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Società Italiana di Agronomia

a cura di Marcello MASTRORILLI, C.R.A. – S.C.A. con la collaborazione di Grazia CAMPANILE

ATTI XXXIX Convegno della società italiana di agronomia

Roma Biblioteca Nazionale Viale Castro Pretorio

20 - 22 Settembre 2010

Codice ISBN 9788 8904 38714


I lavori in questi Atti vengono citati come segue: Autori, 2010. Titolo. Atti XXXIX Convegno SIA (M.Mastrorilli Ed.), Roma (Italia), 20 - 22 Settembre 2010, pag. ??-??


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PREMESSA La scelta di organizzare il XXXIX convegno SIA per la prima volta a Roma è frutto dell’avvio di un nuovo dialogo con i decisori politici nazionali e regionali sulle tematiche della ricerca agronomica a supporto dello sviluppo e della attuazione delle politiche agricole nazionali, nel contesto della PAC. In più occasioni i soci SIA hanno messo in evidenza le asimmetrie tra domanda e offerta di ricerca in ambito agronomico, in modo particolare quando si tratta della ricerca pubblica sulle complesse questioni agro-ambientali. L’offerta di ricerca in ambito agronomico è determinata da criteri di valutazione e tempi di attuazione non sempre sincroni con le esigenze della domanda, quasi sempre orientata ad affrontare le questioni in maniera trasversale ai settori scientifici e con una tempistica dettata da scadenze incompatibili con le rigorose verifiche scientifiche. Questo dilemma è centrale per il dibattito che si intende sviluppare in questo convegno, che è stato articolato in tre sessioni: 1. Agronomia e sistemi colturali 2. Agronomia e ambiente 3. Agronomia e sviluppo rurale. Le tre sessioni saranno introdotte da altrettante presentazioni ad invito, basate su esperienze maturate dagli autori in ambito nazionale ed internazionale nel campo della modellistica per la gestione dell’irrigazione, della gestione e valutazione dell’attuazione delle politiche agricole europee in ambito nazionale e delle modalità di interazione tra decisori politici, agricoltori e ricercatori nella gestione adattativa in un contesto di cambiamento climatico. Questo volume contiene un riassunto delle tre presentazioni introduttive e dei 125 contributi totali, di cui 26 sono stati selezionati per la presentazione orale nelle tre sessioni. A seguito dei contatti intrapresi da alcuni mesi con la Direzione Generale dello Sviluppo Rurale del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il Consiglio Direttivo della SIA ha ritenuto strategico aprire un nuovo spazio di dialogo tra decisori politici e ricercatori delle Università e degli Enti di ricerca, che permetta di mettere in rete le attività di ricerca scientifica agraria del nostro paese per renderle più facilmente fruibili. È apparso subito chiaro che dal punto di vista del decisore politico le tematiche di interesse abbiano sempre carattere interdisciplinare, che le attività delle società scientifiche siano poco o per niente conosciute a livello istituzionale e che la creazione di nuovi spazi di interazione e scambio possa portare a benefici per tutti. La Rete Rurale Nazionale (www.reterurale.it), una iniziativa del MiPAAF in attuazione del progetto di Rete Rurale Europea e l’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (AISSA – www.aissa.it), che mette in rete le società scientifiche agrarie, sono apparsi da subito interlocutori appropriati per costruire questa nuova fase di dialogo. L’iniziativa si è concretizzata con il contributo diretto della Rete Rurale Nazionale al convegno e con l’organizzazione della tavola rotonda AISSA dal titolo “Innovazione scientifico-tecnologica in agricoltura e politiche nazionali alla luce dei futuri scenari di riforma del bilancio europeo”. Questo “side event”, creato dalla SIA e gestito da AISSA, prevede contributi di decisori politici del MiPAAF e del MIUR, di ricercatori universitari e degli enti di ricerca e del Presidente della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di VII


Agraria. Obiettivo della tavola rotonda è quello di arrivare a siglare un’intesa tra le parti coinvolte per favorire una maggiore integrazione dei risultati della ricerca scientifica nell’attuazione delle politiche agricole, per orientare la ricerca verso i temi più rilevanti per lo sviluppo dell’agricoltura nazionale e per individuare nuove modalità di diffusione della conoscenza scientifica che ne aumentino l’impatto sulle scelte strategiche di politica agricola. In questo senso, emerge sempre più l’esigenza da un lato di produrre risultati scientifici di qualità e livello internazionale, certificati da un rigoroso processo di peer reviewing, dall’altro di contestualizzare le attività di ricerca in maniera da tenere conto delle specificità delle molteplici facce della nostra agricoltura e di evidenziarne il valore aggiunto per i diversi attori dei sistemi agrari nazionali. Anche per questi motivi la SIA ha deciso di intensificare i momenti di riflessione interni, riprendendo la tradizionale cadenza annuale dei convegni nazionali, abbandonata qualche anno fa. In questa ottica, i contributi oggetto del convegno SIA offrono soprattutto un panorama del “work in progress” in ambito agronomico (ma non solo) legato principalmente a ricerche in corso o appena concluse, i cui risultati più rilevanti saranno oggetto di revisione per la pubblicazione sull’Italian Journal of Agronomy. Esprimiamo apprezzamento per tutti i partecipanti che hanno voluto contribuire a questa iniziativa, dalla quale ci attendiamo un aperto dibattito sul futuro della ricerca scientifica agronomica nel nostro paese. Il Comitato Scientifico ed organizzatore

VIII


SOMMARIO COMUNICAZIONI ORALI SESSIONE I - AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI KEY NOTE AQUACROP. IL NUOVO MODELLO FAO PER LA SIMULAZIONE DELLA RISPOSTA COLTURALE ALL’ACQUA. Steduto P.

5

MICORRIZA, UN VALORE AGGIUNTO PER LA PRODUZIONE DI PIANTINE DA SEME DI CARCIOFO Campanelli A., Ruta C., Tagarelli A., Morone-Fortunato I.

7

EFFETTI DELLA PACCIAMATURA CON RESIDUI DI PIANTE AROMATICHE SU LATTUGA (LACTUCA SATIVA L.) De Falco E., Roscigno G., Salvati S., Zaccardelli M.

9

PROFILI METABOLOMICI DI VARIETÀ ANTICHE E MODERNE DI FRUMENTO TENERO (TRITICUM AESTIVUM L.) Dinelli G., Di Silvestro R., Marotti I., Bosi S., Bregola V., Catizone P., Ghiselli L., Whittaker A., Benedettelli S., Carretero A.S.

11

STRATEGIE DI GESTIONE PER L’ADATTAMENTO AL PASCOLO DI MANZE MARCHIGIANE D’Ottavio P., Trombetta F. M., Trobbiani P., Santilocchi R.

13

L’EFFICIENZA D’USO DELLA RADIAZIONE SOLARE NEL SORGO DA BIOMASSA Garofalo P., Vonella A. V., Ruggieri S., Rinaldi M.

15

VALUTAZIONE DELLA VOCAZIONALITÀ ALLA COLTIVAZIONE DI COLZA IN PUGLIA MEDIANTE ANALISI GIS-MULTICRITERIALE Grassano N., Tedone L., Verdini L., De Mastro G.

17

MODELLI COLTURALI INNOVATIVI PER IL CARCIOFO DA INDUSTRIA Mauro R.P., Lombardo S., Longo A.M.G., Pandino G., Litrico A., Russo A., Mauromicale G.

19

PRODUTTIVITÀ DI CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.) E MISCANTO (MISCANTHUS X GIGANTEUS GREEF ET DEUTER), COLTURE POLIENNALI DEDICATE AD USO ENERGETICO: PARTE I – ANALISI DI CRESCITA Nassi N., Roncucci N., Triana F., Bonari E.

21

PRODUTTIVITÀ DI CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.) E MISCANTO (MISCANTHUS X GIGANTEUS GREEF ET DEUTER), COLTURE POLIENNALI DEDICATE AD USO ENERGETICO: PARTE II – MACRONUTRIENTI E QUALITÀ DELLA BIOMASSA Nassi N., Roncucci N., Triana F., Bonari E.

23

POTENZIALITÀ FORAGGERA DI UNA SELEZIONE DI CARTHAMUS TINCTORIUS L. VAR. INERMIS SOTTOPOSTA A DIVERSI LIVELLI DI CONCIMAZIONE AZOTATA IN COPERTURA Primi R., Danieli P.P., Ronchi B., Ruggeri R., Rossini F., Del Puglia S., Cereti C.F.

25

IX


MINICSS: SOFTWARE PER L’OTTIMIZZAZIONE DELLE STRATEGIE IRRIGAZIONE E DI CONCIMAZIONE AZOTATA DELLE COLTURE Rocca A., Danuso F.

DI 27

ARTEMISIA ANNUA L.: AGROTECNICHE PER GLI AMBIENTI A CLIMA CALDOARIDO Scarcella M., Grassi F., Mastrorilli M.

29

RESE QUANTI-QUALITATIVE DEL FRUMENTO DURO (TRITICUM DURUM DESF.) A FERTILIZZANTI AZOTATI CONVENZIONALI ED INNOVATIVI Stagnari F., Speca S., Pisante M.

31

SESSIONE II - AGRONOMIA E AMBIENTE KEY NOTE VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA AMBIENTALE DELLE CONDIZIONALITÀ: PRIMI RISULTATI DEL PROGETTO EFFICOND Bazzoffi P., Zaccarini Bonelli C.

NORME

DI 35

VALUTAZIONE DELLA VOCAZIONE TERRITORIALE ALLA COLTIVAZIONE DI PIANTE OFFICINALI Barbaro M., Rocca A., Danuso F.

37

FLUSSI DI ELEMENTI NUTRITIVI IN AZIENDE DA LATTE DEL FONDOVALLE ALPINO Bassanino M., Curtaz A., Bassignana M., Grignani C., Sacco D.

39

LA GESTIONE DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA NELL’AGRICOLTURA DI PRECISIONE. UN ESEMPIO APPLICATIVO NEL MAIS Casa R., Cavalieri A., Lo Cascio B.

41

CONFRONTO TRA LA QUALITÀ DEL SUOLO IN SRF DI PIOPPO E IN SUOLI NON COLTIVATI RISPETTO A FRUMENTO INTENSIVO Di Bene C., Pellegrino E., Tozzini C., Bonari E.

43

EFFETTO DELL’INCENDIO SIMULATO SULLA INTERRUZIONE DORMIENZA DEL SEME DI LEGUMINOSE ANNUALI Gresta F., Barrile V., Cristaudo A., Tuttobene R., Litrico A., Abbate V.

45

DELLA

ECOFISIOLOGIA DELLO STRESS SALINO E PRODUZIONI AGRARIE IN AMBIENTE MEDITERRANEO Maggio A., De Pascale S., Fagnano M., Barbieri G.

47

INTEGRAZIONE DI INFORMAZIONI METEOCLIMATICHE E TELERILEVATE PER L’ANALISI DELLA QUALITÀ DEL FRUMENTO DURO IN VAL D’ORCIA Mancini M., Orlando F., Dalla Marta A., Orlandini S.

49

L’AGRONOMIA VERSO LA GREEN ECONOMY: OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI DI FITORISANAMENTO Marchiol L. e Fellet G.

51

INDICATORI AGRO-AMBIENTALI IN ITALIA: UNA SINTESI DIACRONICA Salvati L., Venezian Scarascia M. E., Zitti M., Bajocco S., Perini L.

53

X


BILANCIO ENERGETICO DI SISTEMI FORAGGERI NELLA PIANURA IRRIGUA DEL NORD ITALIA Tomasoni C., Borrelli L., Brambilla M.

55

SESSIONE III - AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE KEY NOTE NEW INTEGRATIVE MODALITIES FOR CONNECTING POLICY MAKERS, FARMERS AND SCIENTISTS FOR ADAPTIVE FARMING MANAGEMENT IN A CLIMATE CHANGING WORLD Colvin J., Seddaiu G., Roggero P.P.

59

LE EMISSIONI DEI GAS SERRA NELLA FASE AGRICOLA DELLA FILIERA DEI PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI: IL CASO DEL VINO NEL DISTRETTO RURALE DELLA MAREMMA Bosco S., Galli M., Di Bene C., Remorini D., Massai R., Bonari E.

61

EVOLUZIONE DEL CLIMA E INCERTEZZA DELLE SCELTE SUI SISTEMI COLTURALI IN UN COMPRENSORIO IRRIGUO DEL NORD SARDEGNA Cortignani R., Dono G., Doro Luca, Ledda L., Mazzapicchio G., Roggero P.P.

63

I PIANI PASTORALI AZIENDALI A SOSTEGNO DELL’ALPICOLTURA IN PIEMONTE Lombardi G., Lonati M., Ferrero L., Corgnati M., Gorlier A., Cavallero A.

65

APPROCCIO PARTECIPATIVO PER LO SVILUPPO INTEGRATO E LA GESTIONE DELLE ZONE MARGINALI IN NORD AFRICA: PROGETTO DIMOSTRATIVO DI LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE IN MAROCCO E TUNISIA Mulas M., Bellavite D., Lubino M.,, Belkheiri O., Enne G.

67

POSTER SESSIONE I - AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI DIFFERENZE NELLA RESA E NEL CONTENUTO DI GLICOSIDI DELLO STEVIOLO TRA DIVERSE ACCESSIONI DI STEVIA REBAUDIANA BERT. Angelini L.G., Tavarini S.

73

QUALITÀ DEI PRODOTTI OTTENUTI DA SPREMITURA MECCANICA DI SEMI DI JATROPHA CURCAS L. NON TOSSICA Baldini M., Bulfoni E., Danuso F., Rocca A.

75

GESTIONE DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI TECNOLOGICI DI DIFFERENTI CATEGORIE QUALITATIVE DI FRUMENTO TENERO Blandino M., Mancini M.C., Sovrani V., Vaccino P., Caramanico R., Reyneri A.

77

APPORTI DI RESIDUI COLTURALI AL TERRENO NEI SISTEMI FORAGGERI NELLA PIANURA IRRIGUA DEL NORD ITALIA Borrelli L., Tomasoni C.

79

EFFETTI DI REFLUI ZOOTECNICI SU SOSTANZA ORGANICA, PH, DENSITÀ APPARENTE E INFILTRAZIONE DELL’ACQUA NEL SUOLO Borrelli L., Tomasoni C.

81

XI


LA MICROPROPAGAZIONE DI PHRAGMITES AUSTRALIS (CAV.) TRIN.EX STEUDEL L. Cavallaro V., Barbera A. C., Pantò S., Tringali S.

83

IMPIEGO DEL POTENZIALE IDRICO DEL FUSTO E DELLA CONDUTTANZA STOMATICA COME INDICATORI FISIOLOGICI PER L’OTTIMIZZAZIONE DELLA GESTIONE IRRIGUA IN UVA DA TAVOLA Ciccarese A., Stellacci A.M, Tarricone L., Rubino P.

85

LA PRODUTTIVITÀ DEL CANNETO (ARUNDO DONAX L.) IN RELAZIONE ALLA TECNICA DI IMPIANTO Cosentino S.L., Copani V., Scalici G., Scandurra S.

87

EFFETTI DELLA PACCIAMATURA SULLA PRODUZIONE QUANTITATIVA E QUALITATIVA DELLA SCAROLA A CICLO INVERNALE Cozzolino E., Leone V., Piro F.

89

IMPIEGO DI SANSA OLEARIA COMPOSTATA COME AMMENDANTE. EFFETTI SU COLTURA DI FRUMENTO DURO Cucci G., Cascarano M.A., Lacolla G.

91

UN TRIENNIO DI PROVE DI VALUTAZIONE DI CULTIVAR DI GIRASOLE ALTO OLEICO NELLE MARCHE Del Gatto A., Toscano G., Foppapedretti E., Petrini A., Angelini P., Mangoni L., Pieri S.

93

GESTIONE DELLE INFESTANTI DEL COLZA (BRASSICA NAPUS VAR. OLEIFERA) IN AMBIENTE MEDITERRANEO: RISULTARI PRELIMINARI. Deligios P.A., Farci R., Ledda L.

95

PRODUZIONE E CARATTERISTICHE QUALITATIVE DI VARIETÀ DI FAVINO (VICIA FABA L. VAR. MINOR) IN AMBIENTE MEDITERRANEO Di Paolo E., Stagnari F.

97

RISPOSTA PRODUTTIVA DI FAVINO (VICIA FABA VAR MINOR L.) SOTTOPOSTO A REGIMI IRRIGUI E FERTILIZZAZIONE AZOTATA Di Paolo El. , Mammarella A. , Garofalo Pasquale , Rinaldi Michele

99

DORMIENZA ESTIVA IN POPOLAZIONI SICILIANE DI DACTYLIS GLOMERATA L. Fontana S.G., Copani V., Lombardo A., Cosentino A. D., Scandurra S.

101

CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE MEDIANTE FAFLP DI GERMOPLASMA SICILIANO DI DACTYLIS GLOMERATA L. Fontana S.G., Lombardo A., Licciardello G., Copani V.

103

CONSEGUENZE DELL’UTILIZZO DI OLI ESSENZIALI NELLA COLTIVAZIONE DI ORIGANO Frabboni L., Cristella F., De Simone G, Tomaiuolo A., Russo V.

105

LEGUMINOSE DA PASCOLO DI SECONDA GENERAZIONE: UNA OPPORTUNITÀ PER I SISTEMI FORAGGERO-ZOOTECNICI MEDITERRANEI? Franca A., Porqueddu C., Re G. A., Sulas L.

107

ASPETTI PRODUTTIVI DEL GIRASOLE DA BIOMASSA IN PROVINCIA DI FOGGIA Gatta G., Soldo P., lo Storto M. C., Tarantino E.

109

XII


ESPERIENZE DI PROPAGAZIONE DELLA CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.) PER TALEA DI FUSTO IN PIENO CAMPO Gherbin P., Giampaoli A., Bimbatti M., De Franchi A. S., Rivelli A. R.

111

ESPERIENZE DI PROPAGAZIONE DELLA CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.) PER TALEA DI FUSTO IN AMBIENTE PROTETTO Gherbin P., Giampaoli A., Bimbatti M., De Franchi A. S., Rivelli A. R.

113

TECNICHE DI RISPARMIO IDRICO NELLA COLTIVAZIONE DEL POMODORO DA INDUSTRIA Giuliani M. M., Nardella E., De Caro A.

115

COLZA E BRASSICACEAE MINORI NEGLI AMBIENTI MERIDIONALI: POTENZIALITÀ PRODUTTIVE ED EFFETTI NEMATOCIDI Grassi F., Scarcella M., Campi P., Palumbo A.D., Argentieri M.P.

117

VALUTAZIONE DI VARIETÀ AUSTRALIANE AUTORISEMINANTI Gresta F., Tuttobene R., Sortino O., Abbate V.

119

DI

LEGUMINOSE

ANNUALI

EFFETTI DEI CONCIMI ORGANO-MINERALI SULLE CARATTERISTICHE DELLA PRODUZIONE DELLA PATATA IN CICLO ESTIVO-AUTUNNALE Ierna A., Melilli M.G., Scandurra S.

121

PRIMI RISULTATI SULLA RISPOSTA PRODUTTIVA DELLA PATATA PRECOCE ALLA COLTIVAZIONE IN REGIME BIOLOGICO Ierna A., Parisi B., Scandurra S.

123

EFFETTI DELLA FRIGO-CONSERVAZIONE SUL ASCORBICO DEI TUBERI DI PATATA PRIMATICCIA Ierna A., Melilli M.G., Scandurra S.

125

CONTENUTO

IN

ACIDO

FERTILIZZANTI ORGANICI IN SPECIE ORTICOLE: EFFETTI SULLA PRODUZIONE E SULLA SOSTANZA ORGANICA DEL SUOLO Leogrande R., Lopedota O., Montemurro F., Scazzarriello R., Mastrangelo M.

127

CARATTERISTICHE QUALITATIVE DI CULTIVAR DA TAPPETO ERBOSO DI LOLIUM PERENNE NEL PERIODO ESTIVO DELL’ANNO DI SEMINA Macolino S., Barolo E., Rimi F.

129

EFFETTI DELLA PACCIAMATURA SU POMODORO IRRIGATO CON ACQUE SALMASTRE IN AMBIENTE PROTETTO Marchese M., Tuttobene R., Restuccia A., Litrico A, Mauromicale G., Restuccia G.

131

NUOVI CLONI DI VIOLETTO DI SICILIA PER IL MIGLIORAMENTO DELLA CINARICOLTURA MERIDIONALE Mauro R. P., Lombardo S., Longo A. M.G., Pandino G., Lo Monaco A., Russo A., Mauromicale G.

133

VALUTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE REOLOGICHE DI IMPASTI DI GRANO DURO ADDIZIONATI CON INULINA DI DIVERSA ORIGINE Melilli M. G., Doust M. Alì, Raciti C. N., Raccuia S. A., Lombardo G. M.

135

ADOZIONE DI TECNICHE AGRONOMICHE PREPARATORIE,LAVORAZIONE SUPERFICIALE E IRRIGAZIONE, PER FAVORIRE I PROCESSI NATURALI DI XIII


RICOLONIZZAZIONE DELLA SPECIE RARA MACARTHURIA KEIGHERYI Messina G., Barbera A. C., Deanna R., Mancuso S., Dixon K.

137

INFLUENZA DI DIFFERENTI INPUT ENERGETICI SULLA PRODUZIONE DI SORGO DA BIOMASSA IN CAMPANIA Mori M., Ottaiano L., Fagnano M., Di Mola I.

1339

COMPORTAMENTO AGRONOMICO DI ECOTIPI DI MELANZANA E SCAROLA SU TERRENO TRATTATO DA TRE ANNI CON COMPOST DA FORSU Morra L., Pizzolongo G., Zaccardelli M., Mascolo M.

141

DINAMICA DEL C E DELL’N TOTALE DEL SUOLO IN DUE SISTEMI COLTURALI ORTICOLI FERTILIZZATI DA TRE ANNI CON COMPOST Morra L., Pizzolongo G., Zaccardelli M., Mascolo M.

143

EFFETTI DELL’AMMENDAMENTO CON COMPOST DA SANSA E DA FORSU SULLO SVILUPPO E LA PRODUZIONE DI CAVOLFIORE E PATATA IN SUCCESSIONE Morra L., Pentangelo A., Raimo Francesco, Gaetano Pizzolongo, Maurizio Bilotto

145

GESTIONE DELLA FERTILIZZAZIONE E PRODUTTIVITÀ DEL GUADO (ISATIS TINCTORIA L.) NELLA COLLINA MARCHIGIANA Orsini R., Seddaiu G., Perugini M., Iezzi G., Bianchelli M., Serrani L., Santilocchi R.

147

MODELLIZZAZIONE DELLA GERMINAZIONE DEI SEMI DI SORGO ZUCCHERINO (CV. KELLER) IN CONDIZIONI DI STRESS IDRICO ATTRAVERSO LA HYDROTIME ANALYSIS Patanè C., Saita A.

149

EFFICIENZA TRASPIRATIVA IN POPOLAZIONI DI POMODORO DA SERBO REPERITE NEL MERIDIONE D’ITALIA Patanè C., La Rosa S., Minardo M., Scandurra S., Sortino O. 151 EFFETTO RESIDUO DELL’AMMENDAMENTO DEL TERRENO CON COMPOST DA SANSA E DA FORSU SUL COMPORTAMENTO FISIOLOGICO, PRODUTTIVO E QUALITATIVO DELLA PATATA COMUNE Pentangelo A., Raimo F., Pizzolongo G., Bilotto M., Morra L.

153

IRRIGAZIONE IN DEFICIT SU AMARANTHUS SP. Pulvento C., Riccardi M., Lavini A., d’Andria R.

155

VALUTAZIONE BIOAGRONOMICA E RESA IN SEME IN CAMELINA SATIVA (L.) CRANTZ. E BRASSICA SPP. Raccuia S.A., Scandurra S., G. Melilli M.

157

VALUTAZIONE BIOAGRONOMICA DI POPOLAZIONI DI LENTICCHIA COLTIVATE NELLA COLLINA INTERNA SICILIANA Raccuia S.A., Melilli M.G., Scandurra S.

159

DIABROTICA DEL MAIS: RUOLO DELLA TECNICA COLTURALE PER IL CONTENIMENTO DEI DANNI Reyneri A., Blandino M., Amato F., Testa G.

161

RISPOSTA QUANTITATIVA DELL’OLIVO ALLA DISPONIBILITÀ IDRICA Riccardi M., De Lorenzi F., Menenti M.

163

XIV


RISPOSTA VEGETO-PRODUTTIVA DI CHENOPODIUM QUINOA SOTTOPOSTA A REGIME IRRIGUO DEFICITARIO Riccardi M., Pulvento C., Lavini A., Calandrelli D., Romano G., Balsamo A.

WILLD. 165

PRODUZIONE DI GIALLO CARTAMO IN UNA SELEZIONE DI CARTHAMUS TINCTORIUS L. VAR. INERMIS NEL CENTRO ITALIA Ruggeri R., Rossini F., Del Puglia S., Cereti C.F.

167

VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ FITOESTRATTIVA DI CARTHAMUS TINCTORIUS L. ALLEVATO IN VASO Ruta C., Brunetti G., Cassano D., De Mastro G., Morone-Fortunato I.

169

POTENZIALITÀ PRODUTTIVA DI GENOTIPI DI SORGO DA BIOMASSA IN AMBIENTE CALDO ARIDO MEDITERRANEO Saita A.A., Scalici G., Cosentino S. L., Guarnaccia P.

171

VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ GERMINATIVA DEI SEMI DI GALATELLA LINOSYRIS (L.) RCHB. F. SUBSP. LINOSYRIS Scarici E., Rossini F.

173

EFFETTI DELLA RIDUZIONE DEGLI INPUT COLTURALI NELLA COLTURA DI CAMELINA SATIVA IN AMBIENTE MEDITERRANEO Sortino O., Dipasquale M., Cosentino S.L., Boncoraglio R.

175

RISPOSTA ALLA RIDUZIONE DEGLI INPUT COLTURALI IN RICINUS COMMUNIS IN COLTURA POLIENNALE PER LA PRODUZIONE DI OLIO IN SICILIA Sortino O., Cosentino S.L., Dipasquale M., Doz M., Di Lella E.

177

EFFETTI DELLA POTATURA SULLE PRODUZIONI DI RICINUS COMMUNIS ALLEVATO IN COLTURA POLIENNALE NELLA SICILIA SUD- ORIENTALE Sortino O., Dipasquale M., Daparo L., Criscione M.A.

179

VARIAZIONE DELLA CARATTERISTICHE QUALITATIVE DELLA CAMELINA SATIVA IN FUNZIONE DELL’EPOCA DI RACCOLTA Tedone L., Bruno C., L. Verdini, N. Grassano, De Mastro G.

181

STATO NUTRIZIONALE DEL FRUMENTO IN RISPOSTA ALLA CONCIMAZIONE ORGANICA E ALLA CONSOCIAZIONE TEMPORANEA Tosti G., Graziani F., Pace R., Guiducci M.

183

INFLUENZA DELL’EPOCA DI TRAPIANTO SULL’AMBIENTAMENTO DI PIANTINE MICROPROPAGATE DI ARUNDO DONAX (L.) IN APPRESTAMENTI DIVERSI DI PROTEZIONE Tringali S., Cavallaro V., Patanè C., La Rosa S., Scandurra S.

185

EFFETTI DELLA CONCIMAZIONE FOSFO-AZOTATA SULLA PRODUTTIVITÀ DEL CECE NELL’ITALIA MERIDIONALE Troccoli C., Leoni B.

187

SESSIONE II - AGRONOMIA E AMBIENTE EFFETTO DELLA DENSITÀ DI SEMINA SULLA FITOSTABILIZZAZIONE DI METALLI PESANTI IN RADICI FITTONANTI DI COLZA Bandiera M., Mosca G., Vamerali T.

193 XV


DINAMICHE DI MINERALIZZAZIONE DEL C E DELL’N DOPO RIPETUTE APPLICAZIONI DI LIQUAME: RISULTATI PRELIMINARI Cavalli D., Marino P., Occhi S., Bechini L.

195

CONCIMAZIONE DEL SORGO DA BIOMASSA CON COMPOSTA DA FRAZIONE ORGANICA DI RIFIUTI SOLIDI URBANI Cozzolino E., Leone V., Piro F.

197

RESA DEL TABACCO KENTUCKY CONCIMATO CON COMPOSTA DI RIFIUTI URBANI Cozzolino E., Leone V., Piro F.

199

SEQUESTRO POTENZIALE DI CARBONIO IN SISTEMI COLTURALI CEREALICOLI DELLA COLLINA MARCHIGIANA De Sanctis G. , Seddaiu G., Iezzi G., Toderi M., Orsini R., Perugini M., Roggero P.P.

201

RISPOSTA PRODUTTIVA ED ECOFISIOLOGICA ALL’AMBIENTE DI COLTIVAZIONE DELLA MALVA SYLVESTRIS L. Delfine S., Pinelli P., Marcellino G.

203

IL SEGNALE CLIMATICO SULLE PRODUZIONI: INTERRELAZIONI TRA STRATEGIE IRRIGUE E RISPOSTE DELLE CULTIVARS De Lorenzi F., Bonfante A., Tomozeiu R., Patanè C., Villani G., Basile A., Tomei F., Menenti M.

205

PRODUZIONE DELL’ARUNDO DONAX IN AMBIENTE COLLINARE MERIDIONALE Fagnano M., Impagliazzo A., Mori M., Fiorentino N.

207

EFFETTO DELLA SALINITÀ SU MATRICARIA CHAMOMILLA L. Frabboni L., Libutti A., Tomaiuolo A., Disciglio G., Cristella F., Tarantino E.

209

PRODUTTIVITÀ A LIVELLO FOGLIARE DIFFERENTI REGIMI IRRIGUI E CARBONICI Garofalo P., Rinaldi M.

DEL

GIRASOLE

SOTTOPOSTO

A 211

VALUTAZIONE DELL’EFFETTO DEL DEFICIT IDRICO SULLA COMPOSIZIONE DELLE PROTEINE DI RISERVA DEL FRUMENTO DURO MEDIANTE UN APPROCCIO PROTEOMICO Giuliani M. M., Pompa M., Giuzio L., De Santis M., Mentana A., Palermo C., Centonze D., Flagella Z.

213

INFLUENZA DELLA TEMPERATURA E DEL CONTENUTO IDRICO DEL TERRENO SUL TASSO DI EMISSIONE DI CO2 Guarnaccia P., Testa G., Scalici G.i, Cosentino S. L.

215

L’APPROCCIO “FARMING SYSTEM” E STATISTICO PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE AGRICOLE AD ALTO VALORE NATURALISTICO (HNVF): IL CASO DI STUDIO DELLA TOSCANA Lazzerini G., Vazzana C.

217

GESTIONE IRRIGUA DELLE ACQUE SALMASTRE E VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI SALINITÀ Libutti A., Monteleone M.

219

DESALINIZZAZIONE DI UN SUOLO DINAMICA LUNGO IL PROFILO XVI

MEDIANTE

LISCIVIAZIONE:

ANALISI


Libutti A., Monteleone M.

221

EFFETTI DELL’IRRIGAZIONE CON ACQUE REFLUE URBANE DEPURATE E CLORATE SU COLTURA DI LATTUGA E SUL SUOLO Lonigro A., Rubino P.

223

IMPATTO DI COLTURE AGRI-ENERGETICHE SULLA BIODIVERSITÀ EDAFICA Menta C., Baldino P., F. D. Conti, A. Leoni

225

INFLUENZA DELLA FRIGOCONSERVAZIONE SUL CONTENUTO DI ANTIOSSIDANTI NEL CAPOLINO DI CARCIOFO (CYNARA CARDUNCULUS L SUBSP. SCOLYMUS (L) HEGI) Melilli M. G., Raccuia S. A.

227

PRODUTTIVITÀ DELL’ACQUA E KY (YIELD RESPONSE FACTOR) NEL POMODORO DA INDUSTRIA COLTIVATO IN AMBIENTE CALDO-ARIDO Patanè C., La Rosa S., Tringali S.

229

SCREENING DI GENOTIPI DI SORGO DA BIOMASSA [SORGHUM BICOLOR (L.) MOENCH] PER REQUISITI TERMICI IN FASE DI GERMINAZIONE Patanè C., Saita A.

231

VARIABILITÀ FUNZIONALE DI ISOLATI FUNGINI MICORRIZICI ARBUSCOLARI ESOTICI E NATIVI INOCULATI IN CAMPO SU MEDICAGO SATIVA Pellegrino E., Bonar E., Giovannetti M.

233

AGRICOLTURA E LAND DEGRADATION: LUCI ED OMBRE Perini L., Venezian Scarascia M. E., Salvati L.

235

EFFETTO DEI TRATTAMENTI A BASE DI AUXINE DELLE TALEE AI FINI DELLA PROPAGAZIONE CLONALE DI JATROPHA CURCAS L.: RISULTATI PRELIMINARI Raccuia S., A., Scandurra S., Melilli M., G.

237

CURVE DI RISPOSTA ALLA LUCE IN RELAZIONE ALLA SALINITÀ DELLE ACQUE DI IRRIGAZIONE, ALL’ETÀ ED ALLA TEMPERATURA DELLA FOGLIA IN UNA COLTURA DI MELONE NELL’OASI DI MINQIN N-O DELLA CINA Riggi E., Avola G.

239

EFFETTI DELL’IRRIGAZIONE CON DIFFERENTI CONCENTRAZIONI SALINE SULL’ASSIMILAZIONE NETTA DEL MELONE COLTIVATO IN AREA PREDESERTICA DEL NORD –OVEST DELLA CINA Riggi E., Li Zong, Avola G., Tedeschi A.

241

SUSCETTIBILITÀ ALLA ‘MACCHIA PRIMAVERILE DEL CYNODON’ DI CULTIVAR DI CYNODON DACTYLON DA TAPPETO ERBOSO Rimi F., Macolino S., Ziliotto U.

243

VALUTAZIONE DEL RECUPERO DI RESIDUI DI PIANTE COLTIVATE PER LA ESTRAZIONE DI OLI ESSENZIALI Roscigno G., Salvati S., Perrone D., De Falco E.

245

COMPARAZIONE DEI POLISACCARIDI STRUTTURALI IN TRE COLTURE ERBACEELIGNOCELLULOSICHE POLIENNALI Scordia D., Testa G.,, Cosentino S., L., Virgillito S.

247 XVII


EFFETTO DEI TRATTAMENTI DI CONDIZIONAMENTO SULLA PRESENZA DI SALI SULLA FASCIA DEL SIGARO Sifola M. I., Di Giacomo M., Minissi S.

249

QUALITÀ SALUTISTICA DEL FRUMENTO DURO VALUTATA MEDIANTE DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ ANTIOSSIDANTE Tozzi D., Pompa M., Di Benedetto N., Prencipe M., Lo Storto M., Giuliani M. M., Nardella E., De Santis M., Giuzio L., Flagella Z.

251

GESTIONE DELLE STOPPIE E DEI RESIDUI COLTURALI SULLA FERTILITÀ DEL SUOLO IN UNA MONOSUCESSIONE DI FRUMENTO Ventrella D., Fiore A., Mastrangelo M., Vonella A. V., Francesco F., Donato F.

253

SESSIONE III - AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE ANALISI DEI CARATTERI DEL PAESAGGIO CLASSIFICAZIONE TERRITORIALE Cammerino A.R.B., Piacquadio L., Monteleone M.

257

IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI AREE AGRICOLE AD ELEVATO VALORE NATURALISTICO IN TERRITORIO PRE-APPENNINICO Cammerino A.R.B., Piacquadio L., Monteleone M.

259

VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DELLA DIRETTIVA NITRATI IN UNA AZIENDA ZOOTECNICA DELLA PIANURA FRIULANA Ceccon P., Muzzolini V.

261

AGRONOMIA TERRITORIALE, FUNZIONI AGRO-AMBIENTALI E POLITICHE DI SVILUPPO: ALCUNE EVIDENZE IN RECENTI ESPERIENZE DI RICERCA Galli M., Debolini M., Marraccini E., Bonari E.

263

EROSIONE DEL SUOLO E INQUINAMENTO DA NITRATI: VALUTAZIONE INTEGRATA E PARTECIPATIVA DELLE MISURE AGRO-AMBIENTALI Perugini M., Toderi M., Seddaiu G., Orsini R., De Sanctis G., Roggero P.P.

265

UN NUOVO PARADIGMA PER LE “BUONE PRATICHE” DI LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE IN ITALIA Seddaiu G., Solinas S., Pisanu P., Roggero P.P.

267

DEGRADO DEL TERRITORIO E MULTIFUNZIONALITÀ DELL’AGRICOLTURA: UN FUTURO PER GLI ECOSISTEMI AGRO-FORESTALI Venezian Scarascia M. E., Sabbi A., Luigi P., Salvati L.

269

XVIII


COMUNICAZIONI ORALI



SESSIONE I – AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI



XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Key note

AquaCrop. Il Nuovo Modello FAO per la Simulazione della Risposta Colturale all’Acqua Pasquale Steduto Land and Water Division, Food and Agricultural Organization of the United Nations (FAO), Roma, IT, Pasquale.Steduto@fao.org

Introduzione L’Organizzazione per l’Agricoltura e l’Alimentazione delle Nazioni Unite (FAO) ha condotto una valutazione sui modelli colturali esistenti poiché interessata a sviluppare uno strumento pratico della risposta colturale all’acqua. Molti dei modelli esistenti si presentano particolarmente complessi, sofisticati, ed esigenti dal punto di vista delle variabili e parametri di input. Modelli con queste prerogative mal si prestano per utenti finali a cui la FAO solitamente si rivolge, quali personale dei servizi di assistenza tecnica, associazioni di agricoltori o di gestori di reti irrigue, ingegneri e tecnici dell’irrigazione, consulenti e gestori aziendali, economisti del settore agricolo e agronomi. La FAO ha quindi sviluppato un modello di risposta colturale all’acqua, chiamato AquaCrop, nel tentativo di ottenere un prodotto di facile utilizzo, che ben si prestasse agli utenti di interesse dell’Organizzazione, e che fosse ben ottimizzato nel conciliare le esigenze di accuratezza, semplicitá e robustezza. In questo articolo viene riportato il framework concettuale di AquaCrop con le sue componenti essenziali. Metodologia Lo sviluppo del modello AquaCrop ha percorso diverse fasi: la sua progettazione concettuale, l’implementazione in un prodotto software, le varie verifiche di funzionamento, le calibrazioni e validazioni in diversi ambienti e per diverse colture, i miglioramenti degli algoritmi iniziali, e lo sviluppo di un’interfaccia utente semplice ed intuitiva. Il modello è costituito da quattro moduli: il clima, il suolo, la coltura e la gestione aziendale. Il clima ha cinque variabili di input: temperatura atmosferica massima e minima, la pioggia, la domanda evaporativa dell’atmosfera (ETo), e la concentrazione media annuale dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera. Il suolo viene configurato dall’utente indicando fino ad un massimo di cinque orizzonti di profonditá variabile, ognuno con la propria tessitura. Le caratteristiche idrauliche per ogni orizzonte sono rappresentate dai limiti superiore e inferiori di ritenzione idrica, da un coefficiente di drenaggio e dalla conducibilitá idrica in condizioni di saturazione. La coltura è rappresentata attraverso la sua fenologia, l’accrescimento del manto vegetale (espresso dalla percentuale di copertura vegetale del suolo), l’approfondimento radicale, l’accumulo di biomassa, l’indice di raccolta (o harvest index) e la produzione finale. Nel profilo di suolo esplorato dalle radici, il modello calcola il bilancio idrico (e dei sali). AquaCrop separa l’evaporazione del suolo dalla traspirazione e simula l’accumulo di biomassa nel tempo in funzione dell’acqua traspirata, utilizzando il parametro della ‘produttivitá idrica’ (WP). Eventuali stress idrici durante il ciclo colturale vanno ad influenzare quattro espressioni fisiologiche fondamentali della pianta: il tasso di espansione del manto vegetale, la conduttanza stomatica, l’accelerazione della senescenza e la variazione dell’indice di raccolta. La gestione aziendale è espressa attraverso il controllo della pacciamatura, possibili rotazioni e tagli delle foraggiere, del livello di fertilitá e dell’irrigazione. Il diagramma schematico dei moduli di AquaCrop è riportato in Fig. 1 (vedere Steduto et al., 2009 e Raes et al., 2009). Il modello AquaCrop è stato calibrato e validato per mais, orzo, grano, cotone, patata, riso, soia, barbabietola da zucchero, canna da zucchero, girasole, pomodoro (sia da mensa che da industria), bambara, quinoa e tef. Ulteriori calibrazioni per altre colture (es., miglio, sorgo, etc.) sono in corso di completamento. I dati sperimentali per le calibrazioni e validazioni provengono da istituzioni accademiche, di ricerca e dagli istituti del Consultative Group on International Agricultural Research (CGIAR), con un ampio spettro di ambienti pedo-climatici in varie regioni del mondo. 5


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Figura 1. Diagramma schematico del modello AquaCrop con le componenti principali del continuo suolo-piantaatmosfera. Le linee continue rappresentano il legame diretto tra variabile e processo; le linee tratteggiate rappresentano funzioni di feedback [Simboli: I=irrigazione, Tn=temperatura minima, Tx=temperatura massima, ETo= evapotraspirazione di riferimento; E=evaporazione dal suolo, Tr= traspirazione del manto vegetale, gs=conduttanza stomatica, WP= parametro di produttivitá idrica, HI=indice di raccolta, (1), (2), (3) e (4), funzioni di risposta allo stress idrico].

Risultati Durante gli ultimi due anni, AquaCrop ha avuto una performance piú che soddisfacente raggiungendo scarti tra simulato e misurato della produzione finale di varie colture erbacee mediamente contenuto tra il 5 e il 15%. Risultati giá pubblicati riguardano il mais (Hsiao et al., 2009) il cotone (Farahani et al., 2009), il girasole e in confronto con altri modelli (Todorovic et al., 2009) e molte altre colture. Conclusioni Le caratteristiche principali che distinguono AquaCrop dagli altri modelli colturali sono rappresentate dall’enfasi della risposta colturale all’acqua, dal numero relativamente ridotto di parametri e variabili di input, dall’uso del parametro di ‘produttivitá idrica’ (WP) normalizzato per ETo e per la CO2 conferendo cosí al modello una grande versatilitá nell’essere estrapolato in diversi ambienti, stagioni e climi. Il modello mantiene un equilibrio ottimale tra accuratezza, semplicitá e robustezza, e puó essere utilizzato come strumento di pianificazione o di gestione. Un’applicazione importante di AquaCrop è rappresentata dall’analisi comparata tra produttivitá ottenibile e attuale che permette di identificare le cause dell’eventuale differenza tra le due produttivitá. Inoltre, il modello si presta molto bene per studi prospettici quali l’impatto del cambio climatico sulla produttivitá colturale. Bibliografia Farahani H.J. et al. 2009. Parameterization and evaluation of AquaCrop for full and deficit irrigated cotton. Agron. J. 101, 469–476. Hsiao, T.C. et al. 2009. AquaCrop—Model parameterization and testing for maize. Agron. J. 101:448–459. Raes, D. et al. 2009. AquaCrop—The FAO crop model for predicting yield response to water: II. Main algorithms and soft ware description. Agron. J., 101: 438–447. Steduto P. et al. 2009. AquaCrop—The FAO Crop Model to Simulate Yield Response to Water: I. Concepts and Underlying Principles. Agron. J., 101: 426–437.

6


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Micorriza, un Valore Aggiunto per la Produzione di Piantine da Seme di Carciofo Angela Campanelli, Claudia Ruta, Anna Tagarelli, Irene Morone-Fortunato Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria, Univ. Bari, IT, irene.morone@agr.uniba.it

Introduzione In diverse specie la micorrizazione, effettuata in fase di semina in vivaio, può influire positivamente sull'accrescimento dei semenzali. L'effetto della micorrizazione determina in vivaio un incremento dei ritmi di accrescimento delle piantine, migliora gli stress da trapianto, la tolleranza a stress biotici o abiotici, e ottimizza le produzioni. L'elevata qualità rappresenta un fondamentale aspetto per la produzione vivaistica e costituisce un presupposto imprescindibile ai fini della certificazione varietale, dell'ottenimento di elevate produzioni ecocompatibili. L’esperimento ha riguardato la micorrizazione di 3 ibridi di carciofo: Opal F1, Madrigal F1, Concerto F1. Metodologia Acheni di tre ibridi di carciofo (Concerto F1, Opal F1, Madrigal F1), commercializzati da Nunhems, sono stati utilizzati per la produzione di semenzali in vivo. Per ciascun ibrido, 50 acheni pregerminati sono stati collocati in vasetti di plastica (v = 200 cm3), trapiantati dopo 30 giorni in vasi di maggior capacità (v = 3 dm3) e allevati in serra (T: 5-20° C, UR: 30-60%). Il substrato colturale è costituito da una miscela commerciale di torba (carbonio organico 46%, azoto organico 1-2%, sostanza organica 80%) addizionata con perlite (2:1 v/v) inoculato o meno con micorriza arbuscolare (Glomus viscosum). Dopo 90 giorni di crescita in serra, a simbiosi instaurata, le piante sono state sottoposte a rilievi dei parametri morfometrici, simbiontici e fisiologici. I parametri di crescita rilevati sono il numero e la lunghezza delle foglie, l’area fogliare (LAI), il peso fresco e secco di foglie e radici e la densità radicale. Per i parametri simbiontici si è determinata l’infezione micorrizica e la dipendenza micorrizica. L’influenza della micorriza sulla fisiologia della pianta è stata valutata tramite la conduttanza stomatica (leaf porometer), lo stato idrico fogliare (contenuto idrico fogliare), i valori di SPAD (Spad502, Minolta) e il contenuto finale in clorofilla (Spettrofotometro). Risultati Tutte le piante micorrizate hanno mostrato un incremento di crescita, per ciascuno dei parametri morfologici osservati (Tab. 1), se confrontate con le piante controllo. La stima della frequenza della micorriza nell’apparato radicale dei tre ibridi evidenzia che l’ibrido Madrigal presenta una maggiore percentuale di infezione (82%) e una maggiore dipendenza micorrizica (31%) se confrontato con Opal (69%, 23%) e con Concerto (58%, 15%). I risultati, concordemente a quanto riportato in letteratura (Auge e Duan, 1991), evidenziano che le piante micorrizate presentano una maggiore conduttanza stomatica che, favorendo una più rapida utilizzazione dell’acqua dal substrato colturale, determina un contenuto idrico più elevato rispetto alle piante non micorrizate. L’inoculazione micorrizica migliora anche il contenuto in clorofilla delle foglie e questo dato è correlato positivamente con i valori di SPAD che sono più elevati rispetto al controllo non inoculato (Tab. 2). Tabella 1. Confronto dei parametri morfologici in ibridi di carciofo micorrizati e non a 90 giorni dall’inoculazione con Glomus viscosum

Ibridi

Opal

Trattamento

Controllo

Foglie Lunghezza Foglie (n) (cm)

P fresco foglie (g)

P secco foglie (g)

P fresco radice

P secco radice

Densità radicale

LAI

(g)

(g)

(cm/cm3)

(cm2)

7.5 b 44.7 b

44.8 b

6.7 b

33.3 b

8.6 a

1.6 b

582.9 b 7


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AM fungus

Madriga l controllo AM fungus Concerto controllo AM fungus

8.3 a 49.6 a

51.5 a

8.3 a

48.3 a

11.5 b

2.2 a

706.2 b

6.3 b 42.3 b

39.9 b

4.0 b

24.2 b

5.5 b

1.6 b

396.1 b

7.1 a 47.9 b

58.4 a

6.5 a

30.6 a

7.3 a

1.8 a

521.9 a

5.6 b 38.7 b

36.8 b

3.6 b

18.7 b

4.3 b

1.3 b

366.1 b

6.2 a 40.0 a

43.6 a

4.1 a

22.8 a

5.2 a

1.5 a

402.1 a

Il confronto statistico (test NSK) è stato effettuato considerando i trattamenti per ciascun ibrido. Tabella 2. Confronto dei parametri fisiologici in ibridi di carciofo micorrizati e non a 90 giorni dall’inoculazione con Glomus viscosum

Ibridi

Opal Madrigal Concerto

Trattamento

SPAD

Clorofilla totale

RWC

g kg-1

%

Conduttanza stomatica mol m-2 s-1

controllo

45.6 b

2.4 b

82.2 b

396.0 b

AM fungus

50.5 a

2.6 a

87.7 a

426.5 a

controllo

48.4 b

2.4 b

80.3 b

396.0 b

AM fungus

51.6 a

2.8 a

86.2 a

424.5 a

controllo

40.2 a

2.3 a

79.6 b

382.4 a

AM fungus

41.1 a

2.4 a

85.1 a

406.0 b

Il confronto statistico (test NSK) è stato effettuato considerando i trattamenti per ciascun ibrido. Conclusioni I risultati evidenziano un’influenza dell’inoculazione micorrizica sulla fisiologia delle piante ospiti che condiziona positivamente l’accrescimento, il vigore e la qualità delle piantine di ibridi di carciofo. Bibliografia Auge R.M., Duan X., 1991. Mycorrhizal Fungi and nonhydraulic root signals of soil drying. Plant Physiol. 97, 821824.

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Effetti della Pacciamatura con Residui di Piante Aromatiche su Lattuga (Lactuca sativa L.) Enrica De Falco1, Graziana Roscigno1, Samantha Salvati1, Massimo Zaccardelli2 1

Dip. Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Salerno, IT, edefalco@unisa.it 2 CRA – ORT, Sede di Battipaglia. (SA), IT, massimo.zaccardelli@entecra.it

Introduzione I metaboliti secondari stanno assumendo grande importanza anche in settori nuovi di interesse come quello alimentare ed agroindustriale. Lo studio degli oli essenziali per impieghi nel settore agricolo sta interessando numerosi ricercatori che hanno messo in evidenza l’elevata attività allelopatica di questi metaboliti (Arminante et al., 2006; De Martino et al., 2010) e le potenzialità d’uso nel controllo di parassiti delle piante (Zaccardelli et al., 2007) o di alcuni processi microbiologici che avvengono nel suolo (Kiran e Patra, 2003). Tuttavia i risultati non sono del tutto chiari ed esaustivi e non sono stati approfonditi gli effetti sul comportamento delle piante coltivate. Una ricerca condotta adottando differenti pacciamature organiche ha evidenziato una minore produzione di biomassa ma una resa in olio essenziale più elevata su rosmarino coltivato con residui trinciati della pianta stessa (De Falco et al. 2006). Obbiettivo della presente ricerca è stato quello di valutare gli effetti dell’aggiunta di materiale pacciamante derivante da piante aromatiche ed aventi un differente contenuto in olio essenziale su piantine di lattuga. Metodologia La prova è stata condotta nella primavera del 2010 presso il CRA–ORT di Battipaglia, mettendo a confronto i residui del confezionamento per la GDO di due piante aromatiche (salvia e rosmarino) prelevati in un’azienda della Piana del Sele (SA) che coltiva secondo le normative dell’agricoltura biologica. Porzione del materiale reperito di entrambe le specie è stato sottoposto a distillazione utilizzando un estrattore semi-industriale, modello “Spring”, della capacità di 12 litri (Alibrigi) per l’allontanamento dell’olio essenziale. Sia il materiale sottoposto ad estrazione dell’olio sia quello tal quale sono stati essiccati in stufa e macinati ed utilizzati come materiale pacciamante in vasi (ø 17) dove erano state trapiantate piantine di lattuga Canasta su un substrato di crescita rappresentato da terreno agrario sabbioso limoso con sabbia di fiume. Pertanto sono stati posti a confronto 4 trattamenti rappresentati da materiale pacciamante di salvia e rosmarino tal quale e senza olio essenziale oltre al controllo non pacciamato con 6 ripetizioni per ogni trattamento con una pianta per ciascun vaso. La prova è stata condotta in ambiente controllato (14h/10h rapporto illuminazione/buio e 25°C/18°C temperature giorno/notte). L’irrigazione è stata effettuata mediante impianto localizzato mantenendo le piantine in condizioni ottimali di umidità. La prova è durata 7 settimane durante le quali è stato monitorato l’accrescimento mediante il rilievo del numero di foglie e dell’altezza di vegetazione; al termine sono stati determinati per ciascuna pianta la biomassa epigea ed ipogea, la sostanza secca, l’area fogliare, la lunghezza e la larghezza delle foglie, la lunghezza e diametro del fittone. Infine campioni del materiale vegetale da cui era stato estratto l’olio sono stati sottoposti a nuova distillazione mediante apparecchio di Clevenger (Farmacopea Europea) per verificare la presenza di eventuali residui e per tutti i campioni di olio essenziale è stata effettuata la caratterizzazione fitochimica mediante GC e GCMS. Risultati Il contenuto in olio essenziale determinato con estrattore semi-industriale sui residui di salvia e rosmarino è stato di 0.22% e 0.33% su peso fresco rispettivamente per salvia e rosmarino; tuttavia l’estrazione successiva con apparecchio di Clevenger ha evidenziato che vi era una quantità di olio residuo pari a 0.12% e 0.08% rispettivamente per ciascuna specie. I rilievi effettuati durante la crescita delle piante (tabella 1) hanno messo in evidenza differenze nel numero di foglie a partire dalla terza settimana; i valori maggiori sono stati rilevati per il controllo e la tesi pacciamata con salvia senza olio 9


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per la quale, al termine dei rilievi, sono stati misurati i valori più elevati. Tabella 1. Rilievi sul numero di foglie per pianta durante la fase di accrescimento della lattuga pacciamatura rosmarino senza olio rosmarino con olio salvia senza olio salvia con olio controllo Dev.st.

foglie per pianta (n.) 12-mag 19-mag

21-apr

26-apr

5-mag

4.7 4.7 4.3 4.7 4.7

3.3 3.7 4.2 3.3 4.3

6.2 6.3 5.8 6.2 6.8

7.0 6.8 6.0 9.0 8.5

0.1

0.5

0.4

1.2

26-mag

3-giu

9-giu

8.7 7.0 7.2 11.3 12.0

8.8 7.5 7.7 13.2 12.0

10.7 8.5 8.7 14.2 12.0

12.0 9.5 10.0 16.3 12.0

2.3

2.6

2.4

2.7

Tabella 2. Rilievi alla raccolta

pacciamatura

rosmarino senza olio rosmarino con olio salvia senza olio salvia con olio controllo LSD p < 0.01

parte aerea foglie area fogliare peso secco larghezza lunghezza per pianta media 2 2 cm cm mg pianta-1 cm cm

radici peso secco mg pianta-1

200 281 277 1120 636

3.4 3.6 3.3 6.1 5.6

7.1 6.4 5.2 10.3 12.1

109.2 104.6 86.2 602.1 395.7

9.7 11.3 9.1 36.6 31.4

41.0 89.5 121.7 191.1 154.2

73

0.4

0.7

28.6

2.2

39.7

I rilievi effettuati alla raccolta (tabella 2) hanno evidenziato valori di biomassa e di area fogliare più elevati per la tesi pacciamata con salvia con olio anche rispetto al controllo. Valori molto più bassi sono stati registrati per le altre tre tesi. I trattamenti hanno determinato modifiche anche nelle dimensioni delle foglie come risulta dai dati di larghezza e lunghezza. Conclusioni I risultati hanno confermato l’elevata attività biologica degli oli essenziali che hanno interferito in modo significativo con il processo di accrescimento della pianta testata modificando anche le caratteristiche morfologiche. Non è stata però registrata una risposta univoca agli oli essenziali che hanno evidenziato differenze in relazione alla specie ed è pertanto è necessario approfondire gli studi così da poter valorizzare appieno le potenzialità di queste sostanze naturali. Bibliografia Arminante F. et al. 2006. Allelopatic activity of essential oils from mediterranean labiatae. Acta Horticulturae, 723, 347352 De Falco E., et al. 2006. Effects of different vegetal mulching on Rosmarinus officinalis L. First results. Acta Horticulturae, 723, 447-452. De Martino L., et al. 2010. Chemical composition and antigerminative activity of the essential oil from five Salvia species. Molecules, 15, 735-746. Zaccardelli M., et al. 2007. Identification of bio-active compounds in essential oils of medicinal plants toxic for phytopathogenic fungi and bacteria. J. Plant Pathology, 89, 3, Suppl., 66. Kiran U., Patra D.D., 2003. Influence of natural essential oil and their by-products as nitrification retarders in regulating nitrogen utilization for Japanese mint in sandy loam soils of subtropical central India. Agr., Ecos.& Envir., 94, 237-245.

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Profili Metabolomici di Varietà Antiche e Moderne di Frumento Tenero (Triticum aestivum L.) Giovanni Dinelli1, Raffaella Di Silvestro1, Ilaria Marotti1, Sara Bosi1, Valeria Bregola1, Pietro Catizone1, Lisetta Ghiselli2, Anne Whittaker2, Stefano Benedettelli2, AntonioSegura Carretero3 1

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali, Università di Bologna, viale Fanin, 44, 40127 Bologna; Tel. +390512096672, Fax +390512096241, e-mail: giovanni.dinelli@unibo.it 2 Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell’Ambiente Agroforestale, Università di Firenze, P.le delle Cascine 20, 50144 Firenze; Tel. +39.055.3288246, Fax +39.055.332472 3 Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Granada, c/Fuentenueva s/n, 18003 Granada, Spagna

Introduzione Il frumento tenero, oltre ad essere una delle principali specie erbacee coltivata a livello mondiale, rappresenta una componente fondamentale della dieta umana. Diversi studi hanno evidenziato come il consumo di farina integrale di frumento tenero riduca l’incidenza di patologie croniche quali il diabete, i disturbi cardio-vascolari ed il cancro (Jacobs et al., 1998): tali benefici per la salute dell’uomo sono riconducibili al contenuto unico in composti funzionali della farina integrale di frumento e dei suoi derivati. La completa caratterizzazione, tramite approccio metabolomico, dei composti benefici per salute umana, presenti nella granella, offre numerosi spunti applicativi sia per il settore del miglioramento genetico che per il segmento di mercato dei prodotti a base di frumento tenero, in linea con il crescente interesse dei consumatori di prodotti alimentari in grado di apportare vantaggi salutistici. Tra i composti funzionali del frumento la ricerca negli ultimi decenni ha posto particolare attenzione alla classe chimica dei polifenoli, per la loro spiccata azione anti-ossidante e anti-degenerativa. In letteratura sono disponibili diversi lavori in relazione al contenuto dei composti fenolici in differenti varietà o nelle diverse parti della cariosside (Adom et al., 2005; Mattila et al., 2005). Tuttavia, scarse sono le informazioni disponibili in merito alla varietà di frumento tenero di antica costituzione (ovvero con habitus non-nano): tali genotipi potrebbero rappresentare un’importante fonte di variabilità da utilizzare sia per programmi mirati di breeding che per lo sviluppo di specifici nutraceutici e di alimenti funzionali. Lo scopo della presente ricerca è stato quello di caratterizzare dal punto di vista quali-quantitativo 16 varietà antiche e 6 moderne di frumento tenero per il contenuto in composti fenolici bioattivi tramite approccio metabolomico. Metodologia Lo studio è stato condotto su 16 varietà antiche (“Andriolo”, “Autonomia A”, “Autonomia B”, “Benco”, “Bianco Nostrale”, “Canove”, “Carosello”, “Frassineto”, “Gentil Bianco”, “Gentil Rosso”, “Gentil Rosso mutico”, “Inalettabile”, “Marzuolo d’Aqui”, “Marzuolo Val Punteria”, “Sieve”, “Verna”), e su 6 varietà moderne (“Bilancia”, “Bolero”, “Eureka”, “Mieti”, “Nobel”, “Palesio”) di frumento tenero (T. Tabella 1. Valori medi del contenuto in polifenoli e flavonoidi totali (espressi in aestivum L.). Le 22 µmol di GAE e CE, rispettivamente, per 100 grammi di granella) e percentuale di varietà sono state composti legati delle varietà moderne e antiche analizzate. allevate nell’annata agraria 2008/2009 Flavonoidi Polifenoli presso l’azienda Varietà Totali % legati Totali % legati agricola sperimentale Media varietà di Cadriano (Università 1189 ± 165 69 183 ± 21 62 moderne di Bologna). Media varietà L’estrazione dei 1236 ± 214 73 187 ± 24 61 antiche polifenoli e dei flavonoidi, in forma libera e legata, e la loro determinazione quantitativa è stata effettuata in accordo a Dinelli et al. (2009). 11


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L’analisi metabolomica degli estratti ottenuti è stata effettuata in HPLC/ESI-TOF-MS (Dinelli et al., 2009). Risultati Le analisi rela-tive al contenuto totale in poli-fenoli e flavo-noidi non hanno evidenziato dif-ferenze significative tra varietà moderne e an-tiche (Tabella 1). Anche la per-centuale di polifenoli e flavonoidi, in forma legata, è risultata simile nei genotipi moderni e in quelli di antica costituzione. Tra le varietà antiche, Verna, Gentil Rosso, Marzuolo d’Aqui, e Carosello si sono distinte per un contenuto in polifenoli e falvonoidi totali significativamente superiore (dal 15 al 25% in più rispetto ai valori medi osservati per i 22 genotipi oggetto di indagine). Limitatamente ai polifenoli totali, le due varietà moderne Nobel e Eureka sono risultate caratterizzate da un contenuto medio di circa il 15% superiore rispetto al valore medio dell’intero set sperimentale. Le analisi in HPLC-TOF-MS hanno portato all’identificazione di oltre 60 composti fenolici, tra i quali cumarine, acidi fenolici, antocianine, flavoni, isoflavoni, protoantocianidine, stilbeni e lignani. L’interpretazione degli spettri di massa forniti dalle analisi in TOF-MS ha permesso di evidenziare notevoli differenze tra i profili fitochimici delle 22 varietà studiate. Sulla base della similarità dei profili fitochimici i genotipi di antica costituzione sono stati suddivisi in due gruppi. Il gruppo formato da Bianco Nostrale, Frassineto, Gentil Rosso, Gentil Rosso mutico, Marzuolo d’Aqui e Verna (gruppo 2) ha evidenziato, sia nella frazione libera che in quella legata, un numero medio di composti fenolici e di isomeri totali significativamente maggiore rispetto alle altre varietà oggetto di studio (Tabella 2).Tra le varietà moderne, i profili metabolomici più ricchi sono stati osservati per Nobel e Palesio. Tabella 2. Valori medi di composti totali, isomeri e composti unici identificati negli estratti fenolici liberi e legati delle varietà moderne e antiche analizzate.

Varietà

Composti totali a 3.5 (b)b

Frazione libera Isomeri

Composti unici 0.2 (a)

Composti totali a 13.3 (b)

Frazione legata Isomeri

Varietà moderne 0.8 (b) 4.5 (b) Varietà antiche 5.8 (ab) 2.1 (ab) 0.2 (a) 12. 3 (b) 4.0 (b) (gruppo 1) Varietà antiche 11.0 (a) 5.1 (a) 0.6 (a) 18.6 (a) 7.0 (a) (gruppo 2) a Isomeri inclusi b Medie seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti per P < 0.05.

Composti unici 0.3 (a) 0.2 (a) 0.5 (a)

Conclusioni Nonostante non siano state osservate differenze significative per quanto riguarda il contenuto totale in polifenoli e flavonoidi tra varietà moderne e antiche, il profilo fitochimico qualitativo è risultato notevolmente differente tra le accessioni oggetto di indagine. Il contenuto peculiare in composti fenolici bioattivi di alcune varietà di antica costituzione (Bianco Nostrale, Frassineto, Gentil Rosso, Gentil Rosso mutico, Marzuolo d’Aqui e Verna) suggerisce un loro utilizzo in programmi di miglioramento genetico finalizzati all’ottenimento di varietà con caratteri qualitativi di pregio ed un più elevato contenuto in composti benefici per la salute. Tra le varietà moderne, Nobel appare il genotipo caratterizzato da un contenuto qualiquantitativo in polifenoli bioattivi superiore rispetto alle altre varietà di recente costituzione. Bibliografia Adom K.K. et al. 2005. Phytochemicals and Antioxidant Activity of Milled Fractions of Different Wheat Varieties. J. Agric. Food Chem., 53:2297-2306. Dinelli G. et al. 2009. Determination of Phenolic Compounds in Modern and Old Varieties of Durum Wheat Using Liquid Chromatography Coupled with Time-of-Flight Mass Spectrometry. J. Chromatogr. A, 1216: 7229–7240. Jacobs D.R. et al. 1998. Whole grain intake may reduce risk of coronary heart disease death in postmenopausal women: the Iowa women’s health study. Am. J. Clin. Nutr., 68:248-257. Mattila P. et al. 2005. Contents of Phenolic Acids, Alkyl- and Alkenylresorcinols and Avenanthramides in Commercial Grain Products. J. Agric. Food Chem., 53:8290-8295. 12


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Strategie di Gestione per l’Adattamento al Pascolo di Manze Marchigiane Paride D’Ottavio1, Maria Federica Trombetta2, Paolo Trobbiani1, Rodolfo Santilocchi1 1 2

Dip. SAPROV, Università Politecnica delle Marche, Ancona, IT, p.dottavio@univpm.it Dip. SAIFET, Università Politecnica delle Marche, Ancona, IT, m.f.trombetta@univpm.it

Introduzione Il progetto di costituzione di un “Centro di adattamento al pascolamento per giovani manze di razza marchigiana” finanziato nel 2009 dalla Regione Marche si pone l’obiettivo di selezionare soggetti ad alta genealogia adatti al pascolamento, migliorare le conoscenze per la gestione dei pascoli e mettere a punto una razione ad integrazione dell’erba. Questa attività, che si concretizza nella vendita all’asta delle manze adattate, permette di ottenere animali con caratteristiche di rusticità da destinare ad allevamenti che attuano la linea vacca-vitello basata principalmente sull’utilizzo del pascolo nelle zone montane e pedemontane dell’Appennino Marchigiano (D’Ottavio et al., 2008). Nel presente lavoro vengono presentati i risultati preliminari delle attività condotte nel primo anno di progetto e relativi alla verifica dell’adattamento al pascolo delle manze, delle performance degli animali e degli effetti prodotti sul pascolo dall’attuale gestione agro-zootecnica. Metodologia L’attività sperimentale è stata condotta nell’azienda agraria del comune di Fabriano (AN), su terreni argillosi a morfologia e pendenza variabili posti ad una altitudine media di circa 400 m s.l.m.. L’area di studio presenta una temperatura media annuale di 12,6°C e una precipitazione media annua di 945 mm. L’allevamento ha previsto l’ingresso in azienda di 15 animali di circa 380 kg a fine primavera 2009. I soggetti, provenienti da diverse aziende, sono stati scelti per genealogia degli ascendenti e in base a valutazione morfologica. Dopo la quarantena, le manze sono state poste in box multipli con accesso al pascolo. La razione giornaliera, somministrata di norma al mattino, ha fornito ad ogni capo circa 3,2 kg di fieno di primo taglio di prati polifiti e 3,4 kg di sfarinato composto da orzo (40%), mais (40%) e favino (20%). Le superfici pascolate, seminate con Medicago sativa (40%), Festuca arundinacea (25%), Lolium multiflorum (15%) e Lotus corniculatus (6%), sono state gestite a prato-pascolo. Dopo la fienagione (fine giugno), la superficie di 12 ha è stata suddivisa in 4 settori utilizzati tra la metà di luglio e l’ultima decade di ottobre. Durante l’allevamento è stato monitorato il comportamento delle manze nelle ore diurne (Gary et al., 1970) al principio ed alla conclusione del periodo di pascolamento, calcolati gli incrementi ponderali ogni 40 gg e determinata la produzione di sostanza secca del pascolo compresa la sua ripartizione in famiglie e in necromassa prima dell’entrata e dopo l’uscita degli animali da ogni settore di pascolamento. Risultati Le manze hanno trascorso al pascolo dal 25 (fine luglio) al 44% (fine settembre) del tempo monitorato (Fig. 1). Questa utilizzazione appare fortemente condizionata sia dall’andamento termometrico stagionale (temperatura media di 25,6 e 16,5°C nella terza decade di luglio e settembre rispettivamente) e giornaliero sia dalla modalità di somministrazione delle integrazioni alimentari. A fine luglio, le manze hanno preferito utilizzare il pascolo durante le ore più fresche della giornata (9:30-12:00 e 20:0021:30) durante le quali hanno trascorso la maggior parte del loro tempo in movimento o ferme in piedi per alimentarsi. A fine settembre, le manze hanno prevalentemente utilizzato il pascolo durante le ore centrali (11:00-15:00) riducendo il movimento e dedicando un tempo maggiore alla ruminazione sia da ferme in piedi che sdraiate. In ogni caso, il tempo trascorso al pascolo è stato apparentemente condizionato anche dalle integrazioni somministrate a inizio giornata. Oltre alla farina normalmente prevista, la fornitura e la disponibilità ad libitum di fieno nello spazio indoor (in particolare se di qualità) ha portato le manze a limitare il pascolamento in entrambi i periodi monitorati. 13


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10 0

1,0 0,9 0,8

21 83

0 100 20

84

0

0

71

100

32

50

Indoor

Al pascolo

0,7 -1

Alimentazione In movimento Sdraiata Ferma in piedi

kg die

100 90 80 70 60 % 50 40 30 20

0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1

Indoor

Al pascolo

Fine luglio

Fine settembre

Figura 1. Tempo impiegato in ciascuna attività (n° entro colonna: % tempo per ruminazione; al pascolo, per differenza: tempo per alimentazione).

0,0 17 giu - 29 lug

29 lug - 02 set

02 set - 08 ott

Figura 2. Incrementi ponderali delle manze durante il periodo di allevamento.

Gli incrementi ponderali registrati durante il periodo di allevamento sono risultati variabili da 0,84 a 0,12 kg capo-1 die-1 (Fig. 2). Questi risultati, in prima analisi, appaiono condizionati dalle caratteristiche dei settori di pascolamento e dei pascoli utilizzati. Il pascolamento di superfici vicine alla stalla, poco pendenti e caratterizzate dalla elevata presenza e utilizzazione di buone piante foraggere (Tab. 1) permettono di registrare i più elevati incrementi ponderali relativi al periodo di osservazione. Al contrario, l’utilizzo di settori molto ampi, pendenti e distanti dalla stalla è apparso decisivo per i decrementi ponderali registrati durante la parte conclusiva del pascolamento, nonostante il favorevole andamento produttivo e la elevata utilizzazione delle abbondanti leguminose (Tab. 1). Tabella 1. Produzione di SS e % delle specie delle famiglie (Gram: graminacee; Leg: leguminose; Altre: altre fam.) e della necromassa (Necr) nei settori di pascolamento in entrata (E) e in uscita (U).

Settor e 1 2 3+4

Periodo di pascolamento 9-lug E 28-lug U 28-lug E 17-set U 17-set E 2-nov U

Prod. di SS (t ha-1) 0.99 0.39 2.12 A 0.48 B 0.72 B 1.99 A

Contributo % fam. e necromassa Altr Gram Leg e Necr 22 28 39 11 29 11 47 14 35 55 a 5 5 12 9b 66 14 26 B 38 A 1 35 b 40 A 4B 0 55 a

N° Giorni di animal pascolam i ha-1 . 12.3

19

10.0

51

1.6

41

Nelle colonne, medie con lettere maiuscole e minuscole diverse differiscono significativamente con un livello di probabilità rispettivamente di 0,01 e 0,05 (t test). Conclusioni I risultati ottenuti forniscono prime indicazioni per attuare una gestione efficiente dell’allevamento al pascolo delle manze. In particolare, si segnala la necessità di adeguamento della integrazione. Oltre al quantitativo di sfarinato, questa potrebbe sicuramente comportare una riduzione di fieno e l’adozione di una strategia nei tempi di somministrazione delle integrazioni sia per una gestione più efficiente dei pascoli sia per l’accrescimento equilibrato di animali destinati alla riproduzione in condizioni di allevamento estensivo.

