disoccuazione e movimento dei disoccupati

Page 1

DISOCCUPAZIONE E MOVIMENTO DEI DISOCCUPATI NEGLI USA  P.Mattick 1936 Uno sguardo generale sull'intero movimento politico organizzato dei disoccupati in America fino all'insediamento dell'amministrazione Roosevelt — che modificò interamente per lungo tempo il quadro complessivo — mostra che anche qui si manifestava la debolezza generale del movimento operaio americano. Ad onta dell'enorme dimensione della disoccupazione, questi movimenti dei disoccupati non sono riusciti a diventare organizzazioni di massa effettive o ad attivare per un periodo abbastanza lungo la massa dei disoccupati, oppure a trasformare le loro manifestazioni di malcontento spesso spontanee in azioni politiche nel senso del movimento operaio. Con l'avvento governo Roosevelt al punto più basso della depressione, che nello stesso tempo avviö la ripresa economica, e grazie all'abile politica sociale del nuovo governo, il tentativo di placare le masse dei disoccupati riuscì a tal punto che esse non solo non seguirono il movimento dei disoccupati organizzati, ma lo condannarono pressoché al fallimento negli anni successivi. Le masse affidano le loro speranze all'amministrazione Roosevelt, e solamente dopo una serie di delusioni, nel 1936, fu nuovamente possibile riorganizzare una parte abbastanza considerevole di disoccupati Quel che finora era esistito, era soltanto un'ossatura di organizzazione. Alcune indagini sociologiche avevano rivelato che l'impoverimento crescente delle masse va di pari passo con un affievolimento anziché un'esaltazione delle loro tendenze rivoluzionarie. Queste indagini tuttavia si limitavano a periodi di tempo relativamente brevi, principalmente agli ultimi anni di crisi, sicché se ne può ricavare soltanto che l'impoverimento non induce in prima istanza tendenze rivoluzionarie. L'enorme disoccupazione e la miseria degli anni della depressione in America, comunque non hanno comportato sensibili mutamenti ideologici sostanziali tra i disoccupati. Certo, l'ottimismo e la soddisfazione scemarono, ma l'ideologia socialista non si diffuse nella misura che si attendeva dalla dimensione dell'indigenza dei disoccupati. L'attività del movimento operaio politico, in periodi di relativa stabilità, è diretta principalmente alla trasformazione ideologica. Ma persino in tempi di crisi in paesi capitalistici forti, al movimento operaio non resta molto più che la pressione ideologica, dal momento che l'attività riformistico-pratica è in gran parte impedita. L'appartenenza a tali organizzazioni e l'attività che vi si svolge non danno perciò risultati immediati, ma anzi si risolvono in uno spreco straordinario di denaro, di tempo e di energie che generalmente possono permettersi soltanto gli operai ai quali le cose ancora vanno relativamente bene. I disoccupati invece non hanno nulla da sacrificare, né tempo né denaro; essi non possono interessarsi ad alcuna politica di lunga prospettiva, giacché la loro condizione momentanea li spinge ad ottenere un cambiamento subito. Ciò che meglio corrisponde alle loro necessità dirette, quindi, non è l'allargamento ma il restringimento dell'orizzonte politico. L'attività di organizzazione sarebbe più un ostacolo che un sostegno nella stessa lotta per la vita che essi debbono condurre 

Da P. Mattick Arbeitslosigkeit und Arbeitslosenbewegung in den USA. 1929-7935 (Disoccupazione e movimento dei disoccupati negli USA.), a cura di F. Hermanin e C. Pozzoli, Verlag Neue Kritik, Frankfurt (1969) pp. 108-15. Saggio scritto nel 1936 per la « Zeitschrift für Soziaiforschrschung » di Horkheimer e non pubblicato.


