Scritto e curato da Francesca Beni Foto in copertina e a pagina 40, 62, 140, 148, 150 di Luca Giuliani Foto a pagina 158, 160, 161, 163 di Gigi Corsetti Foto a pagina 176 di Beppe Bedolis Progetto grafico: L'Azzurro
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1981-2011 COOPERATIVA CITTÀ ALTA: UN SOGNO DIVENUTO REALTÀ Storie che raccontano la sua storia
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“Noi siamo come nani sulle spalle di giganti� (Bernardo di Chartres)
In ricordo di Bonasio Santo, Burini Antonio, Campanini Ermes, Cavati Giacomo, Colleoni Giacomo, Cozzi Mario, Lucchetti Domenico, Mandelli Sandro, Previtali Ida, Quarti Tommaso, Taramelli Italo, Vitali Amerigo e di tutti coloro che hanno costruito questo sogno insieme a noi.
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Indice Le Radici 15
8 maggio 1981
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Un vicepresidente pragmatico
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Fra i Soci Fondatori
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L’insegna e il monastero
I Presidenti
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Dalla Banchina al Circulì
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Il mio dovere è ascoltare i soci
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Bisogna condividere l’essenziale
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Coraggio e generosità
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Il Ristorante 83
All’inizio eran solo calicini
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Una scelta di vita
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Amarcord
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Una cucina internazionale
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Un architetto del no profit
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Sono cresciuto qui
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Volere è potere
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La Bellezza è lo splendore del Vero
Il Giardino 139
Fra le pieghe della vita
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Letture Amene sotto il Berceau
Fuori dalle Mura
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Al centro di tutto la famiglia
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Metti un pomeriggio d’estate
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Bergamaschi in fiera
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Dentro le Mura 191
Cooperativa e solidarietĂ
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Mettiamoci in gioco
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Spazio Non Solo Compiti
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Circolando
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Per un commercio equo e solidale
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Una comunitĂ da amare
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Mai indietreggiare
Il potere dei sogni 249
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Il potere dei sogni
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Le Radici
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Atto costitutivo
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8 Maggio 1981 Povertà e dignità. Nell’amarcord dei residenti più longevi di Città Alta passano davanti queste due parole. La povertà che i ragazzi di oggi neppure immaginano, fatta di case fatiscenti e sovraffollate, di stenti quotidiani, di pantaloni rattoppati, di corse al forno dei Panattoni sulla Corsa-
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rola per avere un po’ di farina di castagne. La dignità di affrontare queste fragilità con forza e determinazione, senza pretese ma con la complice intimità che la vita di un borgo può offrire. Essere comunità nella fatica e nella sofferenza rende più saldi i legami. Città Alta aveva un’identità popolare, dove tutti si conoscevano, dove i ragazzi potevano perdersi in infinite partite a calcio sul selciato, dove gli adulti si raccontavano davanti a un calicino o a una partita a bocce, dove ci si riconosceva per il soprannome in vernacolo bergamasco,
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Maiamosche, Poia, Sciabulù, Gandola, Pipelé, e non per il cognome della famiglia. Poi uno strappo in questo tessuto sociale. L’esodo di molti residenti, impossibilitati nel ristrutturare le proprie abitazioni secondo le nuove normative, la trasformazione edilizia del borgo verso una veste più turistica e commerciale, l’avvento dell’Università, la chiusura di alcune botteghe artigiane. E poi la scelta di non consentire più agli anziani di sostare nei bar troppo a lungo. Consumare e an16
dare. Andare dove? Sulle panchine solitarie in Colle Aperto? Sotto i bastioni della Civica Mai? Esuli nella propria terra. Bisognava intervenire. Troppi strappi, troppe lacerazioni stavano portando al collasso il quartiere che poco alla volta perdeva la sua identità comunitaria. Un piccolo barlume era rimasto. La determinazione di un gruppo di persone, di indoli, generazioni e colori politici diversi, poteva essere la linfa vitale per rinvigorire il cuore oramai avvizzito di Città Alta. Si son lasciati a casa le differenze di bandiere e di campanili che all’epoca eran molto influenti, per pensare al bene della collettività. La propria collettività.
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Una delle prime tesserine
Il primo problema da affrontare era la mancanza di placidamente le tante ore della giornata che la pensione ti regala. Occorreva trovare il luogo e riuscire a gestirlo. Insieme, collaborando. Ecco l’idea di fondare una cooperativa.
8 Maggio 1981
uno spazio per gli anziani affinché potessero trascorrere
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Un insieme di persone, i soci, coinvolte direttamente nella costituzione e nell’organizzazione della stessa. Perseguire gli stessi obiettivi, giurando sugli stessi principi. Aiutare gli altri senza scopi di lucro. Lavorare per fare comunità. Quando si matura un senso di appartenenza, si lotta e ci si impegna affinché tutto funzioni al meglio.
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Hanno firmato in quindici davanti al notaio Colombo in Passaggio Torre di Adalberto. Ma rappresentavano sicuramente più persone. Tutti coloro che amavano Città Alta e volevano riprendersela per tornare a riviverla. Era l’otto maggio del 1981. Si costituiva una società cooperativa a responsabilità limitata con la denominazione di Cooperativa Città Alta, avente sede in via Bartolomeo Colleoni n. 15, fra gli intervenuti. Santo Bonasio, pensionato. Ermes Campanini, pensionato. Fiorenza Baggi, stu18
dente. Paola Pesenti, insegnante. Elsa Arrigoni, impiegata. Giuseppe Carrara, artigiano. Aldo Ghilardi, impiegato. Andrea Mandelli, restauratore. Giacomo Cavati, impiegato. Italo Taramelli, pensionato. Antonio Burini, sarto. Amerigo Vitali, commerciante. Andrea Lacava, artigiano. Ornella Romagialli, casalinga. Domenico Ambrosini, impiegato. Nasceva così il primo centro ricreativo di quartiere con particolare riguardo alle persone pensionate e anziane, operante secondo il principio della mutualità senza fini di lucro. Una realtà che con il tempo è cresciuta, grazie alla tenace volontà dei Soci e del gruppo dirigente ma che non avrebbe mai avuto una maturazione così rigogliosa se non ci fossero state radici così forti e salde.
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Un Vicepresidente pragmatico Chi è nato in Città Alta o vi è residente da prima della metà degli anni Ottanta non può non ricordare la figura di un uomo dalla corporatura robusta, dall’aspetto austero e ordinato, dai movimenti pacati, intento ad affiggere ogni mattina sulla piccola bacheca in legno all’angolo fra la Cor-
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sarola e Piazza Vecchia il giornale de L’Unità. Era Ermes Campanini. “Si programmavano le vacanze estive in funzione della distribuzione de L’Unità che mio padre effettuava la domenica. Durante gli altri giorni tale quotidiano veniva appeso alla bacheca all’angolo di Piazza Vecchia” ricorda con una velatura agli occhi Elisabetta, la secondogenita di Ermes Campanini. “La partenza avveniva rigorosamente di lunedì. E rigorosamente si alloggiava a giugno e a settembre sempre
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Da L'Eco di Begamo, 1981
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nella stessa pensione della stessa località di mare, Riccione. Mio padre era un uomo abitudinario e rigoroso. E questo lo faceva una persona forte e combattiva. Una persona che ha sempre creduto nelle proprie idee, lottando strenuamente per esse. Oltre all’onestà e all’integrità morale, credo che mio padre avesse anche il pregio della trasparenza. Era un uomo cristallino. A molti questo può sembrare un lato vulnerabile del carattere. Per mio padre è stato invece fonte di riconoscenza, affetto e amicizia da parte di coloro che lo hanno conosciuto bene”. Classe 1920, Ermes Campanini arriva da Suzzara per San Giacomo, dove costruisce la sua famiglia con la bella moglie slovena. “Mio padre ha sempre avuto tre grandi amori. Il Partito Comunista, la Cooperativa Città Alta e la famiglia. Il problema è che l’ordine con cui ho elencato i suoi tre diletti è esattamente la scala d’importanza che lui stesso dava. Senza drammatizzare ma è così. Non certo perché
Un Vicepresidente pragmatico
fare il saldatore. Trova un appartamento in Città Alta, in via
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non amasse la famiglia ma semplicemente perché era una persona energica, attiva, dirompente. Aveva sempre tante
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idee da realizzare, tante cose da fare e credeva nella collaborazione. La Cooperativa Città Alta è stata una sua creatura. Si è impegnato fin da subito per la sua costituzione e realizzazione. Mio padre era un uomo concreto e spiccio. Veniva subito al sodo. Quante riunioni presso la Circoscrizione, quante porte di autorità locali a cui bussare, quanti carteggi sulla testata de L’Eco di Bergamo con il Sindaco di allora Zaccarelli. Tutto per la tutela della neonata coope22
rativa. Troppe lungaggini burocratiche stavano congelando il sogno di aprire un punto di ritrovo per gli anziani del quartiere. Ma la tenacia e la volontà di persone come lui hanno avuto la meglio. L’avventura ha così potuto iniziare concretamente nell’ottobre del 1982. Un secondo matrimonio per mio padre. E una seconda casa. Ricordo che la cooperativa era aperta dalle 8 del mattino fino alle 24. Mio padre svolgeva parecchi turni dal pomeriggio fino a tarda sera. Aveva il libretto sanitario per l’idoneità a servire ai tavoli. Si rifiutava di preparare caffè decaffeinati perché, secondo lui, contenevano ammoniaca. Portava i pasti agli anziani, ascoltava chi ne avesse bisogno,
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si sedeva a giocare a carte infervorandosi sui tavoli verdi del giardino, partecipava ai tornei di bocce. Viveva la Cooperativa. Nei primi tre anni è stato anche vicepresidente. Un vicepresidente poco amministrativo ma molto pratico e determinato. E, come dicevano in molti, uno dei pochi galantuomini rimasti. Poi nel dicembre del 1993 abbiamo dovuto lasciare l’appartamento di via San Giacomo per trasferirci nella parte bassa della città. So bene quanto questo abbia segnato mio padre. Lasciare il borgo, le strade anguste di selciato, i volti familiari, il Circolino, significava lasciare una mai con più di settant’anni di vita sulle spalle, è riuscito a non demordere e a non abbattersi anche in quel frangente. La sera del trasloco, mentre io e mia madre armeggiavamo a fatica con scatole e scatoloni, lui partiva con la sua 127 color ocra per salire al borgo, per andare fra gli amici in Cooperativa. E così ha continuato a fare per cinque anni. Tutti i pomeriggi, con la canicola o con la tormenta, con le
Un Vicepresidente pragmatico
parte di sé. Ho ammirato la dignità di quell’uomo che, or-
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fatiche dell’età e con gli acciacchi del tempo. Con l’auto o con il bus. Era sempre là.
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Negli ultimi tempi della sua vita era diventato solo avventore. Ricordo però le grandi feste che gli facevano al suo ingresso. Era felice nel vedere quanto la Cooperativa Città Alta fosse cresciuta. Quanto si fosse aperta ai giovani e ai cambiamenti sociali di un quartiere in trasformazione, senza dimenticare le proprie radici. Mio padre è morto in una fredda giornata di gennaio del 2001. In cuor mio, sono convinta però che sia morto molto prima. Il giorno del trasloco. Da allora la sua forza e 24
la sua energia hanno iniziato a spegnersi. Lentamente. Mi ha insegnato molto. E credo abbia lasciato fra i tavoli del Circolino tanto della sua umanità ai compagni di gioco, ai giovani clienti, agli abitanti del quartiere. Tutti amano ancora ricordarlo davanti alla piccola bacheca di legno vicino alla Civica Mai. Ed è sempre un piacere per me essere riconosciuta dagli abitanti del borgo come la figlia di Ermes Campanini”.
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Fra i Soci Fondatori In una Città Alta che stava perdendo il contatto con il proprio tessuto urbano, un gruppo di genitori residenti decise di cooperare, agire insieme, per mettere a disposizione della cittadinanza uno strumento che rispondesse ad alcune delle esigenze primarie delle famiglie autoctone. Era il
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1974. Nasceva la cooperativa libraria Il Quartiere. Lungo la centrale via Gombito, quasi all’angolo con la piccola chiesa di san Pancrazio, le sue vetrine colorate attirano ancora oggi l’attenzione dei passanti. L’apparenza può ingannare però. Non è una banale cartoleria ma una cooperativa nata con l’impegno di aiutare i ragazzi del territorio nella fruizione di materiale scolastico e di libri di testo. “La cooperazione è fondamentale per alimentare e portare avanti certe idee” parla con convinzione e con cognizione di causa Paola Pesenti, una delle fautrici della
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In primo piano la Sig.ra Paola Pesenti durante i festeggiamenti per i dieci anni al Circolino.
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cooperativa libraria. Insegnante di Lettere nella scuola media inferiore ora in pensione, un volto familiare per Città Alta, ha sempre vissuto il quartiere come un luogo dove masticare la propria quotidianità e non come un dormitorio d’appoggio. “Le famiglie avevano bisogno di punti di riferimento. A quei tempi Città Alta stava perdendo l’identità di borgo storico e popolare dove condividere l’intimità di ogni giorno con gli altri abitanti. C’erano anche difficoltà oggettive legate ad uno stato di abbandono in cui versava il quartiere. Volevamo che per i giovani studenti e per i loro genitori la e soprattutto ai libri. La diffusione di testi narrativi o divulgativi doveva servire a mantenere attivo il rapporto fra i residenti passando attraverso l’istruzione e l’educazione alla lettura dei ragazzi. I libri sono per tutti. E poi l’idea che
Fra i Soci Fondatori
fosse facile accedere al materiale di cancelleria per la scuo-
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la cooperativa fosse frutto di una collaborazione sentita e vissuta con spirito di servizio dava un valore aggiunto alla sua costituzione. Il mio legame con la Cooperativa Città Alta? Semplice. L’esperienza ben riuscita della cooperativa libraria ave-
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va portato le persone che facevano parte della Commissione del Comitato di Quartiere a ragionare sull’idea di costituire una piccola cooperativa anche per risolvere il problema dello sfratto dai bar degli anziani di Città Alta. Così, insieme alla signora Rita Rossi - anch’essa socia fondatrice della cooperativa Il Quartiere - mi impegnai a dare il mio contributo per la creazione di una nuova cooperativa nel borgo storico. Eravamo interessate entrambe alla volontà da parte di molti di lavorare per far rinascere Città 28
Alta. Qualcosa si stava muovendo. E questo era un punto di partenza importante per gettare le fondamenta di un futuro che avesse un’anima. Gli anziani prima e gli studenti poi erano realtà da valorizzare e non da ghettizzare. E persone come Santo Bonario, Ermes Campanini, Antonio Burini o Giuseppe Carrara - per citarne alcuni - l’avevano capito. Avevano l’idonea sensibilità per affrontare il problema concretizzando una giusta soluzione. Un percorso in salita, certamente, ma con la forza della cooperazione. Il potere dei soci stava nella loro unione, nel lottare insieme per le stesse idee, sorreggendosi e sostenendosi a vicenda. Mai lavorare per se stessi ma per il bene di tutti.
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A distanza di molti anni, con la memoria che a volte mi inganna e con i cambiamenti fisiologici che la società subisce, mi domando se quest’idea romantica di cooperazione esista ancora. Se lo spirito che ci ha guidato in un lontano giorno di maggio alla Torre di Adalberto batta ancora in alcuni cuori. Poi mi basta entrare al Circolino, parlare con Aldo Ghilardi o con qualche altro membro della cooperativa stessa e i dubbi si dipanano”.
Seguendo il tortuoso itinerario dei Torni, che conduun dolce declivio, che corre dai tigli del castello di San Vigilio fino ai bastioni della chiesa di San Rocco. Siamo nel territorio di Fontana, ultimo baluardo della vicinia del centro storico medievale di Bergamo.
Fra i Soci Fondatori
ce fuori dal perimetro di Città Alta, ci si può imbattere in
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Boschi rigogliosi si alternano a campi coltivati mentre grappoli di case colorate cingono le strisce grigie delle poche strade. Capita di imbattersi in qualche volto lavorato dal sole e dalla fatica e impegnato a raccogliere i frutti che generosamente la terra offre. Capita di incontrare un uomo
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Il Sig. Domenico Ambrosini e il Sig. Giuseppe Carrara durante una riunione in sala consiliare
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piccolo ma tenace, dall’aria semplice, dall’aspetto composto, chino tra i tralci ancora da lavorare. Ti accoglie con la fronte ancora imperlata di sudore e l’energia della gioventù, Domenico Ambrosini, classe 1930, nato e cresciuto in questi luoghi, Maestro del Lavoro, Presidente della Terza Circoscrizione dal 1978 al 1985, Socio Fondatore della Cooperativa Città Alta e membro del Consiglio di Amministrazione della stessa dal 1983. “Ricordo bene quanto sia stato difficile per la comunità di Città Alta il decennio a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. C’era una forte criticità con situazioni fragili aveva più una sua peculiare identità. Né zona residenziale né zona turistica. In quel periodo i locali pubblici del quartiere decisero di vietare ai residenti di sostarvi per giocare a carte e imposero l’obbligo delle consumazioni. Contem-
Fra i Soci Fondatori
anche dal punto di vista dell’ordine pubblico. Il borgo non
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poraneamente chiudeva il circolo del Partito Comunista in via San Pancrazio, ultimo angolo di ritrovo per gli abitanti di Città Alta. Bisognava intervenire per evitare il collasso di un tessuto sociale che si stava assottigliando. Ai tempi ero il Presidente della Terza Circoscrizione.
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Venni in contatto con il neonato Comitato di Quartiere che si interessava ai problemi della zona soprattutto riguardanti le persone anziane. Chiedevano aiuto per salvaguardare il loro territorio che a poco a poco la speculazione edilizia si stava rosicchiando. Occorreva trovare un luogo ove i residenti potessero nuovamente ritrovarsi, potessero rimpossessarsi della loro Città Alta. Rispettando gli iter della burocrazia, presentammo le serie problematiche all’Amministrazione Comunale. La 32
nostra richiesta fu accolta e ci vennero concessi gli spazi in vicolo Sant’Agata, dove fino al 1974 c’erano le carceri. Ci fu data la porzione relativa all’abitazione del direttore della vecchia casa circondariale. Il Comune di Bergamo fece le dovute ristrutturazioni in quanto la fatiscenza dei luoghi li rendeva pericolosi. Nel 1981 si decise di costituire una cooperativa per gestire e organizzare meglio le attività all’interno degli spazi. Una cooperativa anomala né bianca né rossa perché fondata dall’incontro di diverse culture e persone che scelsero di abbandonare le loro parti politiche, lavorative e personali per l’obiettivo della sopravvivenza di Città Alta. Mai
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obiettivo fu più azzeccato. La Cooperativa Città Alta negli anni è riuscita a rendere nuovamente vivibile e fruibile il centro storico, impedendone la paventata trasformazione a vetrina di correnti modaiole. La nascita del Centro di Aggregazione per Anziani, la Polisportiva Bergamo Alta, la riapertura dell’Oratorio di Borgo Canale, il servizio di doposcuola, le adozioni a distanza, i pasti a domicilio, il sostegno alle diverse associazioni del quartiere. Tutto questo e ben altro è la Cooperativa Città Alta. Certo, gli inizi furono faticosi soprattutto per le risormenti per l’allestimento del locale, in qualità di Presidente della Circoscrizione. Quanti istituti bancari ci chiusero le porte in faccia. Lasciammo inizialmente la gestione del locale ad un
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se economiche necessarie. Riuscii ad ottenere dei finanzia-
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privato. Poi nel 1989 la scelta coraggiosa di prendersi carico della gestione diretta di quello che ormai tutti chiamavano il Circolino. Decisione impegnativa ma giusta per poter far crescere la Cooperativa Città Alta e renderla un vero catalizzatore sociale che potesse occuparsi dei disagi della
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I primi dieci anni
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comunità, che potesse proporre attività di natura ricreativa e culturale, che potesse ridare spessore al tessuto del nostro quartiere. Per questo, anche dopo il pensionamento, non ho mai rinunciato ad essere parte attiva della Cooperativa, come socio e come membro del Consiglio di Amministrazione, tastando con mano quanto bene essa abbia profuso. Anche qui, in territorio di Fontana, ultima propaggine di Città Alta. Con i dolci regalati per la festa di Santa Lucia, con le deliziose frittelle durante il Carnevale, con alcuni spettacoli di intrattenimento per i ragazzi. Anche tradizione, ha voluto aiutare una piccola realtà territoriale sempre più in declino, ha voluto semplicemente conservare il senso di famiglia e di comunità”.
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qui la Cooperativa Città Alta ha voluto mantenere in vita la
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L'insegna della Cooperativa CittĂ Alta all'angolo con Vicolo Sant'Agata
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L’insegna e il monastero Camminando lungo l’antico decumano romano oggi ricalcato dalla frequentata via Colleoni, non si può non restare affascinati dalle facciate dei palazzi e dalle strutture ad arco che un tempo ospitavano le diverse arti del borgo medievale. L’arenaria e il selciato accompagnano i
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turisti lungo tutto il budello della Corsarola fino all’ampia apertura che lascia respiro al grande abbraccio con Piazza Vecchia. Alzando gli occhi, oltre a finestre delicatamente adorne di fiori o a piccoli archi soffocati nella pietra, si può notare un’insegna in ferro dorato sporgere lungo la via. È l’insegna della Cooperativa Città Alta. La nostra insegna, fortemente voluta dai soci e dal Consiglio di Amministrazione. Campeggia sull’angolo con il vicolo Sant’Agata dal 1991, a volte turbata dal vento, a volte valorizzata dai raggi
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del sole. Il disegno e l’elaborazione grafica sono da imputare a Andrea Mandelli, uno dei Soci Fondatori della cooperativa stessa. L’arte sapiente del ferro l’ha poi forgiata nella fucina del fabbro Scuri in Piazza Mercato del Fieno. L’ovale mostra due scritte, una con il nome della nostra cooperativa, l’altra con la funzione primaria che essa ha voluto portare nel quartiere, il ristoro. Già. Né bar né ristorante né centro anziani ma ristoro. Dove fermare la convulsione di una quotidianità fatta di impegni e lavoro, 38
dove ritrovare l’ancestrale atmosfera dei giochi di un tempo, dove ascoltare solo il suono di un ambiente sereno e familiare. Magari assecondando la gola con una bevanda fresca o con un tagliere di salumi e formaggi. Tali scritte e la lamiera in ferro traforata si alternano nei colori della ruggine e dell’oro. Nel novembre del 2007 la stessa insegna ha avuto il suo restyling con una doratura in oro zecchino in foglia 960/1000 in tutte le sue parti. Il cartiglio ripropone la chiesa di Sant’Agata vista di lato, con l’abside e il campanile. È la nostra sede. In realtà il complesso di Sant’Agata si sviluppa lungo una zona planimetrica ben più ampia degli spazi occupa-
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ti dal Circolino ed è distribuita in tre corpi di fabbrica di ampiezze assai diverse e in un corpo in muratura mista di pietre e mattoni. Il locale Il Circolino risiede nella parte rivolta a mezzogiorno e ricalca il piano di calpestio dell’antica chiesa di Sant’Agata, la cui origine si perde agli inizi dell’Alto Medioevo. Una parrocchia inizialmente di poche anime, presieduta dapprima dall’ordine religioso dei frati Militi Gaudenti, incaricati di garantire la pace fra le fazioni cittadine, e dall’ordine dei Teatini Chierici Regolari poi. Una confraternita, quest’ultima, dedita alla sequela di San Gaetano da mitiva dopo gli stralci lasciati dai travagliati periodi della storia della Chiesa fra Riforma e Controriforma. I Teatini rimasero in Sant’Agata per quasi duecento anni e l’arricchirono di opere pittoriche, tuttora silenti fra le mura del monastero. A valle della chiesa stessa iniziarono i lavori per
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Thiene in un ritorno alla regola della vita apostolica pri-
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l’edificazione di un complesso conventuale. Persino San Carlo Borromeo vi si recò in visita pastorale. Alla fine del Settecento però gli echi della Rivoluzione francese e soprattutto l’avvento dell’età napoleonica se-
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Particolare del corpo sud del complesso di Sant'Agata
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gnarono il destino di Sant’Agata. Nel 1798 i Padri Teatini dovettero abbandonare il monastero e la struttura venne trasformata in carcere, seguendo il meticoloso progetto dell’architetto Pollak. Così gli spazi un tempo adibiti alla preghiera e alle attività monastiche vennero trasformati in dormitori e in celle penitenziarie. Sicuramente concepite con il raziocinio e la consapevolezza che l’età dei Lumi aveva diffuso nei salotti e nella cultura di quegli anni. Per cui si cercò di rendere queste nuove prigioni più sane e più razionali di quelle già esistenti e collocate in Piazza Vecchia. La storia poi ci riconduce al 1974, quando venne reamasco, nel rispetto delle moderne e migliori normative di natura edilizia. I locali del vecchio monastero tacquero per circa sette anni, lasciati all’incuria dell’oblio e del tempo, popolati solo da qualche bestiola in cerca di riparo, protetti dal verde manto di un’edera selvatica. Questo silenzio irre-
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lizzata una nuova casa circondariale nell’interland berga-
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ale veniva a volte turbato solo dal colpo secco di qualche boccia degli avventori del Dopo Lavoro, sviluppato nell’area esterna adiacente. Poi i rumori divennero più frequenti, più assordan-
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ti, accompagnati dal vernacolo degli operai. Le sale si rianimarono, cambiarono faccia, abbandonarono le vecchie funzioni. Era il 1982. Lavori realizzati dall’Amministrazione Comunale dell’epoca per rivalutare gli spazi in base alle nuove esigenze del quartiere. Alcune sale per la Circoscrizione di Città Alta e Colli, un ufficio per i vigili urbani, un centro socio-sanitario con ambulatorio medico e assistenza sociale. E sul calpestio dell’antica chiesa dedicata alla martire di Catania, la sede della Cooperativa Città Alta, con una 42
sala televisione, due biliardi, il bar e il telefono pubblico. Sant’Agata tornava a vivere. Solo una porzione però. Gli altri locali, quelli del padiglione esposto a nord, oltre il cortile dell’ora d’aria, restarono in disuso, frequentati solo dalla polvere del tempo. Con gli anni e con i ribaltamenti nell’amministrazione pubblica i locali dell’ambulatorio prima, dei vigili urbani poi e in ultimo della Circoscrizione vennero nuovamente svuotati. Restava a presidiare l’antico complesso solo la Cooperativa Città Alta, con il brusio degli avventori fra i tavoli, con le voci concitate delle partite a carte o con il costante rumore della lavastoviglie.
