Ornella Pozzolo
Un topo
tutto per me illustrazioni di Cristiana Cerretti
Ornella Pozzolo
Un topo illustrazioni di Cristiana Cerretti
Dedico questa storia ai bambini che amano i topi ma soprattutto a quelli che ancora non li amano perchĂŠ non li conoscono Ornella
Cosa accadde in quella estate felice Quell’estate ebbi un topo. Non un topo pupazzo. Un TOPO. Un vero topo. Un topo tutto per me. Ricordo che quando l’ebbi in mano, tutto tremante, decisi che me lo aveva portato Gesù Bambino, un po’ in ritardo: niente fiocchi di neve ma campi di trifoglio dai fiori rossi. Avevo quasi otto anni e da non molto tempo era finita l’ultima terribile guerra mondiale. Sui muri delle case bombardate, senza tetto, e con buchi al posto delle porte e delle finestre, su quei muri anneriti, ricordo, c’era scritto con la calce W
LA GUERRA W LA PACE
In quella estate felice, la casa della nonna Angiolina, diventava anche la mia, di papà e 3
mamma, della lalla Lilla che era la sorella del papà, la zia prediletta (ma ancora per poco, come si vedrà); la casa del gatto Camillo, il gatto della nonna, e del cane Mathausen, il nostro cane, un meticcio che sembrava più che altro un fox-terrier, cane da caccia. Mathausen lo portavamo con noi sulla corriera che puzzava di benzina e di fumo in modo atroce, con tanto di guinzaglio e museruola come da regolamento; lui, che soffriva i tornanti, dopo i primi tre ci vomitava dentro. Io, dal canto mio soffrivo la puzza di benzina e facevo quel che potevo: vomitavo in una scatola di cartone portata appositamente. Con grande fastidio degli altri passeggeri, i quali non vedevano l’ora che scendessimo. Anche perchè la mamma per darsi un contegno non interveniva, la lalla Lilla, (allora si diceva già zia, ma prima le zie erano chiamate lalle) punto diritto punto rovescio, non distoglieva gli occhi dal suo lavoro a maglia e il papà aveva il suo daffare per non far debordare da un sacchetto l’acqua che c’era dentro. 4
Nel sacchetto trasparente nuotava un pesciolino rosso alquanto insulso, tanto che non gli era stato dato nemmeno il nome. L’aveva vinto il papà al tirassegno, ecco perché il sacchetto lo teneva lui. Questo pesciolino però durò poco, non si sa se pescato dal gatto Camillo o, chissà come, dal cane Mathausen. Fatto sta che sparì, e amen. Io, a questo proposito, quando venni a conoscenza di alcune cosette fatte dalla zia Lilla, ebbi dei forti sospetti anche su di lei, che rischiò di non essere più la mia zia prediletta. Insomma era, la mia, una famiglia dav vero bestiale. (Se poi si aggiungono una volta arrivati, anche le viziatissime dieci galline della nonna, il pieno è fatto). Ci mancava solo un topo, bestiola che per ragioni diverse non si sa perché disgustava o addirittura faceva inorridire quasi tutti. Badate bene ho detto quasi tutti. E infatti: — Solo a quella scemetta della Nina possono piacere queste bestie schifose —, diceva la 5
mamma che alla sola vista di un topo saltava a piè pari su una seggiola, pallida come una morta, urla da ossessa. La nonna dal canto suo li odiava perché le davano danno: si dice infatti che i topi rosicchino ogni cosa, dalle prov viste in dispensa alle assi del pavimento. Ma per la nonna la tragedia stava nel fatto che i topi sono ghiotti di uova e sanno come rubarle. — Bestiacce — sibilava tra i denti la nonna, quando nel contare le uova ne mancava una (il conto è presto fatto: dieci galline, dieci uova) — Possiate morire tutte quante. Vi ammazzo tutte, maledette! — Ma non poteva, ed era unicamente per questo che aveva accolto con sè, sotto lo stesso tetto, il gatto Camillo del quale in realtà non le importava un fico. Perché la leggenda dice che i gatti danno la caccia ai topi. Non Camillo, però, che se ne infischiava e preferiva la trippa. Quella del giovedì. Purtroppo c’è da dire che i contadini amano poco gli animali, un po’ di più quelli che 6
servono a qualcosa: mucche, pecore e capre per il latte, i maiali per le salsicce e i salami, i conigli per mangiarli in fricassea, le galline per le uova di giornata. E la mia nonna Angiolina, per l’appunto, era nata contadina, figlia di contadini. Per tornare al mio topo personale, amatissimo e indimenticabile, dopo un attento esame a pancia in su, decisi che era femmina e la chiamai Eleonora.
