CortocircuitO N°6

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2 EDITORIALE Così, mentre noi nascevamo, finì il mondo. Una generazione cresciuta a cavallo fra gli infiniti anni ‘80 e i rampanti anni ’90, gli anni della Fine della storia, del profetico messaggio dei sacerdoti laici che sancivano la fine del conflitto. Rinchiusa in un eterno oggi, da cui non poteva scappare. Nel 1989 cadde il muro di Berlino, il simbolo della divisione del mondo in due blocchi contrapposti; sancì la vittoria degli USA e del mondo Capitalista. E così noi crescemmo, ingenui bambini con intorno le lucine del capitalismo ancor più accese, per festeggiare la sua Vittoria, nel messaggio univoco del pensiero unico, in una società immobile e ferma su se stessa, in cui il conflitto sembrava essersi calmato, non più presente nello svolgersi della nostra esistenza. Ma i sacerdoti della nuova, seppur antica, religione del Consumo e dello Sfruttamento, si sono sbagliati. Mentre continuavamo, con la nostra carta di credito, a correre per consumare e soddisfare quell’impulso irrefrenabile che è dentro di noi, qualcosa si è abbattuto sulla nostra quotidianità, distruggendola per sempre. Ormai venduti al libero mercato, non abbiamo capito che il luna park stava per chiudere. E stava arrivando il debito da pagare. Mentre si sta ancora festeggiando la Vittoria del Capitalismo come sistema mondiale, il nuovo millennio si apre con gli scontri contro i vertici dei Potenti, che culminano con il G8 di Genova. Il clima di festa finisce definitivamente con l’attacco dell’ 11 settembre alle Torri Gemelle.Si apre la strada per la ghigliottina e il Terrore; ma la Crisi deve ancora arrivare. Così, in quell’autunno 2008, dagli USA inizia il germe che porterà all’inizio della famigerata Crisi. La nostra vita è sconvolta; finisce l’era del consumo e del successo facile, della Crescita e dello Sviluppo, finisce l’illusione della fine della lotta di classe. Si chiude un'era; finisce il mondo per come lo avevano concepito i nostri genitori. Inizia il mondo dove vivremo, mentre siamo nella più grande crisi degli ultimi 70 anni. O forse di più, è difficile dirlo: siamo solo all’inizio. Stanno riaffiorando le contraddizioni intrinseche al sistema

Capitalistico. O, meglio, strutturali: un sistema che, dopo avere acceso tutte le lucine mentre eravamo bambini, ora che diventiamo lavoratori ci vuole offrire una vita di sfruttamento e miseria. Mentre si festeggiava la vittoria del Capitalismo, non abbiamo capito che eravamo i topi che ballano mentre la barca affonda. Questa manovra finanziaria, questi “attacchi speculativi”, questo debito da pagare, sono solo la punta dell’iceberg che sta per colpire la nave in cui ci eravamo riparati, lasciando la rotta a qualcuno che ne sapeva più di noi: i tecnici e i tecnocrati del sistema economico. La Crisi ha colpito la nostra società e ci ha risvegliato dalla lunga anestesia in cui eravamo caduti. Sconvolti, non sapevamo che i responsabili di questa crisi avevano già pronta la Ricetta per uscirne. Nel bombardamento mediatico in cui viviamo ci siamo lasciati abbindolare, nuovamente. E questa crisi finanziaria sta cominciando ad avvolgere ben più aspetti della nostra mera "vita finanziaria”. Anzi, il nostro "lato finanziario" è salvo, in quanto, in momenti già scordati, cioè 2-3 anni fa, vennero salvate tutte le banche americane e europee che avevano giocato troppo in borsa e si trovavano senza soldi. Quindi potremo continuare a speculare, investire e giocare in borsa, esattamente come prima della crisi, in quanto non è stata fatta alcuna variazione al sistema. Salvato il nostro "lato finanziario”, e rimasti in debito con questo, arriva il momento dei sacrifici negli altri aspetti della nostra vita: salute, scuola, lavoro, dignità, sicurezza di vita, felicità, sogni, speranze. In tempi di crisi si deve pur tagliare. Quindi si taglia il diritto ad una scuola pubblica, si tagliano i diritti lavorativi guadagnati in mezzo secolo di lotte; si taglia il diritto a sognare e sperare dei giovani, scagliati nella precarietà a vita. Si taglia il diritto ad essere felici, perché, dopo aver lavorato tutto l’anno e tutta la vita, non si fanno le vacanze: “si deve pagare il debito”. Si taglia il diritto al lavoro, relegando, con la disoccupazione, alla marginalità e all’insoddisfazione. Perché nell’Italietta dove il premier, nel 2008, diceva che il peggio era passato, succede anche questo. E non sembrano passarsela meglio neanche in Grecia, in

Irlanda, in Portogallo, in Spagna, nei paesi balcanici, negli ex paesi sovietici. Che il problema sia un problema strutturale dell’intera Europa? O la favola dell’Europa benefica regge ancora? Siamo forse felici che l’Europa ci richiederà di portare il debito rispetto al PIL al 60 % entro il 2020, e queste cifre così vaghe equivalgono a nientemeno che 1000 miliardi, cioè l’equivalente di 17 di queste finanziarie ”lacrime e sangue”? Siamo forse felici che l’Europa ci consigli di introdurre nella costituzione l’obbligo di parità del bilancio, cioè di introdurre legalmente l'impossibilità di perseguire una qualsiasi politica sociale? Saranno felici gli indignados che, dopo aver occupato le piazze per settimane, hanno ricevuto come risposta bipartisan questa stessa proposta di modifica costituzionale? I greci festeggiano ogni giorno con scioperi generali e scontri in piazza: l’Europa continua a salvarli, o a legargli sempre meglio la corda intorno al collo? Poniamo domande, non riveliamo verità, perché oggi è più che mai necessario e urgente capire il Reale, che sta mutando sempre più in modo definitivo. Noi osserviamo che gli Stati “periferici” dell’Europa stanno perdendo sempre più la


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sovranità popolare e nazionale, a favore degli interessi delle lobby finanziarie, bancarie e delle multinazionali. Gli ultimi avvenimenti nazionali e internazionali, fra cui il declassamento dell’Italia e degli Stati Uniti, ci mostrano come il mondo della Finanza abbia voluto dimostrare pubblicamente la propria influenza e il proprio potere.Per la prima volta, assistiamo ad una crisi dove le istituzioni politiche elette dai cittadini hanno meno potere decisionale delle istituzioni economiche non elette. Paghiamo la deregolamentazione finanziaria che fu fatta fra gli anni '80-'90 sotto l’egida di FMI e Banca Mondiale, richiesta anche per entrare nell’Unione Europea. Questa creò una sorta di “Parlamento finanziario”, che poteva decidere di punire o premiare gli stati, facendo o ritirando gli investimenti in base all’accondiscendenza e alla benevolenza degli stessi stati nei confronti dei poteri forti dell’economia. Infatti, paradossalmente, le maggiori privatizzazioni e deregolamentazioni del mercato finanziario e bancario in Italia furono fatte da coalizioni di centro-sinistra, in vista dell’entrata in Europa.

Siamo felici che, finalmente, in Italia i politici parlino di “responsabilità”: vogliamo che venga detto che sono loro i Responsabili delle scellerate scelte che ci hanno portato di fronte a questo dramma economico e sociale, di cui siamo solo all’inizio. Vogliamo che ci dicano che sono i Responsabili, i mandanti di quei poteri forti che oggi vogliono che paghiamo la Crisi creata da loro stessi. Una Crisi che ha messo in dubbio, dopo secoli e secoli, il predominio assoluto del “mondo occidentale”. Una crisi morale e sociale nel cuore stesso del Capitalismo. Una crisi che sta investendo i dogmi su cui si era basato il Capitalismo negli ultimi due secoli: lo Sviluppo e il ruolo dello Stato all’interno della società. Stiamo assistendo ad una vera e propria Ristrutturazione del mondo, dove il potere politico sta cedendo il passo al Mercato e alle istituzioni finanziarie. Ed è per questo che avvertiamo la nostra esistenza con così grande insicurezza e paura, perché siamo di fronte ad un momento di cambio storico. Il centro nevralgico del sistema Capitalistico, Europa e Stati Uniti, è entrato in una crisi senza precedenti. Questo è un cambio storico dove

potremo decidere di assistere impassibili, guardando al cinema la nostra esistenza, o cogliere la responsabilità e l’opportunità storica che ci troviamo di fronte. Questa Crisi sarà l’opportunità data a Noi di risvegliarci, e di iniziare a pensare di poter costruire il nostro futuro. E' in questo momento in cui i movimenti sociali e le persone possono influenzare più che mai. Potremo decidere se essere Protagonisti o Comparse della nostra vita. Però chiediamo a tutti di avere questa consapevolezza, senza nascondersi dietro parole come “responsabilità” o “pragmatismo”. La nostra generazione si trova di fronte a questo Bivio: saremo noi che potremo influenzare la scelta della strada da prendere, siamo noi che non dovremo accettare la “schiavitù del terzo millennio” in cui vogliono costringere gran parte dell’umanità. Siamo noi che vivremo e che scriveremo il nostro Futuro. Il sorriso dei nostri figli sarà la nostra vendetta.

-REDAZIONE-


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Manovre europee... Come banchieri, industriali e istituzioni sovranazionali vogliono farci pagare un debito che non è nostro. Recentemente l’Europa sta vivendo un periodo di crisi economica e politica senza precedenti. In questo contesto, il 24 e 25 marzo scorso il Consiglio Europeo ha approvato la proposta della Commissione Europea per un “Patto per l’Euro”, una cosetta niente male che ci ridurrà tutti alla fame. La quasi totalità di queste misure è stata “suggerita” alla Commissione dalla lobby industriale e finanziaria Business Europe, prima che giungesse l’11 marzo 2011 ai capi di Stato e di governo dell’Eurozona. I provvedimenti, sempre a danno dei più deboli, avrebbero poi trovato riscontro nella realtà pochi mesi dopo; ma andiamo con ordine. L’Italia, in questa situazione, rappresenta uno dei paesi più deboli ed esposti alla speculazione internazionale: prima dell’estate le agenzie di rating evidenziavano la fragilità e la poca credibilità del debito pubblico italiano. La minaccia di declassamento del rating, realizzatasi dopo vari annunci, ha spianato la strada alla messa in atto di determinate politiche all’interno del paese. I richiami di Giorgio Napolitano alla “coesione nazionale” e ai “sacrifici” hanno incoraggiato quella che poi è stata l’intesa trasversale che ha coinvolto governo, opposizione, sindacati confederali e Confindustria nell’accordo del 28 giugno. Con la legge di stabilità del 15 luglio, poi integrata dalla manovra correttiva approvata il 14 settembre, il Governo si è piegato al diktat dei mercati finanziari e delle istituzioni sovranazionali dell’Unione Europea. Dunque, la politica in quanto tale non conta più nulla, ogni decisione economica (cioè le principali decisioni che dovrebbero esprimere la linea di un governo e sottolineare le dif-

ferenze fra destra e sinistra) viene presa direttamente da tali “istituzioni”, nonché dai famigerati “mercati”. In Italia è il centrosinistra il portavoce dei mercati (Prodi), dei governi tecnici (Amato e Ciampi), dei tagli al welfare, dei pareggi di bilancio e delle privatizzazioni (D’Alema). Dunque, l’attacco finanziario all’Italia è messo in atto dai grandi speculatori internazionali, i quali non sono i cittadini impauriti che vendono azioni, ma i fondi d’investimento che muovono miliardi di euro e determinano il quadro finanziario di un paese. Quello che salta agli occhi più nettamente è che questa cosiddetta crisi finanziaria, o attacco speculativo all’Italia, ha di fatto sospeso la democrazia come era conosciuta fino ad ora, dopo averlo fatto con la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna (più altre decine di stati “sovrani” in giro per il mondo nelle mani del FMI). I governi in carica non hanno la possibilità di decidere alcunché: chi decide quali politiche attuare sono alcune strutture economiche controllate dai fondi d’investimento, dalle grandi multinazionali e da alcune grandi banche (l’americana Goldman Sachs, di cui Mario Draghi era membro, su tutte). E’ in atto un colpo di stato contro la democrazia occidentale, che si sta sperimentando nei paesi più esposti per “sondare” il terreno. In pratica, parlare di commissariamento è fin troppo poco: quello che stanno vivendo i paesi più indebitati dell’eurozona rappresenta alla perfezione ciò che hanno vissuto nel corso dell’Ottocento e del Novecento decine di paesi del secondo e terzo mondo, con l’FMI al posto del Fondo Salva Stati europeo, la Banca mondiale al posto di quella europea e il governo statunitense

al posto dell’Unione Europea. Tutti paesi che, di fronte ad un debito pubblico sempre più grande e col rischio dell’insolvenza, si affidavano a strutture finanziarie sovranazionali che ne determinavano le riforme, ne garantivano la solvibilità e ne indirizzavano le politiche economico-sociali. Questo modus operandi, dunque, non è affatto nuovo e può essere preso a modello per capire cosa accadrà in Italia. Le opzioni invocate da mesi come rimedi necessari per fare fronte alla crisi, volute prima dalla Confindustria Europea Business Europe, poi dalla Commissione Europea e adesso dalla BCE, sono le solite di questo trentennio: la riforma del mercato del lavoro, come se non fosse stato riformato a più riprese in questi anni e sempre in chiave neoliberista e precarizzante; l’aumento dell’età pensionabile, da portare a settant’anni; il


