David Conati
Playlist
Ad Amerigo, che non ti manchi mai la curiositĂ e la voglia di andare.
1. Curre curre guagliò 99 posse Un giorno come tanti ma non certo per qualcuno
È sera. L’antico cimitero situato sulla sommità della collina domina il quartiere sottostante, cinto da un alto muro che lo separa dalla città dei vivi. Lapidi logore e inclinate, contornate da siepi di bosso e inferriate arrugginite, si ergono da terra simili ai denti disordinati di un gigante, pronte a cadere da un momento all’altro. Gruppi di tombe sono intersecati da vialetti lastricati, insidiati dalle radici degli alberi. Queste da sottoterra, spingono in su come braccia di zombie, pronte a uscire in superficie facendo inciampare i passanti distratti. L’edera e i rampicanti in diversi casi rendono illeggibili i nomi dei defunti o delle famiglie alle quali appartengono le costruzioni più antiche. La città viva sembra distante anni luce e i rumori delle attività degli umani giungono lontane, ovattate. L’atmosfera spettrale nella penombra della sera rende il posto ancora più sinistro. Noi avanziamo in silenzio, uno dietro l’altro.
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Apre la fila Etienne, uno degli alunni dell’istituto con cui abbiamo stretto il gemellaggio. Ci guida tra le tombe con passo sicuro; evidentemente conosce la strada. Nell’ordine lo seguono Josephine, sua compagna di scuola nonché fidanzata, e Samuel che ha proposto quest’insolita uscita. Poi c’è Giò, io e per ultimo Ellade che chiude la processione. Ma chi ce l’ha fatto fare di venire qui stasera? Penso. Solito momento da sindrome del tuffatore. Qualcosa mi sfiora il viso, forse solo una bava di vento o una ragnatela. Sono troppo suggestionabile. – E lo portaron al Camposanto, gonfio di birra, senza rimpianto, se lo portaron, seduto in trono, quattro becchini al passo lento del perdono… Ci mancava Samuel con questa canzonaccia. – Smettila! Non sei divertente. Lui continua: – Due passi avanti, tre passi indietro... – Basta! Lo ammonisco. – Ma dai! – ribatte lui sorridendo sornione – Era per sdrammatizzare un pochino. – Samuel, accidenti a te e alle tue emozioni forti. – mormoro a denti stretti. Samuel però non sembra sentire le mie parole, segue come ipnotizzato Etienne che gli indica una lapide, lui eccitato esclama – Eccola è questa! Si dirige euforico verso una tomba in mezzo a tante simili, accalcate in modo apparentemente disordinato. L’orario di chiusura è passato da un po' e oltre a noi qui
non c’è nessuno. In fondo è stato piuttosto facile eludere la sorveglianza, è bastato acquattarsi dietro una delle tante tombe monumentali e aspettare che tutti se ne andassero. E adesso? – Festino! – propone Samuel tirando fuori dallo zaino un paio di birre, tabacco, cartine e un pezzo di fumo. – Qui? – insisto. – Sì. Proprio qui. – Perché? – domando poco convinta. – La sua tomba è questa. Col dito punta la scritta sulla lapide: J. Morrison, quindi si mette a gambe incrociate sopra la tomba. Gli altri si siedono disordinatamente attorno a lui che si trova al centro di questo strano sabba. Ci passiamo una birra, e poi una seconda. – Ellade, ma non avevi smesso di bere? – gli chiedo preoccupata. Per tutta risposta alza le spalle – Siamo in gita – conclude. E poi – aggiunge ancora – Smetto quando voglio. – Dove l’ho già sentita questa? – sottolinea ironica Giò, al secolo Giorgia Braido seconda D, probabilmente futura pagellina d’oro. Ellade per tutta risposta impaglia una canna, la accende e ce la passa. – Dai! – propone Giò – Facciamoci un selfie e postiamolo su Facebook! Io sono sulle spine, da un momento all’altro temo di veder
