combat aprile

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combat Comunisti per l’organizzazione di classe Aprile 2012

Supplemento a pagine marxiste

PARLARE CHIARO E' fatta. Dopo la manovra sulle pensioni di fine anno che ha di fatto cancellato le pensioni di anzianità e portato a 70 anni il futuro pensionamento (!?) delle “giovani generazioni” (tanto “care” al ministro Fornero), ecco arrivata in porto un'altra “storica riforma”: quella del mercato del lavoro. In sostanza: l'articolo 18 non c'è più. Il lavoratore che volesse proprio far valere i suoi diritti farà meglio a sperare più nel giudice che nel sindacato. E, come dice spudoratamente, ma con il cinismo dei ricchi, Mario Monti: “Gli imprenditori non si preoccupino. Riavere il posto di lavoro sarà improbabile”. Ben detto. La verità è questa. La verità è che si chiudono anche quei pochi spiragli di “difesa legale” rimasti in essere in questo turbinio di licenziamenti e precariato che la crisi ha creato e continuerà a creare. Alla faccia di tutto il ciarpame “democratico” che accompagna finte trattative come questa. Alla faccia di tutte le insulse “sensibilità sociali” che si fa finta di raccogliere. Alla faccia, infine, di quel vergognoso “gioco delle parti” che fa “cantare vittoria” per un giorno al partito del Re (il PD) e ai suoi tirapiedi della Cgil. Penoso, in questo contesto, sia detto di passata, è l'intento della Fiom di far credere che la lotta “continua”, dirottando tutto all'ennesima passeggiata a Roma dentro il “pacchetto” delle 16 ore di sciopero della Cgil. Anche Landini, segretario Fiom, si chiude nel formalismo opportunista delegando al parlamento “le modifiche che il governo non ha fatto”. Si sta preparando un nuovo cartello elettorale, in cui confluiranno tutte le parrocchiette ed i falsi movimentismi di una sinistra fallita. Poi anche questa vicenda sarà affogata e “superata” dal succedersi di altre “manovre” e “aggiustamenti” dei Conti Pubblici. La ripresa verso l'alto dello spread, il nuovo totem del Mercato, chiede di succhiare nuovo sangue di proletari, precari, disoccupati, pensionati dell'Unione Europea, il nuovo cartello imperiali-

stico inaugurato da Maastricht e che, per ora, fa un sacco di vittime brandendo la sola spada dell'Euro. L'imperialismo italiano, parte integrante e interessata di questo blocco, è dovuto ricorrere al governo “tecnico” per rimanere “agganciato” al dinamismo dell'imperialismo trainante, quello tedesco. Ora, col crollo del mito leghista, di uno dei supporti fondamentali del berlusconismo, si aprono nuovi e turbolenti scenari di crisi politica incipiente, che impongono ancora di più al centro -sinistra l'accodamento pronto e supino al capitale industriale e finanziario, dentro gli attuali rapporti tra le classi in Italia. Cioè dentro l'attuale suddivisione del plusvalore, della ricchezza che gli operai producono per tutti. Gli ultimi appigli formali di “difesa legale” dei lavoratori sono stati svenduti da Bersani e soci in questa ottica. La cassa integrazione e la mobilità, pur essendo solo dei “tamponi” verso il licenziamento, sono stati ridotti all'osso dentro la stessa ottica. Così pure l'allargamento del precariato e la sua “istituzionalizzazione”, nella forma della diffusione del contratto d'apprendistato. La borghesia parla chiaro. Monti parla chiaro. I politici borghesi seduti sugli scranni parlamentari parlano chiaro. I “sindacati signorsì” nelle figure di Bonanni ed Angeletti parlano chiaro. Dobbiamo ora far uscire da ogni ambiguità il sindacatone “assertivo” della Cgil e tutti i burocrati che ancora si accodano alla sua “sinistra”, facendo emergere una semplice verità: E' ORA DI SMETTERLA DI GIOCARE A FARE LE FINTE LOTTE SULLA PELLE DEI LAVORATORI !!! E' ORA DI SMETTERLA DI NASCONDERSI DIETRO “OPPOSIZIONI” CHE TALI NON SONO!!! E' L'ORA DELLA CHIAREZZA! E' L'ORA CHE “l'emancipazione degli operai sia opera degli operai stessi” (K. Marx ).


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Prima ti fanno ammalare, poi ti ““curano”. curano”. “recuperano”. no”. Ma, se “guarisci”, ti “recupera Ritorni, cioè, nella stessa condizione che ha creato la tua malattia. Torni a fare la stessa vita. Semplicemente perché non ce n’è un’altra di condizione. E neanche di vita. creano il disagio, disagio, fanno finta di curarlo, Gli stessi che creano ulla causa a come sull’effetto di questo. ulla caus lucrando ssull K.MarxK.Marx-F.Engels “La sacra famiglia” 1845 “Se l’uomo è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze. Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e la potenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, ma nella potenza della società”.

Il “male oscuro” del capitalismo.

PASTICCHE O RIVOLUZIONE? “La rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società”. K.MarxK.Marx-F.Engels “L’ideologia tedesca” 18451845-1846 Quelli che per natura dovrebbero essere i fattori di sviluppo, maturazione ed integrazione degli esseri umani nella “società civile”, costituiscono spesso, sempre piu’ spesso, i “fattori ambientali” che incidono sul rischio di vivere male, o di ammalarsi del “male oscuro”. In Italia gli adulti che hanno sofferto di episodi piu’ o meno prolungati di “depressione” negli ultimi 12 mesi sono 5,4 milioni (il 10,6% della popolazione) così distribuiti: il 15% tra i 18-34 anni, il 41% tra i 35-54 anni, il 16% tra i 55-64 anni, il 28% oltre i 65 anni. L’età di apparizione del “male oscuro” si sta abbassando sotto i 20 anni e le donne sono le più colpite perché più esposte ai cosiddetti “fattori stressogeni”, tra le aumentate difficoltà nel trovare e mantenere lavoro e reddito poco inclini ad essere compatibilizzate con famiglia, figli, lavoro domestico. Giovani, più spesso donne, vittime “oscure” della disoccupazione, del precariato o del superlavoro: questo l’identikit del depresso metropolitano del terzo millennio. Le asettiche “spiegazioni” sociologiche sulla endemica difficoltà insita nella complessità sociale contemporanea fanno il paio con la “cura” delle “anomalie di vita”. In sostanza, dopo l’indagine conoscitiva, c’è la medicina, che spesso diviene psicofarmaco, pasticca (a Milano, negli ultimi 12 mesi, l’8% della popolazione ha fatto uso di antidepressivi!). Eppure, secondo stime mediche italiane ed europee, solo il 20% dei pazienti ha “bisogno” di farmaci, perché solo il 20% dei pazienti è “malato” di depressione maggiore. Il restante 80% “curato” come depresso è afflitto, in ordine di importanza, da disturbi d’ansia, mal di testa,

difficoltà del sonno, pressione alta, dolori addominali, tristezza. Una pillola un po’ come quella del vecchio servizio militare di leva, che va bene per tutto. E quando la pasticca universale non basta, c’è pronto l’esercito degli psicoterapeuti, i gruppi di autoaiuto tipo “alcolisti anonimi”, le erbe e la “medicina alternativa”, la terapia con la corrente continua, la fototerapia, la stimolazione magnetica transcranica, quella del nervo vago e quella cerebrale profonda. Se non basta ancora, il caleidoscopio dell’intervento antidepressivo comprende ancora la cronoterapia che vorrebbe riequilibrare i ritmi biologici fino a “resettarli”, migliorando l’umore complessivo fin dal primo giorno di cura … Naturalmente non ci sono dati riscontrabili circa l’efficacia di questo bombardamento di farmaci, anche perché il “male oscuro” spesso si ripresenta dopo apparenti “guarigioni” tendendo, dopo il 3° episodi o significativo, alla sua cronicizzazione. Per gli sconsolati “malati” non rimane che la fede, con la sua “speranza ultima a morire”, con la sua ricetta compassionevole in bilico tra esorcismo ed attesa messianica del paradiso post-mortem. Gli unici dati certi e statisticamente dimostrabili sono quelli che indicano come nella depressione si alterano molti ritmi biologico-naturali: l’umore, che di norma è migliore al mattino, si rasserena solo la sera; si dorme poco e male, soprattutto la notte; si sfasa la produzione ormonale togliendo il buonumore. In ultimo, a testimonianza della contraddizione più evidente, la stagione più vitale, la primavera, è quella che conosce il maggior numero di suicidi per depressione.


3 Siamo di fronte ad una sorta di difficoltà di massa a riconoscere ed integrare il proprio corpo e la propria mente con i ritmi biologici e naturali. Come se questo fosse possibile, come se i ritmi biologici e naturali non entrassero da soli in rotta di collisione con l’organizzazione della presente società storicamente determinata. Come se dietro sia la causa che l’effetto del “male oscuro” non ci sia solo e sempre il profitto! Basti guardare alla concentrazione metropolitana, uguale a Roma come a Bangkok, a Seul o Città del Messico, a Los Angeles come a Pechino, frutto ovunque dello stesso processo storico di planetarizzazione capitalista, ed alla sua inevitabile quanto identica spersonalizzazione, alla sua difficoltà relazionale, al suo vangelo competitivo fatto di efficienza e produttività 24h. su 24h., all’alta velocità nei trasporti, nei movimenti, nei rapporti. In Italia, i comuni sopra i 250.000 abitanti, rappresentano il 30% della popolazione. Qui, la casa bisogna pagarla il doppio che altrove, ed avere in premio le strade più sporche, il traffico piu’ intenso, l’aria più inquinata, i trasporti più cari e meno puntuali, i “panorami” più squallidi. Ma si può solo anche sopravvivere nella bruttezza di certi quartieri della periferia metropolitana, che anche se non sono favelas, a Roma sono Corviale (2 palazzi di cemento armato lunghi un chilometro ed affollati da migliaia di abitanti stipati in 1200 appartamenti) e a Napoli Scampia, massicciamente presidiata dalla camorra e dallo spaccio? Il “bello” è che gli architetti costruttori e le giunte comunali, che si sono ben guardati dall’abitare nelle loro creature, le spacciano per “luoghi della socializzazione” inventandosi perfino alcune per altro disertate “feste dei condomini”! Blocchi di cemento iperaffollati “difesi” da sbarre “antirapina” alle finestre, dormitori “venduti” come “realizzazione sociale collettiva”, addirittura come possibili luoghi della socialità e del tempo libero! Quartieri privi di piazze, di teatri, di cinema, di circoli ricreativi, dove anche le vecchie sezioni di partito sono sparite … il nulla, peggio, una sorta di gigantesca galera a cielo aperto dove dominano, onnipresenti, chiese e sale da gioco. Già, perché anche il vecchio bar, dove magari di corsa prima di andare a lavorare, si scambiavano due parole è morto, trasformato in un tetro luogo per disperati “grattatori” delle lotterie di stato o di tiratori di slot orfani dei casinò. Come in un cesso, soli e di spalle al mondo, grattano … e perdono, sempre! Eppure “giocano”, sempre di più, in barba e forse di conseguenza alla aumentata miseria materiale e morale che li avvolge.

