8 minute read
“Cristo è la nostra pace”
Attualità
Advertisement
1. In questo tempo parliamo costantemente di pace, preghiamo per la pace, speriamo nella pace. Ma qual è la nostra idea di pace? Spesso pensiamo la pace come assenza di conflitti esterni ed interni. In realtà, non può essere questa la pace del cristiano. Per mantenerla rischieremmo di fuggire dall’impegno, che sempre comporta responsabilità e preoccupazioni. Una pace che mirasse soltanto alla tranquillità e al benessere personale sarebbe una forma di egoismo. Si tratterebbe anche di una pace molto fragile, dipendente da situazioni esterne, contingenti e perciò costantemente esposta al rischio di essere turbata. In effetti, amare l’altro sempre ci toglie la pace, quella pace che consiste nella nostra comoda quiete. Al tempo stesso, però, la pace, nel suo senso più pieno e più vero, è proprio il frutto della carità. Ricordo la profonda riflessione sulla pace che fece Paolo VI nell’udienza generale del 4 giugno 1975. Diceva: Che cosa intendiamo noi quando parliamo di pace? […] La pace non è egoismo, non è apatia, non è disinteresse degli altri, non è indifferenza verso le altrui sofferenze, non è disprezzo per gli altri per il comodo proprio. Quanta gente si dice pacifica, perché non si cura dei bisogni e delle disgrazie del prossimo, o perché rifugge dall’occuparsi delle questioni sociali […] La pace, di cui il cristianesimo ci fa dovere interiore e personale, non è inerzia, non è immobilismo, non è possesso egoista, che idealizza condizioni di vita comoda e quieta; la pace, sì, è ordine, ma ordine applicato a ciò che vi ha di più mobile, qual è la vita umana: donde la pace, se la vogliamo vera e duratura, risulta vigile, attiva; una pace da produrre continuamente, con geniale amore e con laboriosa attività; bisogna non solo goderla, ma sempre cercarla, la pace (cfr. Ps. 33, 15: inquire pacem et persequere eam: cerca la pace e corrile dietro). Qualcosa di simile si può dire per l’idea di vita: quale idea di vita, di essere vivi abbiamo? Anche in questo
Una pace che caso pare che per molti essere mirasse soltanto vivi significhi sostanzialmente alla tranquillità “stare bene”. e al benessere personale sarebbe Qualche anno fa Roberto Saviano scrisse un elenco delle dieci cose per cui vale la pena vivere, una forma nel quale figuravano realtà assai di egoismo eterogenee, come la mozzarella di bufala e un celebre pezzo di musica jazz. Mi domando, però, se possiamo o vogliamo anche indicare dieci cose per cui eventualmente vale la pena morire (come la vita degli altri, la libertà, il proprio Paese, la propria fede). La vita, come la pace, non è solo ciò che ci fa sentire bene, in forma, e che perciò va protetto dalle minacce che mettono a rischio questa sensazione. La vita dell’uomo, immagine della vita di Dio (che nel vangelo di Giovanni è chiamata zoé per distinguerla dal bíos, la vita nella sua dimensione fisica) è vittoria sulla morte, e proprio per questo ha la forza di affrontare la morte. Lo stesso va detto della pace: la vera pace comprende e abbraccia la lotta per la pace.