Bibliografia D’Ottavio et al. 2008. L’allevamento e l’alimentazione. Pp. 61-85. In: Regione Marche (a cura di). Progetto Marcbal: La marchigiana: una razza da esportare. Ed. Regione Marche, Ancona. Gary et al. 1970. Behaviour of Charolais Cattle on Pasture. J. of Animal Science, 30: 203-206. 14


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L’Efficienza d’Uso della Radiazione Solare nel Sorgo da Biomassa Pasquale Garofalo, Alessandro Vittorio Vonella, Sergio Ruggieri, Michele Rinaldi CRA-SCA, Unità di ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari, IT , pasquale.garofalo@entecra.it

Introduzione L’efficienza con cui la pianta converte la radiazione solare in sostanza secca (s.s.) è indicata con il termine anglosassone di “Radiation Use Efficiency” o RUE, espressa in grammi di s.s. per MJ di radiazione fotosinteticamente attiva intercettata dalla coltura o IPAR. Diversi autori (tra gli altri, Sinclair and Muchow, 1999) hanno evidenziato come questo valore sia abbastanza stabile, per ciascuna coltura, in un ampio range di condizioni. Per questo motivo numerosi modelli di simulazione della crescita colturale (CERES, EPIC, etc.) utilizzano questo parametro per stimare l’incremento di sostanza secca potenziale giornaliera. In determinate condizioni, però, la capacità della coltura di convertire la radiazione solare in sostanza secca non risulta sempre costante. In particolare, per il sorgo da biomassa (Sorghum bicolor L. Moench), coltura che sempre più sta suscitando interesse per l’utilizzazione a scopi energetici, in letteratura si trovano valori che vanno da 2.1 (Stockle e Kiniry, 1990) a 4.8 g MJ-1 (Perniola et al., 1995). Scopo della ricerca è determinare la RUE del sorgo da biomassa in condizioni di diverso rifornimento irriguo nell'Italia meridionale. Metodologia L’esperimento è stato condotto nel 2008 e Tabella 1. Principali componenti del bilancio idrico nelle diverse 2009, presso l’azienda sperimentale Podere tesi irrigue a confronto su sorgo da biomassa. 124 a Foggia. Il sorgo da biomassa (ibrido Anno Regimi Volume Consumo BIOMASS 133) è stato seminato nella irrigui irriguo idrico prima decade di maggio e raccolto a fine stagionale agosto, prima della fioritura. Sono stati mm mm imposti 4 regimi irrigui, che prevedevano il 2008 I_125 550 791 ripristino del 125 (I_125), 100 (I_100), 75 I_100 460 633 (I_75) e 50% (I_50) della I_75 370 611 evapotraspirazione stimata come prodotto tra ET0 (stimata con la formula di PenmanI_50 280 566 Monteith) e Kc (misurati precedentemente Media 415 650 con lisimetri a pesata). 2009 I_125 365 891 Nel corso del ciclo colturale sono state I_100 305 768 effettuate misure distruttive (5 rilievi) di I_75 245 702 biomassa epigea (distinta in culmi, foglie I_50 185 594 verdi e secche), di indice di area fogliare Media 275 739 (LAI) e coefficiente di estinzione della luce Media biennio 345 695 all’interno della canopy (entrambi quest’ultimo con misuratore di area fogliare LI-COR 2000) e di radiazione solare globale con piranometro a termopila (305–2800 nm). La RUE è stata ottenuta come pendenza della retta di regressione tra sostanza secca epigea (ADM) e IPAR cumulati. Risultati I due anni di prova si sono differenziati da un punto di vista climatico principalmente per la maggiore piovosità del 2009 nel periodo che ha preceduto la semina del sorgo (418 vs. 168 mm dal 1 gennaio alla semina, nel 2009 e nel 2008, rispettivamente). Ciò ha permesso alla coltura di beneficiare di una maggiore riserva idrica del suolo nel secondo anno di prova (Tab. 1), che ha avuto come principale conseguenza un ciclo leggermente più lungo nel secondo anno rispetto al primo (+12 d). 15


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-2

ADM (g m )

La RUE è risultata uguale in media nei due anni, confermando una sostanziale stabilità di questo parametro (Tab. 2). Di contro però, il diverso apporto irriguo ha comportato delle differenze della RUE che, in entrambi gli anni, è risultata diversa, distinguendo le due tesi meno irrigate (I_50 e I_75) da quelle più irrigate (I_100 e I_125; Tab. 2). Questa diversa risposta della Tabella 2. Valori di RUE stagionale, di LAI e di peso secco delle foglie verdi coltura di sorgo da biomassa è (valori medi dei 5 rilievi) del sorgo da biomassa, distinti per anno e per spiegata da un diverso trattamento irriguo. Per ciascun anno, medie seguita da lettere diverse accrescimento della canopy, in indicano valori statisticamente differenti (LSD test, P > 0.01). particolare lo sviluppo delle foglie Regimi RUE LAI Peso secco e, quindi, la superficie irrigui foglie verdi Anno fotosintetizzante (LAI). Di g MJ-1 m2 m-2 g m-2 conseguenza, la maggiore 2008 I_125 3.07 a 5.98 a 423 a disponibilità idrica del sorgo delle I_100 2.92 a 5.86 a 401 a due tesi meglio irrigate (I_100 e I_75 2.59 b 5.39 ab 342 b I_125) ha consentito una maggiore I_50 2.27 b 4.85 b 320 b intercettazione della radiazione Media 2.75 5.52 371 solare e, pertanto, sia la sintesi che 2009 I_125 3.81 a 6.24 a l’accumulo di sostanza secca sono 437 a avvenuti in maniera più efficiente I_100 3.29 a 5.52 a 365 b (Tab. 2). I_75 2.67 b 4.59 b 268 c Mediando i valori dei due anni I_50 1.79 b 3.79 b 211 c dell’ADM e dell’IPAR delle tesi Media 2.89 5.01 320 irrigue che possiamo definire Media biennio 2.86 5.26 345 “ottimali” (I_100 e I_125) e “stressate” (I_75 e I_50), è stato possibile ottenere due valori medi della RUE per l’ambiente meridionale italiano, pari a 3.28 g MJ-1, per condizioni idriche ottimali e 2.35 g MJ-1 per quelle stressate 4000 (Fig. 1). y = 3,279 x 2 Conclusioni R = 0,937 3000 Da questa ricerca è stato calcolato Ottimale un valore di RUE per il sorgo da -1 biomassa pari a 2.86 g MJ che conferma i valori riportati in 2000 letteratura. I trattamenti irrigui “ottimali” (I_100 e I_125) hanno consentito uno sviluppo della y = 2,352 x 1000 canopy maggiore e più duraturo 2 R = 0,964 rispetto a quello delle tesi a minore Stressata apporto irriguo (I_50 e I_75). Bibliografia

0 0

250

500

750

1000

Perniola M. et al. 1996. Radiation Use -2 IPAR cum (MJ m ) Efficiency of sweet sorghum and kenaf th under field condition. Ads. Book 9 . Eur. Bioenergy Conf., Cophenagen. P Figura 1. Rette di regressione tra ADM e IPAR, la cui pendenza 156. rappresenta la RUE, per regimi irrigui ottimale (I_100 e I_125, linea Sinclair T.R. and Muchow R.C. 1999. scura, rombi) e stressato (I_100 e I_125, linea chiara, quadrati), medie Radiation Use Efficiency. Advances in dei due anni. Agronomy, 65: 215-265. Stockle C. and Kiniry J.R. 1990. Variability in crop radiation-use efficiency associated with vapour pressure deficit. Field Crop Research., 25, 171-181. 16


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Valutazione della Vocazionalità alla Coltivazione di Colza in Puglia Mediante Analisi GIS-Multicriteriale Nicola Grassano, Luigi Tedone, Leonardo Verdini, Giuseppe De Mastro Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, IT, demastro@agr.uniba.it

Introduzione Nell’ambito delle possibili colture a destinazione energetica il colza (Brassica napus L. var. oleifera D.C.), più recentemente sta vivendo momenti di rinnovato interesse su tutto il territorio nazionale. L’individuazione delle aree potenzialmente più idonee all’introduzione di questa coltura richiede valutazioni relative al clima, alle caratteristiche del suolo, alle componenti ambientali al fine di comprendere eventuali limitazioni biofisiche alla sua diffusione. L’integrazione di queste informazioni con tecniche di analisi spaziale attraverso sistemi informatici come il GIS (Geographical Information Systems) (Tomlin, 1990) rappresenta uno strumento molto efficace per valutare la vocazionalità agronomica di colture di interesse agrario (Sabbatini et al., 2004). Con questo lavoro si intende voler contribuire alla valutazione della vocazionalità del colza in Puglia presentandola sotto forma di mappe tematiche nell’intento di fornire un utile strumento agli addetti al settore ed in particolare ai decisori politici come ausilio alle politiche agroenergetiche. Materiali e metodi Lo studio ha previsto la progettazione di un vero e proprio Sistema Informativo Territoriale (SIT) che ha consentito di analizzare con un approccio multicriteriale (Malczewski J., 2000) aspetti pedoclimatici, agronomici e socioeconomici per una più puntuale definizione delle potenziali aree vocate all’introduzione della coltura del colza a scopi energetici. Il conseguimento di questi obiettivi è stato possibile grazie al ricorso alla tecnologia GIS, che comprende software dedicati all’analisi territoriale. I dati climatici sono stati acquisiti da 188 stazioni meteorologiche distribuite sull’intero territorio regionale (Associazione regionale Consorzi di Difesa della Puglia - Assocodipuglia). Per l’acquisizione delle informazioni relative alle caratteristiche fisico-chimiche del suolo (profondità, contenuto di scheletro, tessitura, contenuto di sostanza organica, contenuto in carbonati totali, pH, ECe e drenaggio) si è fatto riferimento ai dati disponibili dallo studio sulla caratterizzazione agroecologica della Regione Puglia (Progetto ACLA 2). I dati delle pendenze e dell’uso del suolo sono stati ottenuti dal SIT della Regione Puglia (www.cartografico.puglia.it). Aspetti specifici delle esigenze ambientali del colza sono stati determinati su base bibliografica (Allen et al., 1998; De Mastro e Bona, 1998). Le informazioni cartografiche sono state raccolte ed elaborate al fine di ottenere un dataset omogeneo e georeferenziato, mediante il sistema di proiezione UTM (Universal Transverse Mercator) WGS84 (World Geodetic System 84), fuso 33. Per la valutazione della potenzialità produttiva del colza si è fatto ricorso alla Classificazione Agronomica del Territorio II (Giardini et al., 1997),basata sull’attribuzione di punteggi di limitazione ai fattori ambientali riducenti l’espressione produttiva ed espressa secondo 10 classi agronomiche. L’analisi agronomica è stata integrata da una di tipo socioeconomico utilizzando alcuni dati del V Censimento generale dell’Agricoltura dell’anno 2000 (dimensione aziendale, densità della SAU, superfici a riposo, meccanizzazione, ordinamenti colturali, superfici irrigate). Per ciascun livello informativo acquisito, sia ambientale che socioeconomico, sono state generate mappe tematiche la cui unità territoriale di riferimento coincide con un pixel (dimensioni 100 x 100 m). Gli strati informativi così ottenuti sono stati combinati attraverso l’analisi multicriteriale in cui si è proceduto all’assegnazione dei pesi mediante confronti a coppie tra i criteri e alla somma pesata mediante lo strumento di overlay “Raster Calculator”, di cui i GIS sono dotati. La trasposizione dell’informazione territoriale in un sistema di mappe ha consentito l’attribuzione di un indice della vocazionalità del territorio espresso in classi (ottimo, buono, sufficiente e insufficiente).

17


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Risultati I risultati ottenuti attraverso la sovrapposizione delle mappe generate sulla base delle variabili biofisiche del territorio regionale indicano che nell’ambito dei seminativi (fig. 1), il 38% (189983 ha), 43,4% (216642 ha), 11,9% (59487 ha) e 6,7% (33210 ha) risulta essere rispettivamente molto adatto (S1), moderatamente adatto (S2), poco adatto (S3) e non adatto (N) per la coltivazione del colza. Figura 1. Classificazione agronomica del colza

Figura 2. Vocazionalità del colza in Puglia

I risultati dell’analisi multicriteriale (fig. 2) mostrano una più accentuata vocazionalità alla coltivazione del colza ad uso energetico nelle provincie di Foggia e Bari. Infatti, nel foggiano il 54.5% della superficie a seminativi è dotato di una vocazionalità compresa tra ottimo e buono, mentre nel barese scende al 28.8%. Nelle restanti provincie pugliesi la quota di superficie a seminativi dotate di una vocazionalità ottima nei confronti del colza si contrae fortemente per una serie di fattori limitanti compresi tra quelli pedologici (scarsa profondità del suolo, ricchezza in scheletro, ecc..), climatici (deficit idrico) e socioeconomici (dimensioni aziendali). La situazione in queste aree è caratterizzata dal prevalere di una vocazionalità appena sufficiente, mentre superfici a seminativi dotati di una buona vocazionalità si attestano su valori compresi tra il 10 26% dei seminativi passando dalle provincie di Lecce, Taranto e Brindisi. Conclusioni L’attività di ricerca svolta ha confermato la validità dei sistemi di gestione delle informazioni geografiche basati sui GIS e di analisi multicriteriale quale strumento di supporto alle decisioni relative a scelte colturali e programmi di valorizzazione delle potenzialità produttive del sistema agricolo regionale. Nel complesso il territorio agricolo regionale può vantare superfici consistenti per una sua eventuale introduzione in avvicendamento con frumento duro consentendo di dare seguito alle più recenti misure di sostegno della PAC. La provincia di Foggia e Bari appaiono quelle dotate di una ottima vocazionalità, mentre alcuni fattori limitanti riferiti al caratteristiche pedoclimatiche e alle tipologia delle strutture aziendali contribuiscono a definire un minore livello di vocazionalità delle provincie di Brindisi, Taranto e Lecce. Bibliografia Caliandro A. et al. 2005. Caratterizzazione agroecologica della Regione Puglia in funzione della potenzialità produttiva. Progetto ACLA 2. Opuscolo Divulgativo 179 Giardini L. et al. 1997. La classificazione agronomica del territorio: proposta metodologica del sistema CAT2. Genio Rurale 5, 53-64. Malczewski J, 2000. GIS and multicriteria decision analysis. John Wiley and Sons, New York. Sabbatini T. et al. 2004. Analisi territoriale delle colture da energia in Toscana. Quaderno ARSIA 6/2004. Tomlin C.D. 1990. Geographic Information Systems and Cartographic Modeling, Prentice Hall. 18


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Modelli Colturali Innovativi per il Carciofo da Industria Rosario P. Mauro, Sara Lombardo, Angela M.G. Longo, Gaetano Pandino, Angelo Litrico, Antonino Russo, Giovanni Mauromicale Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) – Università degli Studi di Catania – via Valdisavoia, 5 – 95123 Catania; tel. 09523415; fax 095234449; e-mail: rosario.mauro@unict.it

Introduzione Il carciofo [Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori] è una coltura erbacea da pieno campo ad ampia diffusione nel Bacino del Mediterraneo, il cui prodotto, rappresentato dai capolini, è destinato principalmente al consumo fresco. Nelle regioni meridionali dell’Italia, la cinaricoltura si basa sulla coltivazione di tipi rifiorenti, le cui produzioni precoci sono destinate al mercato fresco, mentre solo le code di produzione sono assorbite dall’industria conserviera (Mauromicale, 1988). Tale assetto appare inadeguato nell’ottica di (i) soddisfare le esigenze dell’industria alimentare (alto profilo quantiqualitativo del prodotto, stabilità produttiva) e (ii) promuovere un’innovazione della tecnica colturale, con particolare riferimento alla meccanizzazione di alcune tecniche colturali. Tali aspetti sono fondamentali per il futuro della coltura, atteso che proprio dall’industria deve attendersi il più forte impulso al raggiungimento di nuovi mercati, specialmente esteri. La recente diffusione di ibridi a propagazione gamica, produttivi e contemporanei, sembra offrire un importante contributo in tal senso. A causa della mancanza di specifici modelli colturali, però, allo stato attuale il potenziale produttivo di tali cultivar non sembra pienamente utilizzato. Scopo del presente lavoro è stato valutare gli effetti dell’investimento unitario e della disposizione delle piante sulle caratteristiche produttive del carciofo da industria. Metodologia La ricerca è stata realizzata nel biennio 2006-2008 nella piana di Gela (37°11’ N 14° 11’ E). In uno schema a split-plot, sono stati posti allo studio gli effetti del sesto di impianto (file semplici contro file binate) e dell’investimento unitario (1,0-1,2-1,4 e 1,8 piante m-2) sulle caratteristiche produttive di tre genotipi di carciofo (Violetto di Sicilia, a propagazione vegetativa; Harmony F1 e Madrigal F1 a propagazione per “seme”). L’impianto è stato effettuato il 10 agosto 2006 a partire da ovoli (Violetto di Sicilia) o plantule di 40 giorni di età (Harmony F1 e Madrigal F1). La concimazione è stata effettuata con 200, 150 e 120 kg ha-1 rispettivamente di N, P2O5 e K2O. Al secondo anno, la carciofaia è stata riattivata a mezzo irrigazione il 7 agosto 2007. Sui dati raccolti in campo sono state calcolate le seguenti variabili: intervallo impianto (o riattivazione) - prima raccolta (DFH), produzione areica (Y), numero di raccolte (NH), produzione areica per raccolta (YH) e durata del periodo produttivo (LPP). I dati acquisiti sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie di ciascun carattere separate tramite test LSD di Fisher. Risultati Indipendentemente dal genotipo, l’impianto a file binate, rispetto a quello tradizionale, ha significativamente diminuito Y (-14%) ed NH (da 11 a 9), ma aumentato YH (+7%) (Tab. 1). All’aumentare dell’investimento unitario da 1,0 a 1,8 piante m-2 è stato registrato un significativo incremento di Y (+46%) e YH (+99%), ed una diminuzione di NH (da 11 a 9) (Tab. 1). Tra i genotipi studiati Violetto di Sicilia ha mostrato maggiore durata del periodo produttivo (LPP=118 giorni) e spiccata precocità (DFH = 132 giorni). Per contro, l’ibrido Madrigal F1 è risultato più tardivo (DFH=231 giorni), produttivo (Y=181.200 capolini ha-1) e contemporaneo nella emissione dei capolini (YH = 23.600 capolini ha-1 raccolta-1), seguito da Harmony F1 (Tab. 1). Tra i genotipi confrontati, Harmony F1 ha mostrato la migliore risposta produttiva agli alti investimenti unitari, atteso che, passando da 1,0 ad 1,8 piante m-2, ha fatto registrare un maggiore incremento di Y (del 56%) e di YH (del 36%) (Fig. 1A-B). 19


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1. Effetto dei fattori principali sulle variabili agronomiche considerate. Lettere diverse nell’ambito di ciascun fattore indicano significatività al test LSD (P < 0,05).

Genotipo Harmony F1 Madrigal F1 Violetto di Sicilia Sesto di impianto File semplici File binate Investimento unitario (piante m-2) 1,0 1,2 1,4 1,8

DFH (giorni)

Y (000 capolini ha-1)

NH

YH (000 capolini ha-1 raccolta-1)

LPP (giorni)

193 b 231 a 132 c

158,5 b 181,2 a 109,3 c

9b 8c 13 a

18,4 b 23,6 a 9,0 c

43 b 18 c 118 a

182 b 188 a

152,2 a 147,1 b

11 a 9b

16,4 b 17,5 a

61 a 59 a

180 c 184 bc 186 ab 191 a

118,7 d 145,2 c 161,3 b 173,4 a

12 a 11 b 9c 9c

11,2 d 14,9 c 19,4 b 22,3 a

64 a 61 ab 58 bc 56 c

Investimento unitario (pianta m-2 ) 300

1.0

1.2

1.4

-2

B

1.8

LSD interazione 8.7

200

-1

000 capolini ha -1 000 capolini ha-1

250

000 capolini ha raccolta 000 capolini ha -1 raccolta-1

-1

A

150 100 50

Investimento unitario (pianta m ) 40

1.0

1.2

1.4

1.8

35 30

LSD interazione 2.1

25 20 15 10 5 0

0 1 Sicilia Violetto di

2 Harmony F1

3 F1 Madrigal

Violetto 1di Sicilia

2 Harmony F1

3 F1 Madrigal

Figura 1. Produzione areica totale (A) e per singola raccolta (B) in rapporto all’interazione ‘genotipo x investimento unitario’.

Conclusioni L’adozione della disposizione a file binate, sebbene abbia lievemente diminuito le rese, si è rivelata utile nel ridurre il numero di raccolte in tutti i genotipi studiati. Inoltre, l’aumento dell’investimento unitario fino a 1,8 piante m-2, ha sortito effetti positivi sulla produzione areica e sulla contemporaneità di produzione della carciofaia. L’adozione di cultivar diversificate sotto il profilo bio-agronomico, ha permesso di realizzare un ampio e stabile calendario produttivo (da novembre a maggio), maggiormente rispondente alle esigenze dell’industria di trasformazione. Sotto tale aspetto, Harmony F1, più produttivo rispetto a Violetto di Sicilia, ma caratterizzato da minore rigoglio vegetativo rispetto a Madrigal F1, ha rivelato la migliore risposta produttiva all’aumento dell’investimento unitario. Tali risultati permettono di asserire che l’adozione di protocolli colturali basati sulla diversificazione varietale, su un elevato investimento unitario (1,8 piante m-2) ed il sesto di impianto a file binate, può costituire un valido strumento per la qualificazione della filiera del carciofo da industria, e per una migliore predisposizione della coltura alla meccanizzazione delle operazioni colturali. Ricerca finanziata dall’Assessorato Regionale alle Risorse Agricole e Alimentari nell’ambito del progetto MOTICI Bibliografia Mauromicale G., 1988. Il carciofo: alcune proposte innovative per una coltura tradizionale. Giornale di Agricoltura, 97: 42 - 47. 20


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Produttività Di Canna Comune (Arundo donax L.) e Miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter), Colture Poliennali Dedicate Ad Uso Energetico: Parte I – Analisi Di Crescita Nicoletta Nassi, Neri Roncucci, Federico Triana, Enrico Bonari Land Lab, Scuola Superiore S. Anna, IT, n.nassiodinasso@sssup.it, n.roncucci@sssup.it, f.triana@sssup.it bonari@sssup.it

Introduzione Le elevate capacità produttive che contraddistinguono la canna comune (Arundo donax L.) e il miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter) rendono queste specie tra le più promettenti colture dedicate ad uso energetico in ambiente mediterraneo (Lewandowski et al., 2003; Angelini et al., 2009). Molteplici sono i lavori che analizzano la produzione di queste colture in relazione alla diversa tecnica colturale (Angelini et al. 2009; Christian et al. 2008; Cosentino et al. 2007). Di contro, poco è noto sulle loro dinamiche di accumulo della biomassa durante la stagione di crescita. A tal proposito, con lo scopo di accrescere le conoscenze su questa problematica è stata condotta, su colture di canna comune e miscanto in piena produzione, un’analisi di crescita con il fine di comprendere le eventuali limitazioni di carattere ambientale e/o di tecnica colturale che possono influire sul loro sviluppo. Metodologia La sperimentazione si è svolta presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi” in località San Piero a Grado (PI). Si è operato su terreno franco, sufficientemente rappresentativo dell’area litoranea della pianura pisana, caratterizzato da una buona dotazione in macroelementi e da una falda freatica piuttosto superficiale. La sperimentazione in oggetto ha avuto inizio nel 2002 con lo scopo di confrontare la canna comune e il miscanto. Pertanto, seguendo uno schema sperimentale a blocco randomizzato sono state realizzate tre parcelle per ciascuna specie con una superficie pari a 50 m2 cadauna. La preparazione del terreno ha previsto un’aratura a media profondità e due passaggi con erpice a dischi appena prima del trapianto. Gli impianti sono stati realizzati, per entrambe le specie, utilizzando porzioni di rizoma caratterizzati dalla presenza di almeno due gemme e aventi un peso di circa 500 g ciascuno (sesto d’impianto 0.5 x 1.0 m). A seguito del trapianto è stato effettuato un unico intervento irriguo al fine di favorire l’attecchimento dei rizomi. La concimazione ha previsto ogni anno la somministrazione di 100 kg ha-1 di N, P2O5 e K2O. Durante la stagione 2009 (settimo anno di impianto), le due colture sono state confrontate mediante lo studio dell’analisi di crescita che ha previsto la realizzazione di una serie di prelievi della biomassa effettuati ad intervalli di circa tre settimane l’uno dall’altro. Su ciascun campione è stato quindi misurato il peso della sostanza fresca e secca dei culmi e delle foglie, l’altezza delle piante, il loro diametro basale, il numero di culmi per unità di superficie. L’andamento dell’accumulo di biomassa delle due colture è stato quindi modellizzato attraverso l’impiego di una curva sigmoidale. L’individuazione delle curve è stata possibile con l’impiego del software R versione 2.10.1 del 2009 della Free Software Foundation’s GNU General Public License. Sulla base di questi risultati sono poi stati calcolati alcuni tra i principali indici di crescita come AGR, CGR e LAI. Risultati L’attività sperimentale ha confermato le elevate rese in sostanza secca di canna comune e miscanto, rispettivamente pari a circa 30 t ha-1 e 40 t ha-1 al termine della stagione di crescita; in tal senso si è assistito ad una più elevata resa del miscanto, contrariamente a quanto osservato da Angelini et al. (2009) nel medesimo ambiente di coltivazione. Tale risposta produttiva può essere messa in relazione con la costante presenza di acqua nel sottosuolo, la quale potrebbe aver permesso al miscanto (specie C4) di sfruttare appieno le potenzialità del proprio metabolismo, in particolar modo nel periodo di 21


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

crescita con elevata radiazione disponibile e alte temperature (fine giugno) (fig. 1). Figura 1. Andamento della produzione di sostanza secca per unità di superficie e del CGR (destra) e della produzione di sostanza secca per culmo e dell’AGR (sinistra) in canna comune e miscanto durante la stagione di crescita 2009. I simboli □ e ○ indicano i valori misurati; *, **, *** indicano rispettivamente differenze statisticamente significative per P ≤ 0.05, 0.01, 0.001.

45 40 35

***

3000 2500 2000

30 25 20

1500 1000 500 0

15 10 5 0 90

120

150

180 210 240 Giorni Giuliani

270

300

S.S. Miscanto AGR Miscanto

60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0

600

*

400 300 200 100

90

330

500 AGR (mg d -1)

4500 4000 3500

S.S. Canna comune AGR Canna comune Resa in sostanza secca (g culmo-1)

-2

S.S. Miscanto CGR Miscanto

CGR (g m-2 d -1)

Resa in sostanza secca (g m )

S.S. Canna comune CGR Canna comune

120

150

180

210

240

270

300

0 330

Giorni Giuliani

Tabella 1. Andamento delle principali caratteristiche biometriche in canna comune e miscanto durante la stagione di crescita 2009. Lettere diverse indicano valori significativamente diversi per P ≤ 0.05 (test LSD).

Diametro Altezza N° culmi m-2

Canna c. Miscanto Canna c. Miscanto Canna c. Miscanto

12/V 11.6 a 8.1 b 92 a 56 b 50 b 98 a

26/V 11 a 10 b 131 122 40 b 95 a

23/VI 11.8 a 9b 217 231 64 76

17/VII 11 a 9.7 b 236 b 273 a 78 b 92 a

06/VIII 11.5 a 9.1 b 276 279 61 b 99 a

28/VIII 11.3 a 10 b 276 292 64 b 96 a

28/IX 11.3 a 9.5 b 292 b 338 a 67 79

19/X 12.2 a 9.8 b 313 b 386 a 76 75

18/XI 10.5 a 9.5 b 286 b 334 a 80 90

Conclusioni Questo studio ha confermato l’elevata potenzialità del miscanto e della canna comune per la realizzazione di sistemi colturali a destinazione energetica in ambiente mediterraneo. Ulteriori indagini rimangono comunque necessari per valutare le performance produttive ed ecologiche in aree marginali, in particolare in quelle in cui la disponibilità idrica può rappresentare un fattore limitante.

Leaf Area Index

Inoltre lo studio delle caratteristiche biometriche ha messo in evidenza come le due specie siano state caratterizzate da differenti strategie di accumulo della biomassa: il miscanto ha infatti raggiunto produzioni più elevate in virtù di un maggior numero di culmi per unità di superficie, di una maggiore altezza e, conseguentemente, di Canna comune Miscanto una maggiore copertura del suolo (> LAI) (fig. 2). Contrariamente, 6 la canna comune ha fatto registrare diametri basali dei culmi 5 4 superiori ed un maggiore accumulo della biomassa per culmo. 3 2 1 0 80

130

180

230

280

330

Giorni Giuliani

Figura 2. Andamento del LAI in canna comune e miscanto nella stagione di crescita 2009.

Bibliografia Angelini L.G. et al. 2009. Comparison of Arundo donax L. and Miscanthus x giganteus in a long-term field experiment in Central Italy: Analysis of productive characteristics and energy balance. Biom. & Bioen, 33:635-643. Lewandowski I. et al. 2003. The development and current status of perennial rhizomatous grasses as energy crops in the US and Europe. Biom. & Bioen, 25:335–361. Christian D.G. et al. 2008. Growth, yield and mineral content of Miscanthus x giganteus grown as a biofuel 14 successive harvests. Ind. Crops Prod., 28:320-327. Cosentino S.L. et al. 2007. Effects of soil water content and nitrogen supply on the productivity of Miscanthus x giganteus Greef et Deu. In a Mediterranean environment. Ind. Crops Prod., 25:75-88. 22


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Produttività Di Canna Comune (Arundo donax L.) e Miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter), Colture Poliennali Dedicate Ad Uso Energetico: Parte II – Macronutrienti e Qualità Della Biomassa Nicoletta Nassi, Neri Roncucci, Federico Triana, Enrico Bonari Land Lab, Scuola Superiore S. Anna, IT, n.nassiodinasso@sssup.it, n.roncucci@sssup.it, f.triana@sssup.it, bonari@sssup.it

Introduzione È ormai comprovata, in ambiente mediterraneo, l’attitudine di specie quali la canna comune (Arundo donax L.) e il miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter) per la produzione di energia (Lewandowski et al. 2003; Angelini et al. 2009), prevalentemente attraverso processi di combustione ma anche attraverso trasformazioni biologiche come nel caso della produzione di bioetanolo di seconda generazione. Tuttavia, scarse sono le conoscenze in merito alle esigenze nutrizionali di queste specie, in particolar modo alle dinamiche di concentrazione e di asportazione degli elementi nutritivi durante la stagione di crescita e alla composizione della biomassa stessa. A tal proposito, abbiamo indagato, oltre agli aspetti nutritivi, il contenuto di emicellulosa, cellulosa e lignina, così da ampliare le conoscenze in merito sia alla gestione colturale che agli aspetti qualitativi della biomassa di queste colture.

-1

Asportazioni azoto (Kg ha )

Miscanto [ ] Canna [ ]4Misc 160 Canna comune Metodologia 140 3,5 Durante la stagione di crescita 2009 (settimo 120 3 anno di impianto) sulle due colture sono 100 2,5 stati condotti rilievi cadenzati sulla parte 80 2 aerea delle piante, volti a valutare * 60 1,5 l’andamento del contenuto dei principali 40 1 macronutrienti: l’azoto è stato determinato ** * 20 0,5 con il metodo Kjieldal, il fosforo con * * 0 0 metodo Olsen ed il potassio attraverso 100 150 200 250 300 digestione del materiale vegetale e lettura Giorni Giuliani con assorbimento atomico. Le asportazioni Figura 1. Dinamica delle asportazioni e delle in macronutrienti della porzione aerea delle concentrazioni di azoto nella biomassa aerea di canna specie sono state calcolate come prodotto comune e miscanto nella stagione di crescita 2009. *, **, della concentrazione dell’elemento per la *** indicano rispettivamente differenze statisticamente resa in sostanza secca. Inoltre, per gli stessi significative per P ≤ 0.05, 0.01, 0.001 momenti della stagione di crescita, è stato determinato anche l’andamento del contenuto in cellulosa emicellulosa e lignina, secondo il metodo proposto da Van Soest et al., 1991. Al fine di valutare le differenze tra specie è stata eseguita l’analisi della varianza (ANOVA). Quando i dati non presentavano una distribuzione normale sono stati opportunamente trasformati attraverso la funzione arcoseno e la significatività statistica delle differenze tra le medie è stata analizzata con il test della differenza minima significativa (LSD) per P ≤ 0,05. N (%)

Risultati Questo studio ha messo in evidenza come le concentrazioni di azoto, fosforo e potassio abbiano, nella porzione epigeica di canna comune e miscanto, andamenti simili, diminuendo da maggio a novembre. In tali specie, è risultata simile anche la dinamica delle asportazioni totali della parte aerea delle colture, che ha mostrato i valori più elevati attorno a fine luglio - inizio agosto (130, 40 e 350 kg ha-1 per N, P e K per canna comune e miscanto). Con il proseguire della stagione di crescita si è assistito, invece, ad una progressiva diminuzione delle asportazioni, probabilmente imputabile all’istaurarsi di fenomeni di traslocazione dei nutrienti dalla porzione epigeica verso l’apparato rizomatoso delle piante (fig. 1-2). 23


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40

*

*

400

8

350

7

300

6

250

5

0,2

10

0,1

0 150

200 250 Giorni Giuliani

Miscanto

9 [ ] Misc

[ ] Canna

200

4

150

3 **

100

**

**

2

**

**

50

**

0

0 100

Canna comune

**

1 0

100

300

K (%)

0,3 ***

20

450

0,5 0,4

**

30

[ ] Misc -1

* **

[ ] Canna

Asportazioni potassio (Kg ha )

-1

Miscanto

P (%)

Asportazioni fosforo (Kg ha )

Canna comune 50

150

200

250

300

Giorni Giuliani

Figura 2. Dinamica delle asportazioni e delle concentrazioni di fosforo (sinistra) e potassio (destra) della porzione epigeica di canna comune e miscanto nella stagione di crescita 2009. *, **, *** indicano rispettivamente differenze statisticamente significative per P ≤ 0.05, 0.01, 0.001

L’analisi del contenuto di emicellulosa, cellulosa e lignina della biomassa ha mostrato come le due specie contengano, siano mediamente caratterizzate dal 25% di emicellulosa ed il 38% di cellulosa, componenti cosiddette “nobili” in quanto direttamente utilizzabili per la produzione di bioetanolo e un 8% di lignina (tab. 1). Tabella 1. Ripartizione (%) delle frazioni di cellulosa, emicellulosa e lignina in canna comune e miscanto nella stagione di crescita 2009. Lettere diverse indicano valori significativamente diversi per P ≤ 0.05 (test LSD).

Cellulosa Emicellulosa Lignina

Canna c. Miscanto Canna c. Miscanto Canna c. Miscanto

17/VII 42.0 37.8 25.3 27.0 7.5 7.7

06/VIII 40.4 40.5 26.4 23.0 7.4 9.7

28/VIII 40.6 39.7 23.4 24.0 9.1 8.9

28/IX 37.0 32.6 24.6 26.8 7.7 6.6

19/X 35.6 34.9 26.5 27.5 6.4 7.6

18/XI 37.8 40.6 23.0 23.1 8.6 9.9

Conclusioni I risultati ottenuti in questo studio preliminare hanno permesso di constatare come, in entrambe le specie, le asportazioni aeree dei principali macronutrienti siano relativamente contenute; inoltre la dinamica di queste ha mostrato l’importanza dell’apparato rizomatoso nell’operare un efficace turnover dei nutrienti. Infine l’elevato contenuto in emicellulosa e cellulosa ha messo in evidenza un’ottima attitudine di entrambe le specie alla trasformazione in bioetanolo di seconda generazione, con valori non significativamente diversi tra le colture e tendenzialmente costanti durante la stagione di crescita. Alla luce dei risultati ottenuti, in ambiente mediterraneo, sembra quindi ipotizzabile far coincidere un elevato livello produttivo ed un buon contenuto in emicellulosa e cellulosa con limitate asportazioni di macronutrienti realizzando la raccolta di entrambe le colture tra inizio ottobre e fine novembre in funzione dell’andamento climatico. Bibliografia Angelini L.G. et al. 2009. Comparison of Arundo donax L. and Miscanthus x giganteus in a long-term field experiment in Central Italy: Analysis of productive characteristics and energy balance. Biom. & Bioen., 33:635-643. Lewandowski I. et al. 2003. The development and current status of perennial rhizomatous grasses as energy crops in the US and Europe. Biom. & Bioen., 25:335–361. Van Soest P. J. et al. 1991. Methods for dietary fiber, neutral detergent fiber, and nonstarch polysaccharides in relation to animal nutrition. J. Dairy Sci., 74: 3583-3597.

24


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Potenzialità Foraggera di una Selezione di Carthamus tinctorius L. var. inermis Sottoposta a Diversi Livelli di Concimazione Azotata in Copertura Riccardo Primi1, Pier Paolo Danieli1, Bruno Ronchi1 , Roberto Ruggeri2, Francesco Rossini2, Salvatore Del Puglia2, Carlo F. Cereti2 1

2

Dip. di Produzioni Animali, Univ. degli Studi della Tuscia, IT, Dip. Di Produzione Vegetali, Univ. degli Studi della Tuscia, IT, r.ruggeri@unitus.it

Introduzione Le utilizzazioni del cartamo (Carthamus tinctorius L.) sono molteplici: il suo achenio può essere utilizzato per l’estrazione dell’olio o come becchime per gli uccelli; le corolle sono utilizzate per l’estrazione di coloranti alimentari e industriali o per la produzione di principi attivi da utilizzare in medicina (Smith, 1996). La pianta intera, falciata alla comparsa dei bottoni fiorali, si può utilizzare per il foraggiamento verde degli animali o per la produzione di insilati (Landau et al., 2004). Le ottime produzioni ottenibili con quest’ultima utilizzazione, unite alla sua adattabilità ai climi aridi, rendono il cartamo un’interessante alternativa alle classiche colture da foraggio negli avvicendamenti colturali in regime idrico naturale dell’areale Mediterraneo (Weinberg et al., 2002; Bar-Tal et al., 2008; Ghamarnia e Sepehri, 2010). Questo studio mira a valutare la quantità e la qualità della produzione foraggera di una selezione inerme di cartamo sottoposta a quattro livelli di concimazione azotata in copertura. Metodologia La sperimentazione è stata condotta a Viterbo (42° 26’ N, 12° 04’ E, altitudine 310 m s.l.m.), dove una selezione di cartamo inerme è stata coltivata su un suolo argilloso, in parcelle sottoposte a differenti livelli di concimazione azotata: N0 = 0 kg ha-1 (fertilità residua del terreno), N1 = 35 kg ha-1, N2 = 70 kg ha-1, N3 = 105 kg ha-1. Per ognuna della prove parcellari effettuate in triplice replica, sono stati rilevati i dati biometrici e produttivi. Alla comparsa dei bottoni fiorali, le piante sono state falciate per valutarne la produzione di biomassa tal quale e di sostanza secca ai fini dell’utilizzazione foraggera. È stato eseguito il campionamento (6 kg) sul materiale fresco e sul materiale pre-appassito in campo (umidità residua compresa tra il 35% e il 45%) da utilizzare per prove d’insilamento. Dopo la misurazione del pH, il materiale da insilare è stato trinciato (2-3 cm) e confezionato, in doppio, utilizzando buste sottovuoto (2 kg). Sono state allestite due serie di insilamento: una con materiale tal quale e l’altra con inoculo di Lactobacillus buchneri. Completato il processo di insilamento (45 giorni), i campioni sono stati essiccati, macinati (1 mm) e sottoposti ad analisi. Tanto sul materiale verde, quanto sull’insilato (con e senza inoculo), è stato determinato il contenuto in proteine grezze (PG), l’estratto etereo (EE), la fibra grezza (FG) e le ceneri (Cen) secondo le metodiche ufficiali AOAC (AOAC, 2006). Tutti i dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA); le medie sono state sottoposte al test di Fisher (LSD) usando il software Statistica 7 (StatSoft Inc., USA). La differenza fra i gruppi è stata dichiarata statisticamente significativa per p<0,05. Risultati Al momento del taglio le piante avevano un contenuto medio in sostanza secca del 16% circa. I valori più elevati di pH (P <0,001) sono stati riscontrati per il trattamento N2 (6,0 ± 0,1) mentre quelli più bassi (P <0,001) sono stati registrati per i campioni corrispondenti il livello di fertilizzazione N0 (5,8 ± 0.1). La produzione di biomassa ha mostrato una chiara relazione con la concimazione azotata (da N0 = 1,80 ± 0,30 t ha-1s.s. a N3 = 2,71 ± 0,20 t ha-1s.s., P <0,001) (Tab. 1). Sotto il profilo chimico, il contenuto in EE (1,36 ± 0,23% s.s.), FG (41,70 ± 3,65% s.s.) e Cen (12,74 ± 0,74% s.s.) non sono risultati significativamente influenzati dalla fertilizzazione azotata che, invece, ha influenzato in modo significativo il contenuto di PG della pianta intera (Fig. 1), con i valori più elevati (6,13 ± 0,68% s.s, P <0,001) osservati per il livello di fertilizzazione N3. Per quanto riguarda l'accumulo di PG nella 25


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biomassa epigea, nel complesso è stata riscontrata una relazione dose-effetto (da N0 = 80,2 ± 10,4 kg has.s. a N3 = 165,3 ± 10,2 kg ha-1 s.s.), sebbene per i livelli intermedi di fertilizzazione (35 e 70 kg ha-1), non sia stato possibile evidenziare differenze significative. 1

Tabella 1. Valori di produzione e composizione chimica centesimale per i diversi livelli di fertilizzazione azotata. Dati espressi come media±DS. A,B P<0,001; a,b P<0,05.

Livello azoto N0 N1

t ha-1 t.q.

t ha-1 s.s.

Bc

9,83±2,04

EE (% s.s.)

FG (% s.s.)

Cen (% s.s.)

Bc

1,32±0,15

43,78±4,74

13,20±0,55

ab

1,38±0,30

42,07±3,49

12,69±0,43

bc

1,80±0,30

b

13,90±3,34

2,31±0,47

b

N2

14,59±3,24

2,07±0,52

1,32±0,22

39,81±3,04

12,68±1,12

N3

18,12±2,40Aa

2,71±0,20Aa

1,42±0,29

41,16±2,70

12,41±0,32

b

b

Aa

Bc

Livello di fertilizzazione Figura 1. Variazione del contenuto in PG del cartamo alla raccolta in funzione del livello di concimazione azotata. a,b,c P<0,05; A,B P<0,001.

Conclusioni I risultati preliminari acquisiti, indicano che la selezione inerme di cartamo utilizzata presenta un buon valore nutrizionale, incrementabile mediante fertilizzazione azotata, che può essere ulteriormente valorizzato con l’insilamento, tecnica di conservazione che ben si adatta a specie con un buon contenuto in carboidrati solubili. Ulteriori studi sono in corso per valutare appieno le potenzialità di questa specie per utilizzarla come foraggera nell’areale Mediterraneo. Bibliografia AOAC, 2006. Official Methods of Analysis, Association of Official Analytical Chemists. 18th Ed. Gaithersburg, USA: AOAC Press. Bar-Tal A. et al. 2008. Fodder Quality of Safflower across an Irrigation Gradient and with Varied Nitrogen Rates. Agron. J., 100: 1499-1505. Ghamarnia H., Sepehri S. 2010. Different irrigation regimes affect water use, yield and other yield components of safflower (Carthamus tinctorius L.) crop in a semi-arid region of Iran. Journal of Food, Agriculture and Environment 8 (2): 590-593. Landau, S. et al. 2004. The value of safflower (Carthamus tinctorius) hay and silage grown under Mediterranean conditions as forage for dairy cattle. Livest. Prod. Sci., 88:263–271. Smith J.R. 1996. Safflower. AOCS Press, Champaign, IL, USA. Weinberg Z.G. et al. 2002. A note on ensiling safflower forage. Grass and Forage Science, 57:184-187.

26


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MiniCSS: Software per l’Ottimizzazione delle Strategie di Irrigazione e di Concimazione Azotata delle Colture Alvaro Rocca, Francesco Danuso Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Udine, IT, alvaro.rocca@uniud.it

Introduzione È noto che le risorse idriche sono limitate e che i costi degli input agricoli (economici, ambientali ed energetici) sono in costante aumento. Prendere decisioni sugli interventi di irrigazione e di concimazione diventa sempre più difficile; infatti, il decisore deve esaminare contemporaneamente lo stato fenologico e nutrizionale della coltura, l’andamento meteorologico della stagione irrigua passata e futura, nonché tenere controllato del bilancio economico ed energetico dell’azienda. L’agricoltore è quindi fortemente incentivato a ottimizzare l'uso dell'acqua e dei fertilizzanti quando le risorse naturali non garantiscono la copertura dei fabbisogni della coltura. D’altra parte i tecnici del settore sono chiamati ad assistere gli agricoltori anche con la responsabilità della tutela dell’ambiente. Numerosi autori, già dagli anni 70 hanno proposto modelli di simulazione colturali per ottimizzare l’irrigazione (Bergez et al., 2002) e la fertilizzazione azotata (Makowski et al., 1999). Si tratta, in genere, di modelli complessi che, per il loro impiego, richiedono conoscenze specifiche e un lungo periodo di apprendistato. Con questo lavoro viene presentato MiniCSS, un’applicazione che ha come obiettivo l’ottimizzazione delle strategie irrigue e nutrizionali mediante simulazione, riducendo le richieste di input da parte dell’utente al minimo. MiniCSS ha come motore di calcolo CSSmini. Questo è un modello di simulazione colturale di tipo generico, con passo di simulazione giornaliero che deriva da CSS (Cropping System Simulator – Danuso et al., 1999) e che è stato mantenuto volutamente semplice al fine di facilitarne l’applicazione pratica a scopi strategici e didattici. MiniCss permette di ottenere – in relazione alla variabilità climatica e per ogni combinazione coltura-terreno - curve di probabilità di superamento per rese produttive, fabbisogni idrici, impatto sulla falda e bilancio economico colturale. Metodologia Il modello CSSmini è sviluppato in linguaggio SEMoLa (Simple, Easy to use, MOdelling LAnguage – Danuso, 2003) ed è formato da diversi moduli: i) CSSmini, modulo principale che oltre al calcolo delle variabili comuni a tutti i moduli, contiene i parametri di gestione che prevedono l’attivazione degli eventi di semina, irrigazione e fertilizzazione automatica. ii) CSSmini_soil, descrive le caratteristiche fisiche del terreno come: umidità di capacità di campo, di punto di avvizzimento, la capacità idrica massima e la profondità utile. Inoltre il modulo simula l’aumento della profondità del terreno in funzione dell’approfondimento radicale. iii) CSSmini_water, effettua (con approccio mono-strato a cascata) la simulazione del contenuto idrico del suolo affrontando i processi di evapotraspirazione effettiva, ruscellamento, infiltrazione, percolazione e drenaggio in falda. L’irrigazione viene simulata come apporto idrico alla riserva utile del terreno per riportarne l’umidità alla capacità idrica di campo. iv) CSSmini_crop, simula lo sviluppo fenologico basato sulle somme termiche, l’accumulo di biomassa e la resa delle colture. La simulazione della crescita delle colture è basata sull’intercettazione della radiazione e sull’efficienza di conversione. Il modello considera inoltre i fattori di riduzione del tasso massimo di crescita - che agiscano direttamente sull’accumulo in presenza di condizioni avverse (stress idrico, termico e carenza di azoto). v) CSSmini_som, simula la dinamica della sostanza organica del suolo con una implementazione del modello RothC (Coleman et al. 2008). vi) il modulo CSSmini_nitrogen, simula la dinamica dell’azoto del terreno considerando le frazioni di azoto come nitrato (NO3) e ammonio (NH4+). L'ammonio viene ripartito nella frazione adsorbita sui colloidi e in quella in soluzione che subisce il processo di nitrificazione con produzione di NO3. Il nitrato viene assorbito dalle piante e può essere dilavato in falda. La concentrazione di NH4+ nel suolo può aumentare per effetto della mineralizzazione della sostanza 27


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organica o della concimazione azotata. MiniCss (vedi figura) è un’applicazione per Windows che presenta un’interfaccia grafica di facile impiego. Il motore di calcolo (CSSmini.exe) può essere aggiornato e girare anche impiegando l’ambiente SEMola. MiniCss effettua simulazioni annuali o multi-annuali, tramite la predisposizione dei file di “scenario” che contengono tutte le informazioni necessarie alle procedure di calcolo. Tali informazioni sono ottenute da file standard di parametri di colture e suoli, da file di dati meteorologici e dalle scelte effettuate a video dall’utente. È possibile aggiungere nuovi parametri per colture e terreni. Con la simulazione, MiniCSS genera un file di risultati che contiene le principali variabili simulate (resa, umidità del terreno, azoto nel terreno, bilancio economico, ecc.), riportate come valori giornalieri, medie annuali o come probabilità cumulata, sia in formato grafico che testuale. Inoltre con MiniCSS è possibile confrontare i risultati di simulazione con quelli sperimentali, consentendo così la calibrazione manuale dei parametri. Un’ulteriore possibilità è quella di effettuare esperimenti di simulazione con combinazioni fattoriali di dosi diverse di acqua e azoto in modo da ottimizzare il sistema per i risultati produttivi, economici, ambientali o loro combinazioni pesate. Risultati Con MiniCSS è possibile impostare irrigazione e fertilizzazione azotata in modo automatico, al fine di garantire il massimo tasso di crescita della coltura e ottenere produzioni più costanti, indipendentemente dall’andamento meteorologico e dal tipo di terreno. Con questo approccio è possibile ottenere indicazioni sulle principali variabili irrigue. Durata della stazione irrigua: il modello fornisce, in termini probabilistici, la frequenza con cui si verificano, entro una determinata data, l'inizio e fine della stagione irrigua. Volumi irrigui e fabbisogno nutrizionale: per ogni scenario colturale si ottengono serie simulate di interventi irrigui e di concimazione che permettono di stabilire le richieste idriche e nutrizionali durante l’intero ciclo biologico. Con serie di dati climatici pluriennali è possibile anche creare le curve dei fabbisogni irrigui e nutrizionali, per le singole colture, a diversi livelli di probabilità. Un'altra modalità di utilizzo di MiniCss è quella di impostare manualmente l’irrigazione e la concimazione in modo da verificare il comportamento delle colture con scenari colturali reali e ipotetici o, anche, con i soli apporti naturali. Conclusioni MiniCSS sembra possa rappresentare uno strumento utile sia per l’ottimizzazione delle strategie irrigue e nutrizionali delle colture che per la didattica agronomica. L’applicazione è disponibile gratuitamente presso gli autori. Bibliografia Bergez J. E. et al. 2002 Improving irrigation schedules by using a biophysical and a decisional model. European Journal of Agronomy 16 123–135. Coleman, K. e Jenkinson, D.S., 2008. RothC-26.3 A model for the turnover of carbon in soil – Model description and windows users guide. Rothamsted Research Harpenden, Herts AL5 2JQ. Danuso F. et al. 1999. CSS: a modular software for cropping system simulation. Proc. Int. Symposium "Modelling cropping systems", ESA, Lleida, 21-23 June, 1999, Catalonia, Spain, 287-288. Danuso F., 2003. SEMoLa: uno strumento per la modellazione degli agro ecosistemi. Convegno SIA, Napoli. Makowski D. et al. 2001. Statistical methods for predicting responses to applied nitrogen and for calculating optimal nitrogen rates. Agronomy Journal 93, 531–539.

Ringraziamenti Il lavoro è stato realizzato grazie al supporto finanziario della Regione Friuli Venezia Giulia, progetto “Filiere agroenergetiche“ LR n. 26, 10/11/2005. 28


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Artemisia annua L.: Agrotecniche per gli Ambienti a Clima Caldo-Arido Marcello Scarcella, Francesco Grassi, Marcello Mastrorilli CRA-CAR, Lecce, marcello.mastrorilli@entecra.it

Introduzione Nella ricerca di possibili “filiere” produttive alle aziende agricole si offrono nuove prospettive colturali con le piante officinali. I derivati delle officinali sono favoriti da una crescente richiesta di farmaci “naturali”, dalla necessità di ridurre i costi dei farmaci “di sintesi” e dalle aumentate conoscenze scientifiche che riguardano gli estratti dalle piante. L’introduzione di una coltura ‘alternativa’ negli ordinamenti colturali tradizionali, necessita la messa a punto di agrotecniche che siano specifiche per l’ambiente e per il principio attivo da ricavare. Emblematico è, negli ambienti a clima semi-arido, il caso dell’Artemisia annua L. da cui si origina una filiera produttiva basata sull'estrazione di artemisinina, P.A. utilizzato per la produzione di un farmaco antimalarico. L’obiettivo della ricerca è di individuare le agrotecniche più appropriate per l'ambiente meridionale. Metodologia Le prove sono state realizzate in agro di Monteroni (Le), in due annate. Dopo la semina in contenitori di polistirolo (inizio aprile) le piantine giunte a circa 20 cm (Maggio) sono state poi trapiantate in campo nella prima decade del mese di maggio. Il dispositivo sperimentale, realizzato in 2 annate (2005 e 2006), prevedeva il confronto tra 2 genotipi migliorati (Pericle e Krono), 4 volumi irrigui (adacquate di 30 mm al trapianto e ad intervalli corrispondenti a 40, 60 e 120 mm di evapotraspirazione calcolata), 6 densità di impianto (da 2,8 a 11,1 piante*m-2) e 4 dosi di azoto (da 0 a 120 kg*ha-1). Per ogni variabile agronomica è stato adottato uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con 3 ripetizioni. Risultati Il decorso meteorologico durante le due annate di prova si è rivelato simile e non ha influenzato le variabili agronomiche in prova. Anche i genotipi hanno fornito produzioni equivalenti per quanto riguarda la biomassa (sia fresca che secca). I dati riportati rappresentano la media delle due annate e dei due genotipi (fig. 1). Le produzioni finali (fino ad un massimo di 70 e 31 t*ha-1 rispettivamente per la biomassa fresca e secca) sono state influenzate dalla densità di impianto (fino a 7,5 piante m-2) e dagli apporti di acqua irrigua (è risultato significativo l’effetto dell’irrigazione, ma non dei differenti volumi irrigui). La produzione in biomassa di artemisia non ha risposto significativamente alla concimazione azotata, probabilmente a causa del precedente colturale (tabacco). Durante il ciclo vegetativo sono stati effettuati prelievi settimanali per individuare il massimo livello di concentrazione dell’artemisinina nelle piante al fine di determinare il periodo ottimale per la raccolta (la concentraz. di P.A. aumenta dall'induzione antogena sino alla fioritura incipiente). Il ‘picco’ di P.A. tende a diminuire dall’inizio alla fine della fioritura ed è stato registrato tra la metà di agosto e la seconda decade di settembre. Le concentrazioni medie sono variate tra 0,8 e 0,9 % e sono considerate soddisfacenti per l’industria farmaceutica. Anche se non significativamente significative, le concentrazioni di artemisinina variano con l’annata, mentre alte densità ed elevate somministrazioni azotate tendono a sfavorire la formazione di principio attivo nei tessuti vegetali. Conclusioni Essendo l’artemisia una pianta molto vigorosa ed essenzialmente libera da malattie, la produttività è elevata anche con modesti input agronomici, Questo lascia pensare ad una facile introduzione nei sistemi colturali degli ambienti a clima caldo-arido. Questa caratteristica di rusticità diventa particolarmente allettante in agricoltura biologica per la quale potrebbe fornire piante officinali salubri ottenute con pratiche agronomiche meno inquinanti.

29


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Figura 1. Effetti di tre variabili agronomiche sulla produzione in sostanza secca (S.S.) epigea di Artemisia annua L.

Tabella 1. Concentrazioni di artemisinina in funzione di due variabili agronomiche

2005 -2

2006 -1

n° piante m

Kg ha di N

11.1 5.5 2.8 5.5 5.5 5.5

60 60 60 0 60 120

"Artemisinina" (c% p/p) 0.76 0.79 0.76 0.84 0.75 0.76

-2

n° piante m

Kg ha-1 di N

7.3 4.5 3.3 4.5 4.5 4.5

60 60 60 0 30 60

"Artemisinina" (c% p/p) 0.89 0.98 0.94 0.94 0.96 0.96

Bibliografia Klayman, D.L. 1985. Qinghaosu (Artemisinin): an antimalarial drug from China. Science 228:1049-1055. Simon, J.E., D. Charles, et al. l990. Artemisia annua L.: A promising aromatic and medicinal. p.522-526. Advances in New Crops. Timber Press, Portland, Oregon. 30


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Rese quanti-qualitative del Frumento duro (Triticum durum Desf.) a fertilizzanti azotati convenzionali ed innovativi Fabio Stagnari, Stefano Speca, Michele Pisante Centro di Ricerca e Formazione in Agronomia e Produzioni vegetali, Dip.di Scienze degli Alimenti, Univ. Teramo, IT; fstagnari@unite.it

Introduzione Per la filiera del frumento duro (Triticum durum Desf.) destinato alla trasformazione in semola e paste alimentari di qualità, la gestione della fertilizzazione azotata rappresenta una delle pratiche agronomiche determinanti per ottenere una maggiore resa in granella e di adeguata qualità tecnologica. La disponibilità azotata determina un incremento del contenuto proteico (Bonciarelli e Ciriciofolo, 2001; Lloveras et al., 2001) ed in particolare condizioni di elevata disponibilità, si osserva un aumento della frazione gliadinica e del contenuto in glutenine, di conseguenza un positivo aumento del rapporto gliadine/glutenine (Johansson et al., 2001). Il presente lavoro riporta risultati conseguiti in ricerche condotte in una località tipica della collina non irrigua interna dell’Italia centrale con l’obiettivo prioritario di valutare la risposta produttiva e qualitativa del frumento duro in funzione di un differente programma di fertilizzazione azotata: convenzionale e innovativo, con formulati a lento rilascio. Metodologia La ricerca è stata condotta nel 2008/2009 a Mosciano S. Angelo presso i campi sperimentali del Centro di Ricerca e Formazione in Agronomia e Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Teramo. Il terreno che ha ospitato le prove è di tipo franco-argilloso con le seguenti caratteristiche: argilla 41%, limo 25%, sabbia 34%, pH (acqua) 7,8, azoto totale 0,11%, sostanza organica 1%, P 76 ppm, K2O 567 ppm, densità apparente 1,31 kg dm-3. Il clima è stato caratterizzato da temperature minime invernali spesso inferiori a 0°C e da temperature massime di circa 33-35°C. Le piogge (680 mm) si sono concentrate in autunno e primavera. Secondo un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 4 repliche, su parcelle di dimensioni 2,25 x 6,6 m sono state poste a confronto le tesi fertilizzanti riportate in tabella 1. La tesi fertilizzante non a pronto effetto era costituita da Fosfactyl D-Coder (Timac Agro Italia S.p.A.), caratterizzato da una mobilità e solubilità crescenti per la presenza di una membrana MPPA e da Sulfammo (Timac Agro Italia S.p.A.), caratterizzato da una doppia membrana MeTA + MPPA che minimizza le perdite per dilavamento e volatilizzazione. Il letto di semina è stato preparato seguendo le più diffuse tecniche agronomiche praticate nella zona delle prove. Il frumento duro (varietà Grecale) è stato seminato il 7 dicembre 2008. La distribuzione dei fertilizzanti è stata effettuata secondo le indicazioni (formulati, dosi ed epoche) riportate in tabella 1. Tabella 1. Tesi sperimentali a confronto

Tesi a confronto Testimone non fertilizzato 18-46 + Urea 18-46 + Nitrato ammonico Fosfactyl D-coder + Sulfammo

Dose azoto (Kg ha-1) --36 + 92 36+ 92 6 + 46

Azoto nel form. comm. (%) --18 + 46 18 + 26 3 + 23

Epoca di Applicazione --Pre-semina/accest. Pre-semina/accest. Pre-semina/accest.

Le infestanti sono state controllate in post-emergenza con Hussar max (iodosulfuron-metile + mesosulfuron-metile). Durante il ciclo colturale sono state rilevate il n° di piante per metro quadrato, la 31


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lunghezza delle spighe e l’altezza delle piante. La raccolta è stata eseguita il 1° luglio 2009. Tutte le componenti la resa produttiva sono state rilevate, misurate e determinate prima della raccolta mentre, dalla produzione areica, sono stati prelevati campioni di granella per le analisi di laboratori quali: umidità, contenuto proteico, contenuto in glutine e peso ettolitrico. Tutti i dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA). Nella separazione delle medie, è stato considerato un livello di significatività pari a P<0,05.

Risultati I parametri quanti-qualitativi ottenuti alla raccolta sono riportati in tabella 2. La tesi fertilizzante non a pronto effetto ha fatto registrare alla raccolta un più elevato n° di piante per m-2 (304), una maggior lunghezza delle spighe e soprattutto una più elevata produzione areica (4,9 t ha-1). Nel caso dei parametri qualitativi, la tesi fertilizzante non a pronto effetto ha fatto registrare valori significativamente più elevati rispetto al testimone non trattato e non differenti dalle altre tesi azotate convenzionali. Tabella 2. Parametri produttivi e qualitativi del frumento duro fertilizzato con fertilizzanti azotati convenzionali e non a pronto effetto.

2

Lungh. spighe (cm)

Testimone non fertilizzato 18-46 + Urea 18-46 + Nitrato ammonico Fosfactyl D-coder + Sulfammo

205 279 299 304

7,0 7,2 7,2 7,6

MDS (p<0,05) Sign.

19,4 **

0,17 **

Tesi allo studio

-

Piantem

Granella al Peso Prot. Glut. 12% di ett. (% s.s.) (% s.s.) umidità (Kg hl-1) -1 (t ha ) 2,5 13,9 11,0 78,7 4,5 14,5 11,6 76,4 4,3 14,9 11,7 77,9 4,9 14,5 11,5 77,7 0,10 **

0,44 **

0,32 **

n.s.

In particolare la fertilizzazione a lento rilascio ha determinato valori del contenuto in proteine del 14,5% (13,9% per il testimone non fertilizzato) e del contenuto in glutine dell’11,5% (11,0% per il testimone non fertilizzato). Tali valori sono stati confermati anche dai dati di SPAD (dati non riportati) misurati durante le ultime fasi del ciclo colturale. Il contenuto di clorofilla nella foglia a bandiera (e quindi la disponibilità azotata) è risultata sempre superiore nelle parcelle trattate con i fertilizzanti a lento rilascio. Per tutti i trattamenti fertilizzanti si è evidenziato un trend decrescente nell’ultima fase del ciclo della coltura. Conclusioni I fertilizzanti azotati a lento rilascio, modulando nel tempo la disponibilità azotata verso la coltura, si rilevano interessanti per l’ottenimento di rese elevate nei cereali a ciclo autunno-vernino come il frumento duro. Anche l’effetto sui principali parametri qualitativi della granella risulta positivo. Bibliografia Bonciarelli U., Ciriciofolo E. 2001. Studio delle modifiche indotte da fattori agronomici sulla qualità del frumento duro. XXXIV Conv. SIA, Pisa, 2001. Pisa: Felici Ed. 149-150. Johansson E. et al. 2001. Effects of wheat cultivar and nitrogen application on storage protein composition and breadmaking quality. Cereal Chem., 78:19-25. Lloveras J.et al. 2001. Bread-making wheat and soil nitrate as affected by nitrogen fertilization in irrigated mediterranean conditions. Agron. J., 6:1183-1190. Wieser H., Seilmeier W. 1998. The influence of nitrogen fertilization on quantities and proportions of different protein types in wheat flour. J. Sci. Food Agric.,76:49-55.

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SESSIONE II – AGRONOMIA E AMBIENTE



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Key note

Valutazione dell’Efficacia Ambientale delle Norme di Condizionalità: Primi Risultati del Progetto EFFICOND Paolo Bazzoffi1 e C. Zaccarini Bonelli2 1

CRA. Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia Firenze, IT, 2Rete Rurale/Ismea, Roma paolo.bazzoffi@entecra.it

Introduzione Il progetto EFFICOND (EFFicacia della CONDizionalità) nasce dall’esigenza specifica della Rete Rurale Nazionale (RRN) di “monitorare e valutare” le azioni a tutela dell’ambiente demandate dalla PAC alla politica agricola nazionale. Esso si propone di fornire all’Unità Nazionale di Animazione e Coordinamento (UNAC) della RRN presso il MiPAAF (operante in sinergia con l’Agenzia le Erogazioni in Agricoltura - AGEA) strumenti idonei alla valutazione di mid-term dell'efficacia ambientale delle azioni agronomiche contenute nelle Norme di Condizionalità, miranti al conseguimento delle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA) – quale obbligo Comunitario derivante dal Regolamento CE n. 1782/03 (Annesso IV) da assolvere nel 2010. Figura 1. Localizzazione delle U.O. del progetto EFFICOND

Il progetto promuove sinergie fra competenze diverse, in quanto coinvolge 4 dipartimenti e 10 strutture fra Centri e Unità di Ricerca CRA, dislocati sull’intero Territorio Nazionale, in aree rappresentative delle diverse realtà ambientali e produttive del Paese. Ciò determina una rilevante ricaduta scientifica, sia in termini di acquisizione di nuove conoscenze sia per la comparabilità degli effetti delle Norme in ambienti diversi. Nella figura 1 viene mostrata la localizzazione delle U.O. del CRA che partecipano al progetto EFFICOND. 35


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L’obbiettivo primario di valutare l' efficacia ambientale delle Norme è focalizzato all’ottenimento di risposte quantitative e alla definizione di impegni di condizionalità sempre più mirati; cercando di proporre una semplificazione, ove possibile, delle pratiche agronomiche richieste per l’ottenimento degli obbiettivi ambientali; oppure proponendo una implementazione delle Norme con ulteriori impegni per l'ottenimento di una maggiore efficacia. I risultati fin qui raggiunti dal progetto EFFICOND vengono presentati sotto forma di risposta a precisi quesiti posti dall'allegato IV del REG. CE n. 1782/03 e successive modificazioni Obiettivo 1: proteggere il suolo dall'erosione mediante misure idonee Quesito 1.1.: In che misura la realizzazione dei solchi acquai apporta un contributo positivo alla protezione del suolo dall'erosione? Riferimento: Norma 1.1 Quesito 1.2.: In che misura il mantenimento dei terrazzamenti e dei ciglionamenti apporta un contributo positivo alla protezione del suolo dall'erosione? Riferimento: Norma 4.4 Quesito 1.3.: In che misura il divieto di effettuare livellamenti del terreno non autorizzati apporta un contributo positivo contro la perdita di suolo? Riferimento: Norma 4.4 Quesito 1.4.: In che misura la copertura minima del suolo prevista per i terreni ritirati dalla produzione apporta un contributo positivo alla protezione del suolo dall'erosione? Riferimento: Norma 4.2 Obiettivo 2: mantenere i livelli di sostanza organica del suolo mediante opportune pratiche Quesito 2.1.: In che misura la gestione delle stoppie e dei residui colturali apporta un contributo positivo al mantenimento dei livelli di sostanza organica del suolo? Riferimento: Norma 2.1 Quesito 2.2.: In che misura l'avvicendamento delle colture apporta un contributo positivo al mantenimento dei livelli di sostanza organica del suolo? Riferimento: Norma 2.2 Obiettivo 3: mantenere la struttura del suolo mediante misure adeguate Quesito 3.1.: In che misura la manutenzione della rete idraulica aziendale, rivolta alla gestione e conservazione delle scoline e dei canali collettori evita il deterioramento della struttura del suolo? Riferimento: Norma 3.1 Quesito 3.2.: In che misura le lavorazioni del terreno in condizioni di umidità appropriate (stato di “tempera”) evita il deterioramento della struttura del suolo? Riferimento: Norma 3.1 Obiettivo 4: assicurare un livello minimo di mantenimento ed evitare il deterioramento degli habitat Quesito 4.1.: In che misura il divieto di ridurre la superficie a pascolo permanente evita il deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.1 Quesito 4.2.: In che misura il divieto di conversione della superficie a pascolo ad altri usi evita il deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.1 Quesito 4.3.: In che misura il rispetto della densità di bestiame non superiore a 4 UBA/ha e non inferiore a 0,2 UBA/ha evita il deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.1 Obiettivo 4: assicurare un livello minimo di mantenimento ed evitare il deterioramento degli habitat Quesito 4.4.: In che misura la prevenzione della propagazione di vegetazione indesiderata sulle superfici agricole ritirate dalla produzione assicura un livello minimo di mantenimento ed evita il deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.2 Quesito 4.5.: In che misura la manutenzione delle piante d'olivo in buone condizioni vegetative assicura un livello minimo di mantenimento dei terreni, evita il deterioramento degli habitat e l'abbandono (compreso la diminuzione del rischio di propagazione delle infestanti e il rischio di incendi)? Riferimento: Norma 4.3 Quesito 4.6.: In che misura la manutenzione dei vigneti in buone condizioni vegetative (tramite la potatura invernale annuale e l’eliminazione dei rovi e di altra vegetazione pluriennale infestante almeno una volta ogni tre anni) assicura un livello minimo di mantenimento dei terreni, evita il deterioramento degli habitat e l'abbandono? Riferimento: Norma 4.3 Quesito 4.7.: In che misura il mantenimento degli elementi caratteristici del paesaggio (terrazzi) assicura un livello minimo di mantenimento dei terreni ed evita il deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.4

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Valutazione della Vocazione Territoriale alla Coltivazione di Piante Officinali Marco Barbaro, Alvaro Rocca, Francesco Danuso Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali, Uniersità di Udine, IT, marco.barbaro@uniud.it

Introduzione La valutazione dell’idoneità ambientale alla coltivazione di una pianta può essere basata sul concetto di “habitat”. I modelli di habitat (habitat suitability models, HSM) sfruttano conoscenze territoriali al fine di definire, per ciascuna unità di valutazione, l’idoneità alla crescita di una pianta in un determinato ambiente. I modelli di habitat possono essere impiegati per prevedere i luoghi in cui una specie può essere ritrovata allo stato spontaneo oppure per stabilire i luoghi più adatti alla sua coltivazione. L'habitat è il luogo in cui le caratteristiche ambientali permettono la vita e lo sviluppo di una determinata specie. L’identificazione dell’habitat è importante anche quando si vuole addomesticare o mettere in coltura un specie spontanea. In tal caso però, oltre alle condizioni ambientali è necessario prendere in considerazione anche le esigenze agronomiche, produttive e la collocazione logistica delle colture. I modelli di habitat per le piante possono essere realizzati impiegando informazioni a priori (già disponibili sul comportamento della specie) oppure a posteriori, ottenute da rilievi o prove sperimentali sul territorio allo studio. Di seguito viene illustrata una metodologia basata sull’utilizzo delle informazioni a priori. Metodologia La metodologia per la valutazione della vocazione colturale per piante officinali è basata sull’impiego di funzioni di valore fuzzy (Nisar et al., 2000, Sicat et al., 2005) e su tre criteri: 1) Adattamento ambientale e sostenibilità delle produzioni (d’interesse per il decisore pubblico); 2) Aspetti agronomico-logistico-produttivi (d’interesse per il coltivatore); 3) Qualità del prodotto (d’interesse per il trasformatore). Per ogni criterio vengono calcolati dei macro indicatori di idoneità, derivati da indicatori di base ottenuti dalle caratteristiche del territorio. L’indice di valutazione della vocazione colturale Iv è calcolato come media pesata dei macro indicatori, moltiplicata per un indicatore di idoneità del suolo (Iuso):

Iv=Iuso (Pn Ivn + Pr Ivr + Pq Ivq )

Figura 1. Funzione di valore per il calcolo dove: dell'indicatore Ialta (effetto dell’ Ivn indicatore di vocazione naturale; altitudine). Ivr indicatore di vocazione agronomicoproduttiva; Ivq indicatore di vocazione qualitativa. L’indice Iv e tutti gli indicatori, eccetto Iuso, assumono valori continui da zero a uno; uno indica il valore ottimale e zero il peggiore. Pn, Pr e Pv sono i pesi relativi ai tre criteri, con somma pari a 1. L’indicatore di uso del suolo Iuso si ricava dalle carte di uso del suolo. Gli indicatori Ivn, Ivr e Ivq si ottengono, ciascuno, come media degli indicatori di base Ialta (effetto dell’altitudine sull’adattamento della pianta), Ialtr (effetto dell’altitudine sulla resa), Ialtq (effetto dell’altitudine sulla qualità), Islope (influenza della pendenza), Ihs (influenza dell’insolazione) e Idieq (raggiungibilità dei siti, legata a distanza e dislivello rispetto alle strade):

Ivn=(Ialta+Ihs)/2 Ivr=(Ivn+Ialtr+Islope+Idieq)/4

Ivq=(Ivn+Ialtq)/2 37


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Gli indicatori di base si ricavano da caratte-ristiche del territorio, attra-verso l’impiego di “funzioni di valore” che restituiscono ' - Calcolo indicatore altitudine - produzione(Ialta) valori da zero a uno. Lo scopo import Alt.txt as(ArcGis) gen(Alt) type(float) di queste funzioni è quello di normalizzare le caratte' - parametri funzione di valore perlavanda ristiche del territorio rilevate e scalar Aopt1=300 ' Altitudine ottimale minima di attribuire un significato ai scalar Aopt2=800 ' Altitudine ottimale massima ' deviazione standard 1 scalar SD1=200 loro valori numerici, in ' deviazione standard 2 scalar SD2=300 relazione all’ obiettivo della valutazione. Se ne riporta un ' – generazione griglia Ialta, esportazione e mappa esempio in figura 1 per generate Ialta=mbell(Alt,Aopt1,Aopt2,SD1,SD2) export Ialta as(ArcGis) saving(Ialta.txt) l’indicatore Ialta. map Ialta vect(Strade_e_ferrovie_2000.shp,16512,1) La procedura di valutazione per la produzione di mappe di vocazione (esportabili ad altri Figura 2. Esempio di script SemGrid per il calcolo dell'indicatore Ialta ambienti GIS) è stata implementata come script di comandi (figura 2) in SemGrid (Danuso e Sandra, 2006) e può essere facilmente adattata ad altre specie officinali. Risultati e conclusioni Sulla base delle informazioni territoriali disponibili è stata messa a punto una procedura per lo studio della vocazione colturale del territorio per le piante officinali. Tale procedura ha lo scopo di generare mappe di vocazione che tengano conto di aspetti di adattamento ambientale della Figura 3. Carta della vocazione per la coltivazione della lavanda (area montana specie, produttività, qualità del della regione Friuli Venezia Giulia). prodotto e accessibilità dei siti per la coltivazione. Come esempio, si riporta una applicazione della procedura proposta alla valutazione della vocazione per la coltivazione della lavanda nel territorio montano del Friuli Venezia Giulia (figura 2). Per l’uso del suolo è stata impiegata la carta Moland (JRC, 2002), considerando ammissibili solo le celle con categorie a seminativo, prati e pascoli, incolto e vegetazione rada. A tali celle è stato assegnato il valore uno mentre le rimanenti categorie di uso del suolo hanno ricevuto il valore zero. Le mappe di vocazione possono essere calcolate secondo punti di vista diversi, come quelli del coltivatore, del trasformatore o del decisore territoriale, cambiando i valori da adottare per i pesi Pn, Pr e Pq. Tale strumento può costituire la base per interventi sul territorio a sostegno di produzioni di nicchia. La procedura di valutazione svilup-pata è facilmente applicabili ad altre situazioni modificando il relativo script e impiegando SemGrid, entrambi disponibili gratuitamente attraverso la rete. Bibliografia Danuso F. and Sandra M., 2006. SemGrid: land application of epidemiological and crop models. IX ESA Congress. Bibliotheca Fragmenta Agronomica. Vol. 11, Part II, 631-632. Nisar Ahamed T. R. et al. 2000. GIS-based fuzzy membership model for crop-land suitability. Agric. Syst., 63: 75-95. Sicat Rodrigo S. et al.. 2005. Fuzzy modeling of farmers knowledge for land suitability classif. Agric. Syst., 83: 49-75. JRC Joint Research Centre-Institute for Environment and Sustainability, 2002. Final report of "Moland project in Friuli Venezia Giulia region”. 38


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Flussi di Elementi Nutritivi in Aziende da Latte del Fondovalle Alpino Monica Bassanino1, Annalisa Curtaz1, Mauro Bassignana2, Carlo Grignani1, Dario Sacco1 1

Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Univ. Torino, IT 2 Institut Agricole Régional, Aosta, IT

Introduzione È oggi ancora diffuso sulle Alpi italiane un sistema zootecnico tradizionale che permette da un lato di gestire aree marginali, e dall’altro di valorizzare la produzione di latte sotto forma di formaggi DOP di alta qualità. In Val d’Aosta sono allevati circa 39.000 capi bovini; gli animali sono stabulati dall’autunno alla primavera in fondovalle, mentre nel periodo estivo monticano in alpeggio. Il latte prodotto (circa 48.000 t all’anno) viene perlopiù trasformato in formaggi Fontina e Toma. Questa filiera agro-alimentare costituisce più del 77% dell’economia agricola regionale. Molti Autori hanno studiato i pascoli alpini, ambienti molto sensibili al degrado (erosione del suolo, perdita di fertilità, sovrapascolamento o, viceversa, abbandono ed invasione di arbusti). Meno comune è lo studio delle problematiche agro-ambientali delle aree di fondovalle: qui il carico zootecnico può essere molto rilevante, e i reflui zootecnici aziendali sono spesso gestiti male, su piccole porzioni di terreno. Con l’obiettivo di studiare la sostenibilità ambientale della zootecnia di fondovalle, in un campione di aziende valdostane è stato calcolato un bilancio a scala aziendale per N e P, sono stati analizzati i principali problemi agro-ambientali emersi e sono stati suggeriti alcuni possibili interventi, a scala sia aziendale che sovra-aziendale. Metodologia Nel comune di Fontainemore, dove l’economia è ancora prettamente agricola, sono state selezionate 25 aziende, rappresentative del 90% dei capi e dell’80% della SAU comunali. Gli allevatori sono stati intervistati relativamente alla gestione aziendale; altri dati sono stati raccolti tramite osservazioni dirette, campionamenti di prodotti, fatture di acquisto e di vendita, consultazione di database ufficiali. Poiché lo studio fa riferimento alla gestione dell’azienda di fondovalle, il periodo estivo non è stato considerato. Tutti i dati sono stati quindi trasformati in flussi di N e P, espressi in kg per ettaro di fondovalle per anno. Le aziende sono state classificate tramite cluster analysis, sulla base di 5 fattori: superficie di fondovalle, capi allevati, durata dell’alpeggio, produzione di foraggio nel fondovalle, produzione di latte/formaggio. Sono stati quindi calcolati i bilanci apparenti a scala aziendale per N e P, sulla base della formulazione di Simon & Le Corre (1992): come dati di input sono stati considerati tutti i flussi in ingresso all’azienda (foraggi, mangimi, animali vivi, materiali di lettiera, apporti biologici), mentre i dati di output sono i flussi di prodotti ceduti (latte, formaggi, carne, reflui zootecnici). Per ciascuna azienda è stato così possibile calcolare il surplus di bilancio, nonché alcuni indicatori di efficienza. Risultati La cluster analysis ha classificato le aziende in tre gruppi (tabella 1). Secondo questa classificazione, i dati aziendali sono stati elaborati per calcolare i surplus di N e P2O5 (tabella 2). Il gruppo A identifica le aziende con molti capi, ma senza terra di fondovalle, nelle quali il carico zootecnico è fortemente sbilanciato. Poiché l’auto-approvigionamento di foraggi è minimo, nel periodo trascorso in fondovalle devono essere acquistati grandi quantitativi di alimenti zootecnici. Gli allevatori spostano perciò le mandrie in alpeggio molto presto, dove rimangono per più di 4 mesi. I pochi terreni di fondovalle ricevono grandi apporti di reflui zootecnici, nonostante più dell’80% dei reflui venga ceduto. La produzione di latte è buona, ma l’indice di conversione dell’alimento è mediocre.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1. Principali caratteristiche dei tre gruppi di aziende. SAU aziende n.

fondo valle

mandria

alpeggio ha

monticazione

ha

gg

di cui vacche

capi n. UBA/ha

produzione di latte

fieno utilizzato

letame

kg/ kg/kg aziendale ceduto distribuito no. UBA alimento /totale % % kg N/ha

A

2

2.1

94.7

128

72

22.4

36 2.151

2.0

3.9

82

B

8

12.6

31.0

76

38

2.6

26 2.011

2.7

40.8

37

215 69

C

15

3.3

11.5

80

15

4.5

8 1.207

2.8

67.8

19

128

Tabella 2. Voci di bilancio per N e P2O5 (kg/ha) nei tre gruppi di aziende. Il gruppo B identifica aziende di medie dimensioni, con buona disponibilità di superfici foraggere N P2O5 in fondovalle: il carico zootecnico A B C A B C è molto basso. Poiché c’è una input buona disponibilità di foraggi fieno 596 47 68 203 16 25 aziendali, gli allevatori ricorrono mangime 601 56 60 338 37 36 meno all’acquisto extra-aziendale, altro 110 51 54 25 3 4 e la mandria alpeggia per circa 2 output mesi e mezzo. La produzione di latte è simile al gruppo A, ma con letame 870 64 68 399 29 31 una maggiore efficienza di latte/formaggio 246 28 24 99 11 9 conversione dell’alimento. I terreni animali vivi/carne 56 10 11 47 8 9 di fondovalle ricevono poco refluo, SURPLUS 135 52 79 21 8 16 senza che i fabbisogni nutritivi delle colture siano soddisfatti. venduto/acquistato 24% 36% 24% 26% 35% 29% Ciononostante, un terzo del refluo venduto/totale input 22% 24% 18% 25% 33% 27% zootecnico viene ceduto. Il gruppo C identifica aziende di piccole dimensioni, sia per il numero di capi allevati che per la disponibilità di terreni. Il carico zootecnico è medio. C’è una certa disponibilità di foraggi, e gli acquisti non sono rilevanti. L’efficienza di conversione dell’alimento è simile al gruppo B, ma con animali poco selezionati la produzione di latte è bassa. Solo un quinto del refluo zootecnico viene ceduto. Relativamente al bilancio a scala aziendale, sia per N che per P si evidenziano i più alti valori di surplus nel gruppo A, ma anche il gruppo C, vista la scarsità di terreni, segnala surplus non indifferenti. La tipologia di azienda a maggior sostenibilità risulta il gruppo B, nel quale i surplus sono minori e gli indicatori di performance hanno i valori più alti. Una maggior attenzione alla qualità e quantità foraggera potrebbe però far migliorare i risultati aziendali.