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Già, perché nell’Italia della crisi lo stato biscazziere incassa 72 miliardi di euro l’anno (record europeo!), ed ogni italiano “gratta” per 1200 euro l’anno. Altro che socialità di quartiere e di condominio. Solitudine e voglia di “svoltare” magari “vincendo” una pensione a vita altrimenti inarrivabile, provocano ovunque strappi al tessuto sociale ed a quello dell’anima. Prima si atomizzano gli esseri umani, trasformando la loro vita familiare, lavorativa e ricreativa in un carcere, poi si fa finta di curarli perché si “ammalano”. Di fronte a questa realtà, si può dire che questo modello sociale, questo tipo di sviluppo provoca continua ansia da “prestazione”, continua rincorsa ad “adeguarsi”, a non perdere il ritmo? E si può dire che questa “gara” continua con gli altri, con noi stessi, questo continuo “metterci alla prova”, questa vita che diventa una partita in cui devi sempre vincere, provoca diffusamente, e di risulta, episodi di sconfitta, di sconforto, di lieve (o importante) depressione per tutti? E ancora, si può pensare che il “male oscuro” non sia poi così tanto oscuro, ma che le sue motivazioni ultime risiedano nel complesso dell’architettura etica e sociale di questo sistema di cose e di vita? L’individualizzazione del “disturbo di vivere” diventa nelle attuali, interessate “cure di riabilitazione”, l’individualizzazione del rimedio. Un rimedio che evidentemente non solo non funziona ma non può funzionare, perché forse il “male” non è individuale, né senza causa, così come non è eliminabile nel campo di concentramento capitalistico. Vogliamo dire che il “male oscuro” è un male ineliminabile se non cambiando le condizioni di vita complessivi degli esseri umani, e che solo la rivoluzione sociale può produrre questa trasformazione? Certo, vogliamo dire anche questo, ma non solo questo. Forse è possibile trovare qualcosa da fare anche qui ed ora per superare il nostro isolamento, per evadere dalla gabbia del lavoro o della disoccupazione, della casa, della famiglia, della religione, degli usi e delle consuetudini consolidate, dei luoghi comuni, dei ruoli prestabiliti da altri. Si può, anche qui ed ora, cambiare il corso prescritto della nostra vita, riscoprendo la coalizione e l’azione collettiva di classe, riuscendo a produrre e prodursi in una attività volontaria, scoprendo nella lotta l’unica vera libertà non commerciabile. Forse questa è la soluzione non millenaristica del “conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere. E’ il risolto enigma della storia”. K.Marx-F.Engels Manoscritti economico-filosofici 1844

Contro il logorio della vita moderna Lascia stare il cynar, le pasticche, gli dei e le slot Scegli la rivoluzione!


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Note sulla crisi

Emilia Romagna: la fine del piccolo mondo antico… (parte II) L’Emilia Romagna rimane comunque la nona regione europea per occupati nel settore manifatturiero ed è una delle regioni più popolose della comunità europea. Con più di 400 000 aziende (una ogni 10 abitanti), ripartite tra Agricoltura 68.945, Industria 125 400 16,1 e Servizi 234 246. Più del 98% delle imprese ha meno di 50 addetti, l’impresa media ha 3,5 addetti (5,4 nell’industria, 2,6 nei servizi, 1,2 in agricoltura). Per la prima volta dopo un lungo periodo di forte espansione nel 2009, si ha avuto una forte contrazione del volume del commercio internazionale. L’interscambio commerciale ha fortemente risentito della crisi in atto (-25,4%), cosa che si è particolarmente sentita in Emilia Romagna visto la sua vocazione all’export. Nei primi tre mesi del 2011 i prestiti per le imprese in sofferenza sono cresciuti del 19,2% a Bologna e del 19,7% in tutta la regione. Dati ancora più impressionanti se si passa dalle percentuali ai crudi numeri. A metà 2011, dice il rapporto Ires, le sofferenze bancarie delle imprese toccavano il miliardo e mezzo, più del doppio rispetto al 2008. Se questo è il quadro generale, assistiamo ad una disperata rincorsa della vecchia sinistra nel difendere la bontà di un simile modello, facendosi paladina di un nuovo patto per i produttori, incapace di vedere l’estrema connessione che esiste tra sistema finanziario e produttivo che si tramuta nei processi di speculazione e stagnazione economica. Riproponendo ideologicamen-

te meccanismi di integrazione, ma nei fatti attuando e subendo meccanismi de-integrativi. I vari centri studi del PD regionale sembrano tutti riscoprire una vocazione laburista classica, un po’ come quello che sta succedendo al labour inglese che dopo la vocazione new labour oggi parla di blue labour … dove questo parlare, al di là del fastidio e contorsionismo, è ancor più inutile dentro gli attuali contesti di accumulazione capitalista. La crisi che sta investendo l’Emilia, e il suo spe-


5 cifico assetto sociale, apre tuttavia meccanismi inediti se visti dentro un punto di vista di classe, in quanto rompe quel meccanismo di statalizzazione/integrazione di classe, che di fatto aveva annullato ogni possibile autonomia di classe. Non è un caso che la stessa epopea settantasettina, che ha avuto un importante epicentro a Bologna, riguardava non tanto i meccanismi legati alla de-integrazione, ma all’asfissia dello stesso meccanismo integratore proprio del modello emiliano, che voleva omogeneizzare tutto. Non vogliamo in questa sede stroncare i presupposti di quel movimento, alcuni tratti hanno avuto delle intuizioni notevoli se viste in un arco storico, non ultima la critica anti-economica che esprimevano al gigantismo produttivista capitalistico, tuttavia erano una minoranza e questo li portava a collocarsi, nel loro agire, unicamente su un piano di riproduzione sociale. Oggi si assiste invece ad un meccanismo contrario, dove si creano delle vere e proprie eccedenze sociali, che vengono create dai meccanismi capitalistici stessi. Dove viene intaccato non solo l’assetto della riproduzione sociale ma lo stesso meccanismo produttivo. La compattezza comunitaria sociale, che annullava ogni possibile autonomia di classe, ma che permetteva anche se comunque sotto gli assetti della produzione capitalista, una più equa ripartizione, inizia a franare. Se vista nei suoi tratti immediati questa dinamica può essere letta come una sciagura (rapportata ai meri valori reddituali), ma se leggiamo questo dato come l’uscita dalla gabbia, possiamo scorgervi dopo tanti anni la possibilità finalmente che a livello potenziale la classe possa agire autonomamente e quindi capace di provare ad uscire dalla sua preistoria agendo direttamente non dentro l’economia politica ma come forza per la critica dell’economia politica. Esistono situazioni in cui si può esplicitare un’attività rivoluzionaria e altre in cui questo è impossibile. Le une e le altre dipendono dai rapporti di forza che si stabiliscono in un dato momento e questo sono a loro volta condizionati dalla situazione economica. Non vogliamo dire che il lavoro politico fatto fin qui, da tutte quelle minoranze che si sono poste da un punto di vista di classe fosse inutile, ma fortemente marginale sì (e ultra marginali se rapportate al contesto emiliano). Solo quando esiste una situazione oggettivamente rivoluzionaria, un’azione rivoluzionaria è possibile. Una situazione simile nasce dalle contraddizioni dello sviluppo capitalistico, dall’inevitabilità della crisi. La teoria, l’attivismo, esistono anche nei momenti in cui è impossibile metterli in pratica. Agisce in anticipo su una prassi rivoluzionaria futura e nel frattempo trova la sua verifica nello sviluppo effettivo del capitale e nell’intensifi-

