘allocazione di funzioni al livello più adeguato”, agente in qualità di “subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un‘attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l‘istanza di esercizio unitario trascende anche l‘ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato”. In una parola, nemmeno di fronte ad un‟esplicita attribuzione costituzionale di competenze al livello regionale e locale può venire meno la considerazione di buon senso che per raggiungere determinati obiettivi una visione d‟insieme è imprescindibile. Un ulteriore equivoco generato da un‟interpretazione della dimensione territoriale in termini localistici e sociali è relativo a quelli che sono considerati gli attori principali dello sviluppo locale, con particolare riferimento alla partecipazione dei privati. Se nel libero mercato europeo la platea degli interlocutori per lo sviluppo non è certo quella locale – anzi, la competititivà di un territorio si misura anche come capacità di attrarre e di coinvolgere operatori esterni – ciò che assume rilievo non è tanto l‟azione pubblica per il coinvolgimento locale, quanto la definizione di regole di rispetto 16

Si permetta di rimandare a Bevilacqua, Trillo, 2005.

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delle caratteristiche locali più chiare possibili, come condizione necessaria all‟attrazione dei capitali esterni che altrimenti si dirottano verso contesti più semplici. Proprio una visione contrattualistica del rapporto tra istituzioni e privato evidenzia la necessità di un sistema di regole stabili, e ciò conferisce un nuovo ruolo strategico all‟urbanistica cosiddetta “istituzionale”. Secondo Elster17, “la pianificazione e l‘investimento da parte degli individui avrà un orizzonte temporale più lungo e porterà più frutti se essi possono essere ragionevolmente certi che i diritti di proprietà, compresi quelli di compensazione in caso di espropriazione, saranno salvaguardati”. La questione della stabilità delle regole del gioco nei processi di trasformazione del territorio è cruciale nella costruzione di quadri di attori istituzionali dotati di fiducia reciproca. In questo senso, per quanto concerne le questioni di territorio, il sistema delle regole non va inteso come limitazione, bensì quale garanzia per il privato stesso, una sorta di contratto per il territorio18, che lo interpreti come soggetto trans-scalare e multilivello, tanto per dimensioni strategiche di sviluppo – onde cogliere le opportunità che nascono in relazione ad una condizione dinamica all‟interno del sistema di reti –, quanto perché portatore di valori di natura non soltanto locale ma anche europea (CEP). In sintesi, il limite di un approccio tendente a considerare come qualificante per la dimensione territoriale il coinvolgimento degli attori locali è evidente: la dimensione territoriale, difatti, impone di leggere il territorio come nodo di un sistema policentrico in cui non è detto che la scala locale sia quella più appropriata a coglierne le potenzialità di sviluppo, nonché come soggetto che condensa i valori identitari della Comunità Europea (Convenzione Europea del Paesaggio). Dimensione territoriale e statuto dei territori La scuola territorialista19 italiana rappresenta un riferimento concettuale utile a declinare il senso della dimensione territoriale nel Elster, 2000, pag. 154. Il concetto proposto è molto diverso dal “contratto territoriale” proposto da Perulli (pagg. 92 e 93). 19 Magnaghi, 2007. Il testo raccoglie gli esiti del Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale “La costruzione di scenari strategici per la pianificazione territoriale: metodi e tecniche” (2003-2005). La scuola territorialista viene definita come un 17 18

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contesto italiano in correlazione al tema dello statuto dei luoghi, richiamando una serie di problematiche legate alla tutela dei valori non negoziabili. Il movimento difatti propone di costruire scenari strategici, disegnati ancorchè con valore euristico: “questi scenari traggono la loro forza e le loro coordinate dalle teorie sullo sviluppo locale autosostenibile, che applichiamo a progetti di trasformazione socioeconomica e territoriale: i quali assumono a loro volta i giacimenti patrimoniali locali e i soggetti sociali che se ne prendono cura come riferimenti fondativi dei progetti stessi. La sinergia tra i soggetti della trasformazione e la messa in valore dei giacimenti patrimoniali comporta la costruzione di regole virtuose, socialmente condivise, per il trattamento dei giacimenti stessi finalizzato a produrre benessere, ricchezza durevole, riproducibilità delle risorse e valore aggiunto territoriale. Queste regole (‗statuti del territorio‘ socialmente prodotti), configurano dunque un corpus pianificatorio che precede e condiziona i progetti e gli atti di trasformazione […]. Emerge con chiarezza una visione pianificatoria in cui si separa in modo radicale la parte statutaria del piano […] dalla parte strategica che riguarda i progetti di trasformazione” (Magnaghi, 2007, pag. 8). L‟ipotesi di uno scenario territoriale strategico si propone di divenire ―strumento a supporto di un processo strategico di progettazione integrata ed inclusiva del territorio praticabile ai diversi livelli di pianificazione ed in grado di connettere adeguatamente la dimensione statutaria-regolativa con quella strategico-operativa del piano all‘interno di una relazione di complementarietà fra strumenti della pianificazione territoriale e della programmazione dello sviluppo locale”. La dimensione territoriale viene trattata come fatto innanzi tutto materico, sia pure come prodotto dell‟interazione antropica complessa: “in primo luogo il territorio stesso, inteso come bene comune in quanto ambiente essenziale alla riproduzione della vita: l‘acqua, l‘alimentazione, l‘aria, i fiumi, le coste il verde e le foreste, il paesaggio, ma anche l‘ambiente urbano essenziale alla costruzione delle relazioni sociali e della vita pubblica, gli spazi pubblici e di relazione nelle città, le infrastrutture, le reti di comunicazione, i nuovi rapporti fra città e mondo rurale, ecc.: beni materiali e immateriali che garantiscono la riproduzione della vita” (pagg. 11-12). Il riferimento ad atlanti dei valori, allo statuto dei luoghi, all‟attività ricognitiva propedeutica al processo di definizione delle scelte, collocano questo approccio in una posizione molto più vicina alla produzione di strategie spazializzate, in cui il processo programmatorio avviene in stretta integrazione con l‟attività movimento sviluppatosi dal 1986 con lo scopo di indagare il concetto di sviluppo locale autosostenibile

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pianificatoria. Difatti, viene fatto esplicito riferimento alla dimensione di place focus (Albrechts20) o place making (Healey et al.21) che, tramite l‟introduzione di aspetti fisici e morfologici nei processi di scenario, è in grado di rendere significativi – e talvolta più conflittuali – anche gli aspetti comunicativi e “pattizi” conseguiti nella interazione fra gli attori22. La questione ambientale, pure centrale in ambito comunitario, trova in questo approccio una sua più stretta interrelazione con ipotesi spazializzate di trasformazione. Occorre ammettere che in assenza di ciò vengono talora trattati temi di grandissima complessità come la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) con un approccio riduzionistico, relegando il processo di VAS ad un mero calcolo di indicatori o ancora peggio enfatizzandone gli aspetti procedurali della partecipazione in modo poco fondato, in quanto privo talora di concrete alternative progettuali radicate nella dimensione territoriale. La proattività del concetto di paesaggio come fattore identitario dinamico da tutelare/ valorizzare/recuperare ai sensi della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) dovrebbe essere centrale nel processo di produzione di strategie che cerchino di incidere sulla Albrechts, 2004, pagg. 743-758. Healey, Khakee, Motte, Needham, 1977. 22 Si nota anche che (Gibelli, in Magnaghi, 2007, pagg. 421-422) la dicotomia “tra approccio economico e approccio territoriale o, come si sarebbe detto alcuni anni fa, fra programmazione economica e pianificazione territoriale […] appare in via di superamento. […] si sta verificando una chiara convergenza economia/territorio, grazie anche all‘elaborazione concettuale avvenuta in ambito comunitario”. Questo modello “non è dunque quello della deregolamentazione e della flessibilizzazione urbanistica tout court, ormai abbandonato in gran parte dei paesi europei, ma purtroppo ancora pervicacemente praticato in molti contesti locali del nostro Paese”. Lo squilibrio tra dimensione programmatoria e pianificatoria era stato già ben illustrato da Gibelli in Urbanistica n. 121, laddove individuava tre famiglie di Piani Strategici. “La prima generazione di Piani Strategici è quella […] della pianificazione sistemica; la seconda è quella […] che si caratterizza per l‘applicazione dello strumento della pianificazione strategica in uso nelle grandi imprese alla pianificazione della città; la terza, che si annuncia negli anni Novanta, è quella che ho definito tentativamente ‗reticolare‘ e ‗visionaria‘ ” (pag. 92). “Utilizzando concetti e procedure della pianificazione aziendale, e accompagnandosi alla emergente ideologia della deregolamentazione urbanistica e pianificatoria, la seconda famiglia di Piani Strategici ha però prodotto contraddizioni e fatto emergere rischi tali da richiedere una nuova correzione di rotta. Infatti, attribuendo priorità agli obiettivi di sviluppo economico e di competitività, ha favorito il modello della metropoli a più velocità; valorizzando gli aspetti negoziali, ha privilegiato unilateralmente gli interessi forti ed organizzati” (pag. 93). 20 21

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dimensione territoriale; difatti, la sua inclusività molto ampia a tutti i territori antropizzati, evidentemente, rende l‟attività pianificatoria un passaggio imprescindibile nella costruzione dei quadri programmatori, quale sede più opportuna per il controllo dei valori e degli esiti morfologico-percettivi delle trasformazioni. In particolare, nel contesto italiano, la rilevanza costituzionale (art. 9) del bene-paesaggio attribuisce ad esso valore “assoluto” e “primario”, implicando, in virtù della sua prevalenza sugli altri interessi, grande forza in sede di applicazione vincolistica23. Il problema di gestire la problematica paesaggistica si intreccia con gli aspetti normativi di organizzazione della filiera istituzionale delle decisioni su una materia molto delicata: difatti, la questione paesaggistica è nel nostro Paese ben lungi dal considerarsi chiara e risolta. Il ruolo proattivo nelle azioni di valorizzazione attribuito alle Regioni, nel rispetto del principio della tutela che è nella Costituzione, è costantemente questionato in una dialettica StatoRegioni che la giurisprudenza rispecchia in modo chiarissimo. Il nodo principale è rappresentato dal principio della unitarietà della tutela del paesaggio, che implica un approccio non parcellizzato. Ciò pone interrogativi rispetto a quale modalità di interazione interistituzionale non intacchi l‟unitarietà dell‟approccio alla tutela del paesaggio nel rispetto delle rispettive competenze. Il principio di unitarietà si estende altresì a tutte le componenti del paesaggio oggetto di tutela ai sensi della Costituzione, il che induce ad approfondire anche in sede normativa e giurisprudenziale quali siano gli elementi imprescindibili del paesaggio da sottoporre a tale unitarietà di approccio e se possano le diverse componenti del paesaggio essere trattate in sede di tutela in maniera autonoma. In altre parole, a partire dal principio di unitarietà del valore del paesaggio, si pone un problema di mediazione nell‟esercizio di tale funzione, da un lato nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali, e dall‟altro di mantenimento al livello più generale dell‟azione di tutela. Come è noto, i vincoli ricognitivi non sono indennizzabili. La constatazione che determinati beni sono di proprietà teorica di una comunità molto più ampia di quella locale, ovvero che alcuni beni sono super partes, implica che non possa essere messo sullo stesso piano il parere esperto con il parere di una comunità locale che potrebbe anche non riconoscere per ignoranza il valore di un bene di proprietà dell‟intera umanità. 23

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La questione non è affatto semplice. Ai sensi del Codice Urbani e s.m.i., la pianificazione paesaggistica viene strutturata come un processo gerarchico al fine di garantire la generalità dell‟approccio al paesaggio, individuando nel piano paesaggistico lo strumento per garantire l‟azione di tutela, e conferendogli una valenza sovraordinata rispetto agli strumenti di livello locale24. I contenuti prescrittivi e non di mero indirizzo del piano rendono quanto mai necessaria un‟attività ricognitiva estremamente rigorosa; e difatti, l‟art. 143 ben esplicita questo concetto. Infine, che il sistema di pianificazione prefigurato sia di tipo gerarchico secondo un tradizionale approccio in cascata è evidente dall‟art. 14525. Questi concetti furono espressi molto chiaramente dalla Corte

L‟art. 135 illustra i contenuti del piano paesistico, il cui approccio deve essere di scala regionale (il corsivo è dell‟autrice): Art. 135 (Pianificazione paesaggistica) – Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanisticoterritoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesaggistici”. L'elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143. 25 Articolo 145 – Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione (…) (il corsivo è dell‟autrice): 3. Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette. 4. I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo. 24

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Costituzionale (Sentenza n. 182/2006), in occasione di un ricorso mosso alla LUR Toscana del 200526. Altresì, il principio di unitarietà della tutela del paesaggio si riferisce ad un concetto non astratto, bensì materico, quale aspetto visivo inteso come sintesi delle componenti ambientali e antropiche, nelle Si riporta stralcio della sentenza, evidenziando in corsivo i passaggi più rilevanti rispetto a ciò che si sostiene: Punto 2.2. – Relativamente alla seconda questione, con la quale si contesta la legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, è da rilevare che la Regione fa disciplinare i beni paesaggistici dal piano strutturale dei Comuni […] in tal modo sottraendo la disciplina paesaggistica dal contenuto del piano, sia esso tipicamente paesaggistico, o anche urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, che deve essere unitario, globale, e quindi regionale, e al quale deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori. L'art. 143 elenca dettagliatamente i suoi contenuti e l'art. 145 definisce i rapporti con „gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province‟ secondo un modello rigidamente gerarchico […]. La scelta della Regione Toscana di elaborare un piano d'indirizzo territoriale, il cui statuto abbia valenza di piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, ha comportato che, muovendosi nell'ambito della normativa generale sul governo del territorio, non sia stata abbandonata, anche riguardo al paesaggio, la logica tradizionale della pianificazione urbanistica, di demandare agli strumenti inferiori la disciplina sempre più specifica. La legge toscana sul governo del territorio tende al superamento della separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro, facendo rientrare la tutela del paesaggio nell'ambito del sistema della pianificazione del territorio e rendendo pertanto partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo (province e comuni) nella disciplina di tutela del paesaggio. Il principio di fondo di questo sistema – che è condivisibile nella misura in cui gli enti locali sono chiamati a contribuire alla pianificazione regionale (art. 144, comma 1, del Codice); ed in cui gli strumenti di pianificazione territoriale dei livelli sub-regionali di governo perseguano, attraverso la propria disciplina, obiettivi di tutela e valorizzazione del paesaggio (art. 145, comma 4) – presenta però il suo elemento critico, laddove, trasferendo le decisioni operative concernenti il paesaggio alla dimensione pianificatoria comunale, si pone in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela, non derogabile dalla Regione, nell'ambito di una materia a legislazione esclusiva statale ex art. 117 Cost., ma anche della legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali. La giurisprudenza costituzionale ha ammesso che le funzioni amministrative, inizialmente conferite alla Regione, possano essere attribuite agli enti locali (Sentenze n. 259 del 2004 e n. 214 del 2005, in materia ambientale), ma è l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali. 26

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loro manifestazioni sensibili frutto delle reciproche interazioni. Tale visione sistemica esclude di per sé che si possa parcellizzare in componenti l‟azione di tutela, richiedendo una sintesi a monte dell‟esplicitazione del sistema di norme atte a tutelare il bene. La definizione di paesaggio contenuta nel Codice e successive integrazioni e modificazioni è molto chiara. Dalla lettura del comma 2 si desume chiaramente che il paesaggio a cui il codice fa riferimento non è un valore astratto, bensì è “rappresentazione materiale e visibile”; la centralità dell‟accezione percettiva in questa definizione è pertanto indiscutibile. Al contempo, il comma 1 pone l‟accento sulle componenti costitutive il processo di formazione del valore paesaggio – naturali e antropiche –, non soltanto nella loro autonoma capacità di promuovere gli oggetti della tutela, ma anche nella loro interrelazione. Tale termine marca chiaramente il carattere sistemico dell‟azione formativa del paesaggio, per cui l‟aspetto materiale e sensibile si pone quale esito inevitabilmente polisemico di un processo complesso. L‟azione ricognitiva del valore non va pertanto intesa in modo parcellizzato, quale ricognizione dei singoli valori costituenti il paesaggio, bensì anche come ricognizione sistemica dell‟interazione dei singoli fattori, e tale procedimento va inteso come parte integrante di quell‟unitarietà di approccio – da effettuarsi pertanto non alla scala locale bensì regionale – che è garanzia di omogeneità nell‟applicazione del sistema di norme. A maggior ragione, la componente prescrittiva del piano andrà governata alla scala più generale e non a quella locale, soprattutto in considerazione della necessità di ricondurre a categorie quanto più generali possibile gli oggetti della tutela, essendo il sistema dei vincoli a tale tassonomia connesso privo di indennizzo27. La Sentenza della Corte Costituzionale n. 367/2007 ben esprime questi concetti (il corsivo è dell‟autrice): Punto 7.1 - Come si è venuto progressivamente chiarendo già prima della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l‟ambiente nel suo aspetto visivo. Ed è per questo che l‟art. 9 della Costituzione ha sancito il principio fondamentale della “tutela del paesaggio” senza alcun‟altra specificazione. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale. Si tratta peraltro di un valore ―primario‖, come ha già da tempo precisato questa Corte (Sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche Sentenze n. 182 e n. 183 del 2006), ed anche ―assoluto‖, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente 27

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In sintesi, le problematiche sul nesso pianificazioneprogrammazione che fa nascere la CEP assumono nel contesto italiano una marcata specificità. I contenuti proattivi della nozione di tutela/valorizzazione/recupero del paesaggio europeo come portatore di interessi primari e condivisi alla scala comunitaria, implicano la necessità di una sua inclusione tra le strategie di trasformazione dei territori, che richiede di essere declinata nel contesto delle competenze istituzionali e del principio di sussidiarietà. Le considerazioni esposte in merito alla dinamica Stato-Regioni in relazione ai temi della tutela e della valorizzazione del paesaggio fanno emergere la complessità del tema e la difficoltà di ridurne la portata a questioni di identità locale dei valori paesaggistici da trattare alla scala locale. Da ciò si evince come non sia possibile rispettare i principi della CEP se non all‟interno di una visione transscalare e multilivello, che richiede un contributo proattivo del paesaggio a monte del processo di scelta, e non a valle in sede di attuazione come mera verifica di conformità. L‟approccio della scuola territorialista, che colloca il patrimonio identitario a monte della costruzione di scenari di sviluppo, è probabilmente più l‟ambiente (Sentenza n. 641 del 1987). L‘oggetto tutelato non è il concetto astratto delle ―bellezze naturali‖, ma l‘insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico. Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni. Si tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti. E in proposito la legislazione statale ha fatto ricorso, ai sensi dell‟art. 118 della Costituzione, proprio a forme di coordinamento e di intesa in questa materia, ed “ha affidato alle Regioni il compito di redigere i piani paesaggistici, ovvero i piani territoriali aventi valenza di tutela ambientale, con l‘osservanza delle norme di tutela paesaggistica poste dallo Stato. […] In buona sostanza, la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle Regioni”.

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garantista rispetto alle esigenze espresse, purché si assuma che tale patrimonio travalica ormai, ai sensi della CEP, la mera sfera locale. Dimensione territoriale come spatial planning Come affermato in premessa, l‟interpretazione che più probabilmente si attaglia al concetto di territorializzazione delle politiche in ambito comunitario è espressa dallo spatial planning nell‟accezione di Andreas Faludi. Questo approccio si fonda sulla costruzione di quadri spazializzati, con un forte valore istituzionale, che possono divenire fattore di garanzia di una maggiore flessibilità nell‟articolazione delle azioni di sviluppo che non pregiudichino i valori identitari di cui alla CEP, e che massimizzino le potenzialità della rete policentrica alla scala comunitaria attraverso strategie transscalari. A proposito del ruolo della dimensione spaziale nella costruzione delle strategie, Faludi nel 1996 precisava che: “si preferisce utilizzare il termine ‗pianificazione disegnata‘ (project planning), ove per disegno intendiamo un insieme di misure che, per scopi pratici, costituisce un intero, nel senso che nessuna misura può essere revocata senza coinvolgere tutte le altre”28. Il ruolo del disegno come unico strumento in grado di controllare e gestire la complessità del territorio con un approccio olistico emerge chiaramente. Studi successivi espandono il concetto di approccio spazializzato alle strategie, in particolare in un‟ottica comunitaria. Secondo Salet e Faludi (2000), tre grandi approcci apparirebbero dominanti alla fine del millennio scorso. Le teorie della Faludi, 1996, pagg. 109-110. “La prestazione di un piano in forma di mappa non può tuttavia essere considerata la caratteristica che distingue i piani disegnati dai Piani Strategici. Quel che li distingue è invece il ruolo ascritto al piano nelle azioni che seguono, ed è questo che mette in causa gli assunti di fondo su quel che il piano rappresenta. Nella pianificazione disegnata il piano è un progetto di massima che i costruttori dovranno tradurre in realtà, così che si può ritenere che l‘implementazione debba seguire il piano. Non è così nella pianificazione strategica, che pure si riferisce a disposizioni nello spazio, ma poste in essere da attori diversi dai pianificatori. […] I piani disegnati sono il complemento della visione tecnocratica: dove quest‘ultima prevale, l‘interazione tra i soggetti è tutta spesa nella fase di adozione […]; il piano strategico è un repertorio provvisorio di accordi raggiunti; esso costituisce un quadro per la negoziazione e ha un valore indicativo: il futuro rimane aperto. […] Il ruolo che la prospettiva orientata alla decisione (decision centred) assegna al piano […] consiste nell‘aiutare la valutazione delle situazioni di incertezza decisionale, tenendo conto del campo di scelte più vasto. I piani sono quindi investimenti nella qualità dell‘azione decisionale: essi adempiono il loro scopo se consentono ai decisori di comprendere meglio su che cosa si decide, cioè di dare senso alla loro azione in un quadro più generale”. In questo senso, viene formulato l‟elogio della routine come elogio delle regole quali garanti di stabilità nelle interrelazioni. 28

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pianificazione starebbero recentemente propugnando un ritorno all‟urbanistica istituzionale, sottolineando il significato delle regole normative nell‟ordine sociale. Lo spatial planning avrebbe guadagnato lo status pressoché indiscusso di area realmente interdisciplinare. L‟intersettorialità, quale elemento di equilibrio tra azioni e dinamiche, costituirebbe la principale peculiarità dei Piani Strategici spazializzati. Occorre tuttavia precisare che talvolta gli obiettivi strategici spazializzati rappresenterebbero una forma di accomodamento degli interessi dominanti in campo economico o politico. Quando lo spatial planning è impiegato strumentalmente come mera giustificazione di interessi, il suo valore aggiunto, in particolare rispetto alle valutazioni intersettoriali, va interamente perduto29. Molti Paesi europei manifestano una specifica attenzione per l‟implementazione di questi concetti all‟interno dei propri sistemi istituzionali di governo del territorio30. In Olanda l‟attenzione allo spatial planning è molto marcata; sin dal 1965 è operativo lo Spatial Faludi, Salet (a cura di), 2000. “Three broad approaches or even paradigms appear to be dominant in the planning debate around the close of the millennium. […] Most recently, planning theory is discussing the ‗institutional turn‘ to planning; it is rediscovering the significance of the normative rules of social order that embed the daily experience of planning” (pag. IX). Spatial planning “earned the virtually unique status of being a truly multi-sectoral policy area. The cross-sectoral character of the balancing acts and the dynamics which are found in this, serve as the most important qualities of these strategic spatial plans” (pag. 4). “Sometimes […] strategic spatial objectives only accomodate those poker which are currently dominant in the market or government. When spatial planning is instrumentally employed merely to serve such interests, the added value of its strategic ability, particularly with regard to cross-sectoral evaluations, is lost entirely” (pag. 5). Trattasi cioè di ciò che Faludi chiama “planning as accomodation” (pag. 5). 30 In Faludi, Salet (a cura di), 2000: Needham, Making Strategic Spatial Plans, pag. 82: “For both reasons – preparation leads to more effective and efficient actions, and the need for public accountability – a public body wanting to steer the way in which the physical environment in its area is developed and used will consider cattying out strategic spatial planning”; Salet, The Institutional Approach to Strategic Planning, pag. 14: “In Dutch planning, the land-use map functions merely as one of the many tools by which to illustrate these collective ambitions for spatial order”; Blotevogel, Rationality and Discourse in Post(modern) Spatial Planning, pag. 121: “In the term ‗spatial planning‘ I include all forms of spatial planning and policy. With reference to the German institutional system, spatial planning covers five different levels: the local level (town planning, urban development planning), the regional level (regional physical planning, regional economic policy), the level of the Laender (Landesplanung), the level of the federal government (environmental planning, regional policy) as well as the transnational level of the European Union (european regional policy, European spatial planning)”. 29