Conclusioni Costi di produzione del latte sempre maggiori portano gli allevatori ad ottimizzare la dimensione della mandria in funzione della capacità foraggera d’alpeggio. Spesso però viene trascurata la gestione delle superfici di fondovalle, in cui la pressione zootecnica è eccessiva. A scala aziendale, la produzione foraggera potrebbe essere incrementata, limitando il ricorso agli acquisti di foraggio. A scala sovraaziendale, potrebbe venire realizzato un centro di compostaggio, dal quale redistribuire il letame su richiesta alle aziende conferenti, delocalizzandone il surplus verso aziende non zootecniche. Bibliografia Simon, J.C., Le Corre, L. 1992. Le bilan apparent de l'azote à l'échelle de l'exploitation agricole: méthodologie, exemples de résultats. Fourrages, 129:79-94.

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La Gestione della Concimazione Azotata nell’Agricoltura di Precisione. un Esempio Applicativo nel Mais Raffaele Casa, Andrea Cavalieri, Benedetto Lo Cascio Dip. Produzione Vegetale, Univ. della Tuscia, IT, rcasa@unitus.it

Introduzione Per la gestione della concimazione azotata di colture cerealicole, in un contesto di agricoltura di precisione, sono stati proposti approcci molto diversificati. Si va dall’utilizzo di strumenti detti “on-thego” che regolano istantaneamente la dose di concime da apportare tenendo conto della variabilità spaziale dello stato della coltura (Tremblay et al. 2009), a metodi che prevedono la redazione di “mappe di prescrizione” delle dosi di N. Questi ultimi si basano sull’utilizzo di funzioni di risposta della resa all’azoto o su diversi metodi di monitoraggio della coltura tra cui il telerilevamento satellitare (Blondlot et al. 2005). Esistono due principali strategie per la definizione delle mappe di prescrizione. La prima consiste nel prevedere una variabilità continua di applicazione dell’azoto e porta a definire delle mappe che riflettono pienamente la variabilità spaziale osservata nei fattori della produzione. Una seconda strategia consiste nell’individuare, nell’ambito di un appezzamento, zone relativamente omogenee, all’interno delle quali le dosi da somministrare sono costanti. Mentre il primo approccio è teoricamente più corretto, l’applicazione di tale strategia necessita di sistemi di applicazione a rateo variabile o VRA (Variable Rate Application) attualmente abbastanza costosi. La seconda strategia è quindi, in via di principio, più compatibile con l’utilizzo di attrezzature normalmente presenti nelle aziende agrarie. In questo lavoro viene esaminato un caso di utilizzo delle informazioni sulla variabilità spaziale delle proprietà del suolo e della resa della coltura, per definire la dose di concimazione azotata del mais da distribuire nel secondo intervento in copertura, mediante identificazione di zone di gestione omogenea. Si è cercato di valutare aspetti agronomici, economici ed ambientali in un confronto con la strategia di concimazione uniforme normalmente adottata dall’azienda. Metodologia La prova si è svolta nell’azienda agricola Maccarese S.p.A. (Fiumicino, Roma), in un appezzamento pianeggiante di circa 37 ettari, composto da “prese” di circa 10 ettari ciascuna di forma regolare, suddivise da scoline, coltivato a mais da granella nei 2 anni della prova. Ad aprile 2007 è stato effettuato un campionamento del suolo secondo uno schema sistematico a griglia di 40 x 40 m per complessivi 97 punti georeferenziati con GPS. Ciascun campione è stata sottoposto all’analisi granulometrica e del contenuto di sostanza organica. I dati analitici sono stati elaborati con tecniche geostatistiche per ottenere le mappe del contenuto di argilla, limo, sabbia e sostanza organica mediante kriging ordinario. Si è poi utilizzata una procedura di classificazione multivariata (Fridgen et al. 2004), per la definizione di zone di gestione omogenea in base ai dati delle proprietà del suolo e della produttività della coltura stimata in base ai dati della resa del 2007, ottenuti mediante mietrebbiatrice dotata di GPS e sistema di mappatura. Per ciascuna zona è stato calcolato un bilancio semplificato dell’azoto (Grignani et al., 2003) per definire la dose di concime da apportare nelle diverse zone, limitatamente al secondo intervento in copertura. Per confrontare i risultati della concimazione uniforme con quella a dosi variabili nello spazio, si è deciso di applicare nel 2008 le dosi prescritte dal bilancio dell’azoto per le zone di gestione omogenea solo in metà di ciascuna presa, mentre nell’altra è stata applicata una dose uniforme di 200 kg ha-1 di urea, come da pratica aziendale corrente. L’assegnazione di ciascuna strisciata (corrispondente a metà presa) alla concimazione variabile o uniforme è stata effettuata mediante randomizzazione. In tale maniera la prova è assimilabile ad uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con quattro repliche. Per valutare la convenienza economica all’adozione della concimazione azotata a dosi variabili è stato calcolato il margine lordo come: ML(€ ha-1)=Y*Pg-N*PN, dove Y è la resa (t ha-1), Pg è il prezzo della granella (€ t-1), N è la dose di azoto utilizzata (t ha-1) e PN è il prezzo dell’unità di azoto (€ t-1). Y è stato 41


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ricavato dalla mappatura della resa, mentre per gli altri termini i valori utilizzati sono stati Pg = 167 € t-1 e PN=389 € t-1 (valori medi degli anni 2005-2008). Un campionamento sistematico del suolo (su griglia regolare) è stato infine svolto a fine ciclo colturale del mais (settembre 2008) fino ad una profondità di 80 cm in 92 punti. I campioni sono stati sottoposti ad analisi del contenuto d’azoto in forma nitrica. Risultati I risultati del confronto sono stati analizzati dal punto di vista delle conseguenze agronomiche, economiche ed ambientali dell’adozione della concimazione a dosi variabili. Dal punto di vista produttivo, l’analisi della varianza dei dati della resa di ciascuna area, raccolti con mietitrebbia dotata di GPS e sistema di mappatura, non ha mostrato differenze significative tra le strisciate in cui è stata effettuata la concimazione a dosi variabili (tra 150 e 200 kg ha-1 di urea) e quelle di controllo in cui è stata effettuata la concimazione uniforme con 200 kg ha-1 di urea. L’analisi dei risultati del calcolo del margine lordo per i due trattamenti non ha rivelato differenze significative in termini statistici. Tuttavia se la concimazione a dosi variabili fosse stata adottata su tutta la superficie prevista dalla mappa di prescrizione, estendendola anche alle strisciate gestite in maniera uniforme, essa avrebbe portato ad un risparmio complessivo per la zona del campo in cui è stata effettuata la prova (9 ha) , di circa 8 € ha-1. I risultati delle analisi dell’azoto nitrico nel suolo (strato 0-80 cm) a fine ciclo, evidenziano una certa variabilità spaziale con valori compresi tra 58 e 65 kg N-NO3- ha-1. E’ noto che l’azoto in forma nitrica che rimane nel suolo a fine ciclo è un indicatore dell’efficienza ambientale della gestione agronomica, ed andrebbe minimizzato tendendo teoricamente a zero, essendo facilmente lisciviabile in assenza della coltura. Confrontando le quantità di N-NO3- presenti nelle strisciate sottoposte a concimazione variabile con quelle di controllo a concimazione uniforme, si può osservare una tendenza ad avere valori leggermente inferiori nelle aree in cui è stata effettuata la concimazione a dosi variabili. L’analisi statistica non ha tuttavia permesso di rilevare differenze statisticamente significative tra i due trattamenti. Infatti la distribuzione spaziale di N-NO3- sembra dipendere soprattutto dalla tessitura. Conclusioni Sulla base dei risultati conseguiti in questa esperienza sul mais da granella, si può rilevare che l’applicazione della concimazione a dosi variabili, definite mediante una mappa di prescrizione in base al calcolo del bilancio semplificato dell’azoto, non ha portato a differenze statisticamente significative tra le medie delle diverse strisciate, in termini produttivi, di margine lordo e di azoto nitrico contenuto nel suolo a fine ciclo colturale. L’applicazione differenziata avrebbe comunque portato ad un risparmio di 186 kg di urea sui 9 ha del campo. E’ da precisare che gli apporti di N tra le diverse zone differivano solo di ±23 kg N ha-1 e che quindi maggiori differenze sono da attendersi diversificando tutta la concimazione e non solo il secondo intervento in copertura. Il presente lavoro evidenzia l’interesse nell’utilizzo delle informazioni spazializzate sulla coltura e sul suolo per migliorare l’efficienza nella gestione agronomica e ambientale della concimazione azotata. Bibliografia Blondlot, A. et al. 2005. Providing operational nitrogen recommendations to farmers using satellite imagery. In: Stafford, J.V., (Ed.), Precision Agriculture '05. Wageningen University Publishers, 345-351. Fridgen et al. 2004. Management Zone Analyst (MZA): Software for Subfield Management Zone Delineation. Agron. J. 96:100-108. Grignani et al. 2003. Il bilancio degli elementi nutritivi per la redazione del piano di concimazione. Riv. Agron. 37:155172. Tremblay et al. 2009. A comparison of crop data measured by two commercial sensors for variable-rate nitrogen application. Precision Agriculture, 10,145-161.

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Confronto Tra la Qualità del Suolo in SRF di Pioppo e in Suoli non Coltivati Rispetto a Frumento Intensivo Claudia Di Bene1, Elisa Pellegrino1,2, Cristiano Tozzini1, Enrico Bonari1 1

Land Lab, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, IT. c.dibene@sssup.it ; epellegrino@agr.unipi.it; c.tozzini@sssup.it; bonari@sssup.it 2 Dip. di Biologia delle Piante Agrarie, Univ. Pisa, IT.

Introduzione Oggi l’agricoltura è sempre più spesso chiamata a svolgere un ruolo multifunzionale nella gestione del territorio rurale, anche attraverso una revisione accurata dei sistemi colturali tradizionali, sia come processo sia come prodotto. A tal riguardo, negli ultimi anni le colture a destinazione energetica, e in particolare la Short Rotation Forestry (SRF) di pioppo stanno riscuotendo grande interesse. Un forte cambiamento si è infatti osservato nel concetto di utilizzo di energia, e, in questo momento, alta è la richiesta di energia pulita, rinnovabile, che possa ridurre le emissioni di gas serra e in particolar modo di CO2. Tutto ciò ha una valenza non solo ambientale, ma anche politica, sociale ed economica. Nella valutazione di tali sistemi colturali, alternativi ai convenzionali, aspetti di tipo economico e gestionale sono stati affrontati in diverse ricerche nazionali e internazionali (Bonari e Piccioni, 2006). Uno degli aspetti meno studiati è senz’altro rappresentato dalla valutazione della qualità del suolo (Rooney et al., 2009) successiva alla gestione di lungo periodo a SRF rispetto a suoli non coltivati o coltivati convenzionalmente con colture annuali di pieno campo. Tale gestione può influenzare la qualità e la salute del suolo modificando diversi parametri fisici, chimici, biochimici e biologici, i cui cambiamenti possono essere considerati indicatori. La SRF è, infatti, associata a un minimo disturbo meccanico del terreno, e ciò è probabile che promuova una delle componenti fondamentali della biomassa microbica, rappresentata dai funghi micorrizici arbuscolari (MA). In risposta la coltura potrebbe beneficiarne in termini di una maggiore produzione di biomassa e una maggiore resistenza, viste le molteplici funzioni legate alla crescita, assorbimento di nutrienti, resistenza a stress biotici e abiotici (Smith e Read, 2008). La SRF richiede meno input chimici, ed in particolare N, e non richiede l’applicazione di erbicidi rispetto a sistemi colturali convenzionali. Inoltre tale gestione potrebbe aumentare in modo significativo il sequestro del C da parte del suolo, migliorandone così la qualità. Questo studio aveva perciò l’obiettivo di valutare il reale contributo in campo di SRF di pioppo a diverso turno di ceduazione sulla qualità del suolo rispetto a una rotazione biennale mais-frumento, tipica degli ambienti mediterranei. Metodologia Descrizione del sito. La ricerca è stata condotta presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agroambientali “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa, su terreno classificato come limoso, le cui caratteristiche chimiche medie erano: sostanza organica, 1.8%; N totale, 1.3‰; P assimilabile, 8.8 mg kg-1. Dispositivo sperimentale. La sperimentazione, avviata nel 1996, ha confrontato 5 trattamenti, replicati tre volte in parcelle di 500 m2: SRF di pioppo (Poplar deltoides Bartr., clone Lux; densità di impianto 10000 piante ha-1) con turno di ceduazione annuale (T1), biennale (T2), triennale (T3), suolo incolto (Inc.), con vegetazione spontanea caratterizzata principalmente da Lolium perenne, e rotazione biennale mais-frumento (MF), arato a 35 cm di profondità. Il disegno sperimentale era completamente randomizzato. Campionamenti. Dopo dieci anni dall’inizio della sperimentazione, durante il ciclo colturale del frumento, un campione di suolo per parcella è stato preso in modo random alla profondità di 10 cm per la valutazione dei parametri chimici, biochimici e biologici. Inoltre, in ciascuna parcella è stato campionato l’apparato radicale della specie infestante più rappresentativa (L. perenne) e della coltura principale (P. deltoides e T. durum). Analisi chimiche e biochimiche. I campioni di suolo sono stati analizzati per i seguenti parametri: pH, sostanza organica (SOC), N totale (N), P assimilabile (P); respirazione del suolo (RS) e biomassa microbica (BM) (Alef e Nannipieri, 1995). Al fine di valutare sinteticamente i trattamenti presi in esame, i valori dei parametri usati per confrontare la qualità del suolo sono stati espressi come variazione percentuale rispetto al valore medio del parametro in MF. 43


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Analisi biologiche legate ai funghi MA. Le radici sono state colorate usando il metodo “clearing and staining”, con acido lattico al posto del fenolo, e la percentuale di colonizzazione micorrizica è stata misurata usando il metodo ‘grid line intersect’ (Giovannetti e Mosse, 1980). Il potenziale di inoculo micorrizico del suolo è stato valutato usando il metodo del potenziale di inoculo micorrizico (MIP) su lattuga (Pellegrino et al., 2008). La variazione di tali parametri rispetto al valore medio del parametro in MF è stata calcolata come sopra. Analisi statistica. I dati sono stati comparati usando l’ANOVA a una via in SPSS 17.0. Il Tukey B test è stato usato per comparare le medie. Inoltre, un’analisi multivariata (‘Redundancy analysis’, RDA) è stata fatta in Canoco per Windows v. 4.5 per studiare l’influenza della gestione sui parametri di qualità del suolo. Il test di permutazione di Monte Carlo è stato eseguito per determinare la significatività statistica della gestione sui parametri di qualità del suolo studiati. Risultati Parametri chimici, biochimici e biologici. Alla profondità di 10 cm, pH, P, N, SOC, RS e BM sono stati influenzati in modo statisticamente significativo dalla gestione. Il pH è risultato più alto in Inc. rispetto a T3, mentre il P ha prodotto due diversi gruppi a maggiore e minore concentrazione: T3 e gli altri trattamenti. I valori registrati di N e SOC sono stati entrambi maggiori in T3 rispetto a MF. Per quanto riguarda RS e BM, MF e T3 hanno evidenziato i minori e i maggiori valori, rispettivamente. Nello specifico, l’incremento percentuale di RS nei diversi trattamenti rispetto al valore in MF è risultato variare tra il 110% e il 169% (Inc. e T3), mentre quello di BM tra 4% il 63% (Inc. e T3). In dettaglio, il valore di RS in Inc. è risultato superiore in modo statisticamente significativo rispetto a quello registrato in MF, ed inoltre entrambi i trattamenti sono risultati significativamente inferiori a quelli riportati in SRF, sia per RS (T3>T1), sia per BM (T3>T2>T1). La colonizzazione osservata in P. deltoides (SRF) è stata ≥15%, quella in L. perenne (Inc.) e T. durum (MF) sempre inferiore al 9%. La variazione percentuale della colonizzazione radicale di L. perenne, specie comune in tutti i trattamenti, rispetto ai valori osservati in MF è stata tra -37% e 102% in Inc. e T2, mentre il numero di entry points registrato per il suolo T2 è stato di circa 25 volte maggiore rispetto a quello riportato per il suolo MF. L’analisi RDA, condotta per studiare l’influenza della gestione colturale sui parametri di qualità, ha mostrato che la gestione spiegava il 62% (I e II asse) dell’intera varianza e che il suo effetto sui parametri del suolo usati come indicatori era significativo (P=0.002). Il test di permutazione ha evidenziato una differenza statisticamente significativa tra i trattamenti (P≤0.004) (SRF>Inc.>MF). Inoltre, si è osservato che la diversità rilevata tra T1, T2 e T3, è stata determinata dal fatto che T1 e T2 incrementano i parametri legati al potenziale di inoculo micorrizico, mentre T3 quelli chimicobiochimici. Conclusioni Il lavoro mette in luce l’alta potenzialità di SRF di pioppo nel migliorare la qualità del suolo rispetto a sistemi non coltivati o coltivati convenzionalmente. Inoltre, la ricerca evidenzia come il diverso turno di ceduazione del pioppo riesca a promuovere in modo differenziale sia i parametri chimico-biochimici, sia i parametri biologici, e in particolare il potenziale di inoculo micorrizico.

Bibliografia Alef K. e Nannipieri P. 1995. Methods in Applied Soil Microbiology and Biochemistry. Accademic Press, London, UK. Bonari E. e Piccioni E. 2006. SRF di pioppo nella pianura litoranea toscana. Principali risultati di alcune esperienze a lungo periodo. Sherwood, 128: 31-36. Giovannetti M. e Mosse B. 1980. An evaluation of techniques for measuring vesicular-arbuscular mycorrhizal infection in roots. New Phytol., 84: 489-500. Pellegrino E. et al. 2008. Field functional diversity of arbuscular mycorrhizal fungi in a crop rotation of Trifolium alexandrinum and Zea mays. Ital. J. Agron., 3: 233-234. Rooney DC. et al. 2009. Mycorrhizas and biomass crops: opportunities for future sustainable development. Trends Plant Sci, 14: 542-549. Smith SE. e Read DJ. 2008. Mycorrhizal Symbiosis. Academic Press, Cambridge, UK.

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Effetto dell’Incendio simulato sulla Interruzione della Dormienza del Seme di Leguminose Annuali Fabio Gresta, Vincenzo Barrile, Antonia Cristaudo, Rosalena Tuttobene, Angelo Litrico, Valerio Abbate Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Univ. Catania, IT, fgresta@unict.it

Introduzione Il fuoco ha una grande influenza sulla dinamica delle comunità vegetali di tutto il mondo e in particolare negli ecosistemi di tipo Mediterraneo (Trabaud 1983; Mazzoleni e Pizzolongo 1990). Attualmente gli incendi costituiscono un’autentica calamità, in quanto colpiscono non solo ambienti naturali, ma spesso anche aree coltivate. Mentre le conseguenze del fuoco sono chiaramente visibili sulla vegetazione, meno conosciuti sono gli effetti sulla banca semi, che costituisce la nuova flora potenziale atta a colonizzare le aree percorse da incendio. A questo riguardo, molti studi hanno confermato la perdita della dormienza dei semi di leguminose dopo l’impatto del fuoco sulla vegetazione (Mbalo et al., 1997). Scopo del presente lavoro è stato di valutare l’effetto dell’incendio simulato sulla interruzione della dormienza di semi duri di leguminose annuali nel suolo. Materiali e Metodi Nell’agosto del 2007, in parcelle sperimentali di 4 m2 (2 × 2m), sono stati posti in un terreno tendenzialmente argilloso semi maturi di Medicago ciliaris, Medicago rugosa e Scorpiurus muricatus ssp. subvillosus in bustine di rete metallica chiuse. I semi sono stati posti a profondità di 0, 2 e 5 cm circa, al fine di simulare la naturale stratificazione dei semi nel suolo nei pascoli e nei seminativi per effetto delle lavorazioni. In due distinte parcelle è stato appiccato il fuoco controllato bruciando 2 diverse quantità di paglia di frumento in modo da riprodurre condizioni di alta e bassa intensità di fuoco. Per ogni specie e per ogni trattamento (intensità di fuoco e profondità di interramento) sono state poste nel suolo quattro buste, ognuna delle quali contente 25 semi. Le temperature sono state registrate a mezzo di sonde interrate alle diverse profondità collegate con un data logger. Subito dopo il trattamento, le buste metalliche sono state prelevate dal terreno, i semi bruciati sono stati contati ed eliminati e quelli integri sono stati posti in germinatoi a temperatura costante di 20°C per un periodo di 15 giorni. Per ciascuna specie, alla stessa temperatura, è stata valutata la germinabilità di un campione di seme non trattato costituito da 4 repliche di 25 semi. Risultati L’incendio simulato ha determinato un innalzamento delle temperature nel suolo variabile in relazione alle diverse intensità di fuoco e alle diverse profondità di interramento dei semi: alla bassa e all’alta intensità sono stati registrati rispettivamente picchi di: 95.3 e 91.3 °C in superficie, 60.0 e 31.6 °C a -2 cm nel suolo e 36.6 e 30.4 °C a -5 cm (Fig. 1). La bassa germinabilità dei semi non trattati (controllo) delle tre specie analizzate ha mostrato la presenza di un’elevata dormienza tegumentale, particolarmente rilevante in Scorpiurus (tab. 1). L’effetto del fuoco è risultato significativo sulla interruzione della dormienza dei semi. sia in M. rugosa che in M. ciliaris Le condizioni di fuoco ad alta intensità hanno danneggiato i semi posti sulla superficie del suolo, e incrementato la germinabilità di quelli stratificati a -2 e -5 cm mentre le condizioni di fuoco a bassa intensità hanno determinato una interruzione della dormienza dei semi posti ai tre livelli di stratificazione. I semi di Scorpiurus hanno mostrato scarsa percentuale di germinazione a tutti i trattamenti; valori più elevati di germinabilità sono stati registrati solo con semi posti in profondità ed esposti ad alta intensità di fuoco.

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Alta intensità

5 cm 2 cm 0 cm

Bassa intensità

5 cm 2 cm 0 cm

Temperatura (°C)

80 70 60 50 40 30 20 0

20

40

60

80

100

120

140

0

20

40

60

80

100

120

140

Tempo (minuti primi)

Figura 1. Andamento della temperatura durante la prova di incendio simulato Tabella 1. Percentuale di germinabilità dei semi non sottoposti al trattamento del fuoco

Test. Test. scarif.

M. rugosa % 25 100

M. ciliaris % 38 100

S. muricatus % 0 100

Tabella 2. Percentuale di germinabilità dei semi sottoposti al trattamento del fuoco

Trattamento Alta intensità Bassa intensità

Profondità 0 cm 2 cm 5 cm 0 cm 2 cm 5 cm

M. rugosa % 0c 34 ab 37 ab 45 a 27 b 33 ab

M. ciliaris % 0b 50 a 51 a 44 a 44 a 45 a

S. muricatus % 0b 2 ab 5a 1b 1b 1b

Conclusioni I semi distribuiti sulla superficie del suolo sono stati interamente danneggiati dalle alte temperature determinate dal passaggio del fuoco ad alta intensità e, pertanto, il loro contributo alla affermazione della nuova copertura vegetale è pari a zero (germinabilità 0%). Una bassa intensità di fuoco, quale quella che si sviluppa con la bruciatura delle stoppie, ha determinato l’interruzione della dormienza dei semi duri delle specie trattate, mentre una alta intensità di fuoco, determinata dall’incendio di una maggiore quantità di biomassa combustibile, ha determinato la mortalità dei semi posti in superficie, e una maggiore germinabilità negli strati più profondi, concordemente a quanto osservato da Auld e O'Connell (1991). La fessurazione del tegumento dei semi interrati nel suolo, indotta dal calore emanato dal fuoco, ha consentito l’imbibizione del seme e l’avvio del processo di germinazione. Bibliografia Auld T.D., O'Connell M.A. 1991. Predicting patterns of post-fire germination in 35 eastern Australian Fabaceae. Austr J Ecol, 16:53-70. Mazzoleni S. Pizzolongo P. 1990. Postfire regeneration patterns of Mediterranean shrubs in the Campania region, southern Italy. Pp. 43–51. In: J. G. Goldamer & J. Jenkins (eds), Fire in Ecosystem Dynamics. SPB Academic Publishing, The Hague, the Netherlands. Mbalo B.A., Witkowski E.T.F. 1997. Tolerance to soil temperatures experienced during and after the passage of fire in seeds of Acacia karroo, A. nilotica and Chromolaena odorata: a laboratory study. S Afr J Bot, 63:421-425. Trabaud L. 1983. Evolution apr`es incendie de la structure de quelques phytocenoses mediterraneennes du BasLanguedoc (Sud France). Ann. Sci. Forest 40: 177–195. 46


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Ecofisiologia dello Stress Salino e Produzioni Agrarie in Ambiente Mediterraneo Albino Maggio, Stefania De Pascale, Massimo Fagnano, Giancarlo Barbieri Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio Università di Napoli Federico II, Via Università, 100 – 80055- Portici, Napoli, almaggio@unina.it

Introduzione La salinità dei suoli e delle acque d'irrigazione è causa di significative riduzioni delle produzioni agrarie. A livello mondiale, oltre 80 milioni di ettari di terreni arabili sono affetti da problemi di salinità e questa superficie è destinata ad aumentare. In Europa, 26 Paesi sono affetti da problemi di salinizzazione con maggiore frequenza nelle aree Mediterranee. Nell’ultimo ventennio, grazie anche al contributo sostanziale di tecnologie avanzate nell'ambito della biologia molecolare, sono stati fatti passi importanti verso la comprensione dei meccanismi fisiologici alla base dell’adattamento agli stress ambientali, incluso quello salino (Maggio et al. 2006). Resta tuttavia da capire come i meccanismi di adattamento siano coordinati ed integrati tra loro e qual è la “priorità fisiologica” delle colture in risposta a fattori di stress che spesso coesistono e si sovrappongono in natura. Un aspetto spesso trascurato è la contestualizzazione dei problemi di salinità nelle varie realtà produttive. Quando la salinità si associa a problemi da sodicità, in genere si assiste ad un deterioramento della struttura del suolo con conseguenti problemi di scarsa infiltrazione ed asfissia radicale che si sommano o possono surclassare la tossicità da Na+ e Cl-. D’altra parte in alcuni areali, quali quelli di produzione del pomodoro di Pachino, la salinità dell'acqua di irrigazione è fattore determinante per la tipicità dei prodotti, che in risposta allo stress risultano particolarmente arricchiti sotto l'aspetto organolettico e nutrizionale. Un altro specifico contesto colturale e' il fuori suolo. In colture fuori suolo ed ambiente controllato e' possibile modulare i parametri ambientali e le condizioni nutrizionali in modo da modificare sostanzialmente la risposta fisiologica a condizioni di stress salino. Questi ed altri esempi di seguito illustrati dimostrano la necessità di definire gli effetti della salinità negli specifici contesti colturali e di reinterpretare, in questi, le informazioni provenienti da studi di laboratorio e su sistemi modello. Salinizzazione di breve e lungo periodo Un aspetto di rilievo è il livello di salinizzazione dei suoli. Il dipartimento di Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio dell'Università' di Napoli Federico II sta conducendo da oltre un ventennio esperimenti sugli effetti di lungo termine dell’uso di acqua salina sulle colture e le proprietà chimicofisiche dei suoli (De Pascale et al. 2003a, De Pascale et al. 2003b). L’irrigazione con acqua salina prolungata nel tempo può comportare un forte deterioramento delle proprietà chimico-fische del suolo con un incremento del pH e una riduzione della P2O5 assimilabile, del tasso d'infiltrazione e dell’indice di stabilità della struttura, i cui effetti sulle colture si sommano a quelli di tossicità da Na+ e Cl-. Tuttavia in questi stessi suoli spesso coesistono modifiche permanenti e temporanee legate all'irrigazione estiva o alla salinità residua su colture invernali non irrigate (De Pascale et al. 2005). In questo caso il livello di stress salino cui le piante sono esposte in assenza di irrigazione dipenderà dalla frequenza e dal volume delle precipitazioni e loro capacità di dilavare la salinità residua. Un altro elemento tipico degli ambienti mediterranei, che aggiunge ulteriori cause di variabilità, è la sovrapposizione di stress salino e idrico. L'analisi fisiologica dei costi-benefici dell’irrigazione con acqua salina vs. deficit idrico, a livelli comparabili di potenziale idrico del suolo, può fornire elementi utili per definire i limiti agronomici di intervento con acqua salina ed evidenziare risposte morfologiche/metaboliche di adattamento simili o divergenti rispetto alle due tipologie di stress (Maggio et al. 2005). Morfologie funzionali all’adattamento Un esempio di adattamento all’ambiente salino non molto studiato dal punto di vista funzionale è la modifica del rapporto foglie-radici. Ad oggi, non è chiaro quale morfologia/architettura radicale possa 47


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essere vantaggiosa in presenza di stress salino e se un apparato radicale particolarmente sviluppato possa apportare gli stessi vantaggi in presenza di carenza idrica o stress salino (Maggio et al. 2007). Tuttavia, anche in questo caso la funzione di una specifica morfologia/architettura radicale va riferita a specifiche tipologie di coltivazione che, negli ambienti mediterranei, possono spaziare da quella piu' o meno intensiva di pieno campo alle colture protette con diversi livelli di tecnologia. In pieno campo, la riduzione dello sviluppo dell'apparato radicale in risposta a stress salino può essere considerata una risposta di adattamento distintiva rispetto allo stress idrico, non sufficientemente considerata nei programmi di miglioramento genetico (Maggio et al. 2006, Maggio et al. 2007). In fuori suolo invece è possibile controllare lo sviluppo degli apparati radicali e ritardare l’accumulo di ioni tossici nella parte aerea consentendo un parziale superamento di fenomeni transitori di salinizzazione (Maggio et al. 2007). Aspetti qualitativi Se da un lato la salinizzazione delle acque di irrigazione ha degli effetti negativi sulle rese, può al contrario avere delle conseguenze positive sul profilo nutrizionale di alcuni prodotti. E’ possibile, ad esempio, aumentare la concentrazione di carotenoidi e l’attività antiossidante in pomodoro con una riduzione accettabile della resa irrigando con acqua moderatamente salina [fino a 0.25% NaCl (p/v)]. Alterazioni del livello di acido ascorbico, glucosinolati ed altri metaboliti con funzione antiossidante possono essere ottenuti attraverso l'imposizione di uno stress salino modulato, con un conseguente miglioramento della shelf-life ed aumento del valore nutrizionale dei prodotti (De Pascale et al 2001). Salinità e inquinamento ambientale La coesistanza di piu' stress ambientali, biotici ed abiotici, puo' aggiungere un ulteriore livello di complessita' allo studio della fisiologia dell'adattamento. Cosi' la risposta a fenomeni di salinizzazione puo' avere effetti indiretti anche su altri fenomeni legati al deterioramento ambientale quali l'inquinamento da ozono (Maggio et al. 2009). In ambiente mediterraneo le colture sono in genere caratterizzate da una maggiore esposizione agli stress ambientali che comportano una riduzione della conduttanza stomatica media e un accumulo di molecole antiossidanti. Seppur in termini relativi, queste risposte fisiologiche contribuiscono a limitare i danni da ozono, come osservato in pomodoro ed erba medica, e devono essere considerate nello sviluppo di modelli di previsione dei danni da ozono ed altri inquinanti atmosferici. Conclusioni Gli strumenti di ricerca oggi disponibili consentono di dare risposte più puntuali a quesiti fondamentali della fisiologia delle colture agrarie e di individuare tecnologie colturali più efficienti e nuovi spunti di ricerca. Bibliografia De Pascale S. et al 2001. Irrigation with saline water improves carotenoids content and antioxidant activity of tomato. Journal of Hort. Science & Biothec., 76 (4):447-453. De Pascale S. et al. 2003a. Growth, Water Relations, and Ion Content of Field Grown Celery Under Saline Irrigation (Apium graveolens L. var. dulce [Mill.] pers.). J. Amer. Soc. Hort. Sci., 128(1): 136-143. De Pascale S. et al. 2003b. Physiological response of pepper (Capsicum annuum L.) to salinity and drought. J. Amer. Soc. Hort. Sci. 128(1): 48-54. De Pascale S. et al. 2005. Soil salinization affects growth, yield and mineral composition of cauliflower and broccoli. European Journal of Agronomy, 23 (3): 254-264. Maggio A. et al. 2005. Physiological response of field-grown cabbage to salinity and drought stress. European Journal of Agronomy, 23 (1): 57-67. Maggio A. et al. 2006. Osmogenetics: Aristotle to Arabidopsis. Plant Cell 18:1542-1557. Maggio A. et al. 2007. Salt stress response in tomato the salinity tolerance threshold. Env. Exp. Botany, 59(3): 276-282. Maggio A. et al. 2009. Responses to ozone pollution of alfalfa exposed to increasing salinity levels. Environ. Pollution, 157:1445-1452.

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Integrazione di Informazioni Meteoclimatiche e Telerilevate per l’Analisi della Qualità del Frumento Duro in Val d’Orcia Marco Mancini, Francesca Orlando, Anna Dalla Marta, Simone Orlandini Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell'Ambiente Agroforestale, Univ. Firenze, IT, anna.dallamarta@unifi.it

Introduzione Attualmente il frumento duro (Triticum turgidum L. var. durum) è una delle principali colture di qualità della Val d’Orcia (SI) con una produzione annua stimata di circa 350000 quintali ed una produttività media di circa 35 q/ha. Nonostante la particolare vocazionalità del territorio e la gestione colturale adottata abbiano permesso di ottenere un prodotto con un elevato standard qualitativo, esiste una variabilità interannuale essenzialmente riconducibile al peculiare andamento delle variabili meteorologiche, in particolare temperatura, radiazione solare e precipitazioni, i cui trend durante le diverse fasi fenologiche influenzano largamente il tenore e la composizione proteica della granella. Per questo, da alcuni anni, il DIPSA in collaborazione con il Consorzio Agrario di Siena (CAPSI) e con il contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, sta portando avanti un progetto volto all’analisi delle relazioni esistenti tra la qualità del grano duro coltivato in Val d’Orcia e informazioni meteoclimatiche e telerilevate, anche al fine di ottenere valutazioni di carattere previsionale. Tale studio si basa non solo sull’impiego di dati meteorologici convenzionali ma anche sull’utilizzo di informazioni climatiche a larga scala, indici climatici e indici telerilevati da satellite (Dalla Marta et al., 2010; Orlandini et al., 2010). L’integrazione di tutte queste informazioni e la disponibilità di serie storiche di dati quanti-qualitativi delle produzioni della zona hanno permesso di ottenere alcuni importanti risultati preliminari. Metodologia La qualità delle produzioni è stata descritta attraverso diversi indicatori, quali il peso specifico (kg/hl) e la percentuale di proteine nella granella (% s.s.), la resa (t/ha) e la quantità di proteine totali (percentuale di proteine x resa). I dati utilizzati, che rappresentano la media di diverse aziende della zona, sono stati raccolti per il periodo 1999-2009. Parallelamente, nel 2008 e 2009 sono stati eseguiti campionamenti puntuali in 12 aziende per un totale di 19 campioni di grano duro appartenenti a 8 diverse varietà nel 2008 e 17 campioni di 6 varietà differenti nel 2009. I dati meteorologici derivano da 5 stazioni limitrofe all’area di indagine. I dati sono stati elaborati al fine di calcolare le temperature attive cumulate (STA) e le precipitazioni cumulate (SP) nei singoli mesi e in più mesi consecutivi nella stagione di crescita del frumento tra novembre e giugno. Sono quindi state analizzate tutte le possibili correlazioni per mezzo di regressioni lineari. Le informazioni climatiche a larga scala, in particolare l’indice NAO, l’altezza del geopotenziale a 500 hPa (GPH) e la temperatura superficiale del mare (SST) del periodo 1999-2009 sono dati di “reanalisi” derivanti dal progetto “NCEP/NCAR Reanalysis Project”, disponibili dal 1948 ad oggi (http://www.cdc.noaa.gov/). Per GPH e SST sono state analizzate le mappe di correlazione dei singoli mesi al fine di stabilire il mese con le migliori relazioni. L’indice di vegetazione telerilevato NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) è stato elaborato dai dati satellitari derivati dalle immagini AVHRR NDVI (www.free.vgt.vito.be) per il periodo di riferimento da novembre 1998 a giugno 2009. Il valore di NDVI preso in considerazione per ciascuna decade è stato quello rispondente alla media dei valori dei singoli pixel ricadenti nell’area di studio. Le possibili relazioni fra le informazioni meteo-climatiche e tele rilevate e le caratteristiche qualitative del grano duro sono state analizzate attraverso l’applicazione di modelli regressivi e multiregressivi. Risultati A titolo di esempio si riportano alcuni dei risultati del progetto riferiti al contenuto proteico della granella. Le regressioni fra proteine e cumuli termici mostrano la migliore significatività nel periodo 49


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febbraio-giugno (r=0.609), anche se già il periodo marzo-aprile risulta avere una correlazione significativa (r=0.583). Il contenuto delle proteine totali per ettaro è correlato negativamente con la STA nel periodo marzo-maggio (r=-0.587) e con la SP durante i mesi invernali (r=-0.80). Dall’analisi delle mappe di correlazione elaborate per il dominio europeo, atlantico e nord africano, si evidenzia come il GPH del periodo marzo-aprile mostri la migliore relazione con l’area a Sud-Ovest di Gibilterra che risulta correlata negativamente con il contenuto proteico (r=-0.80). L’SST di giugno è correlato negativamente con l’area a sud-ovest delle Canarie, mentre non sembra essere influente la temperatura del Mediterraneo (Fig. 1). L’indice NAO risulta essere correlato significativamente in diversi periodi ma soprattutto durante i mesi invernali. In particolare, la miglior correlazione è stata ottenuta per il periodo novembre-febbraio (r=0.85). La percentuale di proteine risulta, infine, molto correlata al dato di NDVI dei mesi di maggio e giugno (Fig.2).

Figura 1. Correlazione fra contenuto proteico e SST di giugno.

Figura 2. Relazione tra il contenuto proteico e NDVI tra la terza decade di maggio e la terza decade di giugno

Conclusioni I risultati hanno dimostrato che STA e SP rappresentano due variabili cruciali per determinare le caratteristiche qualitative della produzione, e sono anche quelle che meglio descrivono la risposta vegeto-produttiva della coltura. In sostituzione dei tradizionali indici agro-climatici è possibile utilizzare indicatori climatici a larga scala e indici telerilevati per avere informazioni di carattere previsionale. La possibilità di poter usufruire di informazioni meteorologiche e di dati telerilevati gratuitamente su Internet può ridurre i costi del monitoraggio sull’area di indagine, consentendo una applicazione a supporto degli agricoltori. Ringraziamenti Si ringrazia la Fondazione Monte dei Paschi di Siena e il Consorzio Agrario di Siena (CAPSI) per il supporto e la collaborazione allo svolgimento delle attività di ricerca.

Bibliografia Dalla Marta A. et al. 2010. The influence of climate on durum wheat quality in Tuscany, Central Italy. Int J Biometeorol, DOI 10.1007/s00484-010-0310-8. Orlandini S. et al. 2010. Impact of Climate Change on Durum Wheat Quality. In: Advances in Environmental Modeling and Measurements (a cura di Mihailović D.T e Lalić B.). Environmental Research Advances Series, Nova Science Publishers, Inc., New York.

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L’Agronomia verso la Green Economy: Ottimizzazione dei Processi di Fitorisanamento Luca Marchiol e Guido Fellet Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Udine, IT, marchiol@uniud.it; guido.fellet@uniud.it

Introduzione Stime recenti dell’Agenzia Ambientale Europea indicano che in Europa vi siano almeno 250.000 siti contaminati che necessitano bonifica. Questo numero è destinato a crescere tenendo conto che in realtà sono stati censiti circa 3 milioni di siti potenzialmente contaminati. Nel periodo 2001-2006 il numero di siti da bonificare è aumentato del 150% e si prevede che esso aumenterà ancora del 50% (EEA, 2007). Le fonti puntuali di inquinamento sono le attività industriali, nonché le operazioni di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Da queste sorgenti vengono immessi nell’ambiente in prevalenza metalli pesanti ed oli minerali che risultano più di frequente nei siti esaminati. Tuttavia questo problema, che pone seri rischi per la sicurezza della salute pubblica e in senso più ampio della catena alimentare, sta promuovendo la nascita di un florido mercato delle tecnologie di bonifica. In Europa il budget annuale destinato ad attività di investigazione e caratterizzazione dei siti inquinati, e alle successive bonifiche, è stimato attorno a 5 miliardi di € (EEA, 2007). In Italia più di 1.000.000 di ettari sono compresi nel perimetro dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN); questa superficie rappresenta circa il 3% del territorio nazionale (ISPRA, 2008). I siti contaminati minori sono oltre 13.000 per i quali si stima un valore complessivo di oneri di bonifica di circa 35 miliardi di €. Alla luce della evidente crisi ambientale si ritiene che le economie mondiali possano trovare nuovo slancio e risorse per il superamento delle recenti crisi finanziarie attraverso la convergenza verso una economia basata sul principio di sostenibilità. La Green Economy Initiative è stata promossa dalle Nazioni Unite allo scopo di sostenere la definizione di nuove politiche in favore di investimenti nelle tecnologie pulite, energie rinnovabili, mobilità, gestione dei rifiuti, edilizia e agricoltura sostenibile. In tal senso la scienza deve assumere un ruolo trainante, produrre nuove idee e definire nuove tecnologie in grado di sostenere la Green Economy. Le tradizionali tecniche di bonifica dei suoli inquinati sono basate su un approccio fisico-chimico. Queste tecniche sono costose, hanno effetti collaterali negativi sulla qualità del suolo e elevati consumi energetici. Anche in questo settore nello scenario della Green Economy è possibile promuovere tecnologie meno impattanti e onerose. Secondo l'UNEP (2003) le fitotecnologie sono "tecnologie di bonifica che impiegano piante per il contenimento, la degradazione o l’estrazione di contaminanti da matrici inquinate, il ripristino di ecosistemi degradati, il controllo dei processi ambientali e il monitoraggio per la valutazione della qualità dell’ambiente”. Le fitotecnologie sono tecniche di bonifica in situ efficaci su matrici contaminate da metalli pesanti, metalloidi e radioisotopi. Anche matrici contaminate da composti organici (BTEX, idrocarburi clorurati, pesticidi ed esplosivi) possono essere trattate con successo (ITRC 2009). Ottimizzazione dei processi di fitorisanamento: il ruolo dell’agronomia Oltre alle interazioni tra la produzione vegetale agraria e l’ambiente, l’agronomia è in grado di acquisire nuovo spazio nella produzione di servizi ambientali, rispondendo in questo modo a nuove future necessità ed esigenze della società e del sistema economico (Lichtfouse et al., 2010). Nella progettazione e nella gestione operativa dei processi di fitorisanamento, il ruolo dell’agronomia è fondamentale tenendo conto che questi si sviluppano attraverso interazioni suolo/pianta/contaminante. In relazione a ciò non vi è dubbio che il contributo dell’agronomia al miglioramento dell’efficienza delle tecniche di fitorisanamento deve risultare in una significativa ottimizzazione del processo allo scopo di raggiungere gli obiettivi della bonifica del sito contaminato. In tabella 1 sono riassunte le competenze richieste nella valutazione preventiva, progettazione, gestione amministrativa e tecnica di un intervento di fitorisanamento. 51


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1. (modificata da ITRC, 2009). Fase V&S(†) Progetto Implementazione Gestione ● ● ● Agronomia ● ● ● ● Risk assessment ● Legislazione ambientale Ingegneria ambientale ● ● ● ● ● Analisi economica (†) Valutazione e Selezione tecnica di bonifica; (‡) Operatività e Monitoraggio. Competenze

O&M(‡) ● ●

Conclusione ●

Una delle attuali limitazioni al consolidamento e diffusione delle fitotecnologie risiede nello scarso numero di esperienze condotte in condizioni reali. La tabella 2 riporta l’inventario delle prove sperimentali di fitoestrazione in situ eseguite in Europa nelle quali sono state osservate le prestazioni di specie di interesse agrario, da biomassa e iperaccumulatrici (SUMATECS, 2009). Nel prossimo futuro queste esperienze dovranno essere incrementate per ampliare la base di conoscenza applicativa delle potenzialità offerte dal fitorisanamento. A seguire, il lavoro presenta gli sviluppi attesi della ricerca e le prospettive applicative. Tabella 2. Elemento

Specie

Cd, Cr, Cu, Ni, Pb, Zn

S. viminalis

Stato Località/Regione

Cd, Cu, Zn

Q. robur, P. alba, A. pseudoplatanus

Cd, Cu, Zn

S. viminalis, N. tabacum, H. annuus, B. juncea, CH Z. mays, B. pendula, S. viminalis, A. incana, F. excelsior

Dornach, Caslano Le Locle

Cd, Pb

Z. mays

CZ

Pribram

Cd, Zn

T. caerulescens

F

La Bouzule

As, Cu, Cd, Co, Pb, Zn

H. annuus, S. bicolor, Salix spp., Populus spp.

I

Torviscosa

Cd, Zn

B. napus

NL

Budel

Cd, Cr, Cu, Ni, Pb, Zn

S. viminalis

S

Uppsala, Enkóping

Pb, Zn, Cu, Cd

B. carinata, B. juncea

Pb, Sb, Tl, Zn

O. europea, P. alba, Mediterranean shrubs

SP

Aznalcollar

Cd, Zn

T. caerulescens, A. halleri

As, Cd, Cu, Ni

Betula spp.

Cu

Alnus spp, C. monogyna, S. caprea

Cd, Cu, Ni, Zn

Salix spp. T. caerulescens

Nottingham

Cd, Cu, Zn

Salix spp.

Warrington

B

Menen, Deinze

Bedfordshire Liverpool UK

Merseyside

Bibliografia EEA 2007. Progress in management of contaminated sites. Report CSI 015. EEA. ITRC 2009. Phytotechnology Technical and Regulatory Guidance and Decision Trees. Washington, D.C. ISPRA 2008. Annuario dei dati ambientali 2008. Roma. Lichtfouse E. et al. 2010. Emerging agroscience. Agron. Sustain. Dev., 30: 1-10. SUMATECS 2009. Final Research Report. www.snowman-era.net UNEP 2003. Phytotechnologies: A Technical Approach in Environmental Management. IETC Freshwater Management Series 7. ISBN No: 92-807-2253-0. 52


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Indicatori Agro-ambientali in Italia: una Sintesi Diacronica Luca Salvati1, Maria Elisa Venezian Scarascia2, Marco Zitti3, Sofia Bajocco3, Luigi Perini3 1

Dipartimento di Studi GeoEconomici, Linguistici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale, Università di Roma ‘La Sapienza’, Roma, IT, luca.salvati@uniroma1.it 2 Comitato Italiano per l’irrigazione e la Bonifica Idraulica (ITAL-ICID), Roma, IT, me.scarascia@politicheagricole.it 3 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Unità di ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura (CRA-CMA), Roma, IT, luigi.perini@entecra.it

Introduzione L’agricoltura rappresenta un’attività economica particolarmente rilevante nella gestione delle risorse naturali in quanto praticata su larga parte del territorio nazionale. Sin dal 1992, la Politica agricola comunitaria (Pac), che norma il settore, si è rinnovata per accogliere le crescenti istanze ambientali. Il processo di riforma ha gradualmente orientato i sussidi erogati agli agricoltori in modo tale da supportare modalità di produzione e attività agricole più compatibili con i principi di tutela delle risorse naturali. Oltre alla normativa di settore, diverse sono le norme comunitarie e nazionali di tutela delle risorse naturali che esplicitamente vincolano l’attività agricola. I fenomeni in questione assumono crescente interesse a livello nazionale e internazionale: si veda,al riguardo, la comunicazione della Commissione europea sul tema degli indicatori agro-ambientali dal titolo “Development of agrienvironmental indicators for monitoring the integration of environmental concerns into the Common agricultural policy” [Com (2006) 508]. Pertanto, la valutazione delle performances del comparto agricolo esula progressivamente dagli aspetti economici per concentrarsi, sempre più efficacemente, sulle tematiche sociali e, soprattutto, ambientali (Hubacek e Van den Bergh, 2006). Di sempre maggiore interesse appaiono i contributi scientifici che tentano una sintesi dei diversi aspetti dell’agricoltura, anche attraverso approcci integrati, statisticomodellistici e/o economico-ambientali (e.g. Huby et al., 2007; Morse, 2008). Ciò va nella direzione di riconciliare una visione sistemica con un approccio produttivistico e di filiera, entrambi propri sia delle discipline geografiche ed ambientali che delle scienze agronomiche (Nir, 1990). L’obiettivo di questo lavoro è pertanto quello di proporre un sistema informativo dei principali indicatori agro-ambientali disponibili su serie storica e a scala geografica regionale in Italia (Zalidis et al., 2002; 2004). Tale sistema è finalizzato ad un’analisi di sintesi diacronica, anche tramite idonee metodologie statistiche, delle più significative tendenze attualmente in atto nel nostro paese. Tale analisi si pone in un’ottica di supporto alle policy regionali, nazionali e comunitarie (Trouvè et al., 2007), modellizzando nel tempo il concetto ed i principali determinanti delle performances agro-ambientale delle regioni italiane. Metodologia Sono stati raccolti numerosi indicatori agro-ambientali su un arco temporale standard di dieci anni a partire da numerose fonti di statistica ufficiale, principalmente le indagini ISTAT ed il censimento generale dell’Agricoltura. Le variabili, disponibili in serie storica dal 1998 al 2007 soprattutto a partire dall’indagine ISTAT sulla ‘Struttura e Produzione delle Aziende Agricole Italiane’, hanno consentito la creazione di un sistema di indicatori tematici in accordo con gli standard agro-ambientali dell’OECD, della FAO e della letteratura scientifica di settore (Dumanski and Pieri, 2000). I principali targets dell’analisi includono argomenti quali la sostenibilità nell’irrigazione, le lavorazioni dei terreni, le pratiche di copertura, la variazione dell’uso del suolo agricolo, la stima degli effluenti zootecnici, le relazioni coltura-suolo ed altre variabili minori (Yli-Viikari et al., 2007). L’applicazione statistica ha consentito un’analisi disaggregata per gli anni 1998, 2000, 2003, 2005 e 2007 (Istat, 2010) a partire da una matrice dati contenente, per ogni anno, tutti gli indicatori disponibili a livello regionale (Salvati et al, 2007).

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Il contenuto informativo di tale matrice di dati è stato esplorato tramite analisi statistica multivariata, con particolare riferimento all’analisi fattoriale dinamica (Salvati e Zitti, 2008) che consente lo studio diacronico delle traiettorie di specifici domini spaziali (in questo caso, le regioni italiane) sulla base di un determinato numero di fattori esplicativi (in questo caso, la variazione delle grandezze agroambientali utilizzate come riferimento di base). Risultati e discussione I risultati evidenziano le diverse performances agro-ambientali delle regioni italiane, basate su traiettorie differenziate e talvolta peculiari, in cui appare poco visibile il gradiente nord-sud. Le analisi sviluppate, basate sul paradigma di sintesi e parsimonia statistica, valorizzano le informazioni più significative, legate principalmente ad un core di variabili chiave, quali l’irrigazione, le pratiche di lavorazione del terreno, le pratiche di copertura, l’abbandono dei terreni, che incidono più significativamente sulle dinamiche agro-ambientali delle regioni italiane. Il lavoro viene completato da una discussione sulla disponibilità di informazioni quantitative e sulle lacune conoscitive a livello geografico sulla dimensione di ricerca agro-ambientale (Tanrivermis, 2003) e sul supporto che tale ricerca può fornire a livello di policy integrate a scala comunitaria e nazionale (Williams et al., 2008). Bibliografia Dumanski J. e Pieri C. 2000. Land quality indicators: research plan. Agriculture, Ecosystems and Environment, 81: 93-102. Hubacek K. e Van den Bergh J.C.J.M. 2006. Changing concepts of ‚land’ in economic theory: from single to multidisciplinary approaches, Ecological Economics, 56: 5–27. Huby M. et al. 2007. Reconciling socio-economic and environmental data in a GIS context: an example from rural England, Applied Geography, 27: 1-13. Istat 2010. Agricoltura e ambiente. Istituto Nazionale di Statistica, Collana Informazioni, n. 2, Roma. Morse S. 2008. On the use of headline indices to link environmental quality and income at the level of the nation state, Applied Geography, 28: 77-95. Nir D. 1990. Region as a socio-environmental system. An introduction to a systemic regional geography, Dordrecht: Kluwer. Salvati L. e Zitti M. 2008. Sustainability and weighting of ecological and economic indicators: exploring the importance of various components of a synthetic index, Ecological Economics, 8: 1093-1099. Salvati L. et al. 2007. Comparing indicators of intensive agriculture from different statistical sources, Biota, 8: 51-60. Tanrivermis H. 2003. Agricultural land use change and sustainable use of land resources in the Mediterranean region of Turkey, Journal of Arid Environment, 54: 553-564. Trouvè A. et al. 2007. Charting and theorising the territorialisation of agricultural policy, Journal of Rural Studies, 23: 443452. Williams C.L. et al. 2008. Agro-ecoregionalization of Iowa using multivariate geographical clustering, Agriculture, Ecosystems & Environment, 123: 161-174. Yli-Viikari A. et al. 2007. Evaluating agri-environmental indicators (AEIs) – Use and limitations of international indicators at national level, Ecological Indicators, 7: 150-163. Zalidis G. et al. 2002. Impacts of agricultural practices on soil and water quality in the Mediterranean region and proposed assessment methodology, Agriculture, Ecosystems & Environment, 88: 137-146. Zalidis G. et al. 2004. Selecting agri-environmental indicators to facilitate monitoring and assessment of EU agrienvironmental measures effectiveness, Journal of Environmental Management, 70: 315-321.

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Bilancio Energetico di Sistemi Foraggeri nella Pianura Irrigua del Nord Italia Cesare Tomasoni1, Lamberto Borrelli1, Massimo Brambilla2 1

CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi, IT, cesare.tomasoni@entecra.it Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la sicurezza alimentare. Università degli studi di Milano, Facoltà di Medicina Veterinaria, via Celoria 10, Milano, IT

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Introduzione Il notevole sviluppo tecnologico avvenuto nella seconda metà del secolo scorso nei vari settori (chimico, meccanico, genetico, ecc.) e le azioni intraprese dalla Politica Agricola Comune dell’U.E, hanno determinato un’elevata intensificazione dell’agricoltura in modo speciale in quelle regioni con condizioni pedo-climatiche favorevoli. La massimizzazione della produzione agricola perseguita dai Paesi occidentali ha portato al massiccio uso di materie prime potenzialmente inquinanti che ha causato la crescente preoccupazione dell’opinione pubblica sui possibili effetti negativi dell’agricoltura nei confronti dell’ambiente e della salute umana; perciò la Politica Agricola Comune tende a promuovere sistemi agricoli sostenibili che richiedono un basso impiego di energia non rinnovabile (Parente 1996). L’analisi energetica come indicatore della sostenibilità dei sistemi agricoli viene adottata quando si vuole perseguire una riduzione dell’impiego di energia da fonti non rinnovabili (Bonari et al., 1992; Giardini, et al., 1983; Pimentel, 1993). In questo lavoro vengono presentati i risultati ottenuti in 22 anni di sperimentazione (1985-2006). Metodologia La prova è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) sin dal 1985 in un ambiente rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale, con suolo franco-sabbioso fine a reazione sub-acida con dotazione media di N, buona di P e scarsa di K. Il clima è tipico della Regione Padana, sub continentale, sub umida con precipitazione media annuale di 800 mm e temperatura media di 12,2 °C (Borrelli e Tomasoni, 2005). L’esperimento si articola in 5 ordinamenti colturali di tipo cerealicolo-foraggero di seguito dettagliati. R1= annuale: loglio italico + mais trinciato; R3= triennale: loglio italico + mais trinciato – orzo trinciato + mais trinciato – mais da granella; R6= sessennale: loglio italico + mais trinciato (3 anni) – prato avvicendato (3 anni); PP= prato permanente; MM= monosuccessione di mais da granella. Ogni ordinamento, rispetto alle agrotecniche più comuni, concimazioni, lavorazioni e diserbi, è soggetto a due livelli di input indicati come A e B. L’input A fa riferimento ad interventi agronomici ritenuti ordinari, mentre B, definito sub-ottimale, vede una riduzione del 30% rispetto all’input A dei diversi interventi considerati. Per quanto riguarda la concimazione chimica dell’input A, in media e per ogni anno i cinque ordinamenti hanno ricevuto complessivamente: (R1) 400-200-220; (R3) 340-170180; (R6) 260-165-170; (PP) 125-150-120 e (MM) 250-100-100 kg ha-1, rispettivamente, di N-P2O5K2O. Rispetto alla concimazione organica, i quantitativi di letame bovino ben maturo distribuiti per l’input A sono stati: 40, 27, 27, 27, 0 t ha-1, rispettivamente, per R1, R3, R6, PP e MM. Nella monosuccessione di mais da granella (MM) i residui colturali vengono trinciati ed interrati al momento dell’aratura mentre nella rotazione triennale (R3) vengono asportati. Il disegno sperimentale su base annua è uno strip-split-plot con tre repliche e parcelle da 60 m2 (Onofrii et al. 1993). I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) utilizzando il sistema SAS. La prova è in irriguo con somministrazione di 1000 m3 ha-1 di acqua per turno (14 giorni) senza distinzione tra A e B. Tutti gli interventi colturali sono eseguiti con le normali macchine operatrici in dotazione ad un’azienda agraria. I diversi sistemi vengono comparati in funzione del bilancio energetico computando l’energia prodotta dalle colture e quella direttamente occorrente per la coltivazione (mezzi tecnici, macchine, carburanti, lubrificanti, ecc). Il metodo utilizzato tiene conto solo dell’energia derivante da fonti non rinnovabili effettuando la conversione energetica in base ai contenuti energetici 55


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specifici secondo quanto riportato da Pimentel, 1980, Pellizzi, 1992 e Jarach, 1985 (calcoli e dati non riportati per brevità). Risultati

Nella tabella 1 vengono riportati i valori medi di energia prodotta e consumata dalle rotazioni in Energia prodotta Energia consumata esame durante i 22 anni di Rotazioni / Input A B A B osservazione. La rotazione che ne R1 162733 146834 65520 53992 produce di più è R1 con 162.733 R3 136300 118316 58436 48947 MJ ha-1 (19% più di R3, 42% più R6 114696 103054 50113 42396 di R6, 88% più di MM e 260% MM 86308 71908 42567 36011 più PP), tale performance è da PP 62170 52200 36027 31623 attribuire alla forte presenza della coltura del mais che ha un elevato contenuto energetico rispetto alle altre colture. La rotazione R1 risulta essere anche la più energivora con 65.520 MJ ha-1 consumati mentre il caso contrario lo troviamo in PP. Nella tabella 2 viene riportata l’energia netta (output-input) e l’efficienza energetica (output/input) per le cinque rotazioni prese in esame. La rotazione R1 nell’input A produce la maggiore energia netta, circa il triplo di PP, mentre la maggiore efficienza energetica si ha sempre in R1 ma nell’input B.

Tabella 1. Energia prodotta e consumata (MJ ha-1 anno-1) nelle rotazioni

Tabella 2. Energia Netta (MJ ha-1 anno-1) ed Efficienza energetica nelle rotazioni esaminate

Energia Netta a Rotazione/ Input R1 R3 R6 MM PP a

A 97213 77864 64583 43741 26143

Efficienza Energetica a B

aA bA cA dA eA

A 92842 69369 60658 35897 20577

aA bB bA cB dB

1.48 1.33 1.29 1.03 0.73

B aB bB bB cA dA

1.72 1.42 1.43 1.00 0.65

aA bA bA cA dA

Medie seguite dalla stessa lettera non sono differenti per LSD test

a P<0.05 (lettere minuscole valide tra Rotazioni e maiuscole tra Input)

Conclusioni I sistemi colturali hanno una fondamentale influenza sul consumo di energia non rinnovabile e di conseguenza sul bilancio energetico. La rotazione più efficiente in termini di produzione in energia netta è data dalla mono-successione caratteriz- zata da una breve durata, dalla presenza del mais e della doppia coltura oltre che da un basso input agrotecnico. Bibliografia Bonari, E. et al. 1992. Valutazioni energetiche di sistemi produttivi a diverso livello di intensificazione colturale. Inf. Agr., 1, 11-25. Borrelli, L., Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’ azienda dell’Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere di Lodi, Annali dell’I.S.C.F. vol. IX, Parente, G. 1996. Grassland and land use systems. In: Parente, G., Frame, J., Orsi, S. (Eds.), Grassland and Land Use Systems. Proc. 16th Meet. EGF. ERSA, Gorizia, Italy, pp 23-3 Giardini, L. et. al. 1983. Studio del bilancio energetico in quattro rotazioni colturali eseguite per un decennio con diversi livelli di concimazione e di irrigazione. Nota I: energia della sostanza secca prodotta e del prodotto agrario utile. Riv. Agron., 17(2):261-278. Jarach, M., 1985. Sui valori di equivalenza per l’analisi energetica in agricoltura. Riv. Ing. Agr. 2:102-114. Onofrii, M. et al. 1993. Confronto tra ordinamenti cerealicolo-foraggeri, sottoposti a due livelli di input agrotecnico, nella pianura irrigua lombarda. I. Produzioni quanti-qualitative [Comparison among cereal-forage cropping systems, at two input levels, in the irrigated plain of Lombardy. I. Quanti-qualitative yields]. Riv. Agron. 27, 160-172. Pellizzi, G., 1992. Use of Energy and Labour in Italian Agiculture. J. Agric. Engng. Res. 52: 111-119. Pimentel, D., 1980. Handbook of energy utilization in agriculture. CRC Press, Boca Raton, FL.. 56


SESSIONE III - AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE



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Key note

New Integrative Modalities for Connecting Policy Makers, Farmers and Scientists for Adaptive Farming Management in a Climate Changing World John Colvin1, Giovanna Seddaiu2,3, Pier Paolo Roggero2,3 1

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Communication and Systems Department, The Open University, Milton Keynes, UK, j.d.colvin@open.ac.uk Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli Studi di Sassari, IT, gseddaiu@uniss.it 3 Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli studi di Sassari, IT, nrd@uniss.it

Introduzione Over the past 20 years the context for agriculture has changed rapidly, sometimes radically. For example, a recent World Bank report highlighted significant changes in the following six areas (World Bank, 2006): (i) markets, not production, increasingly drive agricultural development; (ii) the production, trade, and consumption environment for agriculture and agricultural products is growing more dynamic and evolving in unpredictable ways; (iii) knowledge, information, and technology are increasingly generated, diffused, and applied through the private sector; (iv) exponential growth in information and communications technology has transformed the ability to take advantage of knowledge developed in other places or for other purposes; (v) the knowledge structure of the agricultural sector in many countries is changing markedly; and (vi) agricultural development increasingly takes place in a globalized setting. To these we can also add two other significant areas of change: (vii) in many parts of the world we have already reached the limits of ecosystem capacity, with ecological degradation becoming an increasingly limiting factor for agricultural development (CAWMA, 2007); and (viii) anthropogenic climate change is already impacting on agricultural practices, and these impacts are likely to have increasingly significant social and economic consequences in the absence of a well-orchestrated global response (Stern, 2009). EU policy has attempted to respond to these changes. The current trajectory of EU agricultural and rural policy reform is towards pathways of rural development that are not just more efficient and effective in social and economic terms, but are also capable of adapting to significant environmental challenges in terms of ecosystem and climate change. In the EU’s agricultural policy 2007 – 2013 there was an emphasis on ‘decoupling’ in order to encourage environmentally sustainable practices among farmers, while in the EU rural development policy framework for 2013 – 2020, specifically through the CAP Health Check, more money is coming on-stream to support adaptation to climate change (http://ec.europa.eu/agriculture/healthcheck/index_en.htm). However in many parts of Europe, uptake of funding for decoupling has been low (15% in Italy) and there is evidence that the predominant ‘command and control’ approach to policy implementation both at EU, national and regional levels has been limited in its effectiveness (Holling and Meffe, 1996). It would appear that despite some progressive development in policy thinking, the traditional model of policy implementation, based on a linear and hierarchical model of knowledge transfer (so-called ‘mode 1’: Gibbons et al, 1994), has been slow to adapt to the changes highlighted above. Thus adaptation to climate and other environmental changes, requires adaptation not only in policy making but also in modalities of policy implementation, as a means of catalyzing and supporting adaptive innovations in agricultural practices. The word ‘adaptation’ has always been important in scientific fields associated with evolution, ecology and environmental change (Smith et al., 2000). We adopt the metaphor suggested by Collins and Ison (2009) of ‘adaptation as a good pair of shoes’, to illustrate the need for social processes of co-evolution between human practices and the dynamics of environmental change. This metaphor has profound implications for thinking about connectivity between, for example, policy makers, farmers and scientists. Within this metaphor it makes little sense to understand the shoes in isolation from the feet – or more importantly – it is the dynamic relationship between the two that is important. Adaptation as co-evolution calls for ‘mode 2’ knowledge production, based on an iterative model of knowledge co-production and entrepreneurship (RELU 2010). A 59


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good example of this is the approach taken by the South African government in the development of its Long Term Mitigation Scenarios (LTMS) report (DEAT, 2007), followed by the translation of this report into the Government’s Vision, Strategic Direction and Framework for Climate Policy (DEAT, 2008). The innovative process of convening the LTMS in dialogue with science, policy and civil society was experienced by all participants as an “exceptionally important learning activity”, which then made a significant difference when government subsequently came to develop its Vision, Strategic Direction and Framework for Climate Policy, which was approved by Cabinet in record time (9 months after publication of the LTMS) (Lukey, personal communication). In the 1980s, the “national agricultural research system” (NARS) concept focused development efforts on strengthening research supply by providing infrastructure, capacity, management, and policy support at the national level. In the 1990s, the “agricultural knowledge and information system” (AKIS) concept recognized that research was not the only means of generating or gaining access to knowledge. The AKIS concept still focused on research supply but gave much more attention to links between research, education, and extension and to identifying farmers’ demand for new technologies. In the 2000s, attention has focused on the demand for research and technology and on the development of innovation systems, because strengthened research systems may increase the supply of new knowledge and technology, but they may not necessarily improve the capacity for innovation throughout the agricultural sector. By innovation, we mean new ways of doing things. This includes not only science and technology, but – crucially – the related array of new ideas, institutions, practices, behaviors and social relations that shape scientific and technological patterns, purposes, applications and outcomes (STEPS Centre, 2010). An innovation system can be defined as a network of organizations, enterprises, and individuals focused on bringing new products, new processes, and new forms of organization into economic use, together with the institutions and policies that affect their behavior and performance. The innovation systems concept embraces not only the science suppliers but the totality and interaction of actors involved in innovation. It extends beyond the creation of knowledge to encompass the factors affecting demand for and use of knowledge in novel and useful ways (Hall et al, 2004). This has significant implications for the way that policy makers, policy implementers, farmers and scientists as well as other stakeholders work together. Drawing on case studies from South Africa, France, the Netherlands, and the UK and from a recent project on the climate change adaptation of Italian agriculture (www.agroscenari.it), we provide a range of examples of how new and more ‘integrative’ modalities are being developed as a means of connecting these different actors in new relationships of knowledge coproduction and innovation. We conclude with some reflections on how such approaches might best be upscaled. References Holling CS, Meffe GK. 1996. Command and control and the pathology of natural resource management. Conservation Biology 10: 328–337. Collins K, Ison R 2009. Living with Environmental Change: Adaptation as social learning. Env Pol Gov 19, 351-357. CAWMA, 2007. Water for Food, Water for Life: A Comprehensive Assessment of Water Management in Agriculture. London: Earthscan and Colombo: Int. Water Mgt Inst. DEAT, 2007. Long Term Mitigation Scenarios: Technical Summary, Scenario Building Team, Dept. Environment Affairs and Tourism, Pretoria. DEAT, 2008. Government’s Vision, Strategic Direction and Framework for Climate Policy, Dept. Environment Affairs and Tourism, Pretoria. Gibbons M et al., 1994. The New Production of Knowledge: The Dynamics of Science and Research in Contemporary Societies, London: Sage. Hall A, et al. (eds), 2004. Innovations in Innovation: reflections on partnership and learning. ICRISAT, Patancheru, India and NCAP New Delhi, India. RELU, 2010. Telling stories: Accounting for knowledge exchange, RELU Program Briefing Series 10, March 2010. Smith B et al. 2000. An Anatomy of Adaptation to Climate Change and Variability, Climatic Change, 45: 223-251. STEPS Centre, 2010. Innovation, Sustainability, Development: A New Manifesto. Brighton: STEPS Centre. Stern N. 2009. Blueprint for a Safer Planet: How to Manage Climate Change and Create a New Era of Progress and Prosperity, London: The Bodley Head. World Bank, 2006. Enhancing Agricultural Innovation: How to go beyond the Strengthening of Research Systems. Economic Sector Work report. Washington DC: The World Bank. 60


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Le Emissioni dei Gas Serra nella Fase Agricola della Filiera dei Prodotti Agro-Alimentari: il caso del Vino nel Distretto Rurale della Maremma Simona Bosco1, Mariassunta Galli1, Claudia Di Bene1, Damiano Remorini2, Rossano Massai2, Enrico Bonari1 1

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Land Lab Scuola Superiore Sant’Anna, IT, s.bosco@sssup.it Dip. di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi”, Univ. Pisa, IT

Introduzione Con la crescente attenzione alla problematica della lotta ai cambiamenti climatici si è sviluppato l’interesse verso strumenti e metodologie per la stima delle emissioni dei gas ad effetto serra. Con la prospettiva di controllare e mitigare le emissioni si sono, infatti, diffuse numerose metodologie per la loro contabilità, detta in generale carbon accounting, anche al fine di supportare le scelte politiche verso lo sviluppo di economie a bassa intensità di carbonio. Inoltre si stanno affermando, anche grazie ad alcune etichette specifiche (carbon label), procedure di valutazione delle performance ambientali di un determinato prodotto attraverso la valutazione delle emissioni di gas serra generate lungo la filiera di produzione (Cholette e Venkat, 2009). La valutazione delle emissioni di gas serra ha iniziato ad interessare anche il settore agroalimentare e questo ha portato ad analizzare differenti prodotti attraverso l’analisi del ciclo di vita o Life Cycle Assessment (LCA) (Roy, 2009). Una delle principali difficoltà nel condurre l’analisi di filiera di prodotti agroalimentari risiede nella raccolta dei dati della fase agricola, che non presenta processi standardizzati come quelli industriali sui quali è stata costruita la metodologia LCA (Mourad et al., 2007; Notarnicola et al., 2003). Infatti, la fase agricola è soggetta alla variabilità di fattori quali il clima, il suolo e le condizioni ambientali. Un progetto finanziato dall’Istituto per il Commercio Estero e realizzato in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Grosseto ha permesso di valutare la performance ambientale di alcune filiere vitivinicole locali con particolare attenzione alla stima dei gas ad effetto serra anche in previsione di un possibile utilizzo in termini di certificazione. L’obiettivo di questo lavoro è valutare il ruolo della fase agricola (rispetto all’intera filiera) nell’acquisizione dei dati (Life Cycle Inventory) e nell’analisi LCA per la stima delle emissioni di gas ad effetto serra Metodologia Sono state selezionate 13 aziende vitivinicole appartenenti a 3 aree DOC della Provincia di Grosseto, di cui 2 a ciclo chiuso, ovvero con il processo di vinificazione e imbottigliamento interno all’azienda, e le altre appartenenti a 2 cantine cooperative dove conferiscono la produzione primaria L’analisi LCA è stata riferita a un vino specifico per ogni azienda, utilizzando come unità funzionale comune una bottiglia da 0.75 l incluso il packaging. Per la raccolta dei dati dell’intera filiera e quindi anche della fase agricola sono stati elaborati questionari specifici che sono stati poi sottoposti alle aziende.. Ciascuna azienda è stata seguita durante la compilazione e i dati inseriti sono stati successivamente verificati. Nell’analisi del ciclo di vita o LCA i confini del sistema considerato hanno incluso le fasi dall’impianto del vigneto alla distribuzione e uso della bottiglia di vino. La filiera è stata suddivisa in 8 fasi, di cui 3 “più propriamente agricole”: le fasi di impianto, di allevamento e di coltivazione. Nello specifico della fase agricola le informazioni richieste sono relative ai consumi energetici per le operazioni colturali e ai materiali utilizzati sia all’impianto (pali, fili, ancore, etc.) che nei processi annuali produttivi (fertilizzanti, fitofarmaci, etc.) .Il software utilizzato per l’analisi LCA è il GaBi4, sviluppato dalla PE International e il metodo di analisi della carbon footprint è stato il CML 2001, GWP a 100 anni che restituisce l’impatto in termini di kg di CO2eq per unità funzionale di prodotto scelta. 61


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Risultati La fase agricola è responsabile in media di circa il 23% delle emissioni complessive di gas ad effetto serra per bottiglia da 0.75 l analizzata, mentre è la fase di packaging ad avere il valore più elevato (45%). I risultati hanno mostrato che, pur analizzando aziende della stessa area geografica, la fase agricola presenta un’elevata variabilità nei flussi sia di energia sia di materiali. Questo è determinato principalmente da differenti livelli di meccanizzazione, come ad esempio per la fase di impianto o di raccolta e in generale nella gestione agricola (Tabella 1). Tabella 1. Cause della variabilità dei risultati della carbon footprint nella fase agricola di produzione del vino.