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cazione dell’antagonismo di classe, ma rimangono comunque schiacciati. Qui stava la forza e l’efficacia, non solo militare, esercitata dal PCI in Emilia rispetto all’estremismo storico, l’essere stato capace di essere un agente stesso di quel meccanismo di integrazione che ha contraddistinto il processo di accumulazione capitalista, rendendo sterile ogni opposizione. Se la teoria rivoluzionaria ha per oggetto l’abolizione del capitale, non può trovare che in quest’ultima la sua piena conferma. D’altra parte la prassi rivoluzionaria, che si sviluppa dentro la lotta di classe e rispetto ai meccanismi stessi dell’accumulazione capitalista, non risponde ai problemi particolari che incontra in un dato momento, poiché le circostanze cambiano continuamente e portano a situazioni imprevedibili. Tali misure sono dettate dalla situazione rivoluzionaria che sorge spontaneamente, solo l’azione può dare alla teoria la forma che le permette di corrispondere alla prassi. E’ la situazione rivoluzionaria stessa che agisce sulla coscienza di classe, e può rompere ostacoli organizzativi, culturali ecc ... Può apparire fantasioso utilizzare queste terminologie, ma per evitare di essere schizzoidi con la realtà occorre capire e dare il peso adeguato alle parole che si utilizzano. I meccanismi di crisi che stanno investendo la stessa Emilia, aprono un orizzonte diverso a tutti coloro che si pongono in modo rivoluzionario rispetto al presente, ben più radicale di quello che si sviluppò 30 anni fa. Detto questo rimaniamo convinti che è inutile propagandare la rivoluzione come se fosse un problema di cattiva pubblicità o convinzione, ma occorre capire dove esistono all’interno della lotta di classe quei meccanismi dove la classe può esercitare e non unicamente subire i processi di deintegrazione e quindi l’affermazione di nuovi rapporti sociali. Si ha una classe operaia industriale multietnica, una popolazione giovanile che sta subendo una inedita polarizzazione sociale, una popolazione anziana in crescita a cui non corrisponde una rete di servizi che la possa contenere. Un mondo dei servizi che non riesce più a contenere da un punto di vista occupazionale l’emorragia del mondo industriale e dove la presenza dei working poor assume un tratto generale. Come ricordato in precedenza stiamo tratteggiando tendenze e non una catarsi immediata. In questo contesto ciò che rappresenta la sinistra (vecchia e nuovista …) diventa al di là della mitologia e della storia, un ostacolo e per certi versi un nemico vero e proprio, poiché legge questa fase con occhi del passato, sognando un piccolo mondo antico che non esiste più …


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Bergamo: la ripresa dell’export sulla pelle dei lavoratori Dopo circa tre anni e mezzo dalla dichiarazione ufficiale di crisi è possibile e doveroso tentare di fare un primo bilancio su che cosa è stata questa crisi e sulle conseguenze che essa ha avuto, ed ha, nella condizione operaia. Sul finire del 2008 cominciarono a tagliare posti di lavoro industrie medio-grandi come la Pigna e la S. Pellegrino. Poi a seguire il panorama andò arricchendosi di nomi noti e meno noti, ma comunque significativi, legati direttamente o indirettamente al gotha del capitalismo: Frattini, Comital (De Benedetti), Tenaris Dalmine, Abb, Brembo (Bombassei), Indesit (Merloni) ... per citarne solo alcune realtà dove la Rete Operaia è intervenuta o ha cercato di intervenire. Per alcune di queste si trattava dello smantellamento definitivo (come la Indesit e la Comital), per altre di un ridimensionamento anche netto (Frattini), per altre ancora di un adeguamento degli organici in vista della cosiddetta “ripresa” (Abb, Brembo, Tenaris, S. Pellegrino). Alla S. Pellegrino di Ruspino (400 addetti), la direzione tentò addirittura la carta della “mobilità” per espellere i “vecchi” e sostituirli con manodopera più giovane e “malleabile”. Solo la forte e decisa mobilitazione dei lavoratori, con blocco prolungato delle merci, poté sventare il disegno, mettendo subito sull'avviso i confederali, pronti ad “entrare nel merito”. Ma per la maggioranza di queste aziende, ed altre ancora (Same Deutz Fahr, Siac, Promatech non si può parlare di “deindustrializzazione” e neppure di “disinvestimento”. Né di “crollo dei profitti”. Infatti, mentre la produzione industriale dell'ultimo trimestre del 2011 vede la provincia di Bergamo calare di un 3,4% sullo stesso indicatore dell'anno prima (solo Mantova in Lombardia fa peggio con un meno 3,9%), se raffrontiamo l'entità dell'export del “Made in Bergamo” nei primi nove mesi del 2011 (dati ISTAT) troviamo che esso supera i 9 miliardi di euro (9 295) a fronte di un import attestato a 6 423 miliardi. Considerando che la provincia, con 95 987 imprese, è la 14a in Italia per industrializzazione, e ben 5a in graduatoria per export (preceduta solo da Milano, Torino, Vicenza e Brescia), il quadro che si delinea è piuttosto variegato. E comunque non riconducibile alle visioni di “miseria di massa” da “crisi irreversibile” così diffuse nei nostri ambienti. Concentrazione, internazionalizzazione (non solo di mercato ma anche di produzione), diversificazione, ma non crollo dei profitti in tutto il settore manifatturiero. Il valore dell'export del 2011 rispetto al 2010 è cresciuto dell' 8,5% (circa un miliardo di euro), riportandosi a poche centinaia di milioni di euro sotto i livelli del 2007... Se poi disaggreghiamo l'export per destinazione di aree vediamo che il “Made in Bergamo” aumenta di un 9% nel 2011 sul 2010 in Nord America, del 20,1% nell'America CentroMeridionale, del 17,6% negli “Altri Paesi Europei”, e dell'8,5% nell'Eurozona, che con 6 041 milioni di euro fatturati rimane di gran lunga il primo mercato di sbocco.

mazione, robotica, meccanica, in cui un pool di aziende medio-grandi sta fortemente rilanciandosi sui mercati mondiali. Alcuni nomi: Abb, Bianchi Vending, Brembo Freni, Cms, Cosberg, Enginsoft, Fassi Group, Lovato, N&W, Persico, Same Deutz Fahr, Scaglia Indeva, Siad, Tenaris Dalmine ... (in totale circa 13 000 addetti in provincia). Li chiamano i “resilienti”, cioè quegli imprenditori che stanno inserendosi con accresciuta produttività nelle fasce di mercato che la crisi, invece di smorzare, accelera. Vi entrano dopo “tagli” e “dimagrimenti” che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni. E che hanno visto da un lato i governi legiferare duro contro i lavoratori, e dall'altro i sindacati confederali svolgere egregiamente il loro ruolo collaborazionista. Ora la fase dell'“impatto”, anche mediatico, dei “salassi” occupazionali nei gruppi medio-grandi sembra per il momento accantonata.

Al “Kilometro Rosso” di Stezzano, del patron Bombassei, si è costituito un “Consorzio per la Meccatronica Intellimech” che sta spingendo per sviluppare sinergie di elettronica, auto-

Nel contempo Bergamo (dati Cisl) ha perso in questi ultimi tre anni in via definitiva 3 000 posti di lavoro nella sola industria metalmeccanica, vedendo attualmente 10 750 la-

L'agonia delle chiusure, dei fallimenti, delle dismissioni investe la micro-impresa, l'artigianato (Bergamo, con 33 859 imprese artigianali, un terzo del totale, è quinta nella graduatoria nazionale), il commercio. Nell'indifferenza più totale. Al massimo si fanno “petizioni” di carità per elargire casse in deroga, le quali, se e quando vengono pagate, accumulano ritardi scandalosi. Nelle grandi fabbriche Cgil-Cisl-Uil tornano a trattare di accordi aziendali: sempre più in un clima da apartheid e di imposizione parossistica di maggior produttività. Alla Tenaris, la più grande azienda metalmeccanica della provincia, l'azienda è disposta a portare il premio di produttività dagli attuali 1.600 euro a 2.300, in cambio di maggiore flessibilità, del legame salario-presenza, dell'eliminazione delle voci “fisse” esistenti. Essa intende pure concedere una maggiorazione del 15% su indennità legate ai turni, sul lavoro festivo ecc. Alla prima citata S. Pellegrino, è stato firmato da poco un nuovo integrativo di Gruppo per il triennio 2012/'13/'14 che butterà un premio complessivo medio di 6.450 euro, con un aumento di 900 euro sul vecchio premio 2009/'10/'11 (vedi “Il Giornale di Bergamo” 15/03/'12). Si potenziano un “Welfare aziendale”, il telelavoro, il part-time. Alla Dhl Aviation di Orio al Serio (550 occupati, di cui 480 ad Orio) si è rinnovato in questi giorni e l'integrativo e il Premio di Risultato. Totale = 1 665 euro. Esso viene esteso ai dipendenti di Ciampino e Malpensa, di Bologna, di Treviso, di Ancona, di Pisa. Ci sono dentro incentivi agli impiegati ed alla presenza. In mancanza di una iniziativa per il recupero salariale generalizzato, molte aziende elargiscono premi e aumenti significativi senza scioperi, ma in cambio di ulteriore flessibilità e produttività, perché hanno margini di profitto consistenti. Mancando la lotta, gli aumenti sono solo uno strumento per garantire la piena sottomissione dei lavoratori alle esigenze del capitale.


7 voratori ancora coinvolti tra la varie Casse Integrazioni e la Mobilità … Si va così delineando uno spettro del mercato del lavoro, indirizzato e rafforzato dalla recente manovra del governo Monti, in cui si fa pressione su tutte le componenti ed i segmenti della classe allo scopo di estrarre più massa di plusvalore. Pressione sugli occupati a tempo “indeterminato”, che tali lo sono meno di prima. Pressione sui precari, rimasti più di prima in balia dei flussi temporanei di mercato. Pressione sui disoccupati, disposti a farsi ingaggiare a qualunque prezzo. I “vecchi” si sentiranno permanentemente sotto ricatto della perdita del posto, anche a livello individuale; ben sapendo che una volta fuori i pannicelli caldi della “riqualificazione” non serviranno certo a garantire loro un bel nulla. I “giovani” vedranno come un miraggio la possibilità remota di uscire indenni dai tre anni di prova previsti dal Contratto

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di Apprendistato, dal quale l'azienda potrà tranquillamente recedere. I migranti si sentiranno ancor di più schiavi dell'arbitrio e delle angherie di padroni e padroncini, col foglio di via sotto ai piedi. Lo spingere sulle nicchie di produttività come unica via per elargire salario, contribuirà sicuramente ad aumentare divisioni e concorrenza tra gli sfruttati. I padroni gongolano. I sindacati asserviti trovano nuove motivazioni per il loro istituzionale collaborazionismo. Per questo occorre costruire un largo fronte proletario di lotta e di opposizione allo sfruttamento e, nello stesso tempo, al capitalismo che lo sostanzia. Stare nelle lotte che, seppur ancora in modo limitato, si producono. Cercare di alzarne il livello e la continuità; le proporzioni ed il collegamento. Farvi lavoro di massa ed organizzare politicamente i giovani ed i lavoratori più coscienti disposti ad alzare la testa.