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a tempo debito

taglio netto dello stato sociale; e, infine, la cosa più ridicola del mondo: i tagli alla politica e la soppressione delle province, come se tagliare cento o duecento deputati rappresentasse un possibile palliativo. La lettera firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi che la Banca Centrale Europea ha inviato al Governo italiano il 5 agosto scorso, rappresenta, quindi, un’ingerenza senza precedenti, un’imposizione pesantissima che riguarda i contenuti, il metodo e i tempi di attuazione e che prescrive addirittura la modifica della stessa Costituzione italiana (con la volontà di introdurre, ad esempio, il pareggio di bilancio obbligatorio in Costituzione, ovvero la fine graduale di ogni spesa per il sociale). A ciò si aggiunge la riforma approvata dall'Ecofin il 4 ottobre, la quale impone di ridurre ogni anno del 5% la parte del debito ec-

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cedente il 60% del PIL. Ciò si tradurrebbe in una tassa di circa 50 miliardi di euro l'anno, i quali andrebbero ad aggiungersi agli 80 miliardi di interessi da pagare sul debito e alle certe misure restrittive che, in un periodo di crisi, accompagneranno ogni legge finanziaria annuale, creando uno stato di “eccezionalità permanente”. Il tutto senza contare che le solite figure sovranazionali hanno imposto ulteriori parametri suicidi agli stati membri dell’UE, dopo averli sapientemente bloccati con la ratifica del Trattato di Lisbona (che non consente di uscire dall’UE), ovvero: pareggio di bilancio nel 2014 (anticipato di un anno grazie alla letterina del 5 agosto scorso) e debito pubblico al 60% (quello italiano è al 120%). Ma perché solo oggi banche e speculatori si accorgono del debito pubblico e decidono di farlo pagare? L’euro ha pri-

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vato i governi degli stati membri della sovranità sulla politica fiscale. I paesi più esposti alla speculazione, quindi, non posseggono più i classici strumenti per fronteggiare le situazioni di emergenza (come la svalutazione, molto usata fino agli anni ‘80). Inoltre, sempre il “Patto per l’euro” prevede che i governi si impegnino annualmente a coordinare le varie manovre finanziarie sottoposte al “giudizio” (o meglio al volere) della Commissione Europea. La fragilità del sistema, poi, è amplificata più dalla titolarità che dall’entità del debito. Come in Italia, dove negli anni novanta il debito pubblico era detenuto da soggetti nazionali, mentre oggi è per la maggior parte nelle mani di banche straniere (secondo i dati forniti da Bankitalia il debito pubblico posseduto all’estero è passato dal 5,59% nel 1991 al 52,4% nel 2011). Gli speculatori, inoltre, non si preoccupano degli effetti delle loro azioni sull’economia reale, poiché il loro profitto è completamente scollegato da essa (grazie alla potenza della finanza e degli strumenti finanziari). Dunque, lo si capisce oppure no che la politica di sacrifici a senso unico, di lacrime e sangue, di precarietà e di povertà per i popoli non viene dal singolo governo, come quello Berlusconi (che è solo un burattino), ma dall’Unione Europea? Lo si vede oppure no che quella italiana e quelle europee sono false “democrazie” perché governi e parlamenti contano pochissimo rispetto alla feroce dittatura dei centri di potere economico/finanziari? E lo si nota oppure no che l'opposizione parlamentare di Di Pietro, Vendola, Napolitano e del Pd è complice dei mercati e della BCE? Li avete mai sentiti fare una critica alla BCE oltre che a Berlusconi? Bene, se vi siete resi conto di quello che sta accadendo, è arrivato il momento di agire.

-El Barto-


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Nuclei di potere e pe L’Europa sottrae sovranità economica ai governi nazionali per centralizzarla nelle mani di un apparato sovranazionale. Per capire il processo di polarizzazione in atto in Europa, è necessario ripercorrere alcuni passaggi storici. Le prime forme di integrazione economica europee furono la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), creata nel 1951, e la CEE (Comunità Economica Europea), nata nel 1957 e pilastro della futura Unione Europea. E’ interessante notare che il nome della CECA deriva dalle ricche miniere dell’Alsazia-Lorena, una zona contesa tra Francia e Germania, in passato scenario di sanguinosi scontri per appropriarsi di queste due risorse fondamentali per l’industria bellica. Il processo di costruzione di un'area economica europea ha visto come protagonisti i politici francesi, tra cui spicca Schuman, e tedeschi, tra cui Schmidt ma soprattutto Kohl. Quest'ultimo ha guidato il processo di riunificazione della Germania, elemento fondamentale per la creazione dell’Unione Europea. Infatti, dopo la caduta del muro di Berlino, si assiste ad un'improvvisa accelerata del “progetto Europa”. Il 7 febbraio del 1992 viene firmato il Trattato di Maastricht. Quest’ultimo rappresenta una tappa fondamentale del percorso che porterà, nel gennaio del 1999, all’adozione dell’Euro e a una politica economica condizionata dalla BCE (Banca Centrale Europea). Questo processo d’integrazione è nato, ed è stato avviato, con un mandato politico ben preciso: “l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria”

(art. 2 del trattato che istituisce la CEE). Non c’è da stupirsi, quindi, se nel codice genetico di questa Europa non c’è traccia di progetti di costruzione per un’unione politica e sociale. Vi sono, inoltre, altri difetti insiti all’UE, che ne rendono fragile la struttura. Dal punto di vista liberale, per creare un’unione monetaria che funzioni, sono necessari alcuni presupposti: la totale mobilità di capitale, la mobilità della forza lavoro, una politica finanziaria comune (cioè la possibilità di ridistribuire le ricchezze), un’area economica omogenea, tale che tutti i paesi membri si possano muovere nella stessa direzione e velocità, e, inoltre, la possibilità di svalutare la moneta. E’ evidente che, adesso, solo il primo tra questi punti è rispettato, ed è uno dei motivi per cui, in Europa, la crisi assume un carattere così acuto. Inoltre, l’Unione Europea, non avendo un'unione politica ma solo monetaria, si comporta come un’enorme tecnocrazia, in cui le funzioni strategiche sono occupate da burocrati non eletti che influenzano la politica economica dei paesi membri. Questo aspetto si è reso particolarmente evidente prima con la crisi greca, poi con la lettera di Trichet all’Italia. Già nel ‘35, W.M.King, primo ministro canadese, ebbe a dichiarare: «Una volta che una nazione rinuncia al controllo della propria valuta e del credito, non importa chi fa le leggi della nazione. Fino a quando il controllo dell’emissione della moneta e del credito non

sia restituito al governo, e riconosciuto come la responsabilità più rilevante e sacra, ogni discorso circa la sovranità del Parlamento e della democrazia sarebbe ozioso e futile». E’ evidente, quindi, che l’Europa è sempre più un’area geopolitica fortemente polarizzata, in cui un nucleo centrale, costituito dall’élite politiche ed economiche francesi e tedesche, ben rappresentate all’interno delle istituzioni economiche europee, dettano legge all’interno dei paesi periferici dell’unione. Questi ultimi sono gli ormai famosi PIIGS (Portogallo,


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riferie subordinate

Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), economie caratterizzate da una disoccupazione crescente e una deindustrializzazione evidente. Il caso Greco, su tutti, può aiutarci a comprendere questo fenomeno, e rappresenta l’anteprima di ciò che avverrà negli altri stati periferici. La Grecia ha 350 miliardi di debito, di cui 190 li deve all’Europa (cioè alle banche francesi e tedesche, detentrici della maggior parte del debito), e 35 alla BCE. La troika (triade) Germania, BCE e FMI ha, di fatto, il controllo sul parlamento greco,

Fonti :

imponendo misure d’austerità, privatizzazioni e svendite dei patrimoni greci, allo scopo di ripagare il debito. La situazione greca mette in luce la politica ipocrita dell’UE. Economisti e statisti del continente, non sapendo che pesci prendere, hanno una sola certezza: rapinare pensioni, salari, posti di lavoro, servizi pubblici, isole, riserve auree: tutto quello di cui ci si può appropriare (privatizzandolo) va preso prima del crollo. Non solo: i paesi che si sono offerti di “aiutare la Grecia” hanno imposto un tasso del 5 per cento sui capitali, che

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loro stessi hanno preso a prestito a un tasso che varia dal 1,5 al 3 per cento. Un altro modo di fare soldi sulle spalle delle persone. Questa situazione è insostenibile per un governo, ed è necessario un organismo sovranazionale (“Meno male che c’è la troika”, disse poco tempo fa il Ministro delle Finanze greco). I parlamenti dei paesi periferici a cui sono arrivati i diktat della BCE non sono stati semplicemente “commissariati”. Qui si sta parlando di una prerogativa della politica di uno Stato, cioè quella di decidere come spendere il denaro pubblico. Quindi, fatto ancor più grave, si allontana dalle persone la possibilità di influire nella politica del proprio paese, in quanto le decisioni importanti sono prese altrove. Dietro le misure d’austerity imposte agli stati deficitari, ci sono delle conseguenze sociali devastanti e drammatiche (poco tempo fa un cittadino greco ha tentato di darsi fuoco davanti alla sua banca). La stampa e i politici ci raccontano la crisi in maniera fredda, e l’unica preoccupazione manifestata è quella di “calmare i mercati”. Licenziamenti, tasse spropositate, tagli ai salari, sono le misure necessarie per ripagare “il debito”. Questi signori stanno giocando con il fuoco. Ogni qualvolta c'è stata la rottura di un'unione monetaria si sono registrati quasi sempre gravi disordini sociali, o addirittura la guerra civile (Jugoslavia docet). E’ dunque questa l’Europa dei popoli? O forse è un'unione di banchieri, lobby e gruppi d’interesse mossi dal profitto? Questo progetto europeo, di palese inclinazione destrorsa, non si può semplicemente modificare, ma va ripensato completamente.

-Supertramp-


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La Borsa o la vita! Come Debito, Finanza e Mercati influenzano le nostre vite. Mercati. Dietro questo termine vago si celano nomi e cognomi di finanzieri, gestori di fondi pensioni, banchieri, industriali e speculatori che, con le loro scelte, influenzano il mondo ben più di quanto non facciano i rappresentanti che noi eleggiamo. Ciò non avviene da ieri, ma neanche dalla notte dei tempi: se si volesse cercare una data di riferimento si potrebbe prendere il 1971, anno dell’abbandono della convertibilità oro-dollaro e della pubblicazione del manifesto di Powell, oppure il 1980, cioè quando Reagan, allora uno dei volti più noti del cinema e della pubblicità, divenne presidente degli USA; oppure il 1989, momento in cui cadde il muro di Berlino e con esso l’intero blocco sovietico. Prima le idee e poi le pratiche neoliberiste si diffondono nel pianeta. Quel sistema che per quasi trent’anni, a partire dal dopoguerra, aveva generato e ridistribuito ricchezza entra in crisi e molte economie occidentali, a partire dagli USA, si indebitano fortemente per sostenere la propria crescita. La possibilità per uno stato di indebitarsi non è nuova. Nuove sono tuttavia le proporzioni e la platea degli acquirenti-finanziatori del debito. Il debito stesso, che Keynes riteva uno strumento da utilizzarsi in momenti di crisi, per evitare che questa provocasse una recessione, diventa, a partire dagli anni ’80, il motore della crescita economica. Grazie alla liberalizzazione dei flussi finanziari, l’indebitamento smette di essere una questione nazionale e diventa globale. Il mondo della finanza diventa sempre più complesso: molte società entrano in borsa, le possibilità di investire aumentano a dismisura. Per orientarsi esistono le agenzie di rating che esprimono delle opinioni, così come potrebbe fare ciascuno di noi, sulla rischiosità di un investimento. Ma esiste una differenza fondamentale: mentre l’opinione del singolo cittadino non vincola nessuno, le scelte compiute da Moody’s hanno valore di organo pubblico: i fondi pensioni degli Usa devono seguire le indicazioni emanate da questa agenzia. Ci si potrebbe aspettare che queste siano organi

super partes. Nulla di più falso. Il conflitto d’interesse, tanto sbandierato in Italia in riferimento a Berlusconi, è infatti la norma nei settori finanziari. Nei Cda delle diverse agenzie sono infatti presenti le grandi banche e i più grossi gruppi finanzieri (J.P. Morgan, Goldman Sachs, Deutch Bank, Bnp). È quindi semplice intuire che il livello di trasparenza all’interno del mondo finanziario è tendente a zero. Questo sistema, in cui l’arbitro è uno dei giocatori, tende a provocare degli squilibri di grandi proporzioni. Il caso del debito, che è oggi più che mai d’attualità, è emblematico: oggi la Commisione Europea sta chiedendo a tutti gli stati di effettuare finanziamenti per riportare a zero il deficit e iniziare a breve a ridurre il debito. La riduzione di questo debito pone gli stati in una situazione di emergenza che obbliga a effettuare tagli in vari settori dell’economia e/o aumenti di tasse. Il problema del debito, presentato come frutto delle incompetenti classi politiche, in particolare dell’Europa meridionale, necessita invece di altre spiegazioni. Chi oggi vuole indietro i suoi soldi rappresenta gli stessi interessi, e in alcuni casi le stesse persone, che qualche anno fa hanno causato una parte significativa di questo debito attraverso la vendita di titoli derivati, lo sfuttamento delle varie bolle finanziare (immobiliare, verde, Dot-com), la vendita di armi. Ci-