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Planning Act. Dal punto di vista amministrativo, il Direttorato Generale per le politiche spaziali indirizza i Ministeri per l‟Edilizia abitativa, per lo spatial planning e per l‟ambiente nel perseguire e implementare politiche coerenti con la vision globale dello sviluppo spaziale dell‟Olanda. La Strategia Spaziale Nazionale (Nota Ruimte) è lo strumento cardine per perseguire obiettivi di lungo termine con un orizzonte temporale al 2020. Nel sistema di pianificazione spazializzata, i piani fisici rappresentano i documenti in cui sono esplicitate le decisioni con effetti vincolanti per i governi. La loro principale funzione è duplice: assicurare certezza normativa e orientare lo sviluppo locale31. Un esempio applicativo è rappresentato dalla declinazione degli orientamenti del piano nella Regione della Randstadt32. Secondo Healey (2002), il piano olandese è ricchissimo di contenuti spaziali, nell‟accezione dell‟ESPD. Figura 9 Interpretazione spazializzata delle strategie nazionali nella Randstadt

Fonte: Arjen J. van der Burg e Bart L. Vink, 2008

Dal sito www.vrom.nl: “The Spatial Planning Act became operational in 1965 and since that time has been regularly amended to adapt to new developments in spatial planning law [...]. The Directorate- General of Spatial Policy advises the Minister of Housing, Spatial Planning and the Environment in fulfilling responsibility for establishing and implementing cohesive government policy for the Netherlands's spatial development. The DG monitors and strengthens the quality of the country's spatial organisation […]. The National Spatial Strategy is the pivotal policy product of DG Spatial Policy and sets out policy up to the year 2020. [....] The Dutch Government has recently adopted the National Spatial Strategy (Nota Ruimte) [...]. In the spatial planning system, physical plans are and will continue to be the documents in which decisions with legally binding consequences for the government and the public are brought together. These plans have two important functions – legal certainty and local development”. 32 Van der Burg, Vink, 2008. 31

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In Galles è stato approvato nel luglio 2008 l‟aggiornamento dello “Spatial Plan” nazionale33, i cui temi principali sono la costruzione di comunità sostenibili, la promozione di un‟economia sostenibile, la valorizzazione dell‟ambiente, il rafforzamento dell‟accessibilità sostenibile e il rispetto delle diversità. Dal punto di vista della declinazione di questi temi in strategie spazializzate, il piano indica cosa fare nelle aree in cui si articola (Galles centrale, Nord-Est, Nord-Ovest, Pembrokeshire, Sud-Est, Baia di Swansea e valli). In base alle vigenti norme, le direttive nazionali devono essere implementate alla scala locale34. Gli obiettivi già sanciti nel precedente Piano del 2008 restano inalterati, ovvero35: assicurare che le decisioni siano prese tenendo conto dei loro effetti oltre i confine settoriali o amministrativi, e che i valori dello sviluppo sostenibile siano prioritari sempre; contestualizzare le azioni di pianificazione locale; indirizzare la spesa pubblica attraverso la comprensione dei ruoli e delle interazioni tra i luoghi; fornire una chiara base per i settori pubblico, privato e terzo settore nello sviluppo di politiche e azioni. Figura 10 La visione spazializzata di sviluppo nazionale ai sensi dello Spatial Plan 2008 del Galles; la strategia spazializzata per il Galles Centrale

The Wales Spatial Plan, 2008 update, www.wales.gov.uk Ivi: “The 2004 Act (section 62) states that local planning authorities, in preparing a local development plan (LDP), must have regard to the Wales Spatial Plan” (pag. 7). 35 Ivi: “Making sure that decisions are taken with regard to their impact beyond the immediate sectoral or administrative boundaries and that the core values of sustainable development govern everything we do; setting the context for local and community planning; influencing where money is spent by the Welsh Assembly Government through an understanding of the roles of and interactions between places; providing a clear evidence base for the public, private and third sectors to develop policy and action” (pag.8). 33 34

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Fonte: www.wales.gov.uk

La Danimarca ha elaborato nel ―Rapporto sulla pianificazione nazionale 2006” una visione spazializzata per lo sviluppo del Paese, che rappresenta la cornice di indirizzo per la definizione delle strategie di livello locale36. Scopo del documento è dare forma ad una vision di sviluppo che rifletta gli obiettivi delle politiche nazionali, i cui destinatari siano le Regioni e le città37. Figura 11 La nuova mappa della Danimarca

Fonte: Rapporto sulla pianificazione nazionale 2006

www.sns.dk Denmark: fact sheet for planning levels, Danish Town Planning Institute, draft of 19.03.2007: “National planning shapes a vision for the development of the whole country that reflects national policy objectives. Pursuant to the local government reform, the municipal councils and regional councils are now target groups for the national planning report”. 36 37

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In Irlanda, la Strategia Spaziale Nazionale (NSS, National Spatial Strategy) fornisce una visione coerente di scala nazionale con un orizzonte temporale a 20 anni. Il Piano Nazionale di Sviluppo (NDP, National Development Plan) per il 2007-2013 desume obiettivi e priorità dalla Strategia Spaziale Nazionale, ponendo pertanto la NSS al centro delle decisioni per gli investimenti infrastrutturali per il corrente ciclo di programmazione38. Di grande interesse è la chiarezza del legame tra ruoli rurali e ruoli urbani del territorio, anche alla luce del sistema dell‟accessibilità, interpretato come network di gateways, hubs e corridoi infrastrutturali aperto verso il contesto internazionale. Nella NSS viene trattata con un‟ottica spazializzata anche la questione energetica, come fattore di competitività da trattare alla scala nazionale. L‟output in termini strategici è sempre rappresentato da chiare direzioni di sviluppo declinate, nella coerenza generale del disegno nazionale, per le diverse sub-aree. Figura 12 National Spatial Strategy, Ireland

Fonte: www.irishspatialstrategy.ie

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www.irishspatialstrategy.ie

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Come evidenziato dagli esempi europei citati, l‟attenzione del livello nazionale per lo spatial planning rappresenta un fondamentale punto di forza per conferire una concreta dimensione territoriale alle politiche di sviluppo regionali e locali, coerente con un disegno più ampio. Rispetto a questo traguardo, il principale ostacolo nel contesto italiano sembra essere rappresentato dalla carenza di quadri spaziali intersettoriali di livello nazionale. A questo problema, si affianca una generalizzata tendenza alla deregolamentazione al livello regionale e locale, che ancora caratterizza molti contesti pianificatori in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno, accompagnata in quest‟ultimo da una condizione di fragilità del sistema ordinario di pianificazione. Ciò determina una lacuna insormontabile nell‟esplicitazione delle politiche secondo un approccio spazializzato. La pianificazione strategica nel contesto italiano, privata spesso della dimensione spazializzata delle scelte, si è ridotta di fatto in molti casi a mera enunciazione di slogan generalisti. Non c‟è bisogno di elaborare un piano strategico per confermare obiettivi quali la sostenibilità dello sviluppo o la valorizzazione delle risorse ambientali e culturali; quello che serve è la traduzione in termini di direzioni spazializzate ai territori rispondenti agli obiettivi. Questa posizione chiama in causa il sistema della pianificazione di area vasta, da un lato quale cornice di riferimento capace di garantire la reale strategicità delle scelte di scala locale, dall‟altro quale elemento di garanzia di una certa stabilità delle regole della trasformazione. Fabbro (2003) propone una interessante chiave di lettura (e al contempo di azione) per pervenire ad un concetto di piano strategico capace di esprimere in modo utile al territorio la dimensione spaziale delle problematiche39: quella che definisce come Fabbro, 2003, pagg. 57-60. “La domanda di pianificazione regionale non è […] la stessa degli anni del primo regionalismo e i piani regionali più recenti, almeno nelle intenzioni, non sono più intesi come ―piani della Regione‖ ma come piani e progetti del territorio e per i territori della regione” (pag. 57). Rispetto alle “forme idealtipiche della pianificazione territoriale regionale in Italia”, “l‘asse su cui si distribuiscono i casi esaminati è essenzialmente quello dei rapporti con i piani locali, con la pianificazione paesistico-ambientale e con la programmazione economica. Agli estremi di questo asse possiamo collocare, da una parte, il modello ‗conformativo-urbanistico‘ nel quale tali relazioni si concepiscono in termini essenzialmente gerarchici; dalla parte opposta, il modello ‗strategico‘ nel quale gli stessi rapporti vengono ridefiniti in termini di progetto di territorio e di coerenza tra le diverse scale […]. In mezzo si collocano i tentativi di pianificazione 39

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“quarta alternativa, un sistema regionale di pianificazione misto e a più velocità”, svilupperebbe maggiormente la questione della transscalarità e inter-scalarità dell‟azione regionale nel delicato e complesso ruolo istituzionale configurato agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Fabbro parla pertanto di un vero e proprio foedus (pag. 60) “di valore istituzionale tra i diversi territori della regione che comprenda, senza confonderli, sia strumenti più stabili e a più lungo termine di garanzia rispetto a valori e rischi ambientali, sia strumenti di governo strategico (ai diversi livelli regionale, provinciale e comunale), più flessibili e modificabili nel tempo […]”. Un simile “sistema misto di pianificazione regionale” si fonda necessariamente su strumenti plurimi: dalla Carta dei suoli che sancisce le tutele a lungo termine quale “strumento di valore istituzionale al quale fare costante riferimento per le verifiche di coerenza e di compatibilità dei nuovi piani, progetti e programmi strategici”, agli strumenti della pianificazione strategica più vari, non trascurando gli aspetti di governance (conferenze di pianificazione). Come osserva Properzi40, “gli impianti legislativi costruiti all‘indomani delle istituzioni delle Regioni si sono inoltre trovati ad ereditare anche un altro nodo relativo al rapporto del piano territoriale con gli strumenti della programmazione economica. La preesistenza del programma al piano […] relega nella sostanza la pianificazione territoriale a un ruolo descrittivo e ricompositivo dell‘esistente, che si traduce in ‗proiezioni territoriali‘ spesso senza risorse economiche e senza soggetti attuatori”. “Si riconosce una sostanziale problematicità alla dimensione strategica del piano che deriva da due ordini di fattori: l‘assenza nel panorama nazionale di strategic planning, quindi di una dimensione condivisa […]. Di tecniche, strumenti, protocolli a essa connessi, ma anche e soprattutto l‘assenza di scenari (nazionali e regionali) credibili”. Difatti, Properzi aggiunge in nota: “Le ‗linee fondamentali di assetto‘ più volte riconfermate tra i compiti primari dello Stato, e largamente richieste da ampi settori della cultura disciplinare, hanno trovato due fattori impeditivi nel sistematico depotenziamento e nella settorializzazione delle competenze statali a cui corrisponde un processo di stentata, ma proprio per questo molto rivendicativa, autonomia delle Regioni. Le Regioni, d‘altro canto, si sono orientate per la maggior parte verso letture ‗introverse‘ del proprio territorio, puntando piuttosto a un nuovo centralismo che verso scenari di indirizzo”. Proseguendo, l‟autore afferma come ―[…] di contro (si riconosce) la regionale ‗strutturale‘ più o meno prescrittivi nelle relazioni con i piani urbanistici locali e con i piani settoriali” (pagg. 57 e 58). 40 Properzi, 2003, pagg. 60-64.

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sostanziale ‗indifferenza‘ della programmazione economica e di quello che di essa è riconoscibile nel ‗polpettone‘ delle leggi finanziarie rispetto alle ragioni del territorio, in quanto essa stessa si propone come ‗strategica‘ per definizione e quindi prevalente rispetto ai vincoli urbanistici e anche più in generale rispetto al sistema dei vincoli morfologici o ricognitivi”. In conclusione, l‟importanza di ridisegnare per il territorio un ruolo attivo alla definizione delle politiche di sviluppo nel contesto italiano emerge con evidenza; coltivare la dimensione dello spatial planning a livello centrale e locale potrebbe essere una risposta valida. Al contempo, emerge l‟esigenza di un chiarimento sulla pianificazione di area vasta con riferimento al suo ruolo di supporto alle politiche di sviluppo, nel rispetto del principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione, ma anche della necessità di connettere attraverso un approccio trans-scalare le decisioni locali a quelle globali. LA SFIDA DELLA TERRITORIALIZZAZIONE NEL MEZZOGIORNO: PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE DI DISCONTINUITÀ

Nel precedente paragrafo si è cercato di ricostruire quale sia l‟interpretazione data al concetto di dimensione territoriale nel contesto italiano, proponendo tre orientamenti di lettura: lo sviluppo locale, la scuola territorialista e lo spatial planning. Rispetto a queste tre declinazioni, l‟esperienza della passata programmazione comunitaria nel Mezzogiorno sembrerebbe rispecchiare una collocazione più vicina alla prima, forse anche a causa della mancanza di quadri spazializzati di riferimento nazionale e per le fragilità del sistema di pianificazione locale. Nel periodo 2000-2006 il Mezzogiorno ha sperimentato esperienze di progettazione integrata, connotate da una filosofia di sviluppo di tipo negoziale e pattizio, i cui esiti andrebbero sottoposti ad attenta valutazione. In queste esperienze sembra che la dimensione autopropulsiva abbia fatto talvolta prevalere aspetti autistici che, non tenendo conto della complessità della filiera istituzionale connessa all‟elaborazione di scelte strutturali, si sono concretizzati in scelte piuttosto limitate quanto a rilevanza degli impatti41. Nel QSN 2007-2013 viene proposta una sintetica valutazione delle esperienze di progettazione integrata del ciclo 2000-2006 (pagg. 64-65): “Nel QCS 2000-2006, i Progetti Integrati sono stati introdotti come modalità di attuazione della politica regionale per favorire l‘integrazione delle politiche sul medesimo territorio e per attribuire priorità alla 41

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Le lezioni del passato enunciate dal DPS per il 2007-2013 confermavano questa impressione (QSN, pag. 73, Lezioni generali di discontinuità, Accrescere selettività delle priorità e degli interventi): “Nel 2000-2006, nonostante i progressi, l‘efficacia della politica regionale è stata indebolita da scelte strategiche spesso generiche e, in fase di attuazione, dalla tendenza a disperdere risorse sul territorio. Ne scaturisce, per il 20072013, la necessità già nella programmazione strategica e operativa di effettuare una selezione forte delle priorità. È poi necessario che le Amministrazioni attuatrici esercitino forte capacità di scelta e pratica di valutazione, diffusa e partecipata; essa richiede competenze tecniche specialistiche per la definizione dei criteri di selezione e la riqualificazione del ruolo del partenariato economico e sociale”. Il problema della selezione delle priorità richiederebbe come risposta la presenza di opzioni strategiche dotate di una marcata dimensione territoriale, in base alle quali scegliere le azioni più o meno coerenti. Il demandare alla fase attuativa il momento delle scelte

produzione locale di beni pubblici. […] La valutazione di tale esperienza è complessa, in parte perché ancora in corso e in parte perché i progetti integrati, visti più da vicino, risultano in un insieme piuttosto differenziato. […] È possibile […] segnalare alcuni apprendimenti di rilievo dall‘esperienza: 1. La forte varianza dei risultati fra esperienze, dove si delineano effetti positivi e permanenti e esperienze dove la progettazione integrata è regredita a sommatoria di microinterventi settoriali di incerta qualità, pone la questione ineludibile della responsabilità nella selezione delle iniziative. La assegnazione di risorse e il loro dimensionamento deve essere subordinata a una più forte valutazione, con un rafforzamento della capacità tecnica dei livelli regionali di governo. Questa strada, che non è da considerarsi antitetica a quella di offrire accompagnamento e capacitazione alle situazioni più arretrate, è indispensabile per favorire nel tempo l‘accumulazione di capacità e l‘affermazione di leadership innovative, mantenendo al tempo stesso un contesto sociale competitivo per evitare il consolidarsi di posizioni di rendita. È anche la strada per rafforzare il coinvolgimento del settore privato, sia nella fase delle scelte strategiche, sia nella fase della gestione a regime del territorio. 2. Poiché in diversi casi, la conoscenza locale può non essere sufficiente a definire un progetto promettente, pur in presenza di genuina tensione alla trasformazione, è necessario che i programmi e i progetti integrati siano sollecitati ad aprirsi alla conoscenza esterna e al rapporto con ―soggetti istituzionali più forti‖ e portatori di energie e innovazione. A tale fine potranno concorrere un ruolo più attivo del livello regionale e di quello centrale per favorire il raccordo tra progetti locali e altri luoghi di competenza e il coinvolgimento di centri di competenza alla programmazione 2007- 2013, sin dal suo inizio. 3. Contemporaneamente, sembra necessario rafforzare la coerenza interna della programmazione complessiva ricercando un migliore coordinamento fra la programmazione delle infrastrutture a rete e degli interventi settoriali da una parte, e la programmazione locale dall‘altro, anche attraverso l‘individuazione di progetti di territorio che integrino le diverse scale programmatiche, favorendo i processi di coordinamento tra temi ed ambiti di intervento”.

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“spazializzate” come spesso è accaduto, ha comportato due grossi problemi: 1. la definizione di criteri di selezione in capo a soggetti tecnici che non dispongono di chiari quadri di riferimento spaziale deresponsabilizza il ruolo della politica come decision maker; 2. la costruzione di ipotesi di sviluppo condivise con pratiche partecipative, non direzionate all‟origine in fase di costruzione da strategie di ampiezza sovralocale, rende la valutazione a valle di fatto puramente giustificazionista, ed inoltre risulta tecnicamente impraticabile un riorientamento in senso più ampio delle scelte effettuate localmente42. È chiaro che l‟interpretazione in chiave localistica della dimensione territoriale rende inattuabili scelte di reale impatto, precludendo la possibilità di indirizzarsi verso opzioni realmente strategiche. D‟altro canto, il relegare alla dimensione settoriale il momento della verifica di coerenza tra scala nazionale e scala regionale/locale inficia la possibilità di configurazione di strategie spazializzate integrate di ampio respiro43, e gli obiettivi che erano stati formulati sotto forma di slogan (QSN, pag. 133: “Favorire la connessione delle aree produttive e dei sistemi urbani alle reti principali, le sinergie tra i territori e i nodi logistici e l‘accessibilità delle aree periferiche: migliorare i servizi di trasporto a livello regionale e promuovere modalità sostenibili”; QSN, pag. 141: “Le azioni di politica industriale, ivi incluse l‘utilizzo di strumenti di incentivazione, devono essere quindi necessariamente integrate con la pianificazione territoriale, sia in A riprova di quanto affermato, il QSN (pag. 79) precisa che: “La dimensione territoriale della politica regionale 2007-2013 deve trovare la sua declinazione nell‘ambito delle singole priorità‖ – ovvero delle dieci priorità tematiche che articolano in obiettivi e strumenti di intervento le finalità della programmazione 2007- 2013. ―L‘attenzione ai contesti territoriali in cui gli interventi vengono direttamente realizzati, o che interventi di portata più ampia sono diretti a servire, è infatti connotazione propria della politica regionale.” 43 QSN 2007-2013, pagg. 128-129: “Per ottenere un appropriato impatto territoriale, che possa favorire lo sviluppo dei territori, anche per le aree rurali, deve essere assicurata una visione unitaria attraverso la massima integrazione tra politiche delle reti e politiche territoriali, anche fra aree limitrofe al di là dei confini amministrativi, eventualmente attraverso meccanismi che accompagnino e stimolino l‘evoluzione della programmazione di settore verso una più matura comprensione dei rapporti tra flussi e aree, ovvero tra luoghi di intreccio dei flussi dell‘economia globale e luoghi del radicamento e della sedimentazione degli effetti. La base di partenza è costituita dalla programmazione nel settore dei trasporti e della logistica che, a livello nazionale, è delineata dal ‗Piano Generale dei Trasporti e della Logistica‘ (PGTL) e, a livello regionale, dai Piani Regionali. In detti documenti, approvati secondo le normative in essere, a partire dalla situazione attuale e di scenario, sono delineate le strategie, rispettivamente nazionali e regionali.” 42

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termini di razionalizzazione delle funzioni residenziali, produttive e ambientali, sia in riferimento alla coerenza con gli aspetti di tutela del suolo, dell‘ambiente e del paesaggio”) non hanno potuto trovare sempre una esplicitazione in regole spaziali, rendendo impraticabile una reale selettività delle scelte prioritarie. In contesti europei in cui la spesa ha portato esiti molto più rilevanti in termini strutturali, si nota che la dimensione territoriale ha avuto una connotazione molto più esplicita. L‟assenza sostanziale di una dimensione territoriale intesa come luogo dell‟integrazione intersettoriale e trans-scalare come base per l‟efficacia dei processi di governance multilivello emerge ancora oggi nel caso italiano, e in particolare nel caso del Mezzogiorno, dalla carenza di quadri programmatori di livello nazionale da un lato, e dalla fragilità dei sistemi regionali di pianificazione ordinaria dall‟altro. Il progetto S.I.S.Te.M.A., che mirava a promuovere 21 ideeprogramma ritenute “capaci di imprimere nuovo impulso allo sviluppo policentrico e reticolare, tramite il rafforzamento delle connessioni tra grandi reti infrastrutturali e di città di immediato secondo livello, definiti ‗contesti bersaglio”44, è il grande sconfitto di questa esperienza, anche perché disatteso sostanzialmente in quei passaggi in cui si sarebbe dovuto assumere come base concettuale per dare ordine all‟azione programmatoria a tutti i livelli istituzionali. Nelle intenzioni di Fontana45, la logica vincente sarebbe dovuta consistere nel “coniugare una politica nazionale e una strategia regionale che insieme possano operare sia sull‘eccellenza economica sia sulle misure di coesione. Se la progettualità tecnica ed economica si concentra sullo sviluppo di un certo numero di attività, che gli equilibri interni dell‘ecosistema internazionale della competizione economica spingono a considerare strategici, sarà più semplice fertilizzare reciprocamente l‘economia del Paese e i territori, nel contesto dell‘economia globale. Una simile strategia non può essere evidentemente esclusiva dei programmi di valorizzazione delle specificità locali […]. Nell‘ambito delle politiche di coesione e di sviluppo, lo spazio fisico può divenire una sola ‗Infrastruttura di contesto‘, un‘armatura di nodi e di reti che li connettono, di cui vanno programmati e progettati i mutamenti necessari a creare un ambiente di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio, il personale ed i servizi generali, “Rapporto sul territorio”, Conferenza informale dei Ministri sulla coesione territoriale e le politiche urbane, Rotterdam, 29- 30 novembre 2004, pag. 15. 45 Fontana G., in Rapporto INU 2005, pagg. 13-16. 44

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vita e di lavoro più coeso, attrattivo ed equilibrato”. Assumendo come base del ragionamento le reti europee intese quali “fasci infrastrutturali di connessione materiali e immateriali”, nonché gli studi di base prodotti da ESPON, si erano individuate piattaforme di livello transnazionale, nazionale ed interregionale, funzionali a suggerire “quadri di integrazione spaziale” in quanto “l‘adozione di un approccio strategico alle politiche di coesione e sviluppo impone un esame critico e selettivo delle proposte bottom up, l‘assunzione di punti di vista adeguati ad esaminare con pertinenza le progettualità ereditate negli scenari tendenziali, le ‗code‘ irrealizzate dei vecchi programmi, le speranze e le illusioni che i territori ripongono nel loro futuro”. La dimensione territoriale, declinata come spatial planning, avrebbe dovuto assumere un ruolo centrale nel processo selettivo posto a monte della condivisione tra gli attori istituzionali delle scelte strategiche di scala locale, consentendo una reale valutazione di coerenza tra proposte bottom up e scenari complessivi. “Per assicurare l‘interazione efficace tra livelli di azione distinti, tra locale e globale, […] è dunque necessario un doppio movimento: ascendente, grazie al quale una situazione locale è collocata all‘interno del suo contesto territoriale […]; discendente, che produce la dimensione spaziale delle politiche settoriali generali. […] Solo uno stretto rapporto e un dialogo propositivo tra le Amministrazioni dello Stato e tra le Regioni – da sviluppare nel contesto di istanze di governance multilivello […] – permetterà al territorio di divenire un‘unica ‗infrastruttura di contesto‘ al servizio della competitività e della coesione del Paese”46. Per il Mezzogiorno, venivano individuate due piattaforme transnazionali nell‟area barese e in quella dello stretto di Messina; una piattaforma nazionale individuante il bipolo urbano Napoli- Bari e quattro piattaforme trans-regionali. Si affermava che “elaborare una visione dello sviluppo del Sistema-Paese via Piattaforme territoriali richiede un‘attività diagnostica volta alla selezione di precisi asset di sviluppo e competitività, da offrire come fattori di eccellenza al sistema nazionale e da trasformare in componenti dell‘attrattività attorno a cui tessere l‘armatura delle decisioni del Quadro Strategico Nazionale”47. A fronte di una tale rilevanza della posta in gioco e di un impegno così cospicuo in termini progettuali, nel QSN 2007-2013 non vi era nemmeno traccia del progetto S.I.S.Te.M.A. 46 47

Ibidem. Fontana G., op. cit., pag. 31.