SPAGNA: SCIOPERO GENERALE! (corrispondenza dallo sciopero generale del 29 marzo) Il 29 marzo sciopero generale qui in Spagna per dire “NO” ad una riforma delle leggi sul lavoro che permette di licenziare con più facilità e meno costi per le imprese. Vengono ridotti gli indennizzi a carico delle imprese nelle cause di lavoro. Vengono aumentate le tasse sui consumi, cosa fatta a suo tempo anche dal PSOE al governo. Ora il Partido Popular (PP) rincara la dose. Anche questo governo, come il precedente, affoga nella corruzione, ai danni di milioni di lavoratori... Qui sono due anni che è scoppiata la “bolla” immobiliare: un giro “strano”, ma non troppo, di finanziamenti delle banche alle imprese di costruzioni... C'era gente che, senza nessun titolo scolastico, magari guadagnava 4-5.000 euro al mese come capo cantiere. Ora molti lavoratori dell'edilizia sono rimasti a casa e con le case, che essi stessi costruiscono, ipotecate, in quanto comprate a debito. Da qualche anno è in atto un incrudimento degli sfratti, che ora coinvolgono centinaia di migliaia di famiglie, trascinate nella povertà insieme ai loro figli, spesso a carico. Stessa sorte tocca agli anziani non autosufficienti. Anche la Sanità ne è travolta. Chiusi in tutta la Spagna molti ospedali. In quelli rimasti, c'è carenza di personale medico ed infermieristico, nonché di medicinali. I tagli alla scuola sono dell'ordine del 23% del Bilancio destinato all'istruzione. Ci sono scuole che non hanno i soldi per pagare le bollette dell'acqua e della luce. In alcuni istituti questo inverno gli studenti hanno dovuto far lezione con addosso i giubbotti per ripararsi dal freddo! Si è arrivati così al 29 marzo, giorno dello sciopero generale, indetto dai due principali sindacati spagnoli. Il CCOO e l'UDT. Milioni di manifestanti in tutte le principali città del paese. Ed è toccato a Barcellona ricordare a tutti, compreso i promotori dello sciopero, di cosa stiamo parlando: con gli operai ed i disoccupati non si scherza!

Infatti, sin dal primo mattino, preparati dai “Piquetes Informativos”, centinaia di giovani della città, insieme a compagni solidali venuti dalla Grecia, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dall'Italia, hanno sostenuto per ore ed ore blocchi stradali e scontri di piazza con la polizia. La crisi va scaricata addosso alla borghesia con la lotta, non con le chiacchiere! Gli squilibri sociali e lo sfruttamento dilagano qui in Spagna, come da voi in Italia e dappertutto. Vedremo cosa succederà. Il governo spagnolo, come tutti i governi borghesi, dice che non “cederà alla piazza”, che “terrà duro”. E che reprimerà chi insiste nel fomentare i “disordini” (i 74 arresti del 29 marzo lo dimostrano). Ma forse è il momento in cui ancora più dura sarà la lotta rivoluzionaria. da Barcellona: Alessandro Mandini


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Teoria e princìpi

Tre fon e tre par integran del marxismo Vladimir Lenin (1913) Con la pubblicazione di questo ar colo di V.I. Lenin iniziamo una rubrica sulla teoria comunista inerente ai vari temi di orientamento. L'ar colo richiama le fondalle quali sorge il marxismo rivoluzionario. A quasi cento anni di distanza, le sinte che e stringen argomentazioni di Lenin richiamano all'iden tà dei comunis e l'a$ualità delle loro concezioni.

In tutto il mondo civile la dottrina di Marx si attira la più grande ostilità e l'odio più intenso di tutta la scienza borghese (sia ufficiale che liberale), che vede nel marxismo una specie di "setta perniciosa". E non ci si può aspettare un atteggiamento diverso, poiché una scienza sociale "imparziale" non può esistere in una società fondata sulla lotta di classe. In un modo o nell'altro, tutta la scienza ufficiale e liberale difende la schiavitù del salariato, mentre il marxismo ha dichiarato una guerra implacabile a questa schiavitù. Pretendere una scienza imparziale nella società della schiavitù del salariato è una stolta ingenuità, quale sarebbe pretendere l'imparzialità da parte degli industriali nel considerare se occorre aumentare il salario degli operai diminuendo il profitto del capitale. Ma ciò non basta. La storia della filosofia e la storia della scienza sociale dimostrano con tutta chiarezza che nel marxismo non v'è nulla che rassomigli al "settarismo" inteso come una specie di dottrina chiusa e irrigidita, sorta fuori dalla strada maestra dello sviluppo della civiltà mondiale. Al contrario, tutta la genialità di Marx sta proprio in ciò, che egli ha risolto dei problemi già posti dal pensiero d'avanguardia dell'umanità. La sua dottrina è sorta come continuazione diretta e immediata della dottrina dei più grandi rappresentanti della filosofia, dell'economia politica e del socialismo. La dottrina di Marx è onnipotente perché è giusta. Essa è completa e armonica, e dà agli uomini una concezione integrale del mondo, che non può conciliarsi con nessuna superstizione, con nessuna reazione, con nessuna difesa dell'oppressione borghese. Il marxismo è il successore legittimo di tutto ciò che l'umanità ha creato di meglio durante il secolo XIX: la filosofia tedesca, l'economia politica inglese e il socialismo francese. Ci fermeremo brevemente su queste tre fonti del marxismo, che sono nello

stesso tempo le sue tre parti integranti. I La filosofia del marxismo è il materialismo. Nel corso di tutta la storia moderna d'Europa e soprattutto alla fine del secolo XVIII in Francia, dove si combatteva una lotta decisiva contro le vestigia medioevali d'ogni sorta, contro il feudalesimo nelle istituzioni e nelle idee, il materialismo ha dimostrato di essere l'unica filosofia coerente, conforme a tutti gli insegnamenti delle scienze naturali, ostile ai pregiudizi, alla bigotteria, ecc. I nemici della democrazia perciò hanno cercato con tutte le forze di "confutare" il materialismo, di screditarlo, di calunniarlo; essi hanno difeso diverse forme dell'idealismo filosofico, che si riduce sempre, in un modo o nell'altro, alla difesa o al sostegno della religione. Marx ed Engels difesero nel modo più risoluto il materialismo filosofico, e spiegarono ripetutamente l'errore profondo di tutte le tendenze che si allontanano da questa base. Le loro idee sono esposte nel modo più chiaro e circostanziato nelle opere di Engels: Ludovico Feuerbach e Antidühring, che - al pari del Manifesto del partito comunista - sono libri indispensabili a ogni operaio cosciente. Marx non si fermò al materialismo del secolo XVIII, ma spinse avanti la filosofia. Egli la arricchì delle conquiste della filosofia classica tedesca, soprattutto del sistema di Hegel che, a sua volta, aveva condotto Feuerbach al materialismo. La principale di queste conquiste è la dialettica, cioè la dottrina dello sviluppo nella sua espressione più completa, più profonda e meno unilaterale, la dottrina della relatività delle conoscenze umane, riflesso della materia in perpetuo sviluppo. Le scoperte più recenti delle scienze naturali il radio, gli elettroni, la trasformazione degli elementi - hanno splendidamente confermato il materialismo dialettico di Marx, a dispetto delle dottrine dei filosofi borghesi e dei loro "nuovi" ritorni

al vecchio e putrido idealismo. Approfondendo e sviluppando il materialismo filosofico, Marx lo spinse fino alle ultime conseguenze e lo estese dalla conoscenza della natura alla conoscenza della società umana. Il materialismo storico di Marx fu una delle più grandi conquiste del pensiero scientifico. Al caos e all'arbitrio che regnavano fino allora nelle concezioni della storia e della politica, venne sostituita una teoria scientifica integrale e armonica, la quale mostra come da una forma di vita sociale, in seguito all'accrescimento delle forze produttive, si sviluppi un'altra forma più elevata, come, per esempio, dal feudalesimo nasca il capitalismo. Allo stesso modo che la conoscenza dell'uomo riflette la natura, che esiste indipendentemente da lui, cioè la materia in sviluppo, così la conoscenza sociale dell'uomo (ossia le diverse concezioni e le dottrine filosofiche, ecc.) riflette il regime economico della società. Le istituzioni politiche sono una sovrastruttura che si erige sulla base economica. Noi vediamo, per esempio, come le diverse forme politiche degli Stati europei contemporanei servono a rafforzare il dominio della borghesia sul proletariato. La filosofia di Marx è il materialismo filosofico integrale, il quale ha dato all'umanità, e particolarmente alla classe operaia, un potente strumento di conoscenza. II Resosi conto che il regime economico costituisce la base sulla quale si erige la sovrastruttura politica, Marx rivolse la sua attenzione soprattutto allo studio di questo regime economico. L'opera