tando rapidamente il caso greco si capisce meglio di cosa si sta parlando. Al momento dell’entrata nell’Euro la Grecia, visti i suoi conti non esattamente perfetti, è stata per molto tempo in forse. Dopo il parere positivo della Goldan Sachs di cui all’epoca Mario Draghi era vice-presidente, lo stato ellenico entra nell’Unione monetaria. Pochi anni dopo, siamo nel 2007, si scopre che i conti presentati dal governo di cento-destra erano truccati e che il deficit era non del 5% ma del 15%, ben lontano dal richiesto 3%. A questo punto partono, uno dopo l’altro, i piani salva-Grecia che comportano privatizzazioni, aumenti di tasse e licenziamenti come raramente accaduto nella storia mondiale. Mentre Francia e Germania immettono miliardi per “aiutare” la Grecia, questa si trova costretta da un lato a tagliare qualsiasi aspetto di welfare state e dall’altro a “investire” miliardi in armamenti prodotti da aziende tedesche e francesi e in interessi che vanno dritti nelle tasche dei banchieri.. Nel 2008 miliardi di Euro e di Dollari sono stati immessi nel sistema per evitare che il sistema finanziario mancasse di liquidità. Peccato che oggi lo stesso mondo della finanza ci chieda il conto, ed è salato. Ciò che ci viene presentata come la necessità di risanare i conti pubblici, non è che la tutela degli interessi dei Mercati.

Fonti : >>il sole 24 ore >>www.comedonchisciote.org

-C.C.-


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Estate 2011: c’è aria di crisi, un vento di rivolta si aggira per l’europa Rivoluzione pacifica in Islanda, riots a Londra, piazze occupate in Spagna e rivolte sociali in Grecia. Sara’ tutto una casualita’? Non sara’ mica colpa della crisi? Dal 2008 stiamo assistendo ad una crisi che si sta abbattendo sulle economie principalmente del mondo occidentale: una crisi in gran parte finanziaria che inevitabilmente si ripercuote sull'economia reale e sulle politiche dei governi. Gli attori del mondo della finanza ne stanno uscendo indenni mentre il pagamento dei loro debiti ricade sui cittadini, sempre più impoveriti e sfruttati. Anche l'Unione Europea, attraverso la BCE e la Commissione, ha un ruolo chiave nel proteggere e aiutare le banche e inoltre impone agli stati membri manovre economiche durissime per i cittadini. Anche i governi fanno la loro parte attuando politiche di austerity e attaccando i diritti dei lavoratori per smantellare lo stato sociale e far pagare a chi ha già pagato. Le mobilitazioni contro queste politiche si sono susseguite in tutti i paesi europei, dagli scioperi ai blocchi della produzione, dalle lotte alle grandi opere (la lotta contro la TAV in Val di Susa) fino alle mobilitazioni studentesche. In Islanda, alla fine di quest'estate, il FMI abbandona l'isola: è la risposta alla rivoluzione iniziata nel 2008. A seguito del fallimento della maggiore banca del paese (Landsbanki) e della sua nazionalizzazione, lo stato arriva ad un passo dalla bancarotta e accetta un debito di 2 miliardi di euro con FMI per ripagare i creditori inglesi e olandesi; il governo cerca di farlo pagare alla popolazione che si riversa, come in tanti altri paesi, nelle strade. Dal governo conservatore si passa ad uno socialdemocratico ma i discorsi sono gli stessi: risanare il debito (3,5 miliardi di euro per 300 mila abitanti). La vittoria dei “No” al referendum sul pagamento del debito è schiacciante: il debito é dichiarato “detestabile”e viene riscritta la costituzione, dando ascolto ai cittadini

attraverso social network e mail. E' solo la prima battaglia, la guerra non è ancora finita! A Londra il 7 agosto 2011 la polizia uccide un ragazzo: la rivolta ha inizio! Quattro giorni di riots scuotono il paese; non sono solo le vetrine a saltare in aria, ma è il volto perbenista del governo Cameron che taglia il welfare e usa metodi repressivi contro i rivoltosi (1 morto, 16 mila poliziotti per strada, centinaia di fermati). Nasce nelle periferie londinesi, divenute ormai ghetti per mancanza di politiche sociali, dove la disoccupazione giovanile è alle stelle e l'impossibilità di vivere in modo dignitoso provoca rabbia e indignazione. Anche nella parte meridionale dell'Europa la protesta si fa sentire: la politica “socialista” di Zapatero davanti alla crisi cede ai ricatti della BCE e porta avanti tagli alla spesa pubblica e misure di austerity. In questo clima si inseriscono gli indignados, accampandosi nelle piazze e creando un nuovo modo di autogestione e di dibattito assembleare, un insieme disomogeneo che porta avanti una critica in modo pacifico. Dopo le cariche e la cacciata dalle piazze, la mobilitazione continua nei quartieri, rendendo partecipe tutta la popolazione colpita dai tagli e dalle politiche antisociali.

Fonti : >>il manifesto >>www.contropiano.org

Dall'altro lato del Mediterraneo, dopo l'assassinio di Alexis, un ragazzo di quindici anni, da parte della polizia nel dicembre 2008, il movimento greco si è rafforzato e ha iniziato una mobilitazione per contrastare il programma di austerity voluto dall'UE e accettato prima dal governo conservatore e successivamente da quello socialista. Misure che si abbattono sulla gran parte della popolazione con tagli e tasse insostenibili, licenziamenti di massa (100 mila nel pubblico impiego), servizi e beni comuni privatizzati fino alla vendita di alcune isole e di una parte del Pireo. Nonostante scontri, denunce e arresti, durante l'estate si sono verificati in tutto il paese scioperi, blocchi della produzione e decine di manifestazioni: attualmente sono stati occupati 6 ministeri e più di 500 scuole. Tutte queste mobilitazioni, pur avendo pratiche e modalità molto diverse tra loro, hanno un tratto distintivo molto simile: la netta opposizione contro la volontà di far pagare il debito ai lavoratori e alla parte più povera della società. E' ormai tutta la vera Europa, quella composta di lavoratori e studenti, a lottare contro il pagamento del debito, lo smantellamento dello stato sociale e per il superamento di questo sistema economico.

-Aziz & Flo-


10 I n t e r n a z i o n a l e Bienvenido en Chile: dell’America Latina E’ una giornata di ordinaria protesta in Cile. Dalla televisione il presidente Piñera con una nota di paternalismo ammonisce il paese: “Tutti vogliamo educazione, sanità e molte altre cose gratis, ma vorrei ricordarvi che niente è gratis nella vita. C’è sempre qualcuno che deve pagare”. Parole sante. Il Cile ha finora vantato l’economia più sviluppata dell’America Latina, il “miracolo” per le scuole di economia di tutto il mondo, e questo grazie al sostegno dei finanziamenti statunitensi. Ma, come ricorda il suo presidente, tutto ha un prezzo: e anche il Cile ne ha pagato uno molto caro, quello del modello neoliberista della dittatura di Pinochet. A partire dall’11 settembre 1973, giorno del colpo di stato appoggiato dagli americani Nixon e Kissinger, nonché dalla CIA, contro l’ex presidente Salvador Allende, la società cilena è stata velocemente trasformata in un vero e proprio esperimento economico, una “succursale degli Stati Uniti”, dalla quale i cittadini cileni, stremati da diciassette anni di dittatura, non sono riusciti a liberarsi neppure in seguito alle dimissioni di Pinochet, che indicendo un plebiscito ha aperto le porte al nuovo regime politico. Nessuna uscita di scena brutale, tanto che alla sua morte gli sono state concesse le esequie militari (i funerali di Stato furono negati dall’allora Presidente della Repubblica, la socialista Michelle Bachelet). Di qui dunque il passaggio al governo democratico della Bachelet e a quello attuale di Sebastiàn Piñera, dove però la parola “democrazia” ha assunto un senso tutto

suo: questa è infatti assolutamente dipendente da una rigida dittatura economica ed è fondata su una Costituzione redatta in tempo di regime. Sembra incredibile che nonostante i vent’anni di Concertaciòn (Concertaciòn de Partidos por la Democracia) poco o nulla sia cambiato e che nessuno si sia ricordato di mettere mano a un documento di questo calibro. Il Cile resta quindi tutt’oggi il paese con il reddito pro capite più alto dell’America Latina ma anche quello con la più alta disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e la seconda università più costosa al mondo, i cui tanti segni + della macroeconomia si scontrano con quelli – della macro vita reale delle persone: non esistono politiche sociali, tutto è votato alla privatizzazione e al libero profitto. Dopo le proteste degli anni passati, a maggio di quest’anno qualcosa sembra essere cambiato. Partita come una delle tante mobilitazioni studentesche che si infuocano per qualche

mese per poi svanire, stavolta la scintilla è scattata davvero e il movimento guidato dalla Confech (Confederaciòn de Estudiantes de Chile) si è unito alle voci dei civili che ormai da anni assistono alle continue riforme e iniziative del governo nel campo dell’istruzione pubblica, della sanità e delle pensioni senza però toccare la Costituzione di stampo fascista. Tanto che in realtà la protesta è nata dagli attivisti del movimento ambientalista contro la costruzione in Patagonia delle cinque megacentrali del progetto HydroAysén, cui si sono immediatamente uniti i movimenti studenteschi per la riforma della scuola pubblica. Presi in causa anche i minatori, che, di fronte alla possibilità che anche la Codelco (Corporaciòn Nacional del Cobre, ovvero del rame) venga nuovamente privatizzata, hanno scelto di scendere in piazza a quarant’anni esatti dal giorno in cui Salvador Allende aveva nazionalizzato le miniere di rame. Tutti sono coinvolti, non ci sono solo studenti


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: dietro “il miracolo”

e lavoratori contro leggi e istituzioni, ma anche il sorriso amico delle persone che li incontrano. La popolazione cilena non punta il dito contro quegli “inutili e sovversivi”, come il presidente del partito di Piñera Renovaciòn Nacional li ha definiti, ma sono con loro, insieme nella sfida di cambiare una società che a loro non appartiene. E nello specifico, contro un’università oggi quasi interamente privata, per frequentare la quale molti studenti ricorrono al debito e anche chi riesce ad arrivare alla fine dei corsi e alla laurea si ritrova davanti 15-20 anni di rate da pagare, leggi sul lavoro, politiche sociali, limitate agli assegni per gli indigenti, politiche tributarie ad oggi a vantaggio dei grandi redditi, una costituzione che ha bisogno di liberarsi dei retaggi del regime. Le risposte del governo sono state finora insufficienti e marginali, ad esempio la sostituzione di alcuni ministeri come quello dell’Educazione e un generale rimpasto di go-

Fonti :

verno o la proposta di un piano di 21 punti per quanto riguarda la riorganizzazione dell’istruzione cilena, concessioni per placare il conflitto sociale ormai in atto ma che altro non fanno che “metterci sopra una toppa”, restando di fatto sordi alla precisa richiesta di un cambiamento strutturale. Dopo le proteste del 4 agosto, le più forti dall’inizio delle mobilitazioni, il 28 e il 29 agosto è stato indetto uno sciopero nazionale portato avanti dai maggiori sindacati studenteschi, tra cui la Confech citata sopra, e dal più grande sindacato cileno dei lavoratori (Central Unica de Trabajadores de Chile). Alla fine dei due giorni il bilancio è stato di 1394 arresti, centinaia di feriti e Manuel Gutierrez, un ragazzo di quattordici anni, è rimasto ucciso dalla pallottola di un carabinero. Nuovi arresti e scontri alla recente manifestazione del 29 settembre. “Una causa nobile, grande, bella” l’ha definita Piñera. Parole confortanti. Peccato che la risposta non lo sia stata altrettanto.

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C’è sempre qualcuno che in questa vita paga per far sì che la macchina del profitto possa sempre continuare a crescere, ma quello che il presidente forse non ricorda è che quella di cui parla non è la vita, ma una vita, quella che ci è stata imposta e che si nutre di disuguaglianze sociali, povertà, guerra, oppressione, in poche parole, una vita piegata alle leggi del capitalismo.