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Peraltro, il progetto S.I.S.Te.M.A., che avrebbe potuto rappresentare un riferimento fondamentale per attuare la dimensione territoriale nella programmazione unitaria, non risultava coltivato nemmeno come strumento per orientare la proliferazione dei Piani Strategici delle città, pure finanziati dal MIT insieme al MEF48. L‟esperienza dei Piani Strategici finanziati dalla Delibera CIPE n. 20/2004, che destinava quota parte dei finanziamenti FAS alle aree urbane per la redazione di documenti strategici di città (o di insiemi di piccole città) finalizzati a indirizzare la questione urbana all‟interno della politica di sviluppo della Regione, si concretizzò nel Mezzogiorno in una grande diversità di risposte (dai cinque Comuni capoluogo della Campania alla dispersione della Sicilia) tra loro per nulla coordinate e in cui la vision strategica nei fatti era spesso assente, proprio perché impropria era la scala per la trattazione delle tematiche con reale capacità di incisione sulle trasformazioni del territorio. Il caso dei Piani Strategici è stato in tal senso paradigmatico. Comprendere la scala territoriale più opportuna nel perseguimento delle strategie è fondamentale per la definizione di sistemi di governance coerenti, che rendano credibili le proposizioni elaborate. Al contempo, schemi strategici non spazializzati risultano monchi di quelle verifiche di coerenza che debbono essere consustanziali alla costruzione di vision realistiche e non utopistiche. Paradossalmente, la capacità di prefigurazione coltivata nel passato appare molto più pregnante rispetto alla situazione attuale (Progetto ‘80, piani della Cassa per il Mezzogiorno). Rispetto perfino alle esperienze di Progetto ‘80 e dei piani della Cassa per il Mezzogiorno, si riscontra un regresso sul piano della capacità di visioning di lungo termine delle strategie prefigurate sul piano della ricerca di coerenza al livello sovraregionale. Oggi, di fronte alle sollecitazioni della Comunità Europea indotte dalle reti TENs, che potrebbero rappresentare fasci complessi infrastrutturanti l‟armatura urbana complessiva del Paese, nonché indotte dalla CEP, che promuove un approccio olistico e proattivo al paesaggio inteso come sistema portatore di valori identitari alla scala comunitaria, non traspare in Italia – né a livello nazionale, né di Mezzogiorno – nessuna considerazione di merito tesa a concretizzare in forma di strategia spazializzata complessiva o 48

Come già osservato in Bevilacqua, Trillo, 2005.

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almeno di Macroarea Territoriale Sud Italia né la risposta programmata della dimensione territoriale rispetto alle singole sollecitazioni, né tantomeno la verifica di coerenza sui territori delle criticità prodotte dall‟intersezione tra rete dei flussi e rete dei paesaggi. Senza di ciò, parlare di dimensione territoriale ha poco senso. Nel Quadro Strategico Nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013, è mancata la volontà esplicita di portare a coerenza alla scala più corretta del policentrismo, dove il Mezzogiorno è una delle tante macroregioni della Unione Europea, le strategie regionali. Il progetto S.I.S.Te.M.A. non era menzionato come opzione strategica nemmeno, per assurdo, tra le azioni di sistema. Sebbene il QSN dichiarasse nelle prime pagine (pag. VII) come “Caratteri distintivi della politica regionale e precondizioni per la sua stessa efficacia sono l‘intenzionalità dell‘obiettivo territoriale e l‘aggiuntività. Sono i tratti che differenziano la politica regionale dalla politica ordinaria. Entrambe le politiche condividono l‘attenzione all‘articolazione territoriale, nell‘ambito di un respiro strategico nazionale”, nella pratica la dimensione territoriale era ben poco coltivata nel documento. Eppure le problematiche chiave avrebbero richiesto una chiara declinazione territoriale, in termini di integrazione tra istanze di pianificazione settoriale e correlazione con le strategie di programmazione. Valga per tutti l‟esempio delle problematiche relative alla logistica, pur esplicitamente richiamate nel QSN (pag. 21)49. “L‘economia del Mezzogiorno potrebbe ricevere un forte impulso da una migliore capacità di sfruttamento della sua collocazione geografica nel cuore del Mediterraneo. Una prima potenzialità per le regioni meridionali è costituita dall‘area balcanica. Il volume degli scambi con questa area, in larghissima parte connesso ad operazioni di decentramento internazionale della produzione (in particolare in Albania e in Romania), è limitato proprio dalla mancanza di collegamenti mareterra tra i porti dell‘Adriatico e le aree interne del Sud-Est Europa. Gli effetti di un consistente miglioramento delle vie di comunicazione sarebbero evidenti, il potenziale di commercio del Sud con i Balcani è infatti molto ampio. Alla domanda di trasporto generata dal commercio attuale e potenziale con il Mezzogiorno va aggiunta anche quella che potrebbe provenire da altre regioni del Mediterraneo, i cui commerci con i Balcani transitano attualmente lungo la direttrice da nord, scendendo dall‘Austria, da Sud attraverso la Grecia. Ulteriori vantaggi in termini di crescita potrebbero derivare anche dalla capacità di intercettare i traffici con i Paesi dell‘Estremo Oriente che attraversano il Mediterraneo, in concorrenza con gli altri porti dello stesso mare e del Nord Europa. Nel Sud Italia esistono casi rilevanti, non solo a livello nazionale ma europeo, di infrastrutture portuali (Gioia Tauro, Taranto) che fungono da piattaforme per scambi intercontinentali. Vi sono poi alcune infrastrutture importanti (interporti di Nola e Marcianise e progetto interporto di Salerno); manca tuttavia un vero e proprio sistema portuale e logistico ed una promozione non delle singole infrastrutture ma del sistema nel suo insieme. Anche per questo 49

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A causa della mancanza di integrazione all‟interno della dimensione territoriale, non è stata colta la correlazione tra le opportunità offerte dalla rete infrastrutturale per la logistica e l‟analisi delle dimensioni urbana e rurale del programma. Gli assi infrastrutturali e le piattaforme logistiche non sono quindi interpretati come corridoi integrati utili alla riorganizzazione dell‟armatura urbana, perdendosi conseguentemente traccia delle problematiche sulle politiche abitative quali fattori di riequilibrio dei costi di produzione – è chiaro che il costo delle abitazioni, gravando sul salario, incide in modo rilevante sul potere di acquisto; in questo senso l‟esperienza del piano di Amsterdam del ´39 è esemplare – e della mobilità delle persone (sganciare l‟armatura urbana dal sistema della logistica comporta, tra l‟altro, la perdita di correlazione tra localizzazione dei posti di lavoro e residenza; in questo senso l‟esperienza delle new town inglesi è paradigmatica, rielaborata nei suoi concetti cardine dal contemporaneo Smart Growth statunitense). A ciò si aggiunge che permane e non sembra affatto essere migliorata l‟incapacità pianificatoria che, al livello sia di area vasta che locale, si traduce nell‟assenza di quadri chiari di riferimento per la costruzione di strategie. Le carenze nel sistema di pianificazione del Mezzogiorno sono riscontrabili a tutti i livelli, sino alla scala locale50. In sintesi, due sono le carenze principali che nel contesto del Mezzogiorno inficiano la corretta declinazione del concetto di dimensione territoriale in un‟ottica comunitaria: - manca una vision spaziale strategica a livello nazionale e di macroregione, rendendo impraticabile la formulazione di strategie di scala regionale e locale che siano competitive in un contesto europeo; - il sistema di pianificazione territoriale nelle Regioni del Mezzogiorno è troppo fragile perché possa consentire un quadro di riferimento stabile per la programmazione, e il demandare alla

motivo il potenziale dell‘area appare in parte inespresso. Punti di forza del sistema portuale e logistico del Mezzogiorno sono la posizione geografica, dal know-how e dalle tradizioni marinare, i porti di transhipment e la volontà politica espressa dalle autorità competenti; vi si contrappongono la carenza di connessioni con le altre reti di trasporto, la scarsa cooperazione tra Autorità portuali, la frammentazione e scarsità di terminal nonché i tempi amministrativi, che rappresentano invece elementi di debolezza per il sistema‖. 50 Istituto Nazionale di Urbanistica, 2005, pag. 94.

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dimensione programmatoria la definizione delle strategie di piano ha accentuato questo limite. Figura 13 Stato della pianificazione comunale nel Sud Italia

Fonte: Rapporto dal territorio 2010, INU

Rispetto ai due nodi critici evidenziati, occorre un impegno cospicuo tanto alla scala nazionale, quanto a quella regionale/locale, soprattutto in vista di una maggiore focalizzazione locale delle politiche di sviluppo che saranno incardinate, per il prossimo ciclo di programmazione 2014-2020, sul concetto di Community-Led Local Development (CLLD). Per garantire coerenza e soliditĂ alle direzioni di sviluppo che saranno portate avanti dalle comunitĂ locali, diventa realmente importante colmare il gap che ancora separa il Mezzogiorno dal resto dâ€&#x;Europa nel campo della pianificazione territoriale, o meglio, dello spatial planning. Se costruire quadri di coerenza alla scala regionale e di macroregione solo come esito ex post di processi di sviluppo locale significa condannare i territori locali a soccombere nel sistema economico globale, allora occorre recuperare la dimensione dello spatial planning al livello nazionale e di Mezzogiorno. Le reali questioni strategiche richiedono la predisposizione di quadri di riferimento a garanzia (e non a limitazione) delle scelte di sviluppo delle Regioni. Occorre 93


sviluppare ulteriormente vision spazializzate di sviluppo così come il progetto S.I.S.Te.M.A. stava prefigurando, ponendole quale base per il coordinamento tra politiche infrastrutturali e politiche di sviluppo, allo scopo di evitare che la dimensione territoriale sconfini nella parcellizzazione di vision strategiche localistiche. È importante cogliere la scala giusta del policentrismo nella costruzione di strategie territoriali realmente competitive in settori cruciali, come la portualità commerciale e la logistica, costruendo quadri di riferimento condivisi a cui scala regionale e locale devono adeguarsi. Se programmare in presenza di sistemi di pianificazione eccessivamente flessibili equivale a cambiare continuamente le regole del gioco, scoraggiando l‟intervento del mercato, allora occorre consolidare il processo di pianificazione territoriale alla scala regionale, provinciale e locale, in modo da disporre di quadri spaziali stabili nell‟allocazione della spesa. L‟organizzazione del territorio non ammette scorciatoie, e il continuo relegamento delle attività di pianificazione alla sfera dei vincoli da eludere con meccanismi sempre più sofisticati di scardinamento sistematico del sistema di scelte condivise non giova affatto alla costruzione di scenari credibili di policy di sviluppo. L‟efficacia della programmazione passa per la fiducia in un sistema di regole d‟uso del territorio che si fondi su regole istituzionalizzate, e questo non ha niente a che vedere con una concezione autoritaristica dell‟emanazione delle scelte pubbliche, ma riguarda, invece, la chiarezza delle regole del gioco per una platea di interlocutori di scala almeno comunitaria. In questo modo, si potranno realmente cogliere le opportunità insite nella tutela dei valori comunitari, di cui alla CEP, e nell‟organizzazione del policentrismo alla scala di macroregione, Stato o aggregazione di Stati (polycentrism). In un testo della fine degli anni Settanta si leggeva: “Prioritariamente va posto in evidenza il peggioramento delle condizioni del Mezzogiorno negli ultimi venti anni dal punto di vista dell‘occupazione, dell‘emigrazione e di altri indicatori sociali pur in presenza di una politica di intervento straordinario; ed inoltre che le conseguenze della crisi economica che il Paese attraversa incideranno sulla occupazione massicciamente nel corso della seconda metà di quest‘anno e nel 1976 se non si avvia subito un processo di profonda ristrutturazione dell‘economia”51. 51

Cacace N. in Caputi, Forte, 1977, pag. 63.

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Figura 14 Livelli di sviluppo delle Regioni europee

Fonte: Eurostat, http://ec.europa.eu/regional_policy

A più di 30 anni, gli indicatori collocano ancora il Mezzogiorno in posizioni di retrovia rispetto al contesto europeo. Sarebbe un fatto positivo se non si dovessero attendere altri 30 anni per un‟inversione di rotta; sarebbe una responsabilità gravissima per tutta la comunità 95


scientifica impegnata nel supporto di efficaci strategie di sviluppo se tra 30 anni gli indicatori del Mezzogiorno dovessero trovarsi ancora al di sotto della media europea.

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THE TERRITORIAL DIMENSION AS CROSS-CUTTING LINKAGE AMONG DEVELOPMENT POLICIES, REGIONAL PLANS AND REGIONAL PROGRAMS

After a broad exploration of the development policies in Italy, widely illustrated by referring both to an exhaustive literature and to the main experiences on this topic – like as Cassa per il Mezzogiorno, Progetto ‟80, Progetto Sistema - and on the European Spatial Development Perspective - ESPD, the authors argue that the European push for a territorial approach in the development polices should be addressed in terms of “spatial planning” (as in the Faludi‟s definition), by focusing on the designed plan as a fundamental tool to guarantee cross-sectoral and multi-level strategies. In the Southern Italy context, by struggling with an approach which merely emphasizes either the socio-economic actors or the spatial limits of the growth, no solutions can be found to the problem unless a deep change is made both at the national and at the regional/ local level. At the Macro-Region level (South of Italy), i.e. under a national guidance, spatially-rooted strategies must be designed and pursued in order to assure a coherent asset of the Regions in the global context. At a regional and local level, efforts to improving ordinary planning tools have to be made in order to guarantee a strong linkage between territorial resources and development strategies.

TERRITORIAL DIMENSION AND DEVELOPMENT POLICIES

Development policy: origin and evolution After a short introduction to the regional science theoretical approaches, development policies in the South of Italy are considered in their historical evolution. “Progetto „80”: a first attempt at spatial planning The Project is considered a first attempt at spatial planning, by focusing on the so called QUADROTER (Territorial Framework for the Regional Policy) maps.

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The cohesion policy: towards the ESPD The evolution of the European Spatial Development Perspective (ESDP) is analyzed in the framework of the spatial planning theoretical approach. While at a European level the current trend emphasizes spatial strategy, Italy seems to ignore the spatial impact of development policies, as the QSN- Strategic National Framework 2007-2013 shows. This latter even disregards the “Sistema Project�, developed as tool for orienting the new programming financial period.

TERRITORIAL DIMENSION AND SPATIAL PLANNING

The territorial dimension of the UE policy The territorial dimension of the EU cohesion policy is demonstrated in the Faludiâ€&#x;s theoretical approach in terms of strategic spatial planning. At institutional level, some North European countries tend to enhance the strategic spatial planning process at a national level (as in the examples provided by the Netherlands, Ireland, Wales and Denmark) The territorial dimension in the recent Italian experience In the last programming financial cycle, the territorial dimension was realized by involving local stakeholders in the programming process, thus emphasizing the governance approach (the so called local development socio-economic approach). The authors believe that this approach hindered a cross-sectoral strategy. Furthermore, it relegated the landscape values to the last step of the process, while according to the European Landscape Convention (Florence, 2000), the physical dimension should be central in developing strategies. The challenge of the territorial dimension in the South of Italy: questions and perspectives The authors argue that by fostering the spatial planning approach at a national level some problems in the current strategies for the South of Italy could be overcome. Furthermore, ordinary planning tools should be emphasized to invigorating the attention to the physical dimension of the development policies.

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Parte seconda Part II





LA VALUTAZIONE DELLA DIMENSIONE TERRITORIALE COME RACCORDO TRA PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo

La seconda parte del testo mira a dimostrare, attraverso l‟applicazione dei concetti esposti a casi studio sviluppati dalle autrici sotto forma di active research attraverso la pratica professionale, come la dimensione territoriale possa divenire un vero e proprio strumento di raccordo tra pianificazione del territorio e programmazione delle politiche di sviluppo. A questo scopo, la seconda parte si articola in una prima sezione, in cui la valutazione delle politiche di sviluppo attivate nei cicli programmatori 2000-2006 e 2007-2013 in una regione del Mezzogiorno, la Campania, viene declinata attraverso la spazializzazione della spesa e il suo raccordo con le caratterizzazioni dei territori. La seconda sezione, invece, assume il paradigma concettuale dello spatial planning come criterio per analizzare le implicazioni sullo sviluppo dei territori che potrà avere il piano territoriale regionale della medesima Regione. In dettaglio, la prima sezione focalizza su tre esperienze valutative, la cui attualità è riconducibile all‟impianto metodologico ancora in tutto e per tutto utilizzabile anche ai fini della futura programmazione 2014-2020, ovvero: 1. La valutazione intermedia del programma operativo 20002006, che potrebbe rappresentare una traccia metodologica preziosa ai fini del ricalibramento degli attuali programmi operativi regionali 2007-2013 in corso; 2. La valutazione ex ante del Programma FESR 2007-2013; 3. La valutazione ex ante del Programma FEASR 2007-2013, che con la precedente potrebbero rappresentare, nella parte che concerne l‟utilizzo di strumenti per la spazializzazione della spesa, un‟utile indicazione per la valutazione ex ante dei programmi 2014-2020. In termini generali, il processo di valutazione del programma è costituito da quattro fasi in relazione all‟obiettivo e alla fase temporale del processo di programmazione (formulazione, attuazione, gestione). In particolare, la valutazione ex-ante supporta 101


la redazione del programma in modo che il risultato finale sia il migliore possibile. La valutazione intermedia consente di operare i mixed adjustment, ovvero i possibili cambiamenti di assestamento della strategia necessari per raggiungere gli obiettivi di sviluppo. L‟aggiornamento della valutazione intermedia contiene gli elementi necessari per avviare la futura programmazione in base alle lezione apprese. La valutazione ex-post, infine, contiene gli elementi di criticità del sistema che devono essere monitorati nella fase di attuazione del programma successivo. Sin dal ciclo programmatorio 2000-2006, la Commissione Europea ha introdotto un insieme di procedure che hanno dato via al cosiddetto metodo comunitario, consistente nel rispetto di alcuni requisiti ritenuti fondamentali per la traduzione operativa del principio di sussidiarietà, attraverso procedure di governance multilivello, e di efficacia ed efficienza degli investimenti pubblici, attraverso procedure di valutazione e di monitoraggio della spesa. L‟obiettivo precipuo era quello di confezionare programmi operativi rispondenti alle esigenze effettive del contesto territoriale e di facilitare le procedure di spesa attraverso regole chiare e condivise. A differenza della valutazione dei progetti, la valutazione dei programmi accompagna tutte le fasi di programmazione, acquisendo la valenza di valutazione strategica. Il processo di valutazione declinato dalla commissione europea, pertanto, consente a ciascuna amministrazione di operare in sintonia con il metodo comunitario, ma altresì consente di far crescere in ciascuna amministrazione regionale una coscienza critica capace di rispondere con più aderenza alla domanda di trasformazione espressa dalla società e dai territori. Le tre esperienze presentate come casi applicativi rientrano nella prima e nella seconda tipologia di valutazioni ed hanno sviluppato una domanda valutativa marcatamente orientata a cogliere la dimensione territoriale delle scelte programmatiche convergendo almeno su un punto essenziale ai fini della tesi del testo: l‟applicazione di un approccio metodologico fondato sulla spazializzazione della spesa e delle politiche di sviluppo risulta un passaggio obbligato rispetto all‟obiettivo di perseguire un adeguato raccordo tra pianificazione e programmazione dello sviluppo.

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L’ELABORAZIONE DELLA METODOLOGIA NEL RAPPORTO DI AGGIORNAMENTO DELLA VALUTAZIONE INTERMEDIA DEL POR CAMPANIA 2000-2006 Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo

La fase di Aggiornamento della Valutazione Intermedia prevista dall‟art. 42 del Regolamento (CE) 1260/99 aveva come obiettivo generale la costruzione di un quadro conoscitivo degli elementi performanti dei programmi operativi regionali, al fine di fornire raccomandazioni e indicazioni utili puntuali per la preparazione della futura programmazione comunitaria e costituire una fonte di elementi conoscitivi utili per la valutazione ex post del programma. Il disegno valutativo è stato costruito, in accordo con quanto suggerito dal working paper n°9, con una doppia ottica temporale, ovvero traendo dalla valutazione del POR in atto da un lato, gli spunti utili a correggerne eventuali errori di traiettoria ragionevolmente affrontabili ancorché in chiusura di questa fase di programmazione; dall‟altro, le lezioni che il programma in atto consente di elaborare per la futura fase relativa all‟arco temporale 2007- 2013. L‟impostazione generale del processo valutativo, difatti, parte dal presupposto che, in una fase intermedia di attuazione del programma, non è possibile apportare modifiche o aggiustamenti in corso d‟opera di carattere strutturale, che attengono cioè a esplicitazioni di cambiamenti di policy e di strategie di sviluppo. La valutazione si articola pertanto in due momenti: un primo momento dedicato alla valutazione del programma tout court , dove gli aspetti performanti del POR sono analizzati in funzione della capacità residua del programma stesso di perseguire gli obiettivi prefissati e/o aggiustati nella fase intermedia dell‟attuazione. La capacità residua è un indicatore di performance rappresentabile concettualmente come una funzione del comportamento del programma – nelle sue declinazione finanziarie per ciò che concerne la spesa, fisiche e di risultato per ciò che è stato effettivamente realizzato e prodotto - . Il secondo momento è dedicato alle raccomandazioni per la futura programmazione.

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Figura 15 Obiettivi del Rapporto di Aggiornamento di Valutazione Intermedia – POR Campania 2000-2006

-la capacità di spesa maturata al 31 ottobre 2005 vista anche in relazione a quella realizzata al 30 giugno 2003 -la capacità di associare alle attività di controllo e monitoraggio della spesa procedure di verifica della qualità degli investimenti attraverso il sistema degli indicatori di realizzazione, risultato e impatto

Rapporto di Aggiornamento della Valutazione intermedia

VALUTAZIONE DEL PROGRAMMA evidenziare gli aspetti performanti del programma in questo momento della sua attuazione

-la capacità del programma di rispondere alle priorità di sviluppo manifestate dal contesto regionale

• individuare il “peso” che l’azione POR ha avuto nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo e la complementarietà o sinergia del POR con gli altri strumenti programmatici

RACCOMANDAZIONI PER LA FUTURA PROGRAMMAZIONE 2007-2013 Ricostruzione strategica degli orientamenti politico-programmatici della Regione

• definire punti di forza e di debolezza di ogni settore in relazione al grado di perseguimento degli obiettivi prefissati nella fase di attuazione della programmazione regionale

•analizzare i settori alla luce dei nuovi documenti di indirizzo per la futura programmazione 20072013 (la politica di coesione e la nuova agenda di Lisbona)

-la capacità di problem analysis e problem solving maturata dalla struttura amministrativa nella gestione degli andamenti della spesa -la capacità di integrazione verticale e orizzontale maturata ai diversi livelli di governance

Fonte: elaborazione NVVIP

La logica che caratterizza il processo valutativo del programma riguarda l‟attribuzione agli aspetti performanti di un valore che sappia interpretare la capacità residua del programma stesso di concludere con successo la sua attuazione. Per individuare in termini anche quantitativi la capacità residua del programma si è ricorso al concetto di sostenibilità, intesa come misura del livello di perseguimento attuale e potenziale degli obiettivi finanziari, fisici, di risultato e di impatto prefissati del programma.