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Nel 2008 la stessa cooperativa ottenne i permessi da Palafrizzoni, previo parere positivo dell’Agenzia del Demanio in quanto proprietario, di ampliare i locali, recuperando gli spazi che un tempo erano adibiti a centro socio-sanitario per ricavarne un angolo pizzeria e un ampio salone. Proprio durante i lavori di ristrutturazione il vecchio monastero volle far sentire la sua voce, riportando alla luce un meraviglioso affresco realizzato al tempo dei Padri Teatini e restituito alla bellezza originaria proprio per volontà della Cooperativa Città Alta. Attualmente si è in attesa di un progetto di valorizpeculiarità ha fatto escludere dall’elenco dei beni oggetto del federalismo demaniale. Ma dalla stanza dei bottoni dell’Agenzia del Demanio ancora tutto tace. Il rischio è il perpetuare l’attuale situazione di degrado. L’unica notizia confortante è che lo stesso Demanio, in accordo con l’Am-
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zazione di questo contenitore storico, che proprio questa
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ministrazione Comunale, ha promesso di rinnovare il contratto di affitto in essere con la Cooperativa Città Alta, in scadenza il 31 dicembre 2011, per altri sei anni. Un respiro di sollievo che offre alla stessa la disponibilità di giocare il
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Da L'Eco di Bergamo, 1982
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ruolo da primattore nel rilancio dell’immobile con la speranza di riuscire a trovare una sede definitiva all'interno del cuore storico della città , in un complesso che contempli una destinazione d'uso a spazio socio-culturale e ricreativo.
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I Presidenti
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Giuseppe Carrara premia Santo Bonasio
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Dalla Banchina al Circulì Tutti ricordano con affetto Santo Bonasio, uomo probo, tranquillo, dalla bonomia sincera e dalla fede profonda. Lavorava come cassiere nella piccola filiale della Banca Diocesana in fondo a via Arena, là dove la strada si apre per dar voce ai leoni stilofori di Santa Maria Maggiore. La
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Banchina, veniva affettuosamente chiamata dagli abitanti del borgo questa agenzia, per il suo spazio angusto e poco luminoso. Anche il ragionier Bonasio viveva le fragilità di un quartiere che si stava snaturando e che stava perdendo il contatto con i bisogni della popolazione per rispondere alle novità di una cultura del mordi e fuggi. Bisognava intervenire se non si voleva restare soffocati dal boom del mercato edilizio e del consumismo a discapito dei valori genuini e popolari della tradizione sociale della città. Bisognava
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pensare agli anziani che ai quei tempi eran circa 1500 sui quattromila abitanti di Città Alta. Anziani che si ritrovavano senza una sede dove poter trascorrere il tempo che la vita da pensionati concedeva loro in quanto i bar della zona non permettevano più la sosta al loro interno per giocare a carte. “Entrare in un bar per fare una partita a carte o anche solo per passare un’oretta a chiacchierare è diventato impossibile qui in Città Alta. Così abbiamo pensato di far da 50
noi” dichiarava in un’intervista a un quotidiano locale nel lontano 1981 proprio il ragionier Bonasio. Da un’iniziativa di persone preoccupate per le sorti del loro quartiere nasceva una piccola cooperativa. Una realtà nuova nel contesto cittadino in quanto all’epoca esistevano associazioni o movimenti per la terza età ma non cooperative. Una scelta coraggiosa ma fatta con spirito di determinazione e di servizio per il benessere della collettività, per la salvaguardia delle proprie radici e del proprio vissuto, per evitare una lacerazione incurabile nel tessuto popolare di Città Alta. Lo stesso spirito che ha guidato il ragionier Bonasio sia nel costituire insieme ad altre forze
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operanti del quartiere la Cooperativa Città Alta sia nel condurla per tre anni come primo presidente dal 1981 al 1984. Gli inizi sono stati caratterizzati dalle paure e dall’incertezza che l’avviamento di un’attività porta con sé, soprattutto nella gestione dei conti. Ma il sostegno della cittadinanza, la sinergia d’intenti oltre ogni colore politico o campanile, gli aiuti ricevuti dalla Circoscrizione e dall’Amministrazione Comunale, la determinazione dei Soci Fondatori e i contributi della compagine sociale hanno permesso a questa nuova realtà di prendere posto fra le pieghe della vita del quartiere, acquisendo con il tempo un ruolo come gli anziani e i giovani. “Quando la gente partecipa in prima persona, anche economicamente, le cose funzionano, perché ognuno è interessato a che tutto vada bene” continuava il Presidente Bonasio nell’intervista. Già, perché per ristrutturare lo spazio ottenuto all’interno delle vecchie carceri di Sant’Agata
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e una finalità sempre più votati all’aiuto delle fasce deboli,
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si è ricorsi ad un finanziamento del Comune di Bergamo di sei milioni del vecchio conio ma occorre sottolineare che il resto delle spese è stato coperto grazie ai contributi dei
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soci. Le prime quote sociali erano di cinquemila lire. Le basi erano state fondate. Lo spazio era piccolo ma funzionale, con una sala di ritrovo e con una piccola area esterna per qualche panchina e gli immancabili campi da bocce. Gli spiriti erano alti e fiduciosi. Anche perché nelle intenzioni dei promotori le attività della cooperativa non dovevano fermarsi al semplice punto di ristoro. L’aggregazione passava anche attraverso l’organizzazione di un vero programma per la compagine sociale, dalle gite alle atti52
vità ricreative o culturali. Ci teneva a ribadirlo proprio il Presidente Bonasio. E se ne trovava conferma altresì fra le pagine dello statuto. La Cooperativa Città Alta naturalmente non era un circolo riservato solo ai soci e fruibile solo dalla fetta senile del quartiere. Era un locale di incontro e di ritrovo anche per le fasce giovanili, dove non era contemplato l’obbligo della consumazione. Nessuna chiusura al nuovo, ai cambiamenti sociali, a una Città Alta che timidamente iniziava la sua trasformazione. Solo la volontà di evitare di cancellare una storia fatta di intrecci di vite, di condivisioni e di comprensioni e la tenacia di pensare al futuro, quello dei
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figli e dei nipoti, perchĂŠ fosse consentito loro di continuare a vivere la CittĂ Alta dei legami umani e della dimensione popolare.
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Giuseppe Carrara
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Il mio dovere è ascoltare i soci Il suo volto sempre solare e disponibile è uno dei biglietti da visita più graditi di Città Alta. Carrara Giuseppe, tappezziere dal 1953, si affaccia spesso dal suo laboratorio lungo la Corsarola. Ama la gente e si vede. Buona eloquenza, aspetto nobile ma disinvolto, affabilità e generosità,
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sono tutte caratteristiche che saltano subito all’occhio in una conversazione con lui. Un curriculum di degno rispetto l’ha visto partecipe di molte realtà del territorio bergamasco sia in qualità di Membro di Giunta dell’Associazione Artigiani sia come Presidente Provinciale e Regionale dell’ANAP, per citarne alcune. Socio Fondatore della Cooperativa Città Alta, ha sempre offerto il proprio tempo e la propria passione sia come Consigliere sia come Presidente. Un’avventura iniziata nel lontano 1981 che lo vede ancora parte attiva nel Consiglio di Amministrazione ma
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soprattutto nel rappresentare la nostra cooperativa presso la Consulta dei Centri Ricreativi per anziani di Bergamo. “La Cooperativa Città Alta nasce da un obiettivo ben preciso: aiutare gli anziani del quartiere a ritrovare uno spazio dignitoso dove incontrarsi. È stata la risposta ad un bisogno fondamentale che ha mosso alcune persone a cercare insieme una soluzione. Al di là di ogni colore politico o bandiera. Teste diverse con idee diverse ma con un’unità d’intenti. 56
I primi anni sono stati sicuramente i più difficili, dettati dalle contingenze, dalle incertezze e dalla paura di compiere passi più lunghi della gamba. Ma ritengo che, quando si hanno idee forti e basate su un principio etico e solidaristico, ogni uomo riesca ad affrontare le asperità che la vita propone continuando a coltivare i propri sogni e a realizzarli nella realtà. Basta credere in ciò che si fa. D’altronde siamo ciò che facciamo. Anch’io ho accettato la carica di presidente con molta umiltà e con quel giusto pizzico di coraggio e di intraprendenza che non guasta. Alla base dei miei due mandati è sempre stata salda la convinzione che il cuore della Coo-
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perativa Città Alta siano i soci e che per loro vadano spese le energie. Aiutare le persone è il principio cardine della nostra realtà e per me il primo passo da compiere perché ciò avvenga è l’ascolto. In una società sempre più votata all’individualismo e al silenzio delle coscienze, l’opportunità offerta dalla nostra cooperativa è stata fondamentale per mantenere viva la “vecchia Città Alta”. Ascoltare i soci non ha solo permesso di conoscere i loro problemi e i loro bisogni per poi intervenire a risolverli e a soddisfarli. Ascoltarli li ha responsabilizzati e resi parte attiva all’interno della nostra struttura. Ecco perché ho indetto parecchie assemblee e ho cercato di garantire una presenza costante e assidua all’interno del nostro locale. Ormai era un appuntamento fisso la domenica mattina al Circolino. Per una chiacchiera, per un problema improvviso o per questioni annose, per un saluto o un sorriso, per dirimere alcune faccende di matrice fiscale o amministrativa, per il deposito del prestito sociale. È sem-
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Sono loro il motore mobile che fa grande una cooperativa.
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pre stato un rapporto biunivoco. Ascoltare le persone arricchisce e cresce. Anche perché la storia della Cooperativa
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Città Alta è una storia di amicizia costruita e masticata con la relazione umana. Sono stato Presidente dal 1988 al 1994 in un periodo in cui la cooperativa ha visto sia il consolidamento di alcuni obiettivi sia la sfida per esperienze nuove presentate dai cambiamenti sociali. Abbiamo offerto il nostro aiuto alle persone anziane e indigenti in difficoltà dalle piccole manutenzioni, alle pulizie casalinghe, ai pasti caldi. Abbiamo collaborato con la Bocciofila di Bergamo per attuare tornei 58
di bocce grazie alla presenza dei due campetti, realizzati dall’Amministrazione Comunale. Abbiamo fatto rinascere l’Oratorio di Borgo Canale gestendo attività ricreative e sportive al suo interno in collaborazione con la parrocchia omonima. Abbiamo organizzato feste, mostre, incontri. Tutto all’insegna della semplicità e della giovialità. Tutto nel nostro giardino, concesso prima del tempo della scadenza del contratto con il Comune dal signor Mimmo in segno di reciproca stima. Nel frattempo però Città Alta cambiava. Nelle strade si riversavo come tante file di formiche turisti, avventori occasionali, professionisti, studenti. La fetta di popolazione
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che iniziava a vivere la quotidianità del borgo non era più solo costituita da anziani e da gente del posto ma anche e soprattutto da studenti universitari. Anche Il Circolino iniziava ad avvertire la presenza massiccia di questa nuova clientela. Anche perché non erano semplici avventori. Chi frequenta quotidianamente il nostro locale e ne trascorre una buona parte della giornata non può essere considerato un semplice cliente. Si crea un rapporto speciale fatto di familiarità e di affetto. Proprio grazie a questa attenzione ai giovani, abbiamo instaurato un rapporto proficuo con l’Università di Bergamo, consolidato negli anni attraverso via che conduce agli atenei. È tutt’ora aperta e funzionante, garantita dal nostro servizio di custodia e di pulizia. Il nostro obiettivo era di conciliare la presenza di diverse generazioni nel nostro locale per rispondere alle nuove esigenze della cittadinanza e per consolidare un tessuto sociale ormai ben irrorato delle arterie del nostro operato. Ho sempre creduto in questa realtà unica e speciale
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la gestione da parte nostra di una sala studio in fregio alla
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quale la Cooperativa Città Alta. Semplicemente perché credo nelle persone che in essa lavorano e per essa dedicano
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tempo ed energie. Per me rappresenta un catalizzatore sociale fondamentale per la realtà del quartiere, in particolare per la popolazione più anziana che si è sempre sentita accolta. Per questo auguro “cento di questi anni” alla nostra cooperativa. Perché si possa continuare a dire che al Circolino c’è aria di casa”.
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Bisogna condividere l’essenziale “L’essenziale è invisibile agli occhi…” confidava una piccola volpe ad un principe bambino che voleva addomesticarla, in un capolavoro di Saint-Exupéry. Eppure esistono persone che cercano l’essenziale. E lo trovano. Non certo per custodirlo gelosamente nel campo dei propri egoismi
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ma per condividerlo con gli altri. Questo è uno dei motivi che han permesso alla Cooperativa Città Alta di nascere. Ne sa bene qualcosa Roberto Amaddeo, che della cooperativa stessa è stato il presidente per quattro mandati consecutivi, dal 1994 al 2006. In realtà la presidenza - a suo stesso dire - è stata solo una circostanza. Il legame con la cooperativa ha radici più profonde e lontane, che partono da una storia di amicizia nata nel 1989. A quell’epoca Roberto aveva 24 anni. Da quando ne aveva venti lavorava nel ristorante Da Mimmo, fondato e gestito dalla sua famiglia. Un uomo dal
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Roberto Amaddeo
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fascino e dal carattere intensi, ristoratore preparato e intraprendente, amante delle cose semplici, dei valori genuini, che solo una vera tradizione familiare ti lascia in eredità. “Se penso alla Cooperativa Città Alta mi passano davanti agli occhi tre immagini. Una tarda serata di chiacchiere fitte ad un tavolo o del mio ristorante o del Circolino. Il Ferragosto sotto il berceau. Un’anziana signora smarrita sul davanzale della finestra di casa ad osservare il traffico. La prima immagine ben racconta come io mi sia avvicinato alla Cooperativa Città Alta. Facevo l’allenatore per la scuola calcio della Polisportiva Bergamo Alta. Ero quindi con una in particolare avevo trovato una forte affinità, Aldo Ghilardi. Quante serate a fine turno abbiamo trascorso insieme. Io terminavo il lavoro al mio ristorante, lui al Circolino. Fra una birra fresca e due risate si condividevano le fatiche e le idee. Così ho iniziato a scoprire quale fosse la vera natura di quel locale che confinava con quello della mia famiglia. Non era un semplice ristorante dove offriva-
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entrato in contatto con le persone che vi facevano parte e
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no calici e grigliate. Erano gli anni in cui il quartiere di Città Alta inizia-
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va a cambiare, ad omologarsi alle mode dell’effimero e del superfluo, a dimenticare le radici storiche per un moderno senza spina dorsale. La Cooperativa Città Alta restava un’isola felice in questa tormenta di cambiamenti. La Cooperativa Città Alta era ben ancorata su principi etici, su basi di collaborazione e di solidarietà, su valori eterni come la lealtà e lo spirito di servizio. Era una vera innovazione. Guardava al futuro pur preservando il passato. E viveva il presente. Proponendo solo l’essenziale. Come non restare rapito da 64
tutto ciò? La seconda immagine è la giornata del Ferragosto, in cui file di persone, rigorosamente guidate come a scuola dalle vigili signore del Circolino, si accomodavano sotto il nostro berceau. Tradiva la canicola estiva, altrimenti si sarebbe potuto scambiare quel giorno per il Santo Natale. Una festa popolare, intima, vera. E così è per me, e non solo per me, il Circolino. È una natività nell’intimo di ciascuno di noi. È un continuo stupore per quell’essenziale che ti fa vivere e ti fa scoprire, per quella dignità che offre a chi vuol cambiare il corso della propria vita. La terza immagine mi riporta alla capacità della Coope-
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rativa Città Alta di dare senso al legame sociale. L’aiuto dato a chi ne necessita non ha il sapore di una scelta di mercato per sopravvivere. Al contrario. La Cooperativa crede fermamente in ciò che fa perché è mantenuta in vita da persone che sanno che occorre investire sempre il proprio tempo e le proprie risorse in capitale umano. La signora che vive le proprie solitudini, l’anziano che non riesce ad attraversare una strada trafficata, il ragazzino vittima o carnefice di atti di bullismo, il carcerato svuotato di ogni tipo di relazione umana. La Cooperativa Città Alta ha sempre dato una mano a chi, in questa società votata allo sterile individualiGli anni della mia presidenza non sono stati una passeggiata. A volte mi sono scontrato con i miei compagni di viaggio. È umano. Ho sempre insistito sul far crescere il Circolino dal punto di vista della ristorazione. Senza snaturane gli intenti e gli ideali ma offrendo le mie competenze per far crescere le persone che lì vi lavoravano. Anche il Circolino doveva essere competitivo sul mercato, propo-
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smo, restava indietro.
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nendo una buona qualità a prezzi accattivanti. Abbiamo anche intrapreso strade alternative alla ristorazione, come
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l’apertura di punti vendita di prodotti biologici, anticipando di dieci anni tutti i discorsi sull’ecologia e la sostenibilità. La finalità era sempre quella di sensibilizzare gli altri su ciò che effettivamente aveva senso e valore all’insegna della cooperazione con altre realtà del territorio. Purtroppo non tutto è andato a buon fine. Abbiamo però sempre agito in buona fede e mossi solo dalla volontà di lavorare per il benessere della collettività. In questi ultimi anni, a causa di contingenze e vicis66
situdini che ti trovi a dover affrontare, mi sono un po’ allontanato dalla cooperativa. Nel senso che non partecipo più in prima persona alla sua organizzazione. Ho passato il testimone. Come è giusto che avvenga. Ma mi piace entrare al Circolino e trovarvi i ragazzi che magari allenavo anni prima. È una gioia vederli crescere, sentire il fermento della loro gioventù e capire che credono in quello che fanno lì dentro. In fondo per me la Cooperativa Città Alta è una bella storia di legami che insegna che da soli non si fa nulla. Dopo i miei figli, è sicuramente l’esperienza più grande che io abbia vissuto”.
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Coraggio e generosità “Un uomo che non lotta per le proprie idee o non valgon nulla le idee o non vale nulla l’uomo”. Diceva un tempo il filosofo greco Platone. C’è sicuramente una persona che, con la propria vita in mano, è riuscita a declinare questo pensiero nel mondo d’oggi con coraggio e determi-
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nazione. Perché sia valgono le sue idee sia vale egli stesso. Lo puoi incontrare dietro la sua scrivania, nascosto dalle carte, nell’ufficio di via Salvecchio oppure a un tavolo sotto il berceau del Circolino durante la pausa per il pranzo, rigorosamente quando i rintocchi del Campanone segnano il mezzogiorno, mentre si intrattiene con qualche collaboratore o con uno dei ragazzi di sala. Ma anche per i vicoli del suo borgo mentre chiacchiera con la lattaia o saluta un amico o accarezza la sua cagnolina Bel. Un uomo semplice con idee straordinarie. Un uomo caparbio ma puro, senza
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Il nostro Presidente Aldo Ghilardi
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l’ambizione del potere ma con la convinzione che per fare una comunità bisogna viverla nella collaborazione. Collaborazione che per lui ha sempre significato cooperazione. È Aldo Ghilardi. Nato cinquantanove anni fa in Città Alta, un passato come dirigente alla Mazzoleni, un presente da Presidente della Cooperativa Città Alta. Anche lui, a soli ventinove anni, ha firmato presso il Passaggio Torre di Adalberto per la costituzione di un sogno. Da quel giorno il suo sogno ha cominciato a diventare realtà. “Ho ancora vivido il ricordo di quando da ragazzo correvo sul selciato di Città Alta per giocare a rimpiattino sulla via Salvecchio. Gli echi dei nostri giochi animavano le penombre dei palazzi. Ci si dissetava poi esausti al mascherone sull’angolo con il vicolo delle carceri. Sant’Agata era là, in fondo, cupa e misteriosa con i suoi conci a vista e le grate oscure alle finestre. Chi l’avrebbe mai detto che
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fra i vecchi androni delle case affacciate sulla Corsarola e
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in quel posto sarei finito a lavorare? Che mi sarei ritrovato a far di conto in una piccola stanza con una panca e due cavalletti a farmi da scrivania? Eppure le pieghe impreviste che ti dona la vita hanno questo sapore di meraviglia.