Fase

Intervallo valori

Impianto

1-9%

Allevamento

0-2%

Coltivazione

10-20%

Principali cause Realizzazione di scasso Materiali utilizzati Realizzazione e utilizzo di impianto di irrigazione Poco influente Distribuzione e uso di fertilizzanti azotati Distribuzione di fitofarmaci Tipo di raccolta (vendemmiatrice/manuale)

Per le quattro tipologie di vino oggetto di indagine sono state valutate le emissioni di gas serra della fase agricola in termini di kg CO2eq per kg di uva utilizzata per la produzione di una bottiglia, come riportato in Tabella 2. Tabella 2. Emissioni di gas serra della fase agricola per unità funzionale e per kg di uva utilizzata per unità funzionale.

Vino 1 Vino 2 Vino 3 Vino 4

kg CO2eq fase agricola/UF 0.196 0.223 0.328 0.118

kg uva/UF

kg CO2eq/kg uva

1.009 1.084 1.331 1.236

0.194 0.206 0.247 0.096

Conclusioni La grande variabilità riscontrata a livello aziendale per i 4 vini esaminati ha messo in luce l’importanza di analizzare in dettaglio la fase agricola negli studi LCA di prodotti agroalimentari, a fronte di un diffuso utilizzo di dati di letteratura, anziché di dati direttamente rilevati. Ciò è particolarmente importante tenuto conto del fatto che la fase agricola può giocare un ruolo di notevole rilievo attraverso interventi sia di riduzione delle emissioni che di assorbimento di CO2. Bibliografia Cholette S., Venkat K. 2009. The energy and carbon intensity of wine distribution: A study of logistical options for delivering wine to consumers. J. Clean Prod, 17:1401–1413. Mourad A. L., et. al. 2007. A simple methodology for elaborating the life cycle Inventory of agricultural product. Int. J. LCA, 12:408-413. Notarnicola B., et. al. 2003. LCA of wine production. In B. Mattsonn, U. Sonesson, Environmentally-friendly food processing, Cap. 17, 306-326, Woodhead-Publishing and CRC Press, Cambridge-England, Boca Raton-USA. Roy P., et. al. 2009. A review of life cycle assessment (LCA) on some food products. J. Food Eng, 90:1-10.

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Evoluzione del Clima e Incertezza delle Scelte sui Sistemi Colturali in un Comprensorio Irriguo del Nord Sardegna Raffaele Cortignani1, Gabriele Dono1, Luca Doro2, Luigi Ledda2,3, Graziano Mazzapicchio1, Pier Paolo Roggero2,3 1

DEAR, Università degli Studi della Tuscia, cortignani@unitus.it, dono@unitus.it, mazzapicchio.g@unitus.it 2 Dip. Scienze Agronomiche e Genetica vegetale agraria, Università degli studi di Sassari, ldoro@uniss.it 3 Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli studi di Sassari, pproggero@uniss.it

Introduzione L’analisi quantitativa dell’impatto dei cambiamenti climatici (CC) sui sistemi colturali implica l’impiego di modelli di simulazione adeguatamente calibrati. Il modello EPIC (Environmental Policy Integrated Climate) (Williams, 1995) è stato ampiamente validato per simulare le risposte delle colture e dei relativi fabbisogni idrici ai CC (Adejuwon, 2005, Tourè et al., 1994). In questo lavoro, i risultati delle simulazioni effettuate con EPIC sono stati utilizzati come input per il modello di analisi economica per valutare l’impatto del CC sulle scelte dei sistemi coltutali in un comprensorio irriguo della Sardegna del nord. Metodologia L’area di studio è situata nel bacino del Cuga nel nord ovest della Sardegna. Buona parte delle aziende agricole ricevono l’acqua dal Consorzio di bonifica della Nurra. L’ordinamento produttivo predominante è cerealicolo-zootecnico, dove il silomais rappresenta circa il 10% del totale delle colture irrigue praticate. L’analisi economica ha riguardato il possibile impatto, sulle scelte nei sistemi colturali, della incertezza delle precipitazioni autunno-invernali e delle temperature massime primaverili-estive rilevate nell’area nel periodo 1961-2003. Le precipitazioni autunno-invernali hanno effetti sulla disponibilità di acqua irrigua in bacino; le temperature massime estive influenzano i fabbisogni irrigui delle colture. Perciò, all’inizio dell’annata agraria vi è incertezza sulla disponibilità d’acqua in bacino; all’inizio della stagione irrigua vi è incertezza sui fabbisogni irrigui delle colture. Sono stati valutati gli effetti dell’incertezza delle due componenti climatiche sugli ordinamenti colturali, sull’utilizzo dei vari fattori produttivi e sul reddito delle aziende agricole. Per considerare l’incertezza in momenti diversi è stato impiegato un modello di Programmazione Stocastica Discreta (PSD) a tre stadi, che riesce a cogliere la sequenzialità delle scelte in momenti con un diverso grado di conoscenza sugli eventi climatici d’interesse. I fabbisogni idrici, le rese e l’efficienza d’uso dell’acqua del mais sono stati quantificati su base annua con il modello di simulazione EPIC opportunamente calibrato, utilizzando come input i dati sulle caratteristiche di una tipologia di suolo diffusa nell’area (Madrau et al., 1981). Le informazioni sulla gestione agronomica del mais e sulle rese sono state acquisite tramite interviste agli agricoltori. Le simulazioni sulla coltura del silomais sono state impostate prevedendo, attraverso l’irrigazione, la costante assenza di condizioni di stress idrico. I dati meteorologici si riferiscono alle temperature max e min e precipitazioni giornaliere dei ventenni 1961-1980 e 1984-2003 di Alghero aeroporto1. La concentrazione di CO2 indica valori crescenti dal 1961 (317.64 ppm) al 2003 (375.78 ppm). Risultati Le temperature medie mensili nel periodo irriguo relative al ventennio 1984-2003 sono risultate significativamente superiori rispetto al ventennio precedente (tab. 1). La produzione di trinciato di mais simulata dal modello è risultata superiore di circa il 6.5% nel secondo ventennio, principalmente per effetto dell’incremento di concentrazione di CO2, visto che a CO2 costante le produzioni medie dei due ventenni risultavano non significativamente diverse. 1

La serie storica di dati meteo è stata messa a disposizione dal CRA-CMA. 63


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L’incremento di temperatura ha determinato un aumento dei consumi irrigui del 16% e una conseguente riduzione dell’efficienza d’uso dell’acqua dell’8% (tab. 2). I valori di evapotraspirazione per il mese di agosto sono aumentati del 18% passando dal primo al secondo periodo considerato. Tutte le differenze riportate nelle tabelle sono altamente significative (P<0.001). Tabella 1. Variazioni delle temperature medie delle massime mensili nei due ventenni considerati.

Ventennio 1961-1980 1984-2003 Δ

maggio 21.0 22.6 +1.6

giugno 24.9 26.7 +1.8

luglio 28.0 29.8 +1.8

agosto 28.2 30.5 +23

settembre 25.7 26.8 +0.9

Tabella 2. Variazioni delle rese, dei consumi irrigui, dell’efficienza d’uso dell’acqua (WUE) e dell’evapotraspirazione colturale nel mese di agosto nei due ventenni considerati.

Ventennio

Resa (t/ha s.s.)

1961-1980 1984-2003 Δ

17.1 18.2 +1.1

Irrigazione (mm) 659.2 761.6 +102.4

WUE (kg s.s./mm H2O) 35.2 32.4 -2.9

ET agosto (mm) 183.2 217.2 +34.9

I risultati del modello di PSD mostrano che l’incertezza sui fabbisogni irrigui e sulle rese del silomais determina una riduzione delle relative superfici. A fronte di ciò, per soddisfare i fabbisogni nutritivi degli animali, si tende a ricorrere ad una maggiore produzione di fieno di avena e ad un maggior acquisto di farina di orzo e di mangimi. Complessivamente l’incertezza determinata dai CC comporta una riduzione seppur contenuta dei margini lordi degli agricoltori. Conclusioni L’analisi integrata ha permesso di valutare quantitativamente le relazioni tra variabilità climatica, fabbisogni irrigui delle colture e implicazioni sull’incertezza delle scelte nel contesto di un comprensorio irriguo mediterraneo servito da un bacino artificiale. Nello specifico, l’evoluzione climatica registrata nel Nord Sardegna nell’ultimo quarantennio ha determinato un significativo aumento dei fabbisogni irrigui e una condizione di maggiore incertezza che si è tradotta in una certa riduzione dei margini lordi per gli agricoltori. Bibliografia Adejuwon J. 2005. Assessing the suitability of the EPIC crop model for use in the study of impacts of climate variability and climate change in West Africa. Singapore Journal of Tropical Geography, 26: 44-60. Dono G., Mazzapicchio G. 2010. Uncertain water supply in an irrigated Mediterranean area: An analysis of the possible economic impact of climate change on the farm sector, Agricultural Systems, Vol. 103, Issue 6. National Oceanic and Atmospheric Administration, 2010. Mauna Loa CO2 annual mean data. Earth System Research Laboratory (ESRL) http://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/ Madrau S. et al. 1981. Rilievo integrale dell’area di Tottubella (Sardegna nord-occidentale). Atti dell’Istituto di Mineralogia e geologia, vol. 2. Università di Sassari. Touré A. et al. 1994. Comparison of Five Wheat Simulation Models in Southern Alberta. Canadian Journal of Plant Science. 75: 61-68. Williams J.R. 1995. The EPIC model. In: Singh, V.P. (Ed.), Computer Models of Watershed Hydrology. Water Resources Publications, Littleton, CO, pp. 909–1000.

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I Piani Pastorali Aziendali a Sostegno dell’Alpicoltura in Piemonte Giampiero Lombardi1, Michele Lonati1, Luigi Ferrero2, Marco Corgnati2, Alessandra Gorlier1, Andrea Cavallero1 1

Dip. di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del territorio, Univ. Torino, IT, giampiero.lombardi@unito.it 2 Direzione Regionale Agricoltura, Regione Piemonte, IT, luigi.ferrero@regione.piemonte.it

Introduzione Le superfici prato-pascolive permanenti presenti sul territorio regionale piemontese ammontano oggi a circa 370.000 ha (Regione Piemonte - CSI, 2007), il 75% dei quali situato in aree montane (ISTAT, 2007). Questi ultimi sono utilizzati per la maggior parte da aziende con bovini che, oltre a sfruttare le risorse dei fondovalle, monticano circa 70.000 capi adulti negli oltre 1000 alpeggi attualmente attivi in Piemonte (IPLA, 2008). Gli alpeggi e le attività pastorali a essi connesse rappresentano pertanto un’importante risorsa del territorio regionale, la cui utilizzazione ha ancora oggi ricadute economiche localmente consistenti. In questo contesto, la crescente domanda di fruizione di ambienti naturali da parte del grande pubblico, alla quale è collegata la richiesta di prodotti tipici del territorio, ha spinto la Regione Piemonte ad acquisire, a partire dagli anni ’90, le informazioni necessarie per una pianificazione integrata dell’utilizzo degli spazi montani. Il Piano Forestale Regionale (L.R. 4/2008) con al suo interno i Piani Forestali Territoriali e Aziendali, la Banca Dati sugli Alpeggi e i Tipi Pastorali delle Alpi piemontesi (Cavallero et Al., 2007) sono una base conoscitiva costituita da dati spazialmente riferibili sulla quale fondare la successiva pianificazione forestale e pastorale. Nell’ambito degli strumenti previsti dal Regolamento CE 1698/2005 e successive modifiche, il PSR (Programma di Sviluppo Rurale) 2007-2013 prevede, relativamente all’asse II – misura 214 (pagamenti agro-ambientali), una serie di azioni specifiche volte alla conservazione della biodiversità, alla tutela del suolo, del paesaggio e delle risorse idriche dei sistemi pascoli estensivi (misura 214.6). Le azioni di base previste dalla misura 214.6/1 (compensate con un premio di 40 € anno-1 ha-1 di superficie gestita) mirano a contrastare la tendenza alla concentrazione della produzione zootecnica nelle aree di pianura, e a valorizzare la funzione della zootecnia per la conservazione delle zone rurali marginali, promuovendo lo sviluppo in pianura, collina e montagna di sistemi pascolivi basati sull’estensivizzazione della produzione agricola che può avere effetti positivi sull’ambiente e sul paesaggio. Oltre a tali azioni, il PSR 2007-2013, introduce, attraverso la misura 214.6/2, il Piano Pastorale Aziendale (PPA) come strumento per la conservazione delle risorse pastorali d’alpeggio e, indirettamente, degli ambienti della montagna piemontese, la loro valorizzazione produttiva, ambientale, paesaggistica e fruitiva, prevedendo un premio aggiuntivo, rispetto alla misura 1, di 60 € anno-1 ha-1 di superficie gestita per un massimo di cinque anni. In questo lavoro è presentato per la prima volta il Piano Pastorale Aziendale così come organizzato per inserirsi nel contesto normativo nel quale le aziende pastorali operano e sono sintetizzate le ricadute derivanti dalle prime applicazioni nelle Alpi piemontesi. Il Piano Pastorale Aziendale Il PPA è lo strumento professionale che definisce i criteri per la corretta gestione pastorale delle superfici montane a prevalente utilizzazione pascoliva, dove con gestione pastorale s’intende la predisposizione e la messa in atto di azioni volte a ottenere annualmente, con erbivori pascolanti, una produzione economicamente soddisfacente e, a medio e lungo termine, la conservazione e il miglioramento delle risorse pastorali utilizzate. La redazione di un PPA implica l’acquisizione di una serie di elementi conoscitivi di base, comuni a tutti gli obiettivi gestionali ipotizzabili, successivamente utilizzati nella fase di pianificazione, basata sugli obiettivi specifici posti dalla domanda di gestione da parte dell’azienda pastorale richiedente. Gli elementi conoscitivi di base comprendono: (i) definizione del territorio oggetto del piano, costituita dall’elenco delle particelle catastali (con i relativi dati catastali) per le quali l’azienda possiede titolo 65


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d’uso e dalla carta con indicazione dei confini di alpeggio/tramuti; (ii) descrizione delle caratteristiche fisiche e climatiche e delle condizioni di accessibilità del territorio, finalizzata a evidenziare gli elementi che possono condizionare le scelte gestionali, corredata di idonea cartografia; (iii) analisi di dettaglio delle risorse vegetazionali, basata sul rilievo fitopastorale da eseguire su una griglia a maglia 150 x 150 m, finalizzata a classificare i rilievi in gruppi ecologici, tipi e facies pastorali secondo quanto proposto ne “I tipi pastorali delle Alpi piemontesi” (Cavallero et al., 2007); l’analisi è corredata della cartografia della vegetazione pastorale attuale, comprensiva della rappresentazione delle superfici non utilizzabili, con indicazione dei punti di rilievo; (iv) analisi della gestione attuale e pregressa dell’alpeggio, con riferimento a strutture, infrastrutture e viabilità (con elementi funzionali alla gestione) e all’organizzazione produttiva (orientamenti produttivi, animali utilizzatori, tecniche di pascolamento e gestione delle restituzioni, tecniche di mungitura, pratiche agronomiche e pastorali di gestione e di miglioramento); (v) valutazione delle potenzialità pastorali ovvero dei carichi potenziali, ammissibili e consigliati per ciascuna superficie minima a vegetazione omogenea; (vi) confronto tra lo stato attuale e potenziale dell’alpeggio, evidenziando le corrette scelte gestionali, gli errori tecnici gestionali e i vincoli esistenti al cambiamento. La pianificazione, predisposta in funzione delle effettive possibilità di applicazione da parte dell’azienda richiedente, si compone di: (i) proposte di gestione dell’alpeggio (definizione degli obiettivi gestionali generali rispetto alla situazione attuale e degli obiettivi specifici per le differenti aree pascolive: conservazione, miglioramento, recupero, evoluzione naturale); (ii) localizzazione delle strutture e infrastrutture con indicazione delle esigenze di adeguamento; (iii) organizzazione della gestione (definizione di sezioni di pascolo, periodi di utilizzazione ottimali, carichi ammissibili per sezioni di pascolo, tecniche di pascolamento, dislocazione dei punti di abbeverata, riposo diurno e notturno, integrazione salina e mungitura); (iv) indicazione della priorità degli interventi; (v) piano economico con la valutazione del costo delle proposte, in funzione di obiettivi, risorse già eventualmente disponibili, esigenze e possibilità del gestore. La valutazione del PPA è realizzata mediante un’istruttoria durante la quale le Provincie o le Comunità Montane delegate verificano la congruità e l’applicabilità delle proposte gestionali e che termina con l’autorizzazione all’avvio della fase operativa. Successivamente all’applicazione l’Agenzia Regionale per le Erogazioni in Agricoltura (ARPEA) corrisponde i premi previsti con verifiche a campione dell’effettiva e corretta attuazione del piano. Ricadute dei PPA L’attuazione dei primi PPA ha avuto immediate ricadute positive sul sistema pastorale, quali l’allungamento a cinque anni delle concessioni per gli alpeggi al fine di consentire alle aziende richiedenti di beneficiare interamente dei contributi, aumentando la propensione a investimenti di medio termine. L’incentivazione della pratica del pascolamento turnato dovrebbe apportare benefici alla vegetazione, pur essendo necessario un monitoraggio degli effetti dei cambiamenti gestionali, in particolare negli alpeggi dove questa tecnica è di nuova introduzione. L’introduzione del piano, con la quantificazione delle superfici pascolabili e della composizione vegetazionale offre la possibilità di valorizzare le produzioni animali tramite i catasti pastorali (Cavallero et al., 2008). Infine l’offerta di corsi professionalizzanti, attuati contestualmente all’attivazione della misura 214.6/2, aumenta la qualificazione degli agronomi e dei forestali incaricati della redazione, che inserendo i dati conoscitivi nelle banche dati regionali contribuiranno a migliorare la conoscenza del territorio pastorale regionale.

Bibliografia Cavallero A. et al. 2007. I tipi pastorali delle Alpi piemontesi. Alberto Perdisa Editore, Bologna, 467 pp. Cavallero A. et al. 2008. Catasto Pastorale degli alpeggi della Val Pellice. Regione Piemonte, Torino, 312 pp. IPLA S.p.A. 2008. Banca dati degli alpeggi. Regione Piemonte, Torino, CD rom ISTAT 2007. [http://agri.istat.it]. Regione Piemonte - CSI 2007. Anagrafe Agricola Unica: [http://www.sistemapiemonte.it/agricoltura/banche_dati].

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Approccio Partecipativo per lo Sviluppo Integrato e la Gestione delle Zone Marginali in Nord Africa: Progetto Dimostrativo di Lotta alla Desertificazione in Marocco e Tunisia Maurizio Mulas1,2, Davide Bellavite2, Marcello Lubino2, Oumelkheir Belkheiri2, Giuseppe Enne2 1

Dipartimento di Economia e Sistemi Agrari e Forestali, Università di Sassari, IT, mmulas@uniss.it 2 Nucleo Ricerca sulla Desertificazione (NRD), Università di Sassari, IT, nrd@uniss.it

Introduzione Nelle zone aride e semiaride, l’agricoltura e la pastorizia rappresentano fondamentali risorse per la sussistenza delle popolazioni locali. Nonostante la loro importanza strategica, in queste aree, le produzioni risultano sovente limitate e irregolari, manifestando un grosso limite allo sviluppo delle attività agropastorali. Gli ecosistemi dei territori interessati si presentano spesso fragili, a causa dell’azione combinata di fattori climatici e delle attività umane. L'aratura e la rimozione indiscriminata della vegetazione, insieme all’irregolarità e all’insufficienza delle piogge sono spesso responsabili di fenomeni di degrado dei suoli, distruzione su grande scala della copertura vegetale e desertificazione. La crescente domanda di foraggio per gli allevamenti, di gran lunga superiore alla produttività dei pascoli (Le Houerou, 1990; 2000), ha provocato un aumento della pressione sul pascolo e la messa in coltura ad orzo di terre tradizionalmente adibite esclusivamente a pascolo, causando una accelerazione dei fenomeni di degrado del suolo (Abu Zenat et al. 2004). Inoltre, si è evidenziato un impoverimento qualitativo dei pascoli, dove le specie di alto valore foraggero sono spesso sostituite da piante meno produttive, meno appetibili e meno nutrienti di quelle originali (Juneidi and Abu-Zanat, 1993). In questo contesto, l’impianto di arbusti foraggeri garantisce la copertura vegetale del suolo, offrendo protezione contro l’erosione e rappresenta una potenziale risorsa di foraggio e legna da ardere (Mulas e Mulas, 2004). Le specie Opuntia ficus indica, particolarmente tollerante all’erosione idrica ed eolica (Nefzaoui et al. 2000), e Atriplex nummularia, perfettamente adatta ai climi mediterranei aridi o semiaridi (Hyder ed Akil, 1987), sono le più impiegate nelle regioni del Nord Africa e Medio Oriente. In questo lavoro si riportano i risultati di un intervento di sviluppo integrato, basato sull’impianto di Opuntia ficus indica e Atriplex sp.pl., nell’ambito del progetto europeo SMAP II “Demonstration Project on Strategies to Combat Desertification in Arid Lands with Direct Involvement of Local Agropastoral Communities in North Africa ” coordinato da NRD-UNISS e realizzato in aree aride e semiaride degradate di Marocco e Tunisia. Metodologia L’iniziativa, a carattere dimostrativo, aveva come principale obiettivo la mitigazione di fenomeni di degrado del suolo e di desertificazione in pascoli degradati del Marocco e della Tunisia e di incremento della loro produttività. L’intervento è stato condotto impiegando una metodologia basata su tre livelli: (i) interventi diretti su pascoli degradati ed aumento della loro produttività attraverso l’utilizzo di specie foraggere arbustive perenni (Opuntia sp. pl. e Atriplex sp. pl.). In Marocco sono stati impiantati 2000 ha di Atriplex sp. pl. e 62 ha di Opuntia sp. pl., mentre in Tunisia 2000 ha di Opuntia spp, 457 ha di Acacia e 44 ha di Atriplex; (ii) attività di formazione e implementazione di studi specifici sulle aree di progetto, atti a rafforzare le capacità di tutti gli stakeholder coinvolti nelle attività di progetto; (iii) viaggi di scambio tra i due Paesi, attività dimostrative, di sensibilizzazione e disseminazione dei risultati del progetto a livello locale, nazionale e internazionale, attraverso il coinvolgimento di istituzioni quali l’Unione Maghreb Araba (UMA) e l’Osservatorio del Sahara e del Sahel (OSS). In questo modo si è

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inteso promuovere e rafforzare uno scambio di know-how e competenze sulle tematiche affrontate dall’iniziativa sia a livello Sud/Sud che Nord/Sud. Risultati L’impianto delle foraggere arbustive nei contesti considerati ha permesso di conseguire risultati concreti e misurabili a livello locale già nell’arco di durata del progetto: - miglioramento dello stato del suolo e della quantità e qualità delle specie spontanee erbacee: aumento della percentuale di carbonio organico nel suolo da 0.45% a 0.70%, decremento della conducibilità elettrica, incremento della quantità di azoto e del pH sotto chioma, conseguente riduzione dei fenomeni di erosione eolica per l’azione frangivento di Atriplex spp. e Opuntia spp.; - aumento della produzione foraggera (da 216 a 718 UF/ha in Marocco); - produzione di frutti di fico d’India per il consumo diretto e/o commercializzazione; - miglioramento della professionalità dei tecnici delle istituzioni locali, degli allevatori e delle donne, attraverso l’organizzazione di 120 sessioni di formazione che hanno coinvolto nei 5 anni di progetto un totale di 992 allevatori nei due paesi, di cui 400 donne e hanno portato alla formazione di 6 cooperative femminili per alfabetizzare e coinvolgere le donne rurali in attività generatrici di reddito. Altri benefici effetti sono previsti nel medio e lungo termine, come il miglioramento della produzione animale, l’ulteriore miglioramento della fertilità del suolo, il coinvolgimento di un più ampio numero di allevatori e l’aumento delle superfici impiantate. Le azioni di disseminazione a livello nazionale ed internazionale sono state attuate attraverso l’organizzazione di workshop che hanno dato una grande visibilità all’intervento. L’azione dimostrativa è divenuta così un modello di sviluppo già adottato dai governi marocchino e tunisino. Conclusioni Il conseguimento dei risultati è stato attribuito in larga misura all’approccio partecipativo scelto, che ha coinvolto le popolazioni locali sin dalla fase di progettazione della proposta. Il continuo confronto con gli stakeholder ha permesso di modulare le azioni di formazione tecnica che hanno rappresentato un punto di forza per il follow-up post progetto, che ha permesso di valorizzare appieno la non trascurabile dotazione di strutture e mezzi messa a disposizione dal progetto. Il capitale relazionale associato al modello organizzativo cooperativo in Marocco e associazionistico in Tunisia, promosso attraverso le azioni di progetto, ha permesso di dare alle nuove organizzazioni un ruolo di rappresentanti delle comunità locali e di interlocutori con i governi locali, nella prospettiva di regolare l’utilizzazione dei pascoli e la gestione sostenibile degli impianti realizzati.

Bibliografia Abu-Zanat M W. et al. 2004. Increasing range production from fodder shrubs in low rainfall areas. Journal of Arid Environments, 59:205-216 Hyder, J.Z. and Akil, B. 1987. Establishment of exotic Atriplex species under irrigated and non-irrigated conditions in central Saudi Arabia. Pakistan Journal of Agricultural Research, 8:184–190. Juneidi J.M., Abu-Zanat M. 1993. Jordan agricultural sector review: low rainfall zone, Agricultural Policy Analysis Project, Phase II (APAP II), USAID, Amman, Jordan. Le Houerou, H.N., 1990. Agroforestry and sylvopastoralism to combat land degradation in the Mediterranean basin: old approaches to new problems. Agricultural Ecosystems and Environment, 33:99–109. Le Houerou, H.N. 2000. Restoration and Rehabilitation of Arid and Semiarid Mediterranean Ecosystems in North Africa and West Asia: A Review. Arid Land Research and Management, 14:3-14. Mulas M., Mulas G. 2004. Utilizzo strategico di piante dei generi Atriplex e Opuntia nella lotta alla desertificazione. Scientific review , http://desa.uniss.it/mulas/desertIT.pdf Nefzaoui A., Ben Salem H. 2000. Opuntia: a strategic fodder and efficient tool to combat desertification in the WANA Region. CACTUSNET Newsletter: 2-24.

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POSTER



SESSIONE I – AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI



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Differenze nella Resa e nel Contenuto di Glicosidi dello Steviolo tra Diverse Accessioni di Stevia Rebaudiana Bert Luciana G. Angelini, Silvia Tavarini Dipartimento di Agronomia e Gestione dell'Agroecosistema, Univ. Pisa, IT, angelini@agr.unipi.it

Introduzione Stevia rebaudiana Bert. è una Composita poliennale, originaria delle regioni al confine tra Paraguay e Brasile, e rappresenta una valida fonte di diterpeni glicosilati (stevioside, steviolbioside, rebaudioside A, B, C, D, E, F, e dulcoside A) (Geuns, 2003) utilizzabili come dolcificanti ipocalorici. Tra i diterpeni glicosilati, lo stevioside è il più abbondante, seguito dal rebaudioside A, dalle migliori caratteristiche organolettiche. La quantità e la proporzione tra i diversi glicosidi non è stabile, ma dipende dall’età, dallo stadio di sviluppo e dalle caratteristiche genetiche della pianta. Stevia rebaudiana e gli steviolglicosidi sono stati oggetto di vari studi sulla base dei quali si è giunti all’immissione nel mercato in diversi Paesi del mondo, di estratti a diverso titolo di stevioside e rebaudioside A come dolcificanti intensivi, ipocalorici ed acariogeni per alimenti e bevande. Al fine di valutare il livello di resa e il contenuto di steviol-glicosidi e il loro rapporto, diversi genotipi di Stevia sono stati confrontati e analizzati in diversi momenti del ciclo. Metodologia Sono stati posti a confronto diversi genotipi (NU, RG, CO, MI) di origine brasiliana e paraguayana. Il materiale vegetale (NU e RG) è stato riprodotto agamicamente mediante porzioni di talea di fusto prelevate dalle piante madri nell’autunno dell’anno precedente. Le piantine ottenute da seme (CO) sono state seminate nella primavera/estate precedente in contenitori alveolati e mantenute in condizioni ottimali in serra fino al trapianto. Le piante MI, micropropagate sono state trasferite ex vitro nell’autunno precedente su un substrato selezionato così da permettere un adeguato sviluppo. Tutte le piante sono state poste nelle stesse condizioni e mantenute in serra fino al momento del trapianto avvenuto nella primavera del 2009. Nove piante di ciascun genotipo sono state poste all’interno di contenitori della superficie di 1 m2 e profondi 1 m replicati quattro volte, contenenti terreno di medio impasto e di buona fertilità. Prima dell'impianto è stato distribuito sia concime organico (1200 kg/ha), che minerale (150-50-80 kg/ha di N-P-K). Le piante sono state mantenute in condizioni ottimali di disponibilità idrica e campionate in diversi momenti del ciclo. Le principali caratteristiche biometriche e produttive sono state determinate su 5 piante presenti nella parte centrale di ciascun contenitore. La quantificazione dei principali steviol-glicosidi è stata effettuata mediante HPLC, in accordo con i metodi riportati da Kolb et al. (2001) e da Hearn e Subedi (2009), con opportune modifiche. Lo stevioside e il rebaudioside A sono stati quantificati mediante standard esterni, mentre il rebaudioside C tramite la curva di calibrazione dello stevioside, corretto per il proprio peso molecolare. Risultati I genotipi NU e CO si sono dimostrati più produttivi in termini di sostanza secca totale. I genotipi CO e MI sono caratterizzati da un portamento meno ramificato, in particolare il genotipo CO si è distinto per un fusto principale molto sviluppato in spessore e con ramificazioni che si dipartono dalla parte medioalta del fusto. Le piante MI ottenute mediante micropropagazione hanno presentano la minore produzione in foglie (Tabella 1). I risultati ottenuti dalla determinazione quanti-qualitativa degli steviolglicosidi presenti nelle foglie dei genotipi in prova, mettono in evidenza un significativo effetto delle caratteristiche genetiche sia sul contenuto di rebaudioside A che di stevioside, che del loro rapporto può essere considerato una buona misura qualitativa della dolcezza (Tabella 2). Il rebaudioside C è presente in quantitativi maggiori nel genotipo NU mentre in MI non è stato possibile determinarlo in quanto presente in tracce. Anche l’epoca di raccolta gioca un ruolo importante nella definizione dei quantitativi dei glicosidi presenti nelle foglie. Dai campionamenti effettuati durante la stagione di crescita da luglio ad ottobre possiamo notare come i genotipi NU e CO siano in grado di mantenere valori più elevati nel 73


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tempo sia di stevioside e rebaudioside A rispetto agli altri genotipi (Figura 1). Contrariamente in RG si assiste ad un brusco decremento nel tempo dei due glicosidi. Tabella 1. Caratteristiche biometriche e produttive (valori medi ± deviazione standard) in diversi genotipi di Stevia rebaudiana, ottenuti mediante propagazione agamica (talea e micropropagazione) e per seme nei rilievi effettuati il 2 settembre. Genotipo/ tipo di propagazione NU talea RG talea MI micropropagato CO seme

altezza cm 75.00 ± 2.83 a 60.67 ± 4.04 a 67.67 ± 5.69 a 70.33 ± 7.02 a 68.42 ± 5.99

ramificazioni n./pianta 19.50 ± 3.60 a 16.00 ± 9.54 b 9.33 ± 2.52 c 8.50 ± 0.71 c 13.33 ± 5.31

N.S.

*

PS totale PS foglie Indice di g/pianta g/pianta raccolta 208.39 ± 24.38 a 103.69 ± 22.09 a 0.50 b 122.07 ± 27.18 b 73.21 ± 20.21 b 0.60 a 118.03 ± 23.48 b 62.67 ± 12.07 c 0.53 b 166.89 ± 22.89 a 83.83 ± 22.50 b 0.50 b 153.85 ± 42.57 80.85 ± 17.51 0.53 ± 0.05

Media Significatività (DMS P≤0.05)

**

**

*

Tabella 2. Contenuto medio (± deviazione standard) di stevioside e rebaudioside A (espresso come percentuale sulla sostanza secca fogliare) nelle foglie dei diversi genotipi di Stevia rebaudiana, nei rilievi effettuati il 2 settembre. Genotipo/ tipo di propagazione NU talea RG talea MI micropropagato. CO seme Media Significatività (DMS P≤0.05)

Stevioside % 6.98 ± 0.25 a 5.37 ± 0.15 b 5.35 ± 0.04 b 6.75 ± 0.58 a 6.11 ± 0.87 *

Rebaudioside A % 4.88 ± 0.25 a 2.30 ± 0.04 b 2.85 ± 0.31 b 4.29 ± 0.79 a 3.58 ± 1.21 **

Rebaudioside A/stevioside 0.70±0.02 a 0.43±0.01 b 0.53±0.02 b 0.64±0.03 a 0.58± 0.12 *

Rebaudioside C % 1.34±0.13 1.07±0.06 n.d. 0.77±0.08 1.06± 0.29 -

Figura 1. Contenuto medio (± deviazione standard) di stevioside e rebaudioside A (espressi come percentuale sulla sostanza secca fogliare) nelle foglie dei diversi genotipi di Stevia rebaudiana raccolte in tre diversi momenti della stagione di crescita.

Conclusioni Questa indagine condotta su diversi genotipi allevati in analoghe condizioni di crescita ha permesso di valutare differenze nel contenuto di glicosidi dello steviolo e del loro rapporto. Le variazioni significative nel contenuto di stevioside e rebaudioside A osservate durante la stagione di crescita ci consentono di definire per ogni genotipo l’epoca ottimale di raccolta in relazione al contenuto di rebuadioside A e stevioside. Bibliografia Hearn L.K., Subedi P.P. 2009. Determining levels of steviol glycosides in the leaves of Stevia rebaudiana by near infrared reflectance spectroscopy. J. Food Comp. Anal., 22:165-168. Kolb N. et al. 2001. Analysis of sweet diterpene glycosides from Stevia rebaudiana: improved HPLC method. J. Agric. Food Chem., 49:4538-4541. Geuns J.M.C. 2003. Stevioside. Phytochem., 64:913-921.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Qualità dei Prodotti Ottenuti da Spremitura Meccanica di Semi di Jatropha curcas L. non Tossica Mario Baldini, Elena Bulfoni, Francesco Danuso, Alvaro Rocca Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Univ. Udine, IT, baldini@uniud.it

Introduzione La Jatropha è attualmente considerata da molti governi, enti pubblici e imprenditori di Paesi tropicali come la più promettente tra le nuove colture destinate alla produzione di biocombustibili (King et al., 2009). Ciò nonostante, la potenzialità della coltura rimane solo parzialmente sfruttata; infatti, l’utilizzazione più appropriata del panello di jatropha ottenuto dall’estrazione dell’olio, risulta di cruciale importanza per la sostenibilità di sistemi di produzione di biocombustibili basati su questa coltura. L’alto valore nutrizionale di questo panello è ben noto (Martınez-Herrera et al., 2006), ma il suo utilizzo come mangime è limitato a causa della presenza di composti tossici, tra i quali i phorbol esteri (PE), che sono no degradabili con alte temperature e danno effetti tossicologici sugli animali anche a bassissime concentrazioni. Proprio per i motivi sopra accennati, piante prive di phorbol esteri, già presenti in alcune aree del Messico (Makkar et al., 1998), potrebbero assumere notevole importanza se adeguatamente sfruttate. I semi di Jatropha curcas non tossica sono stati analizzati in questo studio quali possibili materie prime per l’ottenimento di olio vegetale ad utilizzo energetico e panello a destinazione zootecnica, e confrontati con girasole e colza, focalizzando l’analisi sulla qualità dei prodotti ottenuti utilizzando una macchina spremitrice a freddo per produzioni a livello aziendale. Metodologia La sperimentazione è stata svolta utilizzando semi di Jatropha curcas, proveniente da piante coltivate a Cuautla, nello stato di Morelos, Messico e semi di girasole e colza (tipo standard) provenienti da coltivazioni Italiane. Le prove sono state condotte presso l’azienda sperimentale dell’Università di Udine utilizzando una macchina spremitrice “MPS 60 MT” (Mailca). Una volta stabilizzati i parametri di processamento (flusso dei semi e temperature), è iniziata l’attività di spremitura dei semi che si è protratta per 30 minuti per ogni specie, durante i quali sono stati fatti i prelievi di campioni di olio e panelli di spremitura. Oltre ai principali parametri del processo di spremitura, sono stati determinati la composizione in acidi grassi degli oli, la composizione chimica dei panelli e il contenuto in phorbol esteri mediante HPLC. É stata inoltre valutata la qualità degli oli vegetali come carburanti secondo la normative DIN V 51605, che riporta le specifiche tecniche degli oli vegetali e dei grassi ad uso energetico e ad oggi seguite da tutti i costruttori europei di motori endotermici (trattrici e cogeneratori). Risultati Riguardo ai principali parametri di processamento, con girasole e jatropha si sono ottenute le più alte performance di estrazione (77.6 e 76.4, rispettivamente), ma, nella seconda, la più bassa capacità di produzione oraria di olio (6.2 kg/ora). Ciò è dovuto alle grandi dimensioni del seme di jatropha in confronto agli elementi della testa di spremitura, interferendo negativamente sul flusso di seme in entrata (21.2 kg/ora). Le caratteristiche nutrizionali del panello estruso di jatropha sono risultate molto simili a quelle del girasole, ma con minor contenuto in olio (11.5 %), che ne aumenta la conservabilità, diminuendo i rischi di ossidazione, ed un maggior contenuto di fibra grezza (39.1 %), caratterizzata da un’elevata frazione di lignina (30.3 %) tipica della struttura del guscio (Tab.1). Tutti i panelli estrusi delle specie analizzate sono caratterizzati da elevati livelli di importanti elementi minerali, tra i quali calcio, magnesio fosforo e potassio, tra i quali l’ultimo, particolarmente richiesto nell’alimentazione dei bovini da carne, è risultato molto elevato nell’estruso di jatropha (15,000 mg/kg). Riguardo alle caratteristiche fisico-chimiche degli oli grezzi e destinati all’utilizzazione energetica, due sono stati i parametri che si discostavano dai limiti standard della normativa DIN V 51605: l’acidità dell’olio di jatropha (10.2 mg KOH/g contro i 2 mg KOH/g previsti come limite massimo), il cui valore potrebbe 75


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essere abbassato semplicemente migliorando le condizioni di essiccamento e stoccaggio dei semi, ed il contenuto di fosforo negli oli di colza e jatropha (29.5 e 64.1 mg/Kg, rispettivamente, contro i 12 mg/Kg previsti come limite massimo) (Tab.2). Le temperature elevate raggiunte dall’olio durante la fase di spremitura (59.6 e 49.8 °C, per jatropha e colza rispettivamente) potrebbero aver determinato un’elevata co-estrazione dei fosfolipidi delle membrane, determinando un loro passaggio nell’olio. Tabella 1. Composizione chimica dei panelli estrusi.

Specie

S.S. (%)

Fibra grezza (%)

Proteina grezza (%)

Estratto etereo (%)

Ceneri (%)

Estrattivi inazotati (%)

NDF (%)

ADF (%)

ADL (%)

Colza

92.2

13.1

29.1

20.1

6.0

23.9

29.6

21.0

10.1

Girasole

91.5

33.0

25.6

16.2

5.5

11.2

45.6

37.6

14.8

Jatropha

91.2

39.1

24.4

11.5

6.4

9.8

56.2

48.4

30.3

Tabella 2. Principali caratteristiche degli oli grezzi. Specie

Contenuto in acqua (%)

Indice di acidità (mgKOH/g)

Contaminazione totale (mg/kg)

Densità (15°C) (kg/m3)

Fosforo (mg/kg)

Ceneri (% m/m)

Rapeseed

0.05

3.8

0.05

920.0

29.5

0.003

Sunflower

0.07

1.5

0.01

915.1

7.8

0.011

Jatropha

0.09

10.2

0.01

920.5

64.1

0.013

DIN V 51512

<0.075

<2

<24

> 850

< 12

<0.01

Conclusioni Il contenuto di olio nei semi (35,4%) di Jatropha a bassi antinutrizionali ha dimostrato livelli paragonabili a quelle di altre colture oleaginose, mentre per quanto riguarda le caratteristiche qualitative, l’indice di acidità ed il contenuto di fosforo rendono difficile un utilizzo diretto dell’olio grezzo tal quale come biocombustibile a livello di azienda. Al contrario, non si intravedono difficoltà per una destinazione successiva di tale olio grezzo per la sua trasformazione in biodiesel. Il panello estruso di Jatropha non tossica è risultato del tutto analogo a quello del girasole da un punto di vista delle caratteristiche chimico-fisiche e nutrizionali. Ciò nonostante, sarebbe auspicabile un miglioramento del valore nutrizionale e della digeribilità mediante un aumento del contenuto proteico e un abbassamento del contenuto di fibra, per renderlo competitivo con il panello di soia, adottando la decorticazione dei semi, almeno parziale. L’adozione di quest’ultima, però, impone un’adeguata valorizzazione dei gusci ottenuti, che al momento vengono principalmente utilizzati per combustione, ma che per consentire una maggior sostenibilità economica dell’intero sistema jatropha-biocarburanti dovrebbero essere maggiormente valorizzati ad esempio come substrati per la produzione di bioetanolo, acido lattico e altri bioprodotti o compost (Martin et al., 2010). Bibliografia King et al. 2009. Potential of Jatropha curcas as a source of renewable oil and animal feed. Journal of Experimental Botany, 60: 2897–2905. Martınez-Herrera et al. 2006. Chemical composition, toxic/antimetabolic constituents, and effects of different treatments on their levels, in four provenances of Jatropha curcas L. from Mexico. Food Chemistry, 96:80–89. Makkar et al. 1998. Comparative evaluation of non-toxic and toxic varieties of Jatropha curcas for chemical composition, digestibility, protein degradability and toxic factors. Food Chemistry, 62: 207–215. Martin et al. 2010. Fractional characterisation of jatropha, neem, moringa, trisperma, castor and candlenut seeds as potential feedstocks for biodiesel production n Cuba. Biomass and Bioenergy, 34:533-538.

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Gestione della Concimazione Azotata per il Raggiungimento degli Obiettivi Tecnologici di Differenti Categorie Qualitative di Frumento Tenero Massimo Blandino1, Mattia Ciro Mancini1, Valentina Sovrani1, Patrizia Vaccino2, Rosita Caramanico2, Amedeo Reyneri1 1 2

Dip. di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Univ. Torino, IT, massimo.blandino@unito.it Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - CRA-SCV, sez. S. Angelo Lodigiano, IT

Introduzione Il mercato richiede lotti omogenei di frumento rispondenti agli standard qualitativi di ciascuna categoria merceologica. Per una determinata varietà, la qualità dipende in primo luogo dal contenuto proteico che, tuttavia, è fortemente influenzato dall’annata e dall’ambiente di coltivazione. Pertanto, difficilmente le produzioni rispondono alle caratteristiche tecnologiche richieste da molini e industrie di trasformazione. La scelta varietale, la dose e le modalità di concimazione azotata sono tra le pratiche colturali quelle che maggiormente influenzano la qualità delle produzioni (Saint Pierre et al., 2008). L’obiettivo di questo studio è stato quello di individuare la migliore gestione della fertilizzazione azotata al fine di raggiungere la qualità richiesta per le diverse categorie merceologiche. Metodologia Sei campi sperimentali sono stati allestiti in tre località in Piemonte nelle campagne agrarie 2007-2008 e 2008-2009. Sei cultivar di frumento, due per ciascuna categoria qualitativa, secondo l’Indice Sintetico di Qualità - ISQ (Foca et al., 2007) sono state messe a confronto. Per ogni cultivar sono stati confrontati i trattamenti di concimazione azotata riportati in Tab. 1 e specifici per ogni categoria qualitativa, secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni. La granella raccolta è stata analizzata per il peso ettolitrico, il contenuto proteico, l’hardness e i parametri alveografici (W e P/L) e la stabilità dell’impasto con il farinografo di Brabender. Tabella 1. Strategie di concimazione azotata per ciascuna categoria qualitative di frumento tenero (kg N ha-1) Tipo di concime Momento di applicazione * frumento biscottiero B1 B2 B3 B4 B5 frumento panificabile P1 P2 P3 P4 P5 frumento di forza F1 F2 F3 F4 F5

Nitrato ammonico GS 23 GS 31 GS 45

Non a pronto effetto GS 23

Concime fogliare GS 62

50 50 50 -

50 80 120 -

-

130

-

50 50 50 -

80 80 120 -

40 40 40

130

-

50 50 50 50

80 80 100 80

40 60 -

-

5

*GS: stadio di crescita secondo la scala BBCH.

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Risultati In tutti i casi il testimone non concimato (B1, P1, F1) ha prodotto significativamente di meno rispetto alle tesi concimate, che tra loro non si sono significativamente differenziate (Tab. 2). L’hardness è risultato correlato con la dose di N e significativamente influenzato dalla concimazione in botticella (GS45). Per i grani biscottieri, dal momento che il contenuto proteico e W sono risultati sempre superiori ai valori desiderati per questa categoria merceologica, la miglior strategia risulta quella con una più bassa dose di N (B2) o con un unica applicazione di un concime non a pronto effetto. Per i frumenti panificabili la distribuzione di azoto in botticella (P3, P4, P5) ha determinato un significativo aumento del contenuto proteico e dei valori di W e stabilità. Per i frumenti di forza si conferma l’effetto positivo esercitato dalla concimazione in botticella (F3, F4), con un aumento significativo del contenuto proteico rispetto alla tesi F2. L’applicazione di un concime fogliare in fioritura (GS62) in sostituzione della concimazione minerale in botticella ha ancora aumentato in modo significativo il contenuto proteico rispetto a F2, mentre non si sono osservate differenze per W e stabilità. Tabella 2. Effetto delle modalità di concimazione azotata su produzione, peso ettolitrico, hardness, contenuto proteico e parametrici alveografici e farinografici per ciascuna categoria qualitativa. Trattamento

Produzione (t ha-1)

Peso ettolitrico (kg hl-1)

Hardness

Proteina

W

P/L

Stabilità

-4

(%) (J 10 ) (mm) biscottieroa < 10.0 < 110 < 0.5 <4 B1 3.9 b 72.0 a 15.3 b 12.2 c 131 bc 0.40 a 2.6 b B2 5.6 a 71.4 a 14.8 b 12.4 bc 120 c 0.45 a 2.9 b B3 5.8 a 71.4 a 17.5 ab 12.7 b 137 b 0.43 a 2.9 b B4 5.9 a 71.4 a 20.2 a 13.2 a 145 a 0.34 a 5.7 a B5 5.8 a 71.2 a 17.0 ab 12.0 c 128 bc 0.43 a 3.7 ab panificabilea > 11.0 > 200 < 0.7 >6 P1 4.0 b 74.8 a 43.8 b 12.7 b 145 c 0.69 a 1.6 c P2 6.0 a 74.2 a 43.6 b 12.8 b 159 b 0.74 a 2.7 bc P3 6.3 a 74.5 a 48.7 a 13.5 a 190 a 0.73 a 6.5 a P4 6.3 a 74.5 a 49.3 a 13.9 a 194 a 0.63 a 5.2 ab P5 6.1 a 74.5 a 48.8 a 13.5 a 193 a 0.75 a 3.4 b di forzaa > 14.5 > 340 < 0.7 > 16 F1 3.1 b 76.3 a 48.1 b 12.9 d 334 bc 0.87 ab 11.0 c F2 5.2 a 75.7 a 51.3 b 13.3 c 311 c 1.06 a 14.0 b F3 5.3 a 76.1 a 55.2 a 14.1 b 350 b 0.88 ab 18.9 a F4 5.4 a 76.5 a 55.1 a 15.1 a 373 a 0.73 ab 18.7 a F5 5.3 a 76.3 a 55.1 a 14.2 b 314 c 0.68 b 14.5 b a valori di riferimento secondo la tabella ISQ. I dati riportano i valori medi di 2 anni, 3 località e 2 cultivar per ciascuna categoria qualitativa. Valori per ciascuna categoria qualitativa nella stessa colonna, seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti (P<0.05, test SNK).

Conclusioni Questa ricerca conferma come la dose e le modalità di concimazione azotata esercitino un effetto più consistente sulla qualità del frumento che sulla produzione. La migliore concimazione azotata dipende fortemente dall’obiettivo della produzione. Per i frumenti biscottieri l’obiettivo qualitativo risulta essere raggiunto con bassi apporti azotati, non superiori a 100 Kg N ha-1, o con l’impiego di concimi non a pronto effetto. La concimazione allo stadio di botticella risulta essere fondamentale nel determinare la qualità dei frumenti panificabili e soprattutto dei frumenti di forza. Bibliografia Foca G. et al. 2007. Reproducibility of the Italian ISQ method for quality classification of bread wheat: an evaluation by expert assessors. J. Sci. Food Agric., 87:839-846. Saint Pierre C. et al. 2008. White Wheat Grain Quality Changes with Genotype, Nitrogen Fertilization, and Water Stress. Agron J., 100:414-420. 78


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Apporti di Residui Colturali al Terreno nei Sistemi Foraggeri nella Pianura Irrigua del Nord Italia Lamberto Borrelli e Cesare Tomasoni CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi, IT, lamberto.borrelli@entecra.it

Introduzione Negli ultimi decenni si è verificato un radicale cambiamento dell’agricoltura italiana che ha portato ad un’elevata intensificazione dell’attività agricola. L’aumento della produttività delle singole colture ha portato alla semplificazione dei sistemi colturali e, di conseguenza, ad un’elevata specializzazione. Questa tendenza sta suscitando un crescente interesse fra gli studiosi del settore (Accademia Nazionale Agricoltura, 1991), in quanto potrebbe avere effetti nel medio e lungo periodo provocando trend evolutivi negativi sulla produttività e fertilità del terreno, in particolare sul contenuto di sostanza organica (Spallacci et al. 1988, Varvel e Peterson 1990) e sulla sostenibilità delle tecniche agronomiche (Doran et al. 1996). In questa prospettiva va rivalutato il ruolo degli avvicendamenti colturali (Bonciarelli, 1978; Giardini, 1992) e considerata la loro importanza, non esclusivamente da un punto di vista economico ma anche da quello agronomico (Cavazza, 1974), in sintonia con i lenti sistemi attraverso i quali la natura regola la produzione dei campi (Haussmann, 1992). Metodologia La prova è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) sin dal 1985 in un ambiente rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale, con suolo franco-sabbioso fine a reazione sub-acida con dotazione media di N, buona di P e scarsa di K. Il clima è tipico della Regione Padana, sub continentale, sub umida con precipitazione media annuale di 800 mm e temperatura media di 12,2 °C (Borrelli e Tomasoni, 2005). L’esperimento si articola in 5 ordinamenti colturali di tipo cerealicolo-foraggero: R1= annuale: loglio italico + mais trinciato; R3= triennale: loglio italico + mais trinciato – orzo trinciato + mais trinciato – mais da granella; R6= sessennale: loglio italico + mais trinciato (3 anni) – prato avvicendato (3 anni); PP= monocoltura: prato permanente; MM= monosuccessione: mais da granella. Ogni ordinamento è soggetto a due livelli di input, indicati come A e B, rispetto alle agrotecniche più comuni: concimazioni, lavorazioni e diserbi. L’input A fa riferimento ad interventi agronomici ritenuti ordinari, mentre il B, low, vede una riduzione del 30% rispetto all’input A degli interventi agrotecnici. Per quanto riguarda la concimazione chimica dell’input A, in media e per ogni anno i cinque ordinamenti hanno ricevuto complessivamente: (R1) 400-200-220; (R3) 340-170-180; (R6) 260-165170; (PP) 125-150-120 e (MM) 250-100-100 kg ha-1, rispettivamente, di N-P2O5-K2O. Rispetto alla concimazione organica, i quantitativi di letame bovino ben maturo distribuiti per l’input A sono stati: 40, 27, 27, 27, 0 t ha-1, rispettivamente, per R1, R3, R6, PP e MM. Nella monosuccessione di mais da granella (MM) i residui colturali vengono sfibrati ed interrati al momento dell’aratura mentre nella rotazione triennale (R3) vengono asportati. Il disegno sperimentale su base annua è uno strip-split-plot con tre repliche e parcelle da 60 m2 (Onofrii et al. 1993). I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) utilizzando il sistema SAS. La prova è in irriguo con somministrazione di 1000 m3 ha-1 di acqua per turno (14 giorni) senza distinzione tra A e B. Tutti gli interventi colturali sono eseguiti con le normali macchine operatrici in dotazione ad un’azienda agraria. I diversi sistemi vengono comparati in funzione del C org restituito al terreno tramite i residui colturali (radici, colletti, stoppie) misurati nello strato 0-30 cm. Alla raccolta delle colture si è prelevato un cubo di terreno di 30 cm di lato, dal quale dopo ripetuti lavaggi si sono estratti i materiali vegetali residuali delle colture sottoposti a essicazione in stufa a 90° fino al raggiungimento del peso costante.

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Risultati

Nella tabella 1 sono riportate le quantità di residui che le colture lasciano nel terreno alla fine del Coltura Rotazione Input A* Input B* ciclo produttivo e rappresentati Loglio italico R1 1.55 def 1.70 cd dall’insieme delle stoppie colletti e R3-R6 1.46 def 1.65 cd radici, queste ultime prelevate nello strato di terreno di 30 cm. ovvero Mais trinciato R1 2.95 b 3.98 a quello interessato dalle lavorazioni R6 2.67 bc 4.50 a R3 2.12 cd 2.71 bc meccaniche. Le colture condotte con un minor input agrotecnico (input (dopo orzo) R3 1.86 de 3.64 ab B) lasciano un maggior quantitativo Orzo trinc. R3 1.16 ef 1.37 d di residui di circa il 24% rispetto a Prato PP-R6 0.91 f 2.39 cd quelle condotte con le agrotecniche Mais gran. MM-R3 6.21 a 3.98 a ordinarie (input A). Fa eccezione del media 2.32 B 2.88 A mais da granella, a motivo della sua maggiore efficienza nella *A lettere uguali corrispondono medie uguali a P=0.05 per Lsd test produzione della biomassa e capace di massimizzare lo sfruttamento delle risorse ambientali, nel quale le restituzioni sono molto più alte nell’input A, in dipendenza delle stoppie più alte lasciate dopo la raccolta. La più alta quantità dei residui nell’input B è riconducibile ad un elevato sviluppo dell’apparato radicale sollecitato dal minore apporto di nutrienti ad esplorare un maggior volume di terreno. Le colture che lasciano una minore quantità di residui sono quelle autunno-vernine, costituite da piante C3, ed il prato condotto con input A (Tab. 1). Nella Fig. 1 sono evidenziati i quantitativi di residui, considerando il contributo delle varie colture, lasciati nel terreno ogni anno nei diversi sistemi cerealicoli foraggeri. MM nell’input A e R1 nell’input B sono i sistemi colturali che fanno registrare la più elevata restituzione di residui al terreno mentre PP nell’input A quello che ne fa registrare la più bassa in assoluto.

Tabella 1. Residui vegetali (t ha-1 di ss) apportati al terreno dalle colture nello strato 0-30 cm

Conclusioni La riduzione degli input agrotecnici e soprattutto delle fertilizzazioni inducono, alla fine del ciclo colturale, un maggiore sviluppo della biomassa radicale e di conseguenza una maggiore restituzione di materiale organico al terreno. Il mais risulta essere la coltura che apporta la più elevata quantità di residui vegetali in modo particolare se concimato nel modo ottimale. Bibliografia Accademia Nazionale di Agricoltura, 1991. Agricoltura ed ambiente. Edagricole, Bologna, pp.800. Bonciarelli, F., 1978. Agronomia, Edagricole, Bologna. Borrelli, L., Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’ azienda dell’Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere di Lodi, Annali dell’I.S.C.F. vol. IX Cavazza, L., 1974. Il problema dell’avvicendamento delle colture nella moderna agricoltura. Riv. Agron., 8, 5-22. Doran, J. W. et al. 1996. Soil health and sustainability. Adv. In Agron., 56, 1-54. Giardini, L., 1992. Agronomia generale, ambientale e aziendale. Patron Editore, Bologna. Haussmann, G., 1992. L’uomo simbionte. Vallecchi Editore, Firenze. Onofrii, M. et al. 1993. Confronto tra ordinamenti cerealicoli-foraggeri sottoposti a due livelli di input agrotecnico, nella pianura irrigua lombarda. I. Produzioni quanti-qualitativi. Riv. di Agron., 3, 160-172. Spallacci, P. et al. 1988. Effetti di sistemi foraggero-zootecnici su alcuni aspetti della fertilità del terreno. Agricoltura Ricerca, 87, 71-90. Varvel, G.E. and Peterson, A., 1990. Nitrogen fertilizer recovery by corn in monoculture and rotation systems. Agron. J., 82, 935-938. 80


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Effetti di Reflui Zootecnici su Sostanza Organica, pH, Densità Apparente e Infiltrazione dell’Acqua nel Suolo Lamberto Borrelli e Cesare Tomasoni CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi, IT, lamberto.borrelli@entecra.it

Introduzione I reflui zootecnici da sempre ritenuti elementi molto importanti per il mantenimento ed il potenziamento della fertilità, oggi vengono guardati in molti casi come potenziali inquinanti dell’ambiente in senso lato. Negli ultimi decenni si è assistito all’evoluzione dei sistemi foraggeri che hanno consentito di disporre di una grande quantità di unità foraggere. Gli stessi sistemi zootecnici sono andati incontro a profondi cambiamenti che hanno portato alla concentrazione dei capi allevati nelle sempre meno numerose aziende zootecniche in attività. In questa tipologia di azienda devono essere gestite grandi produzioni di reflui, in contrapposizione alle sempre più numerose aziende prive di allevamento, nelle quali possono sorgere problemi per il mantenimento del tenore della sostanza organica o della fertilità agronomica a livello del terreno (Onofrii et al., 1993). Il liquame o liquiletame è il refluo prevalente; rispetto al letame causa maggiori problemi sia gestionali che ambientali per il basso contenuto di sostanza secca per unità di volume, circa 7%. Tale refluo è fonte non trascurabile di macroelementi e le forme di azoto presenti sono più disponibili che nel letame; l’effetto però non si prolunga nel tempo, ma si esaurisce sostanzialmente nell’anno di applicazione. In questo lavoro si vuole indagare sui cambiamenti avvenuti nel terreno dopo 15 anni di prova a livello di sostanza organica (SO) densità apparente (D), pH e infiltrazione dell’acqua (I). Metodologia La prova è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) sin dal 1995 in un ambiente rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale, con suolo franco-sabbioso fine a reazione sub-acida con dotazione media di N, buona di P e scarsa di K. Il clima è tipico della Regione Padana sub umida con precipitazione media annuale di 800 mm e temperatura media di 12,2 °C (Borrelli e Tomasoni, 2005). L’esperimento si articola nell’impiego di due tipologie di reflui zootecnici, letame e liquiletame bovino, somministrati ad un tipico ordinamento colturale foraggero intensivo della zona: loiessa-mais da trinciato in monosuccessione. I reflui zootecnici che vengono impiegati sono quelli prodotti dall’allevamento bovino da latte supportato dall’ordinamento (6 UBA ha-1) e precisamente 66 t ha-1 anno-1 per il letame e 100 m3 ha-1 anno-1 se liquiletame, distribuiti per il 50% in autunno e il 50% in primavera, rispettivamente alla semina della loiessa e del mais. Queste colture ricevono in copertura una concimazione azotata di 75 e 150 kg di N ha-1. Ogni anno l’ordinamento riceve in kg ha-1 complessivamente, 660-317-462 nel caso del trattamento con letame e 475-180-300 nel caso dell’impiego del liquame di N-P2O5-K2O. Gli apporti dei nutrienti sono stati determinati in funzione della composizione media di 0.66 N %, 0.48 % P2O5 e 0.70 % K2O per il letame e di 0.255 % N, 0.18 % P2O5 e 0.30% K2O per il liquame (Ceotto et al. 2006). La prova è in irriguo con somministrazione di 1000 m3 ha-1 di acqua per turno (14 giorni) per le colture estive (mais), tutti gli interventi colturali sono eseguiti con le normali macchine operatrici in dotazione ad un’azienda agraria. Nell’estate del 2009, per ogni parcella, sono stati prelevati con una trivella manuale, dei campioni di terra nello strato 0-30 cm per la determinazione del contenuto in sostanza organica e del pH in H2O. E’ stato inoltre prelevato un campione indisturbato per la determinazione della densità apparente e dell’infiltrazione dell’acqua. I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) e delle correlazioni utilizzando il sistema SAS. 81


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Risultati I risultati della ricerca sono riportati nella tabella 1. Il tasso di SO del terreno è di gran lunga superiore nelle tesi trattate con letame rispetto a quelle con liquame di ben 35%. La variazione di pH, dopo 15 anni di prova, risulta significativa (P=0.05) per le due tipologie di reflui zootecnici in esame con una differenza superiore a 0.2 punti a favore dei terreni letamati. La densità apparente del terreno indisturbato, che è stata rilevata su campioni prelevati alla profondità di 0-30 cm, è più alta del 7% nei terreni che hanno ricevuto il liquame rispetto a quelli letamati (Tab. 1). Tabella 1. Sostanza organica (SO), pH, densità apparente (D) in funzione dell’uso di letame o liquame dopo 15 anni dall’inizio della prova

Trattamento

SO gr kg-1

pH

D t m-3

Letame Liquame significatività

24.7 18.3 P=0.001

6.12 5.73 P=0.05

1.50 1.60 P=0.05

Tra i parametri presi in esame risulta l’alta correlazione inversa tra densità (D) ed il contenuto di SO del terreno. Di quest’ultima sono noti gli Densità effetti positivi sulla struttura e la porosità del suolo. Anche il pH viene positivamente influenzato dalla Sost. organica SO. L’infiltrazione dell’acqua, nei campioni di terreno secco e indisturbato, risulta chiaramente diversa per i due trattamenti (Fig. 1), sia per la capacità che il tempo di saturazione, secondo un’equazione di tipo logaritmica. I terreni trattati con letame assorbono molto di più, circa 0.30 ml di acqua per ogni cm3 di terreno secco e raggiunge la saturazione in meno di 40 minuti (R2= 0.78). Nel caso contrario, quelli trattati con liquame hanno una capacità idrica ridotta, circa 0.23 ml di acqua per ogni cm3 di suolo raggiungendo la saturazione in circa un’ora (R2= 0.62). Tabella 2. Correlazioni tra i parametri esaminati

Sost. org. -0.9784 *** -

pH -07233 ns 0.8387 *

Conclusioni L’indagine dimostra che il terreno, in una monosuccessione loiessa-mais trinciato, trattato per lungo periodo con liquame bovino rispetto a quello che riceve il letame, fa registrare una più bassa dotazione di SO. In tale suolo si osserva la tendenza all’abbassamento del pH e la modifica dello stato fisico con la riduzione della porosità strutturale conseguente al naturale compattamento del terreno. Tale fenomeno comporta la riduzione della capacità idrica ed interferisce sul deflusso superficiale e tempo di corrivazione dell’acqua meteorica causa di ristagni ed erosione del suolo. Bibliografia Borrelli, L., Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’ azienda dell’Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere di Lodi, Annali dell’I.S.C.F. vol. IX Ceotto, E. et al. 2006. Effect of integrated forage rotation and manure management systems on soil carbon storage. In: DIAS report n. 123, 12th Ramiran International Conference, Ed. Søren O. Petersen, vol. II, 29-32 Onofri, M. et al. 1993. Confronto tra ordinamenti cerealicolo-foraggeri, sottoposti a due livelli di input agrotecnico, nella pianura irrigua lombarda. I. Produzioni quanti-qualitative. Riv. Agron., 27:160-172.

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La Micropropagazione di Phragmites australis (Cav.) Trin.ex Steudel L. Valeria Cavallaro1, Antonio Carlo Barbera2, Samuele Pantò2, Simona Tringali1 1

CNR, Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM), UOS di Catania, Str.le V.Lancia, Zona Industriale, Blocco Palma I, 95121 Catania. Email: v.cavallaro@isafom.cnr.it

2

DACPA, Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania. Tel. 095-234465. Fax. 095-234449.

Introduzione Phragmites australis (Cav.) Trin. Ex Steudel L. è una macrofita acquatica diffusa nel bacino del Mediterraneo, largamente usata nei sistemi di fitodepurazione per il suo adattamento a condizioni climatiche anche difficili e ad acque di elevata salinità, per il suo ampio apparato radicale, per la sua capacità di rifornire di ossigeno i batteri attivi nel processo di depurazione. L’auspicato aumento del ricorso a sistemi naturali di depurazione delle acque reflue di origine domestica o industriale al fine del recupero di una preziosa risorsa qual è l’acqua, comporta però un elevato impiego di plantule di questa specie (Barbera et al., 2007). La rapida propagazione della Phragmites risulta tuttavia difficile e onerosa perché può essere effettuata quasi esclusivamente per rizomi e non risulta accettabile ed ecologicamente sostenibile il ricorso alla “predazione” delle piante spontanee anche se abbondanti. La coltura in vitro potrebbe rappresentare pertanto una via alternativa ai metodi tradizionali di moltiplicazione per la propagazione su larga scala della specie in esame. Precedenti tentativi di moltiplicazione della Phragmites tramite micropropagazione sono stati effettuati da ricercatori cinesi (Guo et al., 2004). In questo lavoro si riferiscono i risultati di una prova volta a mettere a punto un protocollo di moltiplicazione in vitro di un ecotipo locale di Phragmites australis. Materiali e metodi Il materiale vegetale è stato prelevato presso l’impianto sperimentale di fitodepurazione sito a San Michele di Ganzaria (37°16’N; 14°25’; 350 m slm - Catania) nella prima decade di giugno del 2008. Porzioni di culmo (1cm di lunghezza) con nodo e primordio di gemma ascellare sono stati scelti per iniziare la coltura in vitro e sterilizzati mediante un lavaggio preliminare sotto acqua corrente, un primo passaggio in cloruro di mercurio (HgCl2, 5 g L-1) x 5 min ed una successiva immersione in NaClO (2,5% di Cl attivo) x 20 min. Dopo disinfezione, gli espianti sono stati lavati per tre volte in H2O sterile sotto cappa a flusso laminare e quindi trasferiti sul substrato S4 (Tab.1) in camera di crescita a 25±1°C e fotoperiodo di 12 ore di luce (3000 lux). Per ogni tesi sperimentale, replicata tre volte, sono stati impiegati 6 espianti. Una volta sviluppatesi la gemma dormiente del nodo, quest’ultima veniva accuratamente escissa e collocata nel substrato di moltiplicazione. Sono stati studiati quattro substrati (S1, S2, S3, S4) per la proliferazione del germoglio (tab.1). Tabella 1. Composizione dei substrati (g L-1) Componenti (quantità)

S1

S2

S3

S4

Macro e Microelementi Vitamine Ormoni Ormoni Saccarosio Agente gelificante

MS Morel BA (0.003) AG3 (0.0005) (30) Agar (7)

MS Morel IBA (0.0001) mT (0.0005) (30) Agar (7)

MS Morel BA (0.003) NAA (0.001) (30) Agar (7)

MS Morel BA (0.03) NAA (0.001) (30) Gelrite (2)

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA MS= substrato di Murashige e Skoog (1962), Morel= Morel e Wetmore (1951), BA= 6 benzilamminopurina, AG3= acido gibberellico, IBA=acido indolbutirrico, mT =meta Topolina, NAA=Αcido Naftalenacetico

Le piante venivano fatte radicare prolungando la permanenza sul substrato di moltiplicazione. Successivamente le piante venivano trapiantate in contenitori alveolati in plastica riempiti con terriccio commerciale, poste in ombraio alla fine di marzo, irrigate giornalmente la prima settimana per ridurre lo stress evapotraspirativo e fino al pieno soddisfacimento del fabbisogno idrico successivamente. Per ogni tesi sperimentale, replicata tre volte, sono stati impiegati 6 espianti. A 30 giorni dal trasferimento in vitro delle gemme, è stato rilevato il numero di espianti che avevano differenziato germogli normali. A 45 giorni dall’inizio della fase di moltiplicazione, il numero di germogli normali (almeno 1 cm di lunghezza) sviluppatesi dal germoglio principale. A un mese circa dal trasferimento nei contenitori alveolati, è stato rilevato il numero di piante attecchite e pronte al trapianto. Risultati La percentuale di germogli sviluppati ottenuti dalle gemme ascellari del nodo è stata mediamente del 40%. A partire dal secondo ciclo di moltiplicazione, fra tutti i substrati allo studio, il più elevato indice di proliferazione è stato rilevato nel substrato S4 che utilizzava come gelificante gelrite (4.8+0.31 contro i 2.5+0.54 germogli dei substrati agarizzati). E’ da rilevare come, a trenta giorni dal trapianto, tutti i substrati si presentassero fortemente imbruniti, ad eccezione del substrato S2 dove la componente ormonale era rappresentata dalla metatopolina (mT) e dall’acido indolbutirrico (IBA). A 50 giorni dal trapianto tutte le piante mostravano radici ben sviluppate idonee sia al trapianto per l’ambientamento che, previa rimozione dell’apparato radicale, per successivi cicli di moltiplicazione. Nella fase di ambientamento dell’ultima decade di marzo, la percentuale di piantine attecchite è stata pari al 95%. Conclusioni Dai risultati ottenuti è emerso quanto segue: • il substrato costituito da macro e microelementi di MS e da vitamine di Morel, addizionato di acido indolacetico-NAA (1 mg L-1), BA (3 mg L-1) e gelificato con gelrite ha consentito non solo l’accrescimento delle gemme poste alla base del nodo ma anche una buona proliferazione dei germogli. • la Phragmites ha evidenziato una ottima capacità rizogena consentendo di ottenere radici anche prolungando la permanenza delle plantule nel substrato utilizzato per la moltiplicazione ed ha mostrato anche elevati indici di attecchimento nel trapianto primaverile. Sulla base di queste considerazioni, la moltiplicazione in vitro può rappresentare una valida alternativa alla propagazione per rizoma assicurando la propagazione su larga scala della macrofita e il mantenimento delle caratteristiche genotipiche prescelte . Bibliografia Barbera A.C. et al. 2007. Phragmites australis (Cav.) Trin.ex Steudel biomass in constructed wetlands for municipal wastewater treatments. Proceedings of the International Conference on Multifunctions of Wetland Systems,100-101. Guo Y.M. et al. 2004. Adventitious shoot bud formation and plant regeneration from in vitro – cultured stem segments of reed (Phragmites Communis Trin.). In Vitro Cell. Dev. Biol.-Plant, 40: 412–415. Murashigue T., Skoog F., 1962. A revised medium for rapid growth and bioassays with tobacco tissue

cultures. Physiol. Plant., 15: 473-497.