individualmente, e che diventa sempre più dura e sfiancante e porta via sempre più tempo quanto più la miseria si allarga e il singolo vi sprofonda. Qualunque sia la dose di ideologia socialista che possono aver assorbito secondo le circostanze, la loro esistenza attuale li costringe spesso ad agire in maniera apertamente contrastante con questa ideologia stessa, sicché questa praticamente perde sempre più valore. Gli effetti dell'impoverimento sulla classe operaia, così come si esprimono nella psicologia dei disoccupati, mostrano una grande mancanza d'interessi politici da parte di questi strati sociali. Separati dal lavoro che li abbrutisce, essi sono tuttavia ancor meno di prima in grado di sviluppare una coscienza socialista. Se restano disoccupati soltanto per brevi periodi e hanno delle riserve che li mettono al riparo da un rapido crollo, là per là essi non cambiano. Adottano alcune limitazioni e cercano con maggior energia di trovare un nuovo lavoro. L'intensità dei loro tentativi di restare a galla, li esclude in misura più o meno elevata dall'attività politica. A questa situazione segue — e la cosa riguarda la stragrande massa dei disoccupati — il passaggio alla rassegnazione, e ben presto alla perdita totale di qualsiasi energia. Se resistono ancora un po' e continuano ad animare il movimento politico, scivolano ben presto in una condizione nella quale non cercano altro che di tirare a campare in un modo qualsiasi. Da questa larga massa si stacca poi una frazione più piccola di disperati totali, i quali o sprofondano nel Lumpenproletariat o prima o poi scompaiono. Con la stessa rapidità con cui la società si libera di questi elementi, anzi ancor più rapidamente, i loro vuoti vengono riempiti dalla grande riserva dei rassegnati, che a sua volta riceve nuovi apporti dalla sfera di coloro che non si erano piegati. L'accumulazione della ricchezza, diceva Marx, è al tempo stesso accumulazione della miseria, del supplizio del lavoro, di schiavitù. di ignoranza, di abbrutimento e di degradazione morale. Nelle condizioni di lavoro dominanti il lavoro è lavoro coercitivo, quale che possa essere la « libertà » dell'operaio. Persino al di fuori del processo lavorativo, l'operaio non appartiene a se stesso giacché non fa che restaurare la propria forza-lavoro per il giorno seguente. Egli vive nella libertà solamente per restare in condizione di esercitare lavoro coercitivo. L'operaio non ha relazioni: volontarie col suo lavoro, egli è soltanto una cosa, un'appendice del processo di produzione, è disumanizzato. Il disoccupato pure non è più esposto a questa condizione di coercizione, rimane tuttavia il prodotto di questa condizione stessa. Nemmeno questa possibilità di esistenza disumanizzata gli si offre; sottrarsi alla miseria per lui è possibile ormai solamente percorrendo la via del Lumpenproletariat. Solo in casi eccezionali questa «via» percorsa «volontariamente» da gente la cui fame di vita è maggiore di quanto sia considerato dal benessere della società. Per uno strato crescente di disoccupati essa diventa una costrizione Dal momento che ai disoccupati non si possono offrire condizioni di vita degne di un uomo, giacché altrimenti la costrizione al lavoro perde rigore e lo sfruttamento degli operai non potrà essere accresciuto nella misura necessaria, al disoccupato sussidiato che non può accontentarsi della sua miseria non resta altro da fare che procurarsi con mezzi criminali l'accrescimento delle sue limitate fruizioni. Una percentuale più o meno grande di disoccupati fatta di immigrati locali, di residenti ancora instabili ecc., sono esclusi dai benefici di quel sussidio. In una situazione di massima disoccupazione, questa fascia di disoccupati, se si limita alle più modeste esigenze, non ce la fa a resistere allo slittamento verso il Lumpenproletariat. Chi oltretutto è uscito da parecchio dal processo lavorativo, è ormai privo non della capacità ma anche della possibilità di affrontare di nuovo un lavoro. A chi è stato disoccupato per un paio di anni riesce indicibilmente difficile non solo psicologicamente e fisicamente reinserirsi nella vita aziendale, ma gli è reso impossibile per il solo fatto del rapidissimo avanzamento della razionalizzazione tecnica, della quale non riesce più a soddisfare le