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Lavoravo negli uffici della Mazzoleni Ferramenta quando, ventinovenne, divenni uno dei Soci Fondatori di una cooperativa. La Cooperativa Città Alta. Nasceva come centro di aggregazione per anziani. I nostri anziani che erano stati sfrattati dai bar di un quartiere che stava perdendo la propria identità. Zona residenziale, polo turistico o realtà popolare? Siamo sul finire degli anni Settanta. Città Alta era un ibrido senza un’immagine completa. Però conservava ancora 70
la sua spina dorsale. Una fetta di persone che non volevano rinunciare all’identità del borgo, a quell’intimità urbana e a quel tessuto di relazioni che permettevano la sopravvivenza del quartiere. Anch’io condividevo i principi della collaborazione e del sostegno reciproco. Ero però altresì convinto che, pur riconoscendo la preservazione delle proprie origini, occorresse aprirsi al nuovo, ai cambiamenti sociali inevitabili, alle trasformazioni economiche in atto. Sfruttare le risorse e le potenzialità del quartiere per resistere indenni ai venti delle metamorfosi e cavalcare l’onda delle novità. Perché essere sempre spaventati da ciò che non si conosce? Lo zoccolo duro a quei tempi era rappresentato dall’Uni-
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versità. Il brulicare di studenti per i vicoli infastidiva i residenti e soprattutto gli anziani. Era giusto dare alla fetta senile un nuovo spazio ma non bisognava ridurlo ad un circolo chiuso e privato. Il locale doveva essere aperto a tutti. L’intuizione dei membri del Consiglio della Cooperativa fu proprio quella di riconoscere lo studente come il nuovo inquilino di Città Alta. Non un locatario fugace e di passaggio ma uno stanziale che voleva vivere la realtà del borgo. Così dopo i primi anni, in cui Il Circolino rispettava la sua esigenza primaria nel fornire spazi di ritrovo per gli anziani, si maturò l’idea di passare dall’affitto di impresa ad da. Un’apertura al nuovo. Capitani coraggiosi? Sicuramente una bella avventura non priva di imprevisti e di ostilità. Era il 1989. Anch’io feci una scelta rischiosa. Lasciai un lavoro certo per una professione dell’incerto. Nessuno poteva garantirmi nulla. Ma sentivo che la vita mi stava of-
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un soggetto esterno alla gestione diretta del locale. Una sfi-
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frendo la possibilità concreta di realizzare un sogno. Quello che coltivi nel segreto del cuore fin da ragazzo. A volte rimane in nuce senza trovare corpo, a volte diventa realtà. Il sogno di lavorare per costruire un’impresa sociale che
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avesse nell’impegno e nell’operosità dei soci la materia prima per migliorare la vita del territorio, aiutando le persone in difficoltà e sostenendo le risorse sociali in essere. Creare una realtà dove la giustizia sociale e le relazioni umane fossero salvaguardate per diventare esse stesse i principi guida della cooperazione. Costruire un gruppo di lavoro che coniugasse le idee imprenditoriali di sviluppo e di investimento con le attività assistenziali nel tessuto sociale. Sempre ad maiora. Ne sono convinto. Anche se a vol72
te corri il rischio di fare il passo più lungo della gamba. Ne abbiamo incontrate di fatiche all’inizio della gestione diretta. Banche e fornitori, per dirne alcune. Ma la fortuna arride agli audaci. Abbiamo trovato persone che hanno creduto in noi, riponendo la loro fiducia nelle nostre capacità. Non posso non ricordare l’amico Enrico Fusi, allora Presidente della Fondazione Cariplo, per il credito fiduciario aperto nei nostri confronti. Così gli spazi si sono ingranditi, sono stato sfrattato - fortunatamente - per creare la cucina, si è ottenuto il dehors esterno che prima era assai risicato, sono comparsi i campi da bocce e con essi la mitica Bocciofila. C’era vita in
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cooperativa. Dalla preparazione delle vivande, alle chiacchiere degli avventori mattinieri, alle pulizie nelle sale, alla merce da scaricare, alle voci sui tavoli dei giocatori di scopa o dei clienti del mezzogiorno, alla confusione delle orde serali. Con gli anni la Cooperativa Città Alta è cresciuta. Ha affrontato nuove frontiere, superandole sia con successo sia con qualche ferita. Ci sta. Ha sempre però mantenuto una fisionomia propria. Quella che io chiamo autonomia. Un’apertura di pensiero che va oltre l’adesione politica o la convinzione ideologica. La storia della cooperazione è repubblicano, quello socialista e quello comunista. È quindi anacronistico pensare ad una divisione fra cooperative bianche e cooperative rosse. Il nostro stesso Consiglio di Amministrazione ne è una conferma. In trent’anni è rimasta salda la visione di una trasversalità di pensieri e di po-
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nata dall’incontro di diversi mondi, quello cattolico, quello
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sizioni. Sono i principi che contano. Gli uomini sono probi per la loro integrità e onestà, non per una tessera di partito. Sono stati dialettici anche i rapporti con le Amministrazioni Comunali. Solo negli ultimi anni il ruolo di cata-
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lizzatore sociale della cooperativa ha preso piede trovando un riconoscimento fra le istituzioni. Nel 2002 siamo diventati una ONLUS, entrando di diritto nel mondo del no profit come Centro di Aggregazione per Anziani. Dal 2007 abbiamo stipulato un Protocollo d’Intesa con il Comune di Bergamo per la realizzazione di interventi di natura assistenziale per le fasce più deboli della cittadinanza, quali i minori e gli anziani. Mi riferisco alla Rete Sociale di Città Alta e al progetto Circolando. Nel tempo abbiamo cercato 74
di sostenere e di collaborare con le diverse forze del quartiere, dalle congregazioni religiose alle parrocchie stesse, dalle associazioni di volontariato ai gruppi culturali e artistici. Dare un soffio di vita a tutto ciò che sviluppa la vita. Dall’assistenza ai malati, all’ascolto del bisogno, all’aiuto scolastico, all’educazione sportiva, alla libera creatività, agli incontri culturali, alle attività ricreative. Credere nel potenziale umano è stata la nostra sfida più grande. E l’abbiamo vinta. Non da soli ma con tutti quelli che hanno investito il loro tempo e il loro cuore. La storia della Cooperativa Città Alta si declina attraverso gli incontri e i rapporti umani. È la relazione con
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l’altro che rivela il senso della nostra esistenza. La stessa attività di ristorazione acquisisce un valore aggiunto. Gli utili vengono reinvestiti in attività sociali. Ma non solo. Il lavoro in cooperativa diventa un investimento sociale dove al centro vi è la persona. Mi riferisco agli inserimenti lavorativi di uomini e donne provenienti dal carcere, ai percorsi formativi per un’autonomia professionale, agli stages di orientamento e di sostegno, alle occasioni lavorative offerte a persone straniere. L’opportunità e il riscatto sono un bene per tutti. Questi sono i pilastri saldi, costruiti con l’esperienza speranze per il futuro. La Cooperativa Città Alta per me non è un traguardo. È una continua crescita. Proprio perché realizza sogni alimentandone altri. Quelli che la vita, che pulsa dentro un cuore vero, ti offre continuamente. Però perché ciò continui ad esistere abbiamo bisogno di
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e la tenacia di chi ha creduto e sui quali fondare le nostre
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certezze. Abbiamo bisogno di avere degli spazi nostri. Mi sale ancora la pressione se ripenso all’estate infuocata del 2007 quando la minaccia dello sfratto dal complesso di Sant’Agata sembrava un incubo realizzabile. Anche in quel
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frangente non ci siamo disgregati ma siamo rimasti uniti. Ad oggi però la situazione sulla destinazione d’uso di questo contenitore storico rimane un punto di domanda fra le carte dell’Agenzia del Demanio. Vorremmo riuscire a contribuire al completamento dell’area del calpestio dell’antica chiesa di Sant’Agata soprattutto rivalutando i comparti che si sviluppano in verticale sopra il nostro locale. Cosa farne? Realizzare spazi di aggregazione culturale per la cittadinanza, da una sala convegni a un caffé 76
letterario. Magari riportando alla luce la bellezza delle volte e delle lunette affrescate che ancora l’oblio e l’incuria nascondono alla popolazione. Non conosciamo ancora i tempi perché questo avvenga. Ma noi per primi non dobbiamo perderlo, questo tempo. Inutile guardare al futuro senza coltivarlo già nel presente. In ciò che di bello abbiamo. Le 1263 persone della compagine sociale, il Consiglio di Amministrazione, il gruppo dirigente, i dipendenti stessi. Il passaggio di testimone è inevitabile. Lo fecero con me trent’anni fa. Occorre che il ricambio generazionale avvenga nel rispetto e nella conservazione dei principi dei Soci Fondatori. Occorre al-
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tresì che si sviluppino doti e capacità sempre nuove, cercando di investire il proprio tempo in una concreta scelta di vita. Stare in cooperativa significa appartenervi. Sentirla tua non con un’idea di possesso e di sfruttamento ma come una parte di te stesso da salvaguardare e da amare. E soprattutto da condividere con gli altri ”.
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Il Ristorante
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Il Circolino
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Il Ristorante Dire Cooperativa Città Alta e dire Il Circolino è apodittico. In fondo rappresentano la stessa realtà. La cooperativa è nata come centro aggregativo per anziani e giovani del quartiere ed è cresciuta sviluppando soprattutto l’attività della ristorazione. Ciò che però rende speciale questa
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realtà è che non si tratta di un semplice ristorante ma di una vera impresa sociale che fa di valori come lo sviluppo sostenibile, la sensibilità ai bisogni, il miglioramento della qualità della vita, la democrazia e la partecipazione, il proprio cavallo di battaglia. Il Circolino è quindi il polmone principale dal quale attingere le risorse finanziarie da investire nella realizzazione delle attività sociali e culturali sul territorio in aiuto agli altri ma è altresì esso stesso luogo dove la sfida educativa e assistenziale prende corpo. Basti pensare che all’interno del
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nostro organico lavorano persone straniere, ragazzi inseriti in stages mirati all’acquisizione di un’autonomia professionale, minori in affido ai Servizi Sociali, persone provenienti dalla dura esperienza del carcere. Vengono comunemente definiti “inserimenti lavorativi”. Noi preferiamo chiamarli opportunità. Fuori da ogni pregiudizio o da atteggiamenti pietistici che nulla hanno a che fare con la solidarietà e con lo spirito di servizio.
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All’inizio eran solo calicini Quando parli con qualche cliente veterano del Circolino, i primi volti che cogli fra le pagine dei ricordi sono quelli delle “signore”, da sempre così chiamate anche se poco più che trentenni all’inizio della loro carriera in cooperativa. Quattro deliziose collaboratrici che fra un caffé, un
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calicino o un piatto fumante di casoncelli offrivano anche la loro simpatia e professionalità, coccolando amabilmente i soci e gli avventori. Grazia, Rossella, Laura e Donatella. Le trovi ancora oggi con la grinta di sempre e la piacevole allegria che le han rese uniche e indimenticabili e che han permesso loro di creare un ambiente familiare e alla mano. Appena si varca il vecchio portone legnoso, nell’ingresso ampio e semplice, campeggia il grande bancone nero con l’espositore colorato delle caramelle, la macchina per i frappé, la cassa e soprattutto lei, Grazia. Una persona
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Grazia, Donatella, Rossella, Mariana
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minuta, dal volto sveglio e attento, dalla battuta salace e soprattutto da un animo forte e generoso. In apparenza può sembrare coriacea e direttiva, in realtà porta con sé una lunga esperienza in grandi ristoranti e quindi quel giusto taglio di professionalità che serve a far funzionare tutto. “Sono arrivata in Cooperativa il primo gennaio del 1989. Come dipendente, intendo. La Cooperativa Città Alta era una realtà che già conoscevo, essendo anch’io del quartiere. Ne apprezzavo il lavoro di solidarietà verso le fasce più deboli della popolazione. Il locale che, dal 1981 al 1988, era adibito solo a funzione di bar, era gestito da un nucleo do fra i membri del Consiglio di Amministrazione l’idea di prendersi carico dell’attività, gestendo direttamente l’esercizio. L’eredità era quella dei calicini serviti ai soci anziani che trascorrevano parecchie ore ai tavoli, storditi dal fumo e dalla concitazione di una partita a carte. All’inizio il tempo si srotolava lentamente. Pochi
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familiare della provincia. Con il tempo però stava maturan-
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clienti, poche ordinazioni. Poi la bella stagione ci ha dato una mano. La curiosità ha spinto anche persone meno anziane e più attratte dalla suggestività del luogo a fare ca-
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polino dal portone. Così anche la nostra inventiva dietro il bancone ha preso il sopravvento. Nascevano le prime focacce e i primi panini imbottiti. Ricordo ancora una coppia di clienti storici, i signori Bosco. Hanno sperimentato tutti i nostri piatti, seduti sempre rigorosamente al tavolo numero quattro. È un piacere vederli ancora oggi, tutte le domeniche a pranzo. La prima estate è stata la nostra prova del fuoco. Le forze in aiuto si son moltiplicate, frutto di un passaparola 86
fra amici. Avevamo l’area esterna ma chiamarla giardino era un azzardo. Abbiamo improvvisato un bancone esterno per servire più facilmente le bevande e i caffé. Poche file di tavoli, protette da semplici ombrelloni, un servizio cordiale e veloce. La prima estate è andata via così. Ritmi concitati e faticosi, caviglie a pezzi, un’infinità di scale perché la lavastoviglie si trovava all’interno sul bancone. Siamo stati bravi. E con l’inverno? Pensavamo di iterare le precedenti fredde e magre stagioni ma qualcosa di imprevisto ha dato una svolta alla nostra cucina. Hanno infatti cominciato a frequentare Il Circolino i giocatori di football americano
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della squadra dei Lions. Consumavano molti alcolici e occorreva offrire loro anche delle refezioni adeguate. Così sono arrivati in campo i primi tagliolini panna e prosciutto. Fa sorridere se penso al ricco e appetitoso menu che oggi proponiamo ma gli esordi sono umili per tutti. C’è solo da imparare dalle occasioni che la vita ti offre. Sta di fatto che i Lions son divenuti dei veri e propri aficionados, al punto che abbiamo organizzato per loro presso il nostro locale il cenone del Capodanno 1991. Il volume di affari del Circolino iniziava a crescere. La pubblicità del nostro locale era andata oltre le Mura Veanche i nostri spazi. Ormai le partite a carte vedevano come protagonisti volti canuti e rugosi e visi più freschi e sbarbati. La clientela si stava amalgamando pur mantenendo il controllo del proprio territorio. Non sempre i rapporti fra i soci anziani e gli studenti sono stati idilliaci ma ci sta. È ancestrale.
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nete. Il fermento dei giovani universitari aveva raggiunto
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Il lavoro continuava ad aumentare e con esso il numero dei dipendenti. Il locale restava aperto dalle 9.30 del mattino alle tre di notte. Finalmente nell’area esterna
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comparve il berceau, magistralmente adornato d’uva canadese dalle mani dei signori Mazza. I campi da bocce divennero due e venne altresì realizzata una struttura coperta dove spillare le bevande e cucinare alla griglia. Ero io l’addetta alla preparazione di salamelle, cotechini, spiedini, verdure alla piastra. Se lo ricorda bene anche mia figlia quando rincasavo con un odore misto fra peperoni grigliati e provola affumicata. I clienti apprezzavano sia la qualità dei nostri piatti 88
semplici sia i prezzi modici alla portata di tutti, persino delle orde di giovani che assiepavano i tavoli dopo la riapertura delle strade per Città Alta il venerdì e il sabato sera. Lanterna e pane con cotechino erano i must di allora. Finalmente iniziarono i lavori per migliorare l’interno del locale e venne realizzata la cucina. A quel punto nasceva l’esigenza di elaborare menu più sfiziosi e adeguati alla struttura. Occorrevano dei cuochi ad infoltire il nostro organico. Le prime mani svelte e sapienti che hanno dato spessore alla nostra cucina sono state quelle di Bera. Una giovane donna costretta a lasciare Sarajevo a causa della guerra, giunta a Bergamo con tanta voglia di fare e con
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poche pretese. Quanti volti si sono avvicendati poi ai nostri fornelli. Mauro, Walter, Fidel, Simone. Persone che hanno acquisito esperienza o hanno offerto le loro capacità. Lavorare al Circolino ha sempre richiesto un certo eclettismo, una duttilità di pensiero, una capacità di adattamento ai cambiamenti. C’è da ricordare che la Cooperativa Città Alta ha realizzato molte attività esterne a quelle del ristorante. La voglia di sperimentare ricreando una realtà simile a quella nata in Città Alta ci ha spinto in diverse direzioni. Ho quindi lavorato nella mensa dei centri estivi organizzati e animati negli spazi del vecchio oratorio in Borgo confusione quei ragazzini esagitati ma quanta tenerezza nel vederli soddisfatti per un semplice piatto di pasta. A volte basta davvero poco. Dalla mensa dei C.R.E. a quella per fornire pasti giornalieri ai diversi Day Care di Bergamo, collocata negli spazi di un istituto di Torre Boldone. Un servizio promosso per
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Canale, riportato in vita proprio dalla cooperativa. Quanta
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rispondere ad alcune esigenze che andavo oltre il territorio di Città Alta. E poi è arrivato lo Stile Libero. Un grazioso ristorante
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pizzeria realizzato sulle fondamenta del vetusto bar dell’impianto sportivo Italcementi. Ne sono stata la responsabile per diversi anni. Un’esperienza arricchente e impegnativa anche se nel mio cuore restava sempre al primo posto il Circolino. D’altronde si sa bene che il primo amore non si scorda mai. Un ricordo piacevole però restano per me le estati passate al Santuario della Madonna della Castagna. Abbiamo in gestione da dieci anni ormai il punto di ristoro. Un 90
ambiente d’altri tempi. Lunghe tavolate, pavimenti di terra fresca, piatti semplici della tradizione bergamasca, il gioco della tombola, la pista da ballo, il bosco a rinfrescare. Quante rane fritte mi son mangiata. E quanti passi di danza ho speso per accontentare i miei ammiratori over sessanta. Questo significa per me il lavoro in Cooperativa. Un’esperienza che non è avulsa dalla propria vita. Non l’occupazione che ti dà il salario alla fine del mese rendendoti un alienato sei o otto ore al giorno. Non la professione che svolgi senza interesse e per inerzia. Ma la possibilità, anche con fatiche e scoramenti, di crescere come persona e di spendere il proprio tempo e il proprio impegno in qual-
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cosa di costruttivo. Io amo questo posto. Ed è per questo che a volte mi arrabbio, anche con modi un po’ fastidiosi. Uno lotta per ciò in cui crede e vuole sempre il meglio. E io ho creduto fin dall’inizio nella Cooperativa Città Alta e continuerò a farlo. Anche da pensionata. Perché per me il Circolino dovrà sempre restare ciò per cui è nato. Non il bar degli ingessati, non il ristorante alla moda, non la bisca dei perditempo ma il locale del vecchio e del giovane, della famiglia e del turista per caso. Il cliente del Circolino ritorna sempre. Perché il Circolino è un’esperienza unica che ti lascia un segno”.
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Una scelta di vita La strada della vita racchiude sempre una svolta o un incrocio che non ci aspettiamo. A volte sembra che regali tanto per poi, beffarda, soffiarcelo di colpo. In realtà nulla è per caso. La vita ci chiede solo di cambiare per trovare la giusta dimensione. Tutto ciò che da essa arriva serve per
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crescere, per evolvere, per essere protagonisti della nostra esistenza. Solitamente gli scenari improvvisi arrivano attraverso gli incontri. Sono le relazioni che ci fanno mettere in gioco, ci portano a destrutturarci, ci chiamano alla sfida. Incrociare sul proprio cammino la Cooperativa Città Alta può diventare motivo di crisi, cioè di cambiamento, come l’etimo ci ricorda. E l’incontro con questa realtà passa attraverso dei legami umani. “Aldo Ghilardi e io lavoravamo insieme, ma in uffici differenti, alla Mazzoleni Commerciale” spiega Roberto
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Marcelli, volto noto e carismatico della Cooperativa Città Alta. Sicuramente una delle persone che più è rimasta affascinata dalla natura di questa realtà, che l’ha seguita nella sua evoluzione, che ne ha respirato le trasformazioni, che ne ha condiviso i principi, lasciando una traccia indelebile sulle pagine del libro della storia della cooperativa stessa. Tracce che non riguardano solo il lavoro svolto e gli obiettivi raggiunti ma che riconducono al segno forte e tangibile che le relazioni umane, di affetto e di amicizia, lasciano in 94
noi. “Un giorno mi propose di fare insieme a lui una scelta di vita. Dimettermi dalla società per cui lavoravo ed entrare attivamente in Cooperativa Città Alta. Accettai. La cooperativa allora già esisteva da anni, era un circolo cooperativo dato in affitto di azienda alla famiglia Corna. Si trattava di iniziare una gestione diretta che non mirasse tanto al guadagno ma allo sviluppo delle varie attività, che si proponesse socialmente sul territorio, che interagisse con le altre realtà commerciali, sociali e circoscrizionali di Città Alta. Una scelta di vita emotivamente coinvolgente. Pas-
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savo dall’essere in giacca e cravatta a diventare una sorta di barista cameriere. Tanti erano gli obbiettivi, ma lontani, non pienamente comprensibili, senza certezze, l’immediato era causa di paure di crisi d’identità: un salto verso dove? Aldo è sempre stato una persona sei passi -non tre- avanti agli altri. Il rapporto maturato durante i dodici anni trascorsi insieme alla Mazzoleni e la sua determinazione rispetto agli obiettivi mi permetteva di tenere a bada i miei timori e di concentrarmi sul nuovo lavoro. Un paio di anni dopo, tutte quelle paure erano nebbia al sole. Eravamo riusciti ad impostare l’attività di bar e papolitico iniziavano a nascere. Da quel momento la Cooperativa Città Alta era diventata un cantiere che ad ogni stagione proponeva novità. Il primo anno i cocktail - il primo più famoso fu il Cucciolo-
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ninoteca, i rapporti sul territorio e a livello istituzionale e
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ne - il secondo anno fu la volta della Lanterna, il terzo anno iniziammo con la griglia in giardino, il quarto anno investimmo nella cucina e così via. Un cantiere di attività anche esterne al Circolino stesso. Ricordo il servizio di pasti agli anziani del quartiere, la gestione del Centro Ricreativo
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Estivo, il servizio di accoglienza e ristoro rivolto alle gite scolastiche presso l’Oratorio di Borgo Canale, il servizio di mensa alle strutture ASL in collaborazione con il Sol.Co., l’apertura del ristorante Sporting Tomenone, l’attività estiva di ristorazione a Madonna della Castagna. Cosa facevo io in cooperativa? Con gli altri cooperatori mi occupavo di tutto ciò. Forse è più importante cercare di esprimere cosa ha significato per me l’essere in Cooperativa. Un grande amo96
re, una scelta di vita nel vero senso della parola. L’opportunità di uscire dagli schemi, da una situazione protetta, da una routine che appiattiva e mortificava le capacità personali, la voglia di vivere e di scegliere di mettersi in gioco. È stato proprio questo che mi ha regalato. Mi ha costretto a crescere, mi ha costretto a vivere. La prima scelta, quella del 1989, ne ha portate tante altre. La strada intrapresa - che oggi confesso sono contento di aver scelto di percorrere - mi ha spinto a vivere tante esperienze, a conoscere persone diverse con la loro differente lettura del mondo, a vedere orizzonti e obiettivi da angolazioni prima impensabili.
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La mia presenza in cooperativa è durata fino al 2001 ma gli effetti di questa esperienza, l’apertura mentale e la voglia di sperimentare dureranno per sempre�.