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L‟impostazione metodologica generale è costruita secondo tre concetti di sostenibilità: 1. la sostenibilità della spesa residua programmata (SP); 2. la sostenibilità della capacità residua di perseguire i risultati attesi rispetto alle realizzazioni attivate (SOf e SOr); 3. la sostenibilità della capacità attuativa del programma di poter perseguire gli obiettivi generali di sviluppo prefissati (SPo). La prima parte del rapporto si chiude con un capitolo contenente raccomandazioni di fine periodo. L‟obiettivo è quello di fornire suggerimenti e indicazioni per rendere la gestione e l‟attuazione del programma coerenti con le previsioni di spesa a fine programma. Si tratta ovviamente di suggerimenti non di carattere strutturale e strategico in quanto si presuppone che le scelte strategiche effettuate abbiano, in questo momento dell‟attuazione del programma, raggiunto livelli di solidità procedurale. Possibili contributi sulle strategie sono stati riportati nella seconda parte del Rapporto, dove la valutazione della performance del programma è stata rapportata al quadro complessivo delle strategie di sviluppo regionale. Il processo di valutazione è stato arricchito con l‟analisi di alcuni aspetti importanti del programma, attraverso due approfondimenti tematici inerenti ai Progetti Integrati, per la loro valenza innovativa, sia procedurale che strategica, e allo Sviluppo rurale per l‟ottima performance finanziaria registrata. Le indicazioni metodologiche desunte dal European Spatial Development Perspective, volte ad orientare il concetto di qualità spaziale che discende dalle azioni di sviluppo del territorio e fondate su assunti interpretativi innovativi quali il modello policentrico e il modello integrato urbano- rurale, formano parte integrante dell‟apparato conoscitivo che si è assunto a riferimento. L‟approccio metodologico ha sviluppato una domanda valutativa marcatamente orientata a cogliere la dimensione territoriale delle scelte programmatiche, in dettaglio prendendo in analisi: - i Progetti Integrati, per i quali è stato sviluppato un progetto di spazializzazione degli investimenti pubblici consistente nella georeferenziazione degli interventi programmati, attivati e realizzati attraverso la progettazione integrata; 105


-

i progetti realizzati a valere sulle risorse FEOGA, per le quali è stato sviluppato un progetto di spazializzazione degli investimenti finalizzato a verificare la collimanza tra politiche attivate e caratteristiche territoriali . La necessità di dotare la struttura del NVVIP della Regione Campania di strumenti finalizzati all‟approfondimento delle analisi spaziali alla scala regionale e locale si è posta sin dalla prima esperienza di valutazione di programma affrontata. Le indicazioni dell‟Unione Europea già sottolineavano quanto fosse imprescindibile l‟analisi spaziale nel supportare la definizione delle politiche. L‟opportunità di occuparsi del Rapporto di Valutazione Intermedia per il POR 2000-2006 è stata colta pertanto anche per mettere a punto una metodologia capace, sia pur con le modeste risorse di partenza, di supportare il processo valutativo in questa direzione. Sin dal 1999, anno in cui fu siglato dagli allora ministri comunitari il documento ESPD (European Spatial Development Perspective), si pose quale assunto di base che l‟approccio spaziale alle politiche potesse contribuire ad una migliore, meno costosa e più efficiente implementazione delle politiche stesse, valendo naturalmente anche l‟opposto, ovvero che, in assenza di un approccio spaziale alle politiche di intervento ed in mancanza di coordinamento spaziale e di una prospettiva spaziale di sviluppo, sussistesse il reale pericolo che gli interventi risultassero contraddittori, inefficienti e più costosi. Il radicamento al territorio dei criteri di qualità spaziale, che possano garantire che i processi di crescita economica si traducano in sviluppo qualitativo, richiede il ricorso a quadri di riferimento fisici, che mettano in condizione di gestire, alla scala regionale, le necessarie sinergie intersettoriali (trasporti, ambiente, reti urbane e produttive) tra i tematismi oggetto delle singole politiche di sviluppo, e, alla scala extra regionale, le relazioni e le connessioni dei processi innescati. Ciò implica da un lato una completezza del quadro conoscitivo che si fondi su dati georeferenziati, dall‟altro la prefigurazione di scenari fisici che consentano di indirizzare la programmazione delle risorse, così da renderla effettiva azione di governo del territorio regionale, sia al suo interno, sia nelle sue relazioni con il contesto esterno in modo da garantirne la competitività alla scala globale. A tal fine, si è ritenuto che la spazializzazione della spesa fondata su tecniche di GIS fosse un imprescindibile passaggio verso una migliore efficacia 106


della spesa stessa. Lo sforzo elaborativo del GIS per la valutazione di programma scaturisce innanzi tutto dall‟esigenza di correlare i dati di base alle questioni da valutare, nell‟intento di approfondire la rispondenza della spesa per lo sviluppo ai bisogni del territorio. Pertanto, il GIS è stato inizialmente costruito a partire da banche dati sia statistici (dati demografici, dati socio- economici, dati ambientali), che finanziari (risorse programmate). La prima applicazione metodologica è stata effettuata dell‟ambito del RAVI 2000-2006 e si è concentrata sui due tematismi- pilota sopra citati: i Progetti Integrati e le aree rurali, costruendo pertanto banca dati della spesa (programmata e realizzata) articolata, per quanto riguarda i primi, per tipologie di PI e per tipologie di intervento, mentre per quanto riguarda le seconde, per misure e per obiettivi. L‟esperienza applicativa ha dimostrato l‟utilità del GIS soprattutto per facilitare la valutazione della coerenza interna ed esterna delle politiche e dei piani, nonché l‟orientamento delle strategie verso un approccio di tipo più o meno distributivo. In questo senso il GIS costruito si configura come strumento per un maggiore coordinamento tra programmazione e pianificazione alla scala regionale e locale, nonché come strumento per un maggiore coordinamento tra gli strumenti di programmazione e pianificazione alla scala interregionale. I progetti integrati nel POR 2000-2006 rappresentavano già una forma di programmazione territorializzata; per essi il GIS è stato utile soprattutto ad effettuare: -nella fase ex ante, verifica di coerenza interna della programmazione e verifica di coerenza tra programmazione e pianificazione -nella fase in itinere/ ex post, verifica di prevalenza di linee strategiche distributive/ competitive. Gli interventi per lo sviluppo delle aree rurali del POR 2000-2006, invece, non erano stati allocati preventivamente con modalità territoralizzata; pertanto, per essi è stata verificata la differenziazione di risposta dei territori alle sollecitazioni indotte dalla spesa programmata in maniera indifferenziata, nonché la coerenza tra azioni attivate e scelte dichiarate. I due temi pilota sviluppati all‟interno del RAVI attraverso una metodologia che facesse perno sull‟implementazione del GIS ne hanno dimostrato l‟utilità, rispetto ad una migliore comprensione 107


delle dinamiche territoriali connesse alla spesa, con conseguente innalzamento della qualità delle indicazioni tecniche che è possibile elaborare a supporto delle scelte politiche. L‟esperienza pilota del RAVI ha inoltre indotto a ritenere più funzionale un approccio di tipo modulare all‟implementazione del GIS per la programmazione, rispetto a quello di un‟articolazione troppo rigida capace di dispiegare la sua piena operatività non nell‟immediato. A partire da questa constatazione, si è compreso come la metodologia potesse essere utilizzata con un ruolo centrale nel processo valutativo, gettando le basi per una sua più pregnante applicazione nelle successive esperienze di valutazione. Si è altresì compresa l‟importanza di implementare gli indicatori di risultato con GIS, e di correlarne l‟andamento nel tempo con la spesa realizzata, ottenendo l‟impostazione concettuale della metodologia successivamente implementata nel processo di Valutazione Ex Ante del FESR e del FEASR che sarà descritta nei paragrafi successivi. Le potenzialità che si sono intuite con l‟esperienza del 2000-2006 sono applicabili a diversi ambiti. Ad esempio, la correlazione mediante GIS degli indicatori ambientali e della spesa programmata potrebbe rendere maggiormente esplicite e comunicabili le elaborazioni di cui alla Valutazione Ambientale Strategica. La correlazione tra grafo della rete infrastrutturale e investimenti programmati potrebbe consentire di evincere il presumibile carico aggiuntivo sulle reti indotto dalle nuove localizzazioni attese, non solo di opere pubbliche ma anche private. Infine, una maggiore consapevolezza della dimensione spaziale delle politiche fornirebbe un valido supporto alla definizione degli obiettivi di sviluppo che richiedono un orizzonte sovraregionale, che consideri la Regione un sistema aperto all‟interazione con i territori contermini, in una prospettiva trans-scalare e multilivello aperta nella piena applicazione del concetto di spatial planning. Le sottosezioni successive illustrano i dettagli dell‟applicazione della metodologia nei due casi-pilota.

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Il caso-pilota dei Progetti Integrati Carmelina Bevilacqua

La prima verifica della metodologia ha avuto ad oggetto i Progetti Integrati (PI) finanziati dal POR Campania 2000-2006. I PI hanno interessato la quasi totalità del territorio e della popolazione della Campania ed erano riconducibili a cluster tematici, ovvero: - PI riconducibili alla tematica della valorizzazione del Beni Culturali: PI Grandi Attrattori e PI Itinerari Culturali; - PI riconducibili alla tematica della valorizzazione dei beni ambientali: PI Parchi Nazionali e PI Parchi Regionali; - PI riconducibili alla tematica dello sviluppo delle aree industriali: PI Distretti Industriali e PI Sistemi Locali di Sviluppo; - PI riconducili alla tematica dello sviluppo turistico: PI sistemi turistici; - PI riconducibili alla tematica dello sviluppo delle aree urbane: PI Città. Sono quindi indicativi dell‟impostazione strategica che si è voluta dare pressoché all‟intero territorio regionale. Allo scopo di ricostruire la vision delle diverse strategie nelle varie parti di territorio che la fase programmatoria ha nei fatti delineato, si è dunque verificata la distribuzione delle risorse per tipologia di approcci strategici facendo riferimento ai quattro temi dell‟ambiente, del turismo, dell‟industria e delle aree urbane. La figura 161 mostra le sovrapposizioni tematiche sugli stessi ambiti territoriali. In dettaglio, si è attribuito un cromatismo verde scuro ai territori interessati solo ed esclusivamente da PI ambientali, ovvero relativi ai parchi nazionali e regionali finanziati prevalentemente a valere su risorse dell‟Asse I (misure 1.9, 1.10 e 1.11). Si è attribuito il colore viola ai territori interessati solo ed esclusivamente da PI industriali, ovvero relativi ai sette distretti industriali individuati dalla Regione e ai sistemi locali di sviluppo, finanziati prevalentemente a valere su risorse dell‟asse IV (misure 4.1, 4.2 e 4.3). Si è attribuito il colore giallo ai territori interessati solo ed esclusivamente da PI volti all‟accoglienza turistica, includendo in questa tipologia sia i PI turistici (asse IV, misure 4.5, 4.6 e 4.7), sia i PI finalizzati alla valorizzazione delle risorse culturali (asse II, misure 2.1, 2.2 e 2.3), Le tavole sono state elaborate dall‟arch. Carmelina Bevilacqua con gli arch. Elena Pagliuca e Valentina Todesco. 1

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accomunabili dagli indicatori di risultato. Le cromie ulteriori (verde chiaro, verde acido e rosso) si riferiscono alla sovrapposizione tra i tre tematismi sopra indicati, e risultano chiarite all‟interno della matrice in legenda (rosso: area interessata da PI a contenuto turistico e da PI a contenuto industriale; verde chiaro: area interessata da PI a contenuto turistico e da PI a contenuto ambientale; verde oliva: area interessata da PI a contenuto turistico e da Pi a contenuto industriale; marrone: area interessata contemporaneamente dalle tre tipologie di PI). Figura 16 RAVI 2000-2006 Campania – Sovrapposizione delle aree tematiche configurate dai PI

Fonte: elaborazione NVVIP

La rappresentazione della spesa spazializzata sollecita riflessioni utili alla valutazione. A commento della rappresentazione, si può assumere come fattore distorcente delle logiche di concentrazione la compresenza di due o addirittura più impostazioni strategiche sui medesimi territori, per quelle attività che non presentino caratteri sinergici. La compresenza di PI ambientali e turistici può rappresentare infatti per i territori interessati un‟occasione di maggiore slancio, laddove la rete ecologica venga messa a sistema 110


con gli obiettivi della ricettività e della valorizzazione dei beni del territorio. In altri casi la compresenza di vocazioni la cui sinergia risulta meno immediata richiede un approfondimento sulla declinazione dei tematismi prescelti. Si evidenzia ad esempio come la vera e propria armatura industriale della regione (il colore viola) si concentri all‟interno o immediatamente a ridosso del pentagono disegnato dai cinque capoluoghi, contraddicendo gli sforzi di decongestionamento del territorio e di bilanciamento mediante poli di sviluppo nelle aree interne. I due distretti situati nelle aree interne risultano infatti ambiguamente divisi tra vocazione industriale e vocazione ricettiva. L‟osservazione potrebbe risultare rovesciata se il ragionamento fosse accompagnato da una riflessione sulle identità industriali di detti territori. Infine, è interessante notare come (fatti salvi ovviamente i territori a chiara vocazione turistica come la Penisola Amalfitana e Sorrentina e le isole del Golfo di Napoli) territori dall‟incerta identità coltivino l‟obiettivo dello sviluppo turistico quasi come ipotesi residuale (evidentemente, si sconta in parte anche l‟assenza dell‟obiettivo dello sviluppo rurale nella progettazione integrata). L‟elaborazione di cartografie attraverso il GIS ha consentito altresì di valutare la distribuzione territoriale delle risorse pubbliche e private che definiscono il progetto integrato e la dimensione media degli interventi infrastrutturali. Ulteriori analisi evidenziano: - la concentrazione delle risorse complessive programmate (Figura 17) - la concentrazione delle risorse complessive spese (Figura 18) - la dimensione media degli investimenti programmati e spesi (Figura 19). Attraverso l‟osservazione delle tavole, si è immediatamente potuto constatare come in termini di spesa vi fosse un sostanziale equilibrio distributivo sull‟intera Regione. Osservazione complementare a questa è stata che la dimensione media degli interventi risultava poco convincente. Procedendo a verificare l‟allocazione degli interventi per tipologie, si sono rappresentate le tre seguenti classi di interventi: - interventi puntuali: recupero e restauro dei singoli beni architettonici, riqualificazione dei centri storici, centri di servizio alle imprese, centralità urbane, infrastrutture sociali (Figura 20); 111


-

interventi di connessione lineare: interventi di collegamento a servizio delle aree turistiche, interventi di connessione per la fruizione turistica (sentieri), interventi di collegamento viario a servizio di aree produttive, mobilità urbana (Figura 21); - interventi su aree di interesse ambientale, urbano e industriale: recupero dei centri storici a valenza turistica, riqualificazione dell‟ambiente e del paesaggio costruito, infrastrutture di aree produttive, riqualificazione urbana (Figura 22). Raffrontando le tavole che rappresentano le risorse programmate e quelle spese, si desumeva che le categorie di interventi che hanno manifestato una maggiore rapidità di spesa sono state quelle relative alla riqualificazione dei centri storici e al restauro, nonché alla realizzazione di infrastrutture sociali, tutte tipologie che presentano una notevole frammentazione. Tuttavia, non vi è nesso tra frammentazione di risorse e rapidità di spesa: difatti, anche gli interventi di connessione per la fruizione turistica e quelli di recupero dei centri storici a valenza turistica sono stati altrettanto frammentati ma presentano uno scarto notevole nel passaggio dalla programmazione alla spesa. Molto frammentata appare la distribuzione degli interventi di infrastrutturazione delle aree produttive all‟interno dell‟area a programmazione esclusivamente industriale (colore viola), mentre una maggiore concentrazione degli interventi si è registrata nei due distretti periferici. Del tutto residuali risultano infine i centri di servizio alle imprese e gli interventi di collegamento a servizio delle aree turistiche e produttive.

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Figura 17 RAVI 2000-2006 Campania – Concentrazione delle risorse complessive programmate (complessivamente e per tematismi omogenei) Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 18 RAVI 2000-2006 Campania – Concentrazione delle risorse complessive spese alla data del RAVI (compl. e per tematismi omogenei) Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 19 RAVI 2000-2006 Campania – Dimensione media degli investimenti programmati e spesi alla data del RAVI

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 20 RAVI 2000-2006 Campania – Interventi puntuali (risorse programmate e spese alla data del RAVI)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 21 RAVI 2000-2006 Campania – Interventi lineari (risorse programmate e spese alla data del RAVI)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 22 RAVI 2000-2006 Campania – Interventi areali (risorse programmate e spese alla data del RAVI)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Il caso-pilota delle aree rurali Claudia Trillo

Una seconda verifica della metodologia costruita ha avuto ad oggetto il tema dello sviluppo delle aree rurali nell‟ambito del POR Campania 2000-2006. In questa caso, grazie all‟applicazione del GIS, si è potuta meglio approfondire la diversa risposta delle aree rurali della Regione alle sollecitazioni indotte dal POR. Le tavole2 rappresentano la distribuzione territoriale degli investimenti a valere sul FEOGA (risorse impegnate e risorse spese), assumendo come proxi del dinamismo delle diverse parti di territorio rispetto all‟obiettivo dello sviluppo delle aree rurali la concentrazione della spesa FEOGA, sia in termini complessivi di spesa relativamente all‟obiettivo dello sviluppo delle aree rurali, sia in termini di spesa relativamente ai sotto-obiettivi del miglioramento, dello sviluppo rurale e dell‟ambiente. L‟aggregazione delle risorse per obiettivi ha tenuto conto della tripartizione classica della strategia per lo sviluppo delle aree rurali, che fa riferimento agli obiettivi indicati dal POR 2000-2006 (“miglioramento della competitività dei sistemi agricoli ed agroindustriali in un contesto di filiera” e “sostegno allo sviluppo dei territori rurali e valorizzazione delle risorse agricole, ambientali e storico- culturali”, nonché all‟obiettivo della valorizzazione ambientale, assumendo quale utile riferimento il “Rapporto di Valutazione del QCS: approfondimento sullo sviluppo rurale “ (Fanfani e Cazzato, 2005). Le risorse sono state altresì rapportate sia alla popolazione residente (finanziamento pro-capite) sia alla SAU comunale (finanziamento per ettaro di SAU). Per quanto attiene il tentativo di territorializzazione degli indicatori di contesto, a puro titolo di confronto, si è riportata una tavola che rappresenta la spazializzazione dell‟indicatore relativo al trend demografico 20012004. La concentrazione delle risorse impegnate FEOGA complessive è stata assunta come proxi della dinamicità delle diverse aree in relazione all‟obiettivo globale dello sviluppo delle aree rurali (tavola relativa alle risorse FEOGA complessive); la concentrazione delle risorse aventi ad obiettivo il miglioramento e delle risorse aventi ad obiettivo lo sviluppo rurale rispettivamente come proxi della 2

Le tavole sono state elaborate dall‟arch. Claudia Trillo con l‟arch. Elena Pagliuca.

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dinamicità delle diverse aree rispetto ai sotto-obiettivi del miglioramento aziendale e dello sviluppo del territorio rurale in senso stretto. Verificando la distribuzione totale delle risorse FEOGA sul territorio regionale il beneventano evidenzia un dinamismo marcatamente superiore alle altre province. Si evidenzia inoltre una dinamicità interessante nella Piana del Sele e nelle zone interne che abbracciano l‟arco montano dalla C.M. del Titerno a quella dell‟Alta Irpinia. Come si evince dalle tavole in cui le misure sono suddivise per sotto-obiettivi, si comprende come la Piana del Sele derivi il suo dinamismo dalle misure di miglioramento (come è ovvio anche date le limitazioni di attuazione di alcune misure nonché i fattori di contesto legati alle realtà aziendali locali), mentre l‟arco montano già citato manifesta un discreto dinamismo rispetto ad entrambi gli obiettivi. Si deve sottolineare che tra le tavole delle risorse ammesse a finanziamento e quelle spese la differenza è generalmente molto lieve, osservazione che si correla ovviamente a quella dell‟efficienza della spesa FEOGA (Figura 23). Pertanto, per maggiore concisione vengono riportate solo le tavole relative alla spesa ammessa, allorquando le considerazioni espresse valgono ugualmente per la spesa effettuata. Rapportando la spesa totale alla popolazione residente, emerge chiaramente come le aree dell‟Alto Tammaro e del Fortore manifestino un dinamismo superiore alle altre, e dimostrino anche una maggiore rapidità di spesa (Figura 24). Rapportando la spesa totale alla SAU comunale, le buone performance del beneventano si evidenziano ulteriormente, mentre si accentua lo scarso dinamismo di altre aree, in particolare di quella cilentana (Figura 25). Analizzando i territori in funzione dei sotto-obiettivi strategici, si evidenziano buone performance dei territori già citati, mentre si deve di nuovo registrare uno scarso dinamismo da parte dell‟area cilentana, in particolare rispetto all‟obiettivo dello miglioramento ma anche (sebbene in misura minore) rispetto a quello dello sviluppo rurale (Figure 26, 27, 28). A fronte di queste osservazioni, alcune indagini di campo svolte nello studio specialistico si sono poste l‟obiettivo di approfondire le ragioni della diversità di comportamento dei territori. In particolare 4 focus group sono stati effettuati su gruppi di comunità montane allo scopo di evidenziare possibili fattori correlati al diverso livello di dinamismo delle aree. 120


Pare che la filiera istituzionale abbia svolto un ruolo trainante di particolare importanza in quei territori in cui la spesa ha manifestato maggior dinamismo. Inoltre, i focus svolti presso le Comunità Montane di Alto Tammaro e Fortore hanno evidenziato il ruolo di animazione svolto dai tecnici privati. Per contro, i focus svolti presso la Comunità Montana Alento Monte Stella ha evidenziato una serie di problematiche della filiera amministrativo- istituzionale (mancanza di funzionamento di sportello unico, scarsa attitudine alla gestione associata di servizi tra i comuni, scarsa attività di animazione svolta dall‟Ente Parco). Si sottolinea dunque l‟utilizzo del GIS come strumento utile durante il processo di valutazione, in relazione soprattutto alla possibilità di elaborazione integrata su base territorializzata di svariate informazioni, consentendo la tempestività nell‟impostazione degli ulteriori approfondimenti di campo (focus group) più appropriati. Si evidenzia infine come, dall‟analisi condotta rappresentando con il GIS gli indicatori di contesto e confrontandoli con le tavole dell‟allocazione della spesa effettuata alla data del RAVI, emerge che nelle aree interne interessate da trend demografici in crescita si registra anche un maggior dinamismo in termini di spesa rispetto all‟obiettivo dello sviluppo rurale (Figura 30). E‟ evidente che come non è sensato proporre correlazioni tra spesa in corso ed indicatori di impatto, è altrettanto improponibile una lettura in termini di correlazione tra spesa relativa all‟obiettivo dello sviluppo rurale e andamenti demografici, assumendo questi come indicatori utili a monitorare gli impatti. L‟accostamento ha pertanto valore dimostrativo di una metodologia di valutazione che, operando su indicatori spazializzati, mira a rendere immediatamente leggibili gli andamenti degli indicatori del programma sia tra di loro che rispetto alle variabili di contesto. Infine è stata rappresentata la concentrazione della spesa relativamente al sotto-obiettivo dell‟ambiente. Questo terzo obiettivo è stato collocato sullo sfondo, in quanto è di fatto trasversale a qualsiasi misura concernente lo sviluppo rurale, mentre risulta coltivato in modo specifico a valere su numerose misure che non hanno ad obiettivo lo sviluppo dei territori rurali. Le misure POR volte allo sviluppo rurale con specificità ambientale sono la 1.3, la 1.4 e la 4.17. Quest‟ultima si articola in una componente a finalità prettamente di tutela ambientale, ed in un‟altra che rientra più 121


propriamente nell‟obiettivo del miglioramento. Tuttavia, nella pratica la misura si riferisce alla sola componente ambientale. Tale valutazione all‟epoca del RAVI è stata intesa come dinamica, assumendo che qualora nel prosieguo dell‟attuazione la misura avrebbe manifestato la presenza di una componente di miglioramento, nei successivi stadi della valutazione la sua collocazione avrebbe dovuto essere rivista. A differenza delle misure precedentemente analizzate, si deve sottolineare la maggiore concentrazione territoriale delle risorse avvenuta nell‟attuazione delle misure ambientali, a fronte di un non minore ammontare di risorse ad esse destinate (e spese). Si sottolinea infatti come le risorse per lo sviluppo delle aree rurali siano equamente distribuite tra i tre obiettivi di ambiente, sviluppo del territorio e miglioramento, e tale equilibrata allocazione di risorse si conservi anche nel corso dell‟attuazione del programma. Figura 23 Risorse FEOGA complessive (interventi ammessi a finanziamento alla data del RAVI)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 24 Risorse FEOGA complessive (interventi finanziati alla data del RAVI)

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 25 Risorse FEOGA complessive/ popolazione residente

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 26 Risorse FEOGA complessive/ SAU

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 27 Risorse FEOGA in misure specifiche (a)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 28 Risorse FEOGA in misure specifiche (b)

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 29 Risorse FEOGA in misure specifiche (c)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 30 Variazione percentuale popolazione residente

Fonte: elaborazione NVVIP

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L’APPLICAZIONE DELLA METODOLOGIA ALLA VALUTAZIONE EX-ANTE DEL POR FESR 2007 – 2013 Carmelina Bevilacqua