accresciute esigenze. È questa la ragione per cui quasi generalmente gli imprenditori rinunciano ad assumere operai che hanno alle spalle un lungo periodo di disoccupazione. Ad un certo grado di impoverimento, dunque, non c'è più ritorno nella quotidianità media. Certo, i momenti biologici e psicologici hanno un loro ruolo nelle azioni consapevoli e inconsapevoli degli uomini, ma tali momenti sono influenzati, modificati e molteplicemente condizionati nei loro effetti dal processo determinato della vita sociale. Gli impulsi che muovono gli individui soggiacciono sia alle situazioni socioeconomiche sia a quelle della classe cui essi appartengono. « È chiaro che in una società che conferisce la più alta misura di riconoscimento e di ammirazione a chi è ricco e a chi possiede, i bisogni narcisistici dei membri di tale società devono condurre ad una straordinaria intensificazione del desiderio di possedere» 1 . Quando questo desiderio di possesso non può essere soddisfatto per vie «normali», esso cercherà di realizzarsi per vie criminali. Così l'aumento dei delitti che accompagna lo sviluppo capitalistico, e che in maggioranza sono delitti contro la proprietà, può essere dedotto, se non sempre direttamente, certo indirettamente dalle situazioni socio-economiche e dai mutamenti di queste situazioni. Senza dubbio, l'aumento della criminalità in tempi di crisi dev'essere quindi in relazione anche alla crescente disoccupazione, così come in questo aumento dei delitti va inclusa anche una fase del movimento dei disoccupati. Nel corso del 1934 il rapporto dello United States Department of Justice rilevò 343.582 casi di criminalità. La maggior parte dei delitti era stata commessa da giovani dell'età di 19 anni. Quasi il 75 per cento della popolazione carceraria americana proviene da famiglie divorziate e — come dimostrano le indagini sull'influenza dell'ambiente sociale sulla criminalità — dagli « slums » delle metropoli. C'è una precisa corrispondenza tra la povertà dei negri, che è estrema, la loro disoccupazione che raggiunge cifre altissime, e il loro contributo alla criminalità, che è elevatissimo. Che la maggior parte dei delitti sia commessa da individui d'intelligenza normale, è un'ulteriore conferma di come la situazione socioeconomica contribuisca a determinare in misura notevole la criminalità. Mentre aumentano i fattori che rendono sempre più impossibile agi individui l'inserimento nella prassi sociale, per affrontare l'aumento della criminalità si ricorre all'aumento delle sanzioni penali, il quale, avendo come risultato un'ulteriore brutalizzazione dei criminali, diventa esso stesso un mezzo che contribuisce all'aumento dei delitti. Le statistiche mostrano che quasi la metà dei detenuti sono persone che avevano già subito condanne. La barbarie dell'attuale sistema esecutivo della pena corrisponde certamente all'aumento della miseria generale, ma ciò non basta tuttavia a giustificarlo come mezzo effettivo di scoraggiamento, giacché per un numero crescente di individui non è meno barbarica la vita in libertà. Questa situazione implica un'ulteriore brutalizzazione del sistema carcerario e ad un ritmo più accelerato rispetto a quello col quale si moltiplica il Lumpenproletariat ma senza che ciò possa impedire tale moltiplicazione. L'impoverimento e il Lumpenproletariat non sono un risultato della crisi; alla depressione e specialmente alla disoccupazione debbono essere ricondotti soltanto il loro rapido aumento. Se l'impoverimento delle masse fosse omogeneo e colpisse unitaiamente la maggioranza, i risultati sarebbero diversi da quelli che si sono riscontrati finora in America; in tal caso infatti il numero di esistenze che rientrano nel Lumpenproletariat sarebbe talmente alto da escludere contemporaneamente comportamenti propri del Lumpenproletariat. L'esistenza parassitaria individuale, o 1

Cfr. E. Fromm, Über Methode und Aufgabe einer analytischen Sozialpsychologie (Sui metodi e i compiti di una psicologia sociale analitica), in «Zeitschrift für Sozialforschung», nn. 1-2 [Nota. di Mattick].