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Roberto, Ghega, Aldo e Marzia Natale 2003
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Amarcord Se si dovessero proiettare i trent’anni della Cooperativa Città Alta, i fotogrammi veloci che si alternerebbero sullo schermo avrebbero tutti come protagonisti le persone. Soci, dipendenti, collaboratori e volontari, avventori, simpatizzanti. Volti familiari, casuali, estemporanei. Tutti
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però importanti e fondamentali per costruire la storia di questa cooperativa. Fa piacere quando nel calderone dei ricordi le emozioni vissute lavorando al Circolino scaldano ancora il cuore e velano timidamente gli occhi. Succede parlando con Margherita Rossi, per tutti Ghega. Un tipo dinamico e frizzante, dall’allegria contagiosa ma anche una lavoratrice indefessa, seria, con un gran senso pratico e con la giusta dose di umiltà. Di lei si ricordano ancora in tanti. Ha trascorso tredici anni al Circolino. Tredici anni ricchi
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di entusiasmo. “Tutto incominciò nell'estate del 1990, avevo 23 anni. Mio fratello Giovanni lavorava già per la cooperativa da poco tempo. Lui bazzicava Città Alta per la lista civica. Mi disse che al Circolino cercavano personale per l'estate. Mi presentai e incominciai. Mi ricordo ancora la prima sera, ero distrutta per la fatica, forse anche perché era la prima volta che lavoravo in vita mia. Ricordo bene anche i primi insegnamenti di 100
Grazia: sul banco non si sale mai! Il risultato fu che mio fratello fu lasciato a casa perché era un gran chiacchierone e io invece mi fermai per tredici anni. Lavoravo solo nei weekend. Confesso che me la cavavo. Ero brava a far stare nel locale centinaia di persone, facevo i miracoli con le sedie. La Cooperativa a quei tempi era un posto un po’ particolare... tavolacci, clienti dall’aspetto a volte poco rassicurante perché i prezzi erano veramente bassi e ciò attirava di tutto e di più. Certe sere c'era da aver paura quando si avevano quattro o cinque di quei bei personaggi davanti al banco. Ho visto passare tantissima gente e di tutte le età. Mi piace ancora che dopo vent’ anni ci sia chi mi riconosca e
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mi saluti. Sono stati anni densi, pieni di emozione, faticosi. Faticosi perché più mi appassionavo al lavoro più bisognava pensare a come migliorare il lavoro, ad aumentare la clientela, a inventare cose. Si lavorava tante ore a fino a notte tarda. Bellissimi quei momenti alla fine delle serate in cui finalmente ci si fermava a bere una birra insieme. Una sensazione assai piacevole di fatica e di soddisfazione. Così mentre a mezzogiorno la clientela che si affermava era composta da studenti e lavoratori, accolti e trastullati dalle mitiche “Signore della Coop”, alla sera io, Roberto, Grazia, anche Aldo nei primi tempi, e poi Massimo e mille altri tro. Il risultato secondo me è sotto gli occhi di tutti. Da posto alternativo a locale per tutti. Sono stata in Cooperativa
Amarcord
ancora ci spaccavamo per inventare feste, promozioni e al-
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Città Alta fino al 2003. Ho aiutato in cucina, ho pulito bagni, ho sistemato tavoli, sapevo fare di tutto, ho lavorato in ufficio e sono stata anche nel Consiglio di Amministrazione per qualche anno. Sono stata bene, ho imparato tante cose. Poi nel 2003 la mia strada è cambiata, ho fatto scelte diverse e mi sono allontanata. La Cooperativa Città Alta resta comunque sempre nel mio cuore”.
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La nostra cucina Fabio e Manuel, Lhoussaine e Luca, Zubair
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Una cucina internazionale Al Circolino si mangia bene. Alta qualitĂ a prezzi giusti. Alla portata di tutti. Al Circolino si mangia. Nessun piatto triste da nouvelle cuisine ma cucina tipica ricca di carni alla griglia, primi e secondi piatti sfiziosi, dolci della casa. Da due anni si servono anche le pizze, rigorosamente
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preparate nel nostro laboratorio e cotte in forno a legna. E la cantina dei vini non ha nulla da invidiare alle enoteche del centro. Ăˆ importante sapere che tutto questo è frutto di un lavoro di collaborazione fra le diverse persone che operano in cooperativa, dai cuochi ai responsabili. Dietro la porta scorrevole color verde acqua si apre il mondo della nostra cucina. Un mondo internazionale. Tanti volti, tante origini da terre lontane, ognuno con un vissuto speciale, una storia da raccontare, un legame da condividere. Ognuno con il proprio talento e con le pro-
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prie capacità, forgiati dalla scuola, dall’esperienza, dall’insegnamento. Ciò che li contraddistingue sono la serenità e la complicità del loro clima lavorativo. “Mi alzo volentieri al mattino pensando alla giornata di lavoro che mi aspetta al Circolino” intona con accento che non tradisce le sue origini pakistane Zubair, un ragazzo poco più che trentenne dall’aspetto imponente e dal sorriso incantevole. “Mi è sempre piaciuto l’ambiente familiare e sereno che esiste nel nostro locale. Penso sia una fortuna. Non credevo di trovarla 104
una volta giunto in Italia. Vengo dal Pakistan. Me ne sono andato in cerca di lavoro con la classica valigia di cartone. Sono arrivato a Bergamo per caso e sempre per caso sono approdato in cooperativa. Mi ha colpito subito l’accoglienza che si riceve. Anche se sei l’ultimo arrivato non ti senti trattato come un sottoposto. C’è sempre stato qualcuno che mi ha aiutato, che mi ha seguito nella crescita professionale, che mi ha insegnato i trucchi del mestiere. Ho sempre ricevuto tanto: le persone conosciute mi hanno arricchito. Lo dico fuori da ogni retorica. Sono grato quindi alla Cooperativa Città Alta perché
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mi ha dato fiducia, ha creduto nelle mie capacità e nelle mie potenzialità. Essere apprezzati sprona a dare sempre di più, ad impegnarsi credendo in ciò che si fa, a mettersi in gioco sperimentandosi. Proprio come si fa in cucina. E poi proprio in cooperativa ho conosciuto la mia compagna, Marinella. Lavorava in sala. L’ho corteggiata timidamente per un anno intero e poi l’ho conquistata. Con il mio sorriso o con il mio risotto? Poco importa. Ora siamo una famiglia. Se ripenso al groviglio di paure, incertezze e speranze che mi accompagnavo durante il viaggio di sola andata nuvole dopo un temporale. Per questo la Cooperativa Città Alta è speciale e importante. Perché offre opportunità di lavoro con la corretta attenzione alla dignità di ogni individuo e coltiva ancora valori come l’amicizia, il rispetto, la collaborazione, la lealtà, l’impegno. Per questo quando vi affacciate al pass trovate me o Lhoussaine o Aziz o Ahmed
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per l’Italia mi commuovo un poco. Si sono dissolte come le
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o Lahsen. Trovate persone che han solo chiesto di lavorare e che han ricevuto in cambio la possibilità di migliorare la qualità della propria vita”.
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Massimo e Carlo in un momento di relax
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Un architetto del no profit Sono sicuramente rare le persone che possono affermare di sentirsi fortunate per il lavoro che svolgono. La soddisfazione a cui ci si sta riferendo non è relativa a una diaria da professionista ma bensì alla consapevolezza che la propria attività e le proprie fatiche abbiamo il valore ag-
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giunto della solidarietà e dell’aiuto agli altri. Una di queste persone lavora in cooperativa. È il responsabile del nostro locale Il Circolino. Architetto di trentanove anni, fisico da sportivo, occhi azzurri e viso solare, Massimo Mazza comunica fin da subito il forte legame con questa realtà. Ha cominciato timidamente come animatore al C.R.E. e come operatore per il Servizio Civile ma poi ha ceduto al fascino della Cooperativa Città Alta e se ne è innamorato. Una storia d’amore iniziata nel 1991. “È iniziato tutto giocando. Sì, giocando, come anima-
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tore al Centro Ricreativo Estivo e come appassionato calciatore in una delle squadre della Polisportiva Bergamo Alta. Ero un ragazzo di Città Alta che amava il suo quartiere e ne voleva essere parte attiva, senza cercare divertimenti e diversivi fuori da esso. Così, finiti gli esami della maturità, nell’estate del 1991 mi presentai quasi per caso come animatore per il C.R.E. dei ragazzi, ai tempi proprio gestito dalla Cooperativa Città Alta negli spazi rianimati dell’oratorio di Borgo Canale. Fu 108
un’esperienza importante per me perché venni a contatto con persone nuove, molto accoglienti e preparate, che mi placarono subito la timidezza e quella normale punta di insicurezza di quando sei alle prime armi. Poi riprese la quotidianità di sempre, scandita dal cadenzato cullare del treno sui binari per il Politecnico di Milano e dalle ore spese dando calci ad un pallone durante gli allenamenti alla Fara. Ero però rimasto affascinato dalla gente che lavorava per il Circolino e ne ero diventato avventore e simpatizzante. Ricordo con affetto le mie piccole incursioni nell’ufficio dell’allora direttore Aldo Ghilardi, dopo i pomeriggi
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di studio alla Civica Mai. Due chiacchiere, qualche consiglio, interessi da scambiare, novità da imparare. Ogni estate poi si ripresentava l’esperienza piacevole e arricchente del C.R.E.. Con il tempo, la Cooperativa Città Alta aveva passato il testimone della gestione alla parrocchia, mantenendo con essa un rapporto di stretta collaborazione e organizzando il servizio mensa per i ragazzi del centro ricreativo. La mia vita proseguì così fino all’anno della tesi per la laurea in architettura. Era finito l’obbligo di frequenza alle lezioni, lo studio mi impegnava meno tempo e così decisi di iscrivermi al Servizio Civile. Fui assegnato a Confcooperaticooperazione. La mia vita si incrociò nuovamente con quella della Cooperativa Città Alta. Iniziai lavorando nel servizio di ristorazione, gestito dalla Cooperativa stessa in collaborazione con il Consorzio Sol.Co., durante la manifestazione Happening delle Cooperative nel luglio del 1997 e poi entrai
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ve che mi diede la possibilità di lavorare nell’ambiente della
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nella quotidianità della vita del Circolino. Portavo i pasti agli anziani, curavo il magazzino, mi barcamenavo nelle faccende amministrative, aiutavo il responsabile del loca-
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le in alcune questioni logistiche. Iniziavo a capire questo sistema e a comprendere che non era un esercizio privato ma una realtà popolare che faceva del no profit la propria ragion d’essere. Nessun lucro, nessuna speculazione. Solo la volontà di aiutare le persone in difficoltà e di ridare dignità al tessuto sociale di Città Alta. Mi piaceva l’ambiente sia perché aleggiava un’aria di familiarità sia perché non venivo considerato un numero ma una parte attiva di esso. Un giorno, durante il servizio del mezzodì, il respon110
sabile di allora, Roberto Marcelli, mi chiese una mano per gestire le refezioni. Mi cinsi il grembiule e via. Iniziò il mio lavoro fra i tavoli. Dal rassettare i resti del pasto, a servire gli avventori, a prendere le ordinazioni, a salire sul mitico bancone nero. E così passò anche l’anno del Servizio Civile. Fresco di laurea, mi interrogai sul mio futuro. La risposta è scritta in quello che faccio oggi, il responsabile del Circolino. Tredici anni fa decisi che la strada dell’architetto chiuso fra la polvere degli archivi catastali o sedentario davanti a un computer non faceva per me. Iniziai così la mia attività lavorativa con la Cooperativa Città Alta. Prima affiancando i vari responsabili del Circolino e poi, con il
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tempo, divenendolo io stesso. Devo sicuramente ringraziare il Direttore e il Presidente di quei tempi, Aldo Ghilardi e Roberto Amaddeo, per la grande fiducia riposta nella mia persona e per gli insegnamenti e gli aiuti offerti in questa mia nuova avventura. Sapevo di avere tra le mani una grande opportunità sia per la mia crescita umana e professionale sia per lo sviluppo del grande potenziale custodito dal Circolino. La Cooperativa Città Alta era una grande risorsa per il quartiere, un vero catalizzatore sociale che aveva nel locale il suo polmone principale. storante, migliorandone la qualità e valorizzandone i punti di forza. Una cooperativa sociale che diventasse una vera impresa sociale, dove ogni avventore potesse trovare un luogo dove stare bene, mangiar bene e dare un valore aggiunto al proprio consumo. Ma il mio obiettivo andava anche nella direzione del personale. Gestire le risorse umane di un’atti-
Un architetto del no profit
L’obiettivo prefissatomi era quello di far crescere il ri-
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vità non è uno scherzo, soprattutto quando girano parecchie persone, magari appartenenti a quattro diverse generazioni. Ho sempre cercato di far capire loro il significato del
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tempo speso in cooperativa. Non un semplice lavoro per sbancare il lunario o un’attività sterile e frustrante ma un’opportunità di crescita e di aiuto. Magari non con un ritorno immediato ma comunque con la consapevolezza che lavorare in cooperativa significa soprattutto dare. È un messaggio difficile da far passare, soprattutto a chi si massacra le caviglie con turni pesanti nelle sere d’estate. Occorre innanzitutto creare all’interno del gruppo dirigente e nella struttura stessa del locale un ambiente coe112
so, un clima disteso e armonioso, responsabilizzando tutti e mettendomi per primo in discussione là dove risulti necessario. Il responsabile deve essere il punto di riferimento non solo per la gestione delle problematiche ma anche per il mantenimento di tutti questi delicati equilibri. Non sono mai stato un capo autoritario e impositivo ma un responsabile che salta in campo e lavora insieme agli altri, che sa delegare, che è disponibile verso tutti, che cerca di non essere indispensabile per la buona riuscita del lavoro. La peculiarità dell’ambiente lavorativo del Circolino è il forte legame con il territorio. Siamo un centro di aggregazione per anziani e un punto d’appoggio valido per le giova-
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ni generazioni da sempre. Siamo però altresì fucina di persone che sono cresciute nel quartiere e che hanno iniziato a spendere il loro tempo nelle nostre attività. È per me fonte di piacere vedere che alcuni dei ragazzi che ho allenato o che ho gestito nei gruppi d’animazione al Centro Estivo ora lavorano con me. Sono davvero orgoglioso dei passi fatti dal Circolino in questi ultimi anni. Il ristorante è ormai un punto di riferimento per la cittadinanza bergamasca e ha saputo affrontare con esiti positivi le nuove sfide del settore, promuovendo iniziative sempre interessanti e avanti con i tempi come Da noi girano anche cinquecento coperti nelle sere estive. Inoltre siamo riusciti ad intraprendere una nuova frontiera lavorativa, quella degli inserimenti di persone svantaggiate, provenienti soprattutto dalla realtà del carcere, e quella degli stages di avviamento professionale per minori in difficoltà. Il rapporto consolidato con l’associa-
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le serate a tema o le degustazioni o i pomeriggi culturali.
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zione Carcere e Territorio e con diverse cooperative che si occupano di percorsi formativi, mantiene vive all’interno della nostra attività tutte queste opportunità.
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Sono esperienze che ti assorbono a 360 gradi, non certo semplici. Richiedono impegno, soprattutto dal punto di vista umano. Ma sono sfide giuste, frontiere da superare, perché anche nell’esercizio della ristorazione ci sia quello spessore sociale e umano che contraddistingue la nostra realtà. E soprattutto sono un momento arricchente di incontro e di scambio. Occorre uscire dalla presunzione pietistica che ci porta a sentirci superiori agli emarginati o ai bisognosi. Siamo tutti sullo stesso livello. Come coopera114
tiva offriamo solo una nuova possibilità a chi credeva che la vita l’avesse abbandonato. Chi arriva da noi per essere aiutato si trova poi a lavorare per aiutare altri in difficoltà. Questo è il senso di essere comunità. Penso che la nostra forza più grande stia nel valore di umanità che siamo riusciti a coltivare. Per cui ognuno si sente parte attiva in questo condiviso progetto di rinascita di un tessuto sociale e culturale che passa attraverso il potenziale umano e le relazioni sincere fra le persone. Da chi serve un calicino, a chi prepara la paella, a chi gestisce il turno serale, a chi lavora per tre mesi alla Festa di Madonna della Castagna o per una settimana in Fiera a Mila-
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no, a chi insegna il gioco del calcio o spiega le regole della grammatica italiana a un bimbo africano, a chi porta i pasti all’anziano solo o controlla la contabilità in ufficio. Siamo tutti importanti. Siamo tutti una comunità in cammino. L’essenziale è crederci. Proprio come ho fatto io”.
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Tomaso fra il papĂ Aldo e il sig. Carrara Giuseppe durante una premiazione per un torneo di bocce al Circolino
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Sono cresciuto qui Le radici sono importanti. L’ambiente in cui nasciamo e soprattutto cresciamo diventa un bagaglio fondamentale per l’evoluzione della nostra personalità. A volte si cerca la propria fortuna altrove, come se il taglio del cordone ombelicale richiedesse un distacco totale dalle proprie origini.
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A volte invece il salto fuori dal nido si compie con coraggio e consapevolezza, pur restando nello spazio aereo a sé familiare. Tomaso Ghilardi è nato e cresciuto in Città Alta. Ne ha respirato i pregi e i difetti, ne ha vissuto i cambiamenti, ne ha apprezzato le tradizioni. Ha scoperto la Cooperativa Città Alta dando calci ad un pallone. Era uno dei ragazzi della Polisportiva Bergamo Alta, che amavano trascorrere i pomeriggi tra la polvere di un campo da calcio e gli abbracci sudati per una rete segnata. Ha conosciuto la Cooperati-
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va Città Alta grazie al papà, uno dei Soci Fondatori che ha speso le proprie energie per concretizzare un sogno. Non era certo scontato che Tomaso accettasse l’eredità di pensiero respirata in famiglia. Eppure quell’ambiente sereno e sincero lo ha affascinato. Così le sere trascorse a destreggiarsi fra i tavoli e le richieste assillanti degli avventori hanno iniziato a cadenzare i ritmi delle sue settimane. Da semplice attività stagionale a lavoro vero e proprio. Voluto, cercato, sudato. Tomaso è ora uno dei responsabili 118
che gestiscono il Circolino. Ti accoglie con la sua faccia da bravo ragazzo, quale è, con quell’aria dolce e bonaria che lo rende amato da tutti, con quei gesti semplici di chi in cooperativa si trova a proprio agio. “Sono cresciuto a pane e Circolino. Mi piace usare questa espressione per definire il legame stretto fra me e la Cooperativa Città Alta. Fin da bambino ne ho respirato l’ambiente, riempiendomi i polmoni di un’aria familiare, rassicurante, genuina. Sgambettavo felice quando mio padre mi portava al bar delle vecchie carceri per fare due tiri con le bocce. Adoravo consumare i miei pomeriggi estivi con le attività del Centro Ricreativo all’oratorio in Borgo Canale.
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Sfidavo senza problemi la morsa del freddo invernale, incurante dei geloni e dei raffreddori, durante gli allenamenti al campo da calcio della Fara. Se ripenso ai momenti più significativi che hanno scandito la mia vita, la Cooperativa Città Alta ne ha caratterizzati parecchi. Può sembrare quasi scontato il fatto che il corso della mia crescita abbia preso questa piega. Ragazzo di Città Alta, con genitori impegnati in attività lavorative in Città Alta, amici di Città Alta, svaghi e impegni sportivi in Città Alta. Non è così. Avrei potuto avere anche una reazione contraria, fare fagotto per cercar fortuna fuori dalle Mura Venete. Ad essere sincero tutto è stabilito, senza un’imposizione della famiglia. Ho trovato il Circolino o forse il Circolino ha trovato me. Era l’estate del 2001 quando ho iniziato a dare una mano nelle diverse attività della cooperativa. Non sono
Sono cresciuto qui
avvenuto senza un progetto mirato, senza un disegno pre-
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partito, come quasi tutti, dai tavoli sotto il berceau. Stavo al bar Stile Libero all’interno degli impianti sportivi Italcementi. Un lavoro stagionale durato il tempo di un’estate. Giusto per farmi le ossa da neofito quale ero. Poi ho avuto l’impegno della maturità. Il Circolino allora era per me il
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luogo di ritrovo per una cena con gli amici o un torneo lampo di bocce. Un punto di riferimento nel mio quartiere, uno spazio di convivialità e di familiarità, l’ultimo baluardo sociale in un borgo che si stava vendendo alla politica del lusso e del consumo effimero. Sgomberata la mente dai logaritmi e dalle versioni di latino, mi sono buttato a capo fitto nel lavoro come cameriere. Sfiancante ma appagante. Per il clima lavorativo, per la poliedricità della clientela, per le sfide professionali quo120
tidiane, per il valore aggiunto del tuo servizio. Sono stato rapito da questa particolare atmosfera. Mi aveva conquistato da piccolo per certi suoi aspetti, mi trovava affascinato da adulto per altri. Contemporaneamente crescevo anche all’interno della Polisportiva Bergamo Alta, come calciatore e come allenatore. Due esperienze diverse ma entrambe arricchenti. Coltivi lo spirito di squadra e di sacrificio, nutrendo valori come la lealtà, il rispetto, la condivisione per farne tesoro da tramandare alle nuove generazioni nel ruolo di allenatore. Vieni educato per educare. Con gli anni il mio lavoro al Circolino si è intensifica-
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to, in quantità e in qualità. Da attività saltuaria e stagionale a rapporto lavorativo duraturo. Nel 2007 entro così a far parte dello staff organizzativo del locale. Già, proprio nel 2007. È stato l’anno di un’estate molto lunga e molto calda per noi. Era stata lanciata dai media la notizia bomba che da lì a due anni la Cooperativa Città Alta avrebbe dovuto lasciare i locali di Sant’Agata, di proprietà demaniale. Dopo anni silenti, lo Stato si ricordava di quegli spazi decadenti, di quelle pietre secolari, rivendicandone il possesso. Cosa ne sarebbe stato di quest’ultimo spazio popolare in Città Alta? Dove ori? Chi avrebbe portato il pranzo alle persone anziane e indigenti del quartiere? Che fine avrebbero fatto i ragazzi stranieri assunti da noi? E tutte le associazioni, i gruppi, gli enti con i quali si collabora o ai quali si offre sostegno? E
Sono cresciuto qui
sarebbero andati i pensionati ad arrabbiarsi per un tre di
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i bimbi del doposcuola e della polisportiva? Una tremenda morsa aveva chiuso il mio stomaco. Proprio ora che potevo essere parte attiva nella vita della Cooperativa Città Alta qualcosa di incontrollabile stava spazzando via la storia di una vera comunità.
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Poi è accaduto l’incredibile. Nessuno è rimasto inerme davanti a questo grave problema. I soci, i membri del Consiglio di Amministrazione, i dipendenti, i collaboratori, i simpatizzanti ma anche gli avventori stessi si sono stretti intorno al Circolino, facendo quadrato. Abbiamo organizzato una raccolta di firme in sostegno della Cooperativa Città Alta mobilitando diecimila persone fra la città di Bergamo e la provincia. A sostegno della nostra salvaguardia si sono esposte 122
molte personalità cittadine, politiche ed ecclesiastiche, lasciando le loro testimonianze sui quotidiani locali. Tanta gente si è stretta intorno a noi, convalidando così l’importanza della nostra realtà che non è mai stata una struttura privata ma che si è sempre contraddistinta per il suo ruolo di aggregazione e di attività di servizio verso le fasce sociali più deboli o emarginate dall’ignavia pubblica. È stata la dimostrazione del riconoscimento del valore aggiunto del Circolino. Non era un luogo speciale solo per me. Una mobilitazione pubblica così imponente e un dialogo costruttivo con le parti politiche coinvolte hanno fatto rientrare l’immediatezza del problema benché l’annosa
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questione sul destino di Sant’Agata rimanga ancora sospesa come il crine sottile della spada di Damocle. Da questa esperienza abbiamo tratto ancora più forza e consapevolezza. Siamo cresciuti. Nella coesione del gruppo dirigente e nel coinvolgimento con il personale e con la clientela. È stato il suggello della nostra ontologia statutaria: una cooperativa no profit. Nel frattempo abbiamo lavorato per rendere il Circolino più ristorante con bar annesso che pub con una cucina ristretta. Frutto dei tempi che cambiano, sicuramente. Ma anche legato al progetto di essere competitivi con un culiari. La volontà di migliorare sulla qualità del servizio e dell’ambiente offrendo prodotti scelti di grande livello senza specularvi. Ci siamo lanciati altresì in una nuova esperienza,
Sono cresciuto qui
rapporto qualità prezzo giusto. Anche questo ci rende pe-
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quella delle serate di degustazione, promuovendo, in base alla stagione, i vini di un territorio italiano presentati da un’azienda vitivinicola all’uopo e abbinando ad essi i prodotti della terra tipici della zona d’origine dei vitigni stessi. Visto il successo riscosso durante la prima serata, abbiamo
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abbandonato le titubanze e abbiamo proseguito su questo binario, creando combinazioni sempre nuove. Così oltre alla veterana serata con paella, si sono aggiunti le degustazioni quindicinali, il martedì con carne alla fiorentina e il venerdì per la serata tutta birra. Sono esperienze che ci infondono sempre più coraggio e voglia di sperimentare. Senza dimenticare mai la nostra natura. Una cucina al passo con i tempi, fresca, dinamica, a metà fra il tradizionale e il ricercato, una carta dei vini 124
degna di nota, un berceau accogliente, una sala affrescata ma anche il caro, vecchio bancone nero, la bacheca in legno con i nostri avvisi, il biliardo, l’armadio che contiene le carte da gioco, la fotografia della Polisportiva Bergamo Alta. Tutto questo è il Circolino. Il luogo dell’incontro, della convivialità, del piacere di condividere, delle opportunità di crescita umana e professionale, dell’aiuto agli altri. Il luogo della mia vita”.