9 principale di Marx - Il capitale - è consacrata allo studio del regime economico della società moderna, cioè capitalistica. L'economia politica classica anteriore a Marx nacque in Inghilterra, il paese capitalista più progredito. Adam Smith e David Ricardo, studiando il regime economico, gettarono le basi della teoria secondo cui il valore deriva dal lavoro. Marx continuò la loro opera, dette una rigorosa base scientifica a questa teoria e la sviluppò in modo coerente. Egli dimostrò che il valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessario, ovvero dal tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. Là dove gli economisti borghesi vedevano dei rapporti tra oggetti (scambio di una merce con un'altra), Marx scoprì dei rapporti tra uomini. Lo scambio delle merci esprime il legame tra singoli produttori per il tramite del mercato. Il denaro indica che questo legame diventa sempre più stretto, fino ad unire in un tutto indissolubile la vita economica dei produttori isolati. Il capitale indica lo sviluppo ulteriore di questo legame: la forza-lavoro dell'uomo diventa una merce. L'operaio salariato vende la sua forzalavoro al proprietario della terra, delle fabbriche, degli strumenti di produzione. L'operaio impiega una parte della giornata di lavoro a coprire le spese del mantenimento suo e della sua famiglia (il salario), e l'altra parte a lavorare gratuitamente, creando per il capitalista il plusvalore, fonte del profitto, fonte della ricchezza della classe dei capitalisti. La dottrina del plusvalore è la pietra angolare della teoria economica di Marx. Il capitale, creato dal lavoro dell'operaio, opprime l'operaio, rovinando i piccoli proprietari e creando un esercito di disoccupati. Nell'industria, la vittoria della grande produzione è evidente a prima vista; ma anche nell'agricoltura osserviamo lo stesso fenomeno: la superiorità della grande azienda agricola capitalistica aumenta, l'impiego delle macchine si estende, l'azienda contadina cade sotto le grinfie del capitale finanziario, decade e va in rovina sotto il peso della sua tecnica arretrata. Nell'agricoltura le forme della decadenza del piccolo produttore sono differenti, ma la decadenza è un fatto indiscutibile. Il capitale, prendendo il sopravvento

sulla piccola produzione, porta a un aumento della produttività del lavoro e crea una situazione di monopolio per le associazioni dei più grandi capitalisti. La produzione stessa diventa sempre più sociale: centinaia di migliaia e milioni di operai sono legati a un organismo economico sottoposto a un piano regolare, ma un pugno di capitalisti si appropria il prodotto del lavoro comune. Crescono l'anarchia della produzione, le crisi, la corsa sfrenata alla conquista dei mercati, l'incertezza dell'esistenza per la massa della popolazione. Accrescendo la dipendenza degli operai di fronte al capitale, il regime capitalistico crea la grande forza del lavoro riunito. Marx seguì l'evoluzione del capitalismo dai primi rudimenti dell'economia mercantile, dal semplice baratto fino alle sue forme superiori, fino alla grande produzione. E l'esperienza di tutti i paesi capitalistici, tanto vecchi che nuovi, dimostra con evidenza a un numero di operai di anno in anno sempre più grande la giustezza di questa dottrina di Marx. Il capitalismo ha vinto in tutto il mondo, ma questa vittoria non è che il preludio della vittoria del lavoro sul capitale.

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più evidente che la base e la forza motrice di ogni sviluppo era la lotta di classe. Nessuna vittoria della libertà politica sulla classe dei signori feudali fu ottenuta senza incontrare una resistenza disperata. Nessun paese capitalistico si organizzò su una base più o meno libera, più o meno democratica, senza una lotta a morte tra le diverse classi della società capitalistica. La genialità di Marx consiste nel fatto che da ciò egli seppe, per primo, trarre ed applicare coerentemente la conclusione che la storia universale insegna. Questa conclusione è la dottrina della lotta di classe. Fino a quando gli uomini non avranno imparato a discernere, sotto qualunque frase, dichiarazione e promessa morale, religiosa, politica e sociale, gli interessi di queste o quelle classi, essi in politica saranno sempre, come sono sempre stati, vittime ingenue degli inganni e delle illusioni. I fautori delle riforme e dei miglioramenti saranno sempre ingannati dai difensori del passato, fino a quando non avranno compreso che ogni vecchia istituzione, per barbara e corrotta che essa sembri, si regge sulle forze di queste o quelle classi dominanti. E per spezzare la resistenza di queste classi vi è un solo mezzo: trovare nella stessa società che ci circonda, educare e organizzare per la lotta forze che possono - e che per la loro situazione sociale debbano - spazzar via il vecchio ordine e crearne uno nuovo. Soltanto il materialismo filosofico di Marx ha indicato al proletariato la via di uscita dalla schiavitù spirituale nella quale hanno vegetato fino ad oggi tutte le classi oppresse. Soltanto la teoria economica di Marx ha chiarito la situazione reale del proletariato nel regime capitalistico. In tutto il mondo, dall'America al Giappone, dalla Svezia all'Africa del sud, si moltiplicano le organizzazioni indipendenti del proletariato. Conducendo la propria lotta di classe, il proletariato si istruisce e si educa, si libera dai pregiudizi della società borghese, acquista una coesione sempre maggiore, impara a misurare i suoi successi, a temprare le sue forze, e si sviluppa in modo irresistibile.

III Quando il regime feudale fu abbattuto e la "libera" società capitalistica venne alla luce, si vide subito che questa libertà significava un nuovo sistema di oppressione e di sfruttamento dei lavoratori. Diverse dottrine socialiste incominciarono ben presto a sorgere, come riflesso di questa oppressione e protesta contro di essa. Ma il socialismo primitivo era un socialismo utopistico. Esso criticava la società capitalistica, la condannava, la malediceva; sognava di distruggerla e fantasticava di un regime migliore; cercava di persuadere i ricchi dell'immoralità dello sfruttamento. Ma il socialismo utopistico non poteva indicare una effettiva via di uscita. Non sapeva né spiegare l'essenza della schiavitù del salariato sotto il capitalismo, né scoprire le leggi del suo sviluppo, né trovare la forza sociale capace di divenire la creatrice di una nuova società. Intanto le rivoluzioni tempestose che, in tutta l'Europa e principalmente in Francia, accompagnarono Articolo pubblicato nella rivista Prosvestcenie, n. 3, marzo 1913; la caduta del feudalesimo questo numero era dedicato al trentesimo anniversario della morte di e del servaggio, dimo- Marx. Estratto da Opere Scelte - Editori Riuniti 1965 - pag. 475 - 480. Preso dal sito internet http://www.marxists.org stravano in modo sempre Trascritto per Internet da Ivan, Gennaio 1999


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E' sempre più macelleria sociale

Sciopero ad oltranza fino alla caduta di Monti! L'assalto all’articolo 18, ultimo fortino di ciò che resta dei diritti dei lavoratori, dopo l’incontro del 20 marzo è oramai realtà. Governo, Confindustria, Cisl e Uil, vorrebbero cancellare la «reintegra» sul posto di lavoro tramite la sentenza del giudice per quanto riguarda i “motivi economici e disciplinari”. L’unico divieto che resterebbe in piedi è quello di licenziare a causa di «motivi discriminatori», che giuridicamente è il caso più difficile da dimostrare in aula. Ora che il governo gioca a carte scoperte, la Fornero dichiara apertamente di voler concludere la sua riforma per renderla attiva dal 2015, dove l’eliminazione di fatto dell’articolo 18 verrebbe controbilanciata da una “paccata di soldi” che neanche la stessa ministra per sua stessa ammissione sa dove trovare. Intanto, le pur misere concessioni sul fronte precarietà e sulla generalizzazione degli ammortizzatori sociali vengono in fretta rimangiate. Ora, dopo aver ottenuto un più che scontato lasciapassare dai servi scodinzolanti di Cisl e Uil, Monti e il suo governo di zerbini dei padroni e della BCE oggi affermano a chiare lettere che la legge sui licenziamenti selvaggi è compito delle Camere e non dei tavoli di trattativa con le “parti sociali”: tale condotta, oltre a mostrare i muscoli alla CGIL (pur sempre disponibile e “responsabile” quando si tratta di negoziare al ribasso lo smantellamento dei diritti), serve al governo per accelerare i tempi e consegnare al più presto il “trofeo di guerra” dell'articolo 18 a quei mercati sempre più affamati di profitti a costo zero con cui tamponare momentaneamente i colpi della crisi generale del sistema capitalistico esplosa nel 2008 e le conseguenti voragini dei debiti sovrani. Ma il dato più importante, riconosciuto dagli stessi organi di stampa padronali è che la condotta arrogante e decisionista dell'attuale governo sancisce in via definitiva la fine dell'era della concertazione: tale strumento, di cui i padroni e i loro governi si sono serviti nell'era di vacche grasse per accaparrarsi con l'assenso di Cgil-Cisl -Uil la stragrande maggioranza della ricchezza prodotta

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a scapito dei salari e delle tutele, ora viene mandato in soffitta per il semplice motivo che in epoca di crisi non c'è più nulla da distribuire e i padroni, che prima pretendevano sempre di più per poi concedere le briciole, ora esigono tutto! È necessario poi ricordare che l'articolo 18, di cui oggi si tenta la cancellazione formale e generalizzata per tutte le figure contrattuali e per ogni fattispecie di licenziamento, nella sostanza già oggi rappresenta una tutela vera e propria solo per una minoranza dei lavoratori salariati, in quanto: 1. Già all'atto dell'approvazione della legge 300/1970 (statuto dei lavoratori) dalle coperture derivanti dall'articolo 18 erano esclusi tutti i lavoratori delle aziende con 15 o meno dipendenti: un esercito non trascurabile se si considera che il sistema produttivo italiano, soprattutto a seguito delle dismissioni industriali su larga scala a cavallo degli anni '90, ha visto una crescita sempre maggiore di piccole e piccolissime aziende nelle quali sono sempre state consentite le più brutali forme di sfruttamento. Guarda caso, quando nel 2003 si è tenuto un referendum per allargare il divieto di licenziamento senza giusta causa anche a questi lavoratori, il PD (all'epoca DS) e la gran parte della Cgil invitarono insieme a Cisl, Uil e al 90% dell'arco parlamentare a disertare le urne, contribuendo in maniera decisiva ad affossare tale referendum! 2. La tanto strombazzata libertà di licenziamento per “motivi economici” che il governo tenta di far passare in nome della “responsabilità nazionale” e usando come alibi lo spettro crisi, riguarda solo i casi di licenziamento individuale, poiché già con la legge 223 del 1991 fu sancita, col beneplacito dei confederali e della sinistra di stato, la legittimità dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale o cessazione di attività: una norma, questa, di cui i padroni hanno abusato in tutte le forme negli ultimi due decenni, spesso spacciando per cessazione di attività normali “ristrutturazioni” aziendali sotto forma di cambio di

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Registrazione 713 del 1.12.2003 del Tribunale di Milano Direttore Responsabile: Monica Bacis Stampato in proprio, Milano, Piazza Nigra 1, 20 aprile 2012 E-mail: redazione@paginemarxiste.it Sito internet: www.paginemarxiste.it


