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1. L’AUTISMO E LE FAMIGLIE

1.1. Cos’è l’autismo?

L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato, che si manifesta precocemente, con deficit nelle aree relative alla comunicazione, alla interazione sociale reciproca e al gioco funzionale e simbolico.

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In termini più semplici e descrittivi, i bambini con autismo: hanno compromissioni qualitative del linguaggio anche molto gravi fino a una totale assenza dello stesso; mostrano incapacità o importanti difficoltà a sviluppare una reciprocità emotiva, sia con gli adulti sia con i coetanei, che si evidenzia attraverso comportamenti, atteggiamenti e modalità comunicative anche non verbali non adeguate all’età, al contesto o allo sviluppo mentale raggiunto; presentano interessi ristretti e comportamenti stereotipati e ripetitivi.

Queste manifestazioni possono accompagnarsi anche a ritardo mentale, in forma lieve, moderata o grave. Esistono quadri atipici di autismo con sintomi comportamentali meno gravi o variabili, a volte accompagnati da uno sviluppo intellettivo normale. Tutte queste forme con caratteristiche simili sono raggruppabili all’interno della definizione di “disturbi dello spettro autistico”.

L’utilizzo del termine “spettro” indica estrema eterogeneità: da quadri clinici molto evidenti e particolarmente impegnativi, a situazioni difficilmente riconoscibili perché si confondono con condizioni comunque presenti nella popolazione. Pertanto, non tutte le persone con disturbo dello spettro necessitano di una presa in carico da parte dei servizi di salute mentale e/o per la disabilità.

I disturbi conferiscono al soggetto caratteristiche di “funzionamento autistico” che lo accompagnano in tutto il ciclo vitale, anche se le modalità con le quali si manifestano, specie per quanto riguarda il deficit sociale, assumono un’espressività variabile nel tempo e con elementi diversi da persona a persona. Una percentuale elevata di individui presenta anche una condizione di disabilità intellettiva e/o riduzione o assenza di linguaggio verbale.

Le conoscenze in merito sono in continuo sviluppo e se ne aggiungono di nuove incessantemente, grazie al lavoro di numerosi gruppi di ricerca presenti in tutto il mondo. Tuttavia, a oltre 80 anni dalla sua individuazione da parte di Leo Kanner e Hans Asperger (1943/44), persistono notevoli incertezze sulle cause, sul quadro clinico, sulle modalità di diagnosi e presa in carico.

La sensibilità di istituzioni e opinione pubblica è senz’altro cresciuta, ma ancora non ha raggiunto un grado di consapevolezza adeguato a favorire e promuovere lo sviluppo di un intervento ordinato e sistematico a favore dei soggetti con questo disturbo e delle loro famiglie.

1.2. I dati nel mondo e sul nostro territorio

L’autismo non sembra presentare prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale; ha, invece, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine, differenza che aumenta ancora di più per la sindrome di Asperger, una delle forme dei disturbi dello spettro autistico.

La prevalenza media nel mondo (studi europei, americani ed asiatici) si attesta tra 1% e 2% della popolazione, dato che è cresciuto in modo significativo negli ultimi 20 anni. La mag- giore parte degli studi è effettuata sull’età evolutiva, ma i pochi studi sull’età adulta confermano questa percentuale.

Rilevazioni statunitensi del 2016 riportano la prevalenza più alta registrata nella letteratura scientifica: 1 caso ogni 54 bambini (1.85%). A livello nazionale, non si dispone ancora di dati affidabili e specifici, con la sola eccezione di uno studio dell’Osservatorio Nazionale Autismo dell’Istituto Superiore di Sanità, che registra una prevalenza di circa 1,35% nei bambini. Nel resto dell’Europa si va dall’1.16% nel Regno Unito allo 0.63% in Danimarca e Svezia, a numeri decisamente più bassi in Francia, Polonia e Germania (0.25%–0.36%).

Proprio a causa della complessità della problematica, le cifre riportate rendono ragione di come disomogeneità negli strumenti di rilevazione, nei criteri diagnostici, nell’esperienza dei ricercatori, nella collaborazione di familiari e caregiver spieghino, probabilmente, differenti rilevazioni epidemiologiche nei vari Paesi, più ancora di eventuali variazioni culturali legate a fattori geografici e/o etnici.