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Volere è potere Piccoli uomini crescono. Nella vita e nelle relazioni umane. Forgiandosi il carattere anche nelle incomprensioni e nelle fatiche. Ma investendo il sincero legame di amicizia creato con alcune persone in un progetto più ampio, quello della propria vita.
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“Avete presente la domanda “cosa vuoi fare da grande?”. È una curiosità alla quale non sono mai riuscito a rispondere con sincerità” si racconta Cesare Alleva, pensando al suo ruolo nella Cooperativa Città Alta. Ventinove anni, cresciuto in via Porta Dipinta, una maturità classica in tasca che non guasta mai, sposato da pochi mesi con Gloria, sguardo attento e curioso e un’eloquenza di tutto rispetto. “Sono cresciuto nel quartiere di Città Alta e, come da consuetudine per un abitante giovane del borgo, ho varcato
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Cesare e Massimo durante l'inaugurazione della sala affrescata
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il portone del Circolino come avventore. Dopo la maturità, mi sono iscritto alla facoltà di Lettere e contemporaneamente ho iniziato a lavorare in uno degli esercizi commerciali della zona. Non ero però particolarmente soddisfatto. Forse non avevo ancora le idee ben chiare sul mio futuro o forse non avevo il coraggio di mettermi in gioco seriamente. Nella vita si può scegliere di essere protagonisti o spettatori. Dipende da noi. Da quali opportunità ci lasciamo coinvolgere e quali treni invece preferiamo perdere. Volere è potere. Ma se la volontà viene meno, anche la potenza non si trasforma in atto. to ad avvicinarmi alle attività della Cooperativa Città Alta. Il cerchio delle amicizie ruotava intorno a Tomaso Ghilardi, Massimo Mazza, Roberto Amaddeo.
Volere è potere
In questo dedalo di speculazioni filosofiche, ho inizia-
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Così mi sono lanciato nel ruolo di allenatore nella Polisportiva Bergamo Alta. Aiutavo Massimo con i Giovanissimi, passavo al Circolino per fare due chiacchiere, condividevo con i ragazzi la fine del turno serale. Quel luogo mi affascinava ogni giorno di più. C’era un’atmosfera che mi pervadeva e mi faceva star bene.
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Mi sono buttato. Forse dall’ottavo piano senza ali o forse da un aereo con il paracadute. Ancora non lo sapevo. Mi sono però ritrovato con il grembiule cinto in vita e con tanta voglia di fare ed imparare sotto il berceau del Circolino. Ho cominciato come tutti, con un vassoio pieno di caraffe vuote e con la ghiaia che ti risucchia le caviglie come fosse una palude di sabbie mobili. Questa volta però era diverso. Sentivo in cuor mio di potermi liberare da quella cotta di paure e di diffidenza per iniziare a cambiare e a 128
imparare. Negli anni il mio ruolo ha iniziato a definirsi all’interno del gruppo dirigente dell’attività del ristorante. È un team giovane e coeso. Ognuno con mansioni ben definite ma con una crescita verso l’eclettismo per comprendere a 360 gradi la vita del Circolino. Una vita che non è sempre facile perché caratterizzata da una convivenza con numerosi soggetti, perché è un mondo sempre in divenire nella sua organizzazione, dalla paella, alle degustazioni, a un piatto di gnocchi che cade, perché a volte i ritmi sono serrati, perché il contatto con la gente è una bella scuola di condotta. Ho smussato molto, nel tempo, certi spigoli che ti
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porti come indole e che tendi ad acuminare per difesa. Di questo ringrazio le persone che hanno creduto in me offrendomi questa possibilità. In fondo, è questo per me la Cooperativa Città Alta. Una possibilità. Puoi anche non afferrarla. Ma nel momento in cui entri nella sua realtà, non hai più voglia di tornare indietro. Ti chiede solo una cosa, l’impegno. Perché non è un semplice ristorante ma un’impresa sociale con più di 1.200 Soci. Una cooperativa che trasforma gli utili del nostro lavoro in aiuti per la comunità. È come se io facessi un investimento sul tempo della mia vita. Se capisci questo, continui a dare. Con serietà e Ora so cosa voglio fare”.
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con impegno.
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Particolari dell'affresco
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La Bellezza è lo splendore del vero Da qualche anno al Presidente Ghilardi girava nella testa l’idea di allargare il locale del Circolino, recuperando gli spazi abbandonati della zona una volta adibita ad ambulatorio, paralleli alle sale del ristorante. Ingrandire per creare un salone più ampio e accogliente e per organizzare
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la zona pizzeria con un vero forno a legna. Ottenuti i permessi da Palazzo Frizzoni, si è dato il via ai primi lavori. Ma dopo qualche colpo di martello agli occhi degli operai si è mostrata una straordinaria sorpresa. Faceva capolino fra i calcinacci del controsoffitto un volto affrescato. Consunto dal tempo e dall’usura ma ancora vivido e ben delineato. Il volto di un uomo canuto. E più si sottraeva il capolavoro alle insidie del cemento più apparivano particolari interessanti. Angeli, elementi naturali, lembi di cielo. Era come se, dopo tanti anni, l’affresco volesse ancora
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godere dell’ammirazione altrui. Così è stato. Tanti nasi all’insù per osservarlo, valutarlo, sistemarlo. Dalla Sovrintendenza alle Belle Arti ai restauratori, agli addetti ai lavori, ai curiosi. La Cooperativa Città Alta ne ha voluto fortemente il restauro. Oneroso ma necessario. La sensazione è stata quella di ricevere un dono, come se l’antico monastero avesse deciso di premiarci facendoci omaggio di un tesoro prezioso, meta di una lunga ricerca mossa dal desiderio della Bellezza. 132
La Bellezza è sempre una forza propositiva, costruttiva, sempre in fermento. Amare la Bellezza significa quindi amare una Verità che costruisce, che dà vita a qualcosa di nuovo. Ecco perché davanti allo stupore per questo tesoro nascosto, epifanicamente tornato alla luce, abbiamo avvertito il desiderio di dargli corpo e di riportarlo al suo antico splendore. Ma non solo. La passione che ci ha mosso in tal senso è nata anche dalla consapevolezza che la Verità non può mai restare nascosta ma va suscitata e condivisa con gli altri. La Bellezza contiene sempre un’intima Verità e la Verità non può che generare Bellezza. Ora nel grande salone ristrutturato campeggiano que-
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ste scene bibliche accuratamente valorizzate da un lavoro sapiente di restauro e impreziosite da una delicata cornice d’intonaci. Un uomo anziano siede ai piedi di un albero e osserva rapito il cielo che ospita fra i cumuli nuvolosi l’immagine di Dio e dei suoi Angeli. L’uomo in estasi allunga una mano in cerca di risposte e l’Arcangelo Raffaele offre a lui dell’acqua e una pagnotta per ristorarsi. Spiccano i toni caldi dell’oro, il rosso acceso dei mantelli celesti e il verde intenso della vegetazione. Un dipinto che non ha ancora trovato la sua origine. Gli occhi degli esperti e il loro bagaglio di conoscenze lo collocano a cavallo fra il Seicento e il biblico sia tratto ancora rimane un mistero. Forse narra l’episodio di Tobia ferito da un rapace sulle rive del fiume Tigri e soccorso dall’Arcangelo Raffaele con l’aiuto del giovane figlio Tobiolo. Forse racconta le vicissitudini del profeta Elia e del suo tentativo di fuggire sul monte Oreb in preda ai rimorsi. Il nitore dei particolari conduce ad uno dei due racconti. Sulla datazione, ancora incerta, si fa affidamento
La Bellezza è lo splendore del vero
Settecento. Il tema è di natura sacra ma da quale racconto
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alla storia dell’antico monastero medievale e si riconduce
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l’opera al periodo in cui ad abitar Sant’Agata furono i Padri Teatini, una congregazione di chierici regolari dalla vita austera e dalla dottrina virtuosa. Siamo agli inizi del Seicento. I Teatini arricchirono Sant’Agata di opere pittoriche e iniziarono la costruzione di un complesso conventuale a valle della chiesa stessa. Un cantiere che durò per anni. Tra gli interventi effettuati rientra senza dubbio anche l’affresco ritrovato. Sicuramente né primo né ultimo dei tesori nascosti 134
che il complesso dove risiede il Circolino racchiude. Sicuramente una rara ricchezza che conserva silenziosamente i segreti della storia e che ci tiene ancora e per fortuna legati ad essa. Sicuramente una delle fortunate possibilità in cui conciliare la gola con lo spirito. Non capita tutti i giorni di pranzare sotto la volta di un affresco settecentesco.
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Il Giardino
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Il nostro giardino
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Fra le pieghe della vita Sicuramente pensando al nostro locale Il Circolino la prima immagine che salta alla mente è quella del giardino. Una finestra aperta sulle montagne, gelosamente custodita dalle pareti di una chiesa medievale. Una distesa di sassi e ghiaia riparata da un delizioso berceau in ferro battuto e
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uva canadese, rigorosamente legata a mano. Un luogo di incontro e di gioco, una postazione gradevole per rifocillarsi, uno spazio ameno dove leggere o ascoltare letture. Come per tutte le cose, anche la storia del nostro giardino è il frutto di coincidenze non casuali fra le pieghe della vita di molte persone. Primo fra tutti Demetrio Amaddeo - il signor Mimmo proprietario del ristorante Da Mimmo, una realtà radicata da lungo tempo sul territorio. Calabrese per origine e per passioni ma bergamasco ad honoris causa, Cavaliere di San
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Mimmo nel suo ristorante
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Marco e Cavaliere al merito della Repubblica, Stella d’oro per meriti sportivi, ottimo ristoratore e pizzaiolo, parla volentieri dell’amicizia che lo lega alla Cooperativa Città Alta. “Il mio legame con la città di Bergamo si perde in un giorno d’agosto del 1956. Arrivai con l’autostradale da Piazza Castello e salii nel borgo medievale con la funicolare. A quei tempi lavoravo in centro a Milano come pizzaiolo ed ebbi in sorte la proposta da parte di un avventore di visitare il suo locale in Città Alta per prenderne l’avviamento. La proposta mi solleticò al punto da decidere di raggiungere la città orobica un lunedì di riposo. Solo mia moglie era riinvestimento avventata. Invece mai decisione fu più fausta. Rilevai l’attività di un piccolo esercizio di pizzeria in via Bartolomeo Colleoni. Inizialmente Città Alta, a differenza della parte bassa, mi sembrava più tetra e fatiscente. Un gioiello di tesori della storia passata lasciato nell’oblio
Fra le pieghe della vita
masta un po’ scettica per la paura di compiere una scelta di
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per ignavia e incuria. Mi misi subito al lavoro, cercando di attirare nel mio nuovo locale i bergamaschi della zona. Era il tempo della fortunata trasmissione Lascia o Raddoppia di Mike Bon-
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giorno e il giovedì sera la gente si assiepava nel mio piccolo ristorante per seguire il programma televisivo, gustando quello che per loro, abituati ai sapori della polenta e dei brasati, era una novità, la frittura di pesce. L’attività cominciò a funzionare, la mia fama superò i confini della Mura Venete e i clienti divennero numerosi. Troppo numerosi per quegli spazi. Decisi di trasferirmi nei locali dove attualmente si trova il mio ristorante. Ai tempi si trattava di un luogo decadente, trascurato ma con un 142
ampio spazio verde dove erano stati creati cinque campi da bocce. Era il Dopo Lavoro di Città Alta. Facendo grossi sacrifici e sforzi economici, riuscii a ristrutturare lo stabile adeguandolo alla sua destinazione d’uso e negli anni successivi ne divenni il proprietario. Sistemai anche l’area esterna, posizionandovi alcune giostrine per i bimbi degli avventori e occupandomi della manutenzione del verde. Tanti sacrifici, una moglie adorabile e instancabile dedita al lavoro e alla famiglia, sette splendidi figli, tante soddisfazioni sia nel campo della ristorazione sia nei rapporti umani. Ho visto crescere e cambiare il quartiere di
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Città Alta, ne ho respirato la miseria e le fragilità, ho cercato di rispondere, laddove le mie risorse lo permettevano, alle varie richieste di bisogno, ho voluto essere parte attiva di questa realtà. So cosa significhi vivere con la paura di non riuscire ad avere almeno un pasto decente a fine giornata. Da Reggio Calabria sono partito anch’io come tanti con la famosa valigia di cartone legata con lo spago. Ricordo ancora con piacere i pomeriggi domenicali in cui nel mio ristorante facevo accomodare gli ammalati del quartiere o i residenti sfrattati dalla terribile legge 167 della città bassa. Mi organizzavo per il loro trasporto, partecipavo con loro alla Santa Messa al Carmine e poi offrivo un momento di convivialità con una lieta merenda nel mio locale. Per quarantaquattro anni sono riuscito a mantenere questa tradizione che per me significava sia una forma di
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e riparati nelle case di riposo o nelle abitazioni popolari
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gratitudine verso il popolo bergamasco che mi aveva accolto sia la naturale e spontanea condivisione con gli abitanti del territorio, che doveva tradursi per me in sostegno e aiuto reciproco. Nessuna forma di solidarietà falsa e orchestrata
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per lavarsi la coscienza o per avere dei riconoscimenti. Con lo stesso spirito ho organizzato per tanti anni di seguito il pranzo di Natale presso la casa circondariale di Bergamo. Mi recavo personalmente e offrivo anche piccoli doni ai detenuti e alle guardie carcerarie. Chi pensava a loro? Poi un’altra doccia fredda per Città Alta. Il divieto da parte dei locali della zona ai residenti di sostare per giocare a carte. La fruizione doveva essere veloce e di massa. Gli 144
anziani davano quindi fastidio. Era una situazione critica che richiedeva un intervento risolutorio. Questo intervento non tardò ad arrivare. Si chiamava Cooperativa Città Alta. Uno spiraglio positivo per salvaguardare il tessuto storico e sociale del quartiere. Uno spiraglio che con il tempo divenne una breccia ampia e significativa, grazie al lavoro impagabile di molti aderenti che credevano tenacemente in essa. Anch’io ho sempre apprezzato e sostenuto il ruolo sociale della Cooperativa Città Alta. Uno dei miei figli, Roberto, ne è stato per lungo tempo il presidente. Si è creato da subito un rapporto di rispetto e di collaborazione. Il Circolino ha iniziato a crescere, a trovare un’ade-
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renza salda al tessuto sociale del territorio, ad essere capito e conosciuto. Per migliorare la sua attività aveva però bisogno di allargare gli spazi, magari anche utilizzando l’area esterna prospiciente che a quei tempi avevo io in concessione dal Comune. Non tardai a farmi avanti per interrompere prima del tempo il mio contratto con Palafrizzoni e sveltire così l’usufrutto dell’area verde per Il Circolino. Era una scelta giusta. Una scelta maturata senza remore o indecisioni. Una scelta proiettata al futuro di Città Alta e dei suoi abitanti. Senza l’intervento della Cooperativa Città Alta il quared effimero, cancellando le tradizioni per un nuovo senza costrutto e valori, basato sull’individualismo e sulla becera separazione fra ricchi e poveri. La Cooperativa ha permesso a Città Alta di riprendersi la sua dignità, le sue vecchie funzioni con uno sguardo alle novità, di rivitalizzare i rap-
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tiere con il tempo sarebbe divenuto sempre più anonimo
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porti fra gli abitanti, di recuperare la forza per mantenere vivo il senso civico di appartenenza”.
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Il sig. Mazza all'opera nel giardino
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Basta alzare un poco lo sguardo e osservare bene le foglie e i chicchi dell’uva del berceau per accorgersi di quale sapiente e certosino lavoro abbia permesso una tale rigogliosa fioritura. Mani esperte e un cuore generoso sono il segreto della pulizia e dell’aspetto curato del nostro giardino. Un cappello di paglia, occhi azzurro cielo, parole scucite a fatica, forza e tenacia da vendere. Tutto questo è Alessandro Mazza, per tutti il signor Mazza, il nostro giardiniere d’adozione, un socio che da sempre crede nella Cooperativa Città Alta e ne partecipa attivamente offrendo il suo tempo e la sua esperienza. perficie calpestata era solo un fazzoletto di ghiaia dove erano stati ricavati alcuni campi per le bocce, trasversali all’ingresso del vecchio monastero. Tutto intorno la mano della natura aveva creato siepi e sterpaglie aride, dimenticate da tempo. In quello spazio angusto si svolgevano le attività del
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“Ricordo questo spazio fin da ragazzo. Ai tempi la su-
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Dopo Lavoro di mussoliniana memoria, rigorosamente dedicate agli uomini. Chi avrebbe mai pensato che dopo più di quarant’anni sarei tornato in quest’area ormai divenuta giardino a col-
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La vita sotto il berceau
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tivare e intrecciare i pampini e i tralci dell’uva canadese o a pulire i resti di serate affollate. Eppure è andata proprio così. Abbiamo sistemato la pavimentazione, ripulendo bene lo spazio e gettando ghiaia calpestabile; abbiamo divelto gli alberi più sofferenti per le radici compromesse e abbiamo cercato di restituire un aspetto pulito e ordinato perché potesse essere adibito a ristorazione. E poi sono arrivati gli archi in ferro battuto da abbellire e decorare con i tesori della natura. Così al posto delle giostrine che precedentemente abitavano l’area, sono comparsi i primi tavoli. niere ha offerto il talento necessario per investire le energie nella sistemazione e manutenzione dell’area verde del Circolino. Ma non è stato l’unico motivo. L’amicizia e la stima con le persone che avevano fondato la Cooperativa Città Alta mi ha decisamente spronato a dedicare il mio tempo a
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Sicuramente la passione per il mio lavoro da giardi-
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questa realtà. Sono naturalmente anche uno dei frequentatori più assidui del locale. Una partita a briscola non me la toglie nessuno! Dicono pure che io sia uno dei più animosi du-
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Il nostro Vicepresidente Antonio Marchetti
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rante il gioco. Riconosco quindi il grande valore che la Cooperativa riveste nel territorio di Città Alta. Apprezzo l’aiuto che ha sempre offerto alla cittadinanza e ne sostengo l’esistenza e la sopravvivenza come unico vero baluardo di aggregazione e di socializzazione. La gente si trova bene al Circolino, non solo perché ristorante a prezzi giusti e di buona qualità ma anche e soprattutto perché punto di ritrovo dove masticare qualche ora insieme senza fastidi e fra amici. Penso che ci sia una forte affinità fra il mio mestiere e l’attività della Cooperativa Città Alta. Nel senso che enabbiamo come finalità il benessere di altre creature”.
La vita del giardino non è scandita solamente dai rintocchi del campanile della chiesa del Carmine e dai raggi
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trambi mettiamo cura e passione nel nostro lavoro perché
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del sole che fanno capolino fra le foglie ma anche dalle voci animose e concitate dei soci più anziani che rumoreggiano per un due di ori o per una partita a bocce. Il giardino sono soprattutto loro, i nostri anziani, che trascorrono le
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ore di un pomeriggio estivo con uno dei giochi più semplici e antichi del mondo. Si scambiano commenti e pensieri, alleviano il tedio di ore interminabili, masticano insieme un po’ di quotidianità, dispensano sorrisi e battute, fra di loro ma anche con gli avventori più giovani o con il personale. Sicuramente chi vive intensamente l’esperienza del giardino, soprattutto da quando è in pensione, è il nostro Vicepresidente, Antonio Marchetti. Settantasei anni e non sentirli, tempra forte, uomo di spirito, figura fondamentale 152
nella realtà della Cooperativa Città Alta, ti accoglie con la sua semplicità e la sua simpatia, cadenzate da un vernacolo allegro e dinamico. “La Cooperativa Città Alta è la mia seconda casa. Vi trascorro parecchie ore della mia giornata, gustando le diverse sfumature che la vita del Circolino offre. Al mattino metto piede in cooperativa mezzora prima dell’orario di apertura. Mi siedo al solito tavolo vista bancone, sbirciando qualche notizia dai quotidiani freschi di posta che vengono messi a disposizione. Mi piace godere degli attimi che ai normali clienti non sono concessi. Quei deliziosi frammenti di quotidiani-
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tà che rendono familiare un luogo. Allora mi lascio ipnotizzare dall’andirivieni dei cuochi con la testa nascosta da cesti di insalata o da una cassetta di pomodori; mi lascio stordire dalle chiacchiere delle signore appena arrivate e già affaccendate; mi lascio avvolgere dall’energia dei giovani che, cinto il grembiule, si apprestano al servizio. Ciascuno saluta insieme a me l’inizio di una nuova giornata. E poi c’è sempre qualcosa da fare all’occorrenza. Dalla lattaia per panna, uova e latte, al fruttivendolo per il prezzemolo dell’ultim’ora, al panettiere per qualche un socio della Cooperativa Città Alta per me significa proprio questo. Vivere la cooperativa. Senza azioni eclatanti o impegni di rappresentanza. Ma con aiuti semplici e quotidiani. Come quello di portare i pasti a chi non ha più la fortuna di riuscire a fare la spesa.
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baguette. Anch’io mi rendo utile. E mi piace farlo. Essere
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Lavorare in cooperativa fa pensare. Ti offre la possibilità di cambiare l’orizzonte della tua visuale. Pensi anche agli altri. Cosa che non è così scontata né così banale. A mezzogiorno in punto saluto il caos dei muratori o
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dei turisti e mi dirigo verso casa, a volte facendo tappa da qualche anziano per la consegna del pasto a domicilio. Puntuale però nel primo pomeriggio varco nuovamente il portone di legno e sorrido ai lavoratori che stanno per avvicendarsi nel turno. Ho il mio appuntamento con il gioco delle carte e con gli amici di sempre. A dirla tutta mi sono avvicinato alla cooperativa proprio perché oramai nel quartiere era divenuto l’unico spazio in cui ritrovarsi. Per me è così ancora oggi. Forse il numero dei tavoli occupati dagli incalliti giocatori di scopa è andato diminuendo con gli anni ma lo spirito con cui si tovaglie verdi del gioco per qualche colpo di scena a fine partita è sempre quella di un tempo. Dietro di noi fanno capolino gli spettatori. Alcuni sono solo curiosi, altri magari aspettano di iniziare il turno nella nostra cucina o in quella del ristorante accanto.