Per il periodo 2007-2013 la politica di coesione ha manifestato una diversa propensione al cambiamento: nei documenti preparatori, infatti, si evinceva con chiarezza che il contributo allo sviluppo durevole avrebbe dovuto essere più tangibile ed attuarsi con operazioni di concentrazione finanziaria a garanzia della competitività del sistema territoriale. Le priorità riportate negli Orientamenti Strategici Comunitari riportate di seguito, richiedevano che l‟intervento pubblico fosse capace di “stimolare il potenziale di crescita, in modo da ottenere e mantenere elevati tassi di crescita, anche affrontando le lacune nelle infrastrutture fondamentali e rafforzando la capacità istituzionale e amministrativa‖. - rendere più attraenti gli Stati membri, le regioni e le città migliorando l‟accessibilità, garantendo una qualità e un livello adeguati di servizi e tutelando l‟ambiente, - promuovere l‟innovazione, l‟imprenditorialità e lo sviluppo dell‟economia della conoscenza mediante lo sviluppo della ricerca e dell‟innovazione, comprese le nuove tecnologie dell‟informazione e della comunicazione, - creare nuovi e migliori posti di lavoro attirando un maggior numero di persone verso il mercato del lavoro o l‟attività imprenditoriale, migliorando l‟adattabilità dei lavoratori e delle imprese e aumentando gli investimenti nel capitale umano. La strategia comunitaria mirava con chiarezza ad esaltare il ruolo della conoscenza nella eliminazione delle disparità non solo tra regioni europee, ma anche e soprattutto all‟interno di ogni singola regione. Ciò era rimarcato dall‟importanza della dimensione territoriale della politica di coesione: a livello locale gli orientamenti strategici “dovrebbero tener conto delle necessità in termini di investimenti sia nelle aree urbane sia in quelle rurali, in ragione dei ruoli rispettivi nello sviluppo regionale e al fine di promuovere uno sviluppo equilibrato, comunità sostenibili e l‘inclusione sociale‖. A livello operativo, la formazione della nuova programmazione è stata scandita dallo spacchettamento dei Fondi comunitari (FESR, FEASR, FSE) in altrettanti programmi, ciò, ovviamente, ad esaltare la loro operatività, se presi singolarmente e il 127


loro carattere fortemente correlato, se presi nel loro insieme. In tal modo l‟efficacia della politica di sviluppo regionale avrebbe dovuto essere garantita da un documento unitario (il Documento Strategico Regionale) che avrebbe dovuto disegnare la strategia complessiva per lo sviluppo e la competitività del sistema regionale consentendo, pertanto, l‟uso unitario delle fonti di finanziamento FAS e Comunitarie. Gli elementi fondanti la strategia regionale definita nel DSR avrebbero dovuto riferirsi ad una spinta effettiva all‟intersettorialità, non solo progettuale, ma anche e soprattutto di governo del territorio, che garantisse la concentrazione finanziaria sul territorio di interventi settoriali per il raggiungimento di un più elevato grado di competitività dell‟intero sistema territoriale regionale. Le condizioni che garantiscono il raggiungimento di tale obiettivo riguardano la risoluzione di problematiche emergenziali quali i rifiuti, i rischi ambientali e tecnologici, la sicurezza/legalità, il livello di scolarizzazione e la dispersione scolastica. Accanto, quindi, all‟intersettorialità come modus operandi nell‟ambito dell‟attività di programmazione, l‟elemento che rende effettiva la strategia è la reale aderenza al contesto che necessita di una conoscenza finalizzata all‟azione pubblica sul territorio e, quindi, di una diversificazione degli interventi a seconda delle caratteristiche e delle risposte che i territori danno ai problemi di sviluppo. In relazione ai principi generali precedentemente enucleati, la struttura del rapporto segue, nei contenuti, un‟impostazione metodologica basata sulla configurazione di un framework modulare, i cui moduli di valutazione si accendono progressivamente in relazione all‟obiettivo operativo che ciascuna fase di programmazione deve raggiungere. Il framework è quindi strutturato su 5 moduli corrispondenti a cinque obiettivi declinabili come segue: 1. Rilevanza della strategia Tale obiettivo definisce due tematiche di valutazione, la prima riguarda l‟aderenza dell‟analisi socio-economica al contesto, condotta attraverso il livello di approfondimento settoriale e territoriale della situazione socio-economica della Regione, seguendo anche gli input di approfondimento suggeriti dalle lezione apprese della precedente programmazione (aggiornamento della valutazione intermedia). L‟output valutativo di questa prima tematica di 128


valutazione riguarda il corretto processo di identificazione dei bisogni, con il supporto anche del partenariato. La seconda tematica riguarda la rispondenza della strategia ai bisogni identificati. I linkage dell‟impianto strategico con l‟analisi socio-economica sono indagati secondo due direttrici: la prima attiene alla valutazione della validità della SWOT costruita come strumento di articolazione propositiva dei bisogni identificati, la seconda attiene alla verifica dell‟esistenza di un‟interfaccia programmatica tra analisi socio-economica e strategia individuata. 2. Consistenza della strategia Tale obiettivo è anch‟esso strutturato secondo due tematiche di valutazione. La prima riguarda la logica della strategia, condotta attraverso l‟individuazione della teoria e della motivazione alla base della strategia che hanno, da un lato, ispirato la costruzione dell‟impianto strategico e, dall‟altro, giustificato il ricorso all‟uso degli investimenti pubblici. L‟output valutativo di questa prima tematica di valutazione riguarda la corretta individuazione degli obiettivi del programma. La seconda riguarda la coerenza interna della strategia, che ha come obiettivo, da un lato, la valutazione della possibile complementarietà degli assi nel raggiungimento degli obiettivi del programma (ovvero, come ciascun asse contribuisce al raggiungimento degli obiettivi del programma), dall‟altro, la valutazione della corretta consequenzialità logica tra asse, obiettivi specifici, obiettivi operativi e attività. 3. Coerenza esterna della strategia Tale obiettivo è indirizzato alla comprensione di come il Programma è stato costruito in coerenza con gli indirizzi programmatici stabiliti a livello comunitario e nazionale. In particolare, si fa riferimento, per quanto riguarda il livello comunitario, agli Orientamenti Strategici Comunitari, alla Strategia di Lisbona, e, per quanto riguarda il livello nazionale, al documento programmatico del QSN (Quadro Strategico Nazionale). Tale obiettivo è inoltre indirizzato alla verifica della complementarietà e sinergia con gli altri programmi nazionali e regionali. In tale ambito è affrontata anche la valutazione della misura in cui sono stati recepiti i 129


risultati della VAS e della misura in cui è stato considerato il principio delle pari opportunità. 4. Risultati ed impatti attesi (efficacia della strategia) Tale obiettivo è finalizzato alla comprensione della correttezza della scelte programmatiche in relazione alla gerarchia degli obiettivi derivante dall‟allocazione delle risorse programmatiche. Tale valutazione richiede che siano stati identificati e quantificati sia come baseline che come valore atteso (target), gli indicatori di realizzazione, di risultato e di impatto. Inoltre, richiede che sulla base degli obiettivi del programma, sia stata effettuata una stima degli impatti del programma in termini di creazione di nuovi posti di lavoro e/o di opportunità di lavoro. 5. Sistemi di attuazione (sostenibilità ed efficienza della strategia) Tale obiettivo è finalizzato alla valutazione dell‟efficienza del sistema di attuazione, secondo le tre fasi che caratterizzano l‟attuazione di un programma, ovvero gestione, monitoraggio e valutazione. In tale contesto è molto importante evidenziare i rischi implementativi, legati cioè ai possibili impedimenti e strozzature burocratiche che potrebbero rallentare l‟attuazione del Programma, sulla base soprattutto degli ostacoli riscontrati e diagnosticati nella fase di attuazione del precedente programma. In aggiunta ai cinque moduli descritti, il framework della VEA contiene un modulo di orientamento generale al processo valutativo, costituito dall‟analisi del DSR, che ha come output valutativo finale la strutturazione di uno schema strategico, configurante l‟assetto complessivo della politica di sviluppo regionale formulata attraverso l‟individuazione delle quattordici scelte strategiche. Il Documento Strategico Regionale individua nell‟apertura verso il Mediterraneo il nodo strategico del rilancio dello sviluppo della Regione Campania. Nella consapevolezza che nei processi di globalizzazione in atto, non ci si può esimere dal predisporre una strategia ―aperta‖, capace di rappresentare un punto di riferimento tanto alla scala locale tanto a quella globale, il DSR evidenzia quale direttrice di intervento strategica l‟interconnessione al sistema delle reti europee per la messa a punto di una grande piattaforma logistica integrata nel Mediterraneo.

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La predisposizione di un quadro programmatico rispondente al concept strategico di cui sopra è stata subordinata a due importanti momenti di conoscenza interpretativa dello spazio geo-economico della Campania (Figura 31). Il primo proveniente dal processo di analisi e valutazione dei fattori di successo e di insuccesso che hanno caratterizzato la precedente programmazione. Il secondo proveniente dalla costruzione di una reale e strutturata conoscenza degli aspetti sociali, economici ed ambientali della Regione che ne declinano omogeneità e disparità in termini di sviluppo, occupazione e qualità della vita. Il quadro complessivo che è emerso dalla lettura delle peculiarità del sistema regionale, sia dal punto di vista dell‟analisi dei comportamenti di alcune variabili esplicative del contesto, sia dal punto di vista degli effetti prodotti dalle scelte programmatiche operate dalla precedente programmazione, evidenzia la necessità di indirizzare la nuova fase di programmazione verso percorsi più innovativi dell‟azione politico-programmatoria della Regione. In particolare, è emerso che l‟azione politico-programmatoria della Regione non può prescindere dall‟applicazione del principio dell‟integrazione per il raggiungimento di scenari di sviluppo sostenibili, della spazializzazione delle scelte in funzione delle specificità locali, della concentrazione finanziaria per la produzione di cambiamenti strutturali. Per la Regione Campania tutto quanto evidenziato nel quadro complessivo riportato in sintesi, si traduce nella costruzione di uno scenario a doppia valenza, una a carattere strutturale per la risoluzione delle emergenze, l‟altra a carattere strategico per l‟innalzamento della competitività e della cooperazione. Lo scenario a doppia valenza si basa sulla definizione di un modello decisionale che orienta la futura programmazione, sia per quanto riguarda l‟allocazione delle risorse finanziarie sia per quanto riguarda gli effetti ipotizzabili al 2013, e che sappia associare: all‟obiettivo di favorire a lungo termine la competitività, progetti strategici di alta priorità su cui attivare processi di negoziazione interistituzionale per la loro realizzazione; all‟obiettivo di ri-equilibrio territoriale, linee di intervento coerenti con i progetti strategici di alta priorità su cui attivare processi di concertazione locale per la scelta degli interventi.

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Pertanto, a fronte della creazione dei presupposti di cambiamento politico-amministrativo a livello locale, lo scenario a doppia valenza si costruisce attorno alla valenza a carattere strutturale che, risolvendo le problematiche emergenziali, rende possibile la creazione di un ambiente favorevole all‟avvio dei meccanismi competitivi, ovvero la realizzazione delle condizioni di base per attivare la valenza a carattere strategico. Lo scenario a doppia valenza è, pertanto, preposto a realizzare: il miglioramento delle condizioni di contesto attraverso la risoluzione dei problemi emergenziali nei settori Ambiente, Rifiuti, Energia, Sicurezza (valenza strutturale); la riconversione del tessuto produttivo attraverso una spinta più incisiva sui settori tecnologicamente avanzati, su un‟economia specializzata in prodotti e servizi il cui valore aggiunto è rappresentato dalle conoscenze, sul ruolo strategico delle città nella produzione di vision produttive dell‟intero sistema regionale (valenza strategica). Figura 31 Analisi interpretativa dello spazio geo-economico della Campania

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Fonte: elaborazione NVVIP

Le prospettive al 2013 che si prefigurano, nella logica del passaggio da una condizione di ritardo di sviluppo a una condizione di economia avanzata, attraverso la costruzione dello scenario a doppia valenza presuppongono una forte determinazione politica nelle scelte delle linee di intervento di alta priorità strategica e nell‟individuazione delle linee di intervento serventi alle prime. In relazione alle due valenze il DSR ha strutturato il proprio impianto strategico secondo quattordici scelte. A livello operativo lo scenario a doppia valenza individua una razionalità programmatica declinabile nei seguenti criteri strutturali: - Intersettorialità degli interventi; - Selettività delle scelte; - Territorializzazione; - Concentrazione finanziaria. Il DSR attraverso i programmi operativi dei fondi strutturali - i PO FESR, PO FSE, PSR -, persegue tale razionalità nella direzione di creare e potenziare i fattori competitivi e di ridurre il divario strutturale con le regioni europee più competitive. La dimensione territoriale, considerata quale elemento cardine della consistenza della strategia, diviene parte integrante della valutazione 133


della consistenza della strategia, facendo riferimento all‟individuazione della logica che ha guidato la formazione della struttura del Programma. La logica del Programma deve rispondere al prerequisito fondamentale che anima l‟intervento pubblico, più in particolare deve poter giustificare il ricorso all‟uso dei fondi strutturali per quelle attività ritenute necessarie all‟attuazione della strategia di Lisbona. Il processo di costruzione della strategia è fortemente legato alle direttrici di sviluppo definite nel DSR e racchiudibili nello scenario a doppia valenza – a valenza strategica per potenziare la competitività, a valenza strutturale per risolvere le emergenze ambientali e sociali – riportato nel paragrafo dell‟Analisi del DSR. La logica del Programma dovrebbe ravvisarsi nella capacità della strategia di cogliere le disparità all‟interno del territorio regionale (ciò che gli OSC chiamano dimensione territoriale) e diversificare l‟intervento a seconda delle varie sfaccettature che uno stesso punto di debolezza (o punto di forza) può acquisire localmente. La capacità del Programma di incidere a seconda delle specificità locali, ravvisabile per l‟appunto nella sua dimensione territoriale, non può prescindere dalla capacità di strutturare l‟azione secondo una logica intersettoriale. Tale modalità è implicitamente riportata negli OSC dove si afferma che ―una delle peculiarità della politica di coesione — diversamente dalle politiche settoriali — consiste nella sua capacità di adeguarsi alle particolari esigenze e caratteristiche delle specifiche sfide e opportunità dei contesti territoriali‖. La valutazione della logica della strategia, secondo i contenuti sinteticamente esposti sopra, è pertanto focalizzata a comprendere tre importanti fattori che danno corpo alla logica della strategia: 1. il grado di rispondenza degli obiettivi del Programma (obiettivi specifici, obiettivi operativi e attività) alle priorità strategiche desunte dall‟analisi SWOT; 2. il grado di risposta del Programma ai fattori di disparità territoriale intraregionale; 3. il grado di intersettorialità del Programma. La valutazione del grado di rispondenza degli obiettivi del Programma alle priorità strategiche consente di articolare la strategia secondo una struttura programmatica logicamente coerente con le priorità desunte dall‟analisi dei bisogni. Le priorità strategiche sono state, pertanto, messe in relazione con gli obiettivi specifici e gli 134


obiettivi operativi che compongono la struttura del Programma al fine di individuare il grado di connessione strategica esistente. In particolare, il grado di connessione strategica è stato considerato forte, quando la relazione priorità–obiettivo specifico–obiettivo operativo è risultata oggettivamente verificabile, debole quando la relazione è risultata poco oggettivamente verificabile. La mancanza di relazione tra priorità e obiettivi è stata evidenziata come un potenziale fattore di criticità della consistenza della strategia. Oltre al grado di connessione strategica, la relazione priorità-obiettivi è stata analizzata riguardo ad una possibile connessione strategica trasversale, ovvero al collegamento intersettoriale con altri obiettivi specifici e operativi, relazionati ad altre priorità ma potenzialmente in grado di amplificare gli effetti della strategia se considerati connessi tra di loro in fase di attuazione. L‟impianto strategico, quindi, presenta generalmente connessioni strategiche forti tra obiettivi e priorità: ciascuna priorità strategica trova una sua collocazione nell‟ambito del sistema degli obiettivi del programma (obiettivi specifici ed obiettivi operativi). Appaiono, comunque, meno forti le connessioni riscontrate relativamente agli obiettivi indirizzati alla promozione turistica, oltre ad evidenziarsi una potenziale sovrapposizione tra gli obiettivi della protezione civile con quelli relativi agli edifici pubblici sicuri. La valutazione del grado di risposta del Programma ai fattori di disparità territoriale consente di articolare la strategia secondo una struttura programmatica logicamente orientata alla spazializzazione della stessa, sviluppando in questo modo la dimensione territoriale delle scelte così come richiesto dagli Orientamenti Strategici Comunitari e dal QSN. Il Programma individua quattro dimensioni (città medie, sistemi territoriali, centri minori e parchi) secondo cui articolare gli interventi. Le disparità intraregionali sono approfondite relativamente all‟articolazione dell‟obiettivo specifico “Rigenerazione urbana”, appartenente all‟asse III, in cui sono riportati alcuni criteri di identificazione della dimensione territoriale. Considerata l‟importanza della dimensione territoriale, ribadita dai documenti comunitari, nel rapporto sono fornite, per ogni obiettivo specifico, una serie di indicazioni mappali che dovrebbero orientare più efficacemente le scelte attuative e consentire l‟individuazione dei

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territori eleggibili alle diverse tipologie di investimento in funzione delle specificitĂ locali e dei bisogni identificati. Le analisi territoriali sono articolate in base al seguente schema logico: OBIETTIVI SPECIFICI

TEMATISMI

1.a Risanamento ambientale

Acque sotterranee - Stato chimico 2003 Acque sotterranee - Contenuto di Nitrati 2002 Acque superficiali - Stato ambientale 2003 Acque Costiere - Indice Trofico (Trix) 2002 Servizio Idrico - Popolazione allacciata al sistema fognario (%) 2001

1.b Rischi naturali

1.c Rete ecologica

Siti potenzialmente contaminati Discariche e siti di stoccaggio Impianti a rischio di incidente rilevante Impianti CDR Termovalorizzatori di progetto Produzione RSU 2002 (t/anno) Rischio sismico Vincolo idrogeologico Costa in erosione Siti estrattivi Parco - Zona A - Riserva integrale Parco - Zona B - Riserva orientata Parco - Zona C - Riserva parziale Parco - Aree contigue Riserva marina Siti BioItaly Bilancio demografico 2002-2005 - Saldo Naturale negativo Bilancio demografico 2002-2005 - Saldo Migratorio negativo

1.d Energia

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Centrali Termoelettriche - Autorizzate Centrali Termoelettriche - Richieste Impianti eolici - in Istruttoria Impianti eolici - in Funzione Impianti eolici - da Realizzare Parco eolico


Rete elettrica nazionale - Nuova stazione 380/220/132 kv nell'area pedemontana ad est del Vesuvio (Na) Rete elettrica nazionale - Potenziamento attuale linea a 380 Kv "Benevento - Foggia" Rete elettrica nazionale - Linea a 380 Kv "Montecorvino (Sa) - Benevento"

1.e Le risorse culturali

1.f Sistema turistico

2.a Potenziamento del sistema della ricerca e innovazione ed implementazione delle teconologie dei sistemi produttivi

2.b Sviluppo della societĂ dell'informazione 2.c Sviluppo della competitivitĂ 2.d Insediamenti produttivi e logistica industriale 2.e Internazionalizzazione ed attrazione di investimenti

3.a Rigenerazione urbana

Musei Siti Archeologici Principali siti archeologici visitabili Numero di visitatori 2004 Addetti alla ricettivitĂ 2001 Alberghi a 5 stelle Agriturismi Spesa per R&S intra-muros delle imprese (Migliaia di euro) per comune Sedi universitarie Distretto tecnologico Polo aerospaziale Altre strutture di ricerca Parco scientifico e tecnologico Distretti industriali Comuni comprendenti ASI Cluster demografici (Pop 2005) Stazioni ADSL (copertura al 2007) Nodi (esistenti e in via di realizzazione) Aeroporto Interporto Interscambio TAV Porto Merci Export (Migliaia di euro) Cluster demografici (Pop 2005) Quoziente di localizzazione settori intermediazione finanziaria - immobiliare Stazioni ADSL (copertura al 2007) TAV

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3.b Benessere, sicurezza e qualità della vita

4.a Corridoi europei 4.b Piattaforma logistica integrata 4.c Accessibilità delle aree interne e periferiche 4.d Mobilità sostenibile nelle aree metropolitane e sensibili 4.e Portualità

Aeroporto Musei Sedi universitarie Metro del mare Stazioni della metropolitana regionale Cluster demografici (Pop 2005) Degrado urbano - grado di urbanizzazione in zona agricola Degrado urbano - grado di densità territoriale Cluster demografici (Pop 2005) Interventi di piano finanziati - Legge Obiettivo Interporto Interscambio Aeroporto TAV Interventi di piano finanziati - ANAS- Regione Stazioni della metropolitana regionale Stazioni della metropolitana regionale Porto Merci Metro del mare Porto turistico

5.a Amministrazione moderna 5.b Cooperazione territoriale

Le tavole che seguono sono state elaborate per l‟attività di valutazione ex-ante del POR 2007-2013 FESR della Regione Campania con la finalità di individuare la correlazione dei fabbisogni territoriali all‟impostazione strategica degli obiettivi specifici delineati in fase di programmazione.

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Figura 32 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1.a Risanamento Ambientale (Acque)

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 33 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1.a Risanamento Ambientale (siti contaminati)

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Figura 34 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1c Rete Ecologica

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 35 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1d Energia

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Figura 36 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1f Sistema turistico

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 37 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1e Le Risorse Culturali

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Figura 38 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 2a Potenziamento del sistema ricerca e innovazione ed implementazione delle tecnologie nei sistemi produttivi

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 39 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 2b, 2c, 2d, 2e dell‟informazione e internazionalizzazione e attrazione degli investimenti

142

Società


Figura 40 Analisi del fabbisogno – Ob. 3b Benessere, sicurezza e qualità della vita

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 41 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 3a Rigenerazione urbana

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Figura 42 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 4a, 4b, 4c, 4d, 4e Corridoi europei, accessibilità, portualità e mobilità

Fonte: elaborazione NVVIP

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L’APPLICAZIONE DELLA METODOLOGIA ALLA VALUTAZIONE EX-ANTE DEL POR FEASR 2007 – 2013 Claudia Trillo

Una delle più rilevanti innovazioni nel passaggio dal ciclo programmatorio 2000-2006 a quello relativo al periodo 2007-2013, è stata l‟istituzione del Fondo Europeo per l‟Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, FEASR. La declinazione della strategia elaborata dalla Commissione negli OSC è stata attribuita, al livello nazionale, allo strumento del Piano Strategico Nazionale –PSN-, nell‟ambito del quale viene direzionata la spesa per il FEASR. Il riferimento di base per l‟articolazione della struttura del PSN era rappresentato dall‟art. 11 del regolamento 1698/2005, che prevedeva come il PSN dovesse necessariamente contenere, tra l‟altro, le priorità tematiche e territoriali relative allo sviluppo rurale nell‟ambito di ciascun asse. “L‟analisi di contesto del PSN evidenzia come i territori rurali appaiono caratterizzati da forti divergenze al loro interno, dovute sia alla presenza di sistemi agroalimentari differenti, sia al tipo di rapporto che gli stessi territori intrattengono con le realtà urbane ed industriali circostanti. Ciò che emerge dunque dall‟analisi di contesto è che non esiste un rurale omogeneo al suo interno. In tal senso diviene fondamentale la possibilità di procedere ad una sorta di suddivisione del territorio rurale che tenga conto del tipo di legame o interazione che il territorio intrattiene con i processi di sviluppo economico e sociale presenti nel nostro Paese. La classificazione del territorio rappresenta un elemento indispensabile nelle politiche di sviluppo locale. Quest‟ultime si basano, infatti, sulla conoscenza del territorio, caratterizzato da elementi sociali, ambientali ed economici e da specificità e debolezze sui quali può divenire necessario intervenire al fine di innescare processi di crescita endogena. In altre parole, la conoscenza del territorio e la sua rappresentazione in aree generali, appaiono, in linea con il nuovo approccio allo sviluppo rurale, indispensabili per la corretta elaborazione ed implementazione delle politiche di sviluppo rurale basate sulle specificità dei territori rurali. La territorializzazione costituisce un valido strumento per la definizione delle caratteristiche e delle specificità dei territori rurali; inoltre, evidenziando gli elementi di criticità e di potenzialità interni a ciascun territorio, permette di procedere verso una maggiore ed efficace finalizzazione degli interventi e delle risorse finanziarie. La griglia proposta dal PSN per 145


tener conto delle specificità territoriali prevede la classificazione del territorio nazionale nelle quattro grandi categorie seguenti: Poli urbani; Aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata; Aree rurali intermedie; Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo3, lasciando a ciascuna Regione la facoltà di procedere ad La metodologia seguita nel PSN per procedere al tipo di suddivisione descritta si è avvalsa della metodologia definita dall‟OCSE per la classificazione dei territori in funzione del loro grado di ruralità, opportunamente modificata per tener conto della specificità dei territorio italiano. In estrema sintesi, la metodologia utilizzata nel PSN può essere schematizzata nel modo seguente: Prima fase: Vengono individuati e selezionati i capoluoghi di provincia la cui densità di popolazione supera i 150ab/kmq. Seconda fase: Le aree rimanenti, delimitate non solo con riferimento alle province ma anche alle zone altimetriche presenti al loro interno (montagna, collina, pianura) vengono classificate in “prevalentemente rurali” (PR), “significativamente rurali” (SR) e “prevalentemente urbane”, (PU)3. In altre parole, il metodo, oltre alla suddivisione delle province in zone PR, SR e PU, si avvale, all‟interno della provincia stessa, di un ulteriore sistema di classificazione che, basato sulla zona altimetrica, permette di individuare i comuni di montagna PR, SR e PU, i comuni di collina PS, SR e PU e i comuni di pianura PR, SR e PU. Terza fase: La categoria di aree “prevalentemente urbane” viene ulteriormente riclassificata, considerando come parametri la densità abitativa, espressa come rapporto tra numero di abitanti e kmq, ed il peso dell‟agricoltura, calcolato in termini di rapporto tra SAT e superficie territoriale. Utilizzando questo criterio si perviene alla definizione di tre tipologie di comuni: i comuni rurali, caratterizzati da una densità abitativa < 150 ab/kmq, i comuni rurali urbanizzati, caratterizzati da una densità abitativa 150ab/kmq e ed un peso dell‟agricoltura SAT/Superf. Terr.> 66,7%, ed, infine, i comuni urbani, contrassegnati da una densità abitativa > 150 ab/kmq e da SAT/Superf. Territoriale < 66,7%. Individuati queste tipologie di comuni e procedendo a livello di zona altimetrica, si ottiene una ulteriore categoria di comuni, definita “rurale fortemente urbanizzata”, che comprende i comuni in cui oltre il 15% della popolazione dell‟area si trova nei comuni rurali ed i comuni nei quali oltre il 50% della popolazione rurale totale si localizza nei comuni rurali urbanizzati. In sintesi, la classificazione nel suo insieme individua le seguenti tipologia di aree: “aree prevalentemente rurali”, “aree significativamente rurali”, “aree rurali fortemente urbanizzate” e “aree urbane”. Quarta fase: Incrociando i risultati, derivanti dall‟applicazione della metodologia OCSE opportunamente rivista, con le tre grandi circoscrizioni territoriali del paese, (Centro, Nord e Sud), si giunge, includendo anche la categoria relativa ai capoluoghi di provincia, alla definizione di 37 aree che, sulla base di caratteristiche comuni, vengono ulteriormente aggregate originando la griglia di partenza che, come abbiamo visto in precedenza, suddivide il territorio nazionale in quattro grandi macroaree. Il sistema classificatorio illustrato rappresenta un supporto metodologico di natura generale a cui aspetta essenzialmente la funzione di 3