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Impiego del Potenziale Idrico del Fusto e della Conduttanza Stomatica come Indicatori Fisiologici per l’Ottimizzazione della Gestione Irrigua in Uva da Tavola Adelaide Ciccarese1, A.M. Stellacci1, L. Tarricone2, P. Rubino1 1

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari, adelaideciccarese@libero.it 2 CRA-Unità di ricerca per l’uva da tavola e la vitivinicoltura in ambiente mediterraneo Turi (BA)

Introduzione L’ottimizzazione della programmazione irrigua può essere conseguita mediante l’impiego di indicatori fisiologici basati sulla valutazione dello stato idrico della pianta. In particolare, il potenziale idrico fogliare e la conduttanza stomatica risultano particolarmente adatti per il supporto alla gestione dell’irrigazione a livello aziendale (Pellegrino et al., 2005). La gestione irrigua dell’uva da tavola ha importanti riflessi sui principali parametri qualitativi, influendo in maniera significativa sia sulla cinetica di maturazione dei frutti che sulla conservabilità in post-raccolta. Negli ultimi anni molte ricerche si sono incentrate sullo studio della variazione della risposta qualitativa di questa coltura in funzione dei livelli dei principali indicatori fisiologici dello stato idrico della pianta, ma non sono ancora stati definiti i criteri per la programmazione irrigua a livello aziendale. L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare l’effetto di diversi regimi irrigui sulla cinetica di maturazione delle bacche, le relazioni esistenti tra le misure di potenziale idrico del fusto e di conduttanza stomatica e la risposta produttiva della coltura, nonché l’efficacia di questi parametri fisiologici nell’indicare l’adeguatezza dei volumi irrigui somministrati durante il ciclo colturale. Metodologia Un’attività di ricerca è stata intrapresa nel 2009 presso l’azienda sperimentale del CRA-UTV (Rutigliano - BA), su un vigneto ad uva da tavola, cv Italia, innestato su Vitis berlandieri x Vitis Riparia SO 4, con densità d’impianto di 1.600 viti ha -1. L’area è caratterizzata da clima tipicamente mediterraneo con precipitazioni totali annue pari a 500 mm, concentrate prevalentemente durante il semestre autunno-vernino, ed elevata domanda evapotraspirativa ambientale. Il suolo risulta argillosolimoso, ricco di scheletro. Il contenuto idrico alla CIC e al PA è pari a 30 e 16 g 100 g-1 rispettivamente. Il vigneto, con forma di allevamento a tendone a doppio impalco, è stato condotto in semiforzatura tardiva, coperto con rete antigrandine e film plastico a partire dalla fase di invaiatura. Sono stati confrontati tre volumi stagionali d’irrigazione ottenuti somministrando volumi di adacquamento pari al 120, 80 e 40% dell’acqua persa per evapotraspirazione, al netto delle piogge utili (120%Etc, 80%Etc, 40%Etc), all’esaurimento della riserva idrica facilmente utilizzabile nello strato di terreno interessato dall’apparato radicale. L’evapotraspirazione della coltura (ETc) è stata ottenuta stimando l’evapotraspirazione di riferimento mediante l’equazione di Penman-Monteith (FAO) ed utilizzando i coefficienti colturali definiti per l’uva da tavola negli ambienti mediterranei (Allen et al., 1998). I trattamenti sono stati disposti in campo secondo uno schema sperimentale a blocco randomizzato con tre ripetizioni. Il metodo irriguo adottato è stato quello a micro portata di erogazione con gocciolatori auto compensanti con una portata di 12, 8 and 4 l h-1 rispettivamente per le tesi 120%Etc, 80%Etc, 40%Etc. Durante il ciclo colturale, sono state monitorate con cadenza settimanale le cinetiche di accrescimento e maturazione delle bacche. A tal fine, sono stati determinati il peso fresco, i solidi solubili totali, l’acidità titolabile e il pH del succo. Al fine di valutare lo stato idrico della pianta, sono stati misurati il potenziale idrico del fusto e la conduttanza stomatica a mezzogiorno (Ψmds, gs ). In particolare, Ψmds è stato misurato, con camera di Scholander, dopo aver inibito la traspirazione per un’ora mediante copertura delle lamine fogliari con polietilene nero rivestito con fogli di alluminio (Begg a Turner,1970). La gs è stata misurata con porometro digitale (Decagon Devices, Inc.), sulla quinta foglia a partire dall’apice vegetativo individuata sul germoglio intermedio dei capi a frutto. Alla raccolta, sono stati valutati i principali parametri carpometrici, produttivi, l’accrescimento della canopy 85


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(area fogliare) e l’efficienza d’uso dell’acqua irrigua. Tutti i dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi della varianza; le medie sono state confrontate mediante test SNK, P=0.05. Sono state valutate le correlazioni tra i due indicatori dello stato idrico della pianta e tra gli stessi e la risposta della coltura valutata in termini di accrescimento della canopy e produzione commerciabile. Risultati Il regime pluviometrico nell’anno di sperimentazione si è differenziato rispetto all’andamento medio, con precipitazioni totali pari a 718 mm e picchi nei mesi di Giugno (70 mm) e Ottobre (120 mm); l’andamento termico ha invece rispecchiato quello medio pluriennale. I volumi stagionali d’irrigazione sono stati pari a 280, 190 e 96 mm per le tesi 120%ETc, 80%ETc, 40%ETc, rispettivamente. L’effetto dello stress idrico si è reso evidente già a partire dalla fase di allegagione, come mostrato dai valori di potenziale idrico del fusto (Ψmds) e conduttanza stomatica (gs) misurati a mezzogiorno (Tab.1). In tutte le fasi fenologiche considerate, i valori dei due indicatori si sono statisticamente differenziati nelle tesi confrontate; i valori più negativi di Ψmds e più bassi di gs sono stati osservati per la tesi 40%ETc (rispettivamente -1,26 MPa e 128,6 mmol/m2s come media dell’intero periodo considerato). La disponibilità idrica ha influenzato significativamente le dinamiche di accrescimento e maturazione delle bacche, determinando alla raccolta, nel trattamento 40%ETc, il minor peso medio e il più elevato contenuto in solidi solubili totali (rispettivamente 7.37 g e 19.90 °Brix. in confronto a valori medi di 8.79 g e 18.60° Brix osservati per gli altri trattamenti). Sia la produzione commerciabile che l’accrescimento della canopy (area fogliare) sono stati significativamente influenzati dai regimi irrigui confrontati. Rispetto al trattamento 120%ETc. è stata osservata una riduzione della produzione del 12% e del 32% rispettivamente per 80%ETc e 40%ETc (31.52 vs 27.68 e 21.28 t ha-1), dovuta sia ad una diminuzione del peso che del numero delle bacche, considerato che il numero di grappoli per pianta era stato reso costante (26 per pianta). I due indicatori sono risultati correlati tra loro durante il periodo considerato e la correlazione osservata si è intensificata con l’avanzare del ciclo colturale, mostrando i valori più elevati all’invaiatura (r= 0.96) e alla raccolta (r= 0.98). Entrambi i parametri hanno mostrato un’elevata correlazione con l’accrescimento della canopy e la produzione commerciabile durante tutte le fasi fenologiche, facendo registrare i valori più elevati in corrispondenza della fase di invaiatura per la conduttanza stomatica (r= 0.98 e 0.96 rispettivamente per l’area fogliare e per la produzione), e della fase di maturazione per il potenziale del fusto (r= 0.957 e 0.965 rispettivamente). Trattamenti Regimi irrigui

Allegagione Ψmds

gs

Pea-size Ψmds

gs

Invaiatura Ψmds

gs

Maturazione Ψmds

gs

Raccolta Ψmds

gs

120%Etc

-0.94a 270.3a -0.76a 345.6a -0.71 a 365.5a -0.93 a 327.3a -0.86 a 319.8a

80%Etc

-1.12b 218.8b -1.05b 217.8b -0.98 b 252.0b -1.14 b 270.4b -1.13 b 139.0b

40%Etc

-1.31c 212.5c -1.21c 113.6c -1.09 c 141.7c -1.35 c

11.0c

-1.30 c

64.0c

Tabella 1. Potenziale idrico (MPa) e conduttanza stomatica (mmol/m2s) durante il ciclo colturale.

Conclusioni Entrambi i parametri sono risultati molto sensibili alle variazioni dello stato idrico dell’uva da tavola in tutti gli stadi fenologici considerati, mostrandosi indicatori idonei per valutare l’adeguatezza dei volumi irrigui somministrati. Bibliografia Allen R.G. et al. 1998. Crop evapotranspiration. Guidelines for computing crop requirements. FAO Irrigation and Drainage paper 56. Roma. Begg J.E.. Turner N.C. 1970. Water potential gradients in field tobacco. Plant Physiol., 43:343-346. Pellegrino A. et al. 2005.Towards a simple indicator of water stress in grapevine (Vitis vinifera L.) based on the differential sensitivities of vegetative growth components. Aus. J. Grape and Wine Res., 11:306-315.

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La Produttività del Canneto (Arundo donax L.) in Relazione alla Tecnica di Impianto Salvatore Luciano Cosentino, Venera Copani, Giovanni Scalici, Sebastiano Scandurra Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA), Università di Catania, IT, cosentin@unict.it

Introduzione La propagazione agamica della canna comune (Arundo donax L.) può essere effettuata, come è noto, mediante l’utilizzo di tratti di rizoma; recentemente è stata proposto, per motivi tecnici ed economici, l’impiego di talee di culmo. E’ necessario, tuttavia, conoscere l’influenza della tipologia dell’organo di propagazione impiegato e delle sue caratteristiche (dimensione, posizione, età) sulla capacità radicante, sui tempi e modalità di radicazione, sulla produzione di biomassa. In questa nota si riportano i risultati di una prova sperimentale della durata di tre anni realizzata allo scopo di verificare l’evoluzione nel tempo della produttività del canneto in relazione alla tecnica di impianto adottata. Metodologia La prova è stata realizzata nel triennio 2007-2010 presso l’azienda didattico-sperimentale della Facoltà di Agraria, nella Piana di Catania (10 m s.l.m.) su suolo profondo di origine alluvionale (Typic e/o vertic Xerofluvents, classificazione USDA). Sono stati posti a confronto due organi di propagazione agamica, rizomi e talee di culmo, e per ciascuno di questi quattro trattamenti. Nel caso del rizoma sono state utilizzate porzioni con tre gemme pronte (R3), con una gemma pronta (R1), tratto di 10 cm con gemme latenti (T10), tratto di 5 cm con gemme latenti (T5). Nel caso del culmo sono stati impiegati culmi interi (Ci), tratti basali (Cb), mediani (Cm) e apicali (Ca). La distanza tra le file era per tutti di 100 cm e quella sulla fila di 50 cm per i tratti di rizoma (densità di impianto programmata = 2 rizomi m-2). Le talee di culmo sono state trapiantate il 17 aprile ed i rizomi il 27 aprile 2007. E’ stato utilizzato il clone “Fondachello” (Cosentino et al, 2006). Il disegno sperimentale era a blocchi randomizzati con tre ripetizioni e le parcelle elementari di 24 m2. Dopo il trapianto è stata effettuata un’irrigazione, altre due irrigazioni sono state effettuate dopo l’emergenza dei primi germogli, per un totale di 240 mm di acqua somministrata. Nei due anni successivi non sono stati effettuati interventi colturali ad eccezione della scerbatura nel corso della primavera. Alla raccolta, effettuata sempre alla fine Tabella 1. Epoca di emergenza e culmi emessi in dell’inverno (5 marzo 2008, 16 marzo 2009, corrispondenza di due date nel primo anno di prove in 11 febbraio 2010) è stata rilevata la biomassa relazione alle tesi allo studio. Lettere diverse indicano differenze significative per P<0.05. prodotta, le caratteristiche biometriche di Emergenza Culmi Culmi Tesi questa (altezza e diametro dei culmi) e (d*) (n m-2) (n m-2) l’umidità. I dati sono stati sottoposti all’analisi 11/05/07 12/11/07 della varianza (ANOVA), utilizzando il test Tratto di rizoma SNK per la separazione delle medie. Risultati La fase di insediamento (intervallo trapianto emergenza dei nuovi culmi) è risultata più breve nell’impianto mediante rizomi (17 giorni) che in quello con talee di culmo (37 giorni), con differenze di scarso rilievo tra le tesi allo studio per ciascuna delle tipologie di organo di propagazione utilizzato (Tab. 1). I tratti di rizoma con tre gemme pronte e il tratto di rizoma di 10 cm di lunghezza, nel periodo immediatamente successivo all’insediamento

R3 R1 T10 T5 Media

14 b 17 ab 17 ab 20 a 17.1

3.8 a 2.5 b 3.3 a 1.8 c 2.8 Tratto di culmo Ci 35 a 1.3 a Cb 38 a 1.3 a Cm 37 a 1.6 a Ca 37 a 1.1 a Media 36.8 1.3 * giorni dal trapianto

6.6 a 5.6 a 6.3 a 3.9 b 5.6

3.9 b 3.9 b 5.2 a 4.3 ab 4.3

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(maggio), hanno mostrato un tasso di emissione di nuove canne superiore rispetto a quello delle porzioni di rizoma più ridotte (3.5 culmi m-2 in media contro 2.1 delle tesi R1 e T5). Alla fine della prima stagione di crescita (novembre 2007) il numero medio dei culmi emessi nell’impianto da rizomi era in media di 5.6 culmi m-2 con differenze tra le tesi poco evidenti. Nello stesso arco di tempo l’emissione di nuove canne da talee di culmo è stata alquanto più ridotta: 1.3 culmi m-2 in media a maggio e 4.3 culmi m-2 a novembre, con differenze tra le tesi di scarsa entità. Nel triennio la produttività del canneto è cresciuta in misura esponenziale, soprattutto tra il secondo e il terzo anno (Fig. 1). La biomassa secca è passata, nel triennio, da 2.6 a 31.3 t ha-1 nel caso dell’impianto da rizomi e da 0.4 a 27.8 t ha-1 nel caso dell’impianto da talee di culmo (Fig. 1). L’impiego di rizomi con tre gemme pronte ha fatto accertare, sempre nel triennio, una significativa superiorità produttiva (21.5 t ha-1 di s.s. in media, con una massimo assoluto di 43.7 t ha-1 s.s. nel terzo anno) rispetto alle altre tipologie di tratti di rizoma. Nell’ambito delle talee di culmo non sono state osservate differenze significative tra i trattamenti (11.5 t ha-1 s.s. in media). Con riferimento ai massimi valori produttivi raggiunti nel terzo anno, le tesi relative al culmo non si sono discostate sostanzialmente dai trattamenti T10 e T5 relativi al rizoma, eccezion fatta per la tesi R3 che ha richiesto, tuttavia, l’impiego di porzioni di rizoma di elevate dimensioni.

Figura 1. Produzione di biomassa secca nel triennio in relazione ai trattamenti allo studio. Per ciascun tipo di organo di propagazione, lettere diverse indicano significatività tra i trattamenti per p<0.05 per le medie del triennio.

Conclusioni La tecnica di impianto ha influito sulla produttività del canneto. L’utilizzo dei tratti di culmo risulta abbastanza soddisfacente con tutte le tipologie di talea utilizzate; dopo i primi due anni la produttività rilevata è paragonabile a quella osservata utilizzando tratti di rizoma di ridotte dimensioni. Bibliografia Cosentino S. et al. 2006. First results on evaluation of Arundo donax L. clones collected in Southern Italy. Industrial Crops and Products, 23: 212-222.

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Effetti della pacciamatura sulla produzione quantitativa e qualitativa della scarola a ciclo invernale Eugenio Cozzolino1, Leone V.1, Piro F.2 1

CRA-CAT, Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati, vincenzo.leone@entecra.it 2 CRA-ORT, Centro di Ricerca per l’Orticoltura, Pontecagnano

Introduzione La pacciamatura è un mezzo importante per un'agricoltura a basso impatto, consentendo di ridurre le lavorazioni e l'impiego di diserbanti di sintesi. Tuttavia, se fatta con film plastici non biodegradabili comporta inconvenienti di smaltimento dei materiali a fine impiego. I teli in Mater-bi®, a base di amido complessato con poliesteri, certificati biodegradabili e compostabili, eliminano tali inconvenienti, perché si possono incorporare nel terreno a fine coltura. Sono proposti generalmente con uno spessore di 15 micrometri e mantengono la capacità pacciamante da 50 giorni a 6 mesi, in dipendenza del clima, della stagione e dell'andamento meteorologico: nella stagione fredda la capacità pacciamante dura più a lungo che in quella calda. Il maggior costo del materiale rispetto a teli comuni in LDPE è in gran parte compensato da risparmio delle spese di rimozione e smaltimento (Cozzolino et al., 2009). In collaborazione con la Novamont Spa l’Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco del CRA sta conducendo saggi di materiali pacciamanti a base di Mater-Bi® su diverse colture. In questa nota si riportano i risultati di un saggio sulla scarola in coltura autunno-vernina in pien’aria. Metodologia Il saggio è stato condotto nell'autunno-inverno 2009-2010 nell'azienda sperimentale del CRA-CAT con la cultivar Cuartana (Enza Zaden), su un suolo sabbioso-franco di origine vulcanica, precedentemente coltivato a melanzana in ciclo primaverile-estivo. Due tipi di telo nero, un Mater-Bi® e un LDPE spessi rispettivamente 15 e 45 micrometri, sono stati confrontati con un testimone non pacciamato. Il trapianto è stato eseguito il 15 novembre 2009 in parcelle fila contenenti bine di piante distanziate 1 x 0.4 x 0.3 m. pari ad un investimento di 6.6 piante/m2, in due repliche. La coltura non è stata concimata, contando sul residuo della concimazione applicata in primavera, prima della precedente coltura di melanzana, con composta da frazione organica di rifiuti solidi urbani alla dose annua di 40 t ha-1, pari a 30 t ha-1 come sostanza secca. La raccolta è stata eseguita il 15 marzo. Il peso fresco dei cespi è stato determinato su un’area di 2 metri quadri per parcella, il peso secco del cespo e delle radici, misure lineari e misure di colore secondo scala cieLab (colorimetro Minolta) su sei piante per parcella, rilevando dieci letture per cespo divise tra centro e periferia nel caso dei parametri di colore. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Development Core Team, 2010), utilizzando anche funzioni delle estensioni rms (Harrell, 2010) e ggplot2 (Wickham, 2009). Risultati Le condizioni sanitarie della coltura e la maturazione di raccolta non sono state influenzate in modo sensibile dalla pacciamatura e il telo in Mater-Bi® ha mantenuto un livello di integrità accettabile fino alla raccolta. La pacciamatura ha mostrato un effetto positivo sulla produzione di biomassa e sul peso del cespo con telo in Mater-Bi®, ma non con telo in LDPE, che però ha controllato meglio lo sviluppo dello scapo (figura 1). L'incremento del peso fresco dei cespi con il telo degradabile è stato del 14% ripetto al telo LDPE e del 7% rispetto al testimone non pacciamato, corrispondente rispettivamente a 4.2 e 2.1 t ha-1 di prodotto fresco. Entrambi i tipi di telo hanno mostrato una sensibile influenza sui parametri di colore della scala cieLab, favorendo la produzione di cespi con un colore più chiaro e luminoso. 89


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Figura 1. Effetti della pacciamatura con teli LDPE e Mater-Bi® su sviluppo del cespo, altezza dello scapo, biomassa e colore della scarola Cuartana in ciclo autunno-vernino. Medie parcellari (simboli) e medie dei trattamenti stimate con intervallo di confidenza al 95% (barre).

Conclusioni La pacciamatura con telo biodegradabile Mater-Bi® ha incrementato lo sviluppo radicale e il peso del cespo della scarola Cuartana rispetto al non pacciamato e alla pacciamatura con telo di polietilene. Con entrambi i tipi di telo la pacciamatura ha ridotto l’allungamento dello scapo e ha favorito un colore più chiaro e luminoso del cespo. Tuttavia l’assenza di effetti apprezzabili sulla precocità ed il modesto incremento di resa non compensano il costo di acquisto e le spese per la stesura, come già rilevato in saggi simili (www.sito.regione.campania.it). Riconoscimenti Attività promossa e finanziata dal Centro Orticolo Campano. Bibliografia Cozzolino E., et al. 2010. Con i film in Mater-Bi® risultati comparabili al polietilene nella pacciamatura del melone. Colture Protette n.7-8,76-80. http://www.sito.regione.campania.it/agricoltura/erbacee/pdf/relazione_risultati_scarola_2007.pdf Harrell F. jr, 2010. rms: Regression Modeling Strategies. R package version 3.0-0. http://CRAN.Rproject.org/package=rms R Development Core Team, 2010. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project.org. Wickham H., 2009. ggplot2: elegant graphics for data analysis. Springer New York.

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Impiego di Sansa Olearia Compostata come Ammendante. Effetti su Coltura di Frumento duro Giovanna Cucci, Maria. A. Cascarano, Giovanni Lacolla Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università di Bari, IT, E-mail: giovanna.cucci@agr.uniba.it

Introduzione Il compostaggio della sansa olearia è una valida opzione che consentirebbe di superare alcuni problemi legati allo spargimento sul terreno dei reflui tal quali e di utilizzare la sostanza organica in essi contenuta (Casa et at., 2001). Obiettivo della ricerca è stato quello di valutare gli effetti dello spargimento di dosi crescenti di sansa olearia compostata e della concimazione minerale sulla quantità e qualità della produzione di frumento duro. Metodologia La prova sperimentale è stata eseguita presso il Campus della Facoltà di Agraria di Bari su coltura di frumento (cv Claudio), allevata nell’ambito di un avvicendamento triennale (girasole, frumento, frumento) in contenitori da 240 dm3, riempiti con terreno di medio impasto argilloso dislocati all’aperto, muniti di valvola sul fondo per la raccolta delle acque di percolazione. Sono stati messi a confronto 2 tipi di sansa olearia compostata, uno prodotto dalla Coop. Agricola Nuovo Cilento di S. Mauro Cilento (CC), l’altro prodotto presso l’Azienda Agostinelli di Rutigliano (CR). Con schema sperimentale a parcelle suddivise e 3 ripetizioni, sono stati messi a confronto i due tipi di compost (parcelloni) e nelle parcelle (singoli contenitori) il controllo non trattato (0), la concimazione minerale (Min) (120, 100 e 100 kg ha-1, rispettivamente di N, P2O5 e K2O), l’ammendamento con compost alle dosi di 15-30-45-60 Mg ha-1 di sostanza secca (15, 30, 45, e 60 rispettivamente) e l’integrazione di 30 con ½ della dose di N minerale impiegata per la tesi Min. Alla raccolta, effettuata a maturazione piena della granella, sono stati rilevati i principali parametri produttivi e tecnologici. I risultati ottenuti sono stati analizzati mediante la procedura GLM, SAS e per evidenziare le differenze tra le medie si è utilizzato il test SNK. In questa nota sono riportati i risultati relativi alla coltura di frumento del primo anno. Risultati L’ammendamento con dosi crescenti di sansa olearia compostata ha avuto effetti positivi significativi sia sulla quantità che sulla qualità della produzione di frumento duro. Modeste sono state le variazioni di produzioni dovute al tipo di compost. Con l’interramento del compost CC, la maggiore produzione di granella (+309 % rispetto al controllo), senza discostarsi dalla concimazione minerale si è registrata con l’apporto della più alta dose (60 Mg ha-1), invece con l’apporto del compost CR la più alta produzione di granella (+344% rispetto al controllo), si è avuta quando sono stati distribuiti 30 Mg ha-1 + ½ di concimazione minerale (Fig. 1). Analogo andamento si è avuto sia per il peso dei 1000 semi che per quello ettolitrico (tab. 1). Simili risultati sono stati riscontrati da studi precedenti (Cucci et al., 2005; Cucci et al., 2007). In ogni caso invece, in media il maggior contenuto in sostanze proteiche (13.2 %), e la minore percentuale di semi bianconati (7%) si sono registrate con lo spargimento delle più alte dosi di compost (60 Mg ha-1) (Tab. 1). Tabella 1. Effetto dello spargimento di dosi crescenti di due tipi di sanse olearie compostate su alcuni parametri produttivi e tecnologici della granella di frumento duro cultivar Claudio.

Trattamenti 0 15 30

Peso 1000 semi (g) CC CR 44.8 D 42.9D 49.8 C 45.2C 53.2B 47.6C

Peso Hl kg CC 78.8C 79.8B 80.3B

Proteine % s.s. CR 78.2C 79.3B 80.0B

CC 10.2E 11.2D 11.7C

CR 9.9E 10.3D 10.7C

Bianconatura % semi CC CR 42.7A 39.0A 20.0B 33.7B 16.7C 21.7C 91


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA 45 55.9A 49.9B 80.7B 80.3B 12.7B 11.3B 9.0D 60 54.8A 54.5A 82.0A 82.7A 14.3A 12.0A 3.0D 30+1/2 N 54.1AB 50.5AB 82.3A 82.7A 12.3B 10.9B 14.7C Conc. Min. 49.7BC 50.0BC 83.0A 82.3A 11.9B 11.6B 15.7C Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti tra loro per P≤ 0.01 secondo il test SNK.

15.0D 11.0D 21.7C 18.3C

Prod. granella (g vaso-1 )

400 350

A

300

AB

A AB

B

250 D

200

AB

B

C

C

C

D

150 E

100

E

50 Cilento (CC)

0

15

30

Rutigliano (CR)

45

60

30 + ½ N

Conc. M in.

Figura 1. Effetto dello spargimento di dosi crescenti di due tipi di sanse olearie compostate sulla produzione in granella della coltura di frumento. Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti tra loro per P≤ 0.01 secondo il test SNK.

Conclusioni L’apporto della più alta dose di sansa olearia compostata ha influito positivamente sulla produzione della granella e sul peso ettolitrico quanto la tesi minerale. La percentuale di semi bianconati più bassa, il peso dei 1000 semi e il contenuto proteico più alti si sono avuti nella tesi ammendata con la massima dose di compost migliorandone la risposta quali-quantitativa della coltura. Molto probabilmente ammendando con la più alta dose di compost c’è stata una maggiore sincronizzazione tra il rilascio di nutrienti e la domanda da parte della coltura. Bibliografia Casa et al., 2001. Atti XXXIV SIA, Pisa, 17-21 sett., 67-68 Cucci G. et al., 2005. Relazione fra interramento di sanse umide, produzione e qualità tecnologica del frumento duro. Proceedings of the XXXVI SIA, 20-22 Settember, Foggia, Italy, 384-385. Cucci et al., 2007. Effetto dell’uso agronomico della sansa sulla qualità della granella nella coltivazione del grano duro. 7° Convegno AISTEC. 3-5 ottobre, Campobasso, 50.

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Un Triennio di Prove di Valutazione di Cultivar di Girasole Alto Oleico nelle Marche Andrea Del Gatto1, Giuseppe Toscano2, Ester Foppapedretti2, Antonella Petrini3, Piergiorgio Angelini1, Lorella Mangoni1, Sandro Pieri1 1 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura Centro di Ricerca Colture Industriali, Osimo (AN) Dipartimento di Scienze Alimentari, Agro-Ingegneristiche, Fisiche, Economiche-Agrarie e del Territorio, Ancona 3 Centro di Ricerche per il Miglioramento Vegetale Nazareno Strampelli, Abbadia di Fiastra (MC)

2

Introduzione Fra le destinazioni non alimentari del girasole (Del Gatto e Laureti, 2006) quella energetica (Toscano e Panvini, 2008) rappresenta una concreta opportunità per il settore agricolo (Del Gatto et al., 2010) verso la quale è crescente l’interesse degli operatori. Con l’introduzione di novità normative per il settore, sono state promosse ricerche per razionalizzare la produzione agricola per l’energia. La Regione Marche, ha finanziato, in attuazione della Legge Regionale 37/99, il Progetto Regionale “Girasole Alto Oleico”, che si prefigge di individuare varietà, idonee per l’areale marchigiano, con caratteristiche qualitative sufficienti al sistema di trasformazione ed utilizzazione energetica o altre applicazioni industriali (Del Gatto et al., 2008). Metodologia Nel triennio 2007-2009 sono state allestite tre prove di valutazione varietale in località marchigiane a vocazione elianticola in provincia di Ancona, nel Maceratese e nel Fermano, su terreni dalle omogenee caratteristiche fisico-chimiche. In uno schema sperimentale a blocchi randomizzati, con quattro ripetizioni, in parcelle di 42 m2 di superficie, sono state confrontate 8 cultivar alto oleico nel primo biennio, 9 nel 2009, con due testimoni convenzionali. Alla semina, effettuata nella prima decade di aprile, meccanicamente, a fila continua, è seguito il diradamento manuale per ottenere l’investimento di 5.5 piante/m2. Oltre ai principali parametri morfo-fenologici e produttivi, sono stati determinati il contenuto in olio teorico (metodo NMR), il contenuto in acidi grassi (gas-cromatografia dei composti metil-esterificati). Inoltre, sono state effettuate prove di estrazione dell’olio per mezzo di una pressa meccanica a temperatura e pressione costanti. Infine, sono stati determinati potere calorifico superiore ed inferiore, la composizione elementare e il livello di cloro e di zolfo dei prodotti. Per l’olio, anche viscosità, numero di iodio e fosforo, mentre per il panello solido contenuto di umidità e di ceneri e temperatura di fusibilità. Risultati L’andamento climatico del 2007, particolarmente siccitoso nelle località del Fermano e del Maceratese, non ha permesso alle varietà alto oleico di estrinsecare le proprie potenzialità produttive. Pertanto (Tab. 1) solo PR64H41 e NK Bonita, per entrambi caratteri produttivi, hanno fornito prestazioni assimilabili a quelle di uno dei testimoni convenzionali (Ardana PR). Successivamente ben 6 accessioni nel 2008 e 7 nel 2009, per la resa in acheni, 5 e 3, rispettivamente, per quella in olio, hanno raggiunto o superato, in assoluto, i risultati del miglior testimone convenzionale (Linsol). In ogni caso si sono distinti NK Camen, PR64H41, Ultrasol e Mas 97 OL, nel 2008, ancora i primi due e Heroic RM nel 2009. Nella media triennale PR64H41 è l’ibrido che meglio si è comportato tra gli alto oleico collocando le proprie rese tra quelle dei due testimoni, con uno scarto del 4 e 6% rispettivamente per acheni ed olio nei confronti di Linsol, addirittura meglio si è comportato NK Camen, con uno scarto dell’1,7 e del 3,9% rispetto a quest’ultimo, seppure limitatamente all’ultimo biennio di prove. Riguardo la valutazione delle prestazioni energetiche, è stata evidenziata un’elevata produttività in estrazione della PR64H41, con standard produttivi anche superiori alle varietà convenzionali. Il più basso numero di iodio degli ibridi alto oleico, evidenziato anche dai diversi valori della viscosità, garantisce un prodotto energetico più stabile e con prestazioni migliori alla combustione. Circa i rimanenti parametri energetici dell’olio vegetale e del panello solido non emergono significative differenze tra le diverse varietà analizzate. Conclusioni Le prestazioni delle migliori varietà alto oleico soddisfano le esigenze delle filiere energetiche in 93


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quanto, raggiunta una certa equivalenza per la resa in acheni con le convenzionali, aumentano la produttività della fase di estrazione migliorando le prestazioni qualitative dell’olio vegetale per tale utilizzo. Ciò si traduce in interessanti benefici sia in termini economici che di sostenibilità della filiera. I risultati della PR64H41, mostratasi la migliore delle varietà alto oleico studiate nel triennio, non hanno condizionato la qualità complessiva dei materiali energetici che, specificatamente per l’olio vegetale, ha tutte le potenzialità per rispettare le recenti specifiche normative di prodotto. Tabella 1: Produzione in acheni (al 9% di umidità), resa e contenuto in olio degli ibridi in valutazione nel triennio 2007-2009 2007 2008 2009 Acheni Olio s.s. Acheni Olio s.s. Acheni Olio s.s. Ibrido (q/ha) (%) (q/ha) (q/ha) (%) (q/ha) (q/ha) (%) (q/ha) LINSOL 29.6 a 43.3 a 11.7 a 33.0 a 47.9 a 14.5 a 36.6 a 48.6 a 16.2 a ARDANA PR 27.9 ab 40.9 bc 10.5 b 30.0 ac 45.8 ad 12.7 ac ARENA PR 35.1 ad 45.7 df 14.7 bd HEROIC RM 24.3 cd 39.9 ce 8.8 ce 28.8 bc 44.0 de 11.6 c 36.6 a 45.1 f 15.1 ac MAS 97OL 25.0 cd 40.8 bc 9.4 cd 32.2 ab 46.6 ac 13.7 ab 34.3 ad 46.4 cd 14.5 ce LG 54.50 23.5 cd 38.7 e 8.3 e 29.6 ac 42.3 e 11.5 c 35.2 ad 45.2 ef 14.5 ce PR64H41 25.3 cd 41.7 b 9.6 bc 33.0 a 46.8 ab 14.1 a 37.0 a 46.9 bc 15.8 ab OLEKO 20.5 e 38.5 e 7.2 f 31.7 ac 44.2 ce 12.8 ac 35.7 ab 45.5 df 14.8 bd NK BONITA 25.9 bc 40.5 bd 9.6 bc 28.5 c 45.5 bd 11.9 bc NUTRASOL 23.9 cd 41.0 bc 8.9 ce NX 34250 23.2 d 39.1 de 8.4 de ULTRASOL 32.7 a 48.1 a 14.3 a 32.8 bd 45.6 df 13.6 de NK CAMEN 33.1 a 46.6 ac 14.1 a 35.3 ac 47.5 ab 15.4 ac LG 56.72 32.7 cd 46.2 ce 13.8 de OLLIMI 32.3 d 45.2 ef 13.3 e Media 24.9 40.5 9.2 31.3 45.8 13.1 34.8 46.2 14.7 Tabella 2: Resa di estrazione, viscosità e numero di iodio degli ibridi in valutazione nel triennio 2007-2009 2007 Ibrido

Resa di estrazione

2008

Viscosità

Numero di iodio

Resa di estrazione

2009

Viscosità

Numero di iodio

Resa di estrazione

Viscosità

Numero di iodio

(%)

(cSt)

(g I2/100g)

(%)

(cSt)

(g I2/100g)

(%)

(cSt)

(g I2/100g)

LINSOL

30.63

36.80

108.15

33.52

35.74

118.29

37.52

34.20

115.80

ARDANA PR

28.25

34.11

119.70

32.18

35.10

125.10 35.60

32.17

125.23

HEROIC RM

25.62

40.16

87.41

29.74

43.22

83.97

34.43

39.12

90.07

MAS 97OL

26.84

41.70

79.25

31.18

40.90

81.70

35.31

38.85

90.33

LG 54.50

24.21

40.84

83.79

27.76

40.31

84.17

32.53

39.23

89.30

PR64H41

30.25

40.94

83.46

35.47

41.85

83.32

38.90

39.08

90.07

OLEKO

24.58

40.98

84.92

29.76

41.46

83.73

33.30

38.91

90.90

NK BONITA

28.13

41.37

82.65

31.41

40.96

83.53

ARENA PR

NUTRASOL

27.13

41.30

82.24

NX 34250

27.60

41.61

81.64

ULTRASOL

34.11

40.96

84.93

33.88

39.26

88.93

NK CAMEN

32.97

41.26

81.92

35.94

38.80

91.30

LG 56.72

36.77

39.34

88.87

OLLIMI

33.51

38.31

93.87

35.24

37.93

95.88

Media

27.32

39.98

89.32

31.81

40.18

91.07

Bibliografia Del Gatto A. e Laureti D. 2006. Girasole alto oleico: impieghi e prospettive. Dal seme, 1: 88-90 Del Gatto A. et al. 2008. Il girasole alto oleico: nuove opportunità per una coltura multifunzionale. Dal seme, 4: 55-62 Del Gatto A. et al. 2010. Le varietà ideali per usi energetici. L’Informatore Agrario, 12: 57-59 Toscano G. e Panvini A. 2008. Cogenerazione a olio vegetale, un’opportunità da sviluppare. L’Informatore Agrario, 3: 46-48 94


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Gestione delle Infestanti del Colza (Brassica napus var. oleifera) in Ambiente Mediterraneo: Risultati Preliminari Paola A. Deligios, Roberta Farci, Luigi Ledda Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università di Sassari, pdeli@uniss.it

Introduzione La coltura del colza è caratterizzata da un lento accrescimento nelle prime fasi di sviluppo, fasi in cui la rapida crescita delle infestanti risulta potenzialmente limitante. Una efficace competizione della coltura verso le infestanti si verifica solo dopo che la copertura vegetale ricopre completamente le interfile. Inoltre, le infestanti dotate di ramificazioni e di apparato radicale vigoroso esercitano una severa competizione per gli elementi nutritivi disponibili (Bishnoi et al., 2007). In Brassica sp.pl., Bishnoi et al. (2007) hanno riportato perdite comprese tra il 30 e il 50%, a seconda dell’accrescimento e della persistenza delle infestanti nel campo. Le difficoltà nella gestione delle infestanti del colza, oltre che derivare dalla possibile inadeguata preparazione del letto di semina e da un eventuale insufficiente grado di umidità del suolo, risiede nelle ridotte dimensioni dei semi e nel loro breve tempo di germinazione, che rendono la coltura molto sensibile alle avversità ambientali nelle sue fasi iniziali (Paudel et al., 2008). In mancanza di validi prodotti ad ampio spettro dicotiledonicida applicabili nella post-emergenza della coltura, il diserbo del colza si basa prevalentemente sull’impiego del metazachlor, che può essere applicato anche nei primi stadi di sviluppo. Rimane quasi insoluto il problema del controllo delle crucifere quali Sinapis, Rapistrum, Raphanus, e Brassica, specie tardive generalmente presenti in autunno e durante gli inverni miti. Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’effetto di diversi trattamenti di controllo delle infestanti, basati sull’impiego di metazachlor, sulla resa e sue componenti in colza var. Kabel. Metodologia La prova è stata condotta nel corso dell’annata agraria 2009-2010 presso il campo sperimentale ‘Mauro Deidda’ della Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari sito a Ottava (40° 45’ 46.92’’ N; di 8° 29’ 42.42’’ E), a 65 m s.l.m. Il sito è caratterizzato da terreni mediamente profondi originati da calcare miocenico a tessitura sabbio-limo-argillosa, tendenzialmente argillosi ma caratterizzati da un elevato contenuto di calcare (CaCO3 totale > 40%), discretamente dotati di elementi nutritivi e con capacità di ritenzione idrica del 30% in peso. La ricerca, condotta a scala a parcellare sulla varietà precoce Kabel, di origine spagnola, ha previsto il confronto di 6 trattamenti: 4 dosaggi del p.a. metazachlor in pre-emergenza (2.0, 1.5, 1.0 e 0.5 L ha-1), un diserbo in post-emergenza (1.0 L ha-1), quando la coltura si trovava nella fase di 3 foglie vere (codice BBCH 13), un controllo non trattato. La prova, disposta in parcelle della superficie di 24 m2, è stata condotta secondo un disegno sperimentale a blocchi completi randomizzati con 4 repliche. A fine ottobre 2009 si è proceduto alla preparazione del letto di semina tramite l’aratura seguita da una doppia erpicatura. Nel complesso sono state apportate 128 unità di N, distribuite alla semina (36 N) e alla ripresa vegetativa (92 N). Mediamente sono stati utilizzati l’equivalente di 8 kg di seme ha-1. La semina è stata effettuata con una seminatrice parcellare, disponendo il seme con interfila di 16 cm ad una profondità di circa 2 cm. A qualche settimana dall’emergenza sono state individuate a caso, nell’ambito di ciascuna parcella, 10 piante sulle quali sono state monitorate le principali fasi fenologiche: emergenza, fioritura e maturazione fisiologica. All’interno delle parcelle sono state individuate quattro aree di saggio (0.25 m2 ciascuna) sulle quali sono stati condotti due rilievi (il primo a quattro settimane dall’esecuzione del trattamento a base di metazachlor in post-emergenza, il secondo quando il colza si trovava nella fase di pre-fioritura) durante i quali sono state determinate il numero delle specie infestanti presenti, la densità delle infestanti, la loro fase fenologica ed il loro grado di copertura secondo una scala empirica (0 = nessuna infestante, 100 totale copertura da parte di infestanti). Le infestanti sono state identificate per specie ed in corrispondenza della piena fioritura è stata misurata l’altezza media delle piante per ogni area di saggio. In prossimità della raccolta sono stati eseguiti due rilievi: il primo 95


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prevedeva il prelievo di 10 piante per parcella per determinare le principali componenti della resa (numero di silique pianta-1, numero di semi siliqua-1, e peso di 1000 semi); il secondo rilievo, condotto su due aree di saggio da 0.5 m2 per parcella, ha consentito la determinazione del numero di piante per unità di superficie ed il prelievo delle stesse ai fini del calcolo dell’Harvest Index. Risultati Nessuna differenza tra i trattamenti è stata osservata in relazione al numero di piante per m2 che ha variato tra 115 (metazachlor-post) e 78 (controllo). Il trattamento metazachlor-2.0 ha mostrato un numero di silique per pianta più elevato rispetto agli altri trattamenti, i valori medi hanno variato da 75 (controllo) a 240 (metazachlor-2.0). Nel caso del numero medio di semi per siliqua, il trattamento metazachlor-1.5 ha mostrato valori più elevati rispetto agli altri trattamenti (23). Il peso medio di 1000 semi ha variato da 3.65 (metazachlor-1.5) a 2.73 g (metazachlor-0.5). Per quanto riguarda la produzione raccolta, il trattamento metazachlor-1.5 è stato mediamente più produttivo degli altri trattamenti a confronto. I valori hanno variato in media da 4.2 (metazachlor-1.5) a 0.7 t ha-1 (controllo). L’Harvest Index ha variato tra 25.5 (metazachlor-2.0) e 21.0% (controllo e metazachlor-post), mentre nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata tra i trattamenti a confronto. In tabella 1 sono riportate le medie relative alla principali componenti della resa e alla produzione raccolta. Tabella 1. Componenti della resa e produzione in colza var. Kabel in relazione ai diversi trattamenti di diserbo Trattamento

Piante m-2

n silique pianta-1

n semi siliqua-1

Peso 1000 semi (g)

Strame (t ha-1)

Resa (t ha-1)

Harvest Index

Controllo

0.0 L ha-1

78 a

75 c

16 b

2.95 b

3.4 c

0.7 c

21.0 a

Metazachlor-0.5

0.5 L ha-1

85 a

133 abc

21 ab

2.73 b

8.1 bc

2.0 bc

21.7 a

Metazachlor-1.0

-1

95 a

225 ab

22 ab

3.33 ab

12.8 ab

3.4 ab

25.0 a

-1

91 a

228 ab

23 a

3.65 a

17.1 a

4.2 a

24.3 a

-1

Metazachlor-1.5

1.0 L ha 1.5 L ha

Metazachlor-2.0

2.0 L ha

86 a

240 a

22 ab

3.18 ab

13.4 ab

3.4 ab

25.5 a

Metazachlor-post

1.0 L ha-1

115 a

119 bc

17 b

3.00 ab

8.8 bc

1.8 bc

21.0 a

Le medie caratterizzate da lettere diverse differiscono per p<0.05

Conclusioni Nella prova condotta nell’annata 2009-2010, le componenti della resa osservate hanno mostrato che nell’ambiente pedoclimatico mediterraneo il colza potrebbe fornire produzioni competitive in funzione della gestione del controllo delle infestanti. Infatti, le principali componenti della resa (numero silique pianta-1, numero semi siliqua-1, peso 1000 semi) sono risultate in accordo con quanto riportato in letteratura per ambienti a clima mediterraneo (Bouaid et al., 2005). I risultati hanno evidenziato una più efficace risposta della coltura al diserbo con metazachlor alla dose di 1.5 L ha-1. La produzione raccolta è stata fortemente penalizzata dal mancato controllo delle infestanti e dalla conseguente severa competizione esercitata da queste durante le fasi di accrescimento e sviluppo della coltura. Bibliografia Bishnoi, U.R. et al. 2007. Agronomic and economic performance of winter canola in Southeaster US. World J. Agric. Science, 3:263-268. Bouaid, A.et al. 2005. Pilot plant studies of biodiesel production using Brassica carinata as raw material. Catal. Today, 106:193-196. Paudel, L. et al. 2008. Influence of timing of herbicide application on winter canola performance. World J. Agric. Science, 4:908-913.

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Produzione e caratteristiche qualitative di varietà di favino (Vicia faba L. var. minor) in ambiente mediterraneo Elvio Di Paolo1, Fabio Stagnari2 1

COTIR, Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue, S.S. 16 Nord, 240 – 66054 Vasto, IT, dipaolo@cotir.it 2 Dip. di Scienze degli Alimenti, Univ. Teramo, IT, fstagnari@unite.it

Introduzione Nelle aree collinari non irrigue dell’Italia centro-meridionale, spesso si assiste ad una estrema semplificazione dei sistemi agricoli con ricorso alla monocoltura di frumento o a rotazioni strette frumento-orzo. Tale impostazione colturale può determinare problemi collegati alla fertilità fisica, chimica e biologica del suolo; la sostenibilità dei suddetti sistemi agricoli si può ottenere introducendo nelle rotazioni leguminose quali il favino (Vicia faba L. var. minor). Il favino apporta numerosi benefici: i) aumento del tasso di sostanza organica e azoto; ii) disponibilità di P, K e S; iii) riduzione della lisciviazione dei nitrati; iv) miglioramento della struttura e stabilità degli aggregati del suolo (Chalk, 1998) riduzione della competizione delle infestanti (Chalk, 1998). Inoltre il seme di favino può rappresentare un costituente delle razioni alimentari animali per il suo elevato contenuto proteico (20-28% del peso secco). Tuttavia i semi contengono sostanze (tannini, inibitori proteici, glucosidi) che possono interferire con la digestione e l’assimilazione dei nutrienti soprattutto nei monogastrici (Crépona et al., 2010). L’adattamento del favino negli aerali mediterranei è reso difficoltoso dalle condizioni ambientali che spesso riducono l’accumulo di biomassa e quindi la potenziale produttività della specie (Tomson and Siddique, 1997). Informazioni sulla variabilità genotipica in termini di risposta alle basse temperature, sulla lunghezza del ciclo e sulla resistenza alla siccità sono ampiamente riportate (Thomson and Siddique, 1997). Una scelta varietale appropriata è cruciale per migliorare l’adattabilità del favino negli ambienti a clima mediterraneo (Monotti et al., 2007). Tuttavia, poche sono le informazioni disponibili relative alla composizione del seme e al contenuto in fattori antinutrizionali, caratteristiche queste influenzate sia dal genotipo che da fattori ambientali (De Vincenzi et al., 2006). Con il presente studio sono state valutate le caratteristiche produttive e qualitative di cultivar di favino coltivate in una zona non irrigua dell’Italia centrale. Metodologia La sperimentazione è stata condotta nel 2005/2006 a Vasto (Chieti, Italia) (42° 10” lat. N; 14° 38” long. E, 30 m a.s.l) presso il CO.T.IR. (Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue) su un terreno franco-limoso-argilloso con le seguenti caratteristiche: argilla 40.7 %, limo 52.9 %, sabbia 6.4 %, pH (acqua) 8.2, azoto totale 0.14 %, sostanza organica 1.6 %, P 32 ppm, K2O, 451 ppm, bulk density 1.25 kg dm-3. Il clima, "attenuate thermo-Mediterranean” (Unesco-FAO), è caratterizzato da temperature minime invernali che spesso vanno sotto i 0°C e da temperature massime di circa 34-36°C. Le piogge (650 mm) si concentrano in autunno e primavera. La sperimentazione è stata condotta con le varietà di favino di seguito indicate (Chiaro di Torre Lama, Irena, Lady, Merkur, Prothabat 69, Scuro di Torre Lama, Sicania) seminate ad una densità di 40 semi germinabili m-2 nella prima decade di novembre. Alla raccolta sono state determinate produzione, umidità e peso medio dei semi. Il contenuto in polifenoli totali e non tannici è stato determinato secondo una reazione colorimetrica con il reagente di Folin-Ciocalteau (Maccaar et al.,1995); i polifenoli tannici sono stati determinati per differenza. Gli inibitori tripsici sono stati determinati secondo il metodo descritto da Clifford et al. (1980). I glucosidi vicina e convicina sono stati estratti in soluzione di uridina acquosa e quantificati in HPLC (Griffiths e Ramsay, 1992). I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza; le differenze tra i trattamenti sono state saggiate con il test t.

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Risultati I valori produttivi e qualitativi sono riportati in tabella 1. La produzione è variata da 4.3 t ha-1 della varietà Scuro di Torre Lama a 3.3 t ha-1 di Lady e Merkur. Sicania e Prothabat 69 hanno fatto registrare il peso di mille semi significativamente più elevato (0.65 e 0.55 g) mentre Scuro di Torre Lama il più basso (0.39 g). Le differenze tra le varietà in termini di inibitori tripsinici, polifenoli totali e tannici non sono risultate significative (media generale tra le varietà di 2.14, 9.66 e 3.73 mg g-1). Relativamente al tenore in vicina e convicina Lady è risultata di gran lunga la varietà con il contenuto più basso (1.76 e 0.11 mg g-1rispettivamente di vicina e convicina), mentre Irena ha fatto registrare i valori significativamente più elevati (15.25 e 0.30 mg g-1). Tabella 1. Caratteristiche produttive e qualitative di varietà di favino in prova nel 2005/2006 a Vasto. Prod. (t ha-1)

Peso medio semi (g)

Inibitori della tripsina (mg g-1)

Polifenoli totali (mg g-1)

Polifenoli tannici (mg g-1)

Vicina (mg g-1)

Convicina (mg g-1)

Chiaro Torre L.

3.9

0.42

2.19

10.37

3.78

13.21

0.25

Irena

3.6

0.48

2.36

9.86

3.23

15.26

0.30

Lady

3.3

0.41

1.66

9.94

4.93

1.76

0.11

Merkur

3.3

0.49

1.80

9.50

4.04

11.17

0.23

Prothabat 69

4.1

0.55

2.36

9.47

4.19

11.63

0.18

Scuro Torre L.

4.3

0.39

2.45

9.32

3.39

13.45

0.24

Sicania

4.1

0.65

2.13

9.16

2.56

11.34

0.25

Media

3.8

0.49

2.14

9.66

3.73

11.12

0.22

0.77

0.029

-

-

-

0.38

0.02

Varietà

LSD

Conclusioni La sperimentazione ha evidenziato una ottima performance produttiva delle varietà testate. Il tenore in polifenoli tannici è risultato essere medio alto e in termini assoluti più elevato nelle varietà Lady, Prothabat 69 e Merkur. Non è stata evidenziata alcuna correlazione tra contenuto in polifenoli tannici e resa in granella, mentre è stata evidenziata una correlazione inversa tra questi e il tenore in convicina. Al riguardo si nota che Lady è la varietà con il più alto tenore in polifenoli tannici e il più basso per quanto riguarda convicina e vicina. Bibliografia Chalk P.M. 1998. Dynamics of biologically fixed N in legume-cereal rotation: a review. Aus. J. of Agronomic Research, 49: 303-316. Clifford S. et al. 1980. The determination of Trypsin Inhibitor Level in Foodstuff. J. Sci. Food Agric., 31:341-350. Crépona et al. 2010. Nutritional value of faba bean (Vicia faba L.) seeds for feed and food. Field Crop Res. 115:329-339. De Vincenzi et al. 2006. Effect of variety and agronomical conditions on the level of polyphenols and antinutritional factors of Vicia faba minor. Veterinary Research Communications 30: 371-374. Griffiths D. W. e Ramsay G. 1996. The Distribution of Pyrimidinone Glucosides in Developing Seedlings of Vicia faba and Vicia narbonensis. J. Sci. Food Agric., (72) 4:469 - 475 Maccar H.P.S. et al. 1995. Formation of complexes between polyvinyl pyrrolidone and polyethylene glycol with tannins and their implications in gas production and true digestibility in vitro techniques. Brit. J. Nutr., 73:897-913. Monotti M. et al. 2007. Pisello proteico e favino: valutazioni di varietà in semina autunnale e confronto tra le specie. Agroindustria 1/2 (6): 47-54. Thomson B.D. and Siddique K.H.M. 1997. Grain legumes species in low rainfall Mediterranean-type environments. II. Canopy development, radiation interception, and dry-matter production. Field Crop. Res. 54: 189-199.

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Risposta Produttiva di Favino (Vicia faba var minor L.) Sottoposto a Regimi Irrigui e Fertilizzazione Azotata Elvio Di Paolo 1, Armando Mammarella 1, Pasquale Garofalo 2, Michele Rinaldi 2 1

COTIR - Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue, Vasto, IT, dipaolo@cotir.it 2 CRA-SCA, Unità di ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari, IT

Introduzione Il favino (Vicia faba var minor L.) è una specie leguminosa coltivata per sovescio, visti gli effetti benefici sulle colture successive (Kopke e Nemecek, 2010) e per la produzione di seme, utilizzato nell’alimentazione animale. Per quest’ultima, risulta importante assicurare livelli produttivi tali da rendere economicamente conveniente la sua coltivazione. L’ottimizzazione e la stabilizzazione delle produzioni negli ambienti Mediterranei passa anche attraverso la riduzione dello stress idrico (cui il favino è sensibile) e, conseguentemente, lo sviluppo ottimale dei noduli radicali azoto-fissatori (Khan et al., 2010). Questi ultimi possono essere favoriti anche da apporti di N nelle fasi iniziali. Obiettivo di questa ricerca è la valutazione della produttività di favino da seme, sottoposto a differenti regimi irrigui e apporto di fertilizzante azotato in un ambiente pianeggiante abruzzese. Metodologia L’esperimento è stato condotto a Vasto (CH) nel biennio 2005-06 e 2006-07, presso l’azienda sperimentale del COTIR, con suolo Aquic Haploxerert (sabbio-limo-argilloso) e clima “Mediterraneo attenuato”. Il favino è stato seminato a metà novembre e raccolto nella prima decade di luglio. Sono stati imposti 4 regimi irrigui, che prevedevano il ripristino del 100 (I100) e del 50% (I50) dell’ETc, una tesi con un intervento irriguo di 40 mm alla fase di fioritura-formazione bacelli (Is) e una tesi non irrigata (I0). L’ETc è stata calcolata come prodotto tra ET0 (stimata con la formula di Penman-Monteith) e Kc (Allen et al., 1998): quando l’ETc cumulata, al netto delle piogge raggiungeva 40 mm, si interveniva con 40 e 20 mm, rispettivamente per le tesi I100 e I50. Un trattamento di fertilizzazione azotata (N1) con 75 kg ha-1 di N, distribuiti 1/3 alla semina e 2/3 allo stadio di 4-6 foglie è stato confrontato con una tesi non fertilizzata (N0). Il disegno sperimentale è stato uno split-plot con 3 repliche e parcelle elementari di 27 m2. Alla raccolta è stata determinata la produzione di biomassa, di granella, il peso unitario del seme, l’umidità del suolo fino a 1.0 m e determinato il consumo idrico stagionale con un modello di bilancio idrico semplificato. L’efficienza d’uso dell’acqua nella produzione di seme (WUEs) è stata ottenuta rapportando la produzione in seme all’ETc. Risultati I due anni di prova si sono differenziati da un punto di vista climatico per la maggiore piovosità del 2005-06 durante il ciclo di crescita del favino (560 mm) rispetto al secondo anno (270 mm) e da temperature più basse nel primo anno rispetto al secondo. Pertanto, le interazioni con l’anno sono risultate significative per diversi parametri produttivi. La produzione in biomassa epigea è stata maggiore nell’anno più piovoso; inoltre l’interazione significativa “IxN” ha evidenziato l’effetto positivo dell’N solo nelle tesi Is e I50, negativo per la più irrigata I100 (Fig. 1). La produzione di seme è stata molto elevata nel primo anno (4.2 t ha-1), ma con una diversa risposta dei regimi irrigui: la tesi I100, a causa di un notevole allettamento delle piante dopo la formazione dei baccelli, è risultata la meno produttiva. Nel secondo anno, più secco, l’apporto irriguo ha incrementato significativamente la resa in seme rispetto alla tesi non irrigata (Tab. 1). L’effetto dell’azoto sulla produzione di granella non è risultato mai significativo, tuttavia nel primo anno le tesi N1 hanno prodotto meno delle N0, l’opposto si è verificato nel secondo anno, ad eccezione del trattamento irriguo I100. L’efficienza d’uso dell’acqua per la produzione di seme è stata in entrambi gli anni più alta nella tesi Is (Tab. 1). 99


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1. Principali risultati produttivi del favino.

Anno 2005/06 I0 Is I50 I100 N0 N1

Media 2006/07 I0 Is I50 I100 N0 N1

Media

Biomassa epigea (t ha-1)

Resa in seme (t ha-1)

Harvest Index

Peso medio seme (g)

WUEs (g kg-1)

16.1 16.8 17.9 18.4

4.1 4.6 4.2 3.8

0.25 0.30 0.24 0.20

0.44 0.49 0.48 0.48

9.4 10.0 9.0 7.9

17.8 16.8 17.3

4.5 3.9 4.2

0.25 0.24 0.25

0.47 0.47 0.47

9.7 8.4 9.1

7.0 9.9 11.5 10.7

2.4 3.1 3.2 3.0

0.34 0.32 0.28 0.28

0.38 0.37 0.38 0.38

7.6 8.6 8.0 6.5

9.1 10.5 9.8

2.7 3.1 2.9

0.31 0.30 0.31

0.37 0.38 0.38

7.2 8.1 7.7

-1

(t ha )

Conclusioni Da questa ricerca emerge 24 come la maggiore disponibilità idrica migliori la 21 produttività del favino, ma un 18 suo eccesso porta ad 15 aumentare il rischio di 12 allettamento delle piante, per il prolungarsi della fase 9 vegetativa rispetto a quella 6 riproduttiva. Una sola 3 irrigazione nella fase 0 fenologica più critica N0 N1 N0 N1 N0 N1 N0 N1 (fioritura-riempimento baccelli) sembra essere la I0 I0 I100 I100 I50 I50 Is Is migliore strategia per ottenere rese in seme più elevate e una Figura 1. Interazione “Irrigazione x Azoto” della produzione di migliore WUE. biomassa di favino, nei quattro regimi irrigui e sottoposta ai due L’applicazione di fertilizzante trattamenti fertilizzanti azotati. azotato non ha influenzato, in modo statisticamente significativo, la risposta produttiva, neanche in interazione con l’irrigazione. Bibliografia Allen R.G. et al. 1998. Crop evapotranspiration. Guidelines for computing crop water requirements. Irrigation and Drainage Paper No. 56, FAO; Rome, 301 pp. Kahan H.R. et al. 2010. Faba bean breeding for drought-affected environments: A physiological and agronomic perspective. Field Crops Res., 115:279-286. Kopke U., Nemecek T. 2010. Ecological services of faba bean. Field Crops Res., 115:217-233.

100


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Dormienza Estiva in Popolazioni Siciliane di Dactylis glomerata L.(1) Sonia G. Fontana1, Venera Copani1, Alessandro Lombardo2, Alessandra D. Cosentino1, Sebastiano Scandurra1 1

Dip.to di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Università di Catania, v.copani@unict.it ²Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia, Catania, alombardo@pstsicilia.org

Introduzione L’erba mazzolina (Dactylis glomerata L.) è una graminacea foraggera perenne, dotata di elevata longevità e produttività, ampiamente diffusa in Europa, nord Africa e ambienti temperati e tropicali dell’Asia (Tolmachev et al. 1995 cit. da Yan Peng et al., 2008). Il periodo più difficile per la sopravvivenza della specie nell’area mediterranea è quello estivo, caratterizzato dall’assenza prolungata delle piogge. Piuttosto che a meccanismi di tolleranza diretta alla siccità, efficaci solo per stress limitati durante la stagione di crescita, la strategia fondamentale di permanenza delle popolazioni mediterranee risiede nella dormienza estiva, la sola che consenta di sfuggire alla carenza idrica (stress avoidance) (Laude, 1953). Sotto l’aspetto produttivo, sarebbe comunque interessante individuare genotipi con una relativa “plasticità” di dormienza, tale da consentire una qualche reattività produttiva a condizioni favorevoli di umidità residua o a eventuali apporti idrici a fine stagione. Scopo di questa ricerca è stato quello di verificare il grado di dormienza estiva di genotipi della suddetta specie proveniente da ambienti alquanto diversi della Sicilia. Metodologia La ricerca è stata condotta nella primavera del 2008 presso l’azienda didattico-sperimentale della facoltà di Agraria dell’Università di Catania (Piana di Catania, 10 m slm, 37° 25’ Lat. N, 15° 30’ Long. E). Sono stati studiati 9 genotipi facenti parte di una più ampia collezione conservata dal 2002 presso il medesimo sito, provenienti da ambienti (Augusta, Ferla, S. Michele di Ganzaria, Bronte, Fornazzo, Castell’Umberto, Gioiosa Marea, Villapriolo, Riesi) caratterizzati da sensibili differenze per regimi termici e pluviometrici, altitudine e latitudine (Tab. 1). I suddetti genotipi sono stati confrontati con tre varietà commerciali messe a disposizione dall’INRA di Montpellier, Francia: “Medly”, genotipo non dormiente a fioritura precoce, di origine mediterranea, “Kasbah”, genotipo resistente alla siccità e non dormiente e “Porto” genotipo sensibile alla siccità. Durante il periodo autunno-vernino 2008/2009 è stata effettuata la semina in fitocelle delle varietà testimoni e il trapianto, sempre in fitocelle, dei culmi di accestimento prelevati da piante madri dei genotipi siciliani. Nella primavera 2009, i dodici genotipi sono stati trasferiti in Tabella 1. Caratteristiche degli ambienti di provenienza dei genotipi di Dactylis pieno campo su glomerata allo studio e epoca di spigatura di questi parcelle della Altitudine Piovosità Data di dimensione di 5.6 m² Genotipo Località m s.l.m. (mm) spigatura secondo un disegno sperimentale a blocchi 1 Augusta 40 533.4 08/05/09 randomizzati con sei 4 Ferla 500 783.8 03/04/09 ripetizioni. Nel periodo 24 S. Michele di Ganzaria 480 565.9 31/03/09 estivo a cadenza 46 Bronte 800 526.0 02/04/09 settimanale sono stati 56 Fornazzo 850 1313.4 06/05/09 rilevati i parametri 63 Castell’Umberto 660 906.3 10/05/09 biologici, biometrici e 65 Gioiosa Marea 100 634.1 05/04/09 produttivi ed è stata monitorata l’attività 81 Villapriolo 525 502.4 17/04/09 vegetativa 98 Riesi 369 461.1 06/05/09 (mantenimento, riduzione, cessazione) 101


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secondo quanto indicato da Volaire e Norton (2006) e Norton (2008). A questo scopo le parcelle sono state mantenute in regime di pieno soddisfacimento idrico (restituzione del 100 % dell’ETm). In questa sede si riferiscono solo alcuni dei risultato ottenuti. Risultati L’areale di raccolta del germoplasma di Dactylis glomerata copre tutta la Sicilia orientale e buona parte di quella centrale (Tab 1). Dal punto di vista geografico la quota altimetrica dei siti di prelievo cresce dal livello del mare (Augusta, genotipo 1) a 850 m s.l.m. (Fornazzo, genotipo 56). L’area intercetta soprattutto una notevole variabilità per quanto riguarda la piovosità annuale che va da un minimo di 460 mm (Riesi) ad un massimo di 1.300 mm (Fornazzo). I genotipi risultano caratterizzati da una differente epoca di spigatura, compresa tra il 31 marzo (genotipo 24) e il 10 maggio (genotipo 63). I genotipi Ferla, Fornazzo, Castell’Umberto, Gioisa Marea manifestano così come i testimoni Porto e Medly non dormienti, una normale attività vegetativa durante il periodo estivo. Viceversa, i genotipi Augusta, S. Michele di Ganzaria, Bronte, Villapriolo e Riesi, così come Kasbah specie dormiente di origine marocchina, dopo lo sfalcio di inizio estate non riprendono l’atti-vità vegetativa nonostante l’irri-gazione (Fig 1). La discriminante fra i due gruppi appare proprio la disponibilità di acqua, dal momento che i tipi non dormienti provengono da ambienti in cui la piovosità risulta superiore a 600 mm annui e quelli dormienti, invece, dispongono di una quantità di pioggia pari o inferiore a 500 mm. Dovrà essere meglio indagata, a questo proposito, anche la durata del periodo secco. Figura 1. Andamento dell’attività vegetativa nel periodo estivo dei genotipi allo studio GENOTIPO

4/7/09

10/7/09

16/7/09

22/7/09

28/7/09

3/8/09

Porto

12/8/09

30/8/09 LEGENDA:

Medly Kasbah 1 - Augusta

Mantenimento

4 - Ferla 24 - S. Michele di

Riduzione

46 - Bronte 56 - Fornazzo

Cessazione

63 - Castell'Umberto 65 - Gioiosa Marea 81 - Villapriolo 98 - Riesi

Conclusioni Il territorio siciliano preso in esame, per quanto di ridotte dimensioni, si caratterizza per sensibili differenze climatiche che determinano una risposta biologica alquanto differenziata nella Dactylis glomerata. Il livello di piovosità di circa 600 mm sembra essere la misura discriminate che ha consentito l’adattamento di genotipi dotati di dormienza estiva negli ambienti più siccitosi. Bibliografia Laude H.M. 1953. The nature of summer dormancy in perennial grasses. Bot. gazette, 114, 284-292. Norton M.R. et al. 2008. Measurement of summer dormancy in temperate pasture grasses. Australian Journal of Agricultural Research, 59: 498-509. Peng Y. et al. 2008. Evaluation of genetic diversity in wild orchadgrass (Dactylis glomerata L.) based on AFLP markers. Hereditas 145:174-181. Tolmachev et al. 1995. A.I. et al., 1995. Flora of the Russian arctic, Polypodiaceae-Gramineae, 1:330. Volaire F. and Norton M. 2006. Summer Dormancy in Perennial Temperate Grasses. Annals of Botany, 98: 927-933. (1) Ricerca realizzata con il contributo finanziario dei fondi di Ateneo (PRA)

102


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Caratterizzazione Molecolare mediante fAFLP di Germoplasma Siciliano di Dactylis glomerata L. Sonia G. Fontana¹, Alessandro Lombardo², Grazia Licciardello2, Venera Copani1 1

Dip.to Sc. Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Università di Catania, IT. v.copani@unict.it ²Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia, Catania, IT, alombardo@pstsicilia.org

Introduzione La regione mediterranea, pur essendo interessata al problema dell’erosione genetica è ancora oggi uno degli ecosistemi con la maggiore diversificazione specifica (Pignatti, 1995). Tuttavia risulta carente la disponibilità di specie foraggere selezionate per le esigenze dell’allevamento zootecnico. Dactylis glomerata L. è una specie foraggera prativa di elevato valore pabulare, presente nella flora spontanea della Sicilia nelle più diverse condizioni edafiche e climatiche, caratterizzata da un rilevante polimorfismo in relazione alla variabilità ambientale che caratterizza l’Isola. Le tecniche di caratterizzazione molecolare basate su polimorfismi del DNA, inclusi RAPD, ISSR (Zeng et al. 2006) e AFLP (Peng et al. 2008) sono state applicate con successo per la stima della variabilità genetica e delle relazioni intraspecifiche nel germoplasma della suddetta specie. La caratterizzazione genetica di questo germoplasma rappresenta un utile strumento per la conoscenza della suddetta variabilità, in parte già esplorata fenotipicamente, in vista della selezione di genotipi con caratteristiche rispondenti alle esigenze della foraggicoltura degli ambienti caldo-aridi. Metodologia Lo studio ha avuto come oggetto 7 accessioni siciliane reperite in località caratterizzate da condizioni pedoclimatiche alquanto differenti (Fontana et al., SIA 2010): Augusta (1), S. Michele di Ganzaria (24), Bronte (46), Fornazzo (56), Gioiosa Marea (65), Villapriolo (81), Riesi (98) e tre accessioni messe a disposizione dall’INRA di Montpellier, Francia: Medly, Kasbah e Porto. L’estrazione del DNA genomico è stata eseguita con il DNeasy Plant Mini kit (Quiagen), secondo il protocollo fornito dal produttore, previa distruzione dei tessuti vegetali in mortaio con azoto liquido. La caratterizzazione genetica è stata eseguita mediante fAFLP (fluorescent Amplified Fragment Length Polymorphism) come descritto da Vos et al. (1995), secondo il protocollo A-2015A (Beckman & Coulter Inc., Application Information 2005, http://www.beckman.com/). Per l’amplificazione selettiva sono state utilizzate tre combinazioni di coppie di primer EcoRI-MseI (Tab. 1) utilizzando primer EcoRI marcati con il floroforo Cy5. Le amplificazioni preselettive e selettive sono state effettuate su termociclatore Techne (Flexigene). L’elettroforesi capillare è stata condotta in condizioni standard su analizzatore genetico Ceq-8000 (Beckman & Coulter). La distanza e la matrice di similarità sono state calcolate rispettivamente con il metodo di Nei, Li e Dice utilizzando il software Freetree (Pavlieek et al., 1999) con un’analisi bootstrap di 500 ripetizioni. L’albero filogenetico è stato costruito secondo il metodo UPGMA (Unweighted pair-group method with average linkages), esportando il file di output nel software NJplot (Perriere and Gouy, 1996). Risultati L’amplificazione selettiva utilizzando tre diverse coppie di primer, ha originato 777 picchi di fluorescenza polimorfici su un totale di 841 (Tab. 1), con una media percentuale di 92,29±0,89. Il dendrogramma costruito secondo il metodo UPGMA, generato dalla matrice 0-1 (assenza-presenza di picchi), ha separato le accessioni di Dactylis glomerata L. in 5 gruppi, indicati come A, B, C, D, E (Fig.1); tale separazione appare correlata alle differenze nel tasso di piovosità che caratterizza gli ambienti di provenienza (Fontana et al., SIA 2010).

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella1. Numero di picchi totali, picchi polimorfici e percentuale di picchi polimorfici per ciascuna coppia di primer selettivi. Coppia di primer *e-ACA m-CTC *e-AAG m-CTA *e-AGG m-CTA

Numero di picchi 295 261 275

Picchi polimorfici 274 242 251

% di picchi polimorfici 92,88 92,72 91,27

Figura 1. Dendrogramma UPGMA delle accessioni siciliane e dei genotipi europei basato sulla matrice di similarità derivata da 841 marcatori AFLP. Porto A

Kasbah 98

B

Medly C

81

65 D

56

46 24

E

1

Conclusioni I dati ottenuti, seppur preliminari, indicano un elevato grado di polimorfisfmo tra le accessioni. I dati sono in accordo con una recente valutazione della diversità genetica di Dactylis glomerata L. eseguita su accessioni provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese (Peng et al., 2008). L’elevata variabilità genetica tra accessioni è probabilmente specchio della capacità di questa specie di colonizzare ambienti anche molto diversi, da qui la necessità di ampliare la collezione di germoplasma per studi di breeding e programmi di conservazione. Bibliografia Vos P. et al. 1995. AFLP: a new technique for DNA fingerprinting. Nucl. Ac. Res. 23(21):4407-14. Pavlıcek A. et al. 1999. FreeTree freeware program for construction of phylogenetic trees on the basis of distance data and bootstrap/jackknife analysis of the tree robustness. Application in the RAPD analysis of genus Frenkelia. Folia Biol.,45:97–99. Peng Y. et al. 2008. Evaluation of genetic diversity in wild orchadgrass (Dactylis glomerata L.) based on AFLP markers. Hereditas 145:174-181. Perrière, G. and Gouy, M. (1996) WWW-Query: An on-line retrieval system for biological sequence banks. Biochimie, 78, 364-369. Zeng B. et al. 2006. Genetic diversity of Dactylis glomerata germplasm resources detected by molecular markers. Dissertation of the 2nd China-Japan-Korea Grassland Conf., Lanzhou, China Ricerca realizzata con il contributo finanziario dei fondi di Ateneo (PRA) 104


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Conseguenze dell’Utilizzo di Oli Essenziali nella Coltivazione di Origano Laura Frabboni, Francesca Cristella, Giusi de Simone, Annamaria Tomaiuolo, Vittoria Russo Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, l.frabboni@unifg.it

Introduzione Le sostanze con potenziali effetti allelopatici sono numerose, fino ad oggi sono state individuate più di 300 molecole (Einhelling, 1996). Si tratta di composti del metabolismo secondario delle piante (Vaughan et al. 1991) che vanno a interferire con lo sviluppo di altre piante. Nishida N. et al. (2005) hanno studiato gli effetti di numerosi monoterpenoidi prodotti da piante officinali la cui azione è quella di inibire la moltiplicazione cellulare nei meristemi apicali delle radici. Negli oli essenziali è possibile ritrovare molte sostanze allelopatiche (Dudai N. et al. 1999). In bibliografia sono riportati gli effetti allelopatici generati dagli oli essenziali e dei loro componenti principali: i terpeni puri (Dudai N. et al. 2004). In questo ambito Sebile Azirak et al. (2008) hanno sviluppato ricerche sugli effetti allelopatici di diverse piante officinali, fra cui anche lavanda e menta. Anche Dudai N. et al. (1999) hanno condotto ricerche sulle proprietà allelopatiche di oli essenziali estratti da trentadue piante officinali. Dai risultati è emerso che la germinazione dei semi di molte infestanti diminuisce in seguito alle applicazioni di oli essenziali a dosi variabili. In questo contesto non esistono studi specifici sulle conseguenze dell’utilizzo degli oli essenziali in campo sulla coltivazione dell’origano (Origanum onites L.) né sulla resa né sulla produzione di metabolici secondari. Con questi presupposti in agro di Foggia è stata impostata una prova sperimentale per valutare la resa di prodotto fresco, secco e dell’olio essenziale dell’origano trattato con oli essenziali di menta (Mentha x piperita L.) e lavanda (Lavandula spica Chaix) caratterizzati da un’elevata concentrazione di terpeni. Metodologia In agro di Foggia, presso l’azienda Agraria Ortuso di Manfredonia (FG), è stato allestito un campo sperimentale in cui sono state messe a confronto tesi trattate con olio essenziale di menta (P1) e di lavanda (P2) con un testimone non trattato (T). L’origano è stato trapiantato manualmente nel mese di maggio ’09 in un suolo ‘franco-argilloso’. Da metà giugno ’09 sono state distribuiti ogni 20 giorni 5 cc olio essenziale di menta in P1 e di lavanda in P2. Gli oli essenziali sono stati ottenuti tramite idrodistillazione rispettivamente di foglie di Menta x piperita L. e di Lavandula spica Chaix con l’apparecchio di Clevenger. L’eccesso di acqua presente nell’olio essenziale è stato allontanato con il solfato di sodio anidro. L’analisi gascromatografica qualitativa è stata condotta con una gascromatografo accoppiato con un spettrometro di massa (GCMS). L’origano è stato raccolto il 6 maggio 2010 e messo a seccare a temperatura ambiente per (28 giorni) giorni. E’ stata effettuata la distillazione delle foglie essiccate in data 11 giugno per ottenere l’olio essenziale di origano ed effettuata l’analisi gascromatografica qualitativa per valutare i principali componenti. Risultati Dall’analisi dei risultati (tab. 1) è emerso che la tesi P1 è stata quella che ha fornito maggior quantità di peso fresco e di peso fresco (rispettivamente: 27.9 e 5.9 kg/parcella). Per quanto riguarda la resa in olio essenziale invece P2 ha garantito 0.95% mentre P1 0.90%. Nel testimone non trattato si sono sempre registrati valori inferiori rispetto alle parcelle trattate con olio essenziale. Interessante risulta l’analisi dei principali componenti dell’olio essenziale di origano (tab. 2). 105


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L’estratto ottenuto dalle piante cresciute in P1 è più ricco di: α-pinene, camphene, phellandrane, αterpinene, ocimene, linalolo, carvone e timolo. Il prodotto distillato da P2 risulta con una maggiore concentrazione di: cimene, α-terpinolo e carvacrolo. L’olio essenziale ottenuto dal testimone ha un’elevata % di: mircene e γ-terpinene. Tabella 1. Peso fresco (kg/parcella), peso secco (kg/parcella) e resa in olio essenziale (%)

T P1 P2

Peso fresco Peso secco Resa in olio 18.5 d 3.35 c 0.8 ab 27.9 a 5.9 a 0.9 ab 25.4b 5.15 ab 0.95 a I valori seguiti dalla stessa lettera non sono significativamente diversi per P ≤ 0,05 secondo il Tukey test

Tabella 2. Principali componenti (%) dell’olio essenziale di origano cresciuto nelle diverse tesi Componenti α-pinene Camphene Myrecene Phellandrane α-terpinene Ocimene γ-terpinene

T 0.10 0.07 0.24 0.05 0.39 0.01 0.79

P1 0.30 0.17 0.14 0.25 0.59 0.04 0.59

P2 0.10 0.02 0.20 0.03 0.24 0.01 0.49

Componenti Eucalyptol cymene Linalool α-terpineol Carvone Thymol Carvacrol

T P1 P2 0.09 0.01 0.03 0.85 0.55 0.92 0.46 0.86 0.26 0.36 0.16 0.56 0.12 0.42 0.22 0.42 0.82 0.22 33.78 36.78 39.78

Conclusioni Dal lavoro è emerso che l’origano trattato con olio essenziale di menta ha fornito maggior quantità di peso fresco e di peso fresco e un olio essenziale più ricco in: α-pinene, camphene, phellandrane, αterpinene, ocimene, linalolo, carvone e timolo. La coltura trattata con olio essenziale di lavanda ha garantito una maggior resa di olio essenziale e quest’ultimo è risultato più ricco in: cimene, α-terpinolo e carvacrolo. Il testimone si è distinto per un’elevata percentuale di: mircene e γ-terpinene nell’olio essenziale. Bibliografia Einhelling F.A. 1996 Interactions involving allelopathy in cropping systems Agron. J., 88: 886-893. Vaughan D. et al. 1991 Extraction of potential allelochemicals and their effects on root morphology and nutrient content in: Plant root growth: an ecological perspective. (Ed.). Blackwell Scientific Pubblications, Oxford: 399-421. Nishida N. et al. 2005 Allelopathic effects of volatile monoterpenoids produced by Salvia leucophylla: inhibition of cell proliferation. Journal of Chemical Ecology, 31 (5): 1187-1203. Dudai N. et al. 1999 Essential Oils as Allelochemicals and Their Potential Use as Bioherbicides J.Chem.Ecol., 25:107989. Dudai N, et al. 2004 Essential oils as allelopathic effects: bioconversion of monoterpenes by germinating wheat seeds Actahort. (ISCS) 629:505-508. Sebile Azirak et al. (2008) Allelopathic effect of some essential oils and components on germination of weed species Acta Agriculturae Scandinavica, Section B - Plant Soil Science, 58: 88-92. Si ringraziano il dott. Filippo Taronna ed i Sig. Dario e Giuseppe Ortuso per la disponibilità e il prezioso aiuto mostrati nella conduzione delle prove.

