Fotografia
L’albero dell’illuminazione Trasformare la fotografia in poesia e parlare dei pensieri più raffinati dello spirito umano è un antidoto contro il ritmo incalzante della nostra vita. E’ questo che Tiziano Fratus ci propone con i “suoi” alberi. di Elisabetta Gatti
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vere le radici verso il cielo, sembra un'assurdità, un evidente sovvertimento del pensiero comune. Eppure potrebbe essere una cura per il genere umano, a quel suo senso di sradicamento che lo porta ad affermare, a volte imporre, la propria idea di identità e il proprio interesse su tutto e su tutti. Delle radici che traggono il loro nutrimento dall’alto invece che dal basso, ci obbligano a cambiare totalmente la prospettiva. E’ così che Tiziano Fratus ci prende alla sprovvista con i suoi appunti sull’albero dell’illuminazione, l’Asvattha. Uno scrittore, un poeta e un insolito fotografo, che ci sorprende con ritratti in bianco e nero di alberi centenari. Lo stile delle sue immagini è quello di proporre sia l’insieme sia il dettaglio delle forme originali e naturali che il mondo vegetale può creare, se solo gli si lasciasse più tempo.Già, all’albero occorrono molti anni, anzi secoli per mostrarsi in tutta la sua maestosa nobiltà e bellezza. E’ sicuramente molto più del tempo che l’essere umano oggi è disposto a concedere a chiunque. Abbiamo fretta, tutti molta fretta ma Tiziano ci costringe a fermarci.
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Le sue profonde riflessioni, ci portano lontano, alle radici della saggezza umana. aprendoci scenari inconsueti o dimenticati. Al tempo stesso ci mostra in una sorta di diario di bordo del suo processo di ricerca mentale, ma anche spazio-temporale, delle antiche radici dell’umanità che, come l’autore ci ricorda, non appartengono alla terra ma al cielo.
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Fotografia “Il primo verso della quindicesima lettura o capitolo del Bhagavad Gita, testo sacro dell’induismo, parte del più ampio Mahabharata, introduce alcuni dei più discussi alberi mai descritti: Il beato disse: 1. Parlano di un eterno Asvattha con radici in alto e rami in basso, le cui foglie sono i Vedas; chi lo conosce, è un conoscitore dei Veda. 2. Sopra e sotto si disperdono i suoi rami, nutriti dai Gunas (gli elementi); i sensi-oggetti sono i suoi germogli; e sopra nel mondo dell’uomo si dispiegano le radici, che generano azioni. Secondo alcune interpretazioni letterarie e religiose l’Asvattha o Ficus religiosa (detto anche Pippal o Pippala) è un albero che ramifica le proprie radici, ovvero nel tempo le radici si innalzano diventando come dei rami.Questa spiegazione però non ha alcuna dimostrazione scientifica, botanica. Alcuni commenti presenti sui volumi che posseggo in casa, ovvero la versione bilingue in sanscrito e inglese curata da Swami Swarupananda, pubblicata a Calcutta e che ho acquistato a Singapore, nel quartiere indiano, e quella italiana curata da Raniero Gnoli, parlano dello sviluppo delle radici di questi alberi che nel tempo si fanno rami. Le foto che ho raccolto di questi esemplari, compreso quella di ungrande esemplare presente nel giardino botanico di Palermo, non mostrano questo sviluppo aereo delle radici. E’ il caso anche dell’esemplare più famoso, il Sri Maha Bodhi nel tempio di Mahabodhi, a novantasei km dalla città di Patna, capitale dello stato di Bihar, nel nord est dell’India. La leggenda narra che il Siddhartha Gautama si sarebbe illuminato diventando Buddha proprio stando sotto questo albero antico, così come descritto anche in tanti racconti e nel film di Bernardo Bertolucci. Storicamente è certo che questo albero sia stato piantato da mano umana nel 288 a. C., e rappresenta il più antico esemplare di angiosperma mai piantato dall’uomo. Cerco di capire. Chiedo quindi una spiegazione ad una poetessa indiana mia amica, Mani Rao, che vive da diversi anni negli Stati Uniti ed ha tradotto, in inglese attuale, proprio quest’opera che uscirà per Penguin India. In attesa della spiegazione di Mani ecco al lettore una mia “traduzione” del significato. L’obiettivo di un saggio è tagliare con la spada le radici di questo albero di modo da poter agire senza essere ingannato o trascinato dai sensi, e quindi dall’attaccamento alle cose. Lo dicono anche i maestri Jedi. A questo punto bisognerebbe spiegare cosa accade al personaggio principale del Bhagavad Gita, il Beato, ma ci svieremmo dal nostro interesse principale: andare a cercare quegli alberi reali e immaginari che il
mondo offre. A questa mia sintetica risposta pregna di materialismo europeo si contrappone la risposta che mi ha scritto Mani Rao: «L’idea è che il nostro corpo fisico è una radice. Siamo immersi nel mondo (fisico), così possiamo assorbire le lezioni di questo mondo. Il nostro vero essere, il nostro corpo reale è invisibile, aereo, e i suoi germogli, o le sue radici, le radici fisiche sulla terra / nascita fisica. Dico corpo reale, piuttosto che anima o spirito o mente, in quanto l’idea è che abbiamo molti corpi. Fisico, etereo (aereo) (i chakravche si apprendono nello yoga sono radicati nel corpo etereo), causale/emozionale, mentale, eccetera. Ciascuno è più sottile rispetto agli altri. L’idea che si incontra nell’albero del Gita è espressione di ciò che ho appena descritto: ma al contrario: la radice spirituale sta dove possiamo tracciare la nostra energia e luogo da cui possiamo trarre il nostro sostentamento.» L’albero in questione quindi è un albero non fisico ma aereo, spirituale. Ed esistono diversi corpi: il corpo fisico, il corpo aereo, la radice spirituale: e tutto attraverso la visione di un semplice albero. rIferImentI bIblIografIcI
Tiziano Fratus Homo Radix, appunti per un cercatore di alberi, ed. Marco Valeri, 2010 Manifattura Torino Poesia www.torinopoesia.org http://homoradix.wordpress.com
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