L’orario di lavoro a inizio secolo di Pietro Basso Nel 1998 ho pubblicato uno studio sugli orari di lavoro (*) nel quale, andando decisamente controcorrente, sostenevo che fosse in atto da almeno un ventennio, a cominciare dagli Stati Uniti, una tendenza all’allungamento degli orari medi di lavoro, e che tale tendenza non avesse alcunché di “congiunturale”. Mi sembrava evidente, infatti, che l’orario di lavoro medio dei salariati tanto nell’industria quanto nell’agricoltura e nei cosiddetti servizi stesse diventando, da un po’, oltre che più intenso, anche sempre più esteso e pesante da sopportare. E mi pareva altrettanto evidente che il processo di mondializzazione stesse via via generalizzando questo “paradossale” corso del tempo di lavoro. La sola vera questione “aperta” mi sembrava la ricerca delle cause di fondo di un simile processo, e su queste presentavo un abbozzo di spiegazione sulla scia delle “categorie” di Marx. La convinzione egemone a questo riguardo era però, allora, ed in parte è tuttora, completamente differente, se non opposta: si dava da quasi tutti per scontato, quantomeno in Italia e in Europa, che il tempo di lavoro era divenuto sempre più breve e leggero per la grandissima parte dei salariati, e che un tale corso storico degli orari, con qualche rallentamento od occasionale perturbazione, era destinato a svilupparsi ulteriormente per effetto della nuova rivoluzione tecnica ed organizzativa in atto. Sono trascorsi non molti anni, e già questo scorcio fosco, e insieme promettente, di inizio secolo offre delle importanti conferme della mia tesi. Conferme che vengono tanto dagli Stati Uniti quanto dall’Europa. La prima è costituita dal salto di qualità nell’attacco imprenditoriale e statale alle 35 ore in atto in Francia e in Germania. In Francia il conto alla rovescia per le 35 ore è cominciato nel gennaio 2003 con il varo della legge Fillon, che ha aumentato le ore annue di straordinario ammesse da 130 a 200. In questo modo l’orario settimanale legale è stato riportato di fatto, seppure per via traversa, a 39 ore (quello reale è già, per gran parte dei salariati comuni delle imprese private, un po’ al di là di questa soglia). Un altro e più determinato colpo alle 35 ore è stato assestato dal governo Raffarin nel giugno-luglio 2004, con la decisione di detassare le ore di lavoro straordinario e con il lancio di una aggressiva campagna propagandistica all’insegna del principio: “i francesi debbono lavorare di più, se vogliono guadagnare di più” (Sarkozy). Nel frattempo le maggiori imprese, lungi dal rimanere con le mani in mano, hanno messo in campo un vero e proprio ultimatum: “i francesi debbono lavorare di più, altrimenti siamo costretti a delocalizzare nei paesi in cui il lavoro costa di meno”. E in pochi mesi hanno tradotto questo ultimatum in fatti molto concreti. La Bosch ha aumentato l’orario di lavoro a Vénissieux, nei pressi di Lyon, da 35 a 36 ore senza aumenti di salario, anzi imponendo ai sindacati tre anni di “moderazione salariale”. Alla sua ruota la SEB, proprietaria del marchio Moulinex, ha preannunciato che nei suoi due stabilimenti nei Vosgi passerà dalle 35 alle 38 ore. La Doux, l’impresa-regina del pollame in Europa, si muove nella stessa direzione. L’azienda di pulitura Cattinair è salita dalle 35 alle 37,5 ore con un incremento salariale simbolico del 2%. Le imprese alberghiere hanno ottenuto la “pérennisation des 39 heures” concedendo qualcosina in più, l’11% di aumento del salario minimo, ma imponendo nuove norme sul lavoro notturno. E la lista delle aziende decise a stracciare le 35 ore si allunga di giorno in giorno con l’Eurocopter, la Nexans, l’Ina-Roulement, l’Arcelor, etc. La ragione invocata è sempre una: la concorrenza internazionale, che obbliga ad abbassare i salari e incrementare gli orari (due facce della stessa medaglia). E questo nonostante la Francia abbia già ridotto il suo costo del lavoro di quasi un terzo proprio tra il 1995 e il 2002, nel periodo cioè in cui sono state introdotte le 35 ore, portandolo al di sotto, del 20%, di quello medio degli Stati Uniti1. Gli obiettivi dichiarati dalle grandi imprese sono ambiziosi; la
(*) Tempi moderni, orari antichi. L’orario di lavoro a fine secolo, Angeli, Milano, 1998. 1 I dati sono della Agence française pour les investissements internationaux (“la tribune”, 23 juillet 2004).
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