11 ragione sociale o cessione di ramo, il tutto sempre in nome della corsa senza freni al profitto e allo sfruttamento. 3. Milioni di lavoratori, in pratica la maggioranza delle giovani generazioni, l'articolo 18 semplicemente non l'hanno mai conosciuto: parliamo dell'esercito di precari e sottoccupati condannati a rimanere tali all'infinito grazie alla legge 196/97, nota come Pacchetto Treu e varata dal primo governo Prodi col sostegno dell'intera sinistra parlamentare e l'appoggio entusiasta di CgilCisl-Uil. In sostanza, senza il ruolo di questi ultimi, quella precarietà (sotto forma di lavoro interinale, Co.Co.Co., ecc.) che oggi condanna a un futuro senza prospettive un intera generazione non sarebbe divenuta la forma dominante e più brutale di sfruttamento. Che poi al peggio non ci sia mai fine è dimostrato dalla successiva legge 30 del 2003 (nota come Legge-Biagi), che non ha fatto altro che peggiorare e generalizzare quelle norme che il centrosinistra aveva introdotto (vedi gli attuali Co.Co.Pro.) ... 4. Idem per il mondo delle cooperative, laddove la legge 142 del 2001 sul socio-lavoratore ha reso possibile disapplicare l'articolo 18 e gran parte dello Statuto per quei lavoratori che in maniera truffaldina vengono spacciati come soci di cooperativa pur essendo dipendenti, subordinati e spesso soggetti a forme di sfruttamento di tipo cinese, come in gran parte delle cooperative di produzione o nel vero e proprio mercato delle vacche rappresentato dalle cooperative cosiddette “sociali”. La Cgil, l'attuale PD e gli stessi partitini della “sinistra radicale” (all'epoca il Prc) non potevano certo essere contrari, in quanto essendo i principali azionisti di colossi quali Legacoop e Unipol, sono stati tra i primi, seppur non gli unici, a trarre vantaggi (e profitti) da quest'ennesimo attacco ai diritti di chi lavora, dunque non potevano certo andare contro i loro interessi di padroni o padroncini. 5. Nel pubblico impiego l'articolo 18 è stato già ampiamente scardinato dal governo Berlusconi con la riforma Brunetta, la quale ha sancito la possibilità di licenziare senza giusta causa i dipendenti che si rifiutano di accettare i trasferimenti. In questo caso il primo affondo è venuto da destra, ma non ricordiamo particolari levate di scudi da parte dei confederali o delle cosiddette “sinistre”. 6. Da recentissime indagini condotte da ministero del Lavoro, Inps, Inail ed Empals, è emerso che il 61% delle aziende controllate è risultata “irregolare” e il 38% dei suoi lavoratori completamente in nero. Dunque, quale articolo 18 può mai rivendicare un salariato che per lo stato italiano semplicemente non esiste? 7. Dunque, a lottare per la sopravvivenza dell'articolo 18 restano in sostanza gli operai delle fabbriche mediograndi e pochi altri comparti produttivi e dei servizi: un esercito di non poco peso, e che storicamente si è sempre dimostrato il cuore e la punta di diamante dell'intera classe lavoratrice, capace anche da solo di far saltare

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i piani del padronato. Peccato, però che quella Cgil che oggi dice di voler chiamare gli operai allo sciopero generale contro i piani del governo, sia la stessa che, dopo aver isolato la classe operaia dividendola al suo interno e con il resto dei lavoratori con le “riforme” di cui sopra, in questi ultimi mesi ha prima dato il suo assenso al Piano Marchionne in Fiat che reintroduce in fabbrica forme di sfruttamento e di repressione inaudite, arrivando a delegittimare persino la “sua” Fiom, poi ha firmato entusiasta i famigerati accordi del 28 giugno scorso coi quali si apre la strada allo smantellamento del contratto collettivo nazionale e si sancisce il modello-Marchionne come riferimento per l'intero mondo del lavoro. Se tutto ciò è vero, è evidente che di fronte a quest'ennesima rapina è in ballo l'ultimo baluardo di un tessuto di tutele e di conquiste che è già stato ampiamente scardinato da 15 anni a questa parte, ed è altrettanto evidente come per difendere dai licenziamenti indiscriminati quei lavoratori che ancora ne sono immuni non può bastare una semplice lotta difensiva, la quale, nel contesto di frantumazione della classe come quello attuale, sarebbe destinato inevitabilmente alla sconfitta. Si tratta dunque di rialzare la testa, e di farlo in fretta, scegliendo l'unica strada che ai padroni fa davvero paura: lo sciopero e la lotta ad oltranza, che parta dalla difesa sacrosanta dell'articolo 18 e non si limiti ad essa, ma punti ad allargare il fronte e a ricomporre i mille pezzi del puzzle dello sfruttamento salariato che 20 anni di controriforme ci hanno consegnato. Dunque in primo luogo l'allargamento delle tutele previste dallo statuto a tutti i lavoratori; l'abolizione di tutte le forme di lavoro precario e sottopagato; la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro con la reintroduzione per legge della scala mobile; ma soprattutto la lotta per il salario garantito, nella duplice accezione di salario minimo orario per ogni prestazione lavorativa e reddito garantito per tutti i disoccupati sia in forma monetaria che in termini di accesso alla casa e ai beni comuni. La condizione del movimento di classe nel nostro paese impone necessariamente la definizione di riposte capaci realmente di costruire l’opposizione sociale e politica alle manovre di questo governo che, a livello sindacale e nelle situazioni lavorative, necessariamente riparte dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro tramite la formazione di comitati auto - convocati di lavoratori, trasversali alle sigle sindacali, che a partire dai singoli luoghi di lavoro diano vita a casse comuni di resistenza contro i licenziamenti e i soprusi dei padroni, e che lavorino a uno sciopero unitario e nazionale contro i piani del governo italiano ed europeo, e nella prospettiva di uno sciopero unitario europeo. A cura del Laboratorio Politico Iskra iskrassociazione@gmail.com


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SUL FRONTE MARE A LA SPEZIA

La lotta dei lavoratori portuali della cooperativa Dock Service. All'interno del porto di La Spezia dal 2008 alcuni lavoratori della cooperativa di servizi, la Dock Service, hanno sviluppato una lotta auto organizzata per il riconoscimento di alcuni diritti e per il miglioramento delle condizioni di lavoro. La Dock Service nasce nel 2002, fondata da ex soci Duveco, nonché rappresentanti sindacali della Cisl. Questa cooperativa presta servizi di manodopera per conto e su commissione di LSCT (La Spezia Container Terminal), del gruppo Contship/ Euro Gate. Occupa, tra soci e dipendenti, circa 200 lavoratori. La sua attività consiste nel gestire qualsiasi operazione manuale legata al carico/scarico dei container a bordo di navi ed in banchina. Ma, c'è un ma...: non viene applicato il Contratto Nazionale di Lavoro. Il regime di flessibilità imposto è superiore a quello previsto, senza pagamento delle maggiorazioni. Per non parlare della flessibilità richiesta nei giorni festivi e le comunicazioni repentine dei cambi turno fatte al personale. Non ci sono indennità per il lavoro disagiato, né per il lavoro prestato oltre il 6° giorno consecutivo. La sicurezza e la salute, qui più che in molte altre parti, sono un optional... Un lavoratore portuale, una ventina d'anni fa, guadagnava di più di questi lavoratori, nonostante le merci movimentate fossero almeno dieci volte inferiori... In breve tempo, il sindacato “fondatore” della cooperativa, coadiuvato dagli altri due compari di merende, è diventato controparte, padrone a tutti gli effetti. Un padrone assoluto, dispotico, arrivando al punto di non convocare neppure le assemblee dei “soci”, per non rischiare contestazioni. Così i lavoratori si sono messi in prima persona a coalizzarsi ed hanno iniziato a lottare, elaborando una Piattaforma Rivendicativa in merito ai punti prima esposti. E lo hanno dovuto fare per forza di cose FUORI dai sindacati ufficiali. Questa Piattaforma è stata fatta girare tra i lavoratori, con l'appoggio palese della nostra “Rete contro la Precarietà”, della quale fanno parte alcuni degli stessi lavoratori della cooperativa. La successiva raccolta di firme dei diretti interessati per sostenere le rivendicazioni mette la cooperativa con le spalle al muro, costringendola non solo a convocare in fretta e furia l'assemblea, ma in seguito a fare pure delle concessioni su alcune delle richieste. Scatta allora, a seguito di tutto ciò, un'operazione di “recupero” dei lavoratori in lotta, condita da un mix di blandizie e di velate minacce, manifestatisi tra l'altro nell'espulsione di lavoratori con contratto a termine. Quello che “spiazza” l'impostazione di questa lotta diretta è il ritorno dentro i binari di buona parte degli “auto organizzati” (una settantina), che prendono la tessera Cisl con l'intento di cambiare i delegati e mettere in contraddizione questa burocrazia. Cosa plausibile, a quel punto, dal momento che noi stessi ci eravamo costruite troppe aspettative rispetto agli sbocchi della lotta, non avendo tra l'altro da parte nostra elaborato un progetto d'intervento a largo raggio...