-Bet & Frida-


12 I n t e r n a z i o n a l e P a u ra e d e l i r i o a l Breve Storia di Crisi e speculazioni Il nome di Isaac Boxtel, floricoltore olandese del '600, ai più non dirà molto. Figura fra il mito e la realtà, fu al centro di una delle prime speculazioni della storia economica, una delle più straordinarie bolle speculative della storia, legata a un fiore che ancora oggi è conosciuto come “ il fiore che fece impazzire gli uomini”: il tulipano. L’elite olandese si innamorò di quel bellissimo fiore, ritenendolo uno degli oggetti fondamentali per una vita dignitosa. Gli speculatori non si fecero aspettare, e il prezzo dei bulbi raggiunse cifre impensabili( il prezzo più alto a cui arrivò un bulbo è stimabile intorno ai 300.000 euro attuali), poiché si pensava che quella mania sarebbe stata eterna. Nel 1636 il tulipano fu addirittura quotato in Borsa e l’entusiasmo era quello che di solito caratterizza i giochi d’azzardo. Il 5 febbraio 1637 il gioco si ruppe: qualcuno ritenne irreali le quotazioni dei bulbi e cominciò a vendere: fu il panico. La bolla era scoppiata e in due giorni il valore dei tulipani si ridusse del 90%. Per chi non l’avesse ancora capito, le bolle speculative sono antiche quanto il Capitalismo. In realtà l’intero sistema capitalistico è scosso periodicamente da crisi cicliche e inevitabili. La storia moderna del Capitalismo è la storia delle sue Crisi, che portano a momenti di instabilità politica e sociale, a guerre ma anche a momenti di fervore rivoluzionario. L’inizio di crisi cicliche e devastanti comincia nell’800, il secolo dell’affermazione del Capitalismo come unico sistema. La “ primavera dei popoli” del ’48 fu frutto della crisi economica del 46-47, una crisi di sovrapproduzione che arrestò lo sviluppo capitalistico europeo. Essa fu aggravata dal tentativo, fallito, di speculare sul prezzo dei beni alimentari. Oggi come ieri, la Crisi e speculazione finanziaria vanno di pari

passo.Tempo trent’anni, e il mondo fu scosso da una nuova crisi, molto più potente negli effetti di qualsiasi altra vista prima, e passò alla Storia come Grande Depressione( 18731895). La crisi ebbe inizio con il fallimento della grande banca newyorchese di Jay Cooke, la quale diede inizio a un’ondata di panico che si diffuse in tutti i paesi industrializzati. La Crisi fu nuovamente di sovrapproduzione; gli effetti furono però totalmente diversi. Mutò la natura stessa del sistema economico, aprendo la fase del cosiddetto “capitalismo organizzato”; iniziò una fase in cui gli imprenditori accettavano l’intervento dello stato e in cui la risposta dei governi fu l’innalzamento delle barriere doganali. La crisi portò alla necessità di nuovi mercati, e così iniziò quello che noi studiamo come Imperialismo, cioè la conquista da parte europea di Africa e Asia. Ma le conseguenze politiche non si fermarono qui: il mix fra Imperialismo e barriere alla dogana portò una forte ostilità fra gli Stati, che culminò nella prima guerra imperialistica e capitalistica. Si sta parlando della prima Guerra Mondiale. Finite le “prede”, i “gatti” iniziarono ad azzuffarsi fra di loro. Che l’uscita dalla Crisi sia l’espansione dei mercati o una guerra non è una prerogativa della crisi di fine ‘800. La risposta e la conseguenza alla crisi del ’29 furono la Seconda Guerra Mondiale. La Grande Crisi inizia con il “giovedì nero” di Wall Street a cui fece seguito il “martedì nero” ; fu una crisi sia di sovrapproduzione che finanziaria. Tutti noi abbiamo l’immagine della carriola piena di marchi di un uomo tedesco che va a comprare il pane.. Come reagirono gli Stati? I Paesi ne uscirono come avevano fatto anni prima, cioè alzando le barriere doganali, senza peraltro riprendere i ritmi di

crescita ante-crisi. E la Germania? La Germania ne uscì rilanciando l’industria, scelta che seguirono poi tutti i paesi e che dette una “boccata d’ossigeno”. Peccato che, anche se i mercati festeggiavano, l’industria che scelsero per il rilancio dell’economia fu quella bellica; e così nuovamente una guerra rilanciò l’economia mondiale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne imposto dagli Stati Uniti il sistema di Bretton Woods che si pose come obbiettivo la stabilità economica e finanziaria. Il diffondersi delle idee keynesiane portò i paesi a controllare attivamente il ciclo economico. Si pensò che il tempo delle recessioni e delle crisi fosse finito. Il mondo attraversò un boom economico senza precedenti ( l’età dell’oro del capitalismo)e il futuro pareva sempre più roseo; ma


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L i b e ro M e r c at o finanziarie. O meglio, del Capitalismo

già negli anni ’70 si prospettò una nuova recessione. La decolonizzazione, la crisi petrolifera, la ristrutturazione e l’innovazione tecnologica di molte grandi aziende innescarono una fase recessiva per l’economia mondiale. Gli effetti di tale recessione furono molteplici: essa sancì la vittoria di un nuovo paradigma economico, il Neoliberismo, e concluse un lungo periodo di crescita, a cui mai più tornerà l’economia-mondo. La deregolamentazione finanziaria portata avanti dal Neoliberismo e la bassa crescita dell’economia reale, portarono a un effetto che diventerà poi perverso: l’aumentare vertiginoso e senza precedenti del volume d’affari dell’economia finanziaria e speculativa. Tale fenomeno fu accelerato dalla caduta dell’Unione Sovietica e dalle nuove scoperte tecnologiche che

Fonti :

integrarono il mondo come mai nella storia. Negli anni ’90 divenne possibile muovere miliardi e miliardi di yen, dollari, franchi, sterline, nello stesso giorno e con un solo click. Fu l’inizio del disastro: seguendo i saggi e rassicuranti “consigli” di FMI e Banca Mondiale tutti i paesi effettuarono la deregolamentazione finanziaria e bancaria. Tutto il mondo divenne terreno di conquista degli speculatori e gli Stati non avevano più poteri regolativi sull’economia , in nome dell’ideologia della Supremazia del Mercato. I rombanti anni ’90, gli anni della Vittoria del Capitalismo, dello sviluppo e della prosperità, furono in verità anni che metà dell’umanità non vorrebbe ricordare. Perché per quanto giornalisti e politici “progressisti” si scordano di ricordarci, mai ci fu un decennio attraversato da così tante sistematiche e continue crisi. Il decennio inizia con la crisi bancaria svedese dell’inizio degli anni ’90, accompagnato subito dopo dalla crisi della sterlina del ’92. Tempo di calmare i mercati, che una nuova crisi finanziaria si abbatte sul mondo. Il Messico nel ’94 inizia a non reggere più il cambio con il dollaro, è forse necessaria una svalutazione, il Mercato si impaurisce. Ritiro degli investimenti occidentali, il paese inizia il tracollo, e gli avvoltoi attaccano la carcassa ancora viva. Inizia quindi il cosiddetto “ effetto tequila” che sbanda i mercati, per anni, da continente a continente. Si succede così la crisi asiatica( ’97-98) , si inasprisce la recessione giapponese iniziata nel ’92 a causa di una bolla speculativa e infine inizia la crisi debitoria russa( ‘98). Finito qui l’effetto tequila? No, i Mercati continuano a essere “sballati”, e gli avvoltoi ancora assetati. Si torna in Sud America. La crisi finanziaria colpisce Brasile e Ecuador; ma più che altro colpisce il “ pupillo” degli Stati Uniti e del

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FMI: l’Argentina. Dopo esser stato preso come esempio per dimostrare l’efficienza del libero mercato e la bontà dei consigli degli istituti finanziari, due anni dopo la laurea ad honorem( data dall’Università di Bologna) a Cavallo, artefice della rivoluzione neoliberale argentina, nel 2001 il Paese è obbligato a dichiarare default. Alcune domande sorgono spontanee: sono errori del Mercato, o il problema è strutturale al sistema economico? La Crisi del 2008 era quindi così imprevedibile? Prima della Crisi, negli Stati Uniti si esaltava il ruolo innovativo e trainante che aveva il mondo della Finanza, come se negli anni ’90 il sistema finanziario non avesse distrutto la vita di centinaia di milioni di persone. Ma nello stesso tempo aveva arricchito una piccola minoranza di banchieri e speculatori; quella stessa minoranza che ha poi chiesto l’aiuto degli Stati per non fallire, e che oggi continua a dettare legge. Inoltre ci chiediamo: come mai nessuno ha seguito gli “ avvertimenti” degli anni ’90? Come mai i politici e giornalisti ci dicono che “c’è la crisi, dobbiamo fare sacrifici” quando è evidente che il problema è strutturale e intrinseco al sistema? I premi Nobel per l’economia non sono riusciti a “ prevedere” questa crisi? Il problema è che chi ha causato la Crisi, oggi ci dà la Ricetta per uscirne, nella solita salsa neoliberale “ austerity e privatizzazioni”. E politici, giornalisti e premi Nobel sembrano più gli scribacchini di corte o al più i segretari, che individui critici e liberi. Ma la Storia continua, come continua il Capitalismo, come continua la Storia delle sue Crisi. Aspetteremo la prossima, o addirittura l’ultima crisi, quella che devasterà definitivamente il mondo umano e ambientale, prima di ribellarci? Noi siamo già pronti per questa.

-Jules-


14 N a z i o n a l e Posta Prioritaria Dalla lettera di Trichet e Draghi allo sciopero Quest'estate l'Europa cominciava a preoccuparsi della traballante situazione economica italiana, che vantava un debito pubblico di oltre il 120%. Una lettera a quattro mani, dal contenuto segreto (fino alla pubblicazione del 29 settembre) e indirizzata al governo italiano, stava per stravolgere l'equilibrio sociale di un intero paese. I mittenti erano Trichet e Draghi: il primo attuale, il secondo futuro presidente della Bce, nonché ex presidente della banca d'Italia ed ex direttore del tesoro. La lettera intimava di procedere celermente verso una “normalizzazione”, in senso neoliberista, della situazione economica del paese, atta ad allineare l'Italia con i canoni economici europei. In cambio la Bce avrebbe proceduto all'acquisto dei titoli di stato italiani. Un decreto che garantisca una maggiore produttività, privatizzazioni e meno rigidità nelle norme sui licenziamenti dei contratti a tempo indeterminato. La ricetta europea per tirare fuori dal baratro i paesi in cui la crisi del sistema capitalista ha avuto i suoi effetti più nefasti, è di riproporre la solita salsa. Il governo italiano ci ha aggiunto un po' di pepe con la sua sana incompetenza. Nasce un lungo iter burocratico che ci porta fino al 14 settembre, data in cui passa la tormentata manovra finanziaria con voto di fiducia. Il risultato è un'accozzaglia di tagli e tassazioni (per un totale di 54 miliardi) che colpiscono tutti i cittadini con prospettive di crescita inesistenti, come ha ben presto capito Standard and Poor's, declassando il debito italiano. Il famoso contributo di solidarietà, ridimensionato dopo l'impetuoso sciopero dei poveri calciatori, rimane infatti una banalità, che maschera come equa e giusta l'intera manovra. Convinzione che cade per i pochi volenterosi che si accingono a

leggerla. L'articolo di impatto più immediato sul mondo del lavoro è forse l'articolo 8. Questo, che poco ha a che fare col pareggio di bilancio, sancisce deroghe dal contratto nazionale sulle norme riguardanti i licenziamenti (in pratica, l'abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori). L'azienda può stipulare a livello territoriale un contratto di lavoro con norme autonome peggiorative: “1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori [...]possono realizzare specifiche intese [...]. 2. Le specifiche intese [...] possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative […] alle modalita' di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro […], alle conseguenze del recesso dal rapporto di

lavoro (licenziamenti ndr). [...]2-bis. Le specifiche intese operano anche in deroga alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. ”. Le specifiche intese saranno finalizzate ad una maggiore produttività, occupazione e competitività. Un giochino che lega il destino del lavoratore a quello dell'azienda. Lo responsabilizza rendendo il dipendente teoricamente più portato a volere il bene dell'azienda. Un concetto meritocratico che ripropone, a livello generale, il medesimo modello capitalista che ci ostinano a far credere il migliore. Dunque l'articolo 8 elimina qualsiasi necessità di stipulare un contratto nazionale. In realtà Confindustria e i tre moschettieri (Bonanni, Agneletti e Camusso) hanno ultimamente confermato l'accordo del 28 Giugno. Questo


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del 6 settembre: storia di un'estate travagliata

aumenta il dubbio che tale accordo non sia in netta contrapposizione con l'articolo 8 della manovra (in cui, tra l'altro, è citato due volte). In effetti, già nell'accordo del 28 giugno si apriva alle deroghe dal contratto nazionale. Testimonianza di questo fatto è anche il commento di Marcegaglia all'accordo, che apostrofa: "i contratti aziendali sono ora più forti ed esigibili". La CIGL ha scelto il momento più inopportuno per rientrare nelle contrattazioni con Confindustria, insieme a CISL e UIL, in opposizione, oltretutto, alle posizioni della base del sindacato. È infatti difficile pensare che la FIOM, dopo un anno di dure lotte contro il manager più pagato della storia che punta al modello sindacale americano, apra alla “tregua dello sciopero”. C'è chi dice all'interno della CIGL che l'accordo del 28 Giugno estenda a tutti i la-