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spuntare fuori un fantasma. Tanto più che il sole è tramontato definitivamente. Improvvisamente notiamo un bagliore intermittente nel buio, un centinaio di metri più in alto. La luce oscilla tra le antiche lapidi. – Chi può essere? – chiede Ellade. – L’ho detto io… ci sono i fantasmi! – mormoro terrorizzata. – Merde! C’est le gardien! – esclama Etienne a denti stretti. Giò è intenta a tirare una boccata di fumo e la cosa non la sfiora, poi la passa a Samuel che la spegne facendo cenno a tutti di tacere. – E ora cosa facciamo?! – sussurro guardandomi attorno allarmata. – Cachez vous! – aggiunge subito Josephine. – State tranquilli. Mettiamoci giù! Il cimitero è grande. – Samuel cerca di rassicurarci e resta impassibile a scrutare l’aria. –Ssst! – intima ancora. Silenzio. Se n’è andato! – dichiara Ellade. – Passamela. La riaccendo io… – Ellade fa scattare la scintilla dell’accendino e contemporaneamente un fascio di luce lo investe. – Quest ce que vous faites là?! Dalla sommità della collina la voce del guardiano rimbomba nel silenzio del cimitero. – Via! – ordina Samuel. – Allez vite! – gli fa eco Etienne. Ci alziamo di scatto e un secondo dopo stiamo correndo
in mezzo a un bivio, praticamente al buio, tra tombe silenziose. – Da che parte? – grido. Panico. – Par ici! – chiama Josephine infilandosi di corsa in un viottolo. Corriamo all’impazzata saltando radici e schivando le lapidi inseguiti dal guardiano del cimitero che col fischietto cerca di richiamarci all’ordine. Il cuore rimbalza nel petto mentre filiamo via. – Non! Non! Par ici! Par ici! – grida Etienne ma non riusciamo a individuarlo. Ci spostiamo a zig zag schivando Petrucciani… Chopin… Bellini… – Aspettatemi! – Ho paura! Sembra di essere in un labirinto… – Aiuto! Il guardiano ci tallona. – Dai! Correte! – Corri... – Corri. – Corri! – Corri!!! – Vite! Vite! Ci ha mollato dietro il cane... Il cuore batte tum, tum, tum tempo ritmo durata. Quattro quarti, cinque quarti, sei ottavi.
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Non penso altro che a correre e schivare le lapidi. Infiliamo un viale in discesa e via, come saette. Il muro di cinta, finalmente! Con un balzo pazzesco saltiamo giù dal muro in Boulevard de Menilmontant. Una rapida occhiata. Ci siamo tutti. Via di corsa verso l’ingresso del Metrò Philippe Auguste. Il cimitero di Perè–Lachaise è alle nostre spalle. Senza rallentare e senza voltarci ci infiliamo sottoterra, dove vivono gli uomini lombrico che scavano le gallerie con il treno. Linea 2, direzione Porte Dauphine. Saltiamo nel vagone e ci lasciamo cadere sui sedili proprio mentre le porte si chiudono e il treno parte. Il cuore non mi è mai battuto così forte. – Samuel, maledizione a te e alle tue emozioni forti! Protesto. – Quando vi ho proposto di venire a fumare sulla tomba di Jim Morrison non vi siete tirati indietro. – si giustifica serafico Samuel. – E adesso? Dove stiamo andando? – chiedo a Giò che alza le spalle e risponde con un evasivo: – Boh! Couronnes, Belleville, Colonel Fabien, Jaurès, Stalingrad, La Chapelle, Barbès, Anvers. Le stazioni si susseguono una dopo l’altra. Teniamo sempre d’occhio le porte del vagone ma ormai il nostro inseguitore ha certamente desistito. – La prochaine! – ordina Etienne.
Vuole portarci a vedere il Moulin Rouge, quello del celebre film musicale di Baz Lhurmann. Mai visto. Scendiamo a Pigalle in mezzo a una confusione di turisti. Ressa serale. Colori. Odori. Rumore di gente che vive. Parigi è pur sempre Parigi.
