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Monica Alberti, imprenditrice-pendolare: «La pensione? Se ci penso divento triste»

La mia più grande conquista è stata quella di aver sconfitto la paura di non essere all’altezza

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Monica Alberti, imprenditrice-pendolare: «La pensione? Se ci penso divento triste»

Donna in carriera? «Sì, ma conciliare lavoro e famiglia è una necessità. E non sempre fai la scelta giusta. Fossi stata un uomo, sarebbe stato tutto più semplice». Così Monica Alberti: una vita spesa «nel mondo volubile della moda, e in autostrada». Più di centosessanta chilometri, ogni giorno, da Bergamo a Jerago con Orago, andata e ritorno. Dai tempi dell’autostrada a due corsie, «quando il venerdì ci mettevo più di tre ore per fare ritorno a casa», ricorda l’imprenditrice, ad oggi. Che di corsie ce ne sono quattro, «ma a volte il viaggio sembra non finire mai».

Ragioneria, erbe e teatro: nell’impresa di papà per difendere il Made in Italy

Una vita rocambolesca, quella di Monica Alberti, perché in azienda – la Sesa Srl (Sbiechi e sotto cinture Alberti), fondata da papà Giovanni Alberti nel 1974 a Jerago – «ci sono arrivata per costrizione: mi sono diplomata ragioniera, avrei voluto aprire un’erboristeria, ho fatto teatro. Insomma, la passione è venuta un po’ dopo. Anche perché in azienda ci entro come operaia, e con il senno di poi benedico quel momento. È un bene conoscere tutto ciò che accade nell’impresa, ed è quello che oggi manca ad alcuni, giovani imprenditori: l’idea d’insieme. Comunque, a trentanove anni mi trovo sola al comando». Alcune imprese della concorrenza, siamo nei Novanta, iniziano a delocalizzare ma Monica non cede: «Resto in Italia. Un grande Paese, con grandi potenzialità, che ha insegnato al mondo l’arte della manifattura, del food, del tessile, del design. Oggi si dovrebbe recuperare questo valore del Made in Italy, anche se penso sia difficile: ormai il vuoto legislativo ha lasciato spazio ad altri».

Arrivavo sempre tardi: devo dire grazie a mio marito

Donna e madre; nonne fantastiche e figli piccoli tra uffici e capannoni, qualche babysitter e un marito comprensivo. Oggi, Monica Alberti si chiede se abbia fatto bene. Ma a confortarla è stata, poco tempo fa, la figlia Chiara (studia Scienze infermieristiche) che ha riconosciuto i suoi sacrifici e le sue acrobazie per far combaciare un po’ tutto: «In realtà ai saggi dei miei figli, all’asilo, sono sempre arrivata in ritardo e a partecipare ai Consigli di istituto è sempre stato mio marito. Con i compleanni abbiamo risolto: per non sbagliare, li festeggiamo il sabato o la domenica. Così c’è tempo».

Lusso, ricerca e personalità

Quel tempo che non si può togliere all’azienda, perché alla Sesa Srl – in quegli anni Settanta tra le poche imprese italiane a produrre cinture prefabbricate, nastri in genere e specializzata nel taglio in sbieco: ciò che tiene in piedi un abito o un paio di pantaloni – «il prodotto tecnico si è trasformato in abbellimento personalizzato grazie alle richieste degli Uffici Stile delle grandi maison. Il mondo è cambiato: prima si lavorava

solo per la moda uomo e ora anche per la donna; prima solo per i capi classici e ora anche per quelli sportivi. Il problema è che tanti capi prodotti oggi sono destrutturati: leggeri o senza fodera. Quindi, cosa vuoi rinforzare? L’unica soluzione è lavorare nel lusso, puntando all’eccellenza e sulla ricerca».

Ho sconfitto la paura di non essere all’altezza

Acquisire nuove tecniche di lavorazione per nuovi materiali, conservare l’artigianalità e mai lavorare su prodotti standard: «È la nostra storia e il nostro valore, perché ogni tessuto racconta qualcosa di diverso, e per sapere come trattarlo ci vuole tutta la sensibilità e l’esperienza dell’uomo. Ecco perché i miei dieci collaboratori sono il vero valore di quest’azienda. La vita del tessuto la devi passare tra le mani: non si mette semplicemente in macchina. Così se da un lato si lavora sulle quantità, dall’altro si contano i millimetri». Non è facile nel pieno della globalizzazione, «dove il prodotto si spersonalizza – insiste la titolare – e la gente si è disabituata alla qualità: i costumi sono cambiati, però sono riuscita a mantenere i clienti storici e, da anni, mi sono convinta del fatto che la mia più grande conquista è stata quella di aver sconfitto la paura di non essere all’altezza».

Nel mondo, con il passaparola

Fodere di cotone, seta, viscosa e cupro bemberg, code di topo, tubolari, nylon ripiegato, cinture elastiche, sottocinture dalle mille fatture, per quarant’anni sono usciti dall’azienda di Jerago per raggiungere vari Paesi in Europa e nel mondo. Ora, è sempre più difficile acquisire nuovi clienti: tanti campionari, tanti preventivi e poi valutano. Lentamente».

Il figlio in azienda? Lo spero, però in pensione non ci vado

Tollerante per natura, chiamata a scelte umanamente difficili a causa delle crisi del 2009 e del 2015, Monica Alberti fa il pieno di energia quando entra in laboratorio e si lascia alle spalle quell’autostrada: «Mi appassiona stare nella mischia, ed è per questo che vorrei dare un futuro a quest’azienda. Simone, il figlio più grande, si è laureato in chimica: un po’ di tempo in azienda lo ha già passato, anche se solo come osservatore. Magari gli accadrà quello che era successo a me: un passo alla volta, e la passione può nascere. Per quanto mi riguarda, il mio posto è qui: l’idea di andare in pensione mi dà un senso di tristezza».

2020

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