di Fr. Saverio Cannistrà ocd
2. Per capire questo discorso, che è un approfondimento/innalzamento dell’idea “naturale” di pace (e di vita) dobbiamo rifarci alla rivelazione, e quindi alla persona di Gesù Cristo e al suo mistero pasquale. È lì che la nostra umanità è stata assunta fino in fondo e trasformata, ossia liberata e portata a compimento. Come Gesù dice: “Io sono la via, la verità e la vita”, così il Nuovo Testamento dice anche che Cristo è la pace, nel cap. 2 della Lettera agli Efesini (2, 14-18). Si tratta di un inno cristologico, come quello al cap. 1 della stessa lettera, quello della Lettera ai Filippesi e quello della Lettera ai Colossesi: Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Cristo ha lottato per superare e abbattere ogni genere di barriera che ostacola la comunione:
il muro cosmico di separazione tra il cielo e la terra, la divisione storico-culturale tra giudei e greci, la rottura dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Ha lottato con tutta la sua vita e la sua persona: “per mezzo della sua carne”, ma specialmente con la sua morte e risurrezione, “per mezzo della croce”. La pace è la conquista del Risorto, che la dona ai suoi discepoli: “Vi do la mia pace” (Gv 14, 27; 16, 33). 3. Un altro aspetto importante della concezione cristiana della pace, che ha dirette conseguenze sul nostro modo di vivere, è il suo legame con lo «Io sono la via, la verità e la vita» Spirito. Secondo san Paolo, esistono due modi opposti di impostare la vita: vivere secondo la carne e vivere secondo lo Spirito. “Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace” (Rm 8, 6). Le opere della carne hanno a che fare specialmente con la discordia, la divisione (anche interiore), mentre il frutto dello Spirito è nel segno dell’unità e della comunione (cfr. Gal 5, 19-22). Dunque, la pace, quella vera, viene dalla lotta interiore con la carne, con le sue tendenze e opere. Per questa pace ciascuno deve lottare personalmente con se stesso. Forse se fossimo più impegnati in questo combattimento spirituale interiore, avremmo meno conflitti all’esterno. Ma come si lotta con la carne? Di quali armi disponiamo? Non dovremmo mai dimenticare che la carne è un nemico potente, proprio perché non si colloca davanti a noi, ma dentro
Attualità
di noi e ci muove dall’interno delle nostre dinamiche psicologiche, affettive, emotive. Pertanto, la prima arma di cui dobbiamo munirci è la conoscenza di noi stessi, la coscienza delle nostre ferite e dei nostri bisogni. Solo guardando in faccia le forze che si muovono dentro di noi, portandole alla luce, possiamo affrontarle e controllarle. Se non conosciamo il nostro mondo interiore, non siamo coscienti del peso della storia passata e del cammino che ancora dobbiamo percorrere per arrivare alla maturità, restiamo prigionieri dei meccanismi della psiche e agiremo condizionati da essi. La lotta contro la carne è innanzitutto una lotta per la verità e per la libertà e così è lotta per la pace. Ma non basta conoscere noi stessi per risultare vincitori nel combattimento spirituale. Conoscere le fragilità, le immaturità e i limiti che ci portiamo dentro potrebbe determinare in noi una reazione di scoraggiamento e di rinuncia a lottare. In effetti, spesso la conoscenza di noi stessi ci conduce a un senso di impotenza. Nonostante gli anni, le energie spese, le esperienze fatte, ci riscopriamo ancora una volta incapaci di vivere la pace, di essere in pace e di trasmettere pace. Per questo abbiamo bisogno dello Spirito, non solo della retta ragione e della buona volontà. Senza una vita teologale che attinge la pace dalla relazione con Dio non si può vincere questa battaglia. “Tu gli assicurerai la pace, pace perché in te ha fiducia”, dice il profeta Isaia (26, 3). La fonte inesauribile della pace è la fiducia in Dio, la certezza di essere da Lui perdonati, amati, accompagnati. Gesù ci ha aperto la strada maestra dell’abbandono fiducioso al Padre.
Nella povertà, nell’afflizione, nella fragilità della nostra condizione umana siamo “beati” perché Dio conosce la nostra angoscia e la nostra fatica e in essa non ci abbandona. Dio è con noi, anzi è “per noi”, come scrive Paolo nella Lettera ai Romani: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8, 31). Tutti conoscono la preghiera che santa Teresa di Gesù compose e portava manoscritta nel breviario: “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi; tutto passa, Dio “Nulla ti turbi, non cambia; la pazienza ottiene nulla ti spaventi; tutto; a chi ha Dio nulla manca. tutto passa, Dio non cambia; Solo Dio basta”. È una preghiera che chiede la pace in mezzo alle prove e ai turla pazienza bamenti della storia. ottiene tutto; Teresa non è mai fuggita dalla a chi ha Dio storia con le sue complessità e nulla manca. Solo Dio basta” contraddizioni. Ha elaborato una visione della vita contemplativa in mezzo alla storia, come una forma nascosta, ma non per questo meno efficace di cambiare la storia, di evangelizzarla. Ciò che Teresa esprime in quella preghiera meritatamente famosa è la sintesi della sua esperienza spirituale. È la via che lei ha seguito per giungere alla pace. È una via che segue i percorsi tortuosi dell’umanità, quelli della storia pubblica ed esterna, e quelli della storia privata e interiore. Non si può fare a meno di seguire questo itinerario perché è quello che Dio stesso ha seguito nell’incarnazione. Ciò che conta è compiere questo viaggio con lo stesso atteggiamento di Gesù, con la sua fiducia, il suo abbandono totale al Padre. Tutto il senso e il valore della preghiera contemplativa per Teresa è questo: assimilarsi a Gesù, fare una cosa sola con Lui, per poter continuare a camminare nelle vie della storia portando nel cuore la sua pace, quella che scaturisce dal mistero della Pasqua.