Fonti :

voratori il modello Marchionne. Il sindacato si trovata ad assumere una posizione assai difficile: da una parte riavvia la contrattazione con Confindustria per non venire superata da CISL e UIL, dall'altra indice uno sciopero, quasi come per dare un contentino ai lavoratori, contro la manovra. Confindustria poteva forse pensare all'inizio dell'estate di avere la situazione in pugno, con l'amico Draghi a dare ordini a Tremonti, e i sindacati subordinati ai propri interessi. A metterle i bastoni tra le ruote è proprio Berlusconi, tanto che il Sole 24 ore ne ha pubblicamente chiesto le dimissioni. Non sembrano convincere i provvedimenti sulle liberalizzazioni, e l'instabilità e l'incompetenza del governo frenano ancora di più un'auspicabile ripresa dei mercati. La Marcegaglia, guardandosi attorno sconsolata, nota

Bersani che le fa l'occhiolino. La contromanovra del PD, nonostante sia del tutto inapplicabile e atta a fare pubblicità populista ad un partito fantasma, difende l'accordo del 28 Giugno (in cui Confindustria è l'unica vincitrice) valutandolo incompatibile con l'articolo 8. Inoltre, riguardo alle privatizzazioni, promuove “un pacchetto di interventi per rafforzare e dare operatività immediata alle misure di liberalizzazione dei servizi professionali, della distribuzione dei farmaci, della filiera petrolifera, del RC auto, dei servizi bancari, delle reti energetiche, dei servizi pubblici locali”. Ciò smaschera come mossa demagogica l'appoggio al referendum di Giugno del partito democratico, le cui posizioni potrebbero tutto sommato risultare congeniali all'imprenditoria italiana. Ci ritroviamo a pagare i danni della speculazione delle grandi multinazionali, dei grandi imprenditori, che per non uscire dal circuito della finanza che conta, svuotano le tasche alla gente comune. Il debito italiano non sarà dichiarato detestabile: Confindustria, e ciò che rappresenta, potranno così continuare a speculare, cosicché tra qualche tempo, quando ci accorgeremo nuovamente che i conti non tornano, torneranno a chiederci soldi. Questa manovra non è né la prima, né sarà l'ultima. Subito prima di questa ce ne è stata una a Luglio, da 70 miliardi, approvata in due giorni grazie alla collaborazione del PD, che ha promesso e mantenuto, rispondendo all'appello di “coesione nazionale” del presidente Napolitano, di non fare emendamenti. In futuro ce ne saranno altre, perché i miliardi si possono bruciare in un giorno a piazza affari e perché il pareggio di bilancio è talmente lontano che questa finanziaria non è che una goccia nell'oceano.

>www.sensasoste.it >accordo del 28 Giugno delle pari sociali>testo della finanziaria del 7 setembre e aggiornata al 14>contromanovra del PD

-f.R.-


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Nazionale

TAV - IL TRENO In Val di Susa si sta giocando una partita importante per il futuro dei suoi abitanti e dell'intero paese. Quella che vi vogliamo raccontare è una storia di lotta e di resistenza, di oppressione e di militarizzazione, di mafia e di sporchi interessi. Sono ormai vent'anni che il progetto TAV (Treno ad Alta Velocità) è stato approvato e che il suolo di quelle magnifiche montagne è minacciato da uno sconsiderato traforo, ma il movimento è sempre stato in prima fila nell'impedire che ciò fosse realizzato. Come? Opponendosi fisicamente. Una resistenza così tenace ha impedito che i lavori proseguissero. Ad oggi, in quella valle, non è ancora stato costruito un metro di TAV, il cui costo è stimabile a 120 milioni di euro per kilometro. L'unica cosa che sono riusciti a costruire sono recinzioni, che circoscrivono l'area del non-cantiere, e un fortino, che ospita finanzieri, carabinieri, polizia di stato, alpini e cacciatori calabresi e sardi. Questi, nel ricoprire il loro infame ruolo, sono costosamente equipaggiati. Parliamo di visori notturni, maschere anti-gas, idranti ad acqua e lacrimogeni CS, vietati dalla convenzione di Parigi sulle armi chimiche e quindi inutilizzabili in conflitti internazionali a causa della loro forte tossicità e per gli effetti cancerogeni che provocano, benché frequentemente usati dalle forze di polizia. Alcuni esponenti del PD, tra cui Esposito, hanno proposto di “modernizzare” la strumentazione in dotazione ai loro mercenari che dovrebbero sfruttare proiettili di gomma, i quali hanno già provocato migliaia di vittime nel mondo, flash bang, dispositivi che stordiscono tramite combinazione di luce e suono, e cannoncini spara-reti. Infatti, dopo la distruzione del cantiere di Venaus del 2005 ad opera del movimento NO TAV, è apparso chiaro che l'unico modo possibile per mandare avanti i lavori è oc-

cupare militarmente la zona, soffocando ogni tentativo di sabotaggio. Questa colossale opera è la più costosa mai costruita dallo stato italiano e la sua difesa, costituita da un vero e proprio esercito, costa 90.000 euro al giorno, cifra destinata ad aumentare nel periodo invernale. Questo enorme dispiego di forze è posto a proteggere gli interessi di chi con la TAV conta di arricchirsi. Forse questi banchieri, imprenditori e mafiosi non sanno che questa inutile opera farao-

nica non sarà mai portata a termine. E non lo sanno neanche tutti i politici che hanno appoggiato la costruzione dei treni ad alta velocità. Mentre l'UE poneva la scadenza inderogabile del 30 giugno per l'inizio dei lavori, lo Stato, indossando i panni di gendarme, si occupava di sgomberare la libera repubblica della Maddalena, presidio permanente che occupava l'area destinata all'ampliamento del cantiere. Questa aggressione è la sentenza senza se e senza ma che i governanti hanno por-


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DEGLI ORRORI tato avanti nei confronti degli abitanti della valle, rifiutando il dialogo che è stato relegato a commissioni, organi e osservatori completamente esautorati di potere reale, senza mai mettere in discussione la realizzazione dell'opera.I vari schieramenti politici si confondono in un’indistinta marmaglia che grida all'unisono "SI TAV". Parliamo naturalmente dell'accoppiata PDL e Lega, cui si affiancano partiti diversi di nome ma non di fatto. Il per niente democratico PD e il ben poco ecologista SEL, accompagnati da IDV, UDC e dal magico trio CGIL, CISL e UIL. Nel teatrino che è la politica si scannano e si insultano, mentre ad un tavolino, lontani dalla luce del sole, si amano e si abbracciano. Come mai? Si stanno spartendo il bottino. Questa colossale opera è inutile e dannosa, e i suoi vantaggi irrisori in confronto alla spesa. Prima di tutto vi é il fatto che il rapporto tra il traffico reale di merci e quello previsto è di uno a dieci, considerando che infrastrutture per il trasporto sono già esistenti e il beneficio della TAV, da questo punto di vista, si limita nel risparmio di un'ora di viaggio. Quando si parla di TAV, l'esempio emblematico, con i riflettori puntati, è la Val di Susa: sui lavori di questo progetto attraverso tutta la penisola si raccontano storie diverse ma tutte accomunate dallo sfruttamento della manodopera, che anche in questo caso è andata a rinfoltire il numero di morti bianche, e dal forte impatto ambientale, danni alla qualità della vita, dispersione di polveri sottili e spese inaudite. L'unica linea conclusa e funzionante è la Napoli-Roma che essendo troppo costosa ha un basso numero di passeggeri, visto che la TAV, per i suoi enormi costi di costruzione e manutenzione, costa molto più di qualsiasi altro treno. La sua realizzazione ha visto infiltrazioni mafiose attraverso imprese sub-

appaltatrici, vicine ai casalesi. Mentre a Roma le linee TAV sono state costruite accanto a case, scuole e attività commerciali, rendendo così la vita impossibile ai suoi abitanti a causa di rumore, inquinamento ed espropri a prezzi irrisori. Nel tratto Roma-Firenze-Bologna le ripercussioni più forti sono quelle ambientali che hanno letteralmente travolto l'area del Mugello. L’accusa principale è l’inquinamento del territorio e l’impoverimento delle falde acquifere, oltre alla truffa e alle irregolarità nello smaltimento dei rifiuti dei cantieri. I danni sono stimati di oltre un miliardo di euro: anche stavolta le cifre parlano da sole. La TAV è il paradigma del rapporto tra stato e cittadini, tra politica ed impresa, tra l'ambiente e il cosiddetto progresso. Lo stato si legittima nelle sue scelte in quanto rappresentante della maggioranza, e in quanto tale si attribuisce il potere di prendere decisioni riguardanti la vita dei cittadini senza che ci sia un confronto e un’alternativa reale, visto che qualsiasi schieramento politico oggi in parlamento è d’accordo con la costruzione della TAV. La realizzazione di

Fonti : >>www.notav.info

quest’opera manifesta l’idea di progresso e crescita che il capitalismo esercita su scala globale, noncurante delle conseguenze ambientali, decidendo di investire su questo piuttosto che su scuole, università, ospedali, trasporti pubblici cittadini e regionali, pensioni, indennizzi per disoccupati e invalidi. Lo stato non può essere garante dei suoi abitanti perché piegato da interessi trasversali. Oggi chi contesta la TAV va contro questo paradigma, motivo per cui è considerato terrorista e nemico del progresso, quel progresso finanziato in funzione del mercato e non per migliorare la qualità della vita. Il movimento che si è sviluppato è germogliato assumendo i caratteri di una resistenza popolare, non certo esclusiva della Val di Susa, ma estesa all’intero paese. Non esistono buoni e cattivi, non ci sono né violenti né pacifisti, ma una moltitudine che ha ben compreso che i mezzi offerti dalla democrazia sono inadeguati e che l’unico modo per fermare questo progetto è il sabotaggio e il conflitto. “CHI TOCCA LA VAL DI SUSA TOCCA TUTT/* NOI! A SARA DURA!"

-Don Z & Supertramp-


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Nazionale

Dall'Onda ad oggi: un movimento al bivio Dopo la crescita degli ultimi anni, è tempo di raccogliere quanto seminato, senza perdersi in un bicchier d'acqua. E’ passato quasi un anno dal movimento partito contro l’ennesima legge sull’università (il ddl 1905), il quale si è poi affiancato (non unito, sarebbe stato troppo bello) alla resistenza dei lavoratori metalmeccanici FIAT. Il movimento, nel suo insieme, è stato ampio, vario, ha presentato momenti di discontinuità nelle forme di organizzazione e di lotta rispetto al suo recente passato ed ha rappresentato, quindi, un notevole passo in avanti rispetto ad esso. Dalla mobilitazione del 2008 a quella del 2010 si sono riscontrati numerosi cambiamenti, in termini di partecipazione e a livello rivendicativo: se l’Onda ha rappresentato una sorta di “risveglio” di massa a livello studentesco, l’ultima mobilitazione si è invece contraddistinta per una partecipazione inferiore nei numeri ma maggiormente politicizzata. Si sono dunque riattivati, nelle scuole così come nelle università, l’interesse e la voglia di far politica, ricercando (non senza difficoltà) un contatto con i lavoratori. Il ruolo della FIOM e la lotta contro i ricatti di Marchionne hanno spinto il sindacato dei metalmeccanici, visto l’isolamento interno alla CGIL, a ricercare un dialogo con i movimenti. Dialogo che in parte c’è stato, ma senza che si creassero legami stabili fra i vari soggetti, privilegiando altre logiche. E’ stato deciso, infatti, di dar vita all’ennesima sigla dal nome “Uniti contro la crisi”, già superata ed abbandonata come progetto politico. La forza reale dell’ultimo movimento si è vista il 14 dicembre 2010 a Roma, quando la gente voleva arrivare a Montecitorio, ovvero nel punto più alto in cui, in quel momento, si giocava la partita dove si stava decidendo della fiducia al governo. Si è mirato, cioè, all’elemento politico, riuscendo a creare basi di legittimità per contrastare i vari attacchi dei media (da notare il diverso atteggiamento de La Repubblica rispetto ai cortei di quest’anno) e dei finti moralisti come Roberto Saviano e Co. Il problema del dopo Roma è stato più che altro non aver capitalizzato quanto creato fino ad allora, non essersi organizzati a

sufficienza, l’aver fatto anche dei grandi passi indietro (come incontrare il Presidente della Repubblica la settimana successiva) o aver lasciato isolate tra loro le varie città conflittuali. Comunque, dopo ulteriori difficoltà primaverili fatte di scadenze dettate più dalla contingenza che da una vera progettualità politica, una nota positiva è giunta con la vittoria dei 4 sì al referendum del 12 e 13 giugno: una vittoria, però, solo apparente, visto che magari si sarebbero potuti creare nuovi spazi di discussione sulle varie tematiche dei quesiti, inquadrando la grande partecipazione al referendum all’interno di ragionamenti politici più generali, complessi e “rivoluzionari” (ops, che parolone!). Con l’acuirsi della crisi speculativo-finanziaria in contemporanea a varie manovre repressive in tutta Italia, una nuova esplosione di conflitto si è vista in Val di Susa dove, al fianco dei NO TAV, sono arrivate circa 70.000 persone da tutta Italia, in una situazione dove si è registrato un ulteriore momento di rottura, dopo il 14 dicembre romano, fra vecchie e nuove pratiche dei movimenti, così come fra vecchie e nuove rappresentazioni della protesta da parte dei media “ufficiali” (con la consacrazione delle dirette streaming a danno delle notizie di Repubblica.it). Nonostante le minacce, gli arresti, la repressione scatenata in tutta

Italia da Padova a Napoli, da Firenze a Torino, i legami creatisi in questo anno di lotte hanno creato nuove coscienze critiche, formato nuovi gruppi, fatto crescere ulteriormente le persone. Le stesse che, nonostante la scelta pompieristica di indire uno sciopero generale il 6 settembre, senza un percorso dal basso delle varie realtà in lotta, hanno saputo creare spazi di criticità nelle piazze dei vari sindacati, dalla CGIL all’USB. Adesso, vista la fase che stiamo attraversando e il futuro che ci attende, sarà importante rimettere in campo quanto di buono si è visto fino ad oggi: fare politica sul serio, non per hobby; costruire continuamente nuovi spazi di discussione non autoreferenziali, allargare la base del consenso in modo graduale e paziente. Studiare, analizzare, confrontarsi su tutto, senza diventare professionisti della politica “militante”, ma facendosi muovere da forti sentimenti d’amore per essa (come diceva qualcuno). Tale protagonismo non potrà prescindere da una critica sistemica, da una forte e netta critica al capitalismo: cosa che, ironia della sorte, potrebbe veramente unire tutte le varie istanze, facendoci crescere ulteriormente, più di quanto abbiamo fatto in questi ultimi anni.