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Leguminose da pascolo di seconda generazione: una opportunità per i sistemi foraggero-zootecnici mediterranei? A. Franca, C. Porqueddu, G. A. Re, L. Sulas CNR-ISPAAM, Trav. La Crucca 3, Loc.. Baldinca, 07100 Sassari (Italy). e-mail: antonello.franca@gmail.com

Introduzione Nell’ultima decade, diverse varietà di leguminose da pascolo di seconda generazione (Loi et al., 2005) selezionate in Australia vengono distribuite nel mercato sementiero europeo, ampliando di fatto la possibilità di scelta dei nostri agricoltori (Sulas, 2005; Porqueddu & González, 2006). Pertanto, è importante valutare i benefici derivanti dalla loro introduzione in sistemi foraggero-zootecnici mediterranei. In questo lavoro condotto in Sardegna si riferisce sull’adattamento e la persistenza di alcune leguminose di seconda generazione. Metodologia Sono state condotte tre prove sperimentali in tre differenti contesti agro-ambientali lungo il gradiente nord-sud dell’Isola: Chilivani (40° 36’ N, 8° 56’ E), Bolotana (40° 16’ N, 8° 58’ E) e Oristano (39° 57’ N, 8° 36’ E). Sono state valutate 21 leguminose annuali (Tabella 1). Le parcelle, previa aratura, concimazione con 100 kg ha-1 di P2O5 (superfosfato) e preparazione del letto di semina, sono state disposte secondo un disegno a blocchi randomizzati con 3 repliche e seminate in autunno con seme non inoculato e dosi comprese fra 8 e 30 kg ha-1. L’adattamento dei materiali in esame è stato stimato combinando osservazioni sul ricoprimento percentuale e sul contributo potenziale alla banca del seme. Risultati La risposta delle singole specie è stata differente in relazione alle caratteristiche ambientali dei siti. Alcune varietà australiane hanno mostrato difficoltà di adattamento e produzione foraggera inferiore o simile rispetto ai trifogli sotterranei (dati non riportati), soprattutto a Chilivani e Bolotana, in siti caratterizzati da limitazioni edafiche (suoli poco profondi) e climatiche (maggiore numero di giorni di gelo). A Chilivani, è risultato un sufficiente ricoprimento nell’anno di insediamento solo per la metà delle accessioni, probabilmente a causa delle più severe temperature invernali (Tabella 1). A Bolotana sia l’insediamento che la crescita primaverile sono risultati in generale rilevanti (fatta eccezione per T. michelianum Paradana). L’insediamento ed il ricoprimento di gran parte delle accessioni è stato soddisfacente ad Oristano, dove numerose accessioni hanno mostrato ricoprimenti superiori al 60% anche al secondo anno. A Bolotana e, in misura ancora maggiore, a Chilivani, è stata registrata una sensibile riduzione della produzione di seme dopo l’anno di insediamento (Tabella 2). Pur con differenze fra siti e fra annate, T. glanduliferum Prima, T. vesiculosum Cefalù, T. spumosum WCT36 e T. hirtum Hykon hanno mostrato un buon contributo alla banca del seme. Per alcune accessioni, scarsi valori di ricoprimento e persistenza sono stati osservati sia pure in presenza di soddisfacenti produzioni di seme nella precedente primavera, suggerendo che, probabilmente, elevate percentuali di seme duro, carattere ricercato dai selezionatori australiani (Loi et al., 2005) possono aver influito negativamente sul reinsediamento autunnale delle plantule. Conclusioni I risultati indicano che, se l’obiettivo principale fosse l’insediamento di un pascolo permanente, sarebbe possibile fare affidamento solo su un numero molto ristretto di leguminose di seconda generazione, accuratamente scelte in relazione alle specifiche caratteristiche pedo-climatiche di ciascun sito; di contro, più opzioni sarebbero possibili se l’obiettivo fosse l’inserimento di queste nuove leguminose in rotazione breve con cereali e foraggere. I risultati indicano inoltre che gli ecotipi locali e/o le varietà di specie tradizionali da pascolo sono ancora più adatte della gran parte delle leguminose di seconda generazione di recente commercializzazione. Tuttavia, alcune accessioni potrebbero essere inserite in miscugli oligofiti da pascolo opportunamente costituiti tenendo conto della elevata variabilità pedoclimatica presente in Sardegna e più in generale nel Bacino Mediterraneo. 107


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1. Ricoprimento (%) delle varietà nel corso della prova nei tre siti sperimentali. sito Specie

varietà

B. pelecinus B. pelecinus M. polymorpha O. compressus O. compressus O. compressus O. sativus O. sativus T. brachycalycinum T. glanduliferum T. hirtum T. incarnatum T. michelianum T. michelianum T. resupinatum T. resupinatum T. resupinatum T. spumosum T. subterraneum T. subterraneum T. vesiculosum

anno Casbah Mauro Anglona Avila Pabarile Santorini Cadiz Marguerita Funtana Bona Prima Hykon Caprera Bolta Paradana Laser Nitro Plus Prolific WCT36 Campeda York Cefalu

CHILIVANI 2004 57 43

48 57 48 26 71 67

2005

de

23 35

bc

cd

21 90 43 23

de cd a

e

41 57

e

67 66

e

50

cd

e

2006

a

40 23

bcd

a

20 42 19 19

f d a

cd

23 26

e

23 90

a

31

abc

BOLOTANA

f

bc a

a c a a

a a

19 38

a

31

ab

bc

2008 26 40

17 40 26 23 26 19

38 23 28

2007 61 b

2008 10 a

ORISTANO 2009 0

2003 49 abcde 62 cdefg

abc

2004 30 abc 79 de

c

96 66 96

c

84 68

bc

b c

77 27 67

b

67 65

b

a b

60 38 15

b

48 50

b

ab a

34

ab

59

bcd

48 50

abcde

58 20

bcd

78 67 65 77 73 51 55 71 74

g

77 90 61 68 78 11 63 85 87

de

47 74

abcd

83 94

de

abcdef

a

a c abc

bc

b

b

ab

abc a

7

a

8

a

0

bc

defg defg g fg abcdef bcdefg efg g

de cd de de a cd de de

ab

abc

59

b

13

a

13

a

g

e

Tabella 2. Numero di semi m-2 per le varietà in esame nei tre siti. Le varietà sono state raggruppate sulla base della dimensione del seme. sito Specie

CHILIVANI

BOLOTANA

ORISTANO

varietà

anno Peso 1000 semi < 2 g B. pelecinus Casbah B. pelecinus Mauro T. glanduliferum Prima T. michelianum Bolta T. michelianum Paradana T. resupinatum Nitro Plus T. resupinatum Prolific T. vesiculosum Cefalu Peso 1000 semi > 2 g M. polymorpha Anglona O. compressus Avila O. compressus Pabarile O. compressus Santorini O. sativus Cadiz O. sativus Marguerita T. brachycalycinum Funtana Bona T. hirtum Hykon T. incarnatum Caprera T. spumosum WCT36 T. subterraneum Campeda T. subterraneum York

2004

2005

2007 35743

89726 24004 18879 62482

17209

2512 5972 4149 60615 3262 3262

2008 ab

11761

2009

2003

a

b a

44132

ab

20280

a

35740

a

a b

6126

a

59522

b

49463

a

6728

a

32135 25255 17792

b

29280 7347 7965

b

13809 7334 2200

b

7387

a

1843

a

96640 86772 198063 15715 89654 9357 109678 193527

2004 b b c a b a b c

35851 112103 47108 59713 20804 78136 89733 169830

ab bc ab ab a ab abc c

b

ab ab

a a

a a

13994

ab

14492

a

20152 14746

abc

13757

a

147868 24714 62869

c

ab

a a

2162

a

a

c a a

3245

a

1877

a

93164 46083 138831 30330

d c e

bc

16462

ab b

ab

Bibliografia Loi A. et al., 2005. A second generation of annual pasture legumes and their potential for inclusion in Mediterranean- type farming systems. In: Australian Journal of Experimental Agriculture, 45, 289-299. Porqueddu C. and González F., 2006. Role and potential of annual pasture legumes in Mediterranean farming systems. Pastos, vo. XXXVI (2), 125-142 (Ed. SEEP). Sulas L., 2005. The future role of forage legumes in the Mediterranean climatic areas. In: S.G. Reynolds and J. Frame (Eds.) Grasslands: Developments Opportunities Perspectives. Rome, FAO, and New Hampshire, Usa, Science Publishers. Inc. ISBN 1 – 57808-359-1, 29-54. 108


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Aspetti Produttivi del Girasole da Biomassa in Provincia di Foggia Giuseppe Gatta1, Pietro Soldo2, Michele C. lo Storto1, Emanuele Tarantino1 1

Dip. di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa vegetale (Di.S.A.C.D.) Univ. Foggia, IT, g.gatta@unifg.it 2 Consorzio per la Bonifica della Capitanata, IT, pietro.soldo@bonificacapitanata.it

Introduzione Il girasole rappresenta una specie rustica, con un'ottima capacità di crescita e una buona tolleranza alla siccità; inoltre, il contenuto di olio nella granella costituisce un elemento importante nel caso si ipotizzi un utilizzo di tale coltura, sotto forma di trinciato, nella filiera della digestione anaerobica per la produzione di metano (Sarti e Canestrale, 2007). Lo scopo della sperimentazione è stato quello di valutare, in Capitanata, la possibilità di coltivazione di alcuni ibridi di girasole da biomassa, da destinare a processi di fermentazione anaerobica. Metodologia La prova ha avuto luogo nel 2008 presso tre aziende della Capitanata (Trivisano, Leggieri e Lago Salso) ed è stata svolta su due ibridi di girasole da biomassa (SW 0411 e SW 6503) prodotti dalla KWS. Le aree di A coltivazione prescelte sono state individuate in relazione all’opportunità di valutare il comportamento produttivo degli ibridi in ambienti differenti: l'azienda Trivisano è situata in agro di Foggia, mentre Leggieri e Lago Salso sono localizzate nell'area pedegarganica, rispettivamente nel comune di Rignano Garganico e di Manfredonia. La semina, avvenuta il 28, 29 e 30 di aprile rispettivamente a Foggia, Rignano Garganico e Manfredonia, è stata realizzata con una seminatrice di B precisione, adottando una distanza tra le file di 0.45 m e -2 una distanza sulla fila di 0.3 m (7.4 semi m ). Alla coltura di girasole è stato somministrato un volume stagionale irriguo fisso, corrispondente a 1.200 m3 ha-1, erogato (per aspersione) in tre soluzioni di 400 m3 ciascuna: al momento della semina, subito prima ed immediatamente dopo la comparsa del bottone fiorale. Per quanto riguarda le lavorazioni meccaniche del suolo è stata eseguita solo una ripuntatura e una successiva un’erpicatura superficiale C del terreno. In tutte le località, la concimazione è consistita nella somministrazione, in pre-semina, di 46.0 kg/ha di P2O5 e 80.0 kg/ha di N. La raccolta, avvenuta mediante trinciatura, al “viraggio” del colore della calatide, verificatasi il 23 luglio per la varietà SW 0411 e il 07 agosto per la varietà SW 6503. A fine ciclo delle colture, su aree di saggio di 4 m2 (2m x 2m), sono stati determinati i dati di produzione fresca dell’intera pianta e quella relativa alle sue tre frazioni (foglie, fusto e calatide); inoltre, sulle piante relative a un metro lineare di fila, è Figura 1. Effetto dell’interazione tra gli ibridi stata calcolata la percentuale di sostanza secca. Nelle testati (KW 6503 e KW 0411) e le località di diverse località di prova, è stato applicato un disegno coltivazione del girasole (Foggia, Rignano G. sperimentale a blocchi randomizzati, con tre repliche. I e Manfredonia) sulla produzione fresca totale dati produttivi sono stati sottoposti ad analisi statistica (fig. 1-A), su quella relativa al fusto (1-B) e 109


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

secondo la metodologia ANOVA (Analisi della Varianza). Successivamente, si è proceduto alla discriminazione statistica delle medie impiegando il test di Tukey. Risultati L’ANOVA riferita alla produzione fresca, ha evidenziato un’interazione “Ibrido x Località“ statisticamente significativa (risultati non riportati), quindi, si è proceduto a discriminare le medie ad essa corrispondenti, così come evidenziato nella Figura 1-A. Rignano Garganico è la località in cui si sono conseguite produzioni di trinciato più elevate; ciò riguarda entrambi gli ibridi ma, più in particolare, l’ibrido KW 6503 che si distingue, anche se in maniera statisticamente non significativa dall'ibrido KW 0411, evidenziando una produzione 46.1 t ha-1. L'ibrido KW 6503 ha manifestato una superiorità produttiva anche nelle località di Foggia e Manfredonia facendo registrare, rispetto al suo diretto confronto, maggiori incrementi produttivi: 11.9 t ha-1 a Foggia rispetto a 10.5 t ha-1 riscontrati a Manfredonia. La significatività dell’interazione si giustifica in quanto, con riferimento alla località di Foggia, l’incremento produttivo del KW 6503 rispetto all’altro ibrido è più consistente se confrontato all’incremento che si manifesta nelle altre due località. In merito alla produzione fresca delle tre frazioni della coltura (foglie, fusto e calatide), altamente significativa è risultata l'interazione “Ibrido x Località” riferita al peso fresco del fusto e delle foglie, mentre per la componente di produzione riferibile alla calatide, tale interazione è risultata non significativa. In quest'ultimo caso gli ibridi di girasole hanno differenziato il loro comportamento produttivo: 14.6 e 10.7 t ha-1 rispettivamente per l'ibrido KW 6503 e KW 0411; mentre, rispetto alle località di coltivazione si sono ottenute 14.4, 12.2 e 11.3 t ha-1 riferite nell’ordine a Rignano, Manfredonia e Foggia (risultati non riportati). Nella figura 1-B e 1-C sono evidenziati i valori di produzione fresca del fusto e delle foglie con specifico riferimento all'interazione “Ibrido x Località”: le produzioni maggiori della componente fusto si sono ottenute a Rignano Garganico con l'ibrido KW 6503 (22.9 t ha-1), non statisticamente diversa da quelle rilevate, nella stessa località, con l'ibrido KW 0411 (22.6 t ha-1). La produzione fresca delle foglie più elevata si è riscontrata con l'ibrido KW 6503 a Manfredonia (8.8 t ha-1) e a Rignano (7.7 t ha-1), quest'ultima non differente da quella rilevata, per l'ibrido KW 0411, a Rignano G. e Manfredonia. La percentuale di sostanza secca del trinciato è risultata, in media, pari al 27.8 % per l'ibrido KW 6503 e 26.2 % per l’ibrido KW 0411. Conclusioni I valori di biomassa fresca totale più elevati si sono avuti, per entrambi gli ibridi di girasole, a Rignano Garganico, mentre differenze significative di produzione si sono osservate tra l'ibrido KW 6503 e KW 0411 nelle località di Foggia e Manfredonia. Complessivamente i livelli di produzione rilevati possono considerarsi interessanti per un possibile utilizzo del girasole da biomassa nelle filiere agro-energetiche della Capitanata. Bibliografia Sarti A. e Canestrale R. 2007- Produzione di biogas: test su mais, girasole e sorgo. Agricoltura, 11:87-89. Il progetto di ricerca è stato finanziato dalla Regione Puglia nell'ambito delle "Attività dimostrative, assistenza tecnica e divulgazione" e coordinato dal Consorzio per la Bonifica della Capitanata.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Esperienze di Propagazione della Canna Comune (Arundo donax L.) per Talea di Fusto in Pieno Campo Piergiorgio Gherbin1, Angelo Giampaoli2, Mario Bimbatti2, Antonio Sergio De Franchi1, Anna Rita Rivelli1 1

Dip. Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Univ. Basilicata, IT, annarita.rivelli@unibas.it 2 Powercrop S.r.l., via A. Falk 4/16, 20099 Sesto San Giovanni (MI), IT

Introduzione La canna comune in ambiente mediterraneo non produce seme, pertanto, ad oggi, può essere propagata solo per via agamica utilizzando piantine micro propagate, porzioni di rizoma, talee di fusto. Tra queste modalità, le prospettive più interessanti dal punto di vista dell’economicità dell’impianto sono a carico delle talee di fusto (Copani et al., 2003). Con il lavoro qui riportato si è voluto approfondire le conoscenze riguardo le potenzialità di propagazione dell’Arundo donax per talea di fusto in pieno campo. Metodologia La prova è stata realizzata nel 2008 in agro di Pieve Cesato (RA) adottando uno schema distributivo a parcelle suddivise con 3 repliche, nel quale sono stati studiati gli effetti dell’epoca di impianto (da aprile a settembre con cadenza mensile) e della porzione di fusto utilizzata come materiale di propagazione (fusti interi, talee di 2 m e di 1 m di lunghezza) sulla produzione di nuove piante in situ. All’atto dell’interramento sono stati contati i nodi di ogni porzione di fusto. Successivamente si è provveduto a garantire una buona disponibilità idrica delle parcelle mediante un impianto di irrigazione localizzata per un periodo di circa due mesi, al termine del quale per ogni epoca d’impianto sono stati rilevati il numero di germogli emersi per ogni fila e la distanza dalla base del fusto dei singoli germogli; a fine stagione, inoltre, è stato rilevato il numero di germogli secondari per ogni germoglio primario emerso (sinteticamente di seguito definito “accestimento”). I dati relativi al numero di nodi, alla lunghezza degli internodi ed alla distanza dalla base di ogni germoglio emerso lungo il fusto-madre sono stati elaborati al fine di evidenziare i caratteri morfologici e la capacità di emissione di germogli da parte di porzioni di fusto della lunghezza di 100 cm, lunghezza idonea per la meccanizzazione della preparazione e dell’impianto delle talee. Risultati a): I dati rilevati sul totale (324) dei culmi utilizzati hanno mostrato che, in media, il culmo era formato da 31 nodi progressivamente ravvicinati in senso acropeto, passando da una lunghezza dell’internodo di circa 16 cm nella sua porzione basale ad una lunghezza dimezzata nel tratto apicale (Tab. 1). Tabella 1. Numero e percentuale di nodi e loro interdistanza per i tratti di culmo considerati. Tratto di culmo (cm) 1 – 100 101 – 200 201 – 300 301 – 400

nodi (n ± dev.std.) 6.05 ± 1.88 5.54 ± 1.70 7.59 ± 2.06 11.89 ± 2.24

nodi (%) 19.3 C 18.1 C 24.3 B 38.3 A

distanza tra i nodi (cm ± dev.std.) 15.63 ± 5.65 16.75 ± 4.87 12.13 ± 3.63 7.41 ± 1.45

Somma

31.07 ± 5.89

---

---

A lettere diverse corrispondono valori diversi per P ≤ 0.01 secondo il test di Duncan

b): Sia il numero di nodi interrati che hanno prodotto un germoglio emerso, sia l’entità dell’accestimento sono stati influenzati solo dall’epoca d’impianto e non dalla lunghezza della 111


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

talea. In particolare, si è registrato un andamento della percentuale di nodi con germoglio, crescente nel periodo aprile-luglio, epoca, quest’ultima, in cui è stato osservato il valore massimo di circa il 22%, e successivamente decrescente. Le talee impiantate in settembre non hanno prodotto alcun germoglio. L’accestimento ha mostrato valori decrescenti nel corso della stagione, mostrando la massima potenzialità di propagazione in corrispondenza dell’impianto effettuato in epoca estiva (Tab. 2). Tabella 2. Influenza dell’epoca di impianto su percentuale di nodi con germoglio, numero di culmi per nodo e numero complessivo di nuovi culmi per culmo impiantato. nodi con germoglio accestimento (%) (n culmi / nodo) 28 – 4 4.37 C 10.50 A 28 – 5 10.67 B 6.14 C 20 – 6 11.04 B 8.10 B 18 – 7 22.19 A 6.54 BC 22 – 8 15.09 B 2.29 D 24 – 9 0 0 A lettere diverse corrispondono valori diversi per P ≤ 0.01 secondo il test di Duncan

Epoca d’impianto

nuovi culmi (n / culmo) 14.26 C 20.35 B 27.78 B 45.09 A 10.74 B 0

c): L’analisi statistica ha evidenziato la significatività dell’interazione tra epoca d’impianto e tratto di fusto-madre sulla percentuale di nodi con germoglio emerso. Peraltro, dal punto di vista pratico-applicativo, è da notare come l’andamento dei dati lasci intravvedere, progressivamente nel tempo, una risposta tendenzialmente meno favorevole del tratto 0-100 cm dalla base e, per contro, una risposta migliore a carico del tratto apicale (301-400 cm dalla base), mentre i tratti centrali (101-200 e 201-300), al di là dei dati ottenuti per l’epoca d’impianto più precoce, non sono risultati diversi tra loro (Tab. 3). Tabella 3. Influenza dell’epoca di impianto e del tratto di culmo considerato sulla percentuale di nodi con germoglio. Tratto di culmo (cm dalla base) 0-100 101-200 201-300 28 – 4 23.2 BCD 63.2 A 11.0 DE 28 – 5 34.1 BC 25.5 BC 23.9 BC 20 – 6 16.7 BCD 18.6 BCD 26.6 BC 18 – 7 16.1 BCD 29.2 BC 34.9 BC 22 – 8 14.3 CD 27.9 BC 27.6 BC 24 – 9 0 0 0 A lettere diverse corrispondono valori diversi per P ≤ 0.01 secondo il test di Duncan Epoca d’impianto

301-400 2.8 E 16.6 CD 38.2 B 19.8 BCD 30.2 BC 0

Conclusioni La germogliazione delle gemme caulinari ha sortito i risultati migliori con l’impianto di piena estate, mentre non sono emerse differenze a carico sia della diversa lunghezza, sia della porzione di fusto (basale, mediana, apicale) utilizzata come talea. La formazione di culmi secondari è risultata decrescente con l’avanzare dell’epoca di impianto. Bibliografia Copani V. et al. 2003. Validità di differenti metodi di propagazione per l’impianto di una coltura di canna comune (Arundo donax L.). XXXV Conv. SIA, Portici (NA), 163-164.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Esperienze di Propagazione della Canna Comune (Arundo donax L.) per Talea di Fusto in Ambiente Protetto Piergiorgio Gherbin1, Angelo Giampaoli2, Mario Bimbatti2, Antonio Sergio De Franchi1, Anna Rita Rivelli1 1

Dip. Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Univ. Basilicata, IT, annarita.rivelli@unibas.it 2 Powercrop S.r.l., via A. Falk 4/16, 20099 Sesto San Giovanni (MI), IT

Introduzione La tecnica della moltiplicazione dell’Arundo donax per talea di fusto trova nella recente letteratura scientifica limitati riscontri bibliografici (Gherbin et al., 2005; Copani et al., 2008; Cosentino et al., 2009). Ciò in considerazione del fatto che la gran parte delle esperienze di coltivazione hanno previsto l’uso, come materiale di propagazione, di porzioni di rizoma, e che larga parte della letteratura scientifica vede la canna esclusivamente come specie infestante. Gli studi di seguito descritti hanno come obiettivo una migliore conoscenza della risposta vegetativa della specie al fine della sua propagazione per talea. Metodologia Le prove sono state condotte nel 2006-07 presso l’azienda Spada (Brisighella, RA) in serra-tunnel climatizzata, utilizzando come materiale di propagazione talee monogemma provenienti da un ecotipo locale. Adottando per tutte le prove uno schema distributivo a blocchi randomizzati con 4 repliche, è stata studiata l’influenza sulla germogliazione e sulla radicazione di: a) 8 diversi prodotti stimolanti la radicazione (tab.1), b) posizione della gemma sul fusto, c) diversa lunghezza della talea. a): i trattamenti sono stati realizzati mediante immersione delle talee in soluzione acquosa (Tab.1) per 24 ore e successivo impianto in contenitori con terriccio universale. b): sono state utilizzate talee identificate in senso acropeto lungo il fusto-madre e messe a dimora come in a). c): sono state utilizzate talee provenienti dalla sola parte centrale del fusto ma di lunghezza diversa e impiantate sia orizzontalmente che verticalmente nel substrato di radicazione. Tabella 1. Tesi a confronto

1 2 3 4 5 6

Nome commerciale Naftal Germon 0,5% Germon 0,75% 66 F IBA Kendal

7

Radifarm

8 9

Cytokin Testimone

Tesi

Principio attivo

[p.a.]

Formulato

acido α-naftilacetico (NAA) derivato amidico dell’NAA derivato amidico dell’NAA estratti vegetali, derivati glucosidici, vitamine B, NAA, microel. acido indolbutirrico (IBA) N organico ed ureico, K solubile, sostanza organica polisaccaridi, polipeptidi, aminoacidi, vitamine, chelati di Fe e Zn citochinine naturali ----

10 ‰ 20 ‰ 20 ‰ 0.3 ‰ 2‰

liquido polvere polvere liquido polvere liquido

2.5 ‰

liquido

3‰ ---

liquido ---

Risultati a): La germogliazione è risultata più rapida e superiore al 75 % per i trattamenti con gli stimolanti 4,6,7,8 e per il testimone, mentre i trattamenti con NAA ed IBA hanno evidenziato una germogliazione inferiore e scalare (Fig. 1). Peraltro, all’elevato tasso di germogliazione non ha fatto riscontro un’adeguata radicazione delle talee, risultata in media di circa l’8% (Fig. 2). b): La germogliazione è stata pronta e di entità mediamente superiore all’80% ed ha evidenziato un andamento parabolico con un valore massimo del 97% per le talee provenienti dalla parte centrale del 113


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

fusto e valori minimi per quelle provenienti dalla base e dall’apice; la radicazione ha, invece, evidenziato un andamento a campana con valori prossimi allo zero per le gemme poste ai due estremi del fusto ed un valore massimo del 26% in corrispondenza della 15a gemma (Fig. 3). c): Le talee più lunghe e la posizione orizzontale hanno mostrato un tasso di germogliazione superiore a quelle corte e alla posizione verticale, con valori medi dell’86% e 67% rispettivamente (Fig. 4).

germogliazione (%)

100

6 8 4 9 7 5 2 3 1

80 60

non germ ogliate m orte ingiallite germ ogliate non radicate germ ogliate e radicate

% 100 80 60

40

40

20 20

0 0

10

20

30

40

50

60

70

80

0

giorni dal trapianto

1

2

3

4

5

6

7

8

9

trattam enti stim olanti

Figura 1. Influenza dei trattamenti stimolanti sull’evoluzione temporale della germogliazione.

Figura 2. Influenza dei trattamenti stimolanti su germogliazione, radicazione e vitalità delle talea. non germogliate germogliate non radicate germogliate e radicate 100

80 60

germogliazione / radicazione (%)

radicazione / germogliazione (%)

100

germogliazione radicazione

40 20 0 5

10

15

20

25

30

n. gemma

Figura 3. Influenza della posizione della gemma lungo il fusto sulla germogliazione e radicazione.

C

lunghe orizzontali

lunghe verticali

B

BC

corte orizzontali

corte verticali

80 60 40 20 0

0

A

Figura 4. Influenza della lunghezza e posizione di talee monogemma su germogliazione e radicazione.

Conclusioni Alcuni prodotti stimolanti la radicazione a base di estratti diversi, il posizionamento in orizzontale delle talee nel substrato ed il prelievo delle talee dal tratto centrale del fusto hanno mostrato effetti positivi sulla germogliazione delle gemme, con valori compresi fra l’80 ed il 100%, mentre la radicazione delle stesse è risultata di gran lunga inferiore e favorita dall’impianto in orizzontale di talee monogemma lunghe provenienti dalla parte centrale del fusto-madre. Bibliografia Copani V. et al. 2008. Propagation of Arundo donax L. by means of rhizome and stem cuttings. Ital. J. Agron., 3 suppl., 511-512. Cosentino S. et al. 2009. La propagazione della canna comune (Arundo donax L.) mediante talee di culmo. Ital. J. Agron., 4 suppl.,875-879. Gherbin P. et al. 2005. Esperienze sulla propagazione della canna comune (Arundo donax L.). Atti XXXVI Conv. SIA, 262-2

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Tecniche di Risparmio Idrico nella Coltivazione del Pomodoro da Industria Marcella Michela Giuliani, Eugenio Nardella, Antonio De Caro Dip. di Scienze Agro-ambientali, Chimica e Difesa vegetale, Univ. Foggia, IT, m.giuliani@unifg.it

Introduzione La Capitanata è un territorio fortemente vocato alla produzione del pomodoro da industria la cui coltivazione non può prescindere dall’irrigazione. Spesso tale pratica è però condotta in modo empirico con conseguenti sprechi idrici per evitare i quali si potrebbe ricorrere a strategie come la corretta programmazione irrigua e l’utilizzo di tecniche di irrigazione deficitaria sottoforma sia di “deficit irrigation” (DI) che di “partial root-zone drying” (PRD) (Giuliani et al., 2009; Nardella et al., 2009). La presente prova, realizzata nell’ambito del progetto OIGA destinato ai giovani imprenditori agricoli e finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha inteso valutare i principali aspetti quantitativi del pomodoro da industria irrigato con differenti criteri (empirico e mediante programmazione irrigua) e diverse strategie di risparmio idrico (DI e PRD). Metodologia La prova è stata condotta nell’annata agraria 2009 presso l’azienda agricola “Costanzo Mogavero”, sita in agro di Foggia, su un terreno prevalentemente argilloso (USDA). L’ibrido Genius (ISI Sementi S.p.A.) è stato irrigato: a) in maniera “tradizionale” (TRAD: gestione empirica dell’imprenditore); b) secondo i criteri della programmazione irrigua utilizzando tre regimi “fissi” (100%, 60% e 0% dell’evapotraspirazione massima colturale - ETc) ed un regime “variabile”. Quest’ultimo prevedeva la restituzione del 60-80-60% dell’ETc, rispettivamente, dall’attecchimento alla formazione dei primi palchi fiorali (F1), dalla formazione dei primi palchi fiorali all’invaiatura delle bacche degli stessi (F2) e dall’invaiatura delle bacche dei primi palchi alla raccolta (F3). I regimi 60% e 60-80-60% sono stati, inoltre, duplicati per confrontare la strategia DI con quella PRD. Per la programmazione irrigua si è ricorsi al metodo del bilancio idrico con soglia di intervento irriguo fissata all’esaurimento del 40% dell’acqua disponibile. Il calcolo dell’ETc è stato effettuato con il criterio “two steps approach”: evapotraspirazione di riferimento (ET0) x coefficiente colturale (Kc). L’ET0 è stata calcolata secondo il modello Penman-Monteith utilizzando variabili meteorologiche rilevate mediante una locale stazione meteorologica (Consorzio di Difesa delle Produzioni Intensive, Foggia). Il trapianto, a file binate, è stato eseguito il 12 maggio. L’irrigazione è stata effettuata con il metodo a goccia. Per poter adattare il PRD alle nostre condizioni di trapianto si è ideato un impianto la cui descrizione è riportata in Giuliani et al. (2009) e Nardella et al. (2009). Le tesi sono state disposte secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con quattro repliche. Alla raccolta (17 agosto) è stata valutata la produzione commerciabile e sono stati calcolati l’efficienza d’uso dell’acqua (WUE: produzione commerciabile / acqua ricevuta dalle piante) e il coefficiente di risposta produttiva all’acqua (ky) tramite la seguente formula (Stewart et al., 1977): ky = Y/Ym = 1 - ky (1 - ETa/ETm) dove: Y = produzione attesa con l’applicazione dello stress (kg ha-1); Ym = produzione massima (kg ha1 ); ETa = evapotraspirazione reale (m3 ha-1); ETm = evapotraspirazione massima (m3 ha-1). Risultati In Tabella 1 sono ripor-tati i volumi di acqua erogati durante l’intero ciclo coltu-rale, divisi per fasi. Come si può notare con

Tabella 1. Volumi di acqua forniti nelle diverse fasi del ciclo del pomodoro.

12/5-20/5 21/5-9/6 10/6-12/7 13/7-17/8

Fase

Durata fase (gg)

Pioggia (mm)

Attecch. F1 F2 F3

9 19 33 36

2.8 14 67.2 0

13.8 71 249 281.7

13.8 97.9 173.6 244.8

13.8 57.3 138.3 153.1

13.8 57.3 102.8 153.1

13 12.5 8 4.8

Totale

97

84

615.5

530.1

362.5

327

38.3

TRAD

Volumi irrigui (mm) Volumi 60-80-60 60 fertirrig. 100 (DI - PRD) (DI - PRD) (mm)

115


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA 1-(ET ETc-1)

1

0,8

0,6

0,4

0,2

0 0

y = 0,9547x 0,2 0,4

ky < 1

0,6 ky > 1

0,8

ky = 1

1

1-(Y Ym-1 )

1

0,8

0,61-(ET

ETc-1)

0,4

0,2

0 0

y = 0,964x

0,2 0,4

ky < 1

1-(Y Ym-1)

l’irrigazione TRAD il consumo totale di acqua è stato pari a 615.5 mm, mentre con l’uso della programmazione irrigua, relativamente alla tesi 100% ETc, si sono distribuiti 530.1 mm con un risparmio della risorsa idrica di circa il 16%. Considerando le diverse fasi, a fronte di una fase F1 in cui il regime TRAD ha fatto risparmiare 27 mm rispetto al 100% ETc, in F2 e F3 i volumi somministrati con il metodo TRAD sono aumentati, soprattutto in F2 quando con la tesi TRAD sono stati distribuiti 75.4 mm in più in confronto alla tesi 100% ETc. In Tabella 2 sono riportati i valori di produzione commerciabile e WUE ottenuti tra le diverse tesi. Come si può osservare il valore più alto si è ottenuto con la tesi TRAD che però ha prodotto solo un 5% in più rispetto alla tesi 100% ETc. Di particolare importanza è anche il trend registratosi per la WUE in cui si evidenzia il valore leggermente più elevato per la tesi 100% ETc rispetto alla tesi TRAD. Relativamente ai ky, si sono ottenuti valori minori dell’unità (Fig. 1) ad evidenziare quindi che, nel pomodoro da industria coltivato in Capitanata, è possibile praticare l’irrigazione deficitaria, sia sottoforma di DI che di PRD.

0,6 ky > 1 ky = 1

0,8 1

Figura 1. Valori di ky ottenuti con DI (in alto) e PRD (in basso).

Tabella 2. Effetto del regime irriguo su produzione commerciabile e WUE. Regime Idrico (% ETc) TRAD 100 60-80-60DI 60-80-60PRD 60DI 60PRD 0

Produz. comm. (t ha-1) 88.71 A 84.41 A 57.31 B 57.98 B 56.68 B 51.26 B 25.10 C

WUE (kg m-3) 12.24 B 12.94 B 11.82 B 11.96 B 12.61 B 11.41 B 22.65 A

Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti per P≤0,01, secondo il test di Tukey.

Conclusioni Alla luce di quanto detto è possibile trarre alcune considerazioni conclusive: • la tesi 100% ETc, a fronte di un calo produttivo del solo 5%, ha garantito un risparmio idrico del 16%, rispetto al regime TRAD: ciò a dimostrare una maggiore efficienza raggiunta con il criterio di programmazione irrigua in confronto al metodo empirico; • i valori di coefficiente di risposta produttiva all’acqua (ky) di poco inferiori all’unità denotano la fattibilità di irrigazioni deficitarie DI e PRD: tuttavia è bene precisare, data l’estrema vicinanza dei suddetti valori all’unità, che pratiche di stress idrico in pomodoro vanno eseguite con molta attenzione e preferibilmente solo nelle fasi più tolleranti alla carenza idrica. Bibliografia Giuliani M.M. et al. 2009. Tecniche di risparmio idrico nella coltivazione del pomodoro da industria: aspetti fisiologici e produttivi. Atti XXXVIII Convegno SIA, 121-122. Nardella E. et al. 2009. Effects of conventional deficit irrigation and partial root-zone drying practices on “yield response factor” (ky) of processing tomato grown in Southern Italy. Proceedings of the Farming Systems Design International Symposium, 197-198. Stewart J.I. et al. 1977. Determination and utilization of water production functions for principal Californian crops. W-67 California Contributing Project Report. Davis, USA, University of California. 116


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Colza e Brassicaceae minori negli ambienti meridionali: potenzialità produttive ed effetti nematocidi Francesco Grassi1, Marcello Scarcella1, Pasquale Campi2, A. Domenico Palumbo2, Maria Pia Argentieri3 1 2

CRA-CAR, Unità di ricerca per l’individuazione e lo studio di colture ad alto reddito in ambiente caldo-arido, Lecce CRA-SCA, Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, Bari; e-mail: pasquale.campi@entecra.it 3 Facoltà di Farmacia, Dipartimento Farmaco-Chimico, Bari; e-mail: argentieri@farmchim.uniba.it

Introduzione I processi di estensivazione e di intensificazione colturale hanno accresciuto l’interesse per il colza e altre Brassicaceae minori anche nelle regioni a clima caldo-arido. Qui il colza rientra nei sistemi colturali estensivi, agevolato dalle attuali politiche comunitarie, ma anche in quelli intensivi, in virtù delle sue potenzialità nematocide. In Puglia è stata realizzata una sperimentazione pluriennale per studiare la duplice attitudine delle Brassicaceae, quale granella e potere biocida della biomassa sovesciata. In particolare lo studio è volto ad evidenziare le cultivar che meglio si adattano all’ambiente sia in termini di produzione in seme che di contenuto in glucosinolati (GLS, metaboliti secondari solforati di natura aminoacidica responsabili del caratteristico sapore ed odore e dell’attività biocida. Metodologia Lo studio è stato condotto in due località (in provincia di Bari e di Lecce) secondo le consuete prassi agronomiche utilizzate per i confronti varietali e per valutare la risposta della coltura alla concimazione azotata e alla densità d’impianto. Risultati Le prove agronomiche condotte in provincia di Bari hanno evidenziato che, tra 22 cultivar di colza (14 di Brassica napus e 8 di B. carinata Braun), quelle di B. napus var. oleifera Metzg mostrano un’ottima omogeneità sia in termini di emergenza che di accrescimento. Stabilita la superiorità di B. napus, è stata valutata la sua risposta produttiva in funzione della quantità di fertilizzante azotato (50, 100, 15O, 200 kg ha-1 di azoto minerale) e della densità di semina (50 e 100 semi m-2), per due ibridi contrastanti per la taglia (NK Formula: taglia normale; Avenir: semi-dwarf). Dall’analisi statistica risulta che, Tabella 1. Risultati produttivi per due varietà passando da una densità di 50 a Produzione di seme Olio 100 semi m-2, non si registrano ibridi al 9% di umidità (t/ha) contenuto (%) resa (t/ha) incrementi di resa significativi, Avenir 1.39 42.8 b 0.77 b nemmeno in interazione con le NK Formula 1.53 44.6 a 0.81 a dosi di fertilizzante. La produzione in seme non si differenzia statisticamente, mentre significativamente superiore è risultato il contenuto in olio e la resa con l’ibrido NK Formula (tab. 1). Circa gli apporti in azoto (tab. 2), le dosi superiori a 150 kg ha-1 non sono convenienti perché aumentano i rischi di allettamento, determinano una riduzione nel tenore in olio nei semi senza ottenere incrementi di resa significativi. Tabella 2. Effetti della concimazione azotata su produzione e resa in olio Nella prospettiva di ridurre l’impiego Olio Azoto Produzione di seme di prodotti fitosanitari di sintesi nei (kg/ha) al 9% di umidità (t/ha) contenuto (%) resa (t/ha) sistemi colturali intensivi è stato 0 0.63 d 44.89 b 0.26 d valutato il contenuto in GLS nelle 50 1.13 c 46.05 a 0.47 c Brassicaceae con attività nematocida. 100 1.66 b 42.63 c 0.65 ab In agro di Lecce sono state oggetto di 150 2.00 a 38.97 d 0.71 a confronto 2 cv. di Raphanus sativus L. 200 1.88 ab 35.78 e 0.61 b var. oleifera (Karakter e Colonel), 1 cv. 117


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di B. juncea Czern et Coss (Scala), 1 cv. di Sinapis alba L (Emergo), 1 cv. di B. napus (Ercules), 1 cv. di B. carinata (Karina) e 2 miscugli precostituiti: - Terra Protect: B. juncea (cv Energy 65%) e Sinapis alba (cv. Concerta 35%); - BQ Mulch: B. napus (cv. Striker 70%) B. napus (cv. Vulcan 30%). 50

Raphanus sativus

Brassica

Sinapis

Miscugli

3

Raphanus sativus

Brassica

Sinapis

Miscugli

Diserbanti

40 2

t/ha

30

20

1

Figura 1. Biomassa sovesciata (t/ha di sostanza fresca) Tabella 3. Contenuto in GLS (μmol/g sostanza secca ± SD) Glucosinolati S. alba Epiprogoitrina 1.17 ±0.12 Sinalbina 19.09 ±0.20 GlucoTropaeolina 3.26 ±0.15 Sinigrina GlucoBrassicina Deidroerucina GlucoNasturtina 0.03 ±0.01 GlucoRafenina GlucoRafanina -

Controllo

Oxamyl

Fenamifos

BQ Mulch

Terra protect

S. alba

B. napus

B. carinata

B. juncea

cv Colonel

BQ Mulch

Terra protect

S. alba

B. carinata

B. napus

B. juncea

cv Colonel

0

cv Karakter

0

cv Karakter

10

Figura 2. Indice medio di infestazione (Lamberti, 1971)

B. juncea 31.25 ±1.14 -

R. sativus 3.19 ±0.25 1.85 ±0.16 51.53 ±2.14 1.50 ±0.11

In una coltura di tabacco allevata in terreno infestato da Meloidogyne incognita (nematode galligeno), sono stati messi a confronto gli effetti nematocidi derivanti dalla biomassa fresca di Brassicaceae (in purezza o diversi nei due miscugli) e da 2 principi attivi (oxamyl e fenamifos), oltre al controllo senza alcun trattamento nematocide. L’interramento della biomassa è avvenuto quando le Brassicaceae erano in fioritura incipiente e 30 giorni dopo il sovescio biocida è stato trapiantato il tabacco. Il maggior quantitativo di sostanza fresca (fig.1) è stato ottenuto dalle due varietà di Raphanus sativus coltivate in purezza e dal miscuglio composto da Sinapis alba + Brassica juncea (Terra Protect). Le percentuali di infestanti sul totale della biomassa da interrare erano molto basse. L’indice medio di infestazione (Lamberti, 1971) su radici di tabacco è stato più elevato per controllo e più basso in terreno ammendato con B. Juncea e con S. alba (fig. 2). Le analisi chimiche (tab. 3) confermano che il basso indice di infestazione su tabacco trattato in precedenza con R. sativus è dovuto sia alla maggiore quantità di biomassa interrata, che ad più alto contenuto di GLS. Conclusioni I risultati dimostrano che le Brassicaceae trovano facile impiego negli ambienti meridionali come coltura oleaginosa (in avvicendamento ai cereali a semina autunnale), ma anche come coltura intercalare in ordinamenti colturali intensivi, dove hanno dimostrato una valida capacità nematocida. Bibliografia: Potter M.J. et. al 1998. Suppressive impact of glucosinolates in Brassica vegetative tissues on root lesion nematode Pratylenchus neglectus. Journal of Chemical Ecology, 1998, 24, 67-80. Sarwar, M., et. al. 1998. Biofumigation potential of brassicas. III. In vitro toxicity of isothiocyanates to soil-borne fungal pathogens. Plant and Soil, 1998, 201, 103-112.

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Valutazione di Varietà Australiane di Leguminose Annuali Autoriseminanti Fabio Gresta, Rosalena Tuttobene, Orazio Sortino, Valerio Abbate Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Univ. Catania, IT, fgresta@unict.it

Introduzione Le leguminose autoriseminanti da alcuni anni sono state oggetto di interesse da parte della Sezione di Scienze Agronomiche del DACPA che ha proceduto nei riposi pascolativi dell’altopiano ibleo ad una loro ampia collezione e ad una preliminare valutazione di numerose popolazioni appartenenti, soprattutto, ai generi Medicago e Trifolium (Tuttobene et al. 2008, Gresta et al. 2010). In Australia il trifoglio sotterraneo e le mediche annuali sono state utilizzate con successo da 50 anni; negli ultimi quindici anni, anche al fine di evitare i danni provocati alla fertilità del suolo dalla raccolta del seme di T. sotterraneo mediante macchine ispiratrici e l’onerosità della sgusciatura nelle mediche, sono state domesticate nuove specie di leguminose annue da pascolo (biserrula e serradella) ed altri trifogli (T. glanduliferum, T. michelianum, T. spumosum, T. vesiculosum e T. dasyurum). Questi ultimi si caratterizzano per persistenza nel tempo, tolleranza ad acidità e aridità e facilità di raccolta rispetto al trifoglio sotterraneo ed alle mediche annuali (Loi et al., 2005). Scopo del presente lavoro è stato la valutazione morfo-bio-agronomica di cv australiane di 4 specie foraggere di origine mediterranea per verificarne l’adattabilità a condizioni pedoclimatiche differenti rispetto a quelle per le quali sono state selezionate. Metodologia La prova è stata realizzata nella Piana di Catania (Primosole) (10 m s.l.m.) su un terreno argilloso a reazione sub-alcalina. In un disegno sperimentale a split plot con tre repliche e parcelle di 6 m2 (3 x 2 m), sono stati posti allo studio: 5 specie leguminose (Medicago polymorfa cv. Anglona, Trifolium glanduliferum cv. Prima Trifolium hirtum ecotipo, Trifolium resupinatum cv. Prolific, Trifolium subterraneum cv. Antas) e 2 trattamenti di inoculazione (inoculato e non inoculato) con un inoculo australiano. Le semine sono state eseguite nel novembre del 2005 con 600 p m-2. Sono stati rilevati i seguenti caratteri: numero di piante emerse (su 100 cm2), date delle principali fasi fenologiche, produzione di biomassa all’inizio fioritura (t ha-1) e, su 5 piante per parcella, statura della pianta (cm) in tre date successive a partire dall’inizio della fioritura, peso delle radici (t ha-1), numero e peso dei noduli (g x pianta-1). I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza a due vie (specie x trattamento) e in presenza di significatività è stato adottato il test Tukey HSD. Non avendo l’inoculo manifestato effetti significativi, in quanto in tutte si è avuta nodulazione, vengono di seguito riportati i dati mediati. Risultati L’analisi della varianza ha mostrato la significatività solo del fattore varietà. Tutti i tipi allo studio hanno raggiunto un grado di copertura soddisfacente compreso tra 72.5% della Medicago e 100% del T. hirtum e T. sotterranuem (Tab. 1). La fioritura ha avuto inizio il 13 aprile per tutti i tipi, eccezion fatta per la Medicago che è fiorita a fine marzo e per il T. glanduliferum che è fiorito il 5 aprile. L’altezza più elevata è stata accertata su M. polymorpha e T. subterraneum che hanno raggiunto entrambi una statura pari in media a 41.5 cm, superiore rispetto agli altri tipi (Fig. 1). Il T. subterraneum è risultata la specie più produttiva facendo registrare una resa di 3.55 t ha-1 di sostanza secca (Fig. 2); gli altri tipi hanno offerto una produzione di biomassa media di poco superiore ad una tonnellata (1.17 t ha-1). In particolare il T. glanduliferum e il T. hirtum, con 1.59 e 1.12 t ha-1 rispettivamente, hanno fatto registrare un livello produttivo decisamente inferiore a quello osservato in prove condotte a Perth (Australia), con gli stessi tipi e pari densità di semina, su terreno a pH 5 ben drenato, un po’ argilloso (T. hirtum 7.8 t ha-1e T. glanduliferum 5.2 t ha-1 – Loi, dati non pubblicati). Con riferimento alla frazione ipogea si sono distinti la Medicago e T. subterraneum: la prima ha fatto rilevare la biomassa più elevata (1.31 t ha-1) nonché superiore a quella epigea ed un lunghezza della radice non differente rispetto al 119


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secondo (13 cm in media); il T subterraneum si è distinto oltre che per lunghezza della radice per il più elevato numero di noduli per pianta (3.73) oltre che per il loro peso (9.78 g m-2). T. glanduliferum ha presentato i più bassi valori di numero di noduli per pianta (1.65) e assieme al T. hirtum, il più basso peso dei noduli (2.12 g m-2 nella media).

Fig. 2. Resa in biomassa secca (t ha-1)

Fig. 1. Altezza delle piante (cm) Tab. 1. Principali caratteristiche delle specie allo studio Copertura

peso rad.

lungh. rad.

peso nod.

N. noduli

%

t/ha

cm

g/m2

pianta

T. glanduliferum

75

0.62 b

8.68 b

2.13 d

1.65 c

T. subterraneum

100

0.58 b

13.36 a

9.78 a

3.76 a

M. polimorpha

72.5

1.31 a

12.65 a

4.56 c

3.00 b

T. hirtum

100

0.39 c

8.75 b

2.11 d

2.60 bc

T. resupinatum

75

0.55 b

9.50 b

7.25 b

3.05 b

Specie

Conclusioni Il trifoglio sotterraneo è risultata ampiamente la specie più produttiva grazie alla elevata capacità di insediamento che ha determinato una copertura molto elevata. I risultati ottenuti con gli altri tipi non consentono di individuare una specie che possa costituire una valida alternativa al sotterraneo per gli ambienti in cui si è operato, presumibilmente a causa della limitata adattabilità di questi tipi ai terreni alcalino-argillosi. L’inoculazione non ha avuto effetti significativi sui caratteri studiati probabilmente perché nei nostri ambienti sono già presenti ceppi rizobici compatibili come dimostrato dalla presenza di noduli anche nelle parcelle non inoculate. Bibliografia Gresta F. et al. 2010. Caratterizzazione bio-agronomica di popolazioni di Medicago spp. Atti dell'VIII Congresso Nazionale sulla Biodiversità - risorsa per sistemi multifunzionali" Lecce 21-23 aprile 2008, pg. 219-221. Loi A. et al. 2005. A second generation of annual pasture legumes and their potential for inclusion in Mediterranean-type farming systems. Australian Journal of Experimental Agriculture, 45: 289-299. Tuttobene R. et al. 2008. Characterization of native population of Trifolium spp. Options méditerranéennes. Série A: séminaires méditerranéens, 79: 395-398.

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Effetti dei Concimi Organo-Minerali sulle Caratteristiche della Produzione della Patata in Ciclo Estivo-Autunnale Anita Ierna, Maria Grazia Melilli, Salvatore Scandurra CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, anita.ierna@cnr.it

Introduzione Nella patata extrastagionale sia in ciclo vernino-primaverile (patata “primaticcia”) che in ciclo estivoautunnale (patata “bisestile”) l’elevato valore commerciale del prodotto induce gli agricoltori ad eccedere nei quantitativi di concimi minerali apportati, soprattutto di quelli azotati. Le elevate dosi di azoto somministrate, tuttavia, hanno mostrato un’efficacia molto modesta ai fini produttivi, ma hanno incrementato in misura significativa il contenuto in nitrati dei tuberi (Ierna et al, 2005; Ierna, 2007). Alla luce di ciò sarebbe auspicabile l’utilizzazione di dosi e forme di concime compatibili con la capacità produttiva della coltura e rispettosi nel contempo della salute del consumatore. In tal senso la diffusione negli ultimi anni sul mercato di un’ampia gamma di concimi organo-minerali (definiti dalla Legge 19 ottobre 1984 n° 748 “Nuove norme per la Disciplina dei fertilizzanti” come prodotti ottenuti per reazione o miscela di uno o più concimi organici con uno o più concimi minerali semplici oppure composti) sembrerebbe aprire nuove prospettive. L’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare gli effetti determinati dalla somministrazione di differenti modalità di concimazione sulla produzione areica e su alcune caratteristiche di qualità dei tuberi in ciclo estivo-autunnale. Metodologia Le prove sono state realizzate presso il campo sperimentale di Cassibile (Siracusa), in un’area altamente rappresentativa della pataticoltura extrastagionale in Sicilia. Utilizzando la cultivar “Marabel”, largamente diffusa in Sicilia, sono stati posti allo studio, a confronto con un testimone non concimato gli effetti, a parità di unità fertilizzanti (100, 40 e 200 di kg ha-1 di N, P2O5 e K2O corrispondenti alle asportazioni rilevate in un precedente studio (Mauromicale e Ierna, 1999), di differenti modalità di concimazione (Tab. 1). Tab. 1 – Tesi di concimazione allo studio Tesi C0 - Nessuna (testimone) C1 - Minerale C2 - Minerale + Organo-minerale (Azotop) C3 - Organo- minerale (Fertil MBS)

Epoca di somministrazione P2O5 e K2O all’impianto, N in copertura P2O5 e K2O all’impianto, N in copertura N, P2O5 e K2O all’impianto

Sono stati impiegati i concimi organo-minerali Azotop (in copertura) e Fertil MBS (all’impianto della coltura) forniti dalla SCAM srl, i concimi minerali perfosfato minerale e solfato di potassio all’impianto e nitrato ammonico in copertura. E’ stato utilizzato un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 3 ripetizioni; la parcella elementare era di 9 m2 e comprendeva 48 piante. La “semina” è stata effettuata il 7 settembre 2008 utilizzando tuberi interi posti a 0.25 m su solchi distanti 0.75 m. L’investimento unitario corrispondente è stato, pertanto, di 5.33 piante m-2. L’irrigazione è stata realizzata restituendo il 100% dell’ETc. Alla raccolta dei tuberi, effettuata a circa 100 giorni dalla “semina”, sono stati rilevati il numero e il peso dei tuberi distinti nelle classi di calibro: <40 mm, 40-75 mm, >75 mm; i tuberi malformati, inverditi, spaccati sono stati considerati di scarto. Su un campione rappresentativo di tuberi commerciabili (diametro 40-75 mm) è stato determinato il contenuto in sostanza secca in stufa termoventilata a 65 °C fino a peso costante (AOAC, 2008), il contenuto in acido ascorbico (AOAC, 2008) e il contenuto in fenoli totali per via spettrofotometrica con il metodo Folin-Ciocolteau (Slinkard e Singleton, 1997). 121


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I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza e le medie confrontate con la minima differenza significativa (MDS). I valori percentuali sono stati trasformati prima dell’analisi della varianza in valori angolari mediante la formula di Bliss arcsen√%. Il decorso termopluviometrico durante lo svolgimento della prova è stato conforme a quello ordinario ed ha consentito una regolare emergenza della coltura. Risultati La resa in tuberi commerciabili pari nel testimone non concimato a 22.6 t ha-1, è aumentata significativamente per effetto delle tesi di concimazione che prevedevano l’utilizzo di minerale + organo minerale o esclusivamente organo-minerale, con incrementi pari rispettivamente a +27% e +19%. L’efficacia delle suddette tesi di concimazione si è estrinsecata esclusivamente sul peso unitario dei tuberi (Tab. 2). Le tesi di concimazione non hanno influito sulla produzione di tuberi di diametro < 40 mm. Rispetto al testimone, le tesi comunque concimate hanno determinato, invece, una significativa riduzione sia dei tuberi di diametro > 75 mm che di quelli di scarto. In particolare, la più bassa produzione di tuberi di scarto è stata accertata allorquando è stato utilizzato concime minerale + organo minerale (Azotop) (Tab. 2). Quest’ultima tesi di concimazione ha comportato, inoltre, il più alto contenuto sia in sostanza secca dei tuberi che in acido ascorbico, mentre l’utilizzo del solo concime organo-minerale ha determinato il più alto contenuto in fenoli totali dei tuberi (Tab. 3). Tabella 2. Caratteristiche della produzione nella cultivar Marabel in rapporto alle tesi di concimazione. Lettere diverse nell’ambito di ciascuna colonna indicano differenze significative per P<0.05. Produzione commerciabile (40-75 mm) Produzione non commerciabile Resa N tuberi Peso (% su complessiva) Tesi concimazione (t ha-1) (N pianta-1) (g) <40 mm >75 mm Scarto C0 22.6 b 4.9 a 85.9 c 0.5 a 5.5 a 20.7 a C1 26.0 ab 4.7 a 103.9 0.9 a 0b 17.2 ab 28.7 a 4.9 a 109.9 0.6 a 0b 7.3 b C2 C3 26.8 a 4.1 a 124.5 1.0 a 0b 11.4 ab

Tabella 3. Caratteristiche di qualità dei tuberi nella cultivar Marabel in rapporto alle tesi di concimazione. Lettere diverse nell’ambito di ciascuna colonna indicano differenze significative per P<0.05. Sostanza secca Acido ascorbico Fenoli totali Tesi concimazione (g 100 g-1 p.f.) (mg 100 g-1 p.f.) (mg GAE 100 g-1 p.s.) C0 17.3 b 7.2 c 349 b C1 17.6 b 9.8 b 304 c C2 19.8 a 16.8 a 289 d C3 18.4 ab 10.4 b 396 a

Conclusioni Questi risultati preliminari, sebbene necessitino di ulteriori ricerche, sembrano mettere in evidenza che è possibile adottare nuove strategie di concimazione nella colture extrastagionali di patata attraverso l’utilizzo di concimi organo-minerali senza compromettere le rese e migliorando in taluni casi alcune caratteristiche nutrizionali dei tuberi. L’utilizzo di Fertil MBS da somministrare esclusivamente all’impianto, inoltre, consentirebbe di evitare l’intervento in copertura che costituisce pur sempre un onere per il produttore e che non sempre è possibile effettuare tempestivamente in conseguenza del decorso meteorico nel periodo autunnale. Bibliografia AOAC 2008. Association of Official Analytical Chemists. Official Methods of Analysis. http://www.aoac.org/. Ierna A. et al. 2005. Meno nitrati nei tuberi con una concimazione più razionale. L’Informatore Agrario, 47:65-66. Ierna A. 2007. Azoto su patata precoce: la giusta dose riduce i nitrati. L’informatore Agrario, 3:54-57. Mauromicale G. e Ierna A. 1999. La coltivazione della patata bisestile. L’Informatore Agrario, 46:35-40. Slinkard, K. e Singleton, V.L. 1997. Total phenol analysis: automation and comparison with manual methods. Am. J. Enol. Vitic., 28:49-55.

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Primi Risultati sulla Risposta Produttiva della Patata Precoce alla Coltivazione in Regime Biologico Anita Ierna1, Bruno Parisi2, Salvatore Scandurra1 1

CNR – Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, anita.ierna@cnr.it 2 CRA – Centro di Ricerca per le Colture Industriali, Bologna, IT

Introduzione Il rilevante valore commerciale assunto dalle produzioni extrastagionali di patata fa sì che le relative coltivazioni vengano generalmente sostenute da intensi input colturali (concimazione minerale, irrigazione, agrofarmaci di sintesi per la protezione della coltura), con implicazioni di carattere ambientale e tutela della salute. Sarebbe, pertanto, auspicabile, l’adozione di nuove strategie di coltivazione, che possano ridurre gli attuali inputs energetici esterni utilizzati. Tra queste il regime “biologico”, assume, soprattutto in Sicilia, una notevole importanza agronomica perché potrebbe consentire, tra l’altro, il miglioramento del livello di sostanza organica nel suolo, il cui contenuto è spesso di molto inferiore al valore ritenuto ottimale. Gli esigui risultati sperimentali sugli effetti del regime biologico nella coltivazione della patata precoce ci hanno indotto ad avviare un articolato programma di ricerche con lo scopo di valutare gli effetti di questo regime di coltivazione sulla risposta produttiva, le caratteristiche di qualità dei tuberi e la loro destinazione d’uso in alcuni genotipi di patata coltivati in ciclo precoce (vernino-primaverile). In questa nota si riportano i primi risultati relativi agli effetti sulla risposta produttiva. Metodologia La prova è stata realizzata nel 2009 presso l’azienda agraria sperimentale della Sezione di Catania dell’ISAFOM-CNR in territorio di Siracusa (37°03’ N, 15°18’ E, 15 m s.l.m.), in un’area altamente rappresentativa della pataticoltura extrastagionale in Sicilia, ponendo allo studio 2 regimi di coltivazione (“convenzionale” e “biologico”) e 5 genotipi di patata (Arinda, Bionica, Ditta, ISCI 4F88 e Marabel). Bionica è una cultivar di recente costituzione, indicata dal costitutore (C.Meijer BV) come adatta alla coltivazione in biologico poiché altamente tollerante alle infezioni di peronospora; ISCI 4F88 è un nuovo genotipo italiano costituito dal CRA-CIN di Bologna nell’ambito di un progetto di miglioramento genetico finalizzato alla costituzione di genotipi adatti alla pataticoltura biologica (Ranalli e Parisi, 2007). Arinda e Marabel sono tra le più diffuse cultivars in regime convenzionale nelle colture precoci dell’Italia meridionale (Mauromicale e Ierna, 1999), mentre Ditta è la più diffusa varietà in regime biologico in Sicilia. In regime convenzionale, la concimazione è stata realizzata con concimi minerali, la lotta alle infestanti e la protezione fitosanitaria con gli agrofarmaci autorizzati. In regime biologico la gestione agronomica è stata effettuata come previsto dai Regolamenti CE n° 2092/91 e n° 834/2007 in merito alla fertilizzazione, lotta alle malerbe e difesa fitosanitaria; in particolare la concimazione è stata realizzata con letame compostato. Indipendentemente dal regime di coltivazione sono state apportati 100, 50 e 150 kg ha-1 di azoto, fosforo e potassio corrispondenti, in linea di massima, alle asportazioni della patata precoce rilevate in precedenti studi (Mauromicale et al., 2000); l’irrigazione è stata effettuata restituendo il 100% dell’ETc. E’ stato utilizzato un disegno sperimentale a split-plot con 3 ripetizioni, assegnando alla parcella intera il regime di coltivazione ed alla sub-parcella il genotipo. La sub-parcella era di 11.2 m2 e comprendeva 72 piante. La “semina” è stata effettuata durante la prima decade di Febbraio, utilizzando tuberi interi posti a 0.25 m su solchi distanti 0.75 m. Sono state effettuate due raccolte: a circa 90 giorni e a circa 120 giorni dalla “semina”, in corrispondenza delle quali sono stati rilevati il numero (N) e il peso fresco dei tuberi distinti nelle classi di calibro: <40 mm, 40-75 mm, >75 mm. Sono stati calcolati la produzione areica commerciabile (PAC) e il peso unitario medio (PU). Su un campione rappresentativo di tuberi commerciabili (40-75 mm) è stato determinato il contenuto in sostanza secca (S.S.) mediante determinazione del peso specifico in acqua e successiva conversione lineare in valore %. I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA) e le medie confrontate con la minima differenza 123


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significativa (MDS). I valori percentuali sono stati trasformati prima dell’analisi della varianza in valori angolari mediante la formula di Bliss (arcsin√%). Il decorso termopluviometrico durante lo svolgimento della prova è stato conforme a quello ordinario ed ha consentito una regolare emergenza della coltura. Risultati La produzione areica commerciabile alla prima raccolta (90 giorni), non ha mostrato variazioni significative per effetto del regime di coltivazione (Tab. 1). La produzione areica alla seconda raccolta (120 giorni), invece, è risultata nella media dei genotipi significativamente più alta in regime biologico rispetto al convenzionale (22.5 t ha-1 vs 20.7 t ha-1); i più elevati incrementi sono stati registrati in ISCI 4F88 (+ 14%) e in Ditta (+ 20%). In entrambi i regimi di coltivazione e nelle due raccolte Bionica ha mostrato sempre il miglior ranking. La maggiore produzione areica in regime biologico è sembrata dipendere, dal maggior numero di tuberi differenziati per pianta (5.4 vs 4.6 tuberi pianta-1). Il contenuto in sostanza secca dei tuberi, che rappresenta un importante indice di qualità degli stessi, è risultato significativamente più alto in regime biologico rispetto al convenzionale nei tuberi della cv Ditta (20.1 vs 17.8 %). Tabella 1. Produzione areica commerciabile dei tuberi nelle due raccolte, caratteristiche della produzione nella seconda raccolta e significatività statistica all’analisi della varianza (NS= non significativo; ** e *** indicano rispettivamente significatività per P<0.01 e P<0.001.

Arinda Bionica Ditta ISCI 4F88 Marabel Media

Convenzionale

Arinda Bionica Ditta ISCI 4F88 Marabel Media

Biologico

Reg. coltivazione (R) ®coltivazione Genotipo (G) (R) x (G) MDS inter (P=0.01)

PAC (t ha-1) I raccolta II raccolta

N (N tub pianta-1)

PU (g)

S.S. (%)

16.1 17.4 15.8 16.1 14.3 15.9 a

23.8 26.2 18.8 20.0 14.6 20.7 b

5.0 5.2 4.3 3.9 4.6 4.6 b

90.7 94.1 82.3 96.1 59.1 84.4 a

19.0 18.4 17.8 20.8 18.3 18.9 a

17.5 18.5 15.3 14.9 15.4 16.3 a

24.9 26.5 22.6 22.9 15.8 22.5 a

5.3 7.8 5.0 4.7 4.1 5.4 a

88.8 63.6 84.9 91.6 71.7 80.1 a

19.0 18.2 20.1 20.5 18.1 19.2 a

NS *** NS -

** *** ** 1.8

*** ** *** 0.6

NS *** *** 15.1

NS ** *** 0.9

Conclusioni Questi risultati preliminari, sebbene necessitino di opportune verifiche, mostrano che è possibile utilizzare nella coltivazione della patata precoce il regime biologico, senza che questo comporti effetti negativi sulla precocità, sulla produzione areica a fine ciclo e sul contenuto in sostanza secca dei tuberi. Tra i genotipi studiati, Ditta ed ISCI 4F88 hanno mostrato la maggiore adattabilità al regime biologico. Bibliografia Mauromicale G., Ierna A. 1999. Patata primaticcia. In: Fisionomia e profili di qualità dell’orticoltura meridionale. Palermo: 275-296. Mauromicale G. et al. 2000. Definizione delle asportazioni di N, P e K nella patata precoce in rapporto a differenti livelli di concimazione. Atti del workshop “Applicazioni di tecnologie innovative per il miglioramento dell’orticoltura meridionale, Roma, 18 Luglio: 71-72. Ranalli P., Parisi B. 2007. Nuove cultivar di patata bio nel futuro della ricerca italiana. L’Informatore Agrario, 42:40-42.

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Effetti della Frigo-Conservazione sul Contenuto in Acido Ascorbico dei Tuberi di Patata Primaticcia Anita Ierna, Maria Grazia Melilli, Salvatore Scandurra CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, anita.ierna@cnr.it

Introduzione In Italia la coltura extrastagionale di patata assume una rilevante importanza economica sia per le superfici investite (oltre 20 mila ha, concentrati prevalentemente in Sicilia, Campania e Puglia) (ISTAT, 2009), che per il volume della produzioni (oltre 4 milioni di quintali, in buona parte esportati nei mercati del Centro e Nord Europa). Nella patata extrastagionale sia in ciclo vernino-primaverile (patata “primaticcia”) che in ciclo estivoautunnale (patata “bisestile”) i tuberi vengono raccolti prima della loro maturazione completa e conseguentemente presentano caratteristiche di “freschezza”, buccia estremamente sottile e chiara, che si distacca facilmente e modesto contenuto in sostanza secca. Recentemente i tuberi di patata primaticcia hanno destato interesse per l’elevato contenuto in acido ascorbico (Leo et al., 2008; Buono et al., 2009). I tuberi di patata extrastagionale vengono di norma indirizzati immediatamente al consumo, tuttavia, una idonea tecnica di conservazione potrebbe consentire di ampliare il loro calendario di commercializzazione con evidenti favorevoli risvolti economici. Numerose ricerche sono state condotte sugli effetti della frigo-conservazione sulle caratteristiche fisicochimiche dei tuberi di patata comune, ma carenti sono le informazioni su quelli provenienti da coltura extrastagionale. L’obiettivo della ricerca è stato quello di valutare gli effetti della durata della frigo-conservazione sul contenuto in acido ascorbico dei tuberi di patata primaticcia. Metodologia Sono stati posti allo studio sui tuberi delle cultivars Nicola e Spunta, 5 tempi di frigo-conservazione (0, 3, 6, 12, 24 settimane). Nicola e Spunta sono due tra le cultivars più diffuse nella pataticoltura extrastagionale in Italia (Mauromicale e Ierna, 1999). I tuberi, provenienti da una coltura precoce realizzata nel 2008 in territorio di Cassibile (Siracusa), sono stati raccolti il 7 giugno (120 giorni dalla “semina”). Per ciascuna cultivar è stato tempestivamente selezionato un campione rappresentativo di tuberi commerciabili (diametro compreso tra 40-75 mm) e privo di qualunque anomalia. I tuberi sono stati lavati in acqua corrente, e quindi immersi in una soluzione di ipoclorito di sodio allo 0,5% per 15 minuti. Dopo essere stati asciugati con carta bibula, sono stati posti all’interno di sacchetti di polietilene forati in cella frigorifera alla temperatura di 4 ± 1°C. Su ciascun campione costituito da 6 tuberi, replicati 3 volte, è stato determinato il peso fresco medio e il contenuto in acido ascorbico (AOAC, 2008); è stato, altresì, valutato il loro aspetto esteriore (presenza di germogli, macchie, fisiopatie, etc). I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza e le medie confrontate con la minima differenza significativa (MDS). I valori percentuali sono stati trasformati prima dell’analisi della varianza in valori angolari mediante la formula di Bliss (arcsin√%). Risultati Il peso medio del tubero, pari rispettivamente a 76.6 g e 119.2 g in Nicola e Spunta prima dell’inizio della frigo-conservazione, ha subíto indipendentemente dalla cultivar una riduzione percentuale molto lieve fino a 12 settimane di frigo-conservazione e modesta (3%) dopo 24 settimane (Tab. 1). Il contenuto in acido ascorbico dei tuberi si è ridotto significativamente durante la frigo-conservazione, ma con ritmo diverso in rapporto alla cultivar (Fig. 1). In Nicola il contenuto in acido ascorbico pari a 21.4 mg 100 g-1 p.f. prima dell’inizio della frigoconservazione ha subìto una riduzione di circa il 46% indifferentemente dopo 3 o 6 settimane; 125


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successivamente ha continuato a diminuire raggiungendo valori di decremento pari al 65% (12 settimane) e 77% (24 settimane). In Spunta, invece, il contenuto in acido ascorbico dei tuberi, pari inizialmente a 19.8 mg 100 g-1 p.f., si è ridotto in media di circa il 43% indifferentemente dopo 3, 6 e 12 settimane di frigo-conservazione, per poi subire una ulteriore significativa riduzione nelle 12 settimane successive. Nel rilevamento effettuato dopo 24 settimane di frigo-conservazione l’80% dei tuberi delle due cultivars presentava germogli apicali lunghi circa 0.5 cm. Tabella 1. Riduzione percentuale del peso medio del tubero in rapporto alla durata della frigo-conservazione e alla cultivar. Lettere diverse indicano differenze significative per P<0.05. Cultivar Nicola Spunta Media Durata (settimane) 3 0.4 0.3 0.35 c 6 0.7 0.6 0.65 b 12 0.8 0.9 0.85 b 24 3.1 2.9 3.00 a Media 1.2 a 1.2 a

Figura 1. Contenuto in acido ascorbico dei tuberi delle cultivar Nicola e Spunta durante la frigo-conservazione. Lettere diverse nell’ambito di ciascuna cultivar indicano differenze significative per P<0.05.

Conclusioni Il contenuto in acido ascorbico dei tuberi si è ridotto drasticamente durante la frigo-conservazione, tuttavia è rimasto ancora a livelli accettabili (circa 12 mg 100 g -1 p.f.) dopo 6 settimane in Nicola e 12 settimane in Spunta. Fino a quest’ultima data i tuberi di entrambe le cultivars hanno anche mostrato una riduzione in peso insignificante e un ottimo aspetto esteriore. La frigo-conservazione si è dimostrata, quindi, una tecnica efficace per la conservazione dei tuberi di patata primaticcia, che, se applicata anche ai tuberi di patata bisestile, potrebbe consentire di ampliare sostanzialmente il calendario di commercializzazione della patata “fresca”. Bibliografia AOAC 2008. Association of Official Analytical Chemists. Official Methods of Analysis. http://www.aoac.org/. Buono V. et al. 2009. Tuber quality and nutritional components of “early” potato subjected to chemical haulm desiccation. J. Food Compos. Anal., 22:556-562. ISTAT 2009. Istituto Nazionale di Statistica. http://www.agri.istat.it. Leo L. et al. 2008 . Antioxidant compounds and antioxidant activity in “Early potatoes”. J. Agric. Food Chem., 56:41544163. Mauromicale G. Ierna A. 1999. Patata primaticcia. In: Fisionomia e profili di qualità dell’orticoltura meridionale. Palermo: 275-296. 126


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Fertilizzanti Organici in Specie Orticole: Effetti sulla Produzione e sulla Sostanza Organica del Suolo Rita Leogrande1, Ornella Lopedota1, Francesco Montemurro1, Rosalba Scazzarriello1, Marcello Mastrangelo2 1

CRA-Unità di Ricerca per lo Studio dei Sistemi Colturali, Metaponto (MT), IT, rita.leogrande@entecra.it CRA-Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali in Ambienti Caldo Aridi, Bari, IT, marcello.mastrangelo@entecra.it

2

Introduzione Negli ambienti meridionali, spesso caratterizzati dalla presenza di terreni argillosi, non vi sono sufficienti dati sperimentali su possibilità e limiti della fertilizzazione organica con compost, ottenuti dalla trasformazione aerobica dei rifiuti solidi urbani, o con digestati anaerobici da scarti agroindustriali. La fertilità del terreno è strettamente legata alla dotazione in sostanza organica, che influenza le proprietà bio-chimico-fisiche. L’impiego di compost e di digestati anaerobici proveniente dalle biomasse di scarto potrebbe essere una valida pratica per migliorare la dotazione di sostanza organica nel suolo e apportare macro e micro nutrienti alle piante. L’obiettivo della ricerca effettuata a Metaponto (MT) è stato quello di studiare gli effetti di differenti fertilizzanti organici sul contenuto della sostanza organica nel terreno e sulla produzione della melanzana, del melone e della lattuga. L’effetto del contributo della fertilizzazione organica è stato inoltre valutato attraverso l’adozione di due volumi irrigui in melanzane e melone. Metodologia In un triennio (2006-2008) è stato adottato uno schema sperimentale a strip-plot, ripetuto tre volte, per studiare gli effetti di due trattamenti irrigui (su melanzana e melone), ripristinando il 100 (I1) e 50% (I2) dell’evapotraspirazione, e di quattro trattamenti fertilizzanti (su melanzana, melone e lattuga in successione alle precedenti). In particolare, si è valutato l’effetto della concimazione tradizionale (MIN); di un concime organico commerciale autorizzato in agricoltura biologica (OM); e di due fertilizzanti organici sperimentali: digestato anaerobico, proveniente da residui vitivinicoli (DA) e compost da residui solidi urbani, proveniente da raccolta differenziata (COMP). I fertilizzanti organici sono stati apportati in un’unica soluzione 20 giorni prima del trapianto. Per ogni trattamento è stato somministrato l’equivalente di 200, 150 e 140 kg N ha-1 rispettivamente per melanzana, melone e lattuga. All’inizio e alla fine dei tre anni di prova sono stati prelevati campioni di terreno (strato 0 - 40 cm), per determinare il contenuto di sostanza organica. Gli interventi irrigui sono stati eseguiti ogni qualvolta la sommatoria dell'evapotraspirazione massima della coltura, calcolata a partire dai dati giornalieri misurati alla vasca evaporimetrica, per il coefficiente di vasca (0,8) e per i coefficienti colturali delle due specie, al netto degli eventuali apporti idrici naturali utili, risultava pari al 50% della riserva idrica utile calcolata per lo strato di terreno 0 - 40 cm in funzione delle sue caratteristiche idrologiche (capacità idrica di campo e punto di appassimento) e della densità apparente. Le raccolte sono state effettuate in un’unica soluzione per il melone (nella seconda decade di agosto) e per la lattuga (nella prima decade di aprile) e nel periodo compreso tra la seconda decade di luglio e la fine di settembre (media del triennio: 15 raccolte) per la melanzana. Alla raccolta per le tre specie sono stati determinati i principali parametri produttivi. Risultati Dal triennio di ricerca è emerso che l’utilizzo di fertilizzanti organici sperimentali nel melone non ha determinato riduzione della produzione commerciabile e dei diversi parametri produttivi rispetto agli altri trattamenti con fertilizzanti convenzionali (tab. 1). Inoltre, si è osservato un maggior aumento della sostanza organica nel terreno rispetto al valore iniziale nel trattamento DA e COMP, del 34% e 30% rispettivamente, contro il 27% del OM e 16% del trattamento MIN (tab. 2). Nella melanzana l’impiego del compost e del digestato anaerobico ha causato una riduzione della produzione commerciabile di circa il 17%, rispetto al trattamento OM, e del 28%, rispetto al MIN dovuta ad un minor numero di bacche, mentre il peso medio non ha presentato nessuna differenza significativa (tab. 1). Nel terreno i valori della sostanza organica determinati alla fine del triennio hanno mostrato un incremento, rispetto 127


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ai valori iniziali, per DA e COMP del 31% e 23% rispettivamente, contro l’8% della MIN e 16% della OM (tab. 2). I volumi stagionali irrigui medi, apportati nel trattamento I1 sono stati 7000 e 3000 m3 ha-1, rispettivamente, per la melanzana ed il melone. Dal triennio di prova è emerso che dimezzando il volume stagionale irriguo (I2) la produzione commerciabile si è ridotta del 20% e del 28%, rispettivamente per la melanzana e per il melone (tab. 1). Dai dati produttivi della lattuga si evince che l’applicazione dei fertilizzanti organici sperimentali ha determinato una riduzione media di produzione del 16% e del 32% rispetto al trattamento OM e MIN (tab. 3). Inoltre, il contenuto di sostanza organica nel suolo non ha mostrato differenze significative tra i diversi trattamenti fertilizzanti (tab. 2). Tabella 1. Effetti dei trattamenti fertilizzanti e irrigui sui parametri produttivi di melanzana e melone Melanzana

Irr.