Da rilevare anche un altro dato: l'inadeguatezza, a dir poco, del sindacalismo di base qui presente, nella figura della CUB, che dopo qualche timido approccio lascia praticamente il campo ai confederali. Questa esperienza, che non riteniamo conclusa, ci porta a fare delle considerazioni sui limiti, e però anche sugli spunti positivi, dell'iniziativa di auto organizzazione fatta dalla “Rete contro la Precarietà”. Limiti. Non siamo riusciti a produrre una iniziativa pubblica che coinvolgesse Comitati solidali e singoli. Non siamo riusciti a trasmettere appieno le nostre idee ai lavoratori. Positività. Abbiamo fatto esperienza di una ripresa di un lavoro politico dentro una realtà lavorativa molto simile alla “classica” realtà di fabbrica, riscontrando nella pratica che, se si può pensare ad un superamento della “centralità” operaia, questo non investe la centralità del mondo del lavoro, in tutti i suoi aspetti. Abbiamo provato a ri-articolare un discorso complessivo di classe. Abbiamo riflettuto e riflettiamo sul limite intrinseco del sindacato come strumento adeguato di lotta, anche di quella minima, dal momento che esso non esce dai limiti istituzionali. Dalla nostra lotta si può dedurre un aspetto sicuramente legato alla difficoltà di unire le persone ed alla perdita di identità di classe. Il problema di sempre è che se la classe non riesce a riconoscersi e ad esprimersi con POLITICHE QUOTIDIANE E MATERIALI, rimane in balia dei valori della classe dominante. L'aspetto importante è che spesso si tende a confondere lo strumento con il fine. Nel nostro caso ad esempio i lavoratori della Dock Service, che sono entrati nella Cisl, hanno visto il sindacato come fine...ritornando nella disillusione. Gli strumenti che il capitale esprime come forma statuale (Ispettorato del Lavoro, Asl, giudice del lavoro ...) sono rappresentazioni del capitale stesso che evidentemente non possono esprimere la soluzione dei problemi. Storicamente la classe operaia ha sempre risolto i problemi attraverso le pratiche di lotta, le cui rivendicazioni, quando diventavano pratiche troppo allargate, sono state necessariamente e cautamente riconosciute dallo Stato. Ma quello che conta per davvero sono i rapporti di forza che i lavoratori riescono a costruire. Data una condizione di debolezza, oppure in certi momenti particolari, può essere utile far risaltare delle contraddizioni, ed allora tatticamente è comprensibile il ricorso ad azioni legali, esposti o quant'altro, ma deve essere chiaro che sono mezzi temporanei, espressione arretrata anche in un'ottica sindacale. Chi si confronta con la vita reale sa bene che non ci sono vittorie scritte sulla carta, ma solo battaglie quotidiane da affrontare. AUTONOMIA SPEZZINA autonomiaspezzina@bruttocarattere.org


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Genova: spunti per una inchiesta in divenire Questa è la prima parte di una serie di contributi sull'area metropolitana e portuale genovese scritti da un compagno del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova. Questo primo intervento cerca di fare una sintetica fotografia di alcuni significativi cambiamenti intervenuti nel tessuto produttivo e urbano e le loro conseguenze sulla composizione di classe. Questa inchiesta in divenire vuole essere uno strumento di conoscenza e riflessione per il progetto della rivista e per i suoi lettori. Genova è stata interessata nei decenni precedenti da un processo di de-industrializzazione, senza che emergessero contemporaneamente altri settori di sviluppo trainanti. Il porto nelle sue varie componenti (turistico, commerciale, petrolifero e industriale), rimane centrale per l'economia della città e di tutto il Nord-Ovest italiano. Il porto di Genova e in proporzione gli altri porti liguri - quello di La Spezia in particolare - sono infatti passaggi obbligati per le merci provenienti dal e dirette al sistema manifatturiero dell'Italia centrosettentrionale, cerniera tra i traffici da e per il Mediterraneo del Sud - e l'Africa in generale - ponte con l'Asia, in particolare la Cina. Se si escludono i settori collegati al complesso militare-industriale e della sicurezza con Elsag e Selex che sono ora un'unica azienda e la Eriksson (exMarconi), il settore bio-medicale con l'Esaote, l'elettronica con Ansaldo Sistemi Integrati e l'energia con L'Ansaldo Energia, non ci sono poli di sviluppo che abbiano sostituito e dato slancio allo sviluppo economico della città. L'ultima occasione per fortuna ora persa, ma in realtà solo rimandata, è legata allo sviluppo del nucleare, su cui una configurazione di interessi, che vanno dalla ricerca scientifica alla costruzione e alla gestione di una centrale, vedevano molti attori genovesi coinvolti, dall'università a molte aziende del settore. Il rilievo dato al "dibattito" sul nucleare nel corso di una delle più importanti vetrine per la città che è il Festival della Scienza ne è un esempio. L'ILVA presente su una ampia porzione di territorio delle ex acciaierie di Cornigliano, sebbene mantenga impiegata una porzione importante di classe lavoratrice, ha tuttora una parte consistente dei lavoratori in Cassa Integrazione. Il declino industriale della città, tranne i settori nicchia indicati, ha portato ad un ridimensionamento demografico significativo, da circa un milione di abitanti nel suo picco all'inizio degli anni Settanta ad un terzo in meno attualmente. Ma l'identità operaia e la vocazione industriale, in parte l'orgoglio per i cicli di lotte precedenti, rimangono vivi e diffusi, senso comune che ha permesso

una identificazione di interessi anche in altri soggetti nelle recenti mobilitazioni contro la chiusura del cantiere di Sestri Ponente (tassisti che espongono l'adesivo “Fincantieri non deve chiudere”, commercianti che manifestano con gli operai, operai in pensione che si uniscono alla lotta, ecc.), o lo sciopero con manifestazione contro le recenti modifiche al mercato del lavoro; iniziative che sono state le prime in Italia e forse le più impattanti anche se limitate nel tempo: un giorno, e prevalentemente in un comparto, quello metalmeccanico. Quello che un tempo si sarebbe chiamato il rapporto fabbrica-territorio resta una chiave di lettura importante per lo sviluppo della lotta di classe in un settore che, se anche ridimensionato numericamente, inquadrato sindacalmente nella FIOM, e almeno in parte diretto politicamente in alcuni dei suoi quadri sindacali più attivi da Lotta Comunista (che ha preso il posto vacante di un PCI scomparso), esprime potenzialità che vanno oltre la sua attuale rappresentazione politico-sindacale. Conclusosi il ciclo di sviluppo del secondo dopoguerra sono rimaste le pesanti eredità di una progressiva sottrazione del mare ai genovesi, di cui l'ultimo esempio è l'ampliamento del porto con la costruzione del VTE a Voltri nell'estremo ponente genovese, la difficile riqualificazione postindustriale del territorio, del quale l'esempio più eclatante è l'area delle ex-acciaierie a Cornigliano così come dell'intero quartiere, o il difficile equilibrio tra bisogno occupazionale e tutela ambientale. Come il caso della centrale a carbone dell'Enel, presente in porto accanto alla Lanterna, dietro il secondo quartiere più popoloso di Genova, Sampierdarena. L'alta densità demografica di alcuni quartieri, combinata con il taglio dei già scarsi servizi, sta portando a situazioni sempre più emergenziali, in particolare rispetto a mobilità, assistenza sanitaria e manutenzione complessiva... Come in altre città una porzione di territorio che era destinata all'industria è stata utilizzata dai nascenti templi del consumo (Fiumara e Campi). Me-


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no dall'edilizia residenziale, vista la già abbondante cementificazione delle colline, con una relativamente nuova concentrazione di lavoratori nel settore commerciale, impiegata prevalentemente nei colossi del settore (Ikea, Leroy Merlin, Decathlon, Mediaworld, ecc.). Attualmente la crisi della cantieristica, con la paventata “chiusura” del cantiere di Fincantieri di Sestri Ponente e la crisi del settore della “riparazioni navali” (Mariotti e San Giorgio) approfondiscono queste dinamiche di de-industrializzazione, con le relative ricadute nell'indotto, oltreché nel tessuto commerciale e nel mercato immobiliare, determinando un impoverimento crescente in una porzione rilevante della classe lavoratrice e del territorio in cui abita. Le Grandi Opere previste sul territorio genovese, Gronda di Ponente e “Terzo Valico”, oltre ad un devastante impatto ambientale in un contesto già urbanizzato e già provato dal ciclo industrializzazionedeindustrializzazione, sebbene sostenute insieme al blocco sociale dominante anche dal sindacalismo confederale, compresa la FIOM, non porteranno alcun beneficio in termini occupazionali, ma alla "cantierizzazione" di vaste porzioni di territorio con le relative immaginabili conseguenze. Mentre gli altri progetti di “cementificazione”, sotto la copertura della messa in sicurezza come in Val Bisagno, agiscono su un territorio destinato a fare ancora i conti con catastrofi provocate dall'urbanizzazione del territorio senza che venissero approntate le minime misure di sicurezza, e gravano su una popolazione che ogni anno si fa carico di ripristinare la vita quotidiana dei quartieri più colpiti dalle alluvioni: lo scorso anno è toccato a Marassi, l'anno prima a Sestri. Questo mix di assenze di prospettive occupazionali per le nuove generazioni, lo spettro di una ulteriore cementificazione in un contesto in cui i nodi dello "sviluppo" precedente vengono sempre più al pettine, la posizione di "transito" delle merci con le loro pochissime ricadute "positive" per la popolazione, possono mettere in moto processi simili a ciò che è successo a pochi giorni dall'ultima alluvione, quando porzioni organizzate di lavoratori ed attivisti di vario stampo, insieme a giovani e giovanissimi, si sono organizzati per ripristinare la vita quotidiana di un quartiere popolare invaso dal fango, marginalizzando l'intervento della protezione civile e dei vigili del fuoco, maturando una maggiore coscienza di cosa significa legare i propri destini agli amministratori dell'esistente. I tradizionali quartieri operai sono divenuti i naturali luoghi di insediamento dei flussi migratori con una importante componente latino-americana, in particolare ecuadoriani e secondariamente peruviani. Edilizia, giardinaggio, facchinaggio, logistica sono