-Brandon-


Rubrica delle Buone pratiche O.S. la battaglia alla proprietà intellettuale Dalla nascita di internet, il concetto di proprietà intellettuale ha cominciato lentamente a perdere significato. Tutti i prodotti informatici e non, che prima si potevano ottenere solo con l'acquisto, entravano a far parte della rete di informazioni libera più grande del secolo. Ormai, la proprietà intellettuale è diventato un concetto obsoleto e nocivo, in quanto non fa altro che porre dei limiti, degli ostacoli, allo scambio e alla crescita delle conoscenze umane. L'Open Source, dall'inglese “fonte aperta”, è un movimento, un’idea, una visione del software alternativa, nata da un gruppo di studenti che, agli inizi degli anni 90, nel periodo di espansione dei colossi dell'informatica, crearono uno scenario informatico alternativo a quello che Bill Gates e Steve Jobs proponevano. L'open source nasce dal bisogno di dissociarsi dal concetto di proprietà intellettuale dei programmi promossa da Bill Gates; i prodotti open source, infatti, sono dei software liberi nel vero senso della parola. I software normali, a pagamento o freeware, hanno la caratteristica di avere una licenza che reclama la proprietà intellettuale, quindi diventa illegale modificare la fonte dati base. L'open source è nato proprio per far sì che i programmi condivisi possano essere modificati totalmente da chiunque ed essere distribuiti a tutti, senza ovviamente ricavarne un soldo . Questo fenomeno ha creato un senso di condivisione e di comunità ed è, inoltre, un esempio palpabile e concreto di alternativa alla proprietà intellettuale. Di fatto, l'open source e il suo metodo di lavoro, aprono al mondo una finestra dalla quale si intravede un modo di fare in cui non esiste competizione tra prodotti, in cui non esiste la logica del profitto; l'unico interesse sta proprio in quello che si fa, in modo che i soldi non siano vincolanti e non impediscano all’utente di usare quello che vuole, come lo vuole, quando lo vuole. Oggi ormai siamo arrivati ad un punto tale che l'open source, oltre a essere molto diffuso e apprezzato, per molti è addirittura indispensabile. Si pensi per esempio ad uno dei più famosi, Wikipedia, la fonte di informazione più grande di tutti i tempi. Le informazioni, riguardanti qualsiasi ambito possibile ed immaginabile, sono per la maggioranza molto esaurienti, perché frutto di ricerche di persone reali, che ne approvano e ne discutono i contenuti; tutto ciò è coronato da un sistema per divulgare que-

ste informazioni estremamente facile e veloce…alla portata di tutti. A seguire, Linux, il più rivoluzionario, da cui poi è partita la vera diffusione di massa dell'open source funzionale e vincente. Linux ha offerto al panorama mondiale un’alternativa libera di sistema operativo, contrapponendosi a Windows e Mac che, avendo praticamente un monopolio, portano avanti l'idea che la proprietà intellettuale sia l'unica soluzione efficiente per l'elaborazione dei prodotti. Bill Gates stesso, prima che il mondo dei software venisse regolamentato, sosteneva che per poter permettere ad un programmatore di avere il tempo di fare bene il suo lavoro, dovesse essere retribuito per i prodotti da lui creati. Così facendo, si dà la possibilità di creare un mercato e nuovi tipi di prodotti, che sono nettare per l'economia e offrono un’alternativa di lavoro in più. Ora... questo è giusto secondo l'ottica di una persona che lo fa di mestiere, per sopravvivere, che non è esattamente il caso di Bill Gates; ma in un ottica di efficienza dei programmi e dei servizi che questi offrono, il metodo Open Source è nettamente migliore. Inoltre, pochi lo sanno, ma esistono programmi open source che traggono beneficio proprio dall'essere aperti e liberi. Per esempio Boinc Manager, un programma usato dai computer di molte università americane e non, che ha lo scopo di condividere una piccola parte dei potenziali del pc in cui è installato, per creare dei super computer virtuali, formati da una rete di personal computer. Proprio per la sua caratteristica di essere un open source, può essere utilizzato da tutti e dà la possibilità a tutti di contribuire. Gli orizzonti che apre l'open source per quanto riguarda le potenzialità sono strabilianti, basti pensare che, al giorno d'oggi, la maggior parte dei software di utilizzo comune si trovano in versione open source, e, a parte qualche caso di problemi di incompatibilità (causata da chi?), non hanno assolutamente niente da invidiare ai loro rivali stipendiati. Usare un open source è sicuramente una scelta che contribuisce ad espandere una visione del mondo in cui ognuno dà il suo contributo per l’arricchimento di un bene comune, contrapposto ad una continua mediocrità generale, in favore dell’arricchimento dei soliti, già ricchi, pochi.

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F i re n z e

Punirne pochi per

Migliaia di partecipanti al movimento studentesco fiorentino. 87 i denunciati e gli indagati. Autunno 2008. Migliaia di studenti, ricercatori, precari di tutta Italia si mobilitano contro i tagli all’istruzione imposti dalla riforma Gelmini, con diverse rivendicazioni, riconducibili ad un’unica grande richiesta, quella di una scuola pubblica e di maggiori garanzie per il futuro di studenti e lavoratori. I cortei assumono un carattere più radicale: i muri si riempiono di scritte, dai furgoncini gli interventi sono numerosi, dalle finestre delle scuole pendono striscioni colorati e la pratica dell’occupazione viene arricchita con nuove forme e nuovi contenuti. Autunno 2009. Il dibattito a livello nazionale si fa più ampio: dalla mera contestazione della riforma scolastica, la critica si allarga alla finanziaria in tutti i suoi aspetti. Gli appuntamenti in

piazza si fanno meno frequenti ma più conflittuali. Intanto le realtà politiche cittadine, forti dell’esperienza dell’anno precedente, confermano il loro ruolo di riferimento per un lavoro politico quotidiano. Autunno 2010. E’ l’anno del “Blocchiamo tutto!”. In tutta Italia strade, facoltà, stazioni e autostrade si riempiono di studenti decisi a dare un segnale forte alle istituzioni. Le mobilitazioni culminano con la manifestazione del 14 dicembre a Roma: una giornata di massima radicalità e di espressione di un disagio politico, economico e sociale contestato in maniera trasversale. 4 maggio 2011. Alle 6.30 di mattina, in seguito a indagini svolte con la collaborazione dei servizi segreti, vengono

perquisite dalla polizia le abitazioni di 22 ragazzi appartenenti al movimento fiorentino. Il bilancio a fine mattinata è di 5 arresti domiciliari e 17 obblighi di firma due volte a settimana in questura, tutte misure preventive in attesa della conclusione delle indagini. Dai fascicoli (secondo i quali gli arrestati sono tutti riconducibili allo “Spazio Liberato 400 Colpi”) emerge l’accusa di associazione a delinquere, finalizzata ad una serie di reati, tra cui istigazione a delinquere, oltraggio a pubblico ufficiale, deturpamento e imbrattamento, manifestazione non autorizzata, resistenza a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio. Tutti i reati contestati risalgono alle mobilitazioni studentesche dal 2008 in poi. Gli studenti e i lavoratori rispondono con una serie di iniziative di solidarietà: dal presidio itinerante del giorno stesso, fino al corteo del 21 giugno, a cui hanno partecipato da tutta Italia. Intanto, il 13 giugno, altri ragazzi subi-


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educarne molti scono lo stesso trattamento. La perquisizione all’alba si conclude anche stavolta con pesanti misure cautelari: 6 arresti domiciliari restrittivi (l’impossibilità di comunicare con chiunque non abiti nella stessa casa), 9 obblighi di firma quattro volte a settimana e un ragazzo detenuto nel carcere di San Vittore. Dai fascicoli si scopre che in totale gli indagati e i denunciati sfiorano le 90 persone. L’accusa stavolta è di aver partecipato alle iniziative di solidarietà nei confronti dei primi arrestati. Le azioni contestate passano da essere forme di protesta che hanno caratterizzato le mobilitazioni del movimento fiorentino, ad essere considerate veri e propri reati. Loro, come migliaia di altre ragazze e ragazzi, hanno fatto cori contro la polizia, hanno bloccato il traffico e hanno occupato edifici. Ma loro, al contrario delle migliaia di ragazzi che erano al loro fianco, sono stati individuati come capro espiatorio, come i “cattivi” da isolare dai “buoni”, come i “pochi” da punire per educare i “molti”. Ma qualche corteo non autorizzato e una decina di scritte sui muri si possono definire “associazione a delinquere”? L’art. 416 del codice penale definisce “associazione a delinquere” “quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti”. Quali delitti sono stati commessi? E’ forse un delitto scendere in piazza per

una scuola ed un’università pubbliche? E’ un delitto che la cosiddetta “Generation No Future” in realtà un futuro se lo voglia conquistare? Non è forse un “attentato ai diritti politici del cittadino” (uno dei reati contestati) quello di impedire a delle persone di porre una critica alla società? Accettare passivamente che alcuni di noi vengano puniti per ciò che abbiamo fatto tutti insieme crea un grave precedente. Quale potrebbe essere la prossima associazione a delinquere? Diventerà delitto indire uno sciopero da parte di un sindacato? In momenti come questo, quando il conflitto si acuisce e si estende, le istituzioni decidono di abbassare l’asticella della tolleranza. Tutto deve restare sotto controllo, perché il conflitto sociale vince solo quando non è controllato. Sicuramente ha giocato un ruolo importante in questa vicenda il cambio ai vertici delle forze dell’ordine fiorentine, con l’arrivo del questore Zonno, che durante la sua permanenza nella Questura di Trieste tracciava l’identikit del potenziale criminale (magro, tatuato,con pochi denti!) e del prefetto Padoin, che a ottobre 2010 firmava un’ordinanza per vietare i concentramenti in Piazza S. Marco, luogo simbolo delle proteste a Firenze. E non da meno sono state le pressioni su questura e prefettura da parte degli esponenti del PDL fiorentino per

Fonti : >>dossier “Tui Liberi”

“consegnare alla giustizia i responsabili del clima di odio in città”, ovvero per tentare di infliggere il colpo di grazia a un movimento politico di opposizione reale e, quindi, scomoda. Le accuse, infatti, sembrano voler sminuire e delegittimare il lavoro politico svolto da anni, e fattosi più determinante in questo particolare momento storico, da realtà ormai radicate nella città. E questo obiettivo sembra estendersi a livello nazionale, con le particolarità del caso, in città come Torino, Bologna, Pisa, Milano e Padova. Chi ha fatto il lavoro migliore nel tentativo di dividere il movimento tra “buoni” e “cattivi” sono stati i media ufficiali. Da un giorno a un altro i cortei studenteschi si riempiono di “pericolosi anarchici” e la sede di un collettivo universitario diventa il loro “covo”. Lo spauracchio dell’“anarchico” serve ormai a demonizzare un determinato modo di manifestare e renderlo prerogativa dei “pochi”. E’ compito di tutte quelle persone che con questi ragazzi e ragazze hanno condiviso ideali e momenti di mobilitazione, impedire che questa operazione raggiunga il proprio scopo. E’ necessario continuare a portare avanti queste rivendicazioni nelle piazze, nelle strade, nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro e ritrovare lo spirito di condivisione e collaborazione che ha caratterizzato questi ultimi anni di lotta.