l'espropriazione individuale, sarebbero escluse in quanto una maggioranza non potrebbe mai vivere parassitariamente o rubare senza demoralizzare totalmente la società e renderla impossibile. Il Lumpenproletariat può esistere soltanto come minoranza e, partire da questa situazione, alla minoranza impoverita non resta che l'esistenza da Lumpenproletariat. Questo si è dovuto formare perché il processo di pauperizzazione si è attuato anzitutto parallelamente allo sviluppo della società, e perché anche quando, questo sviluppo è concluso i poveri sono ancora per molto tempo condannati ad essere una minoranza. Poiché la società decade troppo lentamente, una parte degli strati popolari inferiori, senza avere intimamente la possibilità di adattarvisi senza attriti, è esposta ad un processo di impoverimento di dimensioni tali che se si vuol difendere, può difendersi soltanto con mezzi propri del Lumpenproletariat, avviandosi quindi necessariamente alla sconfitta. Queste prime « vittime » di un lento processo di rivolgimento sociale che non colpisce subito decisivamente il singolo individuo, possono diventare solamente una forza negativa. Esse non hanno soluzioni effettive; per loro non restano che quelle individuali, necessariamente antisociali. Ciò che qui emerge in maniera nettissima in relazione al Lumpenproletariat vale anche in misura minore per l'ampia massa dei disoccupati. Essi non possono assumere comportamenti rivoluzionari finché rappresentano una minoranza in una società ancora relativamente stabile. Persino un esercito gigantesco di disoccupati non è in grado di costringere la società a tener conto dei loro interessi se la maggioranza è ancora in grado di vivere in maniera sufficiente sulla base delle condizioni sociali esistenti. Anche se nell'ambito di queste condizioni mancano le riforme che possono corrispondere alle rivendicazioni dei disoccupati, tuttavia non si può chiedere altro che la riforma, e poiché la riforma stessa oggettivamente non è più possibile, ai disoccupati non restano altre possibilità al di fuori dei tentativi individuali di difendere la propria pelle. I disoccupati sono costretti ad isolarsi, la loro ideologia « capitalistica » deve rafforzarsi nella stessa misura in cui essi si impoveriscono entro tali condizioni. Accanto ai tentativi parzialmente organizzati di migliorare la propria condizione, essi sono sempre sul punto di cercare di aiutarsi individualmente senza badare agli altri momenti. I numerosi colpi che tuttavia la realtà infligge alla loro «autocoscienza» artificiosamente forzata, generano ben presto una disperazione interiore che essi tentano di superare ricorrendo a strumenti illusori. Ed ecco che si mettono nuovamente a disposizione di un movimento politico ma non come partecipanti, bensì come cieca massa di seguaci. Ora paradossalmente essi sono nel movimento perché tutto è loro indifferente, non perché sono convinti che il movimento possa realizzare le loro speranze. L'entusiasmo spesso riscontrabile per organizzazioni e individui singoli non è, in questi disoccupati, il risultato di una visione scaturita dalla loro miseria, ma, come la religione, è essa stessa un'espressione della loro miseria. I vari movimenti utopistici e di captazione politica che fanno capo a ciarlatani alla Huey Long2, padre Coughlin3, Townsend4, Upton 2

Huey Pierce Long, Jr. (1893 – 1935) fu governatore della Luisiana dal 1928 al 1932 e Senatore fino al 1935 . Era un democratico ma sosteneva politiche populiste di tipo radicale. In occasione delle elezioni del 1932 fu un ardentissimo sostenitore di Roosvelt e propose rigide politiche di redistribuzione della ricchezza attraverso la tassazione delle corporation e dei privati per tamponare la crescente povertà derivata dalla Depressione. Fu fautore della nascita del sistema pensionistico e dei lavori pubblici sostenuti dallo stato. Venne assassinato nel 1935 in pieno attivismo per la rielezione di Roosvelt. 3 Padre Charles Edward Coughlin (1891–1979) era un prete cattolico del Michigan piuttosto controverso che negli anni 30 faceva delle trasmissioni radio seguite da milioni di americani attraverso le quali sosteneva il New Deal di Roosvelt.ma in seguiti divenne un feroce nemico del presidente e nel 1934 annunciò la nascita della Nation's Union of Social Justice un movimento che richiedeva la riforma monetaria, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle industrie ed il sostegno ai diritti dei lavoratori. In seguito attaccò i