146


una elaborazione e definizione di una propria metodologia di identificazione delle aree omogenee in termini di fabbisogni. L‟istanza della territorializzazione se, da un lato, rappresenta uno strumento in grado di orientare efficacemente gli interventi e le risorse finanziarie in relazione al raggiungimento degli obietti stabiliti nella nuova programmazione dello sviluppo rurale, dall‟altro, comporta notevoli difficoltà di tipo applicativo metodologico. Innanzi tutto sorge la necessità, in sede di programmazione regionale, di ridefinire gli indicatori su scala sub-regionale e ad un livello utile a consentire aggregazioni flessibili (allo stato attuale il sistema Eurostat dispone di dati su scala provinciale). Inoltre, le banche dati disponibili spesso presentano vincoli metodologici ed informativi che possono vanificare la programmazione su piccola scala.4”. Nella declinazione delle direttrici stabilite nel PSN al livello regionale, in Regione Campania è stato preso a riferimento il concetto di “Campania plurale” che impronta il Documento Strategico Regionale per le politiche di coesione 2007-2013 (DSR), imperniato sul riconoscimento della necessità di modulare gli interventi in funzione dei fabbisogni specifici emergenti dai singoli contesti locali. A tal fine l‟individuazione dei fabbisogni è stata effettuata non solo alla scala regionale, ma anche alla scala ritenuta più appropriata all‟applicazione di linee di policy mirate. Coltivando l‟obiettivo di individuare aree omogenee per caratteristiche e per problematiche, su cui far atterrare politiche realmente calzanti rispetto alle rispettive peculiarità, il programmatore è pervenuto all‟individuazione di sette macroaree, non coincidenti con le perimetrazioni amministrative delle province ma talvolta a cavallo tra più province, che presentano caratteristiche di omogeneità rispetto indirizzare eventuali altre metodologie opportunamente individuate in sede di programmazione regionale e di fornire un griglia minima di partenza sulla base della quale risulti possibile individuare, se necessario, altre tipologie di aree che tengano conto di realtà territoriali specifiche. Da: Parisella V., Trillo C.,“Il fabbisogno informativo per la programmazione dello sviluppo rurale nel periodo 2007-2013” in corso di pubblicazione negli atti del convegno: “Le statistiche agricole verso il Censimento 2010: valutazioni e prospettive” Cassino, 26-27 ottobre 2006. 4

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ad una serie di parametri sia di natura economico-sociale ed ambientale sia relativi alla struttura delle aziende agricole. In sede di definizione delle strategie, oltre naturalmente a valutare complessivamente le necessità del territorio regionale individuando conseguentemente una serie di linee di policy di livello regionale, le singole macroaree sono state sottoposte ciascuna ad analisi SWOT, individuando successivamente gli indirizzi strategici d‟area. Figura 43 Concettualizzazione della genesi della territorializzazione delle politiche di sviluppo rurale in Campania

SWOT SWOT SWOT

O SW

SWOT

SWOT

T

SWOT SWOT

SWOT SWOT

Fonte: elaborazione NVVIP

Nel quadro di riferimento normativo specifico in cui si è inserita la attività di VEA del PSR5 assume rilievo il Regolamento (CE) n. 1698/2005 che prevede, all‟art. 85, l‟esperimento di attività valutativa preventiva all‟implementazione dei programmi di sviluppo rurale, con una forte caratterizzazione endoprogettuale6. L‟attività di VEA Regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale (FEASR) e dal Regolamento (CE) n. 1974/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, recante disposizioni di applicazione del Regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Forndo Europeo per lo Sviluppo Rurale (FEASR) e sul Regolamento (CE) n° 1974/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006. 6 La valutazione, ancora di più rispetto al passato, è infatti intesa quale tassello del processo di costruzione dell‟impianto strategico del programma, così come sancito all‟85: “La valutazione ex ante forma parte integrante dell‟iter di elaborazione di ogni programma di sviluppo rurale ed è intesa a ottimizzare la ripartizione delle risorse finanziarie e a migliorare la qualità della programmazione.”. 5

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si è pertanto esplicitata nell‟affiancare il programmatore attraverso l‟elaborazione di una metodologia volta a supportare l‟implementazione del concetto di territorializzazione delle politiche di sviluppo rurale. La duplice istanza posta dalla nuova programmazione comunitaria, da un lato a rivolgere particolare attenzione alle specificità dei territori modellando le policy di intervento in maniera differenziata (territorializzazione) e dall‟altro a monitorare e valutare gli esiti delle politiche attraverso un sistema di dati quantitativi (indicatori), ha indotto il valutatore a considerare la necessità di approfondimento del patrimonio conoscitivo a disposizione delle autorità locali, che va rilevato in modo molto più capillare rispetto al passato, conservando traccia del suo legame con il territorio. In tale processo un ruolo fondamentale viene giocato dal GIS, orientato a fornire indicazioni correlate alle specificità dei territori. Pur in assenza di sistemi informativi territoriali adeguati a rispondere alle istanze della Commissione, si sono costruite batterie di indicatori iniziali -utili cioè a fissare il punto di partenza di alcune variabili il cui monitoraggio sarà utile a valutare l‟andamento del programma e a stimarne gli impatti nel corso dell‟implementazione-, quantificati per ciascuna delle macroaree in cui il programmatore ha ritenuto di suddividere l‟intera Regione onde pervenire a diversificazione delle politiche. La costruzione di tale batteria ha risposto a più criteri. Innanzi tutto si è tenuto conto delle indicazioni nella scelta delle variabili provenienti dai documenti comunitari, onde orientare la scelta su indicatori che a giudizio della Commissione fossero da ritenersi più importanti rispetto agli altri (obbligatori, ovvero contrassegnati con asterisco nelle liste di indicatori proposti dalla Commissione). Quindi, si è risposto al criterio della disponibilità del dato almeno alla data attuale, onde fissare un punto di partenza dei valori all‟anno di partenza del programma. Ci si è rivolti pertanto alle indagini campionarie già esistenti e di cui si presume ci sarà disponibilità anche negli anni futuri, in particolare all‟indagine SPA 2005. Ricostruendo il campione mediante aggregazione al livello di macroarea, si è potuto così disporre di un quadro conoscitivo “territorializzato”, peraltro arricchito dal confronto con dati di due annate precedenti (coincidenti con la SPA 2003 e con il censimento 2001).

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Le tavole che seguono sono esemplificative di come l‟analisi degli indicatori di contesto sia stata condotta al livello di macroarea in modo da comprendere problematiche e potenzialità delle macroaree. Il GIS costituisce un validissimo aiuto nella visualizzazione sintetica delle condizioni di partenza, in modo da supportare la più corretta taratura delle azioni di policy in funzione delle specificità dei territori. Figura 44 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU arboricoltura)

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 45 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU boschi)

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 46 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU coltivazioni legnose)

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Figura 47 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU ad orti)

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 48 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU a prati permanenti e pascoli)

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Figura 49 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU a seminativo)

Fonte: elaborazione NVVIP

Il GIS è stato quindi utilizzato per focalizzare meglio la valutazione della logica del Programma, ed in particolare della sua capacità di incidere a seconda delle specificità locali. In tal senso, il GIS ha rappresentato un prezioso alleato della dimensione territoriale della valutazione di programma. Il PSR attiva le misure afferenti ai diversi assi (Asse 1: Miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale, Asse 2: Miglioramento dell‟ambiente e dello spazio rurale, Asse 3: Qualità della vita nelle zone rurali e diversificazione dell‟economia rurale, Asse 4: LEADER) con priorità differenziate, in tal modo tarando in modo diversificato le policy di sviluppo previste. A ciascuna macroarea può pertanto attribuirsi un pacchetto di misure che presumibilmente troveranno una loro attuazione più marcata nei territori a cui sono state attribuite in via prioritaria. Onde verificare la coerenza tra le priorità di attribuzione delle risorse e i bisogni delle macroaree, mediante GIS sono state attribuite alle diverse macroaree le risorse in funzione dell‟obiettivo specifico al perseguimento del quale sono state destinate. Sono state quindi elaborate tavole della concentrazione della spesa ipoteticamente allocata che consentono di apprezzare anche 153


visivamente i due concetti di territorializzazione e di selettività della spesa. L‟attribuzione delle risorse, qualora fosse necessaria una suddivisione tra più macroaree, è stata effettuata con modalità differenti a seconda dell‟obiettivo perseguito dalla spesa. La distribuzione delle risorse indirizzate all‟obiettivo dello sviluppo rurale è stata effettuata pesando la spesa sulla popolazione residente della macroarea. La distribuzione delle risorse indirizzate all‟obiettivo dell‟aumento della competitività dei territori è stata effettuata pesando la spesa sulla SAU della macroarea. Sono state successivamente raffrontate le tavole di cui sopra a tavole miranti a visualizzare il livello di problematicità correlate agli obiettivi perseguiti dalla spesa, onde verificare che vi fosse coerenza tra il livello di problematicità/ potenzialità (espresso da specifici indicatori all‟uopo scelti) e il livello di concentrazione della spesa. Le tavole che seguono mettono in evidenza il ragionamento svolto. La Figura 50 mostra la concentrazione delle risorse delle misure dell‟asse 1 seguendo le priorità attribuite dal PSR. Come già detto, le risorse sono state normalizzate rispetto alla SAU totale di macroarea. Chiaramente si tratta di una concentrazione di programma, che dovrà essere verificata alla luce delle istanze che perverranno in fase attuativa. Si nota come la concentrazione “molto alta” di risorse si raggiunge nella macroarea caratterizzata da maggiori potenzialità competitive, ovvero la macroarea C, in coerenza con gli obiettivi dell‟asse 1. Non a caso in tale macroarea si registra anche la minore concentrazione di agricoltori con altre attività remunerative, il che dimostra come l‟attività agricola non necessiti di integrazioni al reddito in quanto già elevata. Del resto, il Reddito Lordo Standard raggiunge i livelli massimi.

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Figura 50 Intensità delle risorse assegnate all‟asse 1 nelle macroaree sulla base delle priorità attribuite dal PSR

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 51 Percentuale di agricoltori con altre attività remunerative sul totale degli agricoltori per macroarea

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Figura 52 Reddito Lordo Standard sul numero totale di aziende per macroarea

Fonte: elaborazione NVVIP

La figura 53 è stata realizzata concentrando le risorse delle misure dell‟asse 3 secondo le priorità attribuite dal PSR. Come già detto, le risorse sono state normalizzate rispetto alla popolazione residente. Chiaramente anche in questo caso si tratta di una concentrazione di programma, che dovrà essere verificata alla luce delle istanze che perverranno in fase attuativa. Si nota come la concentrazione molto alta di risorse si raggiunge nella macroarea caratterizzata da maggiore declino demografico, ovvero la macroarea D2, in coerenza con gli obiettivi dell‟asse 3.

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Figura 53 Intensità delle risorse assegnate all‟asse 3 nelle macroaree sulla base delle priorità attribuite dal PSR

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 54 Variazione della popolazione residente (1991-2001) per macroarea

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La concentrazione su specifici territori di linee di policy attinenti alle diversificate esigenze esplicita la razionalità del programma. Attraverso l‟utilizzo del GIS, si è verificato che vi fosse coerenza tra le linee di policy individuate e i fabbisogni delle macroaree, nonché che vi fosse un‟effettiva rispondenza tra le linee di policy individuate e l‟allocazione finanziaria in termini di priorità di spesa. Infine, allo scopo di supportare tutto il processo di valutazione continua, sono state elaborate con il GIS una serie di tavole che rappresentano le baseline di partenza della batteria di indicatori iniziali di obiettivo individuati per ogni macroarea. Figura 55 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicatore 4) per macroarea: numero di capi azienda che hanno seguito corsi professionali

Fonte: elaborazione NVVIP

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Figura 56 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicat. 4) per macroarea: % di capi azienda che hanno seguito corsi professionali sul totale dei capi azienda

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 57 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicatore 4) per macroarea: numero di capi azienda con diploma o laurea ad indirizzo agrario

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Figura 58 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicat. 4) per macroarea: % di capi azienda con diploma o laurea ad indirizzo agrario sul totale dei capi azienda Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 59 Struttura per etĂ nel settore agricolo (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea: rapporto % tra agricoltori di etĂ inferiore a 35 anni e agricoltori di etĂ superiore a 55 anni

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Figura 60 Reddito Lordo Standard (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea:Reddito Lordo Standard sul numero totale di aziende

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 61 Reddito Lordo Standard (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea:Reddito Lordo Standard sulla SAU totale

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Figura 62 Vendita ad organismi associativi (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 63 Adesione a societĂ cooperative (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea

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Figura 64 Adesione a societĂ di produttori (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea

Fonte: elaborazione NVVIP

Figura 65 Agricoltori con altre attivitĂ remunerative (Indicatore supplementare asse 3) per macroarea

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SPATIAL PLANNING E PRIORITÀ DI SVILUPPO: IL PTR DELLA REGIONE CAMPANIA E LA PROGRAMMAZIONE 2007-2013 Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo

Nell‟ambito delle sperimentazioni sviluppate in Regione Campania riguardanti la spazializzazione degli investimenti pubblici attraverso la valutazione dei programmi operativi regionali (POR), particolare attenzione per gli sviluppi sulla programmazione 2007-2013 acquisisce la costruzione e approvazione, con legge regionale1, del Piano Territoriale Regionale. In particolare la legge richiamata conferisce al PTR della Regione Campania un ruolo più strategico rispetto alla sua forma sancita nell‟adozione nel 2007. Con l‟approvazione il PTR si arricchisce della dimensione del paesaggio, in linea con la conferenza europea del paesaggio, e si ristruttura secondo una veste di indirizzo per la futura programmazione, nella direzione dello spatial planning. Il PTR si qualifica come uno strumento di natura processuale, volto più ad identificare scenari che costituiscano la base per una procedura concertativa e partecipata delle scelte pianificatorie, che a prescrivere con modalità impositive un modello di sviluppo top down. Cionondimeno esso identifica una serie di punti di riferimento che rappresentano cornice di raccordo tra pianificazione e programmazione. Innanzi tutto il PTR parte da una lettura analitica di tipo vocazionale e funzionale della Campania, pervenendo all‟individuazione di 45 Sistemi Territoriali di Sviluppo (STS), costituiti da Comuni aggregati in comprensori sulla base di affinità di natura sia fisico-morfologica che politica in senso ampio. Per ciascuno di essi si individuano prospettive di sviluppo coerenti con le caratteristiche del comprensorio- STS, mediante messa in evidenza delle “dominanti territoriali”:

1

Si tratta della LR n. 13 del 13 ottobre 2008 “Piano Territoriale Regionale (PTR)”.

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Figura 66 I sistemi Territoriali di sviluppo

Fonte: PTR Regione Campania

Vengono individuati 2 sistemi di reti (la rete ecologica, la rete infrastrutturale – costruita tenendo conto ovviamente del Piano Regionale dei Trasporti), che in teoria dovrebbero determinare la messa in atto di meccaniche di interazione/ integrazione tra i STS sopra citati.

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Figura 67 La rete ecologica

Figura 68 La rete infrastrutturale

Fonte: PTR Regione Campania

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Vengono individuati una serie di luoghi interessati da dinamiche di particolare complessità che sono pertanto definiti “Campi Territoriali Complessi”, e suddiviso l‟intero territorio in “Ambienti insediativi”, per i quali si propone la messa in atto di precise policy di sviluppo. Figura 69 Campi Territoriali Complessi

Figura 70 Ambiti insediativi

Fonte: PTR Regione Campania

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Infine, si individua –pare in senso qualitativo piÚ che quantitativoverso quale direzione conduca il trend di sviluppo della regione in assenza di intervento (visioning tendenziale), e quale sia il modello di assetto territoriale che il pianificatore addita quale auspicabile (visioning preferita), che non coincide in molti punti con il primo. Se ne deduce che le politiche di sviluppo regionale dovrebbero tendere a contrastare il trend attuale laddove non collimi con la visioning preferita. Figura 71 Visioning preferita

Figura 72 Visioning tendenziale

Fonte: PTR Regione Campania

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In estrema sintesi, si inferisce dal documento di pianificazione che le istanze specificamente progettuali (al di là della mole di dati e analisi territoriali) sono contenute prevalentemente nelle tabelle di indirizzo delle azioni individuate per ciascuno dei nove ambienti insediativi. Poiché tali ambienti non rappresentano aree rigidamente perimetrate ma comprensori d‟area vasta (talora interprovinciali) dai confini sfumati, si ritiene utile una lettura degli indirizzi proposti per lo sviluppo diversificato del territorio regionale che integri le indicazioni formulate per ciascun ambiente con la “zonizzazione” in STL, a cui pare attribuirsi un contenuto molto più cogente (viene addirittura indicata come l‟assetto obbligato su cui far convergere le future unioni di comuni). L‟interazione/ integrazione di tali ambienti/STS viene interpretata come capacità delle linee di sviluppo dei macro comprensori di interagire, attraverso le reti regionali (che dovrebbero in teoria assicurare una coerenza con le linee di sviluppo extraregionale), onde pervenire all‟assetto simbolicamente rappresentato dalla “visioning preferita”, agendo in controtendenza rispetto ad alcuni fenomeni che determinano il prodursi della “visioning tendenziale”. La legge regionale di approvazione su richiamata recita all‟art. 2 Contenuti del Piano Territoriale Regionale: 1. Il PTR rappresenta il quadro di riferimento unitario per tutti i livelli della pianificazione territoriale regionale ed è assunto quale documento di base per la territorializzazione della programmazione socioeconomica regionale nonché per le linee strategiche economiche adottate dal Documento Strategico Regionale (DSR) e dagli altri documenti di programmazione dei fondi comunitari. 2. Il PTR fornisce il quadro di coerenza per disciplinare nei PTCP i settori di pianificazione di cui alla legge regionale n. 16/2004, articolo 18, commi 7 e 9, al fine di consentire alle Province di promuovere, secondo le modalità stabilite dall'articolo 20, comma 1, della stessa legge, le intese con amministrazioni pubbliche ed organi competenti. 3. Il PTR e gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica attuano sull'intero territorio regionale i principi della Convenzione europea del paesaggio ratificata con legge 9 gennaio 2006, n.14. In questo modo è sancito un principio fondamentale nel processo di allocazione delle risorse finanziarie riguardante la spazializzazione delle politiche di sviluppo. Tuttavia, alla chiarezza normativa con cui la legge sancisce il principio di spazializzazione non corrisponde con 170


altrettanta chiarezza tecnica l‟illustrazione delle modalità del suo perseguimento. Il PTR, pur rappresentando per la Regione Campania uno strumento di forte implicazione strategica, per il fatto di essere privo di quella tradizionale forma vincolistica, intelligibile – in maniera più esplicita – nella proposizione paesaggistica della struttura identitaria del territorio, stenta ad essere considerato supporto fondamentale per le scelte di allocazione delle risorse finanziarie. In tal modo, i programmi operativi attualmente vigenti pongono la questione del “dove” programmare lo sviluppo solo in termini di coerenza e a valle della scelta degli interventi da realizzare, traducendo l‟indirizzo strategico e spaziale dello sviluppo regionale in una mera istruttoria amministrativa. La costruzione del PTR, peraltro, è molto articolata e quindi rende giustificabile questa operazione di semplice verifica a valle, dal momento che manca una sintassi spaziale che chiaramente definisca e caratterizza le trasformazioni del sistema regionale. La struttura spaziale è caratterizzata da tre dimensioni territoriali - gli ambiti insediativi, i sistemi territoriali di sviluppo e i campi complessi – interrelati tramiti “le Reti” nella loro caratterizzazione sia ecologica che fisicostrutturale legata alla mobilità e alla logistica. Ciascuna dimensione territoriale acquisisce una ruolo strategico nella visione contemporanea dello sviluppo spaziale (spatial development) . Se lo Spazio Europeo pone l‟accento sul policentrismo nell‟accezione multiscalare dell‟organizzazione dei sistemi urbani acquisita attraverso la dinamica dei flussi (merci, persone, informazioni), generatori dello spazio geoeconomico, lo spazio regionale campano lo contestualizza. Esso, infatti, interiorizzando il principio del policentrismo ne sviluppa le connotazioni individuando negli ambiti insediativi i nodi/polarità delle reti e nei campi complessi le piattaforme secondo cui specificare le priorità di intervento.

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Figura 73 La lettura spaziale del PTR

Rete ecologica

Ambiti insediativi

Campi Complessi

Aree compromesse

Fonte: elaborazione propria

Rispetto alla costruzione di visioni strategiche, la costruzione spaziale del PTR consente di indicare il “dove” programmare lo sviluppo per arrivare alla cosiddetta visioning preferita cercando di rompere lo scenario tendenziale che prospetta una lettura gravitazionale dei sistemi urbani su l‟area metropolitana di Napoli. Per ciascun campo complesso2 spazialmente definito secondo la localizzazione di piattaforme strategiche, il PTR costruisce una scheda di indirizzo sulla base di invarianti progettuali “forti” provenienti dal piano dei trasporti che connotano il territorio in termini di domanda di trasformazione.

Dal testo del Documento di Piano si rileva che: i campi territoriali complessi sono ambiti che consentono di evidenziare i processi più rilevanti in atto, di valutarne gli effetti, e di suggerire alla pianificazione territoriale indirizzi di sviluppo ed orientamenti per la trasformazione, esplicitando i nodi critici e le potenzialità per ogni azione specifica, da intendere come possibile volano per nuove forme di crescita economica, di riqualificazione ambientale e di innovazione. 2

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Tabella 2 I Campi Territoriali Complessi Campo Complesso

Tema territoriale

Invarianti (progetti portanti)

1. Grazzanise

Gli interventi infrastrutturali previsti in questo campo risultano strategici per il rafforzamento dell‟obiettivo dell‟interconnessione regionale, e si collegano con un modello di sviluppo legato all‟insediamento di funzioni terziarie legate al grande scalo aeroportuale in programma. Infatti l‟aeroporto di Grazzanise si propone come un nodo del sistema dei trasporti di livello internazionale, con caratteristiche di grande attrattore di flussi e di funzioni al livello regionale e metropolitano. L‟aeroporto di Capua è una infrastruttura di interesse interprovinciale utile per la valorizzazione della funzione aeroportuale esistente, e consente il miglioramento della connessione reticolare dei poli aeroportuali regionali. Assume inoltre la funzione di supporto per nuove attività produttive e industriali. L‟asse stradale in programma risulta un elemento di cucitura tra la rete primaria regionale e la rete autostradale, determinando un complessivo miglioramento dell‟accessibilità sia per le province di Napoli e Caserta sia per il capoluogo. L‟incrocio tra questo sistema e la presenza di sorgenti di rischio è determinato dalla presenza in quest‟area di numerosi siti potenzialmente contaminati, così come accade in gran parte della fascia costiera della provincia di Caserta.