-Ines & Marlene-


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F i re n z e

Renzi, il m ostro Fra privatizzazioni, sgomberi, arresti e condanne al degrado, il sindaco che la destra ci invidia. Come arrivare in una città storicamente rossa, spacciarsi di sinistra, e poter applicare politiche di destra. Soli pochi anni sono trascorsi dall’elezione del nuovo sindaco Matteo Renzi. Simpatica figura, semplice, amichevole, e apparentemente vicino alle persone, caratteristica certo essenziale per una cittadinanza, quella fiorentina, che, anche perché un po’ di sinistra, ci tiene a mantenere i rapporti umani fra concittadini. Il nuovo sindaco è già pieno di progetti per questa nuova città che vuole costruire. 100 posti da ridare alla cittadinanza: per non costruire neanche più un metro cubo di cemento. Una grande area pedonale: così famiglie e amici inforcando le loro biciclette potranno finalmente godere di questa città che non ci fermiamo mai ad ammirare. E poi c’è ancora altro e molto altro ancora, ma vediamo cosa è trascorso nel mezzo fra la campagna elettorale e la realtà di oggi.

Renzi e i media Avanguardia dei cosiddetti “rottamatori”, Renzi, armato di accento toscano, si fa “paladino” nel combattere quella classe politica italiana ormai vecchia e arroccata sulle proprie poltrone. Sarà proprio questo obiettivo che, in meno di due anni dall’elezione di sindaco di Firenze, gli permetterà di girare tutti i programmi televisivi. Certamente non male per uno con un passato da margheritino di Rutelli e che inizia la sua ascesa politica grazie ad una vincita a “La Ruota della Fortuna” con Mike Bongiorno. “Un uomo fortunato” potrebbe dire qualcuno, oppure, con un po’ di sarcasmo: “Un uomo che si è fatto da solo”. Strano è, guarda caso,

che i rottamatori puntino più a colpire le vette di un PD che a far una critica a tutta la classe politica. Sarà che i panni sporchi si lavano in casa propria? O che forse quel piacione di Matteo Renzi stia cercando di scalare le vette del PD? Fatto sta che armato di sorriso e umorismo tutto toscano il sindaco fiorentino punta di certo molto sull’immagine. C’è chi lo ha definito l’Obama italiano, con l’assiduo aggiornamento di ben due siti web e una pagina Facebook a suo nome, e chi invece lo ha definito il Berlusconi di sinistra, vista la continua presenza televisiva. Certamente una cosa da quest’ultimo Renzi l’ha imparata: non importa come parlano di te, l’importante è che ne parlino!

Il Manager In perfetta linea con le più pure politiche di sinistra, il sindaco più amato d’Italia, Matteo Renzi, non poteva non scendere in campo di fronte al sopruso e allo scontro che vedeva da un lato Marchionne, e dall’altro gli operai di Mirafiori. E a spada tratta ha dichiarato: “Io sto con Marchionne”. Al di là della scandalosa presa di posizione per chiunque si definisca “di sinistra”, questo rappresenta un ottimo biglietto da visita delle politiche economiche che il sindaco fiorentino sta cercando di portare nella sua città. Se infatti da un lato appoggia una sfrenata deregolamentazione del lavoro, dall’altro cerca la privatizzazione dei servizi pubblici. Per chi non se ne intendesse, questa viene definita politica liberale e non è esattamente una politica di sinistra, anche se

negli ultimi anni pare che vada molto di moda in entrambi gli schieramenti. Un’altra posizione destrorsa è quella che ha espresso Renzi sullo sciopero generale del 6 settembre: “Fare le manifestazioni è facile, ma noi politici siamo pagati per risolvere i problemi della gente […] Io sono iscritto al PD non alla CGIL”. E forse non sbagliava poi tanto Gabriele Toccafondi, parlamentare fiorentino del PDL, quando chiedeva, scherzosamente, se non concedere la tessera del PDL anche a Matteo Renzi. Da quasi un anno ormai contro il sindaco fiorentino e la sua


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o di Fi re n ze giunta si sta scagliando la protesta dell’ATAF, che vede, per opera di questi, avvicinarsi sempre più lo spettro della svendita del servizio ai privati. Il referendum del 12 e 13 giugno, sfortunatamente, non ha campo in questo caso, poiché la regione Toscana, astutamente, si era già dotata di una legge ad hoc per regolamentare la presenza dei privati nelle aziende e quindi non è subordinata alle scelte del referendum. Pare però che per il momento la svendita del servizio si sia fermata. Quella buon anima di Renzi è stato smosso dalle mobilitazioni dei lavoratori? Non esattamente. Il progetto iniziale infatti preveda lo spacchettamento di ATAF in due società, Reti, che includerebbe gli immobili, e Gestione, che si occuperebbe del servizio. Sarebbe proprio quest’ultima ad essere svenduta con tutte le ricadute su lavoratori ATAF e cittadini. L’attesa, di questi ultimi mesi, per l’avvio di questo processo è dovuta alla gigantesca gara di appalto lanciata dalla Regione per lasciare il servizio pubblico di trasporto su gomme ad un'unica azienda in tutta la Toscana, nella quale quindi è ovviamente coinvolta anche l’ATAF. Ma il nostro “amato” sindaco non manca di giocare sul mercato azionario anche una fetta delle partecipazioni di Palazzo Vecchio: le quote di Publiacqua, Quadrifoglio e Toscana Energia andranno infatti a formare una mega-società chiamata “Firenze Holding”. Si va delineando una politica da capoazienda, incentrata esclusivamente attorno al profitto dal quale sono completamente escluse le necessità sociali della cittadinanza, come si può ben vedere dai recenti episodi.

Il Poliziotto Il 24 maggio, in seguito all’allestimento di una tendopoli in Piazza Bambini e Bambine di Beslan da parte dei richiedenti d’asilo politico somali, eritrei ed

etiopi, la sezione speciale della municipale voluta direttamente da Renzi, con tanto di guanti ha sgomberato la piazza smantellando tende e prendendo a calci gli occupanti. Il 12 Agosto, no-

nostante gli accordi precedentemente stipulati col comune, prende luogo lo sgombero dell’occupazione portata avanti dal Movimento di Lotta per la casa in Viale Matteotti, ormai presente da oltre sei anni. La struttura accoglieva numerose persone fra precari e migranti, di cui la maggior parte musulmani, sgomberati proprio nel periodo della festività religiosa del ramadan. Il 6 settembre, proprio durante la data dello sciopero generale, si aggiunge il tentato sgombero dell’Associazione il Melograno. Mosso da futili scuse, non viene portato a termine esclusivamente per la presenza di una bambina con disabilità all’interno dell’edificio.

Firenze senza fiorentini “Una città è più sicura se viva, piena di attività e di gente che […] ne frequenta i luoghi, ne invade le strade, ne illumina il futuro.” Questo è quello che si legge nel programma elettorale del 2009. Che si riferisse ai turisti quando parlava di “gente”? Per chi non si intendesse di urbanistica, la costruzione del tribunale, del Polo delle Scienze Sociali e del Multiplex nella zona di Novoli, assieme all’instaurazione di una

vasta area pedonale che impedisce il traffico nel centro storico, indicano un decentramento dell’attività cittadina. Firenze ai fiorentini? No, ai turisti. Gli unici ad ottenere dei vantaggi da questo decentramento non sono altri che commercianti, proprietari di negozi di lusso e agenzie turistiche. I medesimi che ottengono vantaggi delle politiche antidegrado: le restrizioni sulla vendita degli alcolici, che portano i fiorentini a dover consumare necessariamente nei locali; l’intensificarsi dei blitz nelle piazze frequentate la sera; e la continua caccia ai venditori ambulanti, soprattutto nelle zone turistiche. E’ così che in una sera di settembre in Piazza S. Pierino è divenuto delinquente chi occupava il suolo pubblico per bere una birra all’aperto, vedendosi schierato di fronte a sé un ingente numero di forze dell’ordine pronte a cacciarlo. Alla domanda “Cosa stiamo facendo di illegale?” la risposta delle forze dell’ordine, in linea con le politiche renziane, non sì è fatta attendere: “Fate degrado!”. E’ ormai evidente come Matteo Renzi stia cercando di abbindolare la cittadinanza fiorentina attraverso la sua immagine mediatica (Berlusconi docet), e soprattutto attraverso tutte quelle fittizie e molteplici iniziative per “avvicinare la politica alle persone”. Con l’utilizzo di questi strumenti cerca di deviare l’attenzione dei cittadini da tutte quelle politiche di destra che ha portato avanti in soli due anni: dalle privatizzazioni, alle risposte repressive per le problematiche sociali, fino al pignoramento di Firenze ai propri cittadini. Se meno di un anno fa Matteo Renzi veniva definito “il sindaco più amato di Italia”, sentiamo di augurarci che sia proprio Firenze a dargli una risposta adeguata. Firenze non ha mai accettato politiche di destra e non sarà certo una destra travestita da sinistra a creare un precedente.

-Nadil Dans & Leaena EginFonti : >>htps://nonsvenderelataf.wordpress.com


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C u lt u ra

Dialogo tra C Stabilità, da tempo senza un’occupazione fissa, passeggia in un parco. Improvvisamente si imbatte in Crisi, la sua antitesi e colei che negli ultimi anni le ha rubato la scena. Ma Crisi non ha l’aspetto di una persona al culmine della sua carriera. Sta seduta su una panchina, con gli occhi lucidi che fissano il vuoto… STABILITA’: Guarda un po’ chi si vede! Stai combinando un bel casino ultimamente, eh?...ma che fai, piangi? Non dovresti essere contenta di come ti stanno andando le cose? CRISI: Contenta?? Di cosa dovrei essere contenta? Di essere considerata un mostro? La gente mi odia, ha paura di me… S: Come fa la gente a non avere paura di te? Hai preso il mio posto da Economia, mandando a casa migliaia di lavoratori, fai toccare la soglia di povertà a un numero sempre maggiore di famiglie, distruggi sul nascere qualsiasi progetto dei giovani. E poi fai del male alla Politica, i cittadini non hanno più alcuna fiducia nelle istituzioni, i governi non riescono a combatterti, lasci disoccupazione e povertà ovunque tu passi. C: Sei crudele… Nessuno deve avere paura di me o combattermi. Le tue care Istituzioni dovrebbero guardarmi negli occhi e affrontarmi con consapevolezza. Se non ci riescono è perché non lo vogliono, perché mi usano per mascherare i loro giochi di potere, mi puntano il dito contro per sviare l’attenzione del loro pubblico, i cittadini. Se la Politica non riesce ad affrontarmi è perché ha le mani legate: da anni ormai sta cedendo, un pezzetto alla volta, il suo potere all’Economia. Perché gli affari che fa con l’Economia sono molto più sicuri e convenienti di quello che una massa di cittadini che votano possono offrirle. Per quanto riguarda l’Economia, stai tranquilla che non ha paura di me, anzi… S: Anzi?? C: Credimi, mi conosce molto bene… e le faccio tutt’altro che male… S: Che vuoi dire?? Spiegati meglio!! Sono io che faccio del bene all’Economia! C: Sì, questo è quello che ci fanno credere…senti, te lo dico, ma che rimanga tra noi. E’ l’Economia, anzi è il suo unico figlio rimasto in vita, il Capitalismo, che mi ha voluta qui. Ha bisogno di me. Senza di me non va avanti. Il suo progetto è costruito in modo tale da funzionare solo in presenza di un’alternanza tra me e te. E quando ci sono io, mia cara, ti assicuro che girano un sacco di soldi, nei palazzi del Capitalismo. S: Ti ha mandato lui?? Figurati, io pensavo tu fossi venuta da sola… C: E non basta. Lavorando per lui ho notato quanto sia riuscito

ad estendere la sua influenza negli altri ambiti della società. Anche se in modo più subdolo, il Capitalismo non detta legge solo all’Economia, ma ha stabilito i valori su cui si basano anche la Cultura, la Filosofia, la Politica di oggi. E lo ha fatto grazie alla collaborazione dei suoi soci Consumismo, Concorrenza e Neoliberismo che agiscono in incognito. Il Consumismo è praticamente un capo religioso, un profeta. Ha messo su una religione, un’ideologia totalizzante che ha investito tutti gli ambiti della Cultura. I suoi adepti non sanno se c’è un aldilà, ma lo stanno cercando per comprarlo. Credono di poter ottenere la santificazione riempiendo sacchetti e sacchetti, di cosa non è importante. La Concorrenza è un virus che ha colpito l’umanità. Capitalismo l’ha mandata con un compito speciale e importante: insediarsi in qualsiasi ambito della vita dell’essere umano sin da bambino. Prima di essere colpito dalla malattia il bambino corre nei giardini per giocare con i suoi amici, dopo corre per essere il migliore e battere i suoi ex-amici. Il Neoliberismo è il braccio destro del Boss. E’ razionale, effi-