Sinclair5 ecc., in tempi di disoccupazione trovano un terreno fertile tra i diseredati proprio in ragione della loro rinuncia a qualsiasi politica realistica. Le frazioni meno impoverite si accostano alle promesse apparentemente realistiche dei partiti elettorali, ma per essere da questi piuttosto fanatizzate che non ad educate a capire la loro condizione reale. Radicalmente diverso è invece il quadro quando la miseria da disoccupazione è accompagnata da un rapido aumento di miseria generalizzata. In quel caso i disoccupati all'interno di una società inadeguata possono diventare una forza rivoluzionaria in grado di agire ben al di là di se stessa, e dalle cui azioni può dipendere la strategia di tutte le altre attività rivoluzionarie. Con l'avvento del governo Roosevelt, come si è detto, il quadro complessivo del movimento dei disoccupati mutò. L'atteggiamento liberale della nuova amministrazione nell'interesse del mantenimento della pace economica, particolarmente importante nel momento decisivo della crisi che già accennava all'avvicinarsi di una nuova congiuntura, portò il movimento autonomo dei disoccupati alla quasi totale stagnazione. Al posto del movimento spontaneo e delle relative rivendicazioni di miglioramento: diretto e immediato delle condizioni dei disoccupati, subentrò la speranza paziente nei provvedimenti della nuova amministrazione, dalla quale ci si ripromettevano in tempi rapidissimi mutamenti sostanziali nella situazione dei disoccupati stessi. Per quanto riguarda il movimento dei disoccupati organizzati, la sua attività si ridusse ad esercitare una pressione sul nuovo governo per accelerare e ampliare la legislazione sociale che era stata promessa. Si può dire anzi che il movimento riformistico si accodò quasi senza alcuna limitazione al programma della nuova amministrazione relativo al problema della disoccupazione. Le richieste di regolamentazione giuridica della questione dei disoccupati presero quindi il primo posto nella attività globale delle organizzazioni dei disoccupati, e gli stessi sindacati che si erano sempre opposti a qualsiasi regolamentazione giuridica della questione disoccupati, ora erano costretti ad affiancarsi a questo movimento. Tutto sommato i movimenti generali del salario sono regolati esclusivamente dall'espansione e dalla contrazione dell'esercito industriale di riserva, le quali corrispondono all'alternarsi dei periodi ciclo industriale... L'esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull'esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione e del parossismo le rivendicazioni. La sovrappopolazione relativa è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e dell'offerta del lavoro. Essa costringe il campo d'azione di questa legge entro i limiti assolutamente convenienti alla brama di sfruttamento e alla smania di dominio del capitale6. Per questa ragione anche dal punto di vista dei sindacati «non c'è nel campo economico problema più serio di quello della disoccupazione. La classe operaia organizzata deve tener conto strategicamente della particolare importanza di questo momento. L'insicurezza nell'occupazione affossa i salari»7. Per questo motivo la politica della disoccupazione ha avuto la funzione di distogliere i disoccupati dei mestieri

banchieri ebrei e divenne un feroce antisemita simpatizzando per le politiche di Hitler e Mussolini. Il Vaticano e l’amministrazione Roosvelt fecero chiudere le sue trasmissioni radiofoniche ed il suo giornale Social Justice. 4 Francis Everett Townsend (1867– 1960) era un fisico americano famoso per aver sostenuto il sistema pensionistico durante la Grande Depressione. Il Townsend Plan venne inserito da Roosvelt nel New Deal e divenne attivo nel 1935. 5 Vedi nota 68. 6 Cfr. K. Marx, Il Capitale... Libro primo... cit., pp. 784, 787. 7 Cfr. W. Hamilton e St. May, The Control of Wages, New York 1923, p. 154 [nota di Mattick]


controllati dai sindacati dal premere sul salario, di mantenere la posizione di monopolio sull’offerta di lavoro anche in periodi di crisi. Fin quando la disoccupazione stava in parallelo con il ciclo delle crisi, si riuscÏ in gran parte a neutralizzare la legge della domanda e dell'offerta in parecchi settori di lavoro, anche se in tal modo i costi della disoccupazione dovettero essere in parte sopportati dai sindacati stessi. La maggior parte dei sistemi di sostegno sindacale tuttavia naufragarono, come abbiamo già detto altrove, sullo scoglio della durata dell'attuale depressione e della disoccupazione di massa. Le casse e i membri che lavoravano non riuscirono piÚ a far fronte alle richieste di sussidio. I sistemi di sostegno diventarono qualcosa di molto simile ad uffici di consulenza per i disoccupati la cui unica preoccupazione era quella di salvaguardare i membri disoccupati del sindacato nell'assegnazione dei sussidi statali. I sindacati videro notevolmente minacciato il loro controllo dell'offerta di lavoro; ora essi erano costretti ad adoperare altri mezzi per distogliere i disoccupati dal far concorrenza agli occupati; a quel punto la loro conversione all'accettazione di un'assicurazione statale contro la disoccupazione fu inevitabile.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.