Fertilizz.

Melone Peso Peso Produzione Produzione Trattamenti medio medio Bacche Peponidi commerciabile commerciabile bacche peponidi -1 -2 t ha nm g t ha-1 n m-2 kg MIN 47.5a 20.8a 228.5 25.8 1.4 1.9 OM 40.9b 18.2b 224.6 26.0 1.4 1.8 DA 35.4c 15.6c 227.1 25.5 1.5 1.7 COMP 32.6d 14.5d 224.8 23.4 1.3 1.8 I1 43.8a 18.7a 234.1a 29.3a 1.6a 1.9 I2 34.9b 16.0b 218.4b 21.0b 1.2b 1.8 I valori seguiti da lettere diverse, in ciascuna colonna, sono significativamente differenti per P<0.05 (SNK)

Tabella. 2. Contenuto iniziale (T0) e finale (Tf) della sostanza organica (%) nel suolo Tf MIN OM DA COMP Melanzana 1.90 2.05b 2.20b 2.48a 2.33a Melone 1.82 2.12b 2.32b 2.45a 2.37a Lattuga 2.07 2.13a 2.34a 2.13a 2.11a I valori seguiti da lettere diverse, in ciascuna riga, sono significativamente differenti per P<0.05 (SNK) T0

Tabella 3. Effetti dei trattamenti fertilizzanti e irrigui sui parametri produttivi della lattuga Produzione Peso medio Peso cespo Cuore commerciabile cespo pulito t ha-1 g g g MIN 47.2a 791.1a 710.3a 240.6a OM 38.3b 627.2b 524.2b 194.6b DA 33.7c 548.8c 470.0c 160.1c COMP 30.6c 494.7d 417.3c 144.3c Melone 46.0a 748.3a 656.5a 230.9a Melanzana 28.9b 482.6b 404.5b 138.9b I valori seguiti da lettere diverse, in ciascuna colonna, sono significativamente differenti per P<0.05 (SNK) Fertilizz.

Trattamenti

Conclusioni Da questa ricerca è emerso che l’utilizzo di biomasse di scarto come fertilizzanti porta a differenti risultati in funzione della tipologia della specie e del periodo dell’anno in cui il ciclo colturale si svolge. Infatti, i migliori risultati si sono ottenuti nel melone che svolge il suo ciclo colturale in estate, quando i processi di mineralizzazione sono più spinti. Mentre per la lattuga caratterizzata da ciclo colturale autunno-vernino i fertilizzanti organici sperimentali rispetto al concime minerale hanno mostrato le più basse produzioni, probabilmente a causa della lenta mineralizzazione. 128


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Caratteristiche Qualitative di Cultivar da Tappeto Erboso di Lolium perenne nel Periodo Estivo dell’Anno di Semina Stefano Macolino, Erica Barolo, Filippo Rimi Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, stefano.macolino@unipd.it

Introduzione Lolium perenne L. è una delle specie maggiormente impiegate per la formazione di tappeti erbosi nelle zone caratterizzate da clima temperato (Hulke et al., 2007, Volterrani et al., 1997). Il successo di questa specie si deve principalmente alla rapidità di insediamento, alla capacità di sopportare i tagli bassi e soprattutto all’ottima resistenza al calpestamento (Christians, 2004). Grazie a queste caratteristiche L. perenne è impiegata con successo per la formazione di tappeti erbosi ornamentali, ricreazionali e soprattutto sportivi (Stier et al., 2008). Questa specie è però considerata particolarmente sensibile agli estremi termici e alla siccità (Beard, 1973). Gli sforzi dei selezionatori negli ultimi anni sono stati indirizzati alla produzione di varietà in grado di fornire ottime prestazioni in condizioni climatiche anche difficili (Casler e Duncan, 2003). Appunto tali cultivar possono essere adoperate con successo per la realizzazione di tappeti erbosi nella pianura padano-veneta, ove le elevate temperature e i prolungati periodi di siccità dei mesi estivi, rappresentano il principale limite all’impiego di questa specie. Conoscere dunque il comportamento di queste nuove cultivar durante i mesi estivi risulta fondamentale, e in modo particolare quello relativo ai mesi estivi immediatamente successivi una semina primaverile. Al fine di agevolare gli addetti del settore nella scelta delle cultivar più idonee per l’ambiente della pianura veneta, sono state confrontate, sulla base dei principali parametri qualitativi rilevati alla fine del periodo d’insediamento, nove cultivar di L. perenne a semina primaverile. Metodologia Una prova parcellare di campo è stata condotta presso l’Azienda Agraria Sperimentale dell’Università di Padova (Legnaro, PD) su terreno pianeggiante posto a 8 m s.l.m. di tipo franco-limoso, mediamente dotato in calcare attivo, azoto totale e potassio scambiabile, ad elevato contenuto in fosforo assimilabile e con pH sub-alcalino. Sono state poste a confronto le seguenti nove cultivar di L. perenne: ‘Crescendo’, ‘JPR 200’, ‘JPR 225’, ‘JPR 250’, ‘Kokomo’, ‘New Arrival’, ‘Pavilion’, ‘Stravinsky’ e ‘Yorktown III’. Lo schema sperimentale adottato è stato il blocco randomizzato a tre ripetizioni con parcelle di m 3.0 m2 (1,2 x 2,5 m). La semina (25 g m-2) è stata effettuata il 10 aprile 2009 su terreno adeguatamente preparato. Prima della semina è stata effettuata la concimazione di base con la quale sono state apportate 50 unità di N, 150 di P2O5 e 150 di K2O. La concimazione di mantenimento è corrisposta a 125, 75 e 125 kg ha-1 di N, P2O5 e K2O rispettivamente, attraverso concime composto (159-15) con il 5% dell’ azoto a cessione controllata. La dose totale è stata ripartita equamente in due interventi (inizio maggio, inizio settembre). Il regime irriguo prevedeva la distribuzione per aspersione di 3-5 mm di acqua al giorno, nel periodo compreso tra la semina e l’emergenza e, successivamente nei soli mesi estivi (giugno – settembre), la somministrazione settimanale di 35 mm. Il taglio veniva eseguito settimanalmente con tosaerba a lame rotanti ad un’altezza di 45 mm. Prima di ogni taglio veniva misurata l’altezza dell’erba mediante erbometro a piatto circolare, eseguendo quattro misure per parcella. Ad insediamento ultimato sono stati stimati con cadenza bisettimanale, dal 24 giugno al 30 settembre, i seguenti parametri qualitativi: densità, colore, tessitura fogliare e aspetto estetico generale (AEG). Per ciascun parametro è stato dato un punteggio da 1 (molto scarso) a 9 (ottimo). In questa sede si riportano i valori medi dei rilievi effettuati nel corso della stagione estiva. L’accrescimento verticale medio giornaliero (AMG) ed i valori medi di ciascun parametro sono stati sottoposti all’analisi della varianza e, ove necessario, le medie sono state differenziate con il test di Tukey. Risultati L’analisi della varianza ha evidenziato differenze significative per tutti i parameri allo studio. Relativamente al parametro densità, si sono differenziate unicamente le cultivar JPR 225 e Yorktown III 129


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(Tabella 1). Il punteggio medio di Yorktown III è stato pari a 7.20 contro solo 4.73 di JPR 225. La cultivar Yorktown III, inoltre, presenta una tessitura fogliare grossolana. Questa cultivar infatti, con un punteggio di 5.20 si è nettamente distinta da tutte le altre, ad eccezione di Stravinsky. Le restanti sette cultivar presentano, invece, una tessitura fine, con punteggi che variano da 6.27 a 7.07. Relativamente al colore le cultivar hanno evidenziato un punteggio medio elevato e pari a 6.76. Tale risultato si deve principalmente alle cultivar JPR 200, Crescendo, JPR 225 e New Arrival. Tabella 1. Parametri qualitativi e accrescimento Yorktown III è risultata la cultivar più verticale di cultivar di L. perenne (giu.-set. 2009). chiara, con un punteggio medio pari a AEG AMG densità tessitura colore circa la metà di quello ottenuto da JPR Cultivar punteggio (1-9) (mm) 200 (4.25 vs 8.00). Il punteggio medio del parametro AEG (5.17) dimostra una Crescendo 5,87 ab 7,07 a 7,25 abc 4,73 bc 1,02 c generale condizione di sofferenza. Tra JPR200 5,33 ab 6,53 ab 8,00 a 4,63 bc 1,09 bc le nove cultivar emergono comunque JPR225 4,73 b 6,73 a 7,42 ab 3,77 c 1,06 bc Kokomo, JPR 250 e soprattutto JPR250 5,73 ab 6,27 ab 6,83 bc 5,53 ab 1,26 abc Yorktown III. Il punteggio più basso è 6,90 ab 6,30 ab 6,58 bc 6,27 ab 1,47 ab stato ottenuto da JPR 225 (3.77), pur Kokomo non risultando significativamente New arrival 5,73 ab 6,80 a 7,33 ab 5,30 abc 1,07 bc diverso da quello di cinque delle 6,00 ab 6,60 ab 6,75 bc 4,67 bc 1,02 c restanti cultivar. Il valore medio di Pavilion Stravinsky 6,10 ab 5,87 bc 6,42 c 4,80 bc 1,17 bc AMG delle nove cultivar evidenzia un ritmo di crescita piuttosto contenuto. Si Yorktown III 7,20 a 5,20 c 4,25 d 6,80 a 1,63 a distingue, una volta ancora, Yorktown media 5,96 6,37 6,76 5,17 1,20 III che presenta un ritmo di crescita di molto superiore alla media, seppur non AEG = aspetto estetico generale; AMG = accrescimento significativamente diverso da quello di verticale medio giornaliero. Nella stessa colonna lettere diverse indicano differenze significative in base al test di JPR 250 e Kokomo. Tukey (P<0.05).

Conclusioni Tra le cultivar a confronto Yorktown III è risultata quella più adatta alle condizioni climatiche locali, si è distinta infatti per l’elevata velocità di crescita, associata ad una buona densità e ad un aspetto estetico generale pari o superiore a quello delle restanti cultivar. Tale cultivar si caratterizza però per la tessitura fogliare grossolana e il colore molto chiaro. Un comportamento simile a quello di Yorktown III è stato manifestato da Kokomo, che però, a differenza del precedente, presenta una tessitura fogliare e un colore che si discostano di poco dalla media generale. Ringraziamenti Si ringrazia la ditta Padana Sementi Elette s.r.l. per il contributo fornito al progetto di ricerca. Bibliografia Beard J.B. 1973. Turfgrass Science and Culture. Prentice-Hall, Inc. Upper Saddle River, New Jersey, USA. Casler M.D. e Duncan R.R. 2003. Turfgrass Biology, Genetics, and Breeding. John Wiley & Son, Inc. New Jersey-USA. Christians N. 2004. Cool-season grasses. p. 33–58. In Fundamentals of turfgrass management. 2nd ed. John Wiley & Sons, Hoboken, NJ. Hulke B.S. et al. 2007. Winterhardiness and Turf Quality of Accessions of Perennial Ryegrass (Lolium perenne L.) from Public Collections. Crop Sci., 47:1596-1602. Stier J.C. 2008. Timing the Establishment of Kentucky Bluegrass : Perennial Ryegrass Mixtures for Football Fields. HortScience, 43:240-244. Volterrani M. et al. 1997. Varietal comparison of cool season turfgrasses. Note I: Emergence time, growth rate, density, leaf blade width and nitrogen content. Riv. Agron., 31:118-126.

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Effetti della Pacciamatura su Pomodoro Irrigato con Acque Salmastre in Ambiente Protetto Mario Marchese, Rosalena Tuttobene, Alessia Restuccia, Angelo Litrico, Giovanni Mauromicale, Giuseppe Restuccia Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Univ. Catania, IT, m.marchese@unict.it

Introduzione La pacciamatura è una delle tecniche agronomiche proposte per ridurre gli effetti dello stress salino in ambiente protetto. Essa, oltre a contenere lo sviluppo delle malerbe, a mantenere il terreno più soffice e aerato e a ridurre la formazione di spaccature e croste superficiali, limita notevolmente le perdite di acqua per evaporazione e migliora la qualità “merceologica” della prodotto (Cuartero e FernandezMunoz, 1999; Cuartero et al,.2006; Marchese et al., 2009). Alla luce di quanto ora rilevato, nel 2008 sono state avviate ricerche rivolte a valutare l'effetto della pacciamatura sul contenuto idrico e sulla salinità del suolo, nonché sul comportamento produttivo del pomodoro allevato in ambiente protetto e irrigato con acque salmastre. In questa comunicazione vengono presentati i risultati relativi al secondo anno di prove. Metodologia Le ricerche sono state condotte in agro di Pachino (Sr). nell’annata 2009-2010 in serra non condizionata, che da oltre un decennio ha ospitato colture di pomodoro irrigate con acque salmastre. Sull’ibrido F1 Genio, resistente al TYCV e alle spaccature, sono stati studiati gli effetti della pacciamatura con film di polietilene trasparente e di due livelli di salinità. Il film utilizzato per la pacciamatura è stato applicato sette settimane prima del trapianto (22/09/2009) e mantenuto fino alla conclusione del ciclo colturale. Prima della pacciamatura il terreno è stato accuratamente lavorato, concimato e irrigato fino alla capacità di campo. I due livelli di conducibilità elettrica dell’acqua d’irrigazione sono stati pari a 3000 dSm-1 (acqua attinta dal pozzo dell’azienda) e 10000 dSm-1 (acqua del pozzo alla quale sono stati aggiunti micronutrienti e NaCl). È stato adottato uno schema sperimentale a split plot, tre volte ripetuto, assegnando alla parcella intera i livelli di salinità e alle subparcelle le tesi con e senza pacciamatura. L’irrigazione, eseguita mediante manichetta forata, è stata effettuata ogni qual volta l’evaporazione da evaporimetro di classe A ha raggiunto 30 mm; i livelli di conducibilità elettrica dell’acqua d’irrigazione sono stati differenziati una settimana dopo il trapianto e mantenuti per l’intera durata della prova. Gli altri interventi di tecnica colturale sono stati conformi a quelli ordinariamente adottati nella zona. Per ciascuna raccolta è stata rilevata la produzione di frutti commerciabili. In corrispondenza della raccolta delle bacche del 1°, 3° e 6° grappolo, sono stati determinati, su campioni di terreno prelevati sulla fila e dallo strato compreso fra 0 e -20 cm, l’umidità (% su peso secco) e la conducibilità elettrica dell’estratto saturo (dSm-1). I dati ottenuti sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). Per il confronto tra le medie è stata utilizzata la DMS. Risultati È stata accertata la significatività dell’interazione per l’umidità del suolo e per la conducibilità elettrica dell’estratto saturo e degli effetti principali per la produzione media di bacche per grappolo alle tre raccolte nonché per quella cumulata a fine ciclo. La pacciamatura ha, in genere, determinato un aumento dell’umidità del suolo e una riduzione della conducibilità elettrica dell’estratto saturo (Fig. 1). Nella tesi irrigata con acqua più ricca di sali (10000 dSm-1) il decremento della conducibilità elettrica ha oscillato fra il 9% e il 36%. Nella media dei livelli di salinità la pacciamatura ha determinato un incremento della produzione media per grappolo nelle tra raccolte (Fig. 2). Gli effetti dalla pacciamatura sono risultati apprezzabili anche sulla produzione di bacche che, a fine ciclo e nella media dei due livelli di salinità, ha rivelato un incremento del 26%. Sulla produzione, per 131


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contro, effetti negativi ha determinato l’aumento della conducibilità elettrica dell’acqua; a fine ciclo il decremento è risultato, in media, pari al 27% (Tab. 1). 14000

c

c

a

b

a

c

b

b

b

3 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to 3 0 0 0 d S m -1 N o n P a c c ia m a to 1 0 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to 1 0 0 0 0 d S m -1 N o n P a c c ia m a to

d

c

b

d

6000

a

25

b d

c

a c

(%)

-1

8000

b

a

a

30

a

10000

dSm

35

3 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to 3 0 0 0 d S m -1 N o n p a c c ia m a to 1 0 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to 1 0 0 0 0 d S m - 1 N o n P a c c ia m a to

a

12000

20

15

4000

10

2000

5

0

0

R a c c o lta d e l 1 8 F e b b ra io 2 0 1 0

R a c c o lta d e l 1 5 G e n n a io 2 0 1 0

600

a

a

a

3000 dSm-1 10000 dSm-1 Pacciamato Non pacciamato

a

b

500

R a c c o lta d e l 1 9 M a rz o 2 0 1 0

a

b

a b

400

R a c c o lta d e l R a c c o lta d e l R a c c o lta d e l 1 5 G e n n a io 2 0 1 0 1 8 F e b b ra io 2 0 1 0 1 9 M a rz o 2 0 1 0

Figura 1. Conducibilità elettrica dell’estratto saturo (a sinistra) e umidità del terreno(a destra) alle tre raccolte (lettere differenti indicano significatività per P≤0.05 per ciascuna raccolta).

b

b

g 300 b

Figura 2. Produzione media di bacche per grappolo alle tre raccolte (lettere differenti indicano significatività per P≤0.05 per ciascuna raccolta).

200

100

0 Raccolta del 15 Gennaio 2010

Raccolta del 18 Febbraio 2010

Raccolta del 19 Marzo 2010

Trattamenti 3000 dS m-1 10000 dS m-1 pacciamato non pacciamato

g pianta-1 3261.65 a 2329.58 b 3113.37 a 2477.86 a

Tabella 1. Produzione cumulata di bacche commerciabili

Conclusioni I risultati ottenuti consentono di affermare che la pacciamatura attenua le oscillazioni del contenuto idrico del suolo e riduce l’aumento della conducibilità elettrica dell’estratto saturo dello stesso, con riflessi positivi sulla produzione. Il ricorso a questa tecnica appare, dunque, auspicabile, soprattutto nelle colture protette irrigate con acque salmastre. Bibliografia Cuartero J., Fernandez-Munoz R. 1999. Tomato and salinity .Scientia Horticulturae, 78: 83-125. Cuartero J. et al. 2006. Increasing salt tolerance in the tomato Journal of Experimental Botany, 57(5): 1045-1058. Marchese M. et al. 2009. Effetti dell’irrigazione con acqua salmastra e della pacciamatura del terreno sul comportamento produttivo del pomodoro coltivato in ambiente protetto. Atti del XXXVIII Convegno Nazionale della S.I.A. Firenze 21-23 settembre 2009, 189-190.

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Nuovi Cloni di Violetto di Sicilia per il Miglioramento della Cinaricoltura Meridionale Rosario P. Mauro, Sara Lombardo, Angela M.G. Longo, Gaetano Pandino, Antonino Lo Monaco, Antonino Russo, Giovanni Mauromicale Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) – Università degli Studi di Catania – via Valdisavoia, 5 – 95123 Catania; rosario.mauro@unict.it

Introduzione Il carciofo [Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori] rappresenta un’importante risorsa economica per l’agricoltura dei Paesi mediterranei. Ciò deriva dalla capacità di tale coltura di fornire redditi stabili ed elevati, in virtù del lungo periodo produttivo e della pluralità di destinazioni del prodotto (consumo fresco ed industria alimentare). Sotto il profilo varietale, la cinaricoltura nazionale si basa su pochi tipi che, se da un lato incontrano il favore dei mercati interni, dall’altro mal si prestano ad una migliore articolazione del calendario produttivo e ad un incremento delle rese (Mauromicale e Ierna, 2000). In Sicilia, le popolazioni autoctone di Violetto di Sicilia presentano elevata variabilità genetica e fenotipica (Mauromicale et al., 2004). Tale caratteristica può essere proficuamente sfruttata nella selezione di cloni dalle migliorate caratteristiche bio-agronomiche e dalla più forte identità varietale, nell’ottica di contrastare il fenomeno del crescente inquinamento delle popolazioni autoctone da corpi riproduttori appartenenti a tipi varietali simili, quali Violetto di Provenza (Mauromicale et al., 2004). Nella presente nota si riportano le caratteristiche salienti di 5 nuovi cloni di carciofo selezionati presso il Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali-Università degli Studi di Catania, nell’ambito di popolazioni locali di Violetto di Sicilia. Metodologia La ricerca è stata realizzata nel biennio 2008-2009/2009-2010 in agro di Catania (37°27’ N, 15°04’ E). Cinque cloni di Violetto di Sicilia provenienti da un programma di selezione realizzato nei più importanti areali cinaricoli della Sicilia orientale sono stati confrontati sotto il profilo bio-agronomico con una popolazione testimone (VSbulk) (Tab. 1). L’impianto delle carciofaie è stato effettuato il 17 agosto 2008 a mezzo ovoli pre-germogliati; al secondo anno le stesse sono state riattivate a mezzo irrigazione il 10 agosto 2009. In entrambi gli anni la concimazione è stata effettuata con 200, 150 e 120 kg ha-1 rispettivamente di N, P2O5 e K2O. In entrambi gli anni sono state registrate le seguenti variabili: tempo medio di raccolta del capolino principale (TR), produzione precoce (PR) intesa come numero di capolini pianta-1 raccolti al 31 dicembre, produzione complessiva pianta-1 (Y) ed il peso fresco del capolino principale (PfP) di primo (Pf1) e di secondo ordine (Pf2). I dati acquisiti sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie di ciascun carattere separate tramite test LSD di Fisher (P < 0.05). Di seguito si riferisce dei dati acquisiti al secondo anno di prova. Risultati I genotipi studiati hanno mostrato differenze in seno alle variabili misurate (Tab. 1). Il tempo medio di raccolta del capolino principale, in media pari a 116 giorni, ha evidenziato una differenza pari a 12 giorni fra i cloni S1 (125 giorni) e C3 (107 giorni); quest’ultimo è risultato l’unico clone statisticamente differenziato rispetto alla popolazione testimone (Tab. 1). Per contro, rispetto a quest’ultima, tutti i cloni selezionati hanno evidenziato una maggiore precocità commerciale. Infatti, il numero di capolini raccolti al 31 dicembre, variabile statisticamente indifferenziata fra i cloni allo studio, è risultata particolarmente elevata nei cloni B3, C1 e C3 (3,8 capolini pianta-1) (Tab. 1). Differenze evidenti sono emerse in seno alle accessioni anche per la produzione complessiva a fine ciclo (Tab. 1). Tale variabile, in media pari a 9,7 capolini pianta-1, ha mostrato valori particolarmente elevati nel clone B3 (11,4 capolini pianta-1) ed intermedia nei cloni C3 e C1 (9,9 e 9,7 capolini pianta-1, rispettivamente) (Tab. 1). A tale riguardo, il clone S1 è apparso l’unico genotipo non significativamente differenziato rispetto al testimone. In riferimento al peso fresco del capolino principale il range di variabilità è apparso piuttosto 133


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ridotto, e compreso entro 161,3 g (S1) e 177,1 (C2), unici valori statisticamente differenziati (Tab. 1). Analoghi risultati hanno evidenziato il peso fresco del capolino di primo e di secondo ordine. Il primo parametro, in media pari a 139,9 g, nei cloni selezionati non ha fatto rilevare differenze apprezzabili rispetto al testimone, risultando comunque significativamente più elevato in C3 rispetto ai cloni C2 e S1 (Tab.1). Per contro, il peso fresco del capolino di secondo ordine, in media pari a 122,7 g, in tutti i cloni selezionati è risultato significativamente superiore al testimone, particolarmente in C3 (Tab. 1). Tabella 1. Caratterizzazione agronomica e biometrica dei genotipi studiati. Lettere diverse nell’ambito di ciascuna colonna indicano significatività al test LSD di Fisher (P < 0,05). Genotipo

TR (giorni)

B3 C1 C2 C3 S1 VSbulk

116 b 109 bc 118 b 107 c 125 a 119 ab

PR (capolini pianta-1 al 31/12) 3.8 a 3.8 a 3.7 a 3.8 a 3.5 a 2.9 b

Y (capolini pianta-1) 11.4 a 9.7 bc 9.2 c 9.9 b 9.1 cd 8.6 d

PfP (g)

Pf1 (g)

Pf2 (g)

171.2 ab 169.4 ab 177.1 a 173.9 ab 161.3 b 164.8 ab

146.1 ab 141.5 ab 132.6 b 150.3 a 132.1 b 136.7 ab

122.3 ab 122.1 ab 122.9 ab 134.9 a 123.5 ab 110.5 b

Conclusioni I risultati preliminari della valutazione agronomica di cinque cloni di Violetto di Sicilia hanno dimostrato, nel complesso, la validità del programma di selezione clonale intrapreso. I cloni selezionati, infatti, hanno manifestato per alcuni caratteri una certa superiorità rispetto alla popolazione testimone. Tale superiorità, però, è apparsa maggiormente evidente in rapporto alla caratteristiche bioagronomiche (tempo medio di raccolta del primo capolino, precocità commerciale e produzione complessiva). Tra i cloni selezionati, meritano segnalazione B3, caratterizzato da elevata capacità produttiva e precocità commerciale, e C3, dotato di spiccata precocità e buone caratteristiche ponderali dei capolini. Tenuto conto della elevata produttività e delle differenze di precocità dei materiali selezionati, è lecito asserire che la loro oculata introduzione in coltura in ambienti in grado di esaltarne le peculiarità biologiche, potrebbe rappresentare un valido strumento al fine di elevare la produttività delle carciofaie siciliane, rendendone al tempo stesso, il calendario produttivo più rispondente alle esigenze del mercato. Bibliografia Mauromicale G., Ierna A., 2000. Panorama varietale e miglioramento genetico del carciofo. L’Informatore Agrario, 56: 39 – 45. Mauromicale G. et al. 2004. Panorama varietale del carciofo in Sicilia. L’Informatore Agrario, 52: 15-18. Ricerca finanziata dal MiPAAF nell’ambito del progetto CAR-VARVI.

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Valutazione delle Caratteristiche Reologiche di Impasti di Grano Duro Addizionati con Inulina di Diversa Origine Maria Grazia Melilli1, M. Alì Doust2, Caterina Nadia Raciti3, Salvatore Antonino Raccuia1, Grazia Maria Lombardo3 1

CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, salvatore.raccuia@cnr.it 2 Ayandesazan Beheshte pars Industrial Trading Public Stock Co, Salmanshar, Mazandaran- IRAN, 3 Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle produzioni Animali, Univ. Catania, IT

Introduzione I primi piatti a base di pasta di grano duro sono molto diffusi tra gli italiani e tra le famiglie europee ed oltre ad essere considerati tra i prodotti alimentari a basso indice glicemico, conferiscono senso di sazietà ed esplicano effetti benefici su coloro che sono affetti da patologie quali obesità, diabete, metabolismo lipidico alterato (Russo et al., 2008). Anche se un numero significativo di studi illustrano il vantaggio di consumare prodotti alternativi ricchi di fibra, pochi lavori documentano le modificazioni che subiscono i prodotti alimentari per effetto dell’aggiunta di fibre alternative (Manna et al., 2009); tra queste ultime l’inulina, polisaccaride lineare a base di fruttosio con grado di polimerizzazione variabile, esplica effetti benefici sulla salute dell’uomo. Attualmente l’inulina utilizzata e commercializzata viene estratta esclusivamente dalle radici di cicoria ed è caratterizzata da un grado di polimerizzazione di circa 20 unità di fruttosio. Notevoli quantitativi di inulina sono estraibili dalle radici della specie Cynara cardunculus L., caratterizzata da un elevato grado di polimerizzazione (fino a 100 unità di fruttosio) (Raccuia e Melilli, 2010). Scopo del seguente lavoro è stato quello di valutare le caratteristiche reologiche di impasti di grano duro addizionati con inulina di diversa origine, ai fini della valutazione della suscettibilità alla trasformazione. Metodologia Per raggiungere gli obiettivi dell’attività di ricerca, è stata utilizzata la semola di una varietà di frumento duro “Mongibello” costituita presso il DACPA-Sez. Scienze Agronomiche, due tipologie di inulina, una “commerciale” (IC) fornita dall’azienda ORAFTI® (Belgio) ed una (IN) estratta dalle radici della linea “S3” di Cynara cardunculus L., appartenente alla collezione in vivo della UOS di Catania dell’ISAFOM-CNR Le radici di Cynara cardunculus sono state raccolte nel mese di maggio 2005, immediatamente lavate e utilizzate per l’estrazione, purificazione e caratterizzazione dell’inulina. Dopo l’omogenizzazione delle radici con acqua bidistillata in rapporto di 1:10, l’estrazione è avvenuta in bagnomaria bollente per circa 1 ora. Gli estratti filtrati e centrifugati venivano posti per una notte a bassa temperatura per la precipitazione del polisaccaride, che veniva raccolto tramite centrifugazione e ridisciolto a caldo mediante acqua bidistillata. Il ciclo di purificazione è stato effettuato per 6 volte. Gli impasti sono stati prodotti utilizzando tre concentrazioni differenti pari a 0 (testimone) 5 e 10% sul peso delle farine. Sul testimone e sugli impasti addizionati di inulina (IC o IN) sono stati determinati: glutine secco con il metodo AACC 38-12, utilizzando il Glutomatic system (Perten Instruments America), indici alveografici (W, P/L) mediante l’Alveografo di Chopin (metodo ICC Standard n. 121), e l’analisi al promilografo per la determinazione della quantità d’acqua necessaria per l’impasto, in relazione alle caratteristiche fisiche del campione. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di Student - Newman – Keuls (Snedecor e Cochran, 1989).

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Risultati In tabella 1 sono riportate le caratteristiche reologiche degli impasti in relazione alla tipologia di inulina e alla loro concentrazione. L’indice W che rivela l’attitudine alla trasformazione ha mostrato differenze significative sia per la tipologia di inulina usata (93 vs 107 J10-4 rispettivamente per IC e IN) sia per le concentrazioni (103 vs 77 J10-4 rispettivamente al 5 e 10%). Il valore più elevato è stato riscontrato negli impasti addizionati con il 5% di IN (123 J10-4) anche rispetto al testimone che ha mostrato un indice pari a 119 J10-4 Il rapporto P/L (tenacità/estensibilità dell’impasto) ha mostrato in corrispondenza del testimone valore pari a 2.3. Addizionando IC al 5 e al 10% il rapporto P/L è risultato pari a 2.0 mentre differenze significative sono state riscontrate negli impasti addizionati IN rispettivamente al 5 (0.9) e 10 % (05). Il glutine umido pari in media 277 g 100 g-1 s.s. non è stato statisticamente influenzato dal tipo di inulina utilizzata e dalla sua concentrazione. Il glutine secco invece, pari a 158 g 100 g-1 s.s. nel testimone, è rimasto pressoché invariato per effetto dell’aggiunta di inulina in entrambe le concentrazioni, anche se le esigue variazioni registrate sono apparse significative all’analisi statistica. La quantità di acqua assorbita misurata con il promilografo, ha messo in evidenza differenze significative in rapporto all’inulina usata con valori più elevati rilevati in corrispondenza di quella ricavata dalle radici di Cynara cardunculus. Ciò è da attribuire con ogni probabilità alla maggiore polimerizzazione dell’IN (54.7 ml e 51.4 rispettivamente per IC e IN). Tab. 1 – Caratteristiche reologiche degli impasti, quantità in glutine secco (g 100 g-1 s.s.) e quantità di acqua assorbita (ml) in relazione alla tipologia di inulina e alla loro concentrazione. Lettere differenti all’interno della stessa colonna indicano differenze significative a P<0.05

W (J10-4)

Concentrazione (%)

Glutine secco

P/L

Acqua assorbita

(g 100 g-1 s.s.)

(ml)

IC

IN

Medie

IC

IN

Medie

IC

IN

Medie

IC

IN

0

119a

119b

119

2.3a

2.3a

2.3

15.8a

15.8a

15.8

54.5a

54.5a

54.5

5

83b

123a

103

2.0a

0.9b

1.5

16.1a

15.3b

15.7

51.8b

56.0a

53.9

10

77b

78c

77

2.0a

0.5c

1.2

15.8a

14.9c

15.3

48.0c

53.5b

50.8

Medie

93

107

100

2.1

1.2

1.7

15.9

15.3

15.6

51.4

54.7

53.1

DMS inu(P<005)

4.98

0.12

0.34

1.01

DMS conc(P<005)

5.89

0.15

ns

1.23

Medie

Conclusioni I risultati ottenuti hanno messo in luce un generale miglioramento degli indici alveografici per effetto dell’aggiunta di inulina IN al 5%. Interessante appare anche l’assenza di modificazioni del glutine secco per effetto della presenza del polimero, che rende possibile la trasformazione. Bibliografia Manno D et al. 2009 The influence of inulin addition on the morphological and structural properties of durum wheat pasta. International Journal of Food Science and Technology, 44: 2218–2224. Raccuia SA e Melilli M.G 2010 Seasonal dynamics of biomass, inulin, and water-soluble sugars in roots of Cynara cardunculus L. Field Crops Research, 116: 147 – 153. Russo F et al. 2008 Inulin-enriched pasta affects lipid profile and Lp(a) concentrations in Italian young healthy male volunteers. Eur J Nutr., 47:453–459. Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press (New York), 503.

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Adozione di Tecniche Agronomiche Preparatorie, Lavorazione Superficiale e Irrigazione, per favorire i processi naturali di ricolonizzazione della Specie Rara Macarthuria keigheryi Giuseppe Messina¹, Antonio C. Barbera1, Deanna Rokich2-3, Stefano Mancuso4 e Kingsley Dixon2-3 1

Università di Catania – Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali – DACPA Via Valdisavoia, 5 - 95123 Catania Italy. giusepperth@gmail.com 2 Science Directorate, Botanic Garden and Parks Authority, Kings Park and Botanic Garden, Fraser Avenue, West Perth, Perth, WA 6005, Australia, 3 School of Plant Biology, The University of Western Australia, Stirling Highway. Crawley. WA 6009, Australia. 4 Università di Firenze, Dipartimento di Ortofloricoltura, Viale delle Idee 30, 50019 Sesto, Italy

Introduzione Una delle popolazioni australiane più numerose delle specie a rischio di estinzione, Macarthuria keigheryi, è presente all’interno dell’area urbana di Perth: “Conservation Area Perth International Airport” (PIA) soggetta ad ulteriore antropizzazione. La M. keigheryi appartiene alla famiglia delle Molluginaceae e presenta un habitus semi arbustivo alto fino a 40 cm. E’ una specie nativa dell’Australia Occidentale e, quindi, ben adattata alle condizioni pedo-climatiche della regione. Nonostante ciò, è necessario ricostruire gli habitat e l’intero ecosistema con le varie fitocenosi, legate da rapporti dinamici successionali, che verranno assecondati e/o accelerati, con opportuni interventi agronomici e seguendo i principi della restoration ecology. Allo scopo di favorire la reintroduzione e la possibile espansione della specie, dal 2006 al 2009, sono stati avviati 2 esperimenti dove è stata posta allo studio la sopravvivenza di M. keigheryi in relazione a due tecniche agronomiche preparatorie (irrigazione e lavorazione). Tali tecniche, come ben noto, impiegate in agricoltura sono migliorative delle condizioni iniziali, fondamentali per l’adattamento iniziale della coltura e il suo sviluppo (Bonciarelli 1983). Metodologia Talee di Macarthuria keigheryi provenienti dal PIA sono state propagate (dicembre 2005) presso le strutture vivaistiche del Kings Park & Botanic Gardens. Nel luglio del 2006 le piante che mostravano maggior vigore sono state impiegate per la sperimentazione, trapiantandole in un’area del PIA. L’area impiegata è stata recintata per evitare l’azione trofica dei conigli. Il primo studio è stato realizzato in un’area non vegetata. Adottando uno schema sperimentale a parcelle suddivise è stata valutata la sopravvivenza di M. keigheryi in relazione alle due tecniche agronomiche (lavorazione ed irrigazione). Un parcellone di 120 m2 (40x3 m) è stato lavorato alla profondità di 30 cm; quello non lavorato misurava 63 m2 (21x3 m). Ciascun parcellone è stato suddiviso nei due trattamenti irrigato e non irrigato. Le talee sono state trapiantate a 1 m una dall’altra in file distanti 2 m. Il secondo studio è stato realizzato in un’area già naturalmente vegetata, dove le talee sono state trapiantate tra arbusti metà delle quali all’ombra di una copertura arborea (circa 50% di ombreggiamento). Per entrambi gli studi l’acqua è stata distribuita per le 6 settimane successive al trapianto in ragione di 1 litro per settimana per pianta. Dopo tale periodo di attecchimento delle plantule l’irrigazione per la tesi “non irrigata” è stata interrotta. Le tesi “irrigate” hanno continuato a ricevere l’acqua in ragione di 2 litri per settimana per pianta. I rilievi sono stati cadenzati mensilmente dal trapianto per i 3 anni della sperimentazione fino al luglio 2009. Sono state 137


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rilevate le condizioni generali di crescita utilizzando come parametro i danni sulla pianta causati da diversi agenti e la percentuale di sopravvivenza. La sopravvivenza delle piante (viva o morta) veniva annotata così come la percentuale dell’area totale della pianta danneggiata utilizzando una scala da 1 a 5 (1= 0÷4%; 2= 5÷19%; 3= 20÷59%; 4= 60÷79%; 5= 80÷99%). Risultati Primo studio. Nei primi 4 mesi la percentuale di sopravvivenza delle piante di M. keigheryi è stata pari al 100% per tutti i trattamenti allo studio. Invece a sette mesi dal trapianto (febbraio 2007), nella media dei trattamenti irrigui, la sopravvivenza è stata pari allo 0% nel parcellone non lavorato contro il 56% circa in quello lavorato. Le piante sopravvissute si sono accresciute durante tutto il periodo dei rilievi. Secondo studio. La moria delle piante e i danni osservati in campo sono stati dovuti alla carenza idrica verificatesi nei mesi più secchi dell’anno (da marzo a maggio). Nell’area naturalmente vegetata, a 7 mesi dal trapianto, solo il 30% delle piante irrigate presenti, sotto la copertura di alberi, è sopravvissuta. Tali piante hanno continuato ad accrescersi sino alla fine dei rilievi (luglio 2009) rappresentando il 12% delle piante irrigate. Conclusioni La reintroduzione di M. keigheryi è favorita dall’adozione di alcune pratiche agronomiche preparatorie, migliorative delle condizioni di abitabilità delle talee. Infatti, sia la lavorazione che l’irrigazione nelle fasi di trapianto favoriscono l’attecchimento delle piante facilitando lo sviluppo dell’apparato radicale e l’approvvigionamento idrico delle stesse. Per il primo studio, in area non vegetata, il risultato è da attribuirsi principalmente all’effetto della lavorazione sullo stato idrico del suolo favorito tra l’altro dall’ottima distribuzione delle precipitazioni occorse durante i primi 4 mesi dal trapianto. L’irrigazione invece ha sortito un modesto effetto sulla condizione delle piante e nessuno sulla percentuale di sopravvivenza delle stesse. La mancanza di risposta da parte delle piante all’irrigazione e che essa non sia stata fornita in maniera adeguata al soddisfacimento della domanda evaporativa che, durante la prova, è stata superiore all’apporto somministrato. Le piante sopravvissute nell’area vegetata (secondo studio) si sono avvantaggiate del trattamento irriguo, grazie alla parziale ombreggiatura fornita dagli alberi (Banksia menziesii; Eucalyptus marginata) che hanno ridotto la domanda evapotraspirativa e dal più profondo sistema radicale degli stessi che non è entrato in diretta competizione per la risorsa idrica. Bibliografia Bonciarelli F. 1983 Agronomia – eds Edagricole Bologna pagg 115-116; 145-150 Giuseppe Messina et al. 2007. Conservation biology of Nationally Threatened Conospermum undulatum and Macarthuria keigheryi on Westralia Airports Corporation Bushland, Report 3 to Westralia Airports Corporation.

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Influenza di differenti input energetici sulla produzione di sorgo da biomassa in Campania Mauro Mori, Lucia Ottaiano, Massimo Fagnano, Ida Di Mola Dip. Ingegneria Agraria e Agronomia – Univ. di Napoli “Federico II”; mori@unina.it Lavoro svolto nell'ambito del progetto "Energie da biomasse agricole e forestali: miglioramento ed integrazione delle filiere bioenergetiche – (BIOENERGIE)" - finanziato dal MiPAAF (D.M. 337/7303/2006 del 21/12/2006).

Introduzione Una delle fonti di energia rinnovabile utilizzabili in Italia, è la biomassa. La ricerca in questo campo è spinta anche dalla necessità di trovare un'alternativa alle attuali produzioni agricole, in crescente crisi di mercato. Le biomasse vengono presentate come una delle fonti rinnovabili più promettenti sia in termini di contributo energetico sia di ricadute socio-economiche sul territorio (Riva et al., 2000) . L’utilizzo di tale fonte mostra, però, un forte grado di disomogeneità fra i vari Paesi. I Paesi in Via di Sviluppo, nel complesso, ricavano mediamente il 38% della propria energia dalle biomasse, nei Paesi Industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono appena per il 3% agli usi energetici primari. In particolare, l’Italia, con il 2.5% del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, è al di sotto della media europea. L’obiettivo del presente lavoro è quello di confrontare gli effetti di tecniche di fertilizzazione a differente input energetico sulla produzione di sorgo da biomassa (Sorghum bicolor.) Metodologia La ricerca è stata svolta presso l'azienda agraria “Torre Lama”, situata nella Piana del Sele, nel comune di Bellizzi, in provincia di Salerno. La prova ha avuto inizio nel 2007 su un campo sperimentale di circa 1 ha. A inizi di giugno, per tutti e tre gli anni di ricerca, è stata eseguita la semina ad una profondità di 20-30 mm utilizzando una seminatrice a righe. Le tecniche utilizzate sono state 4: A) alto input (I100 = 100% di acqua e 100% di azoto); B) alto input acqua e basso azoto (I50 = 100% acqua e 50% azoto); C) basso input acqua e alto azoto (NI100 = 0% acqua e 100% azoto); D) basso input (NI50 = 0% acqua e 50% azoto). La raccolta, è stata realizzata su 15 metri quadrati per parcella con 3 ripetizioni. Nel 2007 è stata effettuata solo la raccolta autunnale, invece nel 2008 e 2009 sono state effettuate due raccolte: autunnale ed invernale. Risultati Per quanto concerne la produzione di biomassa secca (Fig. 1) nel 2007 sono state riscontrate differenze significative in funzione delle due dosi di azoto messe a confronto solo nelle tesi irrigate. Nel 2008 e nel 2009, invece, non sono state riscontrate differenze significative per i differenti livelli di concimazione. Nelle tesi irrigate sono stati raggiunti in entrambi gli anni valori di circa 30 t ha-1. Per le tesi non irrigate nel 2008 le produzioni si sono attestati intorno a valori simili a quelli dell’anno precedente (circa 20 t ha-1), mentre nel 2009 superano di poco le 10 t ha-1. Probabilmente per un andamento stagionale più sfavorevole ed una minore emergenza del seme. -1

Biomassa secca (t ha )

40 a

a

30 a

a

Irrigato

b

Asciutto

20 bc

c

b

c

b

10 N 50

N 100 Dose di azoto (kg ha-1)

N 50

N 100

Dose di azoto (kg ha -1)

N 50

N 100

Dose di azoto (kg ha -1)

Figura 1 Produzione di biomassa secca nei tre anni di sperimentazione

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%

%

2007 2008 2009 Nella figura 2 è 100 riportata la ripartizione percentuale della 80 biomassa raccolta nei 60 tre anni di sperimentazione. Nelle 40 tre raccolte autunnali l’incidenza dei culmi 20 sul peso totale della 0 biomassa è di circa il Rac. Aut. Rac. Aut. Rac. Inv Rac. Aut. Rac. Inv 90%. Nelle due raccolte invernali Figura 2 Ripartizione della biomassa nelle diverse epoche di (2008 e 2009) l’influenza del 2007 100 culmo sul peso totale della biomassa corrisponde a circa il 97%. 80 Per quanto riguarda la percentuale di 60 umidità della biomassa raccolta (Fig. 3), nel 2007 i valori sono circa il 65% sia per 40 le tesi irrigate sia le tesi non irrigate. Nel 20 2008 e 2009 è possibile evidenziare una 0 percentuale di umidità maggiore nella Raccolta autunnale raccolta autunnale, intorno al 60 – 70%, rispetto a quella ottenuta nella raccolta

% foglie % culmi

I NI

2009

2008

100 80 I

60 %

NI

40 20 0 Raccolta Autunnale

Raccolta Invernale

Raccolta Autunnale

Raccolta Invernale

Figura 3 Percentuale di umidità della biomassa nei due periodi di raccolta.

invernale, che risulta intorno al 40% nel 2008 e circa il 50% nel 2009. Conclusioni Risulta evidente l’utilità dell’irrigazione in quanto, se regolare e sufficiente, può permettere al sorgo di ottenere risultati produttivi importanti, non solo in termini quantitativi ma anche di stabilità delle produzioni Non risulta evidente l’effetto degli apporti azotati. Per questo motivo si può ipotizzare di ridurre tale input, mantenendosi sulla dose minore (N 50%), con successivi vantaggi di ordine economico, oltre che ambientale. La raccolta invernale ha fatto registrare livelli di umidità molto più bassi e una riduzione della fogliosità. Risulterebbe, quindi, più conveniente raccogliere a fine inverno, in quanto si riduce l’energia necessaria per il trasporto e l’essiccazione della biomassa e soprattutto si riduce l’asportazione di elementi minerali dal sistema, in quanto il distacco invernale delle foglie, che ne accumulano la maggiore quantità, li restituirebbe al suolo. Bibliografia Riva G. et al. 2000. Tecnologie per l’utilizzo delle biomasse e loro livello di maturità. Atti della Giornata di Studio dell’Accademia dei Georgofili “Valorizzazione energetica delle biomasse agro-forestali”. Firenze, 25 novembre 1999. 213-215.

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Comportamento Agronomico di Ecotipi di Melanzana e Scarola su Terreno Trattato da Tre Anni con Compost da Forsu Luigi Morra, Maurizio Bilotto, Gaetano Pizzolongo CRA-Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, luigi.morra@entecra.it

Introduzione Il confronto fra diverse strategie di fertilizzazione, condotto attraverso la ripetizione dei trattamenti sulle stesse parcelle per più anni, rappresenta un approccio elettivo al fine di dimostrare come l’ammendamento organico possa produrre miglioramenti stabili della fertilità del terreno al punto da aumentarne la capacità produttiva consentendo la riduzione degli impieghi di alcuni input agrochimici. La ricerca è finanziata dalla regione Campania- SeSIRCA attraverso il Progetto “Centro Orticolo Campano”. Metodologia Quattro strategie di fertilizzazione sono state poste a confronto: Controllo non fertilizzato (CNT); Concimazione minerale completa definita in base alle Linee guida regionali per le colture praticate (MIN); Fertilizzazione con compost da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (f.o.r.s.u.) alla dose annua di 30 t ha-1 come sostanza secca pari a circa 40 t ha-1 di tal quale (C30); Fertilizzazione con compost da f.o.r.s.u. alla dose annua di 15 t ha-1 di sostanza secca (=20 t ha-1 t.q.) + concimazione minerale azotata ad una dose pari a 1/2 di quella distribuita per la tesi MIN (C15+N1/2). Per il terzo anno consecutivo è stata effettuata una successione melanzana-scarola. Nel caso della melanzana sono state confrontate tre varietà: l’ibrido Mirabelle e i due ecotipi Lunga Napoletana e Cima Viola. Nel caso della scarola, l’ibrido Cuartana è stato confrontato con gli ecotipi Centofoglie e Riccia Schiana. Pertanto, i trattamenti sono stati disposti secondo un disegno a parcelle suddivise con quattro repliche: sulle parcelle principali, ampie 50 m2, erano applicate le modalità di fertilizzazione, sulle sub-parcelle, ampie 16,5 m2, erano poste le varietà. La melanzana è stata trapiantata il 1/6/2009 su striscie pacciamate in PE nero e secondo un investimento di 2 piante m-2. Sono stati somministrati 140 kg ha-1 di N distribuito il 40% in pre-trapianto e la restante parte con sette fertirrigazioni. La scarola è stata piantata il 3/11/2009 su pacciamatura biodegradabile in Mater-bi e secondo un investimento di 6,6 piante m-2. La concimazione azotata è stata di 100 kg ha-1 distribuiti in pre-trapianto come Entec 26. Risultati I migliori risultati produttivi della melanzana sono stati ottenuti con la fertilizzazione C30 che è stata significativamente superiore alla concimazione minerale e al controllo non concimato (Tab. 1). L’ammendamento integrato da azoto (C15+N1/2) ha prodotto risultati che sono comparabili sia con C30 che con MIN. I risultati produttivi medi conseguiti con le diverse varietà hanno messo in evidenza la netta superiorità dell’ibrido Mirabelle rispetto ai due ecotipi. Tra i due ecotipi non ci sono differenze significative anche se Cima Viola è apparsa più vigorosa e leggermente più produttiva di Lunga Napoletana; Cima Viola ha presentato una più alta produzione di scarto. L’effetto dell’interazione tra fertilizzazione e varietà sulla produzione commerciabile è mostrato in Figura 1. Appare evidente che la cultivar ibrida (Mirabelle) ha valorizzato la migliorata fertilità del terreno trattato con C30 e C15+N1/2 in modo più efficiente degli ecotipi la cui capacità produttiva è apparsa meno sensibile alla fertilità del suolo. In Tabella 2 sono mostrati i risultati produttivi ottenuti con la scarola. Le strategie di fertilizzazione C30 e C15+N1/2 hanno consentito produzioni del tutto equivalenti alla concimazione minerale nonostante il ciclo colturale invernale. I due ecotipi di scarola hanno mostrato capacità produttive analoghe alla cv ibrida. L’ecotipo Centofoglie è entrato in produzione due settimane dopo Cuartana e Riccia Schiana. 141


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Tabella 1: Caratteristiche produttive di melanzana in relazione a tipo di fertilizzazione, varietà e loro interazione.

Figura 1. Effetto dell’interazione Fertilizzazione x Varietà sulla produzione commerciabile di melanzana

Tabella 2. Caratteristiche produttive di scarola in relazione a fertilizzazione, varietà e loro interazione

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Dinamica del C e dell’N Totale del Suolo in due Sistemi Colturali Orticoli Fertilizzati da tre Anni con Compost Luigi Morra1 , Gaetano Pizzolongo1 , Massimo Zaccardelli 2, Massimo Mascolo1 1

CRA-Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, luigi.morra@entecra.it 2 CRA- Centro di Ricerca in Orticoltura, Pontecagnano (SA), IT, massimo.zaccardelli@entecra.it

Introduzione Le ricadute dell’ammendamento con compost quando ripetuto nel tempo, in sistemi colturali orticoli di pieno campo, sono strettamente dipendenti dalla tessitura del terreno, dal clima, dalle quantità impiegate, dall’intensità delle lavorazioni del terreno, dalle concimazioni, dalle specie coltivate in successione. Lo studio dei cambiamenti indotti da questi fattori sulla dinamica del carbonio e dell’azoto nel suolo ha l’obiettivo di comprendere l’efficacia degli ammendamenti sia riguardo al sequestro di carbonio sia riguardo alla fertilità del suolo. Questo studio è finanziato dalla Regione Campania nell’ambito del progetto “Centro Orticolo Campano”. Metodologia Le stesse strategie di fertilizzazione sono state applicate su un terreno limoso-sabbioso presso il CRACAT di Scafati e su un terreno franco-argilloso del CRA-ORT di Battipaglia: Controllo non

fertilizzato (CNT); Concimazione minerale completa definita in base alle Linee guida regionali per le colture praticate (MIN); Fertilizzazione con compost da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (f.o.r.s.u.) alla dose annua di 30 t ha-1 come sostanza secca pari a circa 40 t ha-1 di tal quale (C30); Fertilizzazione con compost da f.o.r.s.u. alla dose annua di 15 t ha-1 di sostanza secca (=20 t ha-1 t.q.) + concimazione minerale azotata ad una dose pari a 1/2 di quella distribuita per la tesi MIN (C15+N1/2). Le colture di melanzana e scarola sono state praticate sia a Scafati per il triennio 2007- 2009 che a Battipaglia per il biennio 2007-2008; in quest’ultima località nel terzo anno sono stati coltivati pomodoro e finocchio. A Scafati le lavorazioni principali sono state la rippatura seguita da una fresatura in preparazione del letto di trapianto e poche sarchiature che hanno integrato la presenza di pacciamatura lungo le file. A Battipaglia, l’aratura a 30 cm e alcune fresature interfilare sono state necessarie per ogni coltura. Alla fine di ogni successione annuale (tra marzo e aprile) il terreno è stato campionato nel profilo 0-30 cm al fine di determinare C organico totale e N totale. I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie separate con il test di Tukey HSD.

Risultati Le variazioni nette del contenuto di N totale nel suolo dopo un triennio, hanno evidenziato che il suolo di Scafati è soggetto ad un ritmo di mineralizzazione più alto di quello di Battipaglia con incrementi più ridotti nel caso degli ammendamenti e perdite più sensibili nel caso dei trattamenti MIN e CNT (Fig. 1). Tuttavia, il contenuto in N totale alla fine del terzo anno è sostanzialmente simile nei due terreni. Ciò è dovuto in parte alla più elevata densità apparente del suolo (1,42 vs 1,26 kg dm-3 a Battipaglia e Scafati, rispettivamente), in parte ai differenti livelli di partenza della sostanza organica (1,5 % a Battipaglia, 2% a Scafati). Gli stock dei due suoli (v. ad esempio le tesi CNT), per quanto simili, non sono ugualmente disponibili alle attività biologiche da cui dipende il rilascio di azoto nitrico per le colture. E’, comunque, significativo l’incremento di N totale determinato in entrambe le località dalle due dosi di ammendamento. Riguardo alla dinamica del C innescata dall’apporto di compost, la Tab. 1 conferma, in parte, quanto osservato in precedenti esperienze. Al crescere della quantità di C organico immesso nel suolo con il compost e i residui colturali, crescono sia le quote stoccate nel suolo che quelle perse per mineralizzazione. Tuttavia, l’efficienza della conversione è più alta a Battipaglia ove si supera il

50% contro il 37% in media di Scafati. Ciò è da collegare alla maggiore presenza di argille (22% vs 4% a Battipaglia e Scafati, rispettivamente) che svolgono un ruolo importante nella creazione di microaggregati (<250 micron) in cui la protezione della sostanza organica dall’azione dei 143


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micorganismi è più alta. Coerente a queste osservazioni appare la considerazione sulle variazioni di C organico nella tesi CNT. Queste sono state molto ridotte a Battipaglia (0.05 t ha-1) e nettamente più alte e negative a Scafati (- 4.0 t ha-1) ove una quota del pool di C nel suolo non è, verosimilmente, protetta in microaggregati. Questo quadro è comunque destinato ad evolvere nel tempo mano a mano che si riduce la frazione di C organico più facilmente aggredibile. Nella tesi MIN nonostante che la dinamica del C sia simile a quella in CNT, l’apporto di concimi minerali dall’esterno riesce, per il momento ad attenuare la perdità di fertilità del terreno.

Figura 1. Contenuto di N totale e sua variazione nel periodo Mag 2007- Apr 2010, in due località e alla profondità di 0-30 cm

Tabella 1. Efficienza di conversione del C immesso con il compost in C organico del suolo (SOC) nel profilo 0-30 cm, in due località e nel periodo 2007-2010

Conclusioni I dati raccolti indicano che dopo un triennio anche in un sistema colturale orticolo appare possibile determinare incrementi di C organico del suolo già con dosi di compost di 15 t ha-1 di s.s. senza diminuire la produttività colturale (v. Morra, Bilotto e Pizzolongo, in questo Convegno). 144


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Effetti dell’Ammendamento con Compost da Sansa e da Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani sullo Sviluppo e la Produzione di Cavolfiore e Patata in Successione Luigi Morra, Alfonso Pentangelo, Francesco Raimo, Gaetano Pizzolongo, Maurizio Bilotto CRA-Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, luigi.morra@entecra.it

Introduzione Il corretto impiego agronomico degli ammendanti compostati richiede la conoscenza delle dosi d’impiego più appropriate e della eventuale necessità di integrarle con concimi minerali azotati. Ciò dipende dalle caratteristiche dei compost (C/N, N tot, sostanza organica), dalle variazioni stagionali della temperatura e dell’umidità del terreno. Da queste condizioni discende la possibilità di contemperare l’efficacia della fertilizzazione organica in un sistema orticolo con il miglioramento/conservazione del tenore di C organico del suolo. Questo contributo è stato reso possibile dal finanziamento della Regione Campania-SeSIRCA del Progetto “Compostaggio dei reflui oleari e valorizzazione agronomica e merceologica del compost ottenuto”. Metodologia Nell’azienda sperimentale del CRA-CAT a Scafati (SA), su terreno a tessitura limoso-sabbiosa sono stati applicati 14 trattamenti di fertilizzazione replicati tre volte e derivanti dalla combinazione fattoriale di tre ammendanti impiegati in due dosi (10 e 20 t ha-1 di sostanza secca), integrati o no da azoto di sintesi in dose pari a metà di quella distribuita con la concimazione minerale piena; un controllo non fertilizzato e un altro a concimazione minerale hanno completato il set di trattamenti. Gli ammendanti impiegati sono stati: Compost da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU); Compost da sansa ottenuto da compostaggio in cumulo statico di sansa olearia vergine, letame e paglia dopo 4 mesi di maturazione; Ammendante ottenuto per miscelazione e insacchettamento di sanse umide, paglia e cascami di cotone (met. Matrefo) dopo 12 mesi di maturazione. Tutti questi materiali sono stati distribuiti e interrati il 23 luglio 2009. Due colture ortive sono state praticate in successione sulle stesse parcelle: cavolfiore (cv Megha) a ciclo breve allevato dal 30 luglio al 9 ottobre 2009; patata novella (cv Adora) allevata dal 1 marzo al 3 giugno 2010. Risultati L’ammendante Matrefo ha mostrato un effetto di concimazione più pronto rispetto al compost da FORSU ed a quello da sansa in ordine decrescente (Tab. 1). Infatti, in presenza dell’ammendamento con Matrefo alla dose 10 e 20 integrata da azoto di sintesi e alla dose 20 non integrata, il cavolfiore in ciclo precoce si è particolarmente avvantaggiato della migliore disponibilità di azoto accumulando più sostanza secca nell’intera pianta e nel corimbo, riducendo di sette giorni il tempo medio di raccolta, con una produzione più alta e corimbi più pesanti. Il compost da FORSU. ha avuto un comportamento intermedio mentre quello da sansa ha chiaramente mostrato, quando impiegato alle dosi 10 e 20 non integrate da azoto, di essere caratterizzato da un tasso di mineralizzazione dell’azoto molto basso e di peggiorare l’accrescimento e la produzione di cavolfiore rispetto al controllo non fertilizzato. L’addizione di 55 unità ha-1 di azoto minerale non è stata sufficiente a portare i parametri misurati al livello delle altre tesi. La patata coltivata in successione al cavolfiore, ha permesso di studiare l’effetto residuo degli ammendamenti con i diversi materiali in un periodo stagionale caratterizzato da temperature del terreno sub-ottimali per le attività microbiologiche e coincidente con la fase del ciclo colturale della patata in cui è concentrato il maggior fabbisogno azotato. La Tabella 2 mostra che 145


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l’integrazione con azoto minerale (80 kg ha-1) ha avuto un effetto decisivo nel migliorare accrescimento vegetativo, accumulo di sostanza secca e produzione di patata novella rispetto alle tesi senza integrazione per ogni tipologia di ammendante e a qualunque dose di applicazione. Il compost di sansa e, in minor misura, quello di FORSU in assenza di integrazione azotata hanno determinato accrescimenti più ridotti e performance produttive al livello del controllo non concimato. Tabella 1. Parametri relativi alla produzione e all’accrescimento di cavolfiore in relazione al tipo di fertilizzazione.

Tabella 2: Effetto residuo sulla crescita e la produzione di patata novella, delle diverse combinazioni ammendante x dose

x integrazione di azoto minerale.

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Gestione della fertilizzazione e produttività del guado (Isatis tinctoria L.) nella collina marchigiana R. Orsini1, G. Seddaiu2, M. Perugini1, G. Iezzi1, M. Bianchelli1, L Serrani1, R. Santilocchi1 1 2

Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, IT, r.orsini@univpm.it Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli Studi di Sassari, IT, gseddaiu@uniss.it

Introduzione La Isatis tinctoria L., altrimenti conosciuta con il termine di guado, è una pianta della famiglia delle brassicaceae (o cruciferae) a ciclo biennale. Il guado è una pianta di origine asiatica, in Italia è diffusa particolarmente al Nord in Val d'Aosta, Piemonte Liguria e Veneto, in alcune regioni del centro come Toscana, Umbria Lazio e Marche e del sud come Abruzzo. È presente anche in Sicilia e Sardegna (in questa seconda isola particolarmente nella sottospecie canescens).Il guado fa parte delle cosiddette piante da blu. Il colorante si estrae dalle foglie di questa pianta raccolte durante il primo anno di vita. Dopo macerazione e fermentazione in acqua si ottiene una soluzione giallo verde che agitata e ossidata produce un precipitato (indigotina). Il colorante, molto solido, è utilizzabile nella tintura della lana, seta, cotone, lino e juta, ma anche in cosmetica e colori pittorici. Fu coltivato in Italia almeno dal XIII secolo fino alla seconda metà del XVIII quando la concorrenza dell'indaco asiatico e americano ne ridusse drasticamente la produzione. Un rinnovato e crescente interesse verso i prodotti naturali ha incoraggiato, nel contesto agricolo europeo, la reintroduzione delle colture che producono indaco (Sales E. et al, 2006). Il lavoro di seguito descritto rientra in un Progetto di Ricerca che si pone, come obiettivo generale, la riqualificazione e differenziazione dell'attività agricola marchigiana con lo scopo di fornire ai produttori primari nuove fonti di reddito. Nello specifico il lavoro, del quale sono forniti solamente i risultati preliminari, si pone l’obiettivo di identificare un protocollo di tecnica agronomica a basso impatto ambientale per introdurre e diffondere nel territorio marchigiano la coltivazione di guado. Il lavoro descritto è parte di un progetto di ricerca finanziato con Fondi della Regione Marche nell’ambito del Piano di Azione Bieticolo – Saccarifero (PABS) 2009-2010 ed è svolto in collaborazione con i Ricercatori della Sez. di Microbiologia Alimentare, Industriale ed Ambientale del Dipartimento SAIFET dell’Università Politecnica delle Marche. Metodologia La sperimentazione è stata avviata nel 2009 in un’azienda ubicata in località Montefiore dell’Aso (AP). Il campo sperimentale ha dimensioni pari a 3 ha, esposizione a S-SE, pendenza media del 4%, terreno di medio impasto e altitudine di 50 m s.l.m.. La preparazione del letto di semina del guado è stata molto accurata ed ha previsto una scarificatura a 30 cm e diversi affinamenti per favorire un intimo contatto tra il seme (di minute dimensioni) ed il terreno. La semina è avvenuta in novembre attraverso una seminatrice pneumatica ed è stata seguita da rullatura. La distanza tra le file è stata di 50 cm. Il controllo della flora infestante è avvenuto chimicamente in pre-emergenza e meccanicamente in post-emergenza. Sono state confrontate due differenti tecniche di concimazione ed un trattamento di controllo ad input zero. Per le differenti tecniche di concimazioni è stato previsto: - trattamento con fertilizzazione minerale (M): 70 unità ha-1 di N somministrate in aprile e 46 unità ha-1 di N dopo ogni sfalcio per un totale di 162 unità ha-1 di N; - trattamento con fertilizzazione organica (O): 36 unità ha-1 di N somministrate in aprile e 18 unità ha-1 di N dopo ogni sfalcio per un totale di 72 unità ha-1 di N. - trattamento di controllo ad input zero (C) per il quale non è stato previsto alcun apporto di fertilizzante. Il disegno sperimentale adottato è a blocchi completi randomizzati con 3 repliche. Le variabili misurate riguardano: - la quantificazione delle componenti della biomassa epigea attraverso lo sfalcio programmato di piante campione; 147


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- la determinazione diretta, attraverso misure planimetriche, della superficie fogliare; - rilievi di fittezza colturale e copertura del suolo. A partire dalle variabili descritte, sono state calcolate le produzioni attese per il primo dei tre sfalci previsti al fine di fornire indicazioni oltre che di tipo agronomico sull’effetto dei trattamenti a confronto, anche sull’efficienza delle fasi di raccolta meccanica e le rese estrattive in indaco. Risultati e discussione I risultati preliminari hanno mostrato significative differenze tra i trattamenti per quali è stata prevista fertilizzazione (M ed O) ed il trattamento di controllo ad input zero (C) in termini sia di peso, numero ed espansione delle lamine fogliari che di fittezza colturale (Tabella 1). Le differenze in termini di produzioni di biomassa sono state associate alla maggiore disponibilità in nutrienti delle piante dei trattamenti M ed O rispetto a quelle del trattamento C. In merito alla fittezza, le significative differenze riscontrate, sono state associate al minor sviluppo epigeo del trattamento C che non ha garantito un’efficace azione soffocante nei confronti della flora infestante. Questo comportamento non è stato osservato in M ed O dove, in seguito all’apporto di fertilizzante avvenuto in data 1 aprile, la coltura ha risposto in maniera repentina colonizzando l’interfila e svolgendo di fatto un’azione di contenimento dello sviluppo della flora spontanea fino al momento dello sfalcio avvenuto il 15 giugno 2010. Tabella 1 Numero di lamine espanse, superficie fogliare (m2), peso secco delle lamine (g) fittezza (piante m-2) e produzione epigea (t ha-1) del guado nei diversi trattamenti a confronto. M = fertilizzazione minerale, O = fertilizzazione organica; C = trattamento di controllo ad input zero.

n. lamine espanse

Superficie fogliare (m2)

P. secco lamine (g)

Fittezza (piante m-2)

M

130 a

0.3 a

27 a

10.5 a

2.8 a

O

110 ab

0.2 a

22 a

8.9 ab

1.9 ab

C

51 b

0.1 b

10 b

7.1 b

0.7 b

Trattamento

Produzione epigea (t ha-1 di s.s.)

ANOVA: nell’ambito di ogni variabile, valori seguiti da lettere diverse, sono risultati significativamente differenti per P < 0.05

Conclusioni I risultati preliminari descritti nel presente lavoro mettono in evidenza come il guado, anche se fertilizzato con modesti apporti di tipo minerale o organico, risponda in maniera soddisfacente in termini di produzione di biomassa. Il trattamento di controllo ad input zero non ha manifestato performance produttive soddisfacenti per il modesto insediamento e per le ridotte produzioni di biomassa fogliare legate principalmente oltre che al mancato apporto di nutrienti anche al limitato potere soffocante nei confronti della flora infestante. Le successive fasi del lavoro prevedono la prosecuzione della campagna di rilevamento dei dati biometrici, il confronto tra produzioni attese ed osservate ed il rendimento in termini estrattivi dei differenti trattamenti oggetto dello studio. Bibliografia Sales E. et al. 2006. Sowing date, translanting, plant density and nitrogen fertilization affect indigo production from Isatis species in a Mediterranean region of Spain. Industrial Crops and Products, 23: 29-39.

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Modellizzazione della Germinazione dei Semi di Sorgo Zuccherino (cv. Keller) in Condizioni di Stress Idrico Attraverso la Hydrotime analysis Cristina Patanè1, Alessandro Saita2 1

CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, cristinamaria.patane@cnr.it 2 DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, alessandro.saita@tiscali.it

Introduzione In ambienti a clima caldo-arido quali la Sicilia, il contenuto idrico del terreno alla semina risulta spesso insufficiente per sostenere la germinazione del seme, che pertanto si riduce o viene ritardata, determinando uno scarso insediamento della coltura. Quando il potenziale idrico (ψ) del mezzo di imbibizione si riduce, la germinazione del seme può essere infatti rallentata o inibita. L’Hydrotime model permette di descrivere la risposta germinativa del seme alla riduzione di ψ (Gummerson, 1986). In questa ricerca, è stato analizzato il comportamento germinativo dei semi di una cultivar di sorgo zuccherino in condizioni di ridotta disponibilità idrica, attraverso l’Hydrotime model. Metodologia La ricerca è stata condotta sulla cv. Keller di sorgo zuccherino. I test di germinabilità sono stati effettuati a 25°C (temperatura ottimale) e 15°C (temperatura subottimale), su campioni di 200 semi (4 repliche di 50 semi ciascuna) posti in scatole Petri. Sono stati studiati 6 livelli di potenziale idrico della soluzione di imbibizione (ψ): 0, -0,2, -0,4, -0,6, -0,8 e -1,0 MPa. Le soluzioni osmotiche sono state preparate con concentrazioni diverse di polietilenglicole (PEG) in acqua distillata (Michel e Kaufmann, 1973). Le scatole Petri sono state chiuse ermeticamente con Parafilm per prevenire le perdite per evaporazione. La germinazione è stata registrata giornalmente sui semi con una radichetta di almeno 2 mm di lunghezza. A fine prova è stata calcolata la germinabilità finale (%). Per la stima del potenziale idrico di base (ψb) per la germinazione di frazioni diverse (g) di ciascun lotto di semi (10, 50 e 90%), è stata adottata una regressione lineare del reciproco del tempo teorico di germinazione (1/tg o GRg) vs. ψ (Gummerson, 1986). L’Hydrotime viene definito come segue: θH = [ψ – ψb(g)] tg (1) dove θH = Hydrotime (MPa h) richiesto per la germinazione della frazione g di semi; ψ = potenziale idrico della soluzione di germinazione; ψb(g) = potenziale idrico teorico di base in corrispondenza del quale la germinabilità si riduce a g; tg = tempo teorico di germinazione della frazione g di semi. Per la stima di ψb(g) di tutte le percentuali di semi germinati (valori osservati) a ciascun tg, l’equazione (1) è stata così modificata: (2) ψb(g) = ψ – (θH/tg) dove ψ = potenziale idrico della soluzione di germinazione; θH = Hydrotime medio delle frazioni di seme g (10, 50 e 90%) calcolato dall’inverso del coefficiente b delle regressioni lineari di GRg vs. ψ (Kebreab e Murdoch, 1999). Allo scopo di linearizzare l’andamento della germinabilità cumulata, è stata adottata una regressione lineare dei valori percentuali di germinabilità (su scala di probabilità) vs. ψ – (θH/tg) che equivale a ψb(g). L’inverso del coefficiente b della regressione lineare corrisponde alla deviazione standard σψb della popolazione di semi (Kebreab e Murdoch, 1999). Il punto sulla retta di regressione corrispondente a probit= 0 (50% di germinabilità) fornisce il valore di ψb(50) (ψb per il 50% di germinabilità). θH, ψb(50) e σψb così stimati, rappresentano i parametri dell’Hydrotime, che variano con la temperatura. L’equazione della regressione lineare diviene pertanto la seguente: (3) probit (g) = [ψ – (θH/tg) – ψb(50)]/σψb Questa equazione modellizza la germinazione in risposta a differenti potenziali idrici del mezzo di imbibizione (Bradford, 1990).

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Conclusioni L’Hydrotime è un modello che può essere largamente impiegato nella previsione della risposta germinativa dei semi a qualsiasi potenziale idrico, sulla base di tre parametri della popolazione di semi: θH, ψb(50) e σψb. L’analisi, quando estesa a un ampio numero di genotipi, risulta utile anche nella selezione di linee e/o cultivar in grado di germinare in condizioni di spinto deficit idrico del terreno, quali si verificano spesso nelle zone semi-aride del Sud Italia. Tale approccio appare valido nella previsione della germinazione dei semi della cv. Keller di sorgo zuccherino in condizioni di stress idrico. Si rendono tuttavia necessari esperimenti in pieno campo, con semine in epoca anticipata (Marzo-Aprile) e ottimale (Maggio), per verificare la validità del modello, accertata in laboratorio, nella previsione della germinabilità dei semi in condizioni di limitata disponibilità idrica. Bibliografia

100

25°C

Germinabilità cumulata (%)

80 60

ψ (MPa) 0 - 0.2 - 0.4 - 0.6 - 0.8 -1.0

40 20 100 0

15°C

80 60 40 20 0 0

50

100

150

200

250

300

Tempo (ore)

Figura 1. Andamento della germinabilità in relazione al potenziale idrico (ψ).

Germinabilità cumulata (%, scala di probabilità)

Risultati La germinazione dei semi ha mostrato un progressivo ritardo al diminuire del potenziale idrico della soluzione di imbibizione, ad entrambe le temperature di germinazione (Fig. 1). La germinabilità finale si è inoltre ridotta al crescere del livello di stress idrico sino a valori di 60 e 30% circa, rispettivamente a 25° e 15°C. Attraverso l’analisi probit della regressione lineare dei valori di germinabilità cumulata vs. potenziale idrico di base, sono stati calcolati i parametri della equazione (3) (Fig. 2). E’ stata effettuata una analisi separata per le due temperature poiché il potenziale idrico di base varia con la temperatura. L’Hydrotime analysis ha infatti evidenziato come θH non si mantiene costante alle due temperature (Tab. 1). L’analisi rivela inoltre come a 15°C i semi della cv. Keller di sorgo zuccherino richiedono un θH maggiore rispetto al valore corrispondente alla temperatura ottimale, sebbene il potenziale di base ψb(50) (-1,29 MPa) a 15°C non si discosti molto da quello stimato a 25°C (-1,38 MPa). La deviazione standard di ψb decresce con la temperatura (da 0,29 a 0,21), dimostrando una maggiore uniformità di distribuzione del potenziale di base all’interno del lotto di semi, a temperatura subottimale di germinazione.

99.99 99.9 99 90 70 50 30 10

ψ (MPa) 0 - 0.2 - 0.4 - 0.6 - 0.8 -1.0

25°C

99.99 99.9 99 90 70 50 30 10

15°C

1 -2.2 -2.0 -1.8 -1.6 -1.4 -1.2 -1.0 -0.8 -0.6

Potenziale idrico di base ψb(g) (MPa)

Figura 2. Analisi probit dell’andamento del germinabilità in relazione al potenziale idrico di base.

Tab. 1. Parametri dell’Hydrotime model per la previsione dell’andamento della germinabilità a potenziali idrici diversi in sorgo zuccherino cv. Keller.