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risi e Stabilità C: Ti sbagli. Queste caratteristiche derivano dal mio lavoro per il Capitalismo. Ma io sono molto più vecchia di lui… sono nata nell’Antica Grecia con il nome di Krìnỡ ,per significare “separare, decidere, valutare”. I Greci avevano un gran rispetto per me, perché con me arrivava il momento della decisione, il momento di estrema lucidità in cui si separano due contrari, in cui il Problema si presenta nella sua totalità e grazie a questo si può trovare la Soluzione. E vorrei che le persone approfittassero dell’opportunità di cambiamento che offro loro con la mia presenza, anche perché non sempre ci sono, so quando arrivo ma non se tornerò. S: E credi che lo faranno? Non credi che le persone preferiscano me anche negli altri ambiti della loro vita, della loro società? C: No, non ci credo. Sei sicura di piacere? Te piaci solo se alle persone piace il Capitalismo; e il Capitalismo regala Guerra, Miseria, Fame, Sfruttamento a gran parte di loro. E a molti non è che piaci, ma li rassicuri nella loro infelicità, credono che con Te si stia meno peggio che con Me. Ma penso che arriverà un giorno in cui non avranno più paura di me, in cui gioiranno per il mio arrivo. Ogni volta che torno spero che sia quel giorno. Ma ovviamente non fai tutto da sola, te non basti. Le persone si lasciano ingannare dal lavoro degli altri scagnozzi, Consumismo, Neoliberismo e Concorrenza. S: Ma allora mi consideri una di loro? Una serva del Capitalismo? C: Dipende da te. Da che parte scegli di stare. Da quale stato di cose decidi di perpetuare. Ma se lasci fare a me è possibile che ciente, perfettamente concorrenziale, un freddo calcolatore. E’ la gente metta in dubbio questo stato di cose, che rifiuti il loro un killer, insomma. Figlio rinnegato di Ideologia, ha ucciso tutte dominio e faccia rivivere le povere Cultura e Filosofia, che sono le sue sorelle per rimanere l’unico. Ideologia l’ha imbavagliata ormai sul punto di morte. E poi sarà il turno dell’Economia… e nascosta in uno scantinato, spacciandola per ma con lei il lavoro da fare è più difficile, dovrà rinnegare suo morta. figlio. Credo che per questo avrò bisogno dell’aiuto di una vecS: Oddio!!!..Ma perché ti sei voluta mischiare in affari che non chia amica, di cui non sento parlare da anni… sono i tuoi? Non credi che sia pericoloso? S: Chi è? C: Forse. Ma, vedi, è stata la reazione della gente al mio arrivo, C: Eh…è nemica acerrima del Capitalismo…vive nascosta la loro paura di me, di cui ti parlavo prima, a spingermi a cono- ormai da tanti anni, perché il Capitalismo la vorrebbe eliminare. scere gli altri aspetti della società, a capire chi ha creato i pro- E per tenerla lontana utilizza Te. Ma con il mio arrivo è più fablemi. Lavorare per il Capitalismo mi ha rovinato la reputazione, cile per Lei che esca allo scoperto…dipende soprattutto dalle la gente mi odia, mi vede come la causa dei problemi di questa persone. E i pochi a cui piaccio mi chiedono sempre di Lei. Per società. Ma non si rendono conto che non sono io il loro pro- questo credo che sia ora che tu lasci il posto a me. Ci starò un blema. Forse dovrebbero puntare il dito contro l’ideatore di que- bel po’ questa volta. Ma con l’aiuto di questa amica e con l’apsto sistema che necessita di me… Insomma, a me piace la gente poggio delle persone potremmo cambiare qualcosa. E al tuo rie vorrei che mi vedessero per quella che sono davvero… torno potresti trovare un mondo nuovo. Migliore. S: Ma è evidente chi sei. Sei il contrario di ciò che sono io. Sei S: Capisco. Forse è davvero ora che mi prenda una vacanza. E instabilità, insicurezza, infelicità…a prescindere da chi è il tuo che lasci il posto a Te e…come si chiama questa tua amica? C: RIVOLUZIONE! mandatario.

-Ines & Jules-


26 - Racconti dal Mondo

El cartonero che leggeva poesie -Brutta storia la disoccupazione… -Eh, si, Don Juan avete ragione. Con tutti quei disperati, come si potrà campare tranquilli? Eccone là uno che mendica…Sicuramente avrà perso il lavoro e, invece di cercarne un altro, si sarà dato all’accottonaggio. -Che gente… Nella via soffiava uno strano vento e iniziò una strana pioggerellina che non bagnava. Certo, non bagnava chi aveva un ombrello per ripararsi. Don Juan e Padre Molinas si strinsero nei cappotti e aprirono i loro grandi ombrelli neri. “Che merda! Doveva anche piovere?” Questo pensò Pedro, detto Pedrito el Cucurucho nel quartiere vecchio dove era conosciuto.

Lo chiamavano El Cucurucho perché girava per le strade di Buenos Aires con il suo carretto pieno di cartone, che trainava attraverso i quartieri. El Cucurucho viveva in strada perché aveva perso il lavoro. Ma se la disoccupazione e la crisi che qualcun altro aveva creato, gli avevano levato il lavoro, e con esso la casa, e con esso la famiglia, lui non si era accontentato di vivere, come aveva visto fare a molti suoi conoscenti, di piccoli furti e di accattonaggio. Allora El Cucurucho aveva usato i suoi ultimi risparmi per comprarsi un carretto. Con quel carretto pieno di odio e resistenza si trascinava per le vie sporche di Buenos Aires a guardare tra i rifiuti, di quelli che si potevano permettere di fare rifiuti, e raccogliere pezzo per pezzo tutto il cartone della sua zona per poi venderlo a sera per cinque pesos al chilo. Così, giorno dopo giorno, El Cucurucho andava avanti per la sua strada senza capire bene, in realtà, i fatti che lo avevano trascinato, un giorno, dall’ufficio del direttore alla strada. E lì, per strada, andò alla banca a ritirare i propri soldi, ma quelli non c’erano più. Alla televisione Duhalde diceva che sarebbe andato tutto bene, che la ripresa economica sarebbe stata veloce, che sarebbe stata salvaguardata l’occupazione. Ma El Cucurucho era per strada e, anche quando la situzione tornò a quella che i politici chiamavano normalità, lui rimase senza lavoro. Così continuava a trascinare per le strade il proprio carretto e ad essere chiamato El Cucurucho. Quel giorno Don Juan e Padre Molinas erano a sedere bevendo un’ottima cioccolata calda (che sarebbe costata a un cartonero otto chili di cartone) e fumando del raffinato tabacco cubano (che sarebbe costato, sempre ad un cartonero, quattro chili di cartone). Discutevano di politica, dell’importanza delle privatizzazioni e della minaccia rivoluzionaria. Don Juan, a proposito dell’infame presenza dei rivoluzionari nel paese, aveva portato a Padre Molinas un fetido esempio della loro retorica. -Guardi questo, padre…Si chiama “El Revolucionero”, dicono che vogliono la rivoluzione, capisce? La rivoluzione…vorrebbero l’eguaglianza, ma come si dovrebbe fare a concedere l’equaglianza a degli animali inferiori per nascita? Guardi quel cartonero, secondo lei potremmo noi, persone educate e timorate di Dio, sederci accanto ad una bestia come quella? Sono sicuro che non si lava da settimane. -Questo è certo, Don Juan. Guardi che mani nere, fruga tra la spazzatura come un cane randagio…ha ragione lei Don Juan, questi non sono uomini, sono bestie. Se Dio ha permesso una differenza così, ci deve essere un disegno divino molto più ampio, che noi non possiamo né intendere né giudicare. Le strade del signore sono infinite…Che Dio lo abbia in gloria, anche se penso che non sarà destinata al paradiso, quella bestia…chissà se Dio, nella sua infinita misericordia, riuscirà a trovare un posto anche per lui. Che fa, si avvicina, quel sudicio? -Madre Santa che olezzo…Perdoni l’imprecazione padre, verrò a confessarmi in parrocchia al più presto… -Non si preoccupi Don Juan, quello che avrebbe da confessare il peccato di essere nato è lui.


cortocircuito@distruzione.org - 27

El Cucurucho li guardava storto davanti ad un cumulo di spazzatura, che si accingeva a dividere tra ciò che gli avrebbe fatto guadagnare i suoi dieci pesos giornalieri e ciò che gli era inutile. Sentiti quei discorsi, essendo El Cucurucho, nonostante la sua situazione, un uomo colto, avrebbe voluto dire due parole non troppo gentili a quei due caballeros. Fece per avvicinarsi, ma Don Juan, in preda al ribrezzo, prese “el revolucionario” e, arrotolatolo, iniziò a colpire il fiero Cucurucho. Vi fu un parapiglia tra le mani ben pulite e curate e le mani nere ed escoriate, che tiravano a sé il giornale lanciando offese all’altro. Arrivò la sicurezza di quel rispettabile bar e spintonò El Cucurucho, che cadde a terra imprecando con “el revolucionero” nelle mani. Lanciò qualche altra offesa e, passata la rabbia, ma rimasto l’odio, riprese la propria postura fiera, nonostante l’aspetto, e con il suo trofeo in mano si allontanò. “Come se l’avessi scelta io la mia cazzo di condizione” pensava El Cucurucho continuando il cammino con il suo carretto. Passò la giornata fino a sera. Quando si recò a vendere il proprio cartone, quel giorno, non fece nemmeno dieci pesos e nel suo intimo incolpò quei due stronzi per il tempo che gli avevano fatto perdere. Andando verso il suo giaciglio improvvisato sotto l’autostrada 25 de julio, si accorse di avere ancora in tasca il suo trofeo. Lo aprì e capitò su una pagina che titolava “Poesias rebeldes”. La poesia di Jovaldo recitava più o meno così. Perché siamo instancabili come l’acqua di un fiume, e non ci conterremo né di fronte al caldo né al gelo. Il passato fu di oppressione oggi di lotta è colorato il presente, il futuro vittorioso si alza nel vento. Da domani non più abusi dovremo sopportare, non più umiliazioni e povertà, dovremo sopportare. Oggi le cose stanno per cambiare si erode il grande potere, nuova luce sta albeggiando da dietro le Ande e illumina di speranza. Perché siamo instancabili come l’acqua di un fiume, e non ci conterremo né di fronte al caldo né al gelo. Nel leggere quelle parole El Cucurucho trovò il posto al proprio odio. Trovò la motivazione che non si sarebbe mai aspettato. Trovò la ragione della sua vita, che non sarebbe mai più stata la stessa. Trovò il riscatto di un mondo che voleva e doveva essere migliore. Proprio in quel momento, sentì un megafono che gridava, e, lasciato il carretto alla strada, decise di unirsi a quelle voci che chiedevano uguaglianza e rivoluzione. Molti anni dopo, El Cucurucho, incontrò nuovamente Don Juan e padre Molinas e, in quella occasione, perentoriamente, ma con aria gentile, irruppe: “Caballeros, perdonate il disturbo, questa è una rivoluzione.”

-Philip Liguori-


Libri da leggere L'enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza. Un libro di David Harvey L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza, tradotto quest’anno da Feltrinelli (il titolo originale era un po’ meno immaginifico: The enigma of capital and the crises of capitalism), ha il difetto di non poter essere passato in rassegna in dieci minuti, come invece il suo autore David Harvey fa nel video sulla crisi del capitalismo (segnalato in questa pagina). Il testo riesce ad introdurci con grande semplicità alle modalità di funzionamento della società capitalistica e alle sue crisi. Con un occhio particolare, ovviamente, a quella in corso. Che per Harvey, come tutte le crisi, sta svolgendo la sua funzione di riconfigurare il capitalismo permettendogli di continuare a sussistere. Ossia di far ripartire l’accumulazione del capitale, di ricchezze e profitti, momentaneamente ingolfata. “Le crisi” – dice Harvey– “servono a razionalizzare le irrazionalità del capitalismo; di solito conducono a riconfigurazioni, a nuovi modelli di sviluppo, nuove sfere di investimento e nuove forme di potere di classe… Durante una crisi come quella che stiamo vivendo attualmente, è sempre importante tenere a mente questo fatto. Se così stanno le cose, secondo Harvey oggi non c’è molto da stare allegri. Ma soprattutto, osserva Harvey, “in gran parte delle economie capitalistiche avanzate… con la scusa della crisi del debito sovrano la classe capitalistica ha cominciato a smantellare ciò che resta dei sistemi di welfare attraverso una politica di austerità fiscale”. In questo modo si riconducono sotto le logiche del profitto servizi e prestazioni che a esse erano stati sottratti decenni fa. “Alcune importanti aree di intervento pubblico, a partire dalla previdenza sociale e dai sistemi pensionistici statali, devono ancora essere privatizzate”, e questa crisi – afferma Harvey – ne offre l’occasione. In ogni caso la ricostruzione di Harvey ci aiuta a capire due cose: che la crisi non colpisce tutti alla stessa maniera e che non esistono strategie di uscita dalla crisi senza abbandonare, abbattere o superare l’attuale

sistema. Buona lettura!

Video interessanti YouTube: Cambiare i paradigmi dell’educazione. Ken Robinson parla del pensiero divergente e della necessità di ripensare il sistema scolastico

YouTube: Come nascono le buone idee. Come le nuove tecnologie e il web, possono influire sul processo che porta alla creazione di un'idea.

YouTube: La crisi del capitalismo. David Harvey ci spiega quali sono le peculiarità delle crisi cicliche e sistemiche del capitalismo.

Siti utili htp://www.senzasoste.it/ htp://www.infoaut.org/ htp://www.carmillaonline.com/ htp://femminismo-a-sud.noblogs.org/ htp://www.contropiano.org/ htp://www.nena-news.com/ htp://it.peacereporter.net/ htp://totallycoolpix.com/

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