− Aeroporto di Grazzanise + aeroporto di Capua + Collegamento Capua/Asse di Supporto

2. Area urbana casertana

Il tema territoriale che caratterizza il campo n.2 è quello della riqualificazione insediativa ed urbana attraverso la costruzione di un sistema integrato di mobilità su ferro e su gomma in grado di migliorare il sistema della mobilità, diminuendo la congestione ed il traffico e migliorando il collegamento tra alcune grandi funzioni attrattive ed il sistema urbano. La tangenziale è un asse extra-urbano di scorrimento, al servizio dei traffici di attraversamento Est-Ovest della città di

Circumvallazione urbana di Caserta + collegamento autostradale Ce/Bn + Interporto di Marcianise

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Caserta, nonché collettore dei flussi di scambio mediante le bretelle di collegamento “a pettine”alla viabilità urbana. L‟asse attrezzato Est rappresenta una penetrazione urbana con funzione di ammagliamento della rete viaria primaria locale e di collegamento ad importanti poli attrattivi di livello provinciale. L‟adeguamento della rete su ferro consente il miglioramento dell‟accessibilità e l‟incremento dell‟interconnessione in un territorio urbano intercomunale diffusamente urbanizzato. Infine lo spostamento della stazione RFI di Caserta rende possibile uno strategico intervento di modificazione urbana dovuto alla delocalizzazione di una funzione altamente attrattiva da un luogo centrale del centro di Caserta, e la ricucitura percettiva tra la Reggia di Caserta ed il suo territorio.

3. Direttrice Nord Napoli Caserta

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L‟area urbana delimitata dal campo n.3 rappresenta il core dell‟area metropolitana di Napoli ed è caratterizzata da una molteplicità di interventi infrastrutturali che ne rappresentano una dorsale costituita da elementi lineari e da polarità attrattive di livello territoriale. Il tema centrale è dunque quello della interconnessione metropolitana e dell‟influenza che questo sistema di trasporto avrà sui modelli di sviluppo insediativo e produttivo dell‟intera conurbazione. La Strada Statale 87 NC costituisce un asse di scorrimento extraurbano, inteso a collegare Napoli e Caserta tra loro nonché con i comuni dell‟hinterland attraversato. La stazione Av rappresenta un nodo di intermodalità a grande valenza attrattiva di livello territoriale, come fattore di localizzazione per funzioni e flussi al livello regionale. Il rafforzamento del sistema su ferro costituisce un miglioramento dell‟interconnessione tra le linee di trasporto e produce un notevole aumento dell‟accessibilità per il bacino di utenza della linea ai servizi ferroviari nazionali. L‟interporto di Maddaloni costituisce un centro per il trasporto merci di rilevanza nazionale

− Strada Statale 87 + Siti potenzialmente contaminati + Stazione TAV di Afragola + metropolitana regionale.


4. Area interprovinciale Caserta/Benevent o/Avellino

Gli interventi previsti consento il perfezionamento del sistema della mobilità, mediante la chiusura della maglia autostradale tra i capoluoghi di Provincia della Campania ed il collegamento del territorio compreso tra Caserta e Benevento alle aree costiere ed alla rete autostradale nazionale, nonché il miglioramento delle condizioni di accessibilità delle aree interne della provincia di Benevento e di Avellino. Questi interventi si incrociano con alcune componenti strutturali della rete ecologica e del sistema dei valori paesistici ed ambientali. Pertanto l‟incremento di interconnessione tra le aree interessate e le reti nazionali, dovrà essere basato su interventi di cui siano valutati con attenzione gli impatti in termini di sistema.

− collegamento autostradale Ce/Bn + Strada var. 212 / 369 (S. Marco dei Cavoti) + Asse attrezzato ASI AirolaPianodardine.

5. Area avellinese

Gli interventi previsti consento il perfezionamento del sistema della mobilità, mediante la chiusura della maglia autostradale tra i capoluoghi di Provincia della Campania ed il collegamento del territorio compreso tra Caserta e Benevento alle aree costiere ed alla rete autostradale nazionale, nonché il miglioramento delle condizioni di accessibilità delle aree interne della provincia di Benevento e di Avellino. Questi interventi si incrociano con alcune componenti strutturali della rete ecologica e del sistema dei valori paesistici ed ambientali. Pertanto l‟incremento di interconnessione tra le aree interessate e le reti nazionali, dovrà essere basato su interventi di cui siano valutati con attenzione gli impatti in termini di sistema

− Asse attrezzato LioniAriano IrpinoFaeto-Foggia.

6. Costa salernitana

Gli interventi che caratterizzano il campo della costa Salernitana rappresentano un forte miglioramento dell‟interconnessione, ed il conseguente rafforzamento del settore turistico legato alla valorizzazione delle componenti paesistiche e ambientali. La nuova arteria prevista svolgerà il ruolo di strada di collegamento tra il capoluogo di provincia ed il comprensorio costiero, fino ad Agropoli La SP175, una volta riqualificata rispetto alla

− SP Aversana e declassamento della strada litoranea (SA) + Porto turistico e da pesca di S. Teresa, Porto turistico Marina di Pastena, Porto turistico Marina

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nuova funzione di strada secondaria a servizio di aree turistiche attrezzate, potrà rappresentare un fattore di riqualificazione funzionale ed ambientale per l‟intera fascia litoranea a sud di Salerno. L‟adeguamento dell‟aeroporto di Pontecagnano, come polo attrattore di livello sovraprovinciale, e l‟adeguamento dell‟intero sistema della portualità, con spiccata vocazione diportistica, favoriscono l‟intermodalità e l‟accessibilità dell‟area salernitana, in considerazione delle valenze attrattive della fascia costiera con particolare riferimento all‟ambito amalfitano e cilentano.

di Arechi, nel comune di Salerno + aeroporto di Pontecagnano.

7. Costa sorrentina

Gli interventi sulle infrastrutture viarie di duplicazione (parziale) dell‟unico asse viario esistente per il collegamento del comprensorio con il resto della provincia e con la rete regionale e nazionale mirano alla riduzione dei problemi di congestione della circolazione sulla SS145 e di isolamento del comprensorio. Il sistema della portualità, con il potenziamento del sistema portuale di Vico Equense, come qualificato filtro di accesso geografico all‟Ambito Sorrentino, rappresenta l‟incentivo ad integrare il territorio locale e gli ambiti insediativi interni e con il sistema costiero, in coerenza con un modello di sviluppo territoriale orientato verso il settore del turismo. I temi portanti sono dunque il miglioramento dell‟accessibilità, l‟incremento delle infrastrutture legate all‟intermodalità, e la salvaguardia del patrimonio ambientale e storico che caratterizza l‟Ambito Sorrentino, in relazione alle sue fragilità costitutive legate alla natura geologica dei luoghi. E‟ presente un incrocio rilevante tra queste azioni ed i rischi ambientali dovuti alla vulnerabilità del territorio legata al suo assetto idrogeologico ed al rischio frane molto elevato lungo i costoni tufacei costieri, che definiscono i tipici valloni della piana sorrentina, e nella fascia al piede della falesia.

− Strada costiera + interventi di completamento, riqualificazione e potenziamento dell‟offerta diportistica.

8. Litorale domitio

Il rafforzamento del sistema della mobilità e delle potenziali interconnessioni dovute

− Prolungamento

176


9 Area vesuviana

all‟incremento della SS Domitiana (come elemento di cucitura della rete stradale principale per il potenziamento dell‟intero itinerario costiero tra la Campania ed il Lazio) ed all‟ampliamento del sistema portuale hanno il duplice obiettivo di rafforzare il collegamento di quest‟area con il sistema urbano metropolitano e di rafforzarne una vocazione tesa a valorizzare le valenze paesistico– ambientali: in tal senso è ipotizzabile un nuovo modello di sviluppo basato sulla capacità di questo territorio di elevare il suo livello di attrazione turistica. Lo sfondo di questa strategia deve assolutamente essere costituito da un risanamento socio–economico ed insediativo in uno degli ambiti regionali che presentano i più alti livelli di disagio sociale e di degrado insediativo (dovuto all‟abusivismo edilizio molto diffuso, al frequente abbandono dell‟edilizia esistente costituita in gran parte da “case stagionali”, all‟assenza di strumenti urbanistici, ecc.) dell‟intera conurbazione, e soprattutto la presenza di un rischio antropico devastante, costituito dalle discariche abusive di rifiuti (spesso tossici) la cui presenza e diffusissima nell‟area in questione, intermedia tra le province di Napoli e di Caserta

della Domitiana + Nuova Darsena S. Bartolomeo e Nuovi approdi fluviali del Volturno.

Gli interventi infrastrutturali previsti nell‟area vesuviana si incrociano con gli effetti del Rischio Vesuvio che impone alle politiche territoriali regionali la predisposizione di una manovra ad hoc di mitigazione del rischio e di messa in sicurezza dell‟intero ambito insediativo Vesuviano, attraverso una decompressione demografica secondo le linee contenute nelle delibere di Giunta Regionale di luglio 2003 e la LR. n.21 del dicembre 2003. L‟ampliamento dell‟asse autostradale A3 rappresenta l‟aumento della capacità di trasporto dell‟arteria e del livello di servizio offerto, nonché il miglioramento delle sue condizioni di sicurezza L‟adeguamento della Circumvesuviana consente l‟aumento della capacità di trasporto della linea ferroviaria e del

− “Rischio Vesuvio” + Potenziamento dell‟autostrada A3 + Circumvesuviana + interventi di completamento, riqualificazione e potenziamento dell‟offerta diportistica.

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livello di servizio offerto all‟utenza. Il miglioramento dell‟accessibilità a quest‟area si collega all‟adeguamento del sistema portuale, basato sull‟ampliamento del Porto di Castellammare di Stabia, da rilanciare come grande polo attrattore turistico, cerniera tra l‟area napoletana e la penisola sorrentino– amalfitana. La riqualificazione del porto consente la costruzione di scenari di riqualificazione urbana integrando la funzione portuale con la riorganizzazione del sistema pubblico della città di Castellammare.

10 Campi flegrei

La presenza di nuove infrastrutture costituisce un volano per la riqualificazione urbana di aree dense in collegamento con il tessuto insediativo dell‟ area occidentale di Napoli e di zone di grande pregio paesistico dei comuni Flegrei; inoltre favorisce l‟accessibilità della zona flegrea ricca di valori storici e di testimonianze archeologiche, favorendone prospettive di sviluppo nel settore turistico. Il Raddoppio della Cicumflegrea e il raddoppio della Cumana rappresentano un adeguamento infrastrutturale dovuto all‟esigenza di potenziamento dei servizi offerti. L‟area sarà interessata da un sistema di porti turistici: il porto di Bagnoli è una nuova infrastruttura in un‟area urbana centrale, in connessione con funzioni attrattive di livello territoriale. Sono in previsione, inoltre, i porti turistici di Pozzuoli, Baia, Marina grande di Bacoli, Miseno e Acquamorta di Monte di Procida. Il potenziamento complessivo dell‟attrattività di questo sistema paesistico e urbano dev‟essere coordinato con il problema emergente dovuto alla pericolosità ed al conseguente rischio vulcanico, sismico e bradisismico delle zone che circondano il golfo di Pozzuoli

− Rischio vulcanico e sismico + Raddoppio Circumflegrea + interventi di completamento, riqualificazione e potenziamento dell‟offerta diportistica + Raddoppio Cumana + Linea 6 della Metropolitana di Napoli.

Fonte: Documento di Piano – LR 13/08

La scheda approntata per ciascun campo complesso contiene tutti gli elementi per poter effettuare una lettura spaziale anche dei Programmi operativi regionali in corso sui vari fondi comunitari e 178


nazionali (FAS). A titolo esemplificativo si riporta la scheda relativa al primo campo territoriale complesso. La stessa procedura del Parco progetti attivata dalla Regione Campania con l‟obiettivo di creare una banca progetti rispondente all‟inquadramento strategico dei fondi strutturali avrebbe potuto trovare nel PTR la sua coerenza strategica e la sua giustificazione strutturale, dando la corretta dimensione attuativa alle richieste di finanziamento che gli enti locali producono attraverso la procedura del parco progetti e che hanno una scarsa validità per la mancanza di un quadro di riferimento entro cui essere collocato. Ciò in parte è dovuta alla tradizionale separazione di competenze che ancora oggi è baluardo di piccoli poteri amministrativi e l‟incapacità di sperimentare l‟innovazione (anche amministrativa) attraverso una maggiore responsabilità nelle scelte Dalla lettura in termini spaziali del PTR emerge un ulteriore elemento che aiuta a configurare lo strumento nella direzione dello spatial planning, ravvisabile nella dimensione del paesaggio acquisita come parte integrante nel Piano, nell‟accezione conferita dalla Conferenza Europea del Paesaggio. Le Linee guida del Paesaggio redatte in conformità sia con la CEP che con il dispositivo normativo italiano (Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004) si pongono come matrice di indirizzo strategico che vede oltre che nella valorizzazione, anche nella funzione di tutela e salvaguardia l‟individuazione di azioni e luoghi su cui attivare e concentrare la programmazione dei fondi comunitari e nazionali (FAS) nella logica dell‟aggiuntività rispetto all‟ordinarietà della spesa. Dalle Linee Guida infatti si legge “il “carattere strategico” del PTR, come “ricerca di generazione di immagini di cambiamento, piuttosto che come definizioni regolative del territorio”: “l‟intenzione è di poggiare il successo del piano non tanto sull‟adeguamento conformativo degli altri piani, ma sui meccanismi di accordi e intese intorno alle grandi materie dello sviluppo sostenibile e delle grandi direttrici di interconnessione”. Questa ridefinizione dei compiti della pianificazione territoriale, che caratterizza la maggior parte delle esperienze recenti in Italia ed altri paesi, è stata rafforzata anche dal tentativo di raccordo con la programmazione dei fondi strutturali, su cui sembra raccogliersi un largo consenso politico. L‟enfasi sulla missione strategica della pianificazione non riguarda, d‟altronde, soltanto la pianificazione urbanistico- territoriale in senso stretto. La 179


proposta di PTR non manca di segnalare lâ€&#x;importanza del paesaggio nelle politiche di valorizzazione economica del territorio e di consolidamento dei valori identitari, che sollecita approcci strategici assai piĂš che misure di vincolo e protezione. In tal senso il PTR coltiva, se la lettura viene sviluppata secondo il linguaggio dello sviluppo spaziale, le due linee che connotano oggi le politiche di sviluppo, quella strutturale di riequilibrio delle disparitĂ intraregionali, e quella competitiva di concentrazione per la promozione dello sviluppo competitivo. In questa trasposizione strutturale e nello stesso tempo strategica del Piano, i Sistemi territoriali di sviluppo coltivati come percezione statica di uno status non tanto vocazionale ma tendenziale, si evolvono verso gli Ambiti di paesaggio che definiscono la struttura (il cosiddetto Statuto dei luoghi) costruiti appunto secondo un processo integrato di dinamiche di trasformazioni e caratteri strutturali del territorio. Figura 74 Schema di individuazione degli ambiti territoriali

Fonte: Linee Guida per il Paesaggio – LR 13/08

Gli ambiti di paesaggio che risultano da questa integrazione diventano collettori di strategie di valorizzazione e di indirizzi di

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salvaguardia e gestione, articolati secondo le seguenti linee strategiche: 1. Costruzione della rete ecologica e difesa della biodiversità; 2. Valorizzazione e sviluppo dei territori marginali 3. Riqualificazione e salvaguardia dei contesti paesistici di eccellenza - la fascia costiera 4. Riqualificazione e salvaguardia dei contesti paesistici di eccellenza - le isole 5. Riqualificazione e salvaguardia dei contesti paesistici di eccellenza- le morfologie vulcaniche 6. Valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio Valorizzazione delle identità locali attraverso le caratterizzazioni del paesaggio colturale e insediato 7. Valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio Qualificazione della leggibilità dei beni paesaggistici di rilevanza storico-culturale 8. Valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio valorizzazione dei sistemi di beni archeologici e delle testimonianze della storia locale 9. Recupero delle aree dismesse e in via di dismissione 10. Rischio attività estrattive 11. Attività produttive per lo sviluppo agricolo 12. Attività per lo sviluppo turistico Tabella 3 Le linee strategiche associate agli ambiti paesaggistici

Fonte: Linee Guida per il Paesaggio – LR 13/08

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THE EVALUATION OF THE TERRITORIAL DIMENSION FOR BRIDGING THE GAP BETWEEN PLANS AND PROGRAMS

The authors suggest to apply a new methodology in the evaluation processes of programs, aimed at emphasizing the relationship between spatial dimension and public expenditure in terms of efficacy. Therefore, they illustrate the application of a GIS specifically aimed at supporting the mid-term and ex ante evaluation, developed in their experience as practitioners at the Evaluation Unit of Public Investment in the Campania Region. The case studies have been developed as part of the active research conducted by the authors for a regional authority, that is, the Campania Region. A GIS tool was first implemented to support the evaluation of two topics, chosen as pilot-projects: the Integrated Projects and the rural measures of the program. After dealing with the two pilot-applications, the authors experimented a broader use of the tool in the framework of the ex-ante evaluations of two Operational Programs 2007-2013 (European Fund of Regional Development OP and European Fund of Agriculture and Rural Development OP), thus triggering the importance of a specific tool for spatial evaluation to enhance the relationship between plans and programs. Finally, the authors explored the spatial planning approach in order to assess the current regional planning document in force in the Campania Region.

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APPENDICE: PROGETTO SPIKE SPATIAL PLANNING FOR INNOVATION AND KNOWLEDGE ECONOMY Carmelina Bevilacqua e Claudia Trillo

In appendice viene presentato un progetto di ricerca che ha l‟obiettivo di investigare la spazializzazione dei flussi di conoscenza prodotti all‟interno del territorio dell‟Unione Europea. Il progetto, denominato SPIKE - acronimo di Spatial Planning for Innovation and Knowledge Economy - rientra nelle priorità “Territorial dimension of the innovation and knowledge economy” del programma ESPON 2007-2013. Poiché si rileva che a tutt‟oggi permane una lacuna metodologica nell‟apprezzare l‟impatto spazializzato delle politiche di sviluppo tese ad incrementare la competitività dei territori attraverso innovazione e conoscenza, si ritiene utile collocare in appendice al testo il programma nelle sue parti concettuali, al fine di favorire la circolazione di idee che possono contribuire ad un avanzamento delle conoscenze in questo campo ritenuto essenziale, anche in vista di una migliore focalizzazione strategica delle priorità per il periodo 2014-2010 e di Horizon 2020.

INTRODUCTION

The European Union has adopted the Lisbon Declaration in 2000, according to which until 2010 priority will be given to a knowledge based economy (as the most competitive economy in the world), in order to sustain competitive advantage of the EU. The role and institutional structure of knowledge creation in innovation is not just limited to individual firms or across the industry, but also up to public institutions and their 'organic' linkages with education, tax incentives, finance and so on. Emphasizing knowledge and innovation as never before are the keys to competitiveness and wealth creation in the fast evolving global economy. We may start by assuming that: - innovation implies to put forward changes through the introduction of new approaches;

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- the technology can be considered a sort of “raw material”, useful to produce innovation and it has not to be considered as “innovation” by itself; - the Technologic Transfer produces innovation through processes of knowledge‟s capitalization; - the Technologic Transfer produces innovation not only within industrial sector, but also in all the sectors involved in the human life organisation. We furthermore can assume that innovation is a combination of invention and its exploitation in order to produce dynamic and continuous improvement processes. The causal link between innovation, knowledge economy and competitiveness is the key-concept in order to understand dynamism of the social and territorial cohesion within European Space. A general consensus exists in the debate on innovation-oriented regional development, in which cooperation in innovation between manufacturing firms, service firms and research institutions continues to grow in importance with respect to business success and the economic performance of a region-at least for some region types. The academic discussion, thus far, has been shaped by a large number of outstanding theoretical studies focusing on this topic from the perspective of the innovative milieu concept, the network theory (spatial version), the regional innovation systems approach or the transaction cost theory. Up to now, comparative empirical studies have not been performed evaluating the significance of innovation networks over a sufficiently large and statistically representative data set for the various types of regions. It is reasonable to argue that the improvement of competitiveness, as factor of development, needs an increase of innovation spread supported by knowledge economy. The knowledge economy is based on production and demand of knowledge. More in detail it was said that there is a substantial difference between knowledge economy and knowledge-based economy, in the first case the knowledge is a product, in the second is a tool. This difference is not yet well distinguished in the subject matter literature. They both are strongly interdisciplinary. How this market works mostly depends on the characteristics of the context. In terms of spatial effect, the location is either diminished, in some economic activities: using appropriate technology and methods, virtual marketplaces and virtual organizations that offer benefits of speed, agility, round the clock operation and global reach can be 186


created., or, on the contrary, reinforced in some other economic fields, by the creation of business clusters around centres of knowledge, such as universities and research centres. Even though clusters already existed in pre-knowledge economy times. TERRITORIAL DYNAMIC, INNOVATIVE MILIEUS AND REGIONAL POLICY

For the last two hundred years, neo-classical economics has recognised only two factors of production: labour and capital. Knowledge, productivity, education, and intellectual capital were all regarded as exogenous factors that is, falling outside the system. New Growth Theory is based on work by Stanford economist Paul Romer and others who have attempted to deal with the causes of long-term growth, something that traditional economic models have had difficulty with. Following from the work of economists such as Joseph Schumpeter, Robert Solow and others, Romer has proposed a change to the neo-classical model by seeing technology (and the knowledge on which it is based) as an intrinsic part of the economic system. Knowledge has become the third factor of production in leading economies. (Romer, 1986; 1990) Under conditions of increasingly open international markets, national innovation systems in many countries are restructuring to meet new opportunities and challenges of globalisation. These structural changes in national innovation systems tend to optimize knowledge generation, dissemination and utilization in various sectors. Competitive sectors are referred as 'knowledge-intensive' industries (in place of 'science and technology-based' industries) and now form the basis of evolving 'knowledge societies'. The higher mobility of capital, population and knowledge not only promotes the agglomeration of research activity in specific areas but also enables a variety of territorial mechanisms to fully exploit local innovative activities and (informational) synergies. In the European Union imperfect market integration and institutional and cultural barriers across the continent prevent innovative agents from maximizing the benefits from external economies and localized interactions, but compensatory forms of geographical process may be emerging in concert with further European integration. A great deal of studies has focused on the role played by geographical location on the emergence and the building of localised learning capacities. In this perspective, empirical studies have demonstrated that innovation dynamics of clusters results from the 187


quality of interactions and coordination inside the cluster as well as interactions with external, often global, networks. In this context, knowledge exchange between firms and institutions are claimed to be the main drivers of spatial agglomeration. Hence, cluster policies have followed the main idea that geographic proximity facilitates collective innovation in so far as firms can capture knowledge externalities more easily. This idea is in fact very attractive but contains some limits: if some clusters are successful others seem to decline. Therefore, in order to understand the territorial dynamics of clusters, the analysis of the specific nature of knowledge and information flows within a cluster is crucial. Figure A The Knowledge Economy Tracks

In terms of regional policy, the competitiveness, as a strengthening factor of development policies, has become very important in programming the European funds. Its aim is to make really effectual the public expenditure. The competitiveness, in its role of reinforcing factor for development policies, has became a very important aspect in programming European funds to implement the cohesion policy. 188


In this process, the city acquires a very important role with the reform of the cohesion policy and thereby of the structural funds. The regional programmes enrich themselves with the territorial dimension. Given that the programming activity, at regional level, deals with how improve the development process, at the same time, the development policy cannot be separated from spatial vision of itself. It is necessary to focus it because there is still a strong gap between regions that are able to make always higher the development push and regions that are always back and therefore target of convergence policies. This dichotomy is also due to how the urban and territorial planning is integrated with development policy. The territorial dimension marks the public action, defines the public choice and adapts the interventions. The TEN networks and the transnational corridors figure out new scenarios of territorial unity. The city as node of urban European network exploits the new development potentials to reach information, people and goodsâ€&#x; flows. Nevertheless, the reform of cohesion policy tries to translate the fundamental concept of polycentrism that the ESDP (ESDP European Spatial Development Perspective Towards Balanced and Sustainable Development of the Territory of the European Union Agreed at the Informal Council of Ministers responsible for Spatial Planning in Potsdam, May 1999 Published by the European Commission.) has defined to introduce the European diversity as a richness into globalization process: it is necessary to compete into new markets shaped by globalization with a diversified supply of innovative services, but in the same time the supply should be concentrated. The service concentration designs the new geography of urban system characterized by global cities and gateway cities. The globalization era has defined new approaches to manage competitive and territory. The urban dimension has become the explanatory pivot of contemporary development and functional to design new geo-economic spaces. The need to make the public investment be spatial is becoming more and more pressing. The territory is the unique actor of these processes: comprehending this reality has determined the success of nation and country that lived in shadow until 15 years ago (es. Spain, Ireland, Scotland).