Temperatura θH σψb ψb(50) Bradford K.J. 1990. A water relations analysis of the seed r2 (°C) (MPa h) (MPa) (MPa) germination rates. Plant Physiol., 94:840-849. 25 43.6 -1.38 0.29 0.90 Gummerson R.J. 1986. The effect of constant temperatures and 15 114.5 -1.29 0.21 0.86 osmotic potential on the germination of sugar beet. J. Exp. Bot., 37:729-741. Kebreab E., Murdoch A.J. 1999. Modelling the effects or water stress and temperature on germination rate of Orobanche aegyptiaca seeds. J. Exp. Bot., 50:655-664. Michel B.E., Kaufmann M.R. 1973. The osmotic potential of polyethylene glycol 6000. Plant Physiol., 51:914-916.

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Efficienza Traspirativa in Popolazioni di Pomodoro da Serbo Reperite nel Meridione d’Italia Cristina Patanè1, Salvatore La Rosa1, Michele Minardo2, Sebastiano Scandurra2, Orazio Sortino2 1

CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, cristinamaria.patane@cnr.it 2 DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, o.sortino@unict.it

67 DAT

-1

Resa totale (q ha s.f.)

160 140 120 100 80 60 40 140 120 100 80 60 40

74 DAT

V1 V2 V3 V4 V5 V6 V7 V8 V9 V10 V11 V12 V13 V14 V15 V23 V24 V25 V26 V27 V28 V33 V34 V35 V37 V38 V41

-2 -1

E (mg H2O m s )

Introduzione Il pomodoro da serbo è una coltura tipica delle regioni mediterranee, verso la quale di recente si sta rivolgendo un certo interesse, sia per salvaguardare un patrimonio genetico altrimenti destinato a estinzione, sia per le sue proprietà agronomiche, essendo tradizionalmente effettuata senza apporti irrigui. Quest’ultimo aspetto riveste una importanza di non poco rilievo, soprattutto nei paesi a clima caldo-arido come la Sicilia. Nell’ambito di una più ampia attività di ricerca rivolta alla caratterizzazione e valorizzazione di ecotipi di pomodoro da serbo, è stato condotto uno studio delle relazioni acquapianta e un primo screening tra gli ecotipi su basi fisiologiche, al fine di individuare i meccanismi adattativi che regolano il mantenimento dell’attività fisiologica della pianta in condizioni di spinto deficit idrico del terreno, che potrebbero essere proficuamente utilizzati in programmi di miglioramento genetico per la resistenza allo stress idrico nel pomodoro da industria e da mensa.

Ecotipo

Fig. 1. Traspirazione fogliare a 67 e 74 DAT. Le barre verticali indicano l’es. La linea orizzontale indica la media.

1000 800 600 400 200 0 70

80

90

100

110

120

130

140

-2 -1

E (mg H2O m s )

Fig. 2. Relazione tra traspirazione fogliare (E) a 67 DAT e produzione finale.

Metodologia La ricerca è stata condotta su 27 ecotipi di pomodoro da serbo reperiti nel Meridione d’Italia, appartenenti alla collezione in atto presso la sede di Catania del CNR-ISAFOM, Gli ecotipi sono stati trapiantati il 19 Aprile 2007 presso l’Azienda Sperimentale della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Catania. E’ stato adottato un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con tre repliche e un investimento unitario di 3,3 piante m-2. Prima del trapianto sono stati distribuiti 150, 100 e 100 kg ha-1 rispettivamente di N (nitrato ammonico), P (perfosfato minerale) e K (potassio solfato). Le piante sono state irrigate solo al trapianto, distribuendo un volume di acqua di 400 m3ha-1 circa. Il 25 Giugno ed il 2 Luglio, cioè a 67 e 74 giorni dal trapianto (DAT), quando le piante si trovavano in fase di ingrossamento delle bacche dei primi palchi fruttiferi, tra le ore 12 e le ore 13, per ciascuna parcella è stata misurata la traspirazione fogliare (E) mediante porometro ‘steady state’ Li-Cor 1600. Tra il 10 ed il 23 Luglio, è stata eseguita una prima raccolta di bacche a maturazione completa, prelevate tra il I e II palco. La raccolta finale è stata eseguita i primi di Agosto. Per ciascuna raccolta è stata determinata la produzione totale.

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Risultati Tab. 1. Produzione totale, traspirazione fogliare a La E media a 67 DAT è 67 DAT ed efficienza d’uso dell’acqua traspirata nei diversi ecotipi di pomodoro risultata pari a 117.9±12.2 mg da serbo esaminati. H2O m-2s-1, valore prossimo a quello accertato nel pomodoro Efficienza di uso H2O Resa da industria irrigato traspirata dell’acqua traspirata Ecotipo (g s.f. m-2) (mg -2 -1 m s ) (g s.f. mg-1 H2O) restituendo il 50% della ETc V1. Locale di Arnesano 4,525.6 116.2 38.9 (Patanè et al., 2009). I livelli V2. Locale di Altamura 4,259.7 127.3 33.5 traspirativi più alti (> 137 mg V3. Kachi di Sciacca 3,401.5 110.8 30.7 -2 -1 H2O m s ) sono stati V4. Pizzutello di Sciacca 2,580.4 101.1 25.5 3,464.5 registrati nelle locali di Pollara V5. Pomodorino di Licata 116.9 29.6 6,104.0 114.3 53.4 (V41) e di Custonaci 2 (V12), V6. Pizzutello di Licata Buttigghieddu d’appenniri 5,196.7 117.9 44.1 che hanno mantenuto livelli V7. V8. Pizzutello di Montallegro 3,927.7 115.3 34.1 traspirativi sopra la media, V9. Mezzocachi di Montallegro 7,057.0 126.7 55.7 anche a 74 DAT. Al II rilievo, V10. Pizzottello di Montallegro 6,930.9 114.6 60.5 V11. Locale do Custonaci 1 3,824.2 128.4 29.8 la 2,095.7 137.5 15.2 E si è lievemente ridotta a V12. Locale do Custonaci 2 Giallo di Basicò 1,493.4 123.8 12.1 causa dell’innalzamento della V13. V14. Rosso di Basicò 1,854.4 112.6 16.5 temperatura dell’aria e della V15. Mazzarrà S. Andrea 2,782.7 122.3 22.8 progressiva senescenza delle V23. Locale di Salina 1 2,450.6 79.6 30.8 4,794.0 129.0 37.1 piante, già prossime alla V24. Locale di Salina 2 4,545.9 120.9 37.6 completa maturazione delle V25. Locale di Salina 3 5,083.0 V26. Locale di Salina 4 130.7 38.9 bacche del primo palco V27. 4,615,4 Locale di Salina 5 113.4 40.7 fruttifero (Fig. 1). La V28. Locale di Filicudi 4,456.6 115.9 38.5 produzione di bacche è V33. Locale di Pantelleria 3,088.3 128.8 24.0 2,218.0 101.5 21.9 risultata in media pari a 41,8 t V34. Pomodoro del Vesuvio -1 5,689.7 120.5 47.2 ha . Si sono distinti per V35. Locale di Salina 6 Pomodoro di Ercolano 2,409.2 107.1 22.5 produttività la ‘Locale di V37. V38. Principe Borghese 4,625.2 111.6 41.4 Pollara’ (V41) con una resa di V41. Pollara 9,394.6 138.1 68.0 -1 oltre 90 t ha , ed i due tipi -1 provenienti da Montallegro (V9 e V10), con rese di circa 70 t ha . Tali rese appaiono, peraltro, comparabili a quelle accertate nel pomodoro da industria coltivato con il pieno soddisfacimento idrico, in prove condotte in Sicilia, sia in collina che in località costiera (Patanè e Cosentino, 2010). Dallo studio della relazione tra traspirazione fogliare a 67 DAT e resa finale, descritta da una funzione polinomiale di I grado, è emerso come al crescere del livello traspirativo la produzione tende ad aumentare (Fig. 2). Tuttavia, la elevata dispersione dei valori di resa in corrispondenza dei livelli traspirativi più alti (> 110 mg H2O m-2s-1) indica come a parità di acqua traspirata esiste una diversa efficienza tra i vari ecotipi e, pertanto, una diversa produzione. A tal proposito, considerando i valori della traspirazione a 67 DAT e la produzione totale di bacche, è stata calcolata l’efficienza di uso dell’acqua traspirata. Dai risultati ottenuti è emersa una elevata efficienza nella locale di Salina originaria della zona di Pollara (V41) e nei due ecotipi provenienti da Montallegro (V9 e V10). Per contro, di ridotta efficienza è risultata la locale 2 di Custonaci (V12) che, a fronte di alti livelli traspirativi, ha fornito una resa in bacche alquanto contenuta (20 t ha-1 circa) (Tab. 1). Conclusioni La diversa efficienza d’uso dell’acqua accertata tra i genotipi può rappresentare un valido strumento di discriminazione da utilizzare nei programmi di miglioramento genetico per la resistenza allo stress idrico nel pomodoro. Bibliografia Patanè C., Cosentino S.L. 2010. Effects of soil water deficit on yield and quality of processing tomato under a Mediterranean climate. Agric. Water Manage., 97:131-138. Patanè C. et al. 2009. Effetti dell’ambiente di coltivazione caldo-arido sul flusso traspirativi in pomodoro da industria. XXXVIII Convegno Nazionale della Società Italiana di Agronomia, Firenze, 21-23 Settembre, pp. 255-256. 152


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Effetto Residuo dell’Ammendamento del Terreno con Compost da Sansa e da Forsu sul Comportamento Fisiologico, Produttivo e Qualitativo della Patata Comune Alfonso Pentangelo, Francesco Raimo, Gaetano Pizzolongo, Maurizio Bilotto, Luigi Morra CRA- Unità di ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, alfonso.pentangelo@entecra.it

Introduzione La patata raccolta a completa maturazione fisiologica della pianta, da destinare al consumo fresco anche dopo conservazione (cosiddetta patata comune), rappresenta una delle orticole da pieno campo più importanti a livello nazionale (circa 50 mila ettari nel 2009 con oltre 13 milioni di t). La concimazione della patata, azotata soprattutto, assume un’importanza fondamentale sia per gli aspetti produttivi che qualitativi dei tuberi. Scopo principale di questo lavoro è quello di verificare gli effetti residui di alcuni ammendanti organici, utilizzati nell’anno precedente, sulla coltivazione della patata comune. Metodologia La prova, condotta a Scafati (SA) nel 2010, ha previsto il confronto fra 14 trattamenti di fertilizzazione replicati tre volte e derivanti dalla combinazione fattoriale di tre ammendanti impiegati in due dosi, 10 t ha-1 (D1) e 20 t ha-1 di sostanza secca (D2), integrati o meno da azoto minerale (N/2 e N0, rispettivamente) in dose pari alla metà di quanto distribuito nella tesi MIN; un controllo non fertilizzato (test NC) e un altro a concimazione minerale (MIN) hanno completato il set di trattamenti. Gli ammendanti impiegati sono stati: compost da Forsu (C1); compost da sansa ottenuto da compostaggio in cumulo statico di sansa olearia vergine, letame e paglia dopo 4 mesi di maturazione (C2); ammendante ottenuto per miscelazione e insacchettamento di sanse olearie umide, paglia e cascami di cotone (met. Matrefo) dopo 12 mesi di maturazione (C3). Tutti questi materiali sono stati distribuiti e interrati il 23 luglio 2009. La concimazione minerale, basata sulle dotazioni del terreno e sulle asportazioni della coltura, ha previsto il solo apporto di azoto (160 Kg ha-1), distribuito per il 50% in pre-“semina” (come solfato ammonico) e per la restante parte al momento della rincalzatura (come nitrato ammonico). Il suolo che ha ospitato la prova, è risultato mediamente fornito di azoto totale (1,3 g/Kg), con elevata dotazione di fosforo (230 mg/Kg di P2O5) e di potassio (430 mg/Kg di K2O), buon contenuto di sostanza organica (2,5%), C/N pari a 11 e reazione neutra. E’ stata utilizzata Adora, una delle varietà di patata più coltivata in Campania. I tuberi-seme (frazionati), sono stati piantati l’1 marzo, ad una densità di 6,25 parti di tubero/m2 su parcelle della dimensione di 16 m2. Alla raccolta, effettuata il 24 giugno (a 115 gg-“semina”), è stata determinata la produzione (totale e commerciale) e valutati i principali aspetti qualitativi dei tuberi. Risultati Come evidenziato in Tabella 1, l’apporto di appena 80 Kg ha-1 di N in tutte le tesi ammendate ha permesso alle piante di raggiungere l’80% circa di copertura del terreno già a 60 gg-“semina”, mentre a 90 giorni tutte le tesi ammendate senza integrazione di azoto non avevano ancora raggiunto la completa chiusura delle file; solo le piante delle tesi ammendate con C3 hanno mostrato a 90 giorni valori di copertura simili nelle parcelle integrate e non da azoto. Il maggior rilascio di azoto nel terreno trattato con C3 è coerente con il più alto rigoglio vegetativo e la maggiore suscettibilità agli attacchi parassitari. La produzione totale di tuberi ha evidenziato i valori significativamente più elevati (intorno a 41 t ha-1) in tutte le parcelle ammendate e integrate da azoto e nel test MIN mentre i valori più bassi sono stati forniti dal test NC e dalle tesi ammendate con C1 e C2 senza apporto di azoto (Fig. 1). Solo le parcelle ammendate con C3 (indipendentemente dalle due dosi) senza integrazione di azoto hanno fornito valori produttivi (36 t ha-1 in media) statisticamente non differenti dalle rispettive parcelle addizionate con 153


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azoto minerale. La frazione commerciale di tuberi (φ 45-75 mm) è risultata mediamente molto alta (>80%) e simile tra tutte le tesi. Il peso medio dei tuberi non è risultato molto differente fra le tesi a confronto, mentre il numero di tuberi per pianta è apparso positivamente influenzato solo dall’integrazione con azoto; i valori in assoluto più elevati (> di 7 tuberi/pianta) sono stati riscontrati nelle tesi ammendate con C3 ed integrate da azoto minerale. Il contenuto di sostanza secca dei tuberi, risultato mediamente elevato (19.3%), ha evidenziato un andamento inverso a quello produttivo; i valori statisticamente più elevati sono stati ottenuti nelle parcelle meno produttive, mentre quelli più bassi, ma comunque entro limiti qualitativi accettabili (intorno al 18%) nella tesi MIN e nelle due tesi ammendate con C3 e integrate con 80 Kg ha-1 di N minerale. Conclusioni L’effetto residuo dell‘ammendamento del terreno con compost da Forsu e da Sansa alla dose di 10 t ha-1 di sostanza secca integrate da 80 Kg ha-1 di N, ha permesso di ottenere soddisfacenti risultati produttivi e qualitativi su patata comune coltivata in successione ad una coltura estiva-autunnale di cavolfiore. Tuttavia, dopo il primo anno di ammendamento, soltanto l’ammendante Matrefo (C3) ha fatto ottenere soddisfacenti livelli produttivi ed ottima qualità dei tuberi anche senza alcun apporto di azoto minerale. Tabella 1. Comportamento delle piante durante il ciclo e principali caratteristiche dei tuberi alla raccolta Tesi a confronto

Dosi Compost Azoto t ha-1 Kg ha-1

Copertura terreno Rigoglio Stato fito- Tuberi/ Peso Sost. secca 60 gg90 gg- vegetativo sanitario pianta tuberi tuberi % % (1) (2) n° g % Test NC 42 d 75 bc 2.9 abc 4.4 abc 5.2 c 85.0 ns 20.2 a Test MIN 160 81 ab 100 a 4.1 abcde 3.7 bc 6.8 ab 92.2 17.6 d Compost da 10 0 47 d 82 b 3.1 fg 4.6 ab 5.1 c 89.9 20.4 a Forsu (C1) 10 80 76 ab 100 a 4.0 bcde 4.0 abc 6.3 98.5 18.5 bcd 20 0 50 d 83 b 3.5 ef 4.6 ab 5.7 bc 91.6 20.0 ab 20 80 74 abc 100 a 4.7 a 3.9 abc 6.8 ab 95.9 19.2 abc Compost da 10 0 43 d 70 c 2.8 g 4.8 a 5.2 c 81.0 20.5 a sansa (C2) 10 80 74 abc 100 a 4.2 abcde 4.2 abc 6.9 ab 95.8 19.4 abc 20 0 46 d 70 c 3.0 fg 4,6 ab 5.1 c 82.2 20.5 a 20 80 77 ab 100 a 4.3 abcd 4.1 abc 6.5 ab 99.2 19.1 abc Ammendante 10 0 62 bc 92 a 3.7 de 4.6 ab 6.4 90.0 19.4 abc “Matrefo” 10 80 84 a 100 a 4.4 abc 3.6 c 7.1 a 92.8 18.2 cd (C3) 20 0 72 bc 97 a 3.7 cde 3.6 c 6.1 94.1 18.5 bcd 20 80 88 a 100 a 4.7 a 3.7 c 7.3 a 93.3 18.3 cd (1) scala di valori compresa tra 1 (ridotto) e 5 (eccessivo); (2) scala di valori compresa tra 1 (pessimo) e 5 (ottimo)

t ha

-1

Figura 1. Produzione di tuberi distinta nelle tre principali classi di calibro 50 40 30 20 10 0

ab

ab bcd

cd

abcd

abc

a

d

a

abcd

a

abcd

a

d

> 75 mm 40-75 mm < 40 mm

D1N0 D1N/2 D2N0 D2N/2 NC

MIN

C1

D1N0 D1N/2 D2N0 D2N/2 C2

D1N0 D1N/2 D2N0 D2N/2 C3

I valori contrassegnati con le stesse lettere non differiscono statisticamente per P≤0,05 (SNK-test)

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Irrigazione in deficit su Amaranthus sp. Cataldo Pulvento, Maria Riccardi, Antonella Lavini, Riccardo d’Andria CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Napoli, IT, c.pulvento@isafom.cnr.it

Introduzione L’Amaranto (Amaranthus sp.) è una coltura antica proveniente dal centro-sud America, dove era coltivata già 5000-7000 anni fa dalle antiche civiltà degli Aztechi e degli Inca (Stallknecht e SchulzSchaeffer, 1993; Kauffmann and Weber 1990). I semi di Amaranto hanno un elevato contenuto di proteine (14-18%) e un profilo amminoacidico equilibrato. Sono eccellenti fonti di lisina, amminoacido essenziale limitante nella maggior parte dei cereali convenzionali come riso e mais. Il contenuto di lisina dei semi di Amaranto è circa il doppio rispetto a quello delle proteine del grano (Wue et al., 2000; Bressani 1994). Notevole è anche il contenuto di arginina e istidina che li rende interessanti per la nutrizione infantile (Berghofer and Schoenlechner, 2002). Negli ultimi 20 anni l’Amaranto ha catturato una attenzione sempre maggiore oltre che per l’elevato valore nutrizionale dei semi anche per la sua resistenza a stress biotici ed abiotici (Wue et al., 2000; Liu and Stützel, 2004). La scarsità idrica continua ad essere uno dei più gravi problemi ambientali a livello mondiale nel settore dell'agricoltura. L’amaranto grazie alla sua adattabilità ad ambienti diversi è considerato una coltura promettente per terreni marginali e regioni semiaride. L'obiettivo del presente studio è stato quello di valutare la risposta dell’Amaranto allo stress idrico in un ambiente del sud Italia. Metodologia Nel 2009, presso l’azienda sperimentale del CNR-ISAFoM in Vitulazio (CE) (14°50' E, 40°07' N; 25 m.s.l.m), è stata condotta una prova in pieno campo impiegando l’accessione di Amaranto A12. La prova è stata realizzata in parcelle di 36 m2, ripetute tre volte, con file distanziate 0,5 m ed impiegando una densità teorica di 200.000 piante per ettaro. Durante la stagione di crescita, in un disegno sperimentale a blocchi randomizzati, sono stati differenziati tre trattamenti irrigui con restituzione del 25, 50 e 100% dell’acqua necessaria a riportare a capacità idrica di campo lo strato di suolo esplorato dalle radici (A25, A50, A100). Durante la stagione di crescita, sono state monitorate le principali fasi fenologiche e alla raccolta sono stati effettuati rilievi sui principali parametri vegetativi oltre che sulla produzione in granella. Risultati e conclusioni L’Amaranto ha mostrato un ciclo vegetativo di 103 giorni più breve rispetto a quello riportato in letteratura (Mujica et al., 1997) a causa delle elevate temperature registrate durante le prime fasi di sviluppo vegetativo della pianta. Nell’ambiente di prova l’Amaranto ha ricevuto 4 irrigazioni differenziate durante il ciclo colturale alle quali si sono sommati circa 104 mm di piogge utili come illustrato in Tabella 1. Le irrigazioni sono cominciate ad inizio fioritura e si sono protratte fino al 3 agosto (DOY 215) ma non hanno prodotto differenze significative nei principali parametri vegeto-produttivi analizzati (Tabella 2). Tale risultato sembra suggerire una resistenza dell’accessione testata allo stress idrico indotto. Tabella 1. Volumi irrigui e piogge utili ricevuti da ciascun trattamento durante la stagione di crescita.

DOY1) Volumi irrigui 194 201 208

A100

A50 3

478 544 620

A25 -1

m ha 239 272 310

120 136 155 155


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215 704 Piogge utili > 5mm 1040 Total 3386 1) DOY= giorno giuliano

352 1040 2213

176 1040 1627

Tabella 2. Valori medi dei principali parametri biometrici e produttivi alla raccolta.

Parametro Altezza pianta Diametro pianta Indice di area fogliare Produzione in granella Peso secco dei 1000 semi

u.m. m mm t ha-1 g

valore 1.45 16.08 3.10 3.92 0.75

La ricerca è stata eseguita con il finanziamento del progetto UE SWP-MED (Sustainable Water Use Securing Food Production in Dry Areas of the Mediterranean Region) Bibliografia Berghofer. E.. Schoenlechner. R. 2002. Grain amaranth. In: Belton. P.. Taylor. J. (Eds.). Pseudocereals and Less Common Cereals. Springer. Berlin. Heidelberg. pp. 219–260. Bressani R. 1994. Composition and nutritional properties of amaranth. In: Amaranth: Biology. Chemistry and Technology (O. Pardes-Lopez. ed.) CRC Press. Boca Raton. FL. Kauffman C.S. e Weber L.E. 1990. Grain Amaranth. In: Janick. J. Simon. J.E. (Eds.). Advances in New Crops. Timber Press. Portland. OR. pp 127-139. Liu F. e Stützel H. 2004. Biomass partitioning. specific leaf area. and water use efficiency of vegetable amaranth (Amaranthus spp.) in response to drought stress. Scientia Horticulturae 102: 15–27. Mujica A. et al. 1997. El cultivo dell’Amaranto (Amaranthus spp.): production, mejoramiento genetico y utilizacion. FAO, UNA-Puno, CIP, Santiago. Stallknecht G.F. e Schulz-Schaeffer J.R. 1993. Amaranth rediscovered. In: Janick. J. Simon. J.E. (Eds.). New Crops. Wiley. New York. pp. 211–218. Wu H. et al. 2000. Field evaluation of an Amaranthus genetic resource collection in China. Genetic Resources and Crop Evolution 47: 43–53.

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Valutazione Bioagronomica e Resa in Seme in Camelina Sativa (L.) Crantz. E Brassica Spp. Salvatore Antonino Raccuia, Salvatore Scandurra, Maria Grazia Melilli CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, salvatore.raccuia@cnr.it

Introduzione Negli ultimi anni si è avuto un forte impulso per lo sviluppo del settore dei biocarburanti da impiegare in alternativa alla benzina e al diesel, sintetizzati a partire da fonti fossili. In Europa le ricerche sono state concentrate principalmente sul biodisel che, nelle principali aree agricole continentali, viene prodotto dall’olio di colza e di girasole. Da alcuni anni, l’Unità Operativa di Catania dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM) del CNR, ha focalizzato l’attenzione su alcune specie oleaginose alternative, da utilizzare per la produzione di olio da destinare alla sintesi di biodiesel in ambiente mediterraneo (Raccuia e Melilli, 2007; Raccuia e Melilli, 2010). In questa nota vengono riportati i risultati preliminari di ricerche condotte su due specie: Camelina sativa (L.) Crantz. e Brassica spp, al fine di valutare la potenzialità produttive delle specie per la produzione di seme da cui estrarre olio in ambiente mediterraneo. Metodologia Per raggiungere gli obiettivi connessi con l’attività di ricerca sono stati posti allo studio, una accessione di C. sativa (‘CS-1’), e due accessioni di Brassica spp, una spontanea (‘BS-1’) reperita in areale etneo e una varietà commerciale (‘CT180’) di Brassica carinata La prova è stata condotta a Cassibile (SR), adottando uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre repliche. Le semine sono state effettuate l’ultima decade di novembre 2009, utilizzando per una densità di semina pari a 200 semi m-2. La parcella elementare aveva una dimensione di 21 m2. Al terreno sono stati apportati 80 kg ha-1 di P2O5 e 150 kg ha-1 di K2O, prima della semina. Il controllo delle erbe infestanti è stato attuato con una scerbatura manuale. In copertura sono stati somministrati 90 kg ha-1 di N. La raccolta è stata eseguita manualmente, estirpando le piante dal terreno e lasciandole per qualche giorno in campo riunite in fasci. Successivamente si è provveduto alla trebbiatura manuale. Durante il ciclo biologico sono state rilevate le date dei principali eventi fenologici: emergenza, levata, inizio fioritura, maturazione lattea, cerosa, fisiologica e agronomica del seme. L’accessione di Camelina sativa è stata raccolta il 24 aprile 2010, le due accessioni di Brassica il 18 maggio 2010. Alla raccolta è stato determinato il numero di piante sull'unità di superficie ed è stata valutata la produzione di seme. Su 20 piante rappresentative di ogni parcella è stata rilevata la statura, l’altezza d’inserzione della prima ramificazione, il numero di ramificazioni fertili e sterili, il numero di silique e il peso del seme per pianta. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di Student - Newman – Keuls (Snedecor e Cochran, 1989). Risultati I valori medi relativi alle principali fasi fenologiche oggetto di rilevamento sono riportati in figura 1. Nella media delle accessioni, l'emergenza è avvenuta 13 giorni dalla semina, oscillando da un minimo di 6 (‘BS-1’) ad un massimo di 18 giorni dalla semina (‘CS-1’). La levata delle piante, nella media delle tre accessioni, è avvenuta dopo 76 giorni dalla semina. La ‘BS-1’ ha fatto registrare questa fase fenologica 22,5 giorni prima rispetto alla varietà commerciale ‘CT180’ e alla ‘CS-1’ La fase di fioritura è stata registrata a 99 giorni dalla semina, oscillando da un minimo di 86 (‘BS-1’) ad un massimo di 109 giorni (‘CT180’). La fase di maturazione cerosa è stata raggiunta, nella media delle accessioni allo studio, 141 giorni dalla semina. E’ da notare che nonostante la fase di fioritura sia avvenuta circa 20 giorni prima in ‘BS-1’ rispetto alle altre due accessioni, questa accessione ha impiegato 62 giorni dalla 157


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fioritura alla maturazione cerosa, contro i 36 giorni di ‘CT180’ e i 29 giorni di ‘CS-1’. La fase di maturazione fisiologica è stata rilevata a circa 160 giorni dalla semina per entrambe le accessioni di Brassica, mentre è avvenuta circa 10 giorni prima in ‘CS-1’. La maturazione agronomica della granella è stata pari a 160 giorni in ‘CS-1’, 173 giorni in ‘BS-1’ e 181 giorni in ‘CT180’.

Figura 1. Fasi fenologiche delle accessioni allo studio

Riguardo la caratterizzazione morfologica delle accessioni, la varietà commerciale BC-CT 180 si è statisticamente differenziata per la statura della pianta (190.4 cm) e per la produzione di seme per pianta (3.0 g pianta-1). L’accessione spontanea ‘BS-1’ si è distinta per l’altezza di inserzione della prima ramificazione (90 cm), parametro importante ai fini la raccolta meccanizzata, per il numero di ramificazioni fertili (13.4 n. pianta-1) e per l’assenza di ramificazioni sterili. Con riferimento alla resa in seme, pari nella media delle tre accessioni a 1.17 t ha-1, è oscillata da un minimo di 069 t ha-1 (‘CS-1’) ad un massimo di 160 in ‘CT180’ (Tab. 1) Tab. 1 Caratterizzazione morfologica e resa in seme delle accessioni allo studio. Lettere differenti all’interno della colonna indicano differenze significative a P< 0.05 Altezza inserzione I Ramificazioni Ramificazioni Peso Peso Resa Statura Silique Accessione ramificazione fertili Sterili silique seme seme cm n. pianta -1 g pianta-1 t ha-1 ‘CS-1’ 788 c 460 c 84 b 22 a 404 a 113 a 23 b 069 c ‘BS-1’ 1642 b 900 a 134 a 0b 548 a 94 a 23 b 123 b CT180 1904 a 648 b 88 b 04 b 103 b 48 b 30 a 160 a Medie 1445 669 10.2 09 3517 85 25 117

Conclusioni Dai primi risultati è emerso l’elevata potenzialità delle specie studiate a fornire seme per l’estrazione di olio in ambiente mediterraneo. Con riferimento alla resa in seme degna di nota la resa ottenuta in ‘BS-1’ (123 t ha-1), in quanto le produzioni ottenute sono da considerare molto promettenti considerato che non è stato condotto nessun lavoro di miglioramento genetico per incrementare la resa in seme. Si rendono comunque necessari ulteriori ricerche volte a determinare la concentrazione dell’olio nella granella e l’esatta caratterizzazione della frazione acidica dell’olio estratto. Bibliografia Raccuia S.A. e Melilli M.G. 2007. Biomass and grain oil yields in Cynara cardunculus L. genotypes grown in a Mediterranean environment. Field Crops Res., 101 (2): 187-197. Raccuia S.A. e Melilli M.G. 2010. Contenuto in olio nel seme di Cynara cardunculus L., Camelina sativa (L.) CRANTZ E Brassica carinata A. Braun.: Risultati preliminari. Atti VIII Convegno Nazionale sulla Biodiversità, 367-369. Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press (New York), 503.

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Valutazione Bioagronomica di Popolazioni di Lenticchia Coltivate nella Collina Interna Siciliana Salvatore Antonino Raccuia, Maria Grazia Melilli, Salvatore Scandurra CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, salvatore.raccuia@cnr.it

Introduzione La Sicilia dispone di un ampio panorama varietale di lenticchia (Lens culinaris Medik.). Negli ultimi anni a causa delle basse rese, degli alti costi della manodopera e della ridotta meccanizzazione delle fasi di raccolta, che ha reso questa coltura poco remunerativa, si è assistito ad una riduzione delle superfici investite, che risultano attualmente pari a 320 Ha, con una resa di 0.9 t ha-1 (Istat, 2009). Da diversi anni la U.O.S. di Catania dell’ISAFOM ha intrapreso un lavoro di collezione e valutazione bioagronomica e nutrizionale di diverse popolazioni di lenticchia reperite in tutta la Sicilia (Guarnaccia et al., 2006; Melilli e Raccuia, 2003; Melilli e Raccuia, 2005). In questa nota si riportano i risultati relativi ad un triennio di prove sperimentali, volte allo studio della risposta biologica ed agronomica di alcune popolazioni, coltivate in aree marginali della collina interna siciliana, al fine di disporre delle conoscenze necessarie per promuoverne la valorizzazione ed eventuale istituzione di marchi di Indicazione Geografica Tipica (IGT) o Protetta (IGP). Metodologia Nel triennio 2005-2008 in agro di Barrafranca ( EN, 37°22’n, 14°22’ E, 600 m s.l.m.) sono state messe a confronto 4 popolazioni siciliane di lenticchia e precisamente le accessioni “San Teodoro” (macrosperma), “Caltagirone”, “Linosa”, “Modica” (microsperma) (Barulina, 1930). Le semine sono state effettuate nel mese di Gennaio di ogni anno, secondo un piano sperimentale completamente randomizzato con tre repliche, con parcella elementare di 5mq. Alla semina sono stati somministrati 30 kg/ha di perfosfato minerale (18-20% P2O5). Le infestanti sono state controllate effettuando una scerbatura manuale nel mese di aprile di ogni anno. Le raccolte sono state effettuate nella prima decade di giugno di ogni anno. Durante il periodo della prova sono state registrate, le temperature minime e massime dell’aria e le precipitazioni, mediante apposita stazione meteorologica (Tab. 1). A fine ciclo su un congruo numero di piante per popolazione e replica agronomica sono stati rilevati: la statura della pianta, l’altezza di inserzione del primo baccello, il numero di baccelli per pianta, il numero di semi per pianta, il peso dei semi per pianta, il peso 1000 semi e la resa in granella. Sulla base di parte dei dati sopra descritti è stata calcolata la resa in legumi e semi per unità di superficie. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di Student-Newman–Keuls (Snedecor e Cochran, 1989). Tabella 3. Precipitazioni (mm) temperature massime e minime (°C) registrate in campo nel triennio 2006-2008 Anno 2006 2007 2008 Mese Gen Feb Mar Apr Mag Giu Gen Feb Mar Apr Mag Giu Gen Feb Mar Apr Mag Giu Piogge 110 71 30 19 1 48 0 32 134 31 2.4 19 26 15 58 37 18 38 T max 4.8 7.4 10.7 15.8 21.5 26.2 10.8 9.1 9.9 13 19.6 26.9 11.6 11.1 12.4 17.3 21.4 27.1 T min 1.3 2.5 4.7 8.6 13.6 17.5 5 3.9 4.3 7.7 11 18 5.6 4.5 5.8 9.2 12.4 17.3

Risultati Dall’analisi della varianza dei caratteri allo studio è emerso che, tranne per il parametro peso mille semi, il fattore “anno di coltivazione” ha rappresentato la maggiore fonte di variazione (Tab. 2). Nella media di tutti i fattori allo studio la statura della pianta è stata pari a 325 cm con l’altezza d’inserzione del primo baccello di 179 cm; nella media del triennio la popolazione ‘S. Teodoro’ con valori di 357 cm e 216 cm si è statisticamente differenziata dalle altre. I caratteri numero di nodi fertili, il numero di baccelli e il numero di semi per pianta sono risultati nella media del triennio e delle popolazioni rispettivamente pari a 23.1 – 52.5- e 72.4 n. pianta-1 (Tab. 3).

159


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 2. Analisi della varianza dei caratteri studiati e ripartizione della media dei quadrati dei trattamenti (MS espresso in valore assoluto e in % del totale Fonte di variazione

Statura pianta

Popolazione (P) VA % 29 4.2

VA 637

% 93.1

VA 18

% 2.6

Altezza primo baccello Nodi fertili Baccelli Semi Peso semi pianta

39 198 1119 1150 3.6

12.5 9.7 19.4 12.9 21.2

261 1730 4541 7416 11.5

83.7 84.5 78.7 82.9 67.6

12 120 112 379 1.9

3.8 5.9 1.9 4.2 11.2

Peso 1000 semi Resa in granella

1581 2.8

75.9 18.6

402 10.9

19.3 72.6

99 1.3

4.8 8.8

Carattere

Anno (A)

PXA

Il peso dei semi per pianta è risultato pari, nella media dei fattori allo studio, a 2.6 g, il peso mille semi pari a 34.7 g e la resa in granella 1.78 t ha-1 Nella media del triennio, la popolazione ‘San Teodoro’ ha mostrato una produzione di semi per pianta statisticamente più elevata rispetto alle tre microsperme, con un valore di 3.7 g di seme per pianta e una resa in granella paria a 2.29 t ha-1 (Tab. 3). Tabella3. Caratteri biometrici e produttivi delle popolazioni siciliane di lenticchia nella media del triennio e nella media delle popolazioni allo studio Altezza primo Peso 1000 Statura pianta Nodi fertili Baccelli Semi Peso semi pianta Resa Carattere baccello semi -1 (g) (t ha-1) (cm) n. pianta Popolazione ‘San Teodoro’ 35.7 21.6 20.4 45.8 59.5 3.7 58.8 2.29 ‘Caltagirone’ 31.3 17.0 16.9 36.6 57.4 1.9 29.7 1.16 ‘Linosa’ 32.1 16.0 25.1 65.5 87.2 2.1 23.3 1.73 ‘Modica’ 30.9 16.8 30.1 62.2 85.3 2.5 27.1 1.96 2.7 1.5 2.2 4.6 6.2 0.2 3.0 0.15 DMS P<0.01 Anno 2006 23.5 12.9 6.2 28.7 43.5 1.5 39.6 1.39 2007 41.3 24.1 32.0 76.3 104.2 3.9 38.0 1.95 2008 32.8 16.5 31.2 52.7 69.4 2.2 26.6 2.01 DMS P<0.01 Medie

2.3 32.5

1.3 17.9

1.9 23.1

3.9 52.5

5.4 72.4

0.2 2.6

2.6 34.7

0.5 1.78

Nella media delle popolazioni, il secondo anno di coltivazione sono stati rilevati valori statisticamente più elevati per i parametri statura della pianta (41.3 cm), altezza d’inserzione primo baccello (24.1 cm), numero di baccelli (76.3 n. pianta-1) e numero di semi (104.2 n. pianta-1) e peso semi (3.9g pianta-1). Le rese in granella, con un valore prossimo a 2 t ha-1, non sono risultate statisticamente differenti il secondo e terzo anno di coltivazione (Tab. 3). Conclusioni I risultati, indicano che il materiale presenta una buona adattabilità alle condizioni ambientali della collina interna siciliana e costituisce inoltre un ottimo prodotto di nicchia ad elevato valore aggiunto, che opportunamente tracciato ed etichettato, può fornire agli operatori del settore indicazioni utili per istituzione di marchi IGT o IGP. Inoltre il rilancio della coltura porterebbe notevoli vantaggi di tipo agronomico, in quanto la capacità azotofissatrice di questa leguminosa, posta in rotazione col frumento duro, la rendono una valida alternativa colturale, in grado di migliorare la fertilità chimico-fisica dei suoli di alcune aree interne siciliane. Bibliografia Guarnaccia P, et al. 2006. Caratterizzazione di popolazioni di lenticchia (Lens culinaris Medik.) collezionate in Sicilia. Italus Hortus, 13: 108-112 Istat, 2009. Statistiche dell’agricoltura, Roma http://www.istat.it Melilli MG, Raccuia SA, 2003. Caratterizzazione bioagronomica e qualità della granella in popolazioni siciliane di lenticchia. Atti del XXXV Convegno SIA. 65-66 Melilli MG, Raccuia SA, 2005. Impiego di parametri chimici e tecnologici per la selezione di nuove linee di lenticchia (Lens culinaris Medik.). Atti del XXXVI Convegno SIA: 392-393 160


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Diabrotica del Mais: Ruolo della Tecnica Colturale per il Contenimento dei Danni Amedeo Reyneri, Massimo Blandino, Francesco Amato, Giulio Testa Dip. di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Univ. Torino, IT, amedeo.reyneri@unito.it

Introduzione La diabrotica del mais (Diabrotica virgifera virgifera Le Conte) o verme delle radici (western corn rootworm) è un coleottero crisomelide di origine del Nord America che si è recentemente insediato in Europa. Dal 2002 si sono rilevate importanti attacchi, ma con conseguenze limitate ad alcune ridotte zone, mentre nel 2009 il crescente livello di infestazione ha provocato danni ingenti in ampi areali della Lombardia e del Piemonte (Boriani, 2009). In casi di forti infestazioni questo insetto causa per opera delle larve la parziale distruzione dell’apparato radicale e l’allettamento delle piante, per opera degli adulti la distruzione delle sete e dei tessuti fogliari nonché dell’erosione delle cariossidi apicali. Tuttavia, considerando areali omogenei si riscontano danni molto diversificati da campo a campo. Ciò segnala che il sistema produttivo e la tecnica colturale possono esercitare un ruolo importante nel contenere o meno lo sviluppo delle popolazioni (Boriani et al., 2006). Scopo di questa ricerca è di indagare il ruolo della tecnica colturale sulla diabrotica del mais per individuare gli strumenti di lotta preventiva (indiretta) o diretta più efficaci nel contesto dei sistema maidicolo nazionale. Metodologia Nella campagna maidicola 2009 sono stati visitati 121 campi di mais, riferibili a 94 aziende situate nelle principali areali delle province di Alessandria, Novara, Vercelli, Torino e Cuneo. Per ogni campo in più aree di saggio sono stati valutati i danni all’apparato radicale (danno alle radici utilizzando la Node Injury Scale - NIS, secondo il modello proposto da Oleson et al. 2005, la percentuale di piante ginocchiate o allettate) e alla parte epigea (danni causati dagli adulti alle foglie, alle sete fiorali e alle cariossidi) correlando i risultati con le pratiche agronomiche (avvicendamento, ibrido, lavorazioni del suolo, fertilizzazione, difesa) dell’anno e del quinquennio precedente. Su 29 campi sono stati effettuati i rilievi sulle produzioni in rapporto al danno radicale, raccogliendo manualmente le spighe su aree di saggio di 16 m2 confrontando aree del campo colpite con altrettante aree testimone esenti da danni. Risultati Considerando le pratiche di lotta preventiva agronomica, i danni più consistenti alle radici (NIS) e quindi di allettamento, si sono riscontrate nei casi di omosuccessione, rispetto alla rotazione con altre colture (+35%), risultando significativamente superiore nelle condizioni in cui il mais è in monosuccessione da 3 o più anni. Contribuiscono a ridurre significativamente il danno radicale e l’incidenza di piante ginocchiate e allettate l’aratura autunnale rispetto a quella primaverile, l’adozione di semine tempestive (entro il 15 aprile) rispetto a semine più tardive e l’impiego di concimazione organiche rispetto alle concimazioni minerali. Riguardo ai metodi di lotta diretta, gli interventi con geoinsetticidi alla semina o con le lavorazioni dell’interfila hanno significativamente ridotto (-34%) i danni alle radici, sebbene spesso i dosaggi siano stati impostati considerando la sola difesa contro gli elateridi. I trattamenti insetticidi con piretroidi nell’estate precedente hanno contenuto i danni radicali, anche se nella maggior parte dei casi questi siano stati impostati per controllare la seconda generazione di piralide (Ostrinia nubilalis Hübner) e quindi effettuati in epoca non ottimale per controllare gli adulti di diabrotica. Il trattamento adulticida con piretroidi non ha però consentito una riduzione dell’erosione delle sete e delle foglie, in quanto è stato in genere effettuato a fioritura completata. Il danno all’apparato radicale e l’incidenza di allettamento sono stati quindi correlati con la riduzione della resa produttiva, confrontando all’interno dello stesso appezzamento le produzioni nelle aree di saggio colpite dall’insetto con quelle che non portavano segni di attacco. Riduzioni di produzione di granella significative si sono incontrate con valori di attacco della scala NIS superiori a 2.0 e assumono 161


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un peso più rilevante con valori superiore a 2.5, quando le riduzioni delle rese possono superare il 50%. Il calo di resa è risultato essere più grave, a parità di danno radicale, negli appezzamenti in asciutta rispetto a quelli irrigui e negli appezzamenti con interfila non lavorato rispetto a quelli rincalzati, che hanno favorito l’emissione di radici avventizie e un miglior recupero della pianta danneggiata. Tabella 1. Effetto di alcuni aspetti di tecnica colturale sul danno radicale (NIS), sulla percentuale di piante ginocchiate o allettate e sulla perdita produttiva in granella.

Tecnica colturale

NIS

Piante ginocchiate (%)

Precessione colturale: avvicendamento 0.6* 6.6** omosuccessione 1.2* 10.9** Epoca di semina: 15 marzo – 14 aprile 1.0 8.8 12.2 15 aprile – 15 maggio 1.2 Concimazione organica: no 1.2 10.9 si 0.9 8.6 Irrigazione: no 1.1 10.1 9.7 si 1.0 Geodisinfestante: no 1.3* 10.9* 6.9* si 0.5* Trattamento insetticida nell’anno precedente: no 1.1* 10.2 7.0 si 0.6*

Piante allettate (%)

Perdita produttiva (%)

0.2** 3.8**

n.d. n.d.

1.9* 4.5*

27.5 29.8

4.0 1.5

39.2** 14.5**

3.5 2.3

32.2* 20.5*

3.8** 0.4**

34.6** 12.0**

3.2** 0.1**

n.d. n.d.

Differenze statisticamente significative * p<0.05, ** p<0.01. nd = non determinato. I dati riportati si riferiscono alla media di 57 campi aziendali.

Conclusioni L’indagine ha posto in evidenza l’estrema pericolosità degli attacchi portati alla coltura del mais dalla diabrotica. Peraltro, la tecnica colturale può significativamente frenare la crescita della popolazione larvale: a parte l’atteso effetto favorevole dell’avvicendamento su un insetto essenzialmente monofago, sono stati rilevati vantaggi chiari dall’anticipo del ciclo colturale, dalla riduzione degli stress idrici e nutrizionali e dall’adozione della difesa, in primo luogo del seme. A questo proposito l’impossibilità di applicare insetticidi in concia ha probabilmente aumentato l’esposizione della coltura al danno radicale (Agosti et al., 2009). Bibliografia Agosti M. et al. 2009. Efficacia dei concianti su danni radicali da diabrotica. Inf. Agr., 44:16-19. Boriani M. et al. 2006. Sustainable management of the western corn rootworm, Diabrotica virgifera virgifera LeConte (Coleoptera: Chrysomelidae), in infested area: experiences in Italy, Hungary and the USA. Bullettin OEPP/EPPO 36:531537. Boriani M. 2009. Diabrotica: risultati 2008 della presenza in Italia. Inf. Agr., 5, 44-47. Oleson D.J. et al. 2005. Node-Injury Scale to Evaluate Root Injury by Corn Rootworms (Coleopteran: Chrysomelidae). J. Econ. Entom., 98(1):1-8.

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Risposta Quantitativa dell’Olivo alla Disponibilità Idrica Maria Riccardi1, Francesca De Lorenzi1, Massimo Menenti2 1

CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Napoli, IT, m.riccardi@isafom.cnr.it and f.delorenzi@isafom.cnr.it 2 Delft University of Technology, Delft, NL, M.Menenti@tudelft.nl

Introduzione Esiste una notevole quantità di informazioni riguardo alla risposta produttiva di un gran numero di cultivar di olivo allo stress idrico. La resistenza alla siccità dell’olivo può essere valutata in termini qualitativi come alta, media o bassa, sulla base dei dati FAO (2006). Allo scopo di individuare le cultivar più adatte in funzione delle caratteristiche pedo-climatiche è necessario tradurre in termini quantitativi tali indicazioni qualitative. Scopo del presente lavoro è quello di definire delle soglie di deficit idrico per differenti cultivar di olivo utilizzando i risultati di sperimentazioni condotte in pieno campo su oliveti maturi. Metodologia La risposta all’irrigazione in deficit di 7 cultivar di olivo (Frantoio, Leccino, Kalamata, Ascolana tenera, Nocellara del Belice, Itrana, Maiatica) è stata valutata tramite i dati raccolti nell’azienda sperimentale del CNR-ISAFoM sita in località Piano Cappelle - Benevento (41°06’N, 14°43’E; ad una altezza di 250 m s.l.m.). L’oliveto in esame era caratterizzato da un sesto di impianto 6 m x 3 m e da una densità di 555 piante per ettaro (d’Andria et al., 2004; d’Andria et al., 2007; Tognetti et al., 2006). L’impianto è stato realizzato nel 1992 con piante di un anno di età. I dati sperimentali presi in considerazione per la valutazione della soglia di deficit sono quelli relativi agli anni dal 2003 al 2007. Tale scelta è scaturita dal voler considerare oliveti maturi (circa 12 anni) in fase di piena produzione. Il suolo del centro sperimentale è di tipo argillo-sabbioso, caratterizzato da un contenuto volumetrico di acqua del 35.6% a capacità di campo e del 21.2% al punto di appassimento. Nella prova sperimentale sono stati posti a confronto un trattamento non irrigato e tesi che restituivano una frazione differente dell’evapotraspirazione potenziale (66 e 100% di ETp, calcolata da ET di evaporimetro di classe A e da coefficienti colturali). Le irrigazioni differenziate si sono protratte dall’inizio dell’indurimento del nocciolo fino alla raccolta. La risposta al deficit è stata valutata analizzando le variazioni di produzione relativa Yr (rapporto percentuale tra la produzione ottenuta in ciascun trattamento e la produzione della tesi irrigata a pieno soddisfacimento - 100% di ETp) in funzione del valore di 1-p, il deficit idrico relativo, dove p è la frazione della riserva idrica utile nello strato di suolo esplorato dalle radici. Risultati e conclusioni In Figura 1 sono riportati i valori di soglia del deficit idrico relativo, individuati per ciascuna cultivar nell’ambiente di prova durante gli anni dal 2003 al 2007. Il valore di soglia è il livello di deficit idrico relativo (1-p) al di sopra del quale la produzione relativa diminuisce in maniera apprezzabile. I valori di soglia sono stati ricavati con un procedimento di ottimizzazione, scegliendo per il set di dati relativo ad ogni cultivar le due rette che minimizzano lo scarto quadratico medio tra Yr stimato e misurato.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Figura 1. Individuazione della soglia di deficit idrico, (1-p) per le 7 cultivar di olivo, nella prova sperimentale condotta dal CNR-ISAFoM presso l’azienda sperimentale di Piano Cappelle (BN) durante gli anni 2003-2007.

70 50

Yr Kalamata (%)

90

90

90

Yr Leccino (%)

Yr Frantoio (%)

110

110

110

70

70

50

50

30

30

30

10 0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p 110

90

90

90 Yr Itrana (%)

Yr Nocellara (%)

110

Yr Ascolana (%)

110

70

70

50

50

30

30

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p

50 30 10

10

10

70

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p

110 Yr Maiatica (%)

90

Cultivar (1 - p)* Frantoio 0,34 Leccino 0,31 Kalamata 0,50 Ascolana 0,53 Nocellara 0.51 Itrana 0,49 Maiatica 0,47

70 50 30 10 0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1-p

Dalla Figura 1 si evince che le cultivar che risultano più resistenti allo stress idrico, nell’ambiente di prova, in quanto presentano valori più elevati della soglia di deficit sono Ascolana e Nocellara, le meno resistenti sono Leccino e Frantoio. Ringraziamenti Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto “Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici – AGROSCENARI”. Si ringraziano il Dott. Riccardo d’Andria, la Dott.ssa Antonella Lavini e il Dott. Giovanni Morelli oltre che il personale dell’azienda sperimentale del CNR-ISAFoM di Benevento per la raccolta dei dati e la messa a disposizione degli stessi. Bibliografia D’Andria R., Lavini A., Morelli G., Patumi M., Terenziani S., Calandrelli D., Fragnito F. 2004. Effect of water regimes on five pickling and double aptitude olive cultivars (Olea europaea L.). Journal of horticultural Science & Biotechnology, 79:18-25. D’Andria R., et al. 2007. Long-term yield and physiological responses of olive tree (Olea europaea L., cv. Frantoio and Leccino) to deficit irrigation. Submitted to Plant Biosystem. FAO (2006). FAO Olive Germplasm Database. [online] URL: Tognetti R. et al. 2006. The effect of deficit irrigation on crop yield and vegetative development of Olea europaea L. (cvs. Frantoio and Leccino) Europ. J. Agronomy, 25: 356–364.

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Risposta Vegeto-produttiva di Chenopodium quinoa Willd. Sottoposta a Regime Irriguo Deficitario Maria Riccardi, Cataldo Pulvento, Antonella Lavini, Davide Calandrelli, Giovanni Romano, Angela Balsamo CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Napoli, IT, c.pulvento@isafom.cnr.it

Introduzione Chenopodium quinoa Willd. è una specie nativa del Sud America, è coltivata nella regione andina da migliaia di anni (Jacobsen, 1997). I semi di quinoa sono consumati sotto forma di pane, zuppe, biscotti, bevande, ecc. Essi sono caratterizzati da un alto contenuto di proteine (14,6%) di buona qualità in quanto ricche di aminoacidi essenziali, una vasta gamma di vitamine (A, B2, E) e minerali (Ca, Fe, Cu, Mg, Zn) (Repo-Carrasco et al., 2001). La quinoa è considerata una delle colture alimentari più resistenti alla siccità, alle gelate, alla salinità dei suoli, alle malattie e ai parassiti (Jacobsen e Mujica, 2001; Mujica et al., 2001). Grazie alle sua elevata qualità nutrizionale, al suo adattamento a condizioni difficili, è considerata una coltura alternativa di potenziale introduzione in Europa (Jacobsen, 1997). Lo scopo del presente lavoro è quello di verificare l'adattabilità della quinoa in un ambiente mediterraneo del Sud Italia e valutare la risposta vegeto-produttiva della specie in condizioni di deficit idrico. La piena irrigazione per incrementare la resa non è un'opzione plausibile in regioni con limitata disponibilità idrica, ma una irrigazione in deficit potrebbe essere una soluzione. Metodologia La prova in pieno campo è stata realizzata nel 2009 presso il centro sperimentale del CNR-ISAFoM sitao in Vitulazio (CE) (14°50' E, 40°07' N; 25 m.s.l.m), caratterizzato da un suolo di tessitura argillolimosa, con l’1.31% di materia organica, il 2.51% di CaCO3, lo 0.18 ‰ di N, pH 7.6, con una densità apparente di 1.28 (t m-3), un contenuto idrico in volume (m m-3) alla capacità di campo del 39.43% (0.03 MPa) e al punto di appassimento del 21.7% (-1.15 MPa). E’ stato testato un genotipo di quinoa, Q52, fornito dal prof. Sven Erik Jacobsen dell'Università di Copenhagen in parcelle di 36 m2, ripetute tre volte, con file distanziate 0.5 m fino a raggiungere una densità teorica di 200,000 piante per ettaro. La semina è stata effettuata il 20 Maggio, in ritardo rispetto all’epoca ottimale per la coltura nell’ambiente di prova, a causa delle numerose ed abbondanti piogge che si sono verificate nei primi mesi dell’anno. Durante la stagione di crescita le piante hanno ricevuto una irrigazione in deficit con restituzione del 25% dell’acqua necessaria a riportare la porzione di suolo esplorata dalle radici a capacità idrica di campo. L’irrigazione è stata effettuata settimanalmente a partire dalla fase di inizio fioritura ed il volume irriguo è stato computato attraverso rilievi gravimetrici effettuati 24 ore prima di ciascun adacquamento, considerando una profondità di 0-0.36 m lungo il profilo di suolo. Il volume irriguo stagionale è stato di 466 m3 ha-1. Durante la stagione di crescita, sono state monitorate le principali fasi fenologiche e a scadenza bisettimanale, sono stati effettuati rilievi sui principali parametri vegetativi. La produzione in granella è stata determinata al momento della raccolta. Risultati Nel 2009 sono state registrate numerose e abbondanti piogge da marzo a maggio che hanno ritardato le operazioni colturali necessarie per la preparazione del letto di semina (Fig.1). Le temperature minime e massime durante il ciclo colturale sono state superiori alle medie poliennali nella seconda e terza decade di maggio, nella seconda decade di giugno così che l’umidità del suolo si è mantenuta vicina al punto di appassimento durante la stagione di crescita. Nell’ultima decade di Giugno 108 mm di pioggia hanno però consentito lo sviluppo vegetativo delle giovani piantine.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Semina

Fioritura Maturità

2009

'76-'09

'76-'09

Temperature (°C)

6

4

2

24

89

12

47

5

0

0 Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Sett

Precipitazioni (mm)

2009

ET0 (mm)

131

36

8

Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Sett

Figura 1. Andamento di alcuni parametri climatici nell’anno di prova (2009) rispetto alla media poliennale di anni 36 anni. Sono riportate le temperature minime e massime, le precipitazioni e l’evapotraspirazione potenziale ET0. Sono inoltre indicate le principali fasi fenologiche.

Il genotipo testato nell’ambiente di prova ha manifestato un ciclo vegetativo di 96 giorni in accordo con i risultati ottenuti in una precedente prova con lo stesso genotipo nel medesimo ambiente (Pulvento et al., 2010). La produzione è stata di 2.5 t ha-1 con un peso dei 1000 semi di 2.14 g. La produzione registrata è più elevata di quella ottenuta da Casini e Proietti (2002) in una prova in pieno campo condotta in centro Italia (0.2 – 2.3 t ha-1). L’indice di raccolta ha raggiunto un valore del 44%. Conclusioni I risultati ottenuti suggeriscono che il genotipo testato potrebbe essere coltivato con successo nell’ambiente considerato anche se maggiori sperimentazioni per la ricerca di genotipi migliori dovrebbero essere effettuate. Bibliografia Casini P., Proietti C. 2002. Morphological characterisation and production of Quinoa genotypes (Chenopodium quinoa Willd.) in the Mediterranean environment. Agricoltura Mediterranea 132: 15-26. Jacobsen S. E. 1997. Adaptation of quinoa (Chenopodium quinoa) to Northern European agriculture: studies on developmental pattern. Euphytica 96: 41–48. Jacobsen S. E., Mujica A. 2001. Quinua: cultivo con resistencia a la sequı´a y otros factores adversos. In: Jacobsen S. E., Mujica A., Portillo Z. (Eds.), Memorias, Primer Taller Internacional sobre Quinua-Recursos Geneticos y Sistemas de Produccio´n. CIP, UNALM, Lima, Peru, 10–14 May 1999, 175–180. Pulvento C., et al. 2010. Field Trial Evaluation of Two Chenopodium quinoa Genotypes Grown Under Rain-Fed Conditions in a Typical Mediterranean Environment in South Italy. J. Agronomy and Crop Science in press, doi:10.1111/j.1439-037X.2010.00431.x. Repo-Carrasco R., et al. 2001. Valor nutricional y usos de la quinua y la kan˜iwa. In: Jacobsen S. E., Mujica A., Portillo Z. (Eds.), Memorias, Primer Taller Internacional sobre Quinua-Recursos Geneticos y Sistemas de Produccio´n, 10–14 May 1999, UNALM, Lima, Peru. CIP, 391–400.

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Produzione di Giallo Cartamo in una Selezione di Carthamus tinctorius L. var. inermis nel Centro Italia Roberto Ruggeri, Francesco Rossini, Salvatore Del Puglia, Carlo F. Cereti Dip. di Produzione Vegetale, Univ. degli Studi della Tuscia - Viterbo, IT, r.ruggeri@unitus.it

Introduzione Il cartamo (Carthamus tinctorius L.) è una composita coltivata soprattutto per il suo achenio, usato per l’estrazione dell’olio e come becchime per gli uccelli. Ma le utilizzazioni di questa pianta sono molteplici: i fiori vengono utilizzati in medicina e per l’estrazione di coloranti alimentari e industriali, mentre la pianta intera, alla comparsa dei bottoni fiorali, può essere utilizzata come foraggio. Questa grande versatilità di utilizzo unita alla sua adattabilità ai climi aridi, rendono il cartamo una coltura particolarmente interessante per i sistemi colturali in regime idrico naturale dell’areale Mediterraneo. Le corolle essiccati di questa specie sono utilizzati da centinaia di anni dalla medicina tradizionale asiatica e i pigmenti gialli e rossi estratti dalle corolle sono tutt’ora impiegati dall’industria farmaceutica, cosmetica, e per la preparazione di vernici e colori per la pittura (Akihisa et al., 1994; Kulkarni et al., 1997). Inoltre, a causa delle restrizioni ai pigmenti sintetici come coloranti alimentari, vi è stato e vi sarà ancora di più nel futuro un crescente interesse per i pigmenti naturali nella preparazione di cibi e bevande (Gao et al., 2000; Meselhy et al., 1993; Rudometova et al., 2001). Diversi studi hanno indagato la struttura e le proprietà dei coloranti presenti nei petali del cartamo (Meselhy et al., op. cit.; Kanehira et al., 1990), ma solo poche ricerche sono state condotte riguardo all’influenza delle pratiche agronomiche sulla produzione di coloranti (Kizil et al., 2008). Questo studio mira a valutare la risposta della pianta a quattro livelli di concimazione azotata in copertura (N = 0, 35, 70 e 105 kg ha-1) e al taglio per un’eventuale utilizzazione foraggera. Metodologia La sperimentazione si è svolta a Viterbo (42° 26’ N, 12° 04’ E, altitudine 310 m s.l.m.) su un andosuolo con un’elevata componente argillosa. Sono stati rilevati alcuni dati biometrici e produttivi di una selezione di cartamo inerme in risposta a 4 livelli di concimazione azotata: N0 = 0 kg ha-1 (fertilità residua del terreno), N1 = 35 kg ha-1, N2 = 70 kg ha-1, N3 = 105 kg ha-1). Alla comparsa dei bottoni fiorali, sono state falciate le piante sulla metà di ogni parcella per valutarne la produzione di biomassa tal quale e sostanza secca (in stufa a 80 °C per 48 h) ai fini dell’utilizzazione foraggera. Al momento del taglio le piante avevano un contenuto medio di sostanza secca del 16% circa. Le altre piante, al contario, sono state lasciate indisturbate fino alla maturazione fisiologica degli acheni. Sono stati campionati i capolini in piena fioritura delle piante non sfalciate e quelli dei ricacci, al fine di determinare l’eventuale differenza nell’accumulo di coloranti per i due trattamenti (taglio e non taglio). In laboratorio, per la determinazione della concentrazione di giallo cartamo nelle corolle si è utilizzata la polvere di petali e il metodo ufficiale della FAO (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives, 1998). Tutti i dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) secondo uno schema a parcella suddivisa o a blocco randomizzato con tre repliche. Risultati In figura 1 è illustrata la produzione di giallo cartamo per unità di superficie nelle piante non sfalciate e nei ricacci di quelle sfalciate. E’ evidente la riduzione della produzione (- 76% circa), dovuta ad una contrazione sensibile di tutte le componenti della resa, quando le piante vengono falciate per un’eventuale utilizzazione foraggera. 167


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Per quanto riguarda l’influenza della concimazione azotata in copertura sulla concentrazione di giallo cartamo nelle corolle, solamente le piante non sfalciate hanno evidenziato significatività statistica per i diversi livelli di fertilizzazione (figura 2). La migliore concimazione in copertura sembra essere quella che apporta modeste quantità di azoto (5070 kg ha-1) di azoto, visto che la dose di 105 kg ha-1 determina un incremento quasi nullo della concentrazione di colorante (0.004%).

Figura 1. Produzione di giallo cartamo nei ricacci di piante sfalciate prima della fioritura e in piante non sfalciate (le diverse lettere maiuscole indicano differenze significative per P≤0.01).

Figura 2. Contenuto medio di giallo cartamo (%) nelle corolle al variare della concimazione azotata (gli istogrammi contrassegnati dalle stesse lettere, non sono significativamente differenti per P≤0.05).

Conclusioni Dai risultati ottenuti in questo studio si può innanzitutto rilevare che il tentativo di abbinare la produzione foraggera con quella di coloranti è difficilmente realizzabile nella coltivazione del cartamo. Infatti, se la pianta viene sfalciata per l’utilizzazione foraggera, tutte le componenti che determinano la resa in giallo cartamo subiscono una riduzione più o meno marcata. Comunque, con una modesta concimazione azotata in copertura, il cartamo può fornire una buona resa in coloranti senza influire sulla produzione di seme. Bibliografia Akihisa T, Oinnma H & Tamura T 1994. Erythro-hentriacontane-6,8-dilo and 11 other alkane-6,8-dilos from Carthamus tinctorius L. Phytochemistry, 36: 105–108. Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA), 1998. Food and Nutrition Paper (FNP) 52, Compendium addendum, 6: 37. Gao W.Y., 2000. Yellow and red pigment production by cell cultures of Carthamus tinctorius in a bioreactor. Plant Cell, Tissue and Organ Culture, 60: 95-100. Kanehira et al. 1990. Decomposition of carthamin in aqueous solution: influence of temperature, pH, light, buffer systems, external gas phases, metal ions and certain chemicals. Z. Lebensm. Unters. Forsch, 190: 299-305. Kizil S. et al. 2008. A comprehensive study on safflower (Carthamus tinctorius L.) in semi-arid conditions. Biotechnol. & Biotechnol. Eq.: 947-953. Kulkarni D.N. et al. 1997. Extraction and uses of natural pigments from safflower florets. Fourth International Safflower Conference. Bari, Italy: 365-367. Meselhy M.R. et al. 1993. Two new quinochalcone yellow pigments from carthamus tinctorius and Ca2+ antagonistic activity of tinctormine. Chem. Pharm. Bull., 41: 1796-1802. Rudometova et al. 2001. Method of isolation and identification of carthamin from safflower. Application’s perspectives in Russian food products. Fifth International Safflower Conference. Williston, N.D., U.S.A.: 23-27.

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Valutazione della Capacità Fitoestrattiva di Carthamus tinctorius L. Allevato in Vaso Claudia Ruta, Gennaro Brunetti, Daniela Cassano, Giuseppe De Mastro, Irene MoroneFortunato Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università Aldo Moro - Bari, Via Amendola, 165/A c.ruta@agr.uniba.it. Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale, Università Aldo Moro – Bari, Via Amendola, 165/A

Introduzione La phytoremediation può essere considerata una pratica agricola che impiega le piante per il contenimento, la degradazione o l'estrazione di xenobiotici da acque o suoli ed ha come unica finalità il risanamento dei siti inquinati. Al fine di aggiungere alla valenza ambientale della phytoremediation una valenza più direttamente produttiva, l’obiettivo di questa ricerca è quello di studiare le potenzialità fitoestrattive di Carthamus tinctorius L., specie che può essere fonte di materie prime ad utilizzo energetico. Metodologia Il terreno utilizzato per questa prova in vaso è stato prelevato da un sito inquinato dell’Alta Murgia, nella stessa zona è stato prelevato terreno agricolo non inquinato utilizzato come testimone. Entrambi i suoli sono stati sottoposti a caratterizzazione fisico-chimica secondo i metodi analitici ufficiali (Ministero delle Politiche Agricole, 1999) e alla determinazione del contenuto in metalli pesanti mediante spettrofotometro ad emissione ottica di plasma “ICP-OES”. Da quest’ultima è emerso che il terreno inquinato conteneva piombo in quantità maggiori dei limiti ammissibili per l’Italia (D.L. n. 152 del 2006), ma inferiori dei limiti ammissibili per l’Europa (86/278/EEC del 12 giugno 1986), mentre Rame, Cromo e Zinco raggiungevano valori superiori ai massimi ammissibili sia in Italia che in Europa. In particolare il Cromo era presente in concentrazione maggiore di 10 volte il limite ammissibile in Italia. Semi di cartamo della varietà “Montola 2000” e dell’ibrido di provenienza americana IB9049 sono stati seminati in vasi da 2 litri, 3 per ciascuna tesi, e disposti su bancali, secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati; ogni vaso conteneva 3 piante. Le piante sono state allevate dalla primavera all’estate (semina inizio aprile- raccolta metà luglio) per un periodo di 100 giorni all’aperto sotto copertura. I vasi sono stati irrigati con acqua distillata subito dopo il trapianto fino a saturazione, successivamente due volte alla settimana nel corso dei primi 30 giorni, e ogni due giorni fino alla fine del ciclo di allevamento. Alla fine della prova le piante sono state raccolte integralmente, lavate per eliminare i residui terrosi, e sottoposte ai relativi rilievi morfologici. Le stesse, inoltre, suddivise nelle diverse frazioni, sono state essiccate in stufa a 60°C per 3 giorni. I campioni così ottenuti sono stati successivamente analizzati per verificare il contenuto in metalli pesanti mediante uno spettrometro di emissione ottica a plasma indotto (ICP -OES Thermo Electron Modello ICAP 3000). Per la valutazione del potenziale di fitoestrazione è stato calcolato il fattore di traslocazione (TF= (Cbiomassa epigea/Cpianta) x 100) (Ekvall e Greger, 2003). Risultati La fase di raccolta è stata realizzata in coincidenza con i primi sintomi di senescenza (disseccamento dei fusti, delle foglie e dei capolini). Relativamente ai caratteri morfologici presi in esame (tab.1), l’ibrido IB9049 denota una tendenza al maggiore accrescimento delle piante allevate su terreno inquinato, anche se statisticamente non significativa. Stesso comportamento si riscontra per la varietà Montola 2000; in questo caso, inoltre, le tesi allevate sul suolo inquinato da metalli pesanti producono biomassa, sia epigea che ipogea, in quantitativi significativamente più elevati.

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C. tinctorius var. Montola 2000

C. tinctorius IB9049

Tabella 1. Parametri morfologici rilevati su piante di Cartamo allevate in vaso su terreno inquinato e non, a 100 giorni dalla semina

terreno

h (cm)

foglie (n)

bocci p.f. epigeo p.f. radici p.s. epigeo p.s.radici (n) (g) (g) (g) (g)

test

23,56

14,02b

0,99

1,01

0,06

0,94

0,05

inq

27,32

16,16a

1,72

2,48

0,17

2,32

0,15

test

22,31b

15,57

1,00

1,13b

0,06b

1,05b

0,06b

inq

28,17a

14,69

1,95

2,03a

0,18a

1,90a

0,10a

Differenze significative (P≤0.05) sono indicate da differenti lettere per l'ibrido o per la varietà di cartamo

Tabella 2. Fattori di traslocazione calcolati per il cartamo in vaso metalli

TF% (Cbiomassa epigea/Cpianta) Varietà Ibrido

Cr

70,12 a 36,51 b

Cu

74,80

64,69

Pb

44,13

51,72

Zn

87,90

80,23

Differenze significative (P≤0.05) sono indicate da differenti lettere in ogni riga per ogni metallo pesante

La lettura con ICP-OES ha misurato le concentrazioni di metalli pesanti nei tessuti delle piante di cartamo della varietà Montola 2000 e dell’ibrido IB9049. Quantità significative di Cr, Cu e Zn si riscontrano nei tessuti vegetali della varietà, che dimostra una maggiore suscettibilità all’assunzione di metalli pesanti. Solo per il Pb non vi sono differenze significative tra le tesi di cartamo in prova. I valori dal coefficiente di traslocazione, misura della capacità di dislocazione dei metalli nella biomassa epigea rispetto all’intera pianta (tab. 2), mettono in evidenza l’elevata capacità di traslocazione del cartamo. Infatti, non solo i metalli più mobili, Zn e Cu, si trovano in percentuali superiori al 60% nella zona epigea, ma anche i meno mobili, Cr e Pb, vengono trasferiti alla parte aerea della pianta in quantità considerevoli tali da raggiungere anche valori del 70% per il Cr nella varietà. Figura 1. Confronto tra la varietà e l'ibrido di cartamo sulla capacità di assorbimento dei metalli pesanti in vaso Differenze significative (P≤0.05) sono indicate da differenti lettere per ogni metallo pesante

Conclusioni In questa ricerca si è voluta effettuare una valutazione del comportamento fitoestrattivo di una varietà (Montola 2000) e un ibrido americano (IB9049) di cartamo, mediante una prova in vaso. I risultati ottenuti mostrano che questa specie può ritenersi valida nei processi di fitoestrazione di metalli pesanti, in particolare per la buona attitudine ad assorbire zinco e per l’alto fattore di traslocazione. Bibliografia Commissione della Comunità Europea , 1986. Council Directive 86/278/EEC of 12 June 1986 on the protection of the environment, and in particular of the soil, when sewage sludge is used in agriculture. Official Journal L 181 , 04/07/1986. 6- 12. Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale" Parte IV – Titolo V –Bonifica dei siti contaminati. Suppl. Ord. Gazz. Uff. n.88 del 14/04/2006. Ekvall, L. Greger, M., 2003. Effects of environmental biomass-producing factors on Cd uptake in two Swedish ecotypes of Pinus sylvestris, Environ. Pollut. 121, 401–411. Kumar, P.B.A.N et al. 1995. Phytoextraction: the use of plants to remove heavy metals from soils. Environ. Sci. Technol. 29: 1232-1238. Lasat, M.M. 2000. The use of plants for the removal of toxic metals from contaminated soil. American Association for the Advancement of Science, Environmental Science and Engineering Fellow. Ministero per le Politiche Agricole, 1999. Metodi ufficiali di analisi del suolo. Decreto Ministeriale 13 settembre 1999. Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo (Gazz. Uff. Suppl. Ordin. N°248 del 21/10/1999. 170


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Potenzialità Produttiva di Genotipi di Sorgo da Biomassa in Ambiente Caldo Arido Mediterraneo Alessandro Attilio Saita, Giovanni Scalici, Salvatore Luciano Cosentino, Paolo Guarnaccia DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania IT alessandro.saita@tiscali.it

Introduzione Fra le colture in grado di contribuire in ambiente semi arido mediterraneo alla produzione di biocarburanti e alla riduzione delle emissioni di CO2 il sorgo zuccherino desta interesse per la produzione di bioetanolo di prima e seconda generazione, in quanto in grado di svilupparsi e crescere anche in condizioni di deficit idrico del terreno, grazie ad alcune peculiari caratteristiche morfologiche e fisiologiche (Foti et al., 1996; Cosentino, 1996). Nell’ambito di numerose ricerche è stato dimostrato la necessità di individuare numerosi genotipi adatti all’ambiente caldo arido mediterraneo (Cosentino et al., 1997a, 1997b; Patanè et al. 1997). In quest’ottica è stata condotta una ricerca sostenuta dal MiPAF con il progetto “Filiere agro energetiche nel Sud Italia” (F.A.E.S.I), con l’obbiettivo di caratterizzare nuovi genotipi di sorgo zuccherino e da fibra di varia provenienza. Metodologia La prova è stata condotta nell’anno 2008 in agro di Catania, presso l’azienda della Facoltà di Agraria dell’Università posta in contrada Primosole, in un terreno di medio impasto, tendenzialmente argilloso e dotato di buona capacità di ritenzione idrica. Sono stati posti allo studio 25 genotipi di sorgo a differente destinazione produttiva: da fibra e da zucchero, (tab. 1). Per la prova è stato adottato uno schema sperimentale a blocchi randomizzati replicati 3 volte. La semina è stata eseguita in data 15/04/2008, a fila continua (con successivo diradamento) ad una profondità di 20 mm circa, con un’interfila distante 0,50 m e 0,16 m sulla fila, valori che lasciano sufficiente spazio per effettuare eventuali interventi di sarchiatura. L’investimento unitario è stato di 12 piante m2 sia per le varietà da zucchero che per quelle da fibra; la dimensione della parcella elementare è stata di 12 m2 (3 m x 4 m). In questa prova sono stati somministrati, alla semina 60 kg ha-1 di N sotto forma di solfato ammonico (21%) e 100 kg ha-1 P2O5 sotto forma di perfosfato semplice (19%); in copertura sono stati somministrati 40 kg ha-1 di N sotto forma di nitrato ammonico (34%). Alla raccolta, effettuata su una parcella utile di 3,85 m2, è stata determinata la biomassa totale epigea fresca e secca ( foglie, fusto e panicolo); quest’ultima, mediante essiccamento in stufa a 105°C sino al raggiungimento del peso costante. Il tenore in zuccheri è stato misurato attraverso l’impiego del rifrattometro ottico MR-90ATC. Tabella 1. Genotipi allo studio Genotipo ABZ S ABZ 23 Makueni Local 06 Makueni Local 05 M81-E Soave Rio H 132

Provenienza A.Biotec (ITA) A.Biotec (ITA) ICRISAT (INDIA) ICRISAT (INDIA) Mississippi (USA) Texas (USA) Mississippi (USA) Syngenta (ITA)

Genotipo Keller Cowley Wray Roce Theis Tracy ABF 14 H 952

Provenienza Mississippi (USA) Texas (USA) Mississippi (USA) Texas (USA) Mississippi (USA) Mississippi (USA) A.Biotec (ITA) Syngenta (ITA)

Genotipo Brandes 90-5-2 MN 1500 IS 21055 ABF 306 ABF 26 CC 270 CC 261 C 101

Provenienza Mississippi (USA) Selez. Univ. Piacenza Minnesota (USA) ICRISAT (INDIA) A.Biotec (ITA) A.Biotec (ITA) ICRISAT (INDIA) ICRISAT (