Anche in Lombardia si rileva la mancanza di omogeneità nei dati a disposizione. Tuttavia, in età evolutiva, si sa per certo che negli ultimi 10 anni gli utenti con disturbi neuropsichici –di ogni tipo, autismo compreso – seguiti nelle Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (UONPIA) sono raddoppiati.

Per i disturbi dello spettro autistico, nello specifico, l’aumento è decisamente più elevato della media (+17% tra 2015 e 2016 e tra 2016 e 2017; +21% tra 2017 e 2018). In particolare, nella fascia di età 0-3 anni si è assistito a un incremento di tale indice anche del 40% annuo, aumento che riflette un importante abbassamento dell’età alla prima diagnosi.

L’ultimo report di ATS Brescia relativo al 2021, per quasi tutte le aree della Provincia con esclusione della Vallecamonica, che appartiene alla ATS della Montagna, indica 2.082 persone con disturbo dello spettro autistico (nel report 2019 erano 1.606) di cui 1.636 da 0 a 19 anni (nel 2019 erano 1.279).

Le classi d’età più “popolose” sono rappresentate dai 5-9 anni con 639 soggetti e 10-14 anni con 449 soggetti. Nel 2021 sono stati riscontrati 282 casi nuovi; il numero di nuovi casi diagnosticati è andato aumentando notevolmente dal 2008 al 2015 stabilizzandosi successivamente con una media annuale di nuovi casi sui 200 l’anno. Il 2021 si distingue con un numero molto più elevato anche in ragione del recupero delle diagnosi ritardate dalla pandemia.

L’età di diagnosi risulta concentrata tra i 3 e i 5 anni con un progressivo trend di abbassamento nel tempo. Considerando tutti i casi censiti, con esclusione degli over 30, l’età media della diagnosi è di 6,5 anni; più della metà dei soggetti ricevono infatti la diagnosi prima dei 5 anni e circa il 5% dopo i 17 anni.

1.3. La diagnosi e le forme di intervento

A fronte di alcuni segnali, in cui è determinante l’osservazione del pediatra e delle figure educative attorno al bambino, le famiglie devono rivolgersi al servizio di Neuropsichiatria infantile e dell’Adolescenza (UONPIA) presso ciascuna ATS per chiedere gli accertamenti e la presa in carico dei figli.

Nonostante la sproporzione tra bisogni e risorse, “una precoce identificazione e un tempestivo accesso ai servizi sanitari e sociosanitari risultano essenziali per poter assicurare l’avvio di interventi mirati, basati sulle evidenze scientifiche”: lo scrive il Piano regionale autismo del 2021.

Uno screening può essere compiuto già tra i 18 e i 24 mesi, ma la prima diagnosi interviene in genere verso i 3 anni. La tempestiva presa in carico favorisce una positiva evoluzione, un’adeguata inclusione sociale e il miglioramento della qualità della vita non solo del bambino ma dell’intera famiglia. In questa fase il supporto ai familiari è fondamentale: il momento della diagnosi deve essere seguito da un percorso dedicato ai genitori a cui fornire gli strumenti per poter svolgere un ruolo centrale nel percorso educativo del figlio. A questo proposito sono importanti le esperienze dei corsi di formazione. ha costi significativi e viene svolto da operatori specializzati e servizi, non universalmente garantiti dal sistema sanitario pubblico.

Ricevuta la diagnosi, quali sono le possibilità d’intervento? Lo stesso servizio di Neuropsichiatria infantile e dell’Adolescenza fornisce le prime indicazioni per orientare la famiglia.

“Dall’autismo non si guarisce”: non esistono farmaci risolutori, anche se in alcuni casi sono utilizzate terapie farmacologiche di supporto; è privo invece di fondamento scientifico il ricorso a trattamenti impostati su diete o regimi alimentari speciali.

Ogni intervento deve avere come obiettivo il massimo sviluppo possibile delle diverse competenze compromesse dal disturbo. I trattamenti più diffusi e sperimentati sui minori riguardano percorsi pedagogici e abilitativi, con particolare preminenza del metodo basato sull’analisi comportamentale applicata (ABA) e su azioni che coinvolgono l’intero contesto di vita del bambino.