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2. Proibito Litfiba Qui niente male, l’eterno funerale, chiudi la testa, rinuncia alla tua festa
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Spinti dal fiume di gente saliamo in superficie. In un momento si passa dall’aria satura del metrò a quella frizzante che c’è fuori. Siamo tutti gasati ed elettrizzati. Etienne e Josephine salgono le scale tenendosi per mano. Giò e Samuel, come due cretini, si guardano e scoppiano a ridere a crepapelle. Certo che è stata una bella avventura. L’unico che non parla e non si capisce cosa pensi e cosa gli passi per la testa, come il solito, è Ellade. A volte sembra una presenza aliena. In silenzio seguiamo le nostre guide fin sulla strada, poi lungo il marciapiede. La tensione sembra passata. Siamo tornati nella normalità della città. Normalità. Mescolati tra la gente notiamo un sacco di poliziotti. Secondo i nostri amici l’imponente spiegamento di forze
è motivato dal fatto che la capitale francese è un obiettivo sensibile. La verità però è che, stavolta, tutta questa polizia è impegnata in una massiccia operazione antidroga a causa della morte di un sedicenne, avvenuta ieri sera in una discoteca parigina, per aver ingerito tre pasticche di extasy. Guardo Ellade e provo una stretta allo stomaco. Quel ragazzo sarebbe potuto essere il nostro batterista. I poliziotti presidiano in massa il 9° e il 18° arrondissement perché, secondo quello che hanno scritto i giornali, pare che la dose fatale gli sia stata venduta proprio qui. Hanno comprato la roba in un vicoletto da queste parti e sono arrivati in discoteca strafatti. Poi probabilmente il ragazzo ne ha ingerito ancora e il cocktail chimico gli è risultato fatale. Intanto Etienne indica un edificio dalla parte opposta del boulevard, oltre la strada. Le Moulin Rouge. Per i pedoni il semaforo è rosso e ci fermiamo ad aspettare il via. Alla sera c’è forse più traffico che all’ora di punta. Ma, a pensarci bene, qual è l’ora di punta a Parigi? Verde. Etienne e Josephine attraversano, poi Giò e Samuel, io per ultima osservo Ellade che si guarda attorno apparentemente spaesato. È rimasto indietro e ora sta messaggiando con il
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telefonino. Improvvisamente dalla folla sbucano due agenti della Gendarmerie con un cane al guinzaglio. Il cane comincia a puntare Ellade. Ellade guarda gli agenti inebetito. Tutto accade in pochi secondi, il nostro compagno viene bloccato e portato via sotto gli occhi della folla che osserva impassibile e indifferente. PerchÊ Ellade? Dove lo portano? Ma come, non eravamo al sicuro qui in mezzo alla gente? Che facciamo? Lo lasciamo solo o andiamo con lui? La situazione è surreale. Richiamo l’attenzione degli altri e faccio notare loro che stanno portando via il nostro amico. Ci mettiamo a inseguire i poliziotti, ma questi sono piÚ veloci e in pochissimo tempo ci seminano. Svoltano un angolo. Gli teniamo dietro e li vediamo in fondo a una via laterale che con la massima naturalezza, tra ali di gente distratta che si gode la magnifica serata, scortano Ellade fino a un furgoncino. Poi lo fanno salire. Non ce la faremo mai a raggiungerli. Quelli partono, si immettono nel traffico e scompaiono inghiottiti dal fiume di vetture. Sono esterrefatta. E adesso? penso, come lo rintracciamo? E chi lo dice ai proff.?
Etienne avvicina un’altra coppia di agenti e si mette a parlare con loro. Osserviamo la scena a qualche metro di distanza. Samuel, per precauzione, si defila un po'. Il ragazzo francese si sbraccia, indica noi, poi torna a parlare con gli agenti che ascoltano impassibili. Scuotono la testa e rispondono in modo sbrigativo. Poi vengono verso di noi e ci perquisiscono pure. Ma in che posto siamo finiti? Samuel ha fatto bene a mescolarsi alla gente, lui ha sempre del fumo in tasca. I gendarmi non trovano niente di sospetto e, quando se ne vanno, Samuel si riunisce a noi. Etienne ci spiega che molto probabilmente il nostro amico l’hanno portato a Issy les Moulineaux alla Direction Generale de la Gendarmerie Nationale, per interrogarlo. – Interrogarlo? – sbotto – Ma non è mica un terrorista! Per tutta risposta Etienne alza le spalle. – Non possiamo lasciarlo là da solo – concludo. – Andiamo a prenderlo. Come si arriva a Issy? Josephine ci fornisce le indicazioni necessarie. Prendiamo la linea 12 del treno lombrico in direzione Mairie d’Issy e una volta nel vagone ci lasciamo cadere pesantemente sui sedili. Incredibile. Prima di venire a Parigi non ero mai stata in metropolitana e la prima volta che ci sono salita mi ha fatto una strana impressione.