Fra le pieghe della vita
arriva qui è lo stesso. E la grinta con cui ci si affronta sulle
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Le ore si srotolano così fra discussioni interminabili e chiacchiere estemporanee, rigorosamente scandite dai rintocchi del campanile del Carmine. Ci conosciamo tutti. Questo dona quel sapore di casa e di familiarità che fa sen-
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tire tuo un luogo. L’appartenenza non è indice di possesso, secondo me, ma di condivisione e di partecipazione. Per questo, offro volentieri il mio tempo e la mia esperienza anche come membro del Consiglio di Amministrazione. Mi sento parte attiva di questa peculiare realtà. Non esiste nulla di simile. La squilla di sera intonata dai battagli delle vecchie campane mi riporta a casa. Forse ci sarà un terzo momento della mia giornata da dedicare alla Cooperativa, la cena con 156
i familiari in un angolo del berceau o del salone affrescato. Non sono la mancanza di fantasia o l’indolenza verso ciò che non è abitudine a spingermi così spesso al Circolino. Sono la semplicità e la bellezza del luogo ad incantarmi sempre, come se ogni volta fosse la prima. È difficile da rendere a parole ma ritengo che oggi giorno, in una società sempre più popolata dai falsi perbenismi e da una cultura del mordi e fuggi, sia difficile trovare un’oasi di genuina quotidianità come la Cooperativa Città Alta. Un ambiente piacevole e positivo costruito e continuamente alimentato da persone che hanno scelto di valorizzare e di tutelare innanzitutto le relazioni umane e gli intrecci di vite”.
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Letture amene sotto il berceau Capita spesso in quei tiepidi pomeriggi di inizio estate di aver solo voglia di oziare. È un desiderio che prima o poi colpisce chiunque, anche il più indefesso stacanovista. Allora, se si ha la fortuna di vivere in Città Alta o di passeggiare per il borgo in cerca di quiete, si può decidere di sostare
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per una bibita fresca all’ombra del berceau del Circolino. Qui sembra che il tempo si sia fermato. Niente caos, nessun odore di traffico e di nevrosi, nessun suono oltre i decibel consentiti dalla nostra tolleranza. Solo voci confuse che rimbalzano fra i tavoli come in una vecchia osteria. Solo il suono del vento che gioca fra i pampini dell’uva. Solo i rintocchi di un campanile vigile che scandisce la lentezza delle ore. È un piacere raro lasciarsi cullare da questa atmosfera da Eden ritrovato. Capita anche di essere ridestati da questo torpore esti-
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Alcuni momenti della rassegna "Letture Amene sotto il berceau"
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vo da parole nuove, curiose, interessanti, solo più prepotenti di quelle sussurrate agli altri tavoli perché amplificate dall’astuzia di un microfono. Se si tende meglio l’orecchio ci si accorge che si sta parlando di libri. Si stanno leggendo passi tratti da libri. Si sta conversando, proprio come fra amici, di libri. È l’angolo delle Letture Amene sotto il Berceau. Un momento speciale in cui incontrare scrittori che han voglia di parlare, di loro stessi e delle loro pagine pubblicate, in un’atmosfera più intima e familiare di quella delle piazze. Allora sotto i bianchi ombrelloni da caffè, sullo sfonte e momenti di intensa emozione. Ogni anno ci si dà appuntamento sotto il pergolato del Circolino per festeggiare l’inizio dell’estate con la lettura. Un momento che accompagna i pomeriggi della Cooperativa Città Alta ormai da sei stagioni. Tutto magistralmente condotto dalla professionalità e dal talento della professoressa Mimma Forlani. Qui sono arrivati scrittori ed editor, qui si sono ricor-
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do di un esotico cannucciato, trovi chiacchiere, amici, risa-
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dati autori di pagine importanti come i compianti Giorgio Messori, Giuseppe Pontiggia, Sergio Ferrero, Mahmud
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Alcuni momenti della rassegna "Letture amene sotto il berceau"
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Darwish, Edoardo Sanguineti, qui si sono incrociate vite e pensieri, qui si è dimenticato tutto per lasciar entrare solo la forza della scrittura e della poesia. Anche in questa circostanza sembra che i confini del tempo e dello spazio si siano dissolti. Improvvisamente ti trovi proiettato in scenari sconosciuti eppure così familiari, dalle curiose avventure nel paese di Tolintesàc, alla fatica educativa ma appagante della Città dei Ragazzi, ai viaggi rocamboleschi e surreali nelle terre baltiche, alle note 162
struggenti di amori perduti o impossibili, alle memorie nostalgiche della propria patria travolta dalle guerre, ai travagli delle dicotomie dell’anima, al fascino semplice che può avere la meravigliosa avventura della propria quotidianità. Tante storie, diverse e arricchenti, che ci tengono legati gli uni agli altri con quel filo rosso intangibile, che crea, fra lettore e scrittore, un’intima amicizia. In fondo - diceva bene Pennac - nell’invisibile cittadella delle nostre libertà noi siamo abitati da libri e da amici.
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Fuori dalle Mura
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Il Circolino, Natale 2003 Pippo, Ferruccio e Hassan
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Al centro di tutto la famiglia Alle porte di Bergamo, lungo la strada per Brusaporto, circondato da dolci declivi e da casette basse e ordinate, ci si può imbattere in un ristorante pizzeria dove, fino al 2007, campeggiava il logo della Cooperativa Città Alta. Oggi il cerchio bronzeo realizzato nella fucina del fabbro
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Scuri ha lasciato il posto ad un’insegna colorata e dinamica ma l’anima e i valori della nostra cooperativa sono rimasti. Si tratta dello Sporting Tomenone, un’attività di ristorazione nata nel 1997 all’interno del centro sportivo comunale di Brusaporto. La scelta di aprire un nuovo ristorante nasceva dalla volontà di ricreare fuori dal colle di Città Alta una realtà simile alla nostra cooperativa, una struttura che non fosse solamente un punto di ristoro ma un vero catalizzatore sociale per la comunità del paese di Brusaporto. Mai pro-
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spettive furono più rosee. Il responsabile del Tomenone ha saputo negli anni creare un vero dialogo con l’Amministrazione locale e con le diverse agenzie ivi operanti, costruendo un rapporto reciproco di stima e di collaborazione attiva nella vita del paese. Sicuramente la fiducia del Consiglio di Amministrazione della Cooperativa Città Alta è stata ben riposta in questo giovane di Castagneta, classe 1973, un curriculum da pizzaiolo e da allievo nella Polisportiva Bergamo Alta. 168
Occhi vispi, una passione per l’Atalanta e per il suo Edoardo, il fiuto per gli affari e soprattutto un grande cuore. È Filippo Musitelli, per tutti Pippo. “La Cooperativa Città Alta è stata per me una sfida. Sicuramente una delle più grandi della mia vita. Ho dovuto decidere a 24 anni e ho dovuto decidere in fretta. Lavoravo come pizzaiolo ma cercavo altro. Non posso che ringraziare i membri del Consiglio della Coop (mi piace chiamarla così) e in particolare Aldo Ghilardi per aver creduto in me e avermi offerto questa grande opportunità. Nel 1997 il locale non era grande e spazioso come si presenta oggi. Avevamo solo un angolo per la pizza, una
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piccola cucina, il bancone per il bar e sette tavoli. Che fatica. Il nostro progetto era di ampliare gli spazi per creare un ristorante a portata di famiglia affinché il ritrovarsi a tavola non fosse un frugale incontro ma un momento di festa e di gioco per genitori e figli. Con il tempo la struttura si è allargata annettendo una veranda chiusa, un giardino con alcuni giochi per bambini e la pista per due corse con i roller. Naturalmente venire incontro ai bisogni e alle esigenze di un nucleo familiare avviene anche regolamentando i prezzi e cercando così di offrire una buona qualità nel servizio e nel pasto ad un prezzo competitivo e agevolato. La stessa Con il tempo mi sono fatto conoscere alle diverse realtà che operano nel tessuto di Brusaporto, dalla Parrocchia, al Comune, alle associazioni volontaristiche e sportive, ai privati. Abbiamo realizzato insieme tanti momenti importanti per la comunità. Ricordo il Capodanno festeggiato con le persone del
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politica del Circolino.
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paese, le feste per le famiglie organizzate nel nostro giardino in collaborazione con il Comune, le attività sportive condivise e seguite. E poi come non citare - in occasione
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della festa dello sport - la Mangialonga, una camminata non competitiva per le colline del paese con diverse stazioni per rifocillarsi con i piatti preparati da noi. Abbiamo sfamato più di 2000 persone ad ogni evento. Mi piace però sottolineare che lo Sporting Tomenone non ha mai perso i contatti con Città Alta e con la cooperativa. Anzi, oltre ad avere un continuo dialogo e una forte sinergia d’intenti, si sono create strette collaborazioni nelle diverse attività. Basti citare l’Happening delle Cooperative 170
al Lazzaretto o il Capodanno del 2000 nel centro di Bergamo o la manifestazione L’Artigiano in Fiera o ancora il punto di ristoro presso la festa di Madonna della Castagna. E, sempre all’interno di un progetto mirato ad offrire alla cittadinanza e agli enti pubblici servizi di qualità e di solidarietà, abbiamo contribuito all’avviamento e alla gestione di un servizio mensa per fornire pasti giornalieri ai numerosi CSE e DAY CARE di Bergamo e provincia. Le contingenze hanno portato a diverse dislocazioni per questo tipo di attività. Nonostante ciò, abbiamo continuato a crederci e a lavorare alacremente per mantenere vivi il servizio offrendo sempre il meglio.
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Poi la svolta. È il 2007. La vita torna a chiedermi una scelta. Difficile ma avvincente. Dopo dieci anni di direzione delle attività del ristorante a nome della Cooperativa Città Alta, mi viene proposto di rilevare l’esercizio divenendone il gestore. Un grande gesto di stima e di riconoscimento per il lavoro svolto negli anni. Un’occasione per mettermi in gioco, accettando la sfida dell’incognita del futuro, soprattutto in un periodo come quello della fine del decennio scorso che si stava avviando verso una crisi planetaria del sistema economico. Mi sentivo le spalle coperte. Dall’esperienza acquisita, dai rapporti consolidati con le amministrazioni della stessa nei miei confronti. Non nascondo i dubbi, le fatiche, gli scoramenti iniziali. Ho voluto coinvolgere i miei familiari in questa nuova avventura. Insieme abbiamo costituito la cooperativa Tomenone, abbiamo investito non solo i nostri capitali ma anche e soprattutto le nostre forze, i nostri talenti, il nostro
Al centro di tutto la famiglia
locali, dalla scuola di pensiero della Coop e dal sostegno
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tempo. Tempo per gli altri, per la comunità del posto, per le famiglie che ci hanno sempre apprezzato e sostenuto, per le associazioni locali. Un tempo speso con entusiasmo per
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realizzare i nostri sogni. Un tempo che non si perde ma che si riempie perché investito nella costruzione e nella tutela delle relazioni umane. Di questa consapevolezza non posso che ringraziare la Cooperativa Città Alta tutta. Per me è stata una vera scuola di vita”.
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Metti un pomeriggio d’estate Fino a dieci anni fa gli italiani facevano le ferie come si deve. Serrande abbassate, case silenziose, strade deserte. Un lungo torpedone verso le località di villeggiatura, il bollettino meteo sempre puntuale a promettere canicola da solleone, il TG ad utilizzare parole di antica origine biblica
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come esodo e controesodo. Restavano solo gli anziani a vigilare sulle città dimezzate. Niente vacanze per loro. Solo qualche panchina all’ombra dei platani nei parchi, solo qualche cantiere urbano en plein air da ispezionare come un vero capoarea, solo il fruttivendolo o il panettiere aperti mezza giornata dove trovare il fresco di una chiacchiera. I più fortunati riuscivano a raggiungere piccole isole di tranquillità nel cuore cittadino o ai lembi delle periferie per poter passare le ore estive con il gioco delle carte o con il lancio delle bocce. Poche strutture organizzate e non suffi-
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Carlo Piazzalunga e Laura Solivani durante la festa
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cienti per l’intera cittadinanza. Una situazione che doveva essere migliorata. Perlomeno valorizzando le potenzialità che una città come Bergamo aveva in seno. Una soluzione valida venne proprio dall’Amministrazione Comunale che, all’interno di un ricco calendario di iniziative mirate ad abbattere il tedio estivo dei non vacanzieri, decise di valorizzare un punto di ritrovo rinomato, ma poco strutturato, di proprietà parrocchiale. Madonna della Castagna. Un bellissimo cammeo di pace e di relax protetto dal bosco millenario e dal santuario mariano che chiama a sé sempre molti fedeli. Trovato il luogo, occorreAlta era il partner ideale. Univa alla competenza nel campo della ristorazione il ruolo, ormai consolidato e riconosciuto, di catalizzatore sociale, votato al benessere dei cittadini, soprattutto anziani e indigenti. Un connubio felice e duraturo, che, a distanza di dieci anni, vede ancora il consenso e l’apprezzamento dei bergamaschi e dei “forestieri”.
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va trovare l’organizzatore del luogo. La Cooperativa Città
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Con il tempo si sono migliorate le attrezzature e le strutture per rendere il punto di ristoro sempre più funzionale. Cucina tipica, panche in legno, un tetto di foglie e
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Il punto di ristoro presso Madonna della Castagna
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frasche. Per tre mesi d’estate c’è festa nei pressi del santuario della Castagna. Non è però solo il momento del pranzo o della cena a caratterizzare il luogo. Perché questo evento estemporaneo che cade nel periodo estivo non è una semplice sagra. È un punto di ritrovo per chi non vuole la solitudine come compagna. Ogni giorno si popola di incalliti giocatori di carte, di allegre tombolate fra amici, di ciclisti amatoriali che fanno tappa per un caffè, di famiglie che detestano boccheggiare in casa per il caldo. “Il momento più piacevole sono i pomeriggi musicali” racconta Carlo Piazzalunga, il responsabile del punto di un gelato. Ragazzo d’oro della Cooperativa Città Alta per zelo, bonomia e alacrità, cresciuto a pane e calcio in Borgo Canale e ora patito delle corse in bicicletta a prova di palmer, Carlo lavora nello staff del Circolino da parecchio tempo ormai. “È da tre anni che scendo dal colle di Città Alta per
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ristoro, mentre armeggia con gli spicci da dare di resto per
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fare la stagione estiva qui alla Madonna della Castagna. Ne guadagno senza dubbio in salute, visto il nitore dell’aria, ripulita dal caos e dallo smog da questi alberi secolari. Ne
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guadagno altresì in spirito. C’è una dimensione diversa da quella che respiri in città. Sembra di essere catapultati in un’altra realtà. I ritmi sono concitati solo al momento del servizio delle refezioni quando la gente si allinea, come tante formiche, dietro il bancone del self service. Le azioni ripetute meccanicamente sui vassoi o al ricevitore di cassa scandiscono le ore centrali del pranzo e della cena. Poi arriva il clima più lento e disteso del pomeriggio. Le partite a briscola o a scopa, le chiacchiere informali, la 178
birretta sorseggiata con gli amici, la concitazione di una tombolata, le note piacevoli di qualche maestro da balera. Questa è la festa alla Madonna della Castagna. Il ritrovarsi per condividere una fetta di vita, gustandone naturalmente la parte migliore. Si è sempre a tempo per arrabbiarsi nel traffico, stordirsi con troppe ore di computer, inacidirsi per un malinteso, agitarsi fra le cose da fare dimenticandosi di dedicarsi a sé e ai propri cari. Non qui alla Castagna, dove sembra che il tempo si sia fermato. È il paese dei balocchi dove la gente si incontra per stare bene e divertirsi con la semplicità e la genuinità delle cose di una volta.
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Ogni tanto mi fermo dopo il servizio del mezzogiorno per vivere il momento di festa che esplode durante un pomeriggio musicale. Basta una tastiera, una musica da balera emiliana della buona tradizione, una pista spaziosa per tutti, alcuni amanti del liscio o degli impavidi della danza e il gioco è fatto. È un piacere restare coinvolti in questa atmosfera chiassosa ma mai fastidiosa. L’allegria delle note contagia tutti. E la vertigine per una giravolta di troppo ti lascia quella gradevole sensazione di ebbrezza che fa perdere il senso del tempo che passa. Il lavoro però mi richiama all’ordine. Bisogna organizzare il turno della Alla fine dei tre mesi sei distrutto ma sicuramente ripensi a questa esperienza lavorativa con piacevole soddisfazione. Per il clima conviviale, per la bellezza del luogo, per la simpatia dei più, per il legame d’affetto che si crea con i pensionati aficionados, per il valore aggiunto che un semplice punto di ristoro può avere in questo contesto, per
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cena. Rane fritte o costine, come chiede la tradizione.
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le atmosfere da amarcord. Lascia tanto anche a me lavorare alla festa di Madonna della Castagna. E di questi tempi ritengo che sia una vera fortuna”.
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Bergamaschi in fiera La periferia milanese ha sempre quel triste aspetto di degrado e fatiscenza che ti lascia un po’ d’amaro mentre pensi a come riescano a viverci i suoi abitanti. I filari di case ingrigite dallo smog ti accompagnano lungo tutto il percorso delle tangenziali. A volte la lunga teoria di palazzi
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è spezzata dalle insegne pubblicitarie al neon. Poi l’autostrada di porta via e ti conduce verso altri scenari. Il nuovo polo fieristico di Rho-Pero campeggia in mezzo al nulla, circondato solo dalla maglia intricata dei raccordi d’asfalto. Una cattedrale nel deserto, che offre molte possibilità di svago e di lavoro. Cosa può accomunare questa dimensione così metropolitana con le soavi atmosfere del Circolino? Basta mettere il naso nei padiglioni della fiera milanese durante il ponte di Sant’Ambrogio. Allo spettatore curioso si offre tut-
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Pippo e Tommy
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to il brio della manifestazione L’Artigiano in Fiera, una settimana di stand con i prodotti di tutte le regioni italiane e di parecchie terre del mondo. Colori, profumi, usi e costumi ammaliano chiunque. Nelle ore del pranzo può capitare che le papille olfattive del naso preferiscano captare le penetranti note di una polenta con funghi o di un piatto invitante di casoncelli con pancetta. La scia profumata conduce l’avventore rapito davanti ad un padiglione con i colori della città di Bergamo. Alzando le teste si scorge una grande insegna dipinta di rosso e di giallo. È il Ristorante Bergamasco. Osservando volti di Massimo, Tomaso, Cesare, Ferruccio, Carlo, Laura, Chiara o Angela. I volti del Circolino. La Cooperativa Città Alta ha aderito a questa nuova sfida fuori dalle amate Mura Venete per portare un po’ di sé e un po’ della tradizione
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meglio il movimento fra i tavoli, si possono riconoscere i
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culinaria bergamasca a chi ne è profano. Ormai ci si avvia al sesto anno. È una settimana intensa e faticosa ma questo non spaventa gli impavidi e indefessi lavoratori del Circolino. Tutto è ben gestito e organizzato. I tavoli ruotano veloce-
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Carlo, Massimo, Simone, Lhoussaine
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mente, piatti fumanti di stufati o di pappardelle al ragù escono dalle mani veloci dei cuochi, calici di vino scendono in gola che è un piacere. Fra un turno e l’altro si può trovare il tempo per curiosare fra le meraviglie del Bel Paese o del resto del mondo. E poi di nuovo via. Grembiule in vita, gambe scattanti, sinergie di ritmi. Dopo le nove e mezza la gente inizia a scemare. Calano le energie e la voglia di rincasare con le caviglie a pezzi e le braccia cariche di pacchi contagia i più. Gli acquisti per lo scambio dei regali sotto l’albero sono stati fatti. “Missione compiuta” è il leitmotiv che accompagna il rientro cuno ancora si attarda nei padiglioni. Sono i ragazzi - i nostri ragazzi - che siedono stanchi e soddisfatti tutti intorno ad un tavolo. È il momento più bello. Quando l’adrenalina cala per lasciar spazio all’ilarità di uno scambio di battute
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lento del serpente luminoso lungo l’autostrada. Ma qual-
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fra amici. E quando si deve aggiungere un tavolo in più per condividere la propria cena bergamasca anche con gli espositori degli stand vicini. L’esperienza in fiera è arricchente sia dal lato professionale sia dal lato umano. Offre alla Cooperativa Città
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Alta la possibilità di farsi conoscere in tutti i suoi aspetti e di proporre le proprie peculiarità sia nella cucina sia nel servizio. Consente però e soprattutto un continuo scambio nella, non sempre facile ma essenziale, convivenza con culture diverse, siano esse internazionali che della provincia limitrofa. Conoscere è sempre un’esperienza che arricchisce. Inoltre permette al team del Circolino di rafforzarsi, di trovare coesione nella collaborazione, di crescere professionalmente e di consolidare capacità organizzative ben 186
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assodate. L’unione fa la forza. Sempre.
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Dentro le Mura
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Oreste Fratus in Brasile per sostenere "Gli Amici di Padre Pedro"
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Cooperativa e solidarietà Fratus Oreste, classe 1950, nato e cresciuto fra le Mura Venete, un’attività lavorativa da bancario, una presenza attiva nella parrocchia e nelle associazioni di volontariato, coltivando da sempre uno spirito di servizio in aiuto dei più bisognosi, in particolare delle persone anziane.
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Una fede profonda e concreta e una sensibilità attenta e aperta lo portano ad essere uno dei punti di riferimento sia sociale sia politico nel quartiere. Il suo nome si perde nei libri della compagine sociale della Cooperativa Città Alta fra quelli ancora redatti a mano con quella grafia meticolosa che sa di antico. Ricorda ancora bene le origini della cooperativa in un periodo difficile per il tessuto sociale di Città Alta. Basti sapere che “All’inizio degli anni ’80 nel quartiere di Città Alta esistevano molte persone anziane e indigenti con po-
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chi spazi di ritrovo a disposizione. I caffè e i bar di allora sopportavano malvolentieri la presenza di anziani all’interno dei loro locali. Tale problema era agli occhi dell’intera cittadinanza. I rappresentanti delle forze politiche ben operanti sul territorio decisero di collaborare fra loro per creare un luogo che fosse un punto di ritrovo nel quartiere di Città Alta aperto agli anziani e ai meno abbienti ma anche ai giovani e agli studenti. Nasceva così l’idea della Cooperativa Città Alta, un punto di ristoro con nessun colore politico ma con la semplice pretesa di accogliere senza l’obbligo della consumazione la gente del Mi sono sentito subito affine a questa realtà nascente. Non solo perché la compagine sociale era formata da amici e da persone di stima ma anche perché finalmente si stava realizzando un vero catalizzatore sociale in grado di prestare aiuto e attenzione alle persone più disagiate del quartiere. In un momen-
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quartiere.
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to delicato in cui gli interessi della società iniziavano a riversarsi in direzioni ben differenti da quelle della collaborazione e della solidarietà, la nascita di una piccola cooperativa mi sembrava una boccata d’aria fresca per il polmone asfittico di Città Alta.