I risultati di tali programmi intensivi variano da situazione a situazione e non esiste, in assoluto, la certezza di poter sempre raggiungere un risultato positivo: ad oggi, poiché non si conoscono le cause del disturbo, non è possibile indicare con sicurezza l’intervento di eccellenza in questo campo.

Questo approccio che prevede un paziente lavoro di affiancamento del bambino, dei familiari e di quanti più possibili interlocutori nel suo contesto sociale di vita (la scuola, ecc.)

Moltissime famiglie si confrontano purtroppo ancor oggi con le liste d’attesa per i servizi riabilitativi o debbono ricorrere a prestazioni private con notevoli costi per fronteggiare le fatiche indotte dalla condizione di disabilità, senza idonee soluzioni di assistenza.

Sin qui i minori, ancor più delicata è la transizione verso l’età adulta per lo sviluppo di situazioni di vita adeguate al grado di autonomia della persona, ove entrano in gioco i servizi tradizionalmente offerti per la disabilità (CDD, CSE, ecc.) ma anche l’esigenza sempre più viva di risposte innovative e non ancora sperimentate per raggiungere la più ampia inclusione sociale possibile.

1.4. I diritti delle persone e i sussidi per le famiglie

Dalla diagnosi di autismo conseguono alcuni diritti che, anche con l’ausilio delle reti associative, la famiglia può attivare.

Il primo e fondamentale è la presa in carico che si configura “come il diritto di ogni persona con disabilità che lo richieda di entrare in relazione con l’insieme delle istituzioni e dei servizi di interesse, afferenti a tutte le aree (sanitaria, sociosanitaria e sociale) secondo i propri bisogni, preferenze e mete così come risultano dal proprio progetto globale individuale a partire dall’età evolutiva” (Piano regionale autismo 2021).

Già la Legge 328/2000 prevedeva il diritto, ribadito nella successiva normativa nazionale e regionale, di chiedere al proprio Comune la definizione e stesura di un Progetto di vita individuale.

Così diceva l’art.14: “Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili (…) i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale (…) Nell’ambito delle risorse disponibili (…), il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al Profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.”

È al progetto individuale che vanno ricondotti tutti i piani specifici di intervento attivabili (es: riabilitativo, scolastico, sanitario, educativo, ecc.).

Al fine di sostenere e garantire lo svolgimento del progetto di vita della persona possono essere richieste alcune misure/ sostegni, a titolo di esempio:

• riconoscimento della condizione di invalidità civile con conseguente erogazione di assegni/pensioni e indennità di frequenza o di accompagnamento a seconda della gravità;

• riconoscimento della condizione di handicap ed applicazione delle tutele previste dalla legge 104/92, tra cui permessi e congedi per i familiari che siano lavoratori dipendenti;

• accertamento della condizione di alunno in situazione di handicap e conseguenti sostegni all’integrazione scolastica;

• agevolazioni fiscali (su acquisto di autoveicoli, deducibilità di alcune spese, aliquote ridotte, ecc);

• specifiche previsioni per i figli con disabilità in merito all’assegno unico erogato dall’Inps per i nuclei familiari;

• esenzioni dai ticket sanitari;

• emissione del contrassegno unico europeo per il parcheggio riservato alle persone con disabilità;

• contributi e voucher legati alla specifica diagnosi di disturbo dello spettro autistico;

• sostegni all’inserimento lavorativo;

• misure di sostegno alla vita indipendente (cd. Legge sul dopo di noi, Pro.Vi. – progetti di vita indipendente)

Su tutti questi aspetti, si segnala che è attivo presso la sede di Anffas Brescia in via Michelangelo 405 il SAI (servizio accoglienza e informazioni), a cui è possibile rivolgersi per informazioni e consulenza: info@anffasbrescia.it

Documenti di riferimento:

Ministero della Salute, Linea guida Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti, 2011 e successivi aggiornamenti

Regione Lombardia, Piano regionale autismo, ottobre 2021

Ats Brescia, Monitoraggio annuale sui disturbi dello spettro autistico, 2021

Anffas Brescia, Bambini e autismi: 10 cose da sapere, 2012

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