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A prima vista sembra difficile orientarsi tra tutte queste linee, poi una volta capito il meccanismo è semplicissimo. Tra di noi nessuno spiccica parola. Tutti abbiamo la faccia tesa e un’espressione cupa sul volto. Mille pensieri affollano la mia mente. Cosa facciamo adesso? Ci lasciamo cullare dolcemente dal vagone. Peccato. L’ultima sera della gita a Parigi volevamo passarla in modo speciale, chi l’avrebbe detto che sarebbe finita così? Provo a mandare un sms al prof di religione: Hanno arrestato Ellade. Lo stanno portando a Issy Les… – Come si scrive Mulinox? – domando. – M O U L I N E A U X – scandisce Josephine. – Merci! – riprendo il testo: …Moulineaux alla Direction Generale de la Gendarmerie Nationale. Noi stiamo andando là con il metrò. Invio. Niente da fare, non c’è campo. Porca miseria.
3. Carovane Yo Yo Mundi Sotto il cielo, sotto la luna, Non c’è certezza, non c’è certezza alcuna
Cosa vuole sto cane? Perché continua ad annusarmi? Adesso si mette pure ad abbaiare! Buono, sta buono. Mi sposto, ma niente da fare, quello non molla e continua a puntarmi, e tira il suo padrone per portarlo verso di me. Improvvisamente due poliziotti mi affiancano. Cosa vogliono questi da me? Non ho fatto niente. Senza nemmeno chiedere il permesso mi perquisiscono sul marciapiede, in mezzo alla gente. Prendono dalla mia tasca il portafogli e lo fanno annusare al cane, che reagisce vistosamente. Dal borsellino estraggono la mia carta d’identità. – Italien… – commenta uno dei due scuotendo la testa. Poi saltano fuori un pezzo di fumo e due bustine di MD. Quello che sembra il capo mi guarda e indicando i cristalli mi chiede: – Ou est–ce que vous avez achetez ça?
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– Non capisco. – Parlez vous français? Scuoto la testa inebetito. Per tutta risposta mi afferrano per un braccio e mi portano via. Me ne stavo qui tranquillo a messaggiare con alcuni amici su WhatsApp e questi mi portano via. Così, senza nessuna spiegazione. Che fastidio davo? Mi spintonano fino al loro furgoncino. – Hey non sono mica un terrorista! – protesto. Niente. Questi non parlano. Nemmeno mi guardano. Dove mi staranno portando? E gli altri? Dove sono gli altri? La roba che ho in tasca è tutta per uso personale, non sono mica uno spaccino. Io non ho fatto niente di male. Cerco solo emozioni forti. Emozioni che mi fanno sentire vivo. La prima volta che mi sono sballato di brutto è stato alla festa delle matricole che ha organizzato una discoteca per tutte le scuole della città. Dentro il locale mi si è avvicinato un tipo e mi ha passato una bustina, sembravano cristalli di sale.
Un anno e mezzo prima – Scioglila nell’acqua o mettila sotto la lingua, sentirai come ti entra dentro la musica. Il tipo che mi allunga la dose sinceramente non mi ispira molta fiducia però la prendo. È gratis. L’hanno presa anche gli altri, che male può farmi se ne prendo solo una dose? In bocca ha un sapore orribile. Subito vado in paranoia, penso chissà cosa mi ha dato. Per la prima mezzora, niente. Non sento niente. Mi sa che mi ha bidonato. A parte il saporaccio in bocca, nessun effetto. La musica martella in testa. Luci stroboscopiche lampeggiano colorate. Nulla. Nessun effetto. Improvvisamente, quando ormai penso sia stato uno scherzo idiota, sento che mi sale. Che storia! Non ho mai provato niente di simile. Mi sembra di camminare a mezz’aria, come sulle nuvole, vedo tutto amplificato, sento tutto amplificato. Devo muovermi. Muovermi. Sento la tensione nelle mascelle.