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Mi sono reso subito parte attiva all’interno dell’organico della cooperativa. Naturalmente non mi sono mai cimentato nella preparazione di un caffè o di un piatto di casoncelli. Il mio ruolo era ed è tuttora legato a una funzione di dialogo con le diverse agenzie del territorio, in particolare di matrice ecclesiastica, per instaurare collaborazioni proficue per il tessuto sociale del quartiere e della città. Inoltre per indole ho sempre cercato di tutelare e aiutare le persone deboli, sole o in difficoltà. Grazie alla Coo194
perativa Città Alta gli interventi di solidarietà in tal senso sono aumentati in quantità e in qualità, garantendo una rete assistenziale forte e creando un punto di riferimento importante. Sorrido nel pensare ai volti delle persone che in questi anni abbiamo accolto, aiutato o più semplicemente ascoltato. Quante storie si sono susseguite, raccolte lungo la linea del tempo dal filo rosso dell’amicizia e dell’incontro. Perché in fondo è questo il sale della nostra cooperativa. Il rapporto umano. Con tutte le difficoltà del caso, proprio come avviene in famiglia. Ma anche e soprattutto con il sapore intenso e genuino dei legami sinceri e delle relazioni
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forti che non passano mai. Allora se devo dar sfogo al mio amarcord non posso non citare i piccoli interventi di manutenzione ordinaria a qualche scaldabagno capriccioso, i pasti o le derrate a chi non riusciva a fare la spesa, le risposte a semplici problemi amministrativi o fiscali a chi annaspava nel complicato mare della burocrazia italiana. E ancora le sfide vinte nel far rinascere gli oratori di Borgo Canale e del Seminarino in periodi difficili per la comunità di Città Alta, l’apertura dell’Asilo di via Solata, la vendita e la promozione di prodotti biologici, la realizzazione in Bergamo e provincia di del Circolino. Costanza e voglia di crescere sono state le stille importanti delle nostre decisioni. L’aiuto, la collaborazione e la partecipazione della nostra cooperativa si sono spinti oltre il territorio bergamasco. D’altronde la solidarietà
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altri locali che avessero l’impronta accogliente e universale
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è una forza che non ha confini o barriere. Mi riferisco alle adozioni a distanza realizzate grazie alle Suore Orsoline di Somasca e al sostegno dell’associazione Amici di Padre Pedro per attività missionarie fra le favelas brasiliane. Tutte
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realtà vive ancora attive, che ci permettono di essere aperti alle nuove sfide, che i cambiamenti impongono, senza mai dimenticare le nostre radici e i nostri padri. Mi piace ritrovare tante persone care, che la speculazione edilizia ha cacciato da Città Alta, durante il pranzo offerto agli anziani e ai bisognosi del territorio. Puntuali ad ogni Epifania ci ritroviamo in tanti, ad assiepare i tavoli del Circolino e a condividere nostalgie e quotidianità. Credo fermamente che la peculiarità della Coopera196
tiva Città Alta sia saper discernere le finalità positive e costruttive delle richieste di aiuto e di collaborazione che ad essa giungono indipendentemente dal colore politico o dal campanile da cui provengono. Un ecumenismo di pensiero che ci ha sempre permesso di essere trasversali e di arrivare facilmente al cuore delle persone. Mi piacerebbe festeggiare le nozze d’oro della Cooperativa Città Alta… ma di questo non mi è ancora dato sapere. La certezza che invece nutro è sul futuro della nostra cooperativa. La coesione del gruppo dirigente e lo zelo di tutte le persone che operano attivamente all’interno della stessa sono la garanzia sia per affrontare le contingenze e
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le fatiche sia, e soprattutto, per continuare a fare ciò che da sempre ha contraddistinto la Cooperativa Città Alta, ovvero aiutare gli altri".
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Campo della Fara, 1958
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Mettiamoci in gioco Il gioco del calcio è oramai una realtà che ha contagiato tutto il mondo. Per fede o per passione sono milioni le persone che lo seguono e lo praticano. Basta avere un pallone e un fazzoletto di terra. Con i secoli le regole son cambiate, dal gioco della pelota sudamericana alle partite
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in piazza dei presunti inventori fiorentini. Lo spirito no. Anche Città Alta non è rimasta immune a questa disciplina sportiva. Anzi, ha visto nascere e militare parecchie squadre. Quanti tacchetti hanno lasciato i loro solchi nel campo della Fara o di Borgo Canale, dalla primogenita La Rocca del primo dopoguerra, alla Vecchia Bergamo con le sue magliette rosa, alla squadra del Sant’Andrea, alla Polisportiva Inter Vites. Nel 1982 le società calcistiche rimaste nel borgo decisero di fondersi per creare un’unica realtà che racchiudesse
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tutte le espressioni della tradizione sportiva del quartiere e offrisse altresì forze fresche e nuove per una migliore organizzazione. Nasceva la Polisportiva Bergamo Alta. “Sicuramente ne sono finiti di palloni sotto le Mura da quando ci si lavava dopo le partite nella fontana del Pozzo Bianco” ricorda con velata nostalgia Ferruccio Mazza. “Sorrido se ripenso alle trasferte raggiunte con la mitica 128 verde del Gianni Morosini o alle lavate di capo in famiglia per essersi dimenticati del tempo che scorreva durante uno degli ambiti tornei alla Fara. La cultura del calcio in Città Alta è una tradizione tramandata che ha fatto storia. disciplina sportiva. È l’espressione di un quartiere che viveva anni difficili caratterizzati dalla diaspora dei vecchi residenti e dallo sfibramento delle funzioni primarie. Eppure gli abitanti del quartiere han voluto resistere a questo mare
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È un intreccio di vite prima ancora di essere una semplice
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di fragilità costruendo un porto sicuro e stabile, dove vivere ancora il senso di cittadinanza e di appartenenza. Penso che sia questa l’origine della Polisportiva Bergamo Alta, da tutti conosciuta come P.B.A.”. Allora ci si domanda quale sia il legame fra la Coo-
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perativa Città Alta e questa polisportiva. Lo può ben spiegare proprio Ferruccio Mazza, da anni collaboratore della cooperativa stessa in qualità di consigliere, di responsabile degli adempimenti legislativi e delle normative in materia di sicurezza e di ristorazione. Ferruccio però è molto di più. Persona poliedrica, umile e dal grande valore umano, ha sempre offerto il suo tempo e il suo spirito di servizio nelle diverse attività della cooperativa e della polisportiva, dai turni massacranti del sabato sera al Circolino alle partite 202
adrenaliniche come allenatore degli Allievi o della Prima Squadra. “Alcune delle persone che partecipavano alle attività della polisportiva lavoravano in Cooperativa Città Alta o ne erano soci. Allenatori o genitori di figli che militavano in qualche squadra, dalla Scuola Calcio, ai Pulcini, agli Esordienti. Con il tempo la cooperativa stessa decise di finanziare, sostenere e promuovere le attività della Polisportiva Bergamo Alta. All’interno di un progetto iniziato dalla Cooperativa Città Alta che mirasse alla valorizzazione di tutte le risorse e le potenzialità del nostro quartiere, la polisportiva non poteva estinguersi ma doveva continuare il
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suo percorso sportivo ed educativo rivolto al tempo libero delle nuove generazioni. Non è stato sempre semplice organizzare i lavori a causa delle carenti strutture e degli insufficienti impianti sportivi del territorio di Città Alta. Siamo però sempre riusciti a sostenere tutti gli impegni presi nei confronti delle famiglie e della cittadinanza. Dall’abbandono coatto per questioni di sicurezza dell’amatissimo campo alla Fara, al trasferimento per gli incontri presso il campo sportivo Generale Utili, agli allenamenti negli spazi dell’oratorio di Borgo Canale, al Patto Educativo stabilito fra allenatori e culiarità di avere nell’organico atleti che svolgono anche il ruolo di istruttori, per poter essere un punto di riferimento per le nuove generazioni nella garanzia di continuità di metodo e di ideali nel corso degli anni.
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genitori. Siamo sempre stati uniti. La nostra forza è la pe-
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Nella vita l’uomo cerca sempre esperienze che gli consentano di crescere e di sviluppare la propria identità. L’uomo trova la propria ragion d’essere e la propria completezza nella relazione con gli altri. L’incontro con un altro io può permettere di sviluppare i propri talenti seguendo
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valori fondamentali e inossidabili come la condivisione, il rispetto, la lealtà, l’amicizia. Per me, nella disciplina del gioco del calcio i ragazzi possono crescere coltivando questi ideali per arricchire la propria identità nel rispetto degli altri e delle regole, nello spirito di sacrificio, nella condivisione con i compagni delle gioie e dei dolori che un’esperienza di squadra offre. Ecco perché si può affermare che lo sport è un percorso educativo. Questo è lo spirito con cui da quasi trent’anni la Polisportiva Bergamo Alta procede”.
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Spazio Non Solo Compiti C’è un appuntamento che si ripete puntuale, come i cadenzati rintocchi del Campanone, ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dal mese di settembre fino al mese di giugno. Il ritrovo avviene sotto gli archi del portico del Seminarino, all’angolo fra l’ingresso laterale del teatro e le macchinette
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per il caffè. Poi, insieme, si salgono le anguste scale fino al secondo piano, per impegnare le aule, un tempo adibite a ricovero per i seminaristi, con problemi di matematica o capitoli di storia. È l’appuntamento vissuto dagli educatori e dai volontari con i ragazzi del doposcuola. Spazio Non Solo Compiti. Nomen omen. Perché in effetti in undici anni di onorato servizio questo spazio non si è limitato ad offrire un semplice supporto al lavoro extrascolastico. “Si è preferito lavorare per creare un ambiente familiare, un’alcova piacevole dove offrire strumenti di cresci-
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ta, un punto di riferimento per le famiglie, una propaggine dell’attività didattica e pedagogica svolta dalla scuola” racconta Laura Bruni, volontaria dello spazio compiti dagli esordi, da quando si è iniziato in punta di piedi con pochi ragazzi. Donna dal fascino eloquente e dal sorriso materno, una laurea in Lettere Moderne, una vita spesa come ricercatrice storica, amante dell’arte figurativa e culinaria, ha mosso i primi passi in Cooperativa Città Alta lavorando presso la Fonovideoteca di via Rocca e come membro del 208
Consiglio di Amministrazione. “Ricevetti la proposta, da parte dell’allora direttore della Cooperativa Città Alta Aldo Ghilardi, di dare una mano in un nuovo spazio di sostegno extrascolastico ai ragazzi del quartiere in collaborazione con l’Oratorio Seminarino, che dava a disposizione le aule. Le risorse umane invece venivano offerte dalla cooperativa stessa. Non ero convinta di accettare. Ero un po’ arrugginita nei confronti dell’ambiente scolastico. Il rapporto didattico con gli studenti mi spaventava. Non mi ritenevo più fresca e dinamica per questo tipo di attività. Decisi però di provare e mi presentai sotto l’androne del Seminarino. Era il mese di settembre
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del duemila. Sono passati undici anni, ho affrontato nuove esperienze, mi sono impegnata su fronti diversi ma non ho mai rinunciato al servizio presso lo spazio compiti. All’inizio i ragazzi eran pochi, solo cinque. Alcuni molto turbolenti. Ma a quelli ci pensava Francesca. Il numero esiguo ci è stato d’aiuto per imbastire il lavoro e creare un clima disteso e sereno di intervento. A poco a poco si stava instaurando con i piccoli studenti un rapporto di intima fiducia e di sincera complicità. Incontro spesso per strada il mio primo alunno del doposcuola, un bel ragazzone che ora sta per compiere venallora prevedeva in quel periodo lo studio del Risorgimento italiano. A lui non bastava seguire le tracce del libro. Voleva approfondire. Era un piacere per me trovare la rarità di un ragazzo interessato, più che al calcio o alla moda, alle gesta di Mazzini e di Garibaldi. Stimolare la sua curiosità signi-
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tiquattro anni. Era un amante della storia. Il programma di
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ficava aumentare la sua conoscenza. Ricordo sempre con piacere i pomeriggi bui dell’inverno bergamasco passati a studiare i meccanismi sottili e importanti della storia del nostro Paese.
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Naturalmente ci si atteneva anche al programma scolastico. Ho rispolverato alla grande i miei Pascoli, Leopardi, Montale. Lo sterile atto di imparare a memoria i versi di una poesia diventava occasione per stimolare il loro interesse, magari anche attraverso tecniche meno canoniche, come quelle del gioco. Sono riuscita a far amare persino i passi più ostici della Commedia dantesca. Altre volte invece si sono presentate difficoltà. Non sempre riesci ad instaurare un rapporto di fiducia con il 210
ragazzo da seguire. Sono loro che ti scelgono, non tu. Sono loro che mettono le barriere. Allora sale lo scoramento e un senso profondo di impotenza. Ma è forse proprio dall’umiltà di sapere di non poter salvare tutti che bisogna partire. I miei ricordi, in questo caso, si fermano su un volto. Pelle color cioccolato, ciglia lunghissime, sorriso aperto come un abbraccio. Veniva da uno dei paesi più poveri del mondo, il Burkina Faso. Non parlava una parola d’italiano. Anzi, non parlava proprio. È stato molto faticoso per me. Usavo un linguaggio verbale e non verbale che il bimbo non accettava. Il suo silenzio e la sua mancanza di collaborazione erano i segnali evidenti di un suo rifiuto nei nostri confronti.
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Avevo creato un ponte comunicativo con lui troppo fragile. In questo mi sono stati d’aiuto gli altri ragazzi che hanno contribuito con la loro spontaneità e con la loro sensibilità all’integrazione del bimbo africano nel gruppo. Una volta rotto il ghiaccio, lo stesso ragazzino ha iniziato a raccontarsi, a parlare di un mondo a noi totalmente sconosciuto. Le foto del villaggio, gli oggetti e gli abiti della sua terra, il suono di piccoli strumenti ricavati dalle zucche. Chi insegnava ora? L’arrivo dei ragazzi stranieri al doposcuola è stata una lezione importante per il rispetto delle altre culture. Ti acscussione. Burkina Faso, Costa d’Avorio, Somalia, Bolivia, Cina. La tavolozza colorata dei loro volti rimane per me una fonte di rinnovamento continuo, che pettina i nodi gordiani delle frustrazioni che a volte le contingenze ti creano. Queste piccole vite che crescono, i loro cambiamenti,
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corgi di quanto siamo europacentrici. Mai a mettersi in di-
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i ricambi generazionali alleviano, a parer mio, la fugacità della vita, rallentano il tempo rendendolo più accettabile ed esistenziale. Al doposcuola si crea una dimensione che non ha i vincoli del tempo e dello spazio. Quando entri nel mon-
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Il maestro Attilio Salvi con i ragazzi del doposcuola
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do di questi ragazzi, ti dimentichi del telefono, dell’agenda, della pentola sul fuoco. Ci sono loro. Degno di nota è poi il capitolo delle ragazze. Quest’universo femminile fatto di confidenze, di pettegolezzi innocenti, di primi amori e di prime delusioni. Ti cercano per raccontare, per chiedere un consiglio, per confrontarsi su alcune scelte, per condividere le loro semplici gioie o i loro piccoli dolori. Deliziose. Tutto questo senza sostituirci al ruolo delle famiglie ma divenendo per questi ragazzi un ulteriore punto di riferimento fra gli adulti. Ed è importante altresì il legame noi vedono un perno saldo intorno al quale ruota la crescita dei loro figli. I ragazzi tornano a casa sereni e vengono da noi volentieri. Penso che questo sia un rimando fondamentale per la famiglia. Pur mantenendo la giusta distanza che il lavoro edu-
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collaborativo e fiduciario realizzato con i genitori stessi. In
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cativo necessita, si riesce ad instaurare un clima familiare e disteso, dove far abbassare le difese per aprirsi e acquisire gli strumenti necessari per diventare grandi. Ognuno ha un potenziale immenso che un voto negativo o una difficoltà
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scolastica non devono sopire. Dare a questi ragazzi un’opportunità sempre. E soprattutto farli sentire meravigliosi, proprio perché lo sono. Insegnare loro le regole del rispetto, della convivenza sociale e del sacrificio senza imporle ma creando un percorso di consapevolezza per condurli ad esse. Per far questo ci vogliono amore e umiltà. Qualità che riconosco nelle persone che da anni con me lavorano in questo spazio, mettendo a disposizione la loro professio214
nalità e il loro tempo. La fortuna è che il team è ben coeso, possiede gli stessi principi e le stesse finalità, nel rispetto reciproco e anche nell’affetto sincero che ormai ci lega. Abbiamo affrontato insieme tanti momenti sia positivi e gratificanti sia critici e problematici. La coesione ci ha sempre sostenuti. L’esperienza del doposcuola è una fortuna per chi la vive perché dà uno spessore diverso alla quotidianità e all’intera stessa esistenza. Vai per dare gratuitamente e ricevi. Tanto. Più di quel che offri. Questo è il miracolo che la vita sa donare”.
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Circolando Quando si guarda Città Alta, adagiata sul colle, con la sua cinta muraria a proteggerla e i suoi campanili a scandirne la vita, non si può che restare colpiti dall’incanto. Seguendone le tracce storiche attraverso i vicoli in ombra, ci si sofferma ad immaginare quali volte affrescate, quali tesori,
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quali sapori di nobiltà celino i suoi palazzi. Ai neofiti o ai cittadini dei quartieri più moderni e isolati di Bergamo il borgo appare così. Una thébaïde raffinée, fuori dal tempo e dallo spazio, dove ogni dettaglio conduce ad una realtà diversa da quella della tristezza urbana, dove l’austerità e l’imponenza delle sue corti principesche richiama ad un’atavica età dell’oro. Ma Città Alta non è solo questo. È un borgo di antiche tradizioni, tramandate per generazioni e ora leggibili solo fra i solchi del viso degli ultimi residenti rimasti. I muri spes-
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si e solidi del centro storico di Bergamo non raccontano solo una vita di agi e privilegi ma parlano anche e soprattutto la lingua delle fatiche e della miseria. Così dietro le imposte abbassate per rubare la frescura della penombra non ci si immagina più solo ricevimenti fra stucchi veneziani e lampadari in festa ma anche mani segnate dal lavoro e visi che portano scritte tutte le cure della solitudine e dell’indigenza. Anche in Città Alta c’è qualcuno che ha bisogno di aiu216
to nelle piccole quotidianità. C’è sempre stato. Ha resistito dignitosamente alle fragilità della storia, ai cambiamenti sociali forti, alla decadenza del proprio borgo. Solo chi vive pienamente il tessuto collettivo di questo quartiere però ne conosce tutte le sfumature e le precarietà. Lo hanno capito bene le persone che si son trovate alla Torre di Adalberto in quel lontano giorno di maggio del 1981, quando hanno deciso di fondare una piccola cooperativa per ricomporre i cocci di un tessuto originario che rischiava di essere fagocitato dal conformismo e dall’utilitarismo. La Cooperativa Città Alta è divenuta così, prima ancora di essere un bar o un ristorante, un punto di riferimento importante
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per gli abitanti smarriti del borgo. Non si ha mai avuto la pretesa di compiere azioni eclatanti di magnificenza e munificenza. Uno scaldabagno da riparare, una tubazione da sistemare, un pasto caldo da offrire, la spesa per rendere dignitosa la dispensa, il trasporto in ospedale per doverosi esami di salute. Piccoli gesti compiuti nel silenzio dello spirito di servizio e nella consapevolezza che salvaguardare le radici della propria comunità è un dovere civile. Attraverso canali più o meno formali, la Cooperativa Città Alta è sempre riuscita a conoscere le situazioni di diffiza e nei modi ritenuti più efficaci. Con il tempo le situazioni di disagio e gli utenti stessi hanno cambiato natura, con una
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coltà del quartiere, intervenendo con la massima riservatez-
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proporzionalità diretta nei confronti dei mutamenti sociali. Il bisogno però restava e la Cooperativa Città Alta cercava di soddisfarlo. Una delle risposte più concrete e sicuramente più longeve all’interno di questo percorso di solidarietà è la consegna dei pasti a domicilio. Non ha mai avuto per la Cooperativa il sapore di un semplice servizio di distribuzione e di
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deposito, proprio come quello che ora svolgono parecchi supermercati. Consegnare il pasto ad una persona in difficoltà ha sempre in primis significato tenere vivo il legame fra il bisognoso e la realtà. Non creare una forma di dipendenza o di riconoscimento alla Cooperativa Città Alta ma mantenere ancora aperto il canale con la vita, con il fermento di ciò che sta fuori, con il calore della propria comunità. Far sapere a chi si sente solo o ai margini che c’è ancora qualcuno che ha voglia di condividere con lui i fardelli delle contingenze. Con 218
un piatto di polenta e funghi o di casoncelli, perché no. Con il sorriso di chi varca l’uscio e ti chiede come stai. Anche l’Amministrazione Comunale ha riconosciuto l’importanza di questa attività al punto da istituzionalizzarla all’interno di un percorso solidale a 360 gradi in tutta la città di Bergamo. Si è stabilito così un protocollo d’intesa che vede la Cooperativa Città Alta attore principale nella consegna e anche nell’offerta gratuita dei pasti alle persone indigenti o in difficoltà. L’iniziativa è partita nel quartiere nel marzo del 2008 e trova continuamente riscontri positivi. Si chiama Circolando, proprio per stimolare le persone a mettere in circolo la
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voglia di aiutare gli altri. È un nome che, casualità, si abbina perfettamente alla cooperativa, in quanto per natura statutaria è essa stessa un circolo. Con la differenza che invece di chiudersi mantenendo l’esclusività ai soli soci ha saputo creare il vero senso di comunità aprendosi a tutti.
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Per un commercio equo e solidale Perdendosi fra i vicoli in ombra del borgo di Città Alta, non si può non curiosare all’interno di una piccola bottega del commercio equo e solidale. Dal 2003 la sua vetrina colorata e fuori da ogni moda colpisce turisti, passanti e abitanti del luogo. In un territorio ormai preso d’assalto
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da esercizi che vendono l’effimero di un vestito griffato o di uno smalto da urlo, si può ancora trovare una realtà per cui valga la pena spendere tempo e denaro. Non è facile la sopravvivenza di una bottega del commercio equo, schiacciata com’è dalle supremazie di mercato delle multinazionali, dai margini di guadagno bassi che l’etica del suo statuto giustamente richiede, da una crisi globale che sta risucchiando tutti. Eppure esiste e resiste. Grazie ad una collaborazione che è soprattutto il frutto di un’unione d’intenti. Una collaborazione nata fra due realtà
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che hanno sempre cercato di lavorare per aiutare gli altri, siano essi i poveri della porta accanto, siano essi i bisognosi di terre lontane. La Cooperativa Città Alta e Il Seme. Mai nome fu più fausto per una piccola cooperativa che da vent’anni lavora per far germogliare i semi della solidarietà, della collaborazione, della fratellanza, della lotta alle ingiustizie e ai soprusi. Dalla loro intesa è nata I Colori del Mondo. Dietro il bancone di legno su cui campeggia la carta 222
di Peters, trovi Giuliana Nessi, volontaria di cuore e di fatto di questa bottega del commercio equo ma anche presidente della cooperativa Il Seme. Donna minuta e gentile, che racchiude un vulcano di idee e di emozioni, ti mette subito a tuo agio, con il suo sorriso aperto e la sua salda stretta di mano. Insegnante e preside per professione, volontaria impegnata su più fronti per passione, Giuliana ha ancora così tanta grinta ed energia da far invidia ai ventenni. “Ho conosciuto la realtà del commercio equo e solidale agli inizi degli anni Novanta. Un mio ex alunno mi propose allora di aiutare come simpatizzante e come socia la piccola cooperativa che lui stesso aveva fondato con
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un gruppo di amici. Erano ragazzi giovani ma con la testa sulle spalle, ricchi di idee interessanti e con voglia di fare. Avevano trovato spazio in una vecchia cantina in fondo a via Bellini, là dove il quartiere di Longuelo lascia le case per i campi coltivati a vigna e i frutteti della piana di Astino. Mi fidavo della loro intraprendenza. Inizialmente ero solo un’assidua cliente perché il lavoro e la famiglia assorbivano quasi tutto il mio tempo. Incominciavo però a capire quel mondo ancora poco conosciuto e a maturare pensieri concreti in merito. Ritenevo - e ritengo tuttora - che il commercio equo e solidale fosse una verso i consumi, non solo l’economia globale ma anche e soprattutto il proprio stile di vita. Non occorre ragionare sui massimi sistemi per vedere che qualcosa si muove nella direzione della giustizia, della pace e del sostegno agli altri. Occorre che il cambiamento avvenga dentro di noi, nelle nostre case, nel nostro modo di vivere e di educare chi ci circonda, siano essi figli, amici o semplici conoscenti. Sono una donna di scuola. So quanto contino le pa-
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risposta vera e responsabile per riuscire a cambiare, attra-
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role ma ne conosco anche i limiti se ad esse non seguono le
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azioni. L’alternativa offerta dal commercio equo risultava per me credibile e realizzabile nel presente per cambiare davvero gli scenari del mondo. Questioni come la sostenibilità, la collaborazione, la difesa dei diritti e della dignità umani, la sensibilità ecologica potevano essere affrontate con un nuovo modo di lavorare. Partendo dal basso, da noi e non dalle stanze dei bottoni. Sono convinta che a volte le persone si rassegnino ancor prima di compiere un passo perché travolte dall’ignavia 224
e dall’indolenza, nell’idea che tutto sia orchestrato da un Deus ex machina contro il quale nulla si può fare. Non è così. Il commercio equo e solidale ne è la prova. La sua forza propulsiva e la sua base ontologica retta gli hanno permesso di diffondersi a macchia d’olio nella società, nel tessuto antropologico dei Paesi, nelle coscienze degli uomini. Aiutare le popolazioni sfruttate ed emarginate non significa dar loro l’obolo del nostro superfluo ma significa offrire loro gli strumenti per produrre e crescere in capacità e dignità, senza perdere il diritto di vivere nelle proprie terre. Sicuramente il percorso di chi ha intrapreso questa
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strada non è stato mai facile. Lo scoramento e la fatica sono compagne di viaggio. Il commercio equo e solidale non ha agevolazioni dallo Stato Italiano, non ha un suo riconoscimento giuridico, deve fare i conti con le strategie di un mercato di avvoltoi, viene anch’esso coinvolto nei default dell’economia mondiale. Tutto questo però non arresta la sua ascesa. È importante che la gente ne conosca i meccanismi. Non c’è terreno più sterile e arido dell’insipienza. Per questo creiamo da tempo percorsi di istruzione e conoscenza del commercio equo e solidale all’interno delle scuole, utilizzando il gioco e l’interazione per avvicinarci Con la pensione ho trovato più tempo per dedicarmi alla cooperativa Il Seme. Sono entrata nel Consiglio di Amministrazione, ho dato un apporto nella gestione contabile, ho lavorato come volontaria nella bottega, ne sono divenuta il presidente. Ad un certo punto la mia vita si è incrociata con quella dell’allora direttore della Cooperativa Città Alta, Aldo Ghilardi. L’idea condivisa era quella di aprire un negozio che
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meglio alle nuove generazioni.