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The European space performs the competitive push of the globalization era by a new attention to spatial strategy of networks (services, cities, etc.) Introducing the urban dimension into competitive development means acting on: 1. The spatial arrangements of urban functions (the position inside a market of public and private goods and services) - the identification of gateway cities; 2. The network systems (technological and transporting) of connection to European corridors – the strategic position of the identified gateway cities. 3. The environmental structure that supports and guarantee the good work of urban network – the sustainability of the gateways cities. INNOVATION AND KNOWLEDGE ECONOMY AND COMPETITIVENESS FACTORS: THE ROLE OF URBAN AREAS

EU policy for innovation is outlined in the 2006 communication ―Putting knowledge into practice: A broad based innovation strategy for the EU‖. The communication identifies the following 10 priority actions for how the EU can facilitate innovation. 10 EU Priority Actions to support Innovation: 1 Support Education 2 Establish a European Institute of Technology 3 Enhance Labour market for Researchers 4 Support University/Industry knowledge transfer 5 Improve Cohesion Policy for regional innovation 6 Increase State Aid for R&D 7 Improve Patent Strategy 8 Examine Legislation impacts on Digital Products 9 Encourage development in lead market technology 10 Enhance Procurement for innovative technologies In addition, a 2007 communication entitled ―Lead market Initiative for Europe‖ outlines the EU plan to lift obstacles to innovation in six markets: eHealth, sustainable construction, bio-based products, protective textiles, recycling and renewable energy. According to the Commission, as these markets are already highly innovative, supporting their growth and international expansion could give European producers a competitive advantage as lead producers (i.e. first mover advantage).

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The process of transform competitiveness principles in spatial factors is a need and thereby an opportunity that is constantly increasing together with globalization diffusion. This process comes from ESDP principles (fig. 1), and becomes tangible by means of ESPON results, which drive cohesion policy trough a new urban design inside the development policies. In other words, the destiny of the contemporary economies depends on their new urban system asset. Figure B Key principles of spatial development (ESDP)

The cities, nodes of the European network, exploit the new development potentials to gain the greatest part of the flows of information, commodities and people. The city is the place where the knowledge power and the opportunities concentration of development become central by acquiring the paradigm of motor of regional development. Such actions aim to improve competitiveness: promote entrepreneurship, innovation and the development of services and boost the attractiveness of cities. The concentration of services shapes the new geography of urban system by the identification of global cities, gateway cities as new urban centralities and polarities. A huge literature exists about how the urban systems are evolving to oppose against negative effects of globalization and to strengthen the positive ones. The idiom Global city has official used for the first time by Saskia Sassen in 1991. Her publication titled The Global City introduces the concept of the globalization as factor of urban growth and the need of its control to mitigate its negative effects (social degrade, criminality, social exclusion, etc..) 191


The concept of global city and its figurative transfer in an urban dimension translates in contemporary terms what Peter Hall identified in the ‟60 with the urban imagine of the World city. The link among these abstraction in urban planning matter regards the comprehension of the key factors that define urban hierarchies, not only with respect the dimension but also with respect the function and the role the cities have in the region. What can be interesting to drive inside the development policies is the opportunity to build up development vision by the urban dimension of the regional programme. It is important to produce spatial effects trough network of city also in difficult context. The role of gateway cities becomes fundamental to give a positive impulse to territory characterized by a stagnant economy due to a difficulties of contest (cultural, social and economic tradition). The gateway city system allows at developing the polycentrism principles in late territorial system by producing nodes of functional exchange. In this way, it is possible to configure a urban network apt to sustain the regional development. As matter of fact, it is hard to figure out a possible global city in difficult contest because the global city is the place where are concentrated the FIRE services (The FIRE services are related to Financial, Insurance, Real Estate. We can find a first explanation of them in an essay written by Peter Hall in the 1996 and titled “Christaller for a Global Age: Redrawing the Urban Hierarchy”.) for the global economy. But it is possible to build up urban networks to link the territorial system to the closer global city. The actual situation of less developed regions in terms of competitiveness is well represented and analysed by the ESPON 2006 . ESPON 2006 defines European urban areas among seven classification (fig. 2). The urban areas‟ classification partly derives from the analysis of the different behaviour of the various urban systems with respect the labour market, the economic concentration and balanced growth, the regional European specialisation and the competiveness and innovation. The FUA e MEGA classification can be considered as a synthesis of the European territory response to the globalization challenge. 192


If we compare the situation of geographical distribution FUA e MEGA according to economic concentration (fig. 4) and competiveness (fig. 5) with accessibility (fig. 6) we can ascertain that the less developed systems lack of urban network. Figure C Urban Areas

Source: ESPON Atlas 2006

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Figure D Economic concentration

Source: ESPON Atlas 2006

Figure E Competitiveness

Source: ESPON Atlas 2006

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Figure F Accessibility

Source: ESPON Atlas 2006

A new urban hierarchy is a push that regions should define to experiment competiveness, which is a basic factor to belong to the European network and thereby to the global economy. The new urban hierarchy is constituted by new centralities of different rank: gateway cities, hub cities, medium urban centres, urban regional internal barycentre, rural centre. The gateway city and the hub city are the urban places where research and innovation are produced. They are also the start point of the urban network. The gateway cities are urban strategic centres recognized at national level and are the key nodes of the network to boost development following the competitiveness principles. The hub cities are urban centre to interface from urban to rural context. The strategic configuration of gateway city system allows also the less developed regions at spreading information flows to build up a good atmosphere for innovation and research. The identification criteria of the gateway cities are, obviously, linked to the inspiration principles of Lisbon Strategy and so, based on knowledge economy. When they are identified, it is possible define the territorial areas with a strong urban influence where located the hub cities. After, the internal areas with structural weakness are identified together with minor centres –villages. 195


The competitive scenarios find their strategic power among the polycentric network above identified. Without the polycentrism it is not possible to spread innovation and thereby development. Table 1 Selected indicators relevant for the IS and their use in the reviewed ESPON reports

Source: ESPON project 1.2.3

Another sources of competitiveness and strongly related to innovation and knowledge economy are: 1. Spatial effects of Information society 2. Spatial effect of R&D together with indicators of levels of innovation activity. 3. EU economic policies and location of economic activities 196


Each of them refers a specific ESPON project developed during 2000-2006 programming period. The first is related to ESPON project 1.2.3 on the identification of spatially relevant aspects of the information society containing a descriptive analysis and spatial assessment of the information society. The project develops the topic of information society in a strict synergy with innovation spread and knowledge diffusion and makes up a useful frame of indicatorsâ€&#x; already defined in other ESPON projects (Table 1). The second is related to ESPON project 2.1.2 on the territorial impact of EU research and development policies constructing typologies of regions and identifying indicators that reflect regional strengths in R&D, together with indicators of levels of innovation activity. The project develops the topic of regional strength in R&D by stressing the different level of innovation power among regions. The innovation power geography seems quite different from the distribution of different level of GDP per capita, as explanatory variable of economic development.

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Figure G Typology of regions: cluster analysis 1

Source: ESPON project 2.1.2

The third is related to ESPON project 3.4.2 on EU economic policies and location of economic activities offering an economic typology of European regions. The project develops the topic of EU economic policy by stressing the regional diversity in terms of economic specialization and summarizing the figures in 7 typology of region

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Table 2 Economic typology of European regions in 2002, 7 types

Source: ESPON project 3.4.2

OBJECTIVES OF THE PROPOSED WORK

Competitiveness is a dynamic factor moving around different levels of demand and supply of innovation and Knowledge Economy. A deeper understanding of these dynamics allows us at further discovering how competitiveness differentiates in EU territories. The demand and supply of innovation and Knowledge Economy defines a particular territorial structure characterised by a set of interactions that can be analysed by introducing the network tool. The challenge of the proposal is to transform the set of indicators collected by NUT 2 and NUT 3 in the dynamic representation of 199


the innovation and knowledge flows in terms of demand and supply and thus in terms of market flows. The literature on urban and territorial economics shows a huge production on territorial model based on the market rationale. From Lowryâ€&#x;s studies, to the current approaches, developed by Sassen and Kunzman, on how globalisation affects the new geography of cities, the carrying capacity of different territorial units has always been investigated by examining how far demand and supply of information, goods and services work to ensure economic growth and development. By using the rationale of the transportation networks, we may compare the European territorial structure to a net of nodes and arches; different levels of innovation are supposed to charge this network. The innovation network operates mainly through cities; furthermore, it influences the surrounding territory in such a way, which generates a good atmosphere for successful innovative business processes. In the framework of the reform of the cohesion policy and of the structural funds, the city acquires a very important role. Thus, the regional programs enriches themselves in the so called “territorial dimensionâ€?. The territorial dimension underpins the public action, defines the public choices and requires the interventions to be adapted. The project aims at Developing the innovation and knowledge economy topic with respect its multivariate implication within the spatial development of European territory by recognizing that the dynamic process due to innovation and research flows (innovation network) defines different influence areas (power zones) that can better explain the territorial distribution of competitiveness factors. In particular, it aims at: 1. Setting up an analytical process to understand how innovation network works within European territorial structure 2. Building the innovation network by classifying nodes and arches with respect the set of indicators already used to explain innovation and knowledge economy phenomena.

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3. Classifying levels of power zones in functions of the different level of innovation and knowledge economy flowsâ€&#x; intensity. The proposal objectives, finally, aim at defining policy recommendations at different administrative levels with respect to: - Different intensity of flows (innovation network) - Different level of power zones - Interactions among power zones with respect their objective regions (convergence, competitiveness) and effecting Operational Programmes 2007-2013 of competitiveness regions and Operational Programmes 20072013 of converge regions. The proposed work is articulated in activities subject by Programmatic inputs. The activities is related to the construction and the implementation of an Analytical process to build European innovation network. The Analytical process to build European innovation network is composed by two operative lines: 1. Territorial analysis 2. Demand and supply of innovation The territorial analysis is articulated in four steps: 1. Analysis and selection of a set of indicators to be used in the research in order to obtain a classification of them with respect the research objectives (see Section III) related to the network innovation building. 2. Definition of nodes (cluster thereby) of the innovation network in order to reach a classification of the network nodes with respect indicators related to the main topic of the research (see Secion III) that are innovation and knowledge economy, competitiveness, information society and European territorial structure. 3. Definition of the interconnections among the previous nodes of the innovation network in order to reach a classification of innovation flows with respect the characteristic of the European territories. 4. Analysis of the interactions between the innovation network and the urban areas network: the territorial structure of innovation and knowledge economy should be 201


characterized by strong interactions in terms of information flows, services supply and knowledge production The Demand and Supply of innovation is articulated in two steps: 1. Analysis of demand and supply of innovation and its figurative explanation in terms of spatial development in order to obtain a classification of the innovation flows in terms of different intensity of their influence. 2. Analysis of the carrying capacity of the territories to capitalize the innovation flows (evaluation model of the territorial structure maturity to exploit innovation and knowledge supply) in order to reach a definition of different territorial areas with respect to their response to the innovation network . The Programmatic input are: Lisbona Agenda – Cohesion Policy 2007-2013 – 1. Green Paper 'The European Research Area: New Perspectives' 1.1. Unified and attractive European Research Area, which would fulfill the needs and expectations of the scientific community, business and citizens 2. EUROPEAN INNOVATION SCOREBOARD PERFORMANCE comparative assessment of the innovation performance of EU Member States (2004-20052006-2007-2008) 2.1. Benchmarking of innovation performance (INNO Metrics) Analysis of major innovation trends (INNO Policy TrendChart) Referencing of innovation programme evaluations and impact assessments (INNO Appraisal) Stimulate trans-national innovation policy cooperation (INNO-Nets) Provide incentives for joint innovation actions (INNO-Actions) 3. FP7 Capacities Work Programme: Regions of Knowledge 4. REGIONS 2020 An Assess 5. Green Paper on Territorial Cohesion – Turning territorial diversity into strength 202


NUTS 3 Regions Classification 2009 6. European Territorial Co-operation 6.1. URBACT II 6.2. ESPON 2000-2006 6.3. ESPON 2007-2013 The applied research aims at defining European Power Zones for innovation and knowledge exploitation with a set of indicators: context indicators and programming indicators (result and impact). METHODOLOGY, SPECIFIC GOALS AND ACTIVITIES

In order to understand the spatial relevant components of the innovation and Knowledge Economy and its policy implications, it is necessary to arrange an analytical process of how innovation network works within the European territorial structure. To this end, different techniques for the identification and evaluation of the relevant factors will be adopted. Objective 1: - defining the main components of the network (nodes, clusters and their interconnections) starting by a classification of them with respect the variables (EIS for instance and the adaptation of innovation model , ESPON atlas) that are supposed to influence innovation and knowledge economy; Activity: - Systematic literature review - Data surveying, collection and ordering The first activity will be a systematic review of the relevant academic literature (both theoretical and empirical). The focus will thus be on the different characteristic of European regions, following the aggregation between convergence regions and competitive ones, and on the differences between lagging regions in the old and the new member states. The second activity concerns data collection. In describing the project in a start-up phase, it is hard to say precisely which data will be necessary for its successful completion. However, it can be stated that there will be two kinds of data: - Data related to innovation and knowledge economy and ICT with a territorial specification to regional area or innovation pole (topology: area, node)

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- Data to explain the interactions and so the flows occurring among poles and areas (topology: line/flow) It is reputed fundamental the construction of Logical Framework about identification criteria to select data to build indicators. The logical framework tools are related to the main topics of the research: - Innovation and Knowledge Economy - Information Society - Competitiveness - European Territorial Structure. The activity regards the arrangement of a model able to quantify the level of intensity of innovation flows. The theoretical approach uses the rationale of transportation model to charge the virtual network by forecast the flow intensity (net charge) and the choice of direction. context, by analysing the different levels of intensity of the flows (by using indicators of innovation and knowledge economy) charging the network; Activity: - Evaluation model of innovation power The activity regards the arrangement of a model able to quantify the level of intensity of innovation flows. The theoretical approach uses the rationale of transportation model to charge the virtual network by forecast the flow intensity (network charge) and the choice of spatial direction. Objective 3: - defining the different responses of the territories and regions in Europe to the different levels of intensity, by sorting out how the influence areas can be characterised; Activity: - Comparative spatial analysis The activity will carry out case studies. It is supposed to implement 5 case studies in order to testify the model of innovation network. The selection of the case studies will be agreed with the Project Steering Committee and a common methodology drawn up. The case studies will be used for bench learning as their results should be used for the capitalisation and transfer of best practices in 204


the regional development strategies. The case studies will provide an indepth example of how innovation network operates in practice and reveal insights into the effective success in practice of chosen development strategies. Recommendation for the current structural funds programmes implementation will be drawn from the understanding of the potential for some areas in the EU territory. The basic concepts for explaining network-oriented regional development are described and the essential features of the European Regional Innovation Survey (ERIS) are presenteddeveloped by a research team of economic geographers and regional economists. Between 1995 and 1999 ERIS carried out three extensive surveys in 11 European regions with a total return of 8635 questionnaires, in an effort to identify, systematize, and quantify linkages between innovative players. The question of the range of such innovative linkages plays a central role in this analysis Objective 3: - defining maps on relationships between intensity of flows and the different characteristics of influence areas. Activity - European Innovation power Zones Rationale The activity will define a Consistent synthesis of the results of the previous steps in order to figure out how the causal link between innovation, knowledge economy competitiveness, information society is the key-concept to understand dynamism of the social and territorial cohesion within European Space. The territorial structure for the innovation and knowledge economy should be characterised by a strong interaction in terms of information flows, services supply and knowledge production. Innovation and knowledge economy can define new patterns of territorial development, provided they are related with territorial competitiveness issues. Some key concepts are supposed to drive the entire European Power Innovarion Zones Rationale: With respect the current state and pattern of the European territory related to the knowledge and innovation economy, it is a common belief that the startup of new clusters, based on both the competences currently offered by each territory, and the convergence of the clusters already operating, represents the strategic core to promote development. Aim of the research is boosting the diversification in the productions of any EU territorial system in its broader meaning, in order to reduce the risk 205


driven by the negative impacts of globalisation on narrowly- limited economic sectors. In this context, it is important to activate technological foresight process to involve research, SMEs and public administration to sort out future development strategies.

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INDICE DELLE FIGURE Figura 1 Aree di sviluppo industriale e nuclei di industrializzazione .......... 28 Figura 2 Il modello di assetto programmatico ................................................ 37 Figura 3 Modalità di attuazione del modello programmatico per sistemi metropolitani e per sistema relazionale ............................................................ 39 Figura 4 I sistemi urbani per “grappoli” .......................................................... 46 Figura 5 Banana Blu ............................................................................................ 47 Figura 6 Il metodo dello spatial planning secondo la vision della Germania.. 50 Figura 7 Le piattaforme del progetto S.I.S.Te.M.A. ...................................... 53 Figura 8 “Key messages” per la futura programmazione 2014-2020.......... 57 Figura 9 Interpretazione spazializzata delle strategie nazionali nella Randstadt .............................................................................................................. 79 Figura 10 La visione spazializzata di sviluppo nazionale ai sensi dello Spatial Plan 2008 del Galles; la strategia spazializzata per il Galles Centrale ................................................................................................................................ 80 Figura 11 La nuova mappa della Danimarca................................................... 81 Figura 12 National Spatial Strategy, Ireland .................................................... 82 Figura 13 Stato della pianificazione comunale nel Sud Italia ....................... 93 Figura 14 Livelli di sviluppo delle Regioni europee ....................................... 95 Figura 15 Obiettivi del Rapporto di Aggiornamento di Valutazione Intermedia – POR Campania 2000-2006 ...................................................... 104 Figura 16 RAVI 2000-2006 Campania – Sovrapposizione delle aree tematiche configurate dai PI ............................................................................ 110

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Figura 17 RAVI 2000-2006 Campania – Concentrazione delle risorse complessive programmate (complessivamente e per tematismi omogenei) .............................................................................................................................. 113 Figura 18 RAVI 2000-2006 Campania – Concentrazione delle risorse complessive spese alla data del RAVI (compl. e per tematismi omogenei) .............................................................................................................................. 114 Figura 19 RAVI 2000-2006 Campania – Dimensione media degli investimenti programmati e spesi alla data del RAVI ................................. 115 Figura 20 RAVI 2000-2006 Campania – Interventi puntuali (risorse programmate e spese alla data del RAVI) ..................................................... 116 Figura 21 RAVI 2000-2006 Campania – Interventi lineari (risorse programmate e spese alla data del RAVI) ..................................................... 117 Figura 22 RAVI 2000-2006 Campania – Interventi areali (risorse programmate e spese alla data del RAVI) ..................................................... 118 Figura 23 Risorse FEOGA complessive (interventi ammessi a finanziamento alla data del RAVI) ................................................................. 122 Figura 24 Risorse FEOGA complessive (interventi finanziati alla data del RAVI) ................................................................................................................. 123 Figura 25 Risorse FEOGA complessive/ popolazione residente............. 123 Figura 26 Risorse FEOGA complessive/ SAU ........................................... 124 Figura 27 Risorse FEOGA in misure specifiche (a).................................... 124 Figura 28 Risorse FEOGA in misure specifiche (b) ................................... 125 Figura 29 Risorse FEOGA in misure specifiche (c).................................... 125 Figura 30 Variazione percentuale popolazione residente ........................... 126 Figura 31 Analisi interpretativa dello spazio geo-economico della Campania ............................................................................................................ 132

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Figura 32 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1.a Risanamento Ambientale (Acque) ................................................................................................................. 139 Figura 33 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1.a Risanamento Ambientale (siti contaminati) .................................................................................................... 139 Figura 34 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1c Rete Ecologica .............. 140 Figura 35 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1d Energia .......................... 140 Figura 36 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1f Sistema turistico ............ 141 Figura 37 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 1e Le Risorse Culturali ..... 141 Figura 38 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 2a Potenziamento del sistema ricerca e innovazione ed implementazione delle tecnologie nei sistemi produttivi ............................................................................................................ 142 Figura 39 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 2b, 2c, 2d, 2e Società dell‟informazione e internazionalizzazione e attrazione degli investimenti .............................................................................................................................. 142 Figura 40 Analisi del fabbisogno – Ob. 3b Benessere, sicurezza e qualità della vita .............................................................................................................. 143 Figura 41 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 3a Rigenerazione urbana .. 143 Figura 42 Analisi del fabbisogno – Obiettivo 4a, 4b, 4c, 4d, 4e Corridoi europei, accessibilità, portualità e mobilità .................................................... 144 Figura 43 Concettualizzazione della genesi della territorializzazione delle politiche di sviluppo rurale in Campania ....................................................... 148 Figura 44 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU arboricoltura) ...................................................................................................... 150 Figura 45 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU boschi) .............................................................................................................................. 151 Figura 46 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU coltivazioni legnose) .......................................................................................... 151 219


Figura 47 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU ad orti) .............................................................................................................................. 152 Figura 48 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU a prati permanenti e pascoli)........................................................................................ 152 Figura 49 Utilizzazione dei territori agricoli per macroarea (% SAU a seminativo) ......................................................................................................... 153 Figura 50 Intensità delle risorse assegnate all‟asse 1 nelle macroaree sulla base delle priorità attribuite dal PSR .............................................................. 155 Figura 51 Percentuale di agricoltori con altre attività remunerative sul totale degli agricoltori per macroarea............................................................. 155 Figura 52 Reddito Lordo Standard sul numero totale di aziende per macroarea ........................................................................................................... 156 Figura 53 Intensità delle risorse assegnate all‟asse 3 nelle macroaree sulla base delle priorità attribuite dal PSR .............................................................. 157 Figura 54 Variazione della popolazione residente (1991-2001) per macroarea ........................................................................................................... 157 Figura 55 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicatore 4) per macroarea: numero di capi azienda che hanno seguito corsi professionali .............................................................................................................................. 158 Figura 56 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicat. 4) per macroarea: % di capi azienda che hanno seguito corsi professionali sul totale dei capi azienda....................................................................................... 159 Figura 57 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicatore 4) per macroarea: numero di capi azienda con diploma o laurea ad indirizzo agrario ................................................................................................................. 159 Figura 58 Formazione e istruzione del settore agricolo (Indicat. 4) per macroarea: % di capi azienda con diploma o laurea ad indirizzo agrario sul totale dei capi azienda....................................................................................... 160

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Figura 59 Struttura per età nel settore agricolo (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea: rapporto % tra agricoltori di età inferiore a 35 anni e agricoltori di età superiore a 55 anni .............................................................. 160 Figura 60 Reddito Lordo Standard (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea:Reddito Lordo Standard sul numero totale di aziende ............ 161 Figura 61 Reddito Lordo Standard (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea:Reddito Lordo Standard sulla SAU totale .................................. 161 Figura 62 Vendita ad organismi associativi (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea ................................................................................................ 162 Figura 63 Adesione a società cooperative (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea ................................................................................................ 162 Figura 64 Adesione a società di produttori (Indicatore supplementare asse 1) per macroarea ................................................................................................ 163 Figura 65 Agricoltori con altre attività remunerative (Indicatore supplementare asse 3) per macroarea ............................................................. 163 Figura 66 I sistemi Territoriali di sviluppo .................................................... 166 Figura 67 La rete ecologica .............................................................................. 167 Figura 68 La rete infrastrutturale .................................................................... 167 Figura 69 Campi Territoriali Complessi......................................................... 168 Figura 70 Ambiti insediativi ............................................................................. 168 Figura 71 Visioning preferita ........................................................................... 169 Figura 72 Visioning tendenziale ...................................................................... 169 Figura 72 La lettura spaziale del PTR............................................................. 172 Figura 74 Schema di individuazione degli ambiti territoriali ...................... 180

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Tabella 1 Le aree di sviluppo industriale in cifre ........................................... 29 Tabella 2 I Campi Territoriali Complessi ...................................................... 173 Tabella 3 Le linee strategiche associate agli ambiti paesaggistici ............... 181

Figure A The Knowledge Economy Tracks................................................. 188 Figure B Key principles of spatial development (ESDP) ........................... 191 Figure C Urban Areas ...................................................................................... 193 Figure D Economic concentration ................................................................ 194 Figure E Competitiveness ............................................................................... 194 Figure F Accessibility ....................................................................................... 195 Figure G Typology of regions: cluster analysis 1 ......................................... 198

Table 1 Selected indicators relevant for the IS and their use in the reviewed ESPON reports ................................................................................................. 196 Table 2 Economic typology of European regions in 2002, 7 types .......... 199

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Finito di stampare a Napoli nelle Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli SpA nel mese di ottobre 2012


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