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Stringo i denti e ballo in modo scatenato. BPM uno tre zero. Respiro, respiro. Energia pura. Mai sentito così grande, una figata. Riesco a provare emozioni che normalmente non sarei capace di sentire. Perché proibiscono di prendere questa roba? Che male può fare se ti fa sentire così bene? Mi metto a ballare. Siamo in tantissimi. Fuori c’è una marea di ragazzi che freme per entrare. Caldo. Nella calca attorno a me qualcuno si sente male e lo portano fuori. Io mi concentro sulla musica e ballo. È proprio vero che la senti dentro. Sono in estasi. Forse per questo la chiamano così. Non importa che siamo pressati come sardine e quasi non si respira. Io ballo, freneticamente. Molti sono arrivati alla festa già carichi. Non ci è voluto molto perché sballassero. Uno alla volta infatti cadono come pere mature. Li portano via. Io no, io continuo a ballare, sempre più forte. Ne resterà solo uno, penso. E quello sarò io.
Rido. Chiudo gli occhi per concentrarmi meglio sulle vibrazioni sonore. Quando arrivano i volontari del 118 fanno spegnere la musica ordinano a tutti di sdraiarsi per terra. I ragazzi che si sentono male sono talmente tanti che i soccorsi entrano direttamente nella pista. Ci passano uno a uno, controllano la pressione e le pupille. Sembra la scena di un film apocalittico. Il pavimento è completamente ricoperto di corpi di ragazzi. Non stanno tutti male ma un giornalista scatta diverse foto e il giorno seguente la cosa finisce sui giornali, come se chiunque era a terra fosse stato ubriaco. Due giorni dopo, a scuola, la Dirigente raduna le prime in aula magna e ci spara un predicozzo lunghissimo. Poi ci presenta anche una psicologa che farà una serie di incontri con ciascuna classe. La psicologa si presenta, dice che si chiama Rossini e che lavora al SERT. – Per chi non lo sapesse – spiega – il SERT è il Servizio per le Tossicodipendenze, è un servizio pubblico, gratuito, del Sistema Sanitario Nazionale italiano, che si occupa di prevenire, curare e riabilitare le persone che hanno problemi causati dall’abuso o dalla dipendenza di sostanze come le droghe o l’alcool o, oggi, anche dal gioco d’azzardo. Poi parte in quarta con una predica sull’importanza di non
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buttarsi via, che i danni che ci possono fare certe sostanze saltano fuori a distanza di tempo. Che se crediamo che sballarsi ci renda più grandi o intelligenti, ci sbagliamo, perché non è così. Insiste nel dire che ci stanno fregando. Perché se questa roba mi fa stare bene e mi fa sentire meglio di come mi sento tutti i giorni dice che ci stanno fregando? Di cosa ha paura? Non mi sono mai sentito così vivo. Poi aggiunge qualcosa riguardo il fatto che nel mondo dello spettacolo ci sono diverse popstar e rockstar che rispetto agli anni Settanta oggi sono molto attente proprio all’uso e abuso di alcoolici e sostanze stupefacenti, per non parlare dell’alimentazione. Per far colpo cita persino Elio, quello delle Storie Tese, che in un’intervista pare abbia dichiarato che lui non si è mai ubriacato e non si è mai fatto nemmeno una canna, così pure Luciano Ligabue, Simone Cristicchi, Daniele Silvestri, Irene Grandi... Poi ci fa vedere delle foto di un fegato rovinato dall’extasy e uno dall’alcool e un polmone sano e quello di un fumatore incallito di quarant’anni che ha iniziato a fumare a tredici. Qualcuno si sente male. Un paio di ragazze escono sconvolte. Io no, quelle immagini non mi fanno alcuna impressione. Io l’extasy, sempre che lo fosse, l’ho presa una sola volta, che male può farmi?
Non mi ridurrò certo così. No, io no. Non è un problema mio. Io smetto quando voglio. Io.
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