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vendesse sia prodotti provenienti da coltivazioni biologiche
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sia prodotti del commercio equo e solidale. Le due realtà non sono incompatibili. Tutt’altro. Sono la faccia di una stessa medaglia. Quella della volontà maturata di proporre un modo diverso di consumare, una concezione innovativa del mercato e del soddisfacimento dei propri bisogni primari, fondati sul rispetto della natura e degli uomini. Nel frattempo ho avuto modo di approfondire la mia conoscenza con la Cooperativa Città Alta e con le persone che vi facevano parte. Un mondo nuovo anche per me. Ave226
vo una figlia che frequentava il Circolino ma per me era un locale come un altro. E invece mi si è presentata una realtà ben diversa da quella che in apparenza avevo creduto. Più ne scoprivo il valore umano e sociale, più mi piaceva. Con il tempo il legame fra me e la Cooperativa Città Alta si è trasformato in amicizia. Si è valutata così l’idea di aprire insieme una bottega del commercio equo e solidale proprio in Città Alta. Mi si coronava un sogno. Riuscire ad avere una vetrina del mondo in un luogo brulicante di turisti e di curiosi era la via giusta per far conoscere questa realtà e consolidarne le peculiarità. Era il 2003. Nasceva la cooperativa I
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Colori del Mondo. Un nome bello e solare come la nostra bottega, una porta sul mondo ove perdersi a curiosare fra gli scaffali per scoprire i nostri prodotti, frutti di un lavoro rispettato e tutelato, dove ogni stilla di sudore prodotta per esso ha il giusto riconoscimento della dignità umana. Scelte responsabili dei consumi, coscienza dei limiti, rispetto di altre culture: la gente compera da noi con questo spirito. I clienti vogliono dare valore all’acquisto. Con il tempo da cooperativa siamo diventati associazione. Questo ci consente di basare la nostra organizzazione sul lavoro volontaristico. E’ grazie a queste persone, che loro storia, se la piccola bottega resiste ancora nel borgo medievale. D’altronde è lo stesso spirito del commercio equo ad insegnarci che l’uomo può realmente essere un operatore di pace se condivide questa volontà e questa forza con gli altri. Insieme si può fare un mondo più giusto”.
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Una comunità da amare La parola comunità deriva dalla lingua madre del nostro idioma, il latino. Semplicemente il suo etimo spiega la capacità di portare insieme lo stesso munus, cioè lo stesso incarico e lo stesso dono. Il peso di conciliare tanti cuori per custodire l’armonia di un gruppo con lo scopo di vivere
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nel rispetto delle norme e soprattutto degli altri. Ma anche un dono, ricco, unico, significativo, quello di crescere nello scambio, nell’incontro, nella condivisione del potenziale che ogni essere umano possiede. Le persone sono ponti non isole. Partendo proprio da questa consapevolezza, chi trent’anni fa si è trovato tra i vicoli del borgo a cercare e a condividere una soluzione alle fragilità che il tessuto sociale del quartiere stava vivendo, ha fortemente voluto ricostruire la natura del proprio territorio.
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La peculiarità della Cooperativa Città Alta non è stata solo l’idea innovativa di creare un centro di aggregazione per anziani ma quella di diventare uno dei punti di riferimento del borgo stesso per continuare a farlo vivere come comunità. In un momento critico in cui Città Alta si stava svuotando di ogni matrice popolare e sociale, partendo dalla diaspora stessa dei suoi abitanti, occorreva lavorare per ricucire lo strappo, evitando la totale lacerazione. La Coope230
rativa Città Alta ha consentito la resistenza su questo fronte, preservando il delicato equilibrio fra le radici e il nuovo, seguendo la strada del confronto e della crescita. Non ha acquisito alcun monopolio ma ha interagito con le risorse presenti in una sinergia d’intenti e in un concerto d’idee che avessero come finalità il benessere della collettività. Il primo scoglio per la tutela dello status quo di un quartiere fatto anche di residenti anziani è stato sicuramente l’avvento degli studenti universitari. Per molti sembrava una minaccia. I bar popolati soprattutto dalla fetta senile del quartiere iniziavano ad essere invasi dai giovani dopo le lezioni. I vecchi si sentivano usurpati, spogliati di
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una loro identità. Niente più boccette o giochi a carte. Solo un calicino e via. Conciliare queste due realtà generazionali apparentemente diverse è stata una delle prime sfide della Cooperativa Città Alta. Aprire un nuovo spazio da offrire alle parecchie ore dei pensionati ha ridato acqua fresca all’arido deserto delle relazioni umane che stava avanzando. Aprire il locale anche agli studenti, giocando la carta della convivenza pacifica e rispettosa, è stata un’operazione importante e coraggiosa che è riuscita a cambiare la vita delle persone. Gli studenti erano una nuova risorsa da aiutare e da sostenere. chio, uno spazio fruibile per i giovani al fine di permettere loro uno studio tranquillo e riparato. Attraverso un’angusta porticina di memoria medievale, si accede all’aula studio, una sala aperta dalle nove alle diciotto, arredata con grandi tavoli, gestita dalla cooperativa stessa in collaborazione
Una comunità da amare
Così nel 1994 si è deciso di aprire, all’inizio della via Salvec-
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con l’Istituto del Diritto allo Studio Universitario, l’I.S.U.. Un nuovo punto d’incontro dove vitalizzare i rapporti fra i vecchi residenti e i nuovi. Aiutare Città Alta non ha significato solo rivolgersi
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agli anziani e agli studenti universitari. Occorreva rendere il quartiere vivibile anche per le nuove generazioni, per i figli o i nipoti, per i ragazzi delle scuole elementari e medie. Farli crescere nello svago, nello sport, nelle attività ludiche e nella lettura. Lo stimolo si è concretizzato con la gestione diretta del Centro Ricreativo Estivo. Si è cominciato nel 1989 negli spazi di una struttura che stava vivendo all’epoca un momento fragile di abbandono, l’Oratorio di Borgo Canale. Lo si è ristrutturato, gli si è dato una veste nuova, lo 232
si è reso nuovamente parte attiva del territorio. Così con le voci ilari e l’argento vivo dei bambini la solitudine di quegli spazi ha lasciato il posto alla forza del gruppo, al senso della comunità. Poi dal 1997 il naturale passaggio di consegna alla Parrocchia di Città Alta. Ridare vigore al proprio quartiere significa sostenere e coadiuvare le tante realtà positive che lo popolano. Il legame con la parrocchia stessa, e in particolare con l’Oratorio Seminarino, non si è esaurito quindi nel 1997 ma al contrario si è consolidato nel tempo attraverso la realizzazione di altri interventi nel tessuto sociale. Dal sostegno scolastico con lo spazio del doposcuola, alla partecipazione nella Rete
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Sociale per le problematiche sui minori e sulle famiglie, al contributo nelle diverse feste e manifestazioni parrocchiali. E si è sempre cercato di valorizzare anche gli spazi in Borgo Canale, che per loro conformazione restavano più isolati e meno vissuti dalla storia del borgo. Così il Progetto Sesamo, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, ha permesso alle diverse scolaresche in visita alla città di sostare, per il pranzo al sacco, in un luogo riparato e confortevole, capace di accogliere fino a un centinaio di persone al giorno. Un altro punto di aggregazione per ragazzi che con il re è lo spazio della Fonovideoteca in via Rocca. Un ambiente in cui approcciarsi alle nuove realtà multimediali con un servizio di reference curato e attento sia alle esigenze dei più piccoli sia alle necessità didattiche degli insegnanti. Un collante forte fra la cittadinanza e la scuola, fra la famiglia
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tempo è cresciuto e si è ben radicato nel tessuto del quartie-
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e il quartiere di residenza. Dal 1993 la porta è aperta e ha accolto momenti di studio e di ricerca, percorsi culturali, incontri informali. La Cooperativa Città Alta ha partecipato con la Circoscrizione e il Comune di Bergamo all’apertura
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di questo spazio, gestendolo fino al suo assorbimento nel Sistema Bibliotecario Urbano. La cultura non è solo un bagaglio di conoscenze da parcheggiare nella stazione della vita ma una valigia carica con cui diventare cittadini del mondo. Anche all’interno del proprio quartiere. Stimolare alla conoscenza, all’amore per l’arte e per la musica, alla scoperta delle bellezze del territorio è sempre stato il lietmotiv della scelta di valorizzare e sostenere le associazioni o i gruppi votati in questi 234
percorsi. L’espressione attraverso le tecniche artistiche ha trovato corpo nella costituzione del Gruppo Artistico Città Alta, una realtà di amatori non professionisti, abitanti del quartiere e soci della cooperativa, che si ritrovavano settimanalmente per sviluppare il proprio talento o la propria passione nel campo delle arti figurative. Scultura, disegno, pittura a olio e acquerello. La Cooperativa Città Alta ha sostenuto i progetti e i percorsi organizzati da questo gruppo, dai concorsi e dalle mostre di pittura agli interventi nelle scuole. L’espressione della propria personalità passa anche attraverso la manipolazione, il gioco, la creatività
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figurativa. Anche la fotografia con il gruppo Bergamo77 ha trovato largo respiro nel tessuto collettivo del quartiere sia per la professionalità degli organizzatori sia per le potenzialità che il borgo medievale offriva agli appassionati. Tutt’oggi i muri delle sale del Circolino ospitano le mostre estemporanee di questo gruppo fotografico, che chiede di tenere sempre aperta la porta con il fascino e la meraviglia che l’arte e la cultura sanno dare. La musica con la Scuola del Rumore è stato uno strumento importante per coinvolgere i ragazzi e le famiglie dei singoli e creassero gruppi di lavoro coesi e radicati nel tessuto sociale. Il gioco degli scacchi ha richiamato giovani e adulti di Bergamo e di altre zone della Lombardia per partecipare a tornei di varia natura nell’incantevole cornice di Piazza Vecchia o del quadriportico del Seminarino
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attraverso attività espressive che valorizzassero le qualità
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grazie al Circolo Scacchistico di Bergamo Alta. Le attività della Biblioteca Circoscrizionale hanno acquisito più spazio e più vigore con gli anni, divenendo per gli abitanti un riferimento fondamentale per la fruizione di percorsi cul-
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turali per adulti e ludico-ricreativi per ragazzi. La Cooperativa Città Alta ha compreso il potenziale di tutte queste risorse del quartiere e ne ha sempre sostenuto l’esistenza e riconosciuto l’importanza per la comunità. Nell’umiltà dello spirito di servizio, nell’attenzione alla pastorale verso l’ammalato e nella consapevolezza della forza della solidarietà operano nel quartiere diversi gruppi caritativi che da tanti anni portano sollievo alle fragilità degli abitanti. La miseria e la malattia purtroppo sono 236
cieche e colpiscono indipendentemente dal valore umano delle persone. A chi chiede aiuto viene data una risposta di conforto e di sostegno. Materiale e spirituale. Dalle congregazioni ecclesiastiche alle associazioni volontaristiche. Una fitta rete, sottile ma resistente, ha tessuto nel tempo un lavoro alacre di aiuto alla collettività. A loro il grazie più sincero per l’intervento fondamentale sulla popolazione che annaspava nelle fatiche della vita e nell’amarezza della solitudine. Anche questo è fare comunità. Vitalizzare i rapporti di buon vicinato con i diversi esercizi del quartiere è stato da sempre un intervento creduto e voluto. In un contesto storico in cui la cultura dell’ef-
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fimero sta cercando di soffocare gli ultimi baluardi rimasti della tradizione popolare, la collaborazione fra le diverse attività commerciali è stata la linfa vitale per impedire il collasso del quartiere. La Comunità delle Botteghe lavora da anni per mantenere Città Alta un quartiere dove vivere e dove crescere. Una latteria, un tappezziere, una libreria, una cartolibreria, un fotografo, un panettiere, un macellaio, un fruttivendolo. Piccole realtà dell’intimo tessuto urbano del borgo da preservare. E con le quali collaborare nel rispetto dei ruoli e delle funzioni reciproche. Responsabilizzare in primis gli abitanti per evitare la far pulsare il cuore di Città Alta. Attraverso gli asili e le scuole, gli oratori e le polisportive, gli artigiani e i ristoratori, le associazioni culturali e i centri di aggregazione, i gruppi caritativi e le cooperative. Questa è la cultura del dare. L’unica che può consentire l’appartenenza ad una co-
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morte di un centro urbano. Questo è il motore mobile per
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munità e il suo buon governo.
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Don Gianluca con alcuni giovani di CittĂ Alta a Madrid per le Giornate della GioventĂš
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Mai indietreggiare “Contrada del Seminario vecchio”. Nascosta dall’edera vorace e dai segni della storia, si scorge ancora la vecchia targa là dove la piccola via Rivola sfocia nell’alveo di via Tassis. Il Seminario vecchio oggi si chiama Il Seminarino e rappresenta l’oratorio più antico della diocesi di Bergamo.
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Si ricollega la sua nascita alla figura di padre Luigi Mozzi, gesuita milanese, che giunse a Bergamo con il progetto di una carità educativa. Offrire uno spazio ai ragazzi del borgo, quelli poveri che avevano come alcova solo la strada. Dare loro non solo un pezzo di pane ma anche la possibilità di giocare, di incontrarsi e di imparare l’abc di un idioma a loro sconosciuto. Perché la fame di quei ragazzi era soprattutto voglia di non sentirsi soli. Così dal 1845 in poi nel vecchio Seminario partirono le scuole serali - le prime in Italia e in Europa, ci dicono gli annali - e le attività di ritrovo per i ra-
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gazzi raccolti dalle strade o dai sagrati. Ancora oggi, entrando nel quadriportico cinquecentesco, fra le colonne che furono visitate dallo stesso Don Bosco, si odono le voci allegre dei ragazzi nei momenti di gioco, si respira l’energia dei giovani impegnati nelle diverse attività di catechesi, si raccoglie la presenza viva delle famiglie riunite in occasioni di condivisione. L’oratorio c’è e funziona. Per quattordici anni ne ha seguito gli sviluppi, ne ha vissuto i cambiamenti impegnandosi in prima persona, ne 240
ha curato la crescita pastorale e umana un ragazzo venuto da Villongo e ordinato sacerdote nel maggio del 1997. Don Gianluca Brescianini. Viso aperto e solare, dal sorriso sereno e dai gesti sempre disposti all’ascolto e all’accoglienza, porta ancora con sé la forza e l’entusiasmo dei momenti da poco vissuti durante l’esperienza della GMG a Madrid. Ripercorre però volentieri la linea della memoria più a ritroso di qualche anno, ritornando ai primi passi mossi da sacerdote in Città Alta. “Non nascondo l’intreccio di pensieri e di ricordi che affollano la mia mente e emozionano il mio cuore. Quattordici anni di ministero in questo scrigno di storia, di arte, di
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fede e di relazioni hanno segnato profondamente la mia vita. Ripenso sempre volentieri all’inizio di questa mia avventura. Partito titubante, per la realtà cittadina che immaginavo diversa e difficile rispetto al contesto di paese in cui sono cresciuto e mi sono trovato ad operare, ho subito valorizzato una delle mie cartucce più interessanti, lo spirito di adattamento. Se qui sono stato mandato, qui voglio dare il meglio di me. Messo così da parte il turbamento iniziale ho cominciato a sondare il terreno. Primi incontri e relazioni che creano le prime conoscenze e amicizie. Da esse nascono e si ipoincentrato a salvaguardare e alimentare percorsi e progetti, circoscritti nell’ambito più strettamente interno, viene da sé la necessità e la volontà, lucidamente avvertita, di allargare l’orizzonte e il campo d’azione. Da questo imput, sostenuto
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tizzano le prime iniziative. Ad un approccio particolarmente
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da uno sguardo benevolo su tutto e su tutti, scaturisce quel movimento che segnerà per sempre il destino di Città Alta, soggetta anch’essa ad un continuo e mutevole cambiamento. Tale movimento è la cosiddetta Rete Sociale. Dapprima il dialogo si dipana nel consorzio interpar-
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rocchiale. Poi assume sempre di più l’impegno dentro un contesto di relazioni ampliate, coinvolgendo diversi enti del territorio e costruendo con essi tavoli di confronto e di collaborazione. E il Seminarino, a nome delle Parrocchie, non è il primis inter pares ma uno tra e con gli altri. A dare linfa e vigore a questa azione comune c’è la Cooperativa Città Alta. La conoscenza di Aldo Ghilardi, di Roberto Amaddeo, di Giuseppe Carrara e dei ragazzi che, adolescenti al mio arrivo quante esperienze vissute e condivise insieme con loro nelle 242
iniziative dell’Oratorio - sono poi cresciuti e hanno assunto ruoli di responsabilità e di gestione, ha facilitato l’evolversi e l’incrementarsi di una viva e dinamica interazione. Tra le iniziative di più lungo corso mi preme evidenziare quella dello spazio compiti. Essa ha trovato sede al Seminarino con l’ausilio e il sostegno della Cooperativa Città Alta, che ci ha creduto fin dall’inizio. Una piccola ma importante attenzione per alcuni dei nostri ragazzi. Una fra le tante. E a coordinare e gestire questa particolare sensibilità, che nel tempo è andata in crescendo, che si è irrobustita e consolidata, ci stanno la costanza e la passione di un gruppo di volontari e di operatori che hanno sempre svolto la loro
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attività con spirito di servizio e con zelante impegno. Hanno a cuore solo il bene dei ragazzi. A loro va il nostro grazie sincero e il nostro incoraggiamento a non desistete. Credo che questa rappresenti e rispecchi, in modo incisivo, l’ottima intesa e collaborazione che ci sono state tra me, il Seminarino e la cooperativa stessa. Mi preme sottolineare altresì che il campo d’intervento della Cooperativa Città Alta non ha riguardato e non riguarda solo le problematiche legate ai minori e alla dispersione scolastica. Penso, ad esempio, all’organizzazione del tempo libero delle diverse fasce giovanili che popolano il quartiere. sciti a coinvolgere le famiglie, genitori e figli, in un percorso formativo che va oltre il semplice svolgimento di un’attività sportiva, rientrando in un progetto educativo di crescita e di coesione. Penso all’attenzione, discreta ma costante, rivolta
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Attraverso le attività della Polisportiva Bergamo Alta si è riu-
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alle persone ammalate o in difficoltà del nostro quartiere. Un aiuto nella gestione e nel superamento di un momento difficile, nella condivisione di un fardello che magari lo scoramento e la solitudine rendono ingestibile, nell’ascolto di un bisogno o di una fragilità. La Cooperativa Città Alta
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c’è sempre stata. Non si è mai dimenticata degli anziani, dei giovani allo sbando, delle famiglie, degli ammalati. Questo ci insegna che non si deve aver paura di nulla se sai chi sei, se sai cosa hai ricevuto e la ragione che ti spinge a operare. E, allora, se riconosci il debito nei confronti della vita e ciò che ti sprona a seminare e a far crescere in tutti il bel tesoro dell’apertura di cuore e della condivisione per il bene collettivo, nulla ti può impedire di darti all’altro, di scoprire la positività dell’altro e di costruire con l’altro 244
qualcosa di buono. Non bisogna mai indietreggiare, mai lasciarsi frenare dalle contingenze e dalle fatiche, mai desistere anche quando l’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile. Un grazie quindi alla Cooperativa Città Alta per l’amicizia di questi anni e un augurio per ciò che il futuro ci riserverà, con fiducia, speranza e in comunione”.
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Il potere dei sogni Non ci è data la possibilità di sognare senza il potere di realizzare un sogno. Sarebbe un destino crudele. Però non sempre riusciamo a capirlo. La pigrizia mentale, l’accidia dell’anima, le difese contro un’evoluzione interiore frenano le nostre ali. Perché noi nasciamo con le ali. Ci sono state
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donate per volare. Ma spesso preferiamo la sicurezza di una spiaggia che limita l’orizzonte a una distesa infinita di nuvole e mare. Fuori da ogni speculazione filosofica, si può affermare che i sogni che accompagnano la nostra esistenza possono essi stessi diventare la nostra esistenza. Trasformarli in realtà. Non occorre cercare chi sa dove la chiave di volta perché è più vicina di quanto si creda. Sta nella relazione umana. Che è il sale della vita. Sta nell’incontrare altri sognatori, testardi, eroici, caparbi, umili, sensibili. Sognatori. E la con-
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divisione dei propri sogni li moltiplica. Allora ci si accorge che insieme si possono realizzare. Basta crederci e lottare. Il prezzo da pagare è alto, si sa, ma il gioco vale la candela. Soprattutto quando si investe il proprio tempo e la propria vita per gli altri. La Cooperativa Città Alta è nata da un sogno in cui si desiderava un mondo migliore. Non ci si è fermati a pensarlo ma lo si è costruito. Un mondo dove il perno fondamentale fossero la fratellanza e la solidarietà, dove la giustizia 250
sociale fosse una necessità e le relazioni umane il pilastro su cui costruire. Possono esserci minacce e fatiche a danneggiare il cammino ma credere in un sogno significa anche difenderlo strenuamente, con le unghie e con i denti. Raccontare la storia di questo sogno significa innanzitutto parlare dei suoi sognatori. Raccontare le loro vite e le loro esperienze attraverso i ricordi. Perché avere memoria aiuta a coltivare e a preservare i sogni. Persone che hanno deciso dove andare e non sono mai tornate indietro. Persone che hanno lavorato con spirito di servizio e con onestà intellettuale. Persone che hanno compreso la forza della condivisione e dell’amicizia. Persone che hanno scelto la parte
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migliore della vita. A tutti loro grazie. Per ciò che è stato e per ciò che sarà.
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