Come fu che Eleonora divenne un topo tutto per me Dovete sapere che il papà, che come me amava molto tutti gli animali, manteneva tuttavia nei confronti dei topi, un atteggiamento neutrale: né pro né contro. Ma quando ne vedeva uno morto, ucciso probabilmente dalla gatta della casa accanto (non certo da Camillo), lo guardava come a dire: poverino. E dovete sapere anche che la nonna spendeva una fortuna in trappole, le più infernali, che sistemava poi per tutta la casa, dal pollaio che si trovava dove una volta era la stalla e cioè a piano terra, su su fino al solaio. Le trappole infernali funzionavano così. La nonna scaldava sulla piastra della cucina economica una crosta di formaggio di grana per rendere più acuto l’odore. La sistemava poi nella trappola dove c’era uno sportelletto tirato su, e quando il topo, attira 8
to dal profumino, entrava.. zac, lo sportelletto scendeva con un colpo secco sul collo del povero topo. Una cosa terribile, potete ben immaginare: la testa di qua e il resto di là. Non ci si può pensare. Il papà, con la scusa che quelle trappole potevano rappresentare un pericolo per me (non era vero, non ero così scema da lasciarci un dito per prendere il formaggio, tanto più che non mi piaceva, il formaggio); con quella scusa il papà disse un bel giorno che d’ora innanzi delle trappole si sarebbe occupato lui. E così aveva fatto. Ne aveva comperate delle altre, molto più umane, diceva. Ma come funzionano le trappole umane ? Ci si mette dentro la solita crosta di formaggio, il topo arriva perché sente l’odore, lo sportelletto che prima era socchiuso.. tac, scatta e si chiude alle spalle del topo, che resta intrappolato. Cosa si fa a questo punto del topo intrappolato? Lo si libera. 9
Anche a questo ci avrebbe pensato il papà, stessero pur tranquille, con il mio aiuto. Le trappole umane le sistemavamo io e lui la sera, per tutta la casa, dal pollaio al solaio. Al mattino andavamo in perlustrazione. E se trovavamo una trappola col topo prigioniero io la prendevo delicatamente e tutti e due, io e il papà, andavamo alla Scaggetta. La Scaggetta - una puzza tremenda - era la discarica della spazzatura a cielo aperto. Là tutte le sere si andava a svuotare il secchio di latta della spazzatura. Funzionava così. Allora i cassonetti non esistevano ancora. La Scaggetta era fuori paese, lontana dalle case e per questo bisognava camminare un bel pò. In questo caso di buon passo, per poter liberare il prima possibile il prigioniero al quale, per la paura, tremavano i baffi e anche la coda. Io per la verità sulla Scaggetta non ero tanto d’accordo, avrei preferito un campo di trifoglio. Ma il papà da quell’orecchio non ci sen 10
tiva. — Nina non fare storie. Si va alla Scaggetta e basta. Alla Scaggetta liberavamo il topo, che fuggiva attraverso quel mare di rumenta, cioè di spazzatura, con uno squittio di felicità. Insomma con le trappole umane le cose andavano così, sicuramente meglio. Finché una mattina in solaio ne trovammo uno (di topo) diverso da tutti gli altri: minuscolo, tutto rosa anziché grigiolino, quasi senza baffetti, le zampine corte corte, il codino lungo quanto il mio mignolo. Tremava così tanto ma così tanto che pareva fatto di gelatina, di quella che si mangia durante le feste di Natale. — Che amore, papà! Ma che carino! Ti prego, teniamolo! Ci penso io —, supplicai. Il papà ci pensò su, ma solo un attimo: povero papà, era uno di quei papà che, se niente niente possono, accontentano sempre i loro bambini. Poi disse: — E va bene, teniamolo. Però pensaci dav vero tu Nina; e attenta con il cane ma anche con il 11
gatto, che anche se come cacciatore non vale niente, è pur sempre un gatto; e poi attenta con la mamma e con la nonna —. Sembrò pensare un attimo e poi aggiunse: — E soprattutto sta attenta alla zia Lilla, che non si sa mai. Quest’ultima frase mi risultò enigmatica, ma lo fu ancora per poco, perché sulla strada del ritorno - topino in tasca, trappola in mano - il mistero fu svelato: il papà mi raccontò la storia della zia, della pentola, del topo e della mamma col suo bel caratterino. La storia è questa.