stati i settori in cui si è progressivamente inserita la componente maschile della forza lavoro, mentre le varie forme di assistenza alla persona, in una popolazione in via di invecchiamento, è stato il settore di inserimento della componente femminile. I figli e le figlie di questa porzione di classe costituiscono circa la metà della popolazione scolastica nei quartieri popolari. Nelle mobilitazioni studentesche, quando è visibile la presenza degli istituti tecnicoprofessionali, la loro presenza è stata significativa. Da segnalare una importante comunità senegalese, prevalentemente presente in alcune zone del centro storico, e dedita all'attività di vendita ambulante, costantemente vessata dalla polizia municipale in strada e nelle proprie abitazioni. Il tentativo di costruire un luogo di culto adeguato per la comunità mussulmana, le mobilitazioni contro l'operazione Piombo Fuso a Gaza e la repressione della Freedom Flottiglia hanno fatto emergere pubblicamente questa porzione popolare, che ha di fatto organizzato e diretto queste iniziative in solidarietà con il popolo palestinese. Da ricordare che qualche anno fa l'introduzione del "pacchetto sicurezza" dell'ex ministro degli Interni Maroni ha portato settimanalmente in piazza numerosi immigrati e italiani in cortei spontanei che percorrevano tutto il centro storico ritmati dalle percussioni della murga nei vicoli. La Lega Nord, come le formazioni di estrema destra, hanno un seguito molto ridotto e sono riuscite a costruirsi un ambito d'intervento popolare solo sporadicamente: in occasione della ipotesi della costruzione della moschea prima a Cornigliano poi a Lagaccio, e della tematica della "sicurezza" a Sampierdarena. Altre iniziative, oltre a incontrare l'indifferenza, quando non l'ostilità di una parte della popolazione, hanno sempre visto una presenza abbastanza consistente di "anti-razzisti" pronti a minarne l'efficacia o a impedirne nei fatti lo svolgimento, questo specialmente nel centro storico. Certamente in alcune occasioni la montante ondata di razzismo non è stata adeguatamente affrontata... La stratificazione della composizione di classe a Genova ha linee piuttosto nette, con i settori industriali e portuali (tranne l'indotto e una parte importante degli autisti) con una forza lavoro autoctona, che nella sua componente giovanile è figlia di lavoratori prevalentemente immigrati stanziatisi a Genova. Non c' è stato un ricambio, come in molte altre città del Nord, con lavoratori di recente immigrazione, né una consistente immissione di mano d'opera femminile in mansioni operaie. G.M.


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SERIE ROSSA

QUADERNI di pagine

marxiste

Storia della Sinistra Comunista e della dissidenza in Italia

I

II

III

Quaderno II rosso ULTIME COPIE DISPONIBILI

MIRELLA MINGARDO 1919—1923 Comunisti a Milano

Cronache rivoluzionarie a Portoferraio 1944—1949

Cronache rivoluzionarie in provincia di Varese 1945—1948

I comunisti internazionalisti e la lotta Il Partito Comunista internazionalista, gli anarchici e i dissidenti libertari nel periodo degli operai elbani contro la chiusura degli altiforni della ricostruzione postbellica 72 pagine SECONDA RISTAMPA 136 pagine

SERIE BLU

La Sinistra comunista milanese di Bruno Fortichiari e Luigi Repossi dalla formazione del PCdI all’ascesa del fascismo 292 pagine

Opposizioni Rivoluzionarie e comunisti eretici in campo internazionale

I

II

GUIDO CACCIA L’altroComunismo nella Rivoluzione russa Opposizioni Rivoluzionarie nella Russia Sovietica 19171921 SECONDA RISTAMPA 132 pagine

III

PIERRE LANNERET (CAMILLE) Gli internazionalisti del «terzo campo» in Francia durante la Seconda guerra mondiale 90 pagine

IV

DINO ERBA Ottobre 1917—Wall Street 1929 La Sinistra comunista italiana tra bolscevismo e radicalismo: la tendenza di Michele Pappalardi

Dagli IWW ai Comunisti dei Consigli (1905-1923)

200 pagine SECONDA RISTAMPA 124 pagine

SERIE VERDE

SERIE BIANCA

GRAZIANO GIUSTI La rivoluzione dal basso

Lotte operaie e ribellioni

Saggi

I

I figli dei serrati Una storia di affido proletario e di solidarietà di classe da Piombino a Gallarate (1911) SECONDA RISTAMPA 56 pagine

- DEMETRIO VALLEJO Le lotte ferroviarie che commossero il Messico Origini, fatti e verità storiche 72 pagine

Quaderno I bianco ULTIME COPIE DISPONIBILI GILLES DAUVÉ [JEAN BARROT] Le Roman de nos origines

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Alle origini della critica radicale

a cura di FABRIZIO BERNARDI, DINO ERBA, ANTONIO PAGLIARONE 304 pagine

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Da Pioltello a Piacenza a Verona…

Si estendono le lotte operaie nella logistica La lotta degli operai (immigrati) delle cooperative della logistica continua ad estendersi, scontrandosi con una crescente reazione dei maggiori gruppi. A Piacenza, dopo la TNT, dove gli operai dopo una lotta dura hanno ottenuto condizioni di lavoro più civili e il rispetto del contratto, sono entrati in lotta nel mese di marzo gli operai della GLS, anch’essi organizzati nel SI Cobas (67 su un’ottantina). La GLS (General Logistics Systems) è una delle multinazionali della logistica, di proprietà delle poste britanniche, Royal Mail, controllata dal governo britannico. Ma il capitale, statale o privato che sia, è sempre capitale nel suo dna e ricorre a tutti i mezzi per ottenere il massimo profitto attraverso il massimo sfruttamento della forza lavoro. Alla GLS di Cerro al Lambro più di due anni fa questi mezzi sono stati i manganelli dei poliziotti e carabinieri italiani, che hanno piantonato per settimane giorno e notte in pieno inverno il magazzino GLS per reprimere i picchetti e impedire il blocco dei camion. Lo Stato italiano al servizio del capitale britannico… (anche questa è solidarietà “di classe”…). A Piacenza, oltre alle forze dell’ordine, GLS ha risposto allo sciopero compatto con la serrata: ha semplicemente chiuso il magazzino e lasciato a casa i lavoratori, trasferendo l’attività a Cerro. Ha inoltre disdetto il contratto con la cooperativa cui aveva affidato la gestione a Piacenza. Il chiaro obiettivo era prendere i lavoratori per fame. A questo punto gli operai non sono rimasti con le mani in mano. Non solo hanno effettuato un lungo e combattivo corteo per le strade di Piacenza, ma hanno contrattaccato. Questo il comunicato del SI Cobas del 28 marzo:

Blocco alla GLS di Cerro: la batta- Solo alle 00.30, quando la carica era or- La lotta prosegue!!! Sindacato Intercategoriale Cobas mai pronta in tutti i dettagli per liberare i glia non conosce soste I lavoratori della GLS di Piacenza che hanno subito la serrata dopo gli scioperi di inizio marzo mantengono la parola e continuano a dar battaglia su tutta la linea. Mantenendo il presidio permanente davanti ai cancelli del sito piacentino, si sono dati una linea per incalzare le istituzioni locali (con presidi, denunce, manifestazioni cittadine) e, allo stesso tempo, hanno preso di mira il sito di Cerro al Lambro (scenario di duri scioperi due anni fa, conclusi con la momentanea sconfitta degli operai) dove l'azienda ha trasferito l'intera produzione di Piacenza, raddoppiando i turni di lavoro ed estendendolo forzatamente anche alla domenica. La settimana scorsa il sito di Cerro era stato oggetto di un presidio di massa con volantinaggio. Questa notte, sostenuti dagli operai della Tnt e dell'Esselunga, sono tornati alla carica bloccando completamente i cancelli a partire dalle 22. Un intero turno è saltato mentre si andava accumulando una lunghissima fila di camion. Lo staff dirigente della multinazionale inglese si affannava allora a produre telefonate di allarme e di richiesta di intervento della forza pubblica la quale, ovviamente, non ha fatto mancare il proprio appoggio al capitale anche se ha dovuto faticare assai (circa due ore) prima di avere un numero di uomini in antisommossa sufficienti a sgominare il presidio di un'ottantina di operai del SI.Cobas.

cancelli, con una rapida assemblea gli operai hanno deciso di abbandonare i cancelli con un breve e improvvisato corteo: le forze erano decisamente dispari, la disponibilità ad usare i manganelli contro operai a mani nude pareva decisamente alta e, soprattutto, intelligenza vuole che si abbia la giusta coscienza che questo tipo di battaglia non si vince (almeno per ora) sul terreno dello scontro militare con i servi del capitale ma, piuttosto, con un'adeguata e determinata strategia politico-sindacale che punta a "far male all'avversario" e soprattutto al costante allargamento della forza in campo e dei suoi obiettivi economici e politici. La GLS è avvisata: se riteneva due anni fa di essersi liberata del "problema sindacato" col licenziamento da parte della "Papavero" degli attivisti del Cobas, aveva sbagliato i suoi calcoli. E ancor di più sbaglia oggi se pensa che gli operai di Piacenza siano disposti ad aspettare il loro rientro o peggio a barattarlo per un piatto di lenticchie (e nemmeno per tutti). Il raggio d'azione della lotta si allarga e il sito di Cerro … non é l'unico in Italia oltre a quello di Piacenza I compagni solidali col movimento di lotta nelle cooperative sono pregati di prendere in considerazione la proposta, come già è avvenuto per i punti vendita Esselunga di mezza Italia. Forniremo adeguate informazioni, e se possibile strumenti di lavoro, al riguardo

----------Grazie anche alla determinazione e capacità di movimento dimostrata con questa azione, a metà aprile GLS ha riaperto i cancelli di Piacenza, ma continua a rifiutare di trattare con il sindacato di base, mentre è disponibile a concedere ai sindacati confederali gran parte di ciò che è stato chiesto dal SI Cobas: la battaglia è soprattutto politica, per l’indipendenza dell’organizzazione sindacale. I metodi dispotici, mafiosi e illegali di gestione della forza lavoro tramite le cooperative si sono da tempo generalizzati in tutta Italia e occorre unire le forze dei lavoratori. A Padova il 30 marzo operai della MTN (logistica) di Verona, che manifestavano davanti alla sede della cooperativa Borgato che aveva risposto al loro sciopero spostando la produzione a Padova, venivano aggrediti da scherani della stessa cooperativa. L’episodio ha accelerato il collegamento tra i lavoratori: il 14 aprile a Verona si è tenuta una manifestazione degli operai di diverse cooperative contro l’aggressione, e la settimana successiva si è tenuto un incontro tra l’ADL Cobas, che organizza gli operai a Verona, e il SI Cobas, per coordinare le lotte.


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