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CHI HA PAURA DEL DIGITALE?

Non è una domanda retorica. Qui c’è davvero di mezzo il futuro del nostro Paese, perché l’Italia è già fanalino di coda in tanti settori, a cominciare dall’economia, e non può permettersi di esserlo anche sul digitale

Se guardando al futuro alcune paure sono giustificabili (ma superabili) altre lo sono molto meno. Non si tratta di psicologia ma di un’analisi puntuale della condizione macroeconomica e microeconomica in cui siamo immersi. Ne è convinto l’economista Giampaolo Galli, dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Roma dove insegna Economia Politica.

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ITALIA MAGLIA NERA

Il nodo di reale e fondata inquietudine per Galli sta nell’ammettere, senza girarci intorno, la grande situazione di difficoltà in cui si trova l’economia italiana: quella che negli ultimi 20 anni ha avuto la performance peggiore tra i Paesi avanzati. «La crescita della produttività italiana negli ultimi 20 anni è stata pressoché nulla – afferma senza possibilità di appello il professore - Significa che il reddito pro capite è uguale a quello di inizio millennio o meglio il 2% sotto i livelli del 2000. Abbiamo conosciuto in questo periodo una lieve decrescita. Per trovare Paesi che siano cresciuti meno di noi bisogna paragonare l’Italia a Lidia Romeo

Chi ha paura

del digitale?

nazioni che hanno conosciuto guerre, rivoluzioni civili o immani calamità naturali». Persino la disgraziatissima Grecia negli ultimi 20 anni ha fatto meglio di noi, e il Giappone, considerato “il malato del mondo occidentale”, ha indicatori migliori dei nostri. Significa che in realtà è l’Italia il fanalino di coda. Questo è un paradosso, ma non può durare in eterno. Per uscirne bisogna puntare sulla produttività, sulla certezza del diritto e sulle semplificazioni a creare un nuovo contesto fiscale e burocratico che aiuti le imprese a crescere.

IL RUOLO DELLE PMI

Abbiamo tante piccole e medie Pmi che hanno fatto la ricchezza della penisola ma questo non è sufficiente a bilanciare il numero di realtà che vivono in nicchie di mercato e che si rivelano non adeguate alle sfide che pone un contesto economico, interno ed esterno ai nostri confini, in forte cambiamento. Se la trasformazione

digitale ci consente di fare un salto di produttività, questo è proprio ciò di cui

abbiamo bisogno. «La sfida è formidabile – afferma Galli – non basta avere un computer, e nemmeno un sito internet. Per esportare, ad esempio, oltre alla vetrina web, bisogna attuare una serie di cambiamenti a monte e a valle della vendita» come valutare cambiamenti del prodotto per renderlo appetibile anche alla clientela di altri paesi, in termini di prezzo, qualità, presentazione, poi bisogna lavorare sui tempi di consegna, gestire la logistica, valutare il posizionamento su altre vetrine o canali web, garantire un procedimento per i resi. «Servono investimenti massicci ma anche grande senso di opportunità» precisa l’economista con riferimento alla necessità di consorziarsi o sfruttare le identità di distretto «altrimenti è difficile ottenere visibilità nell’immenso mare del web». «Certo – ammette – ci sono prodotti che si prestano meglio di altri a questa sfida che comunque non si può rinviare e tanto meno evitare» se ne viene fuori con la produttività

STRADA OBBLIGATA

Non si può prescindere dalla digitalizzazione: è una strada obbligata. L’emergen

«Non è della disoccupazione tecnologica che bisogna aver paura a far paura deve essere la disoccupazione che nasce da un sistema economico non competitivo»

za dovuta al Covid-19 l’ha resa ancora più urgente perché chiunque ha imparato ad acquistare sul web. Le associazioni di categoria possono concretamente agire per aiutare le imprese nella digitalizzazione. È una delle mission più importanti. Bisogna fare leva sulle capacità di fare rete per coglierle le opportunità di un mercato più grande me anche più competitivo.

LA DISOCCUPAZIONE, QUELLA VERA

La digitalizzazione non porta disoccupazione ma una diversa occupazione: lo dimostrano le esperienze di paesi che sono più avanti di noi nel processo di innovazione nella produzione come ad esempio la Germania. «Certo – precisa l’economista – da un punto di vista microeconomico la digitalizzazione richiede investimenti anche per aiutare i lavoratori ad affrontare la transizione, ma sappiamo per esperienza che si può fare senza passare da una fase traumatica». «Non è della disoccupazione tecnologica che bisogna aver paura – afferma Galli – a far paura deve essere la disoccupazione che nasce da un sistema economico non competitivo. Bisogna puntare su aumento di produttività e la digitalizzazione è un alleato importante, indispensabile per raggiungere questo obiettivo”.

L’economista Giampaolo Galli, dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani: «La digitalizzazione richiede investimenti per aiutare i lavoratori ad affrontare la transizione in un modo efficace»

CRESCITA E POLITICA ECONOMICA

La mancata crescita per Galli è il vero motivo alla base delle incertezze sulla sostenibilità del debito pubblico. Quando tutti i settori sono in sofferenza, come accade in questo momento, lo Stato va in difficoltà perché non ha abbastanza soldi per sostenere il welfare, la sanità, la scuola. Tutti i settori della società hanno esigenze perché se non c’è crescita. Se il reddito non aumenta e, anzi, il potere d’acquisto diminuisce, allora si spende meno in ogni settore e ogni settore chiede aiuto allo Stato per stare a galla.

«Sicuramente gli investimenti pubblici sono necessari – afferma Galli che giudica un errore non approfittare del Mes

proprio ora che si configura come un credito senza condizioni, soprattutto in previsione della partita sul Recovery Found - Contestualmente bisogna semplificare per

rimuovere gli ostacoli agli investimenti privati e scongiurare così derive statali

ste pericolose nel nostro contesto», spiega Galli giudicando difficilmente replicabile in Italia l’esperienza virtuosa di Obama che, per uscire dalla crisi precedente, portò gli Usa ad entrare temporaneamente nell’amministrazione di alcune aziende, ma solo il tempo strettamente necessario a rimetterle in carreggiata. Ne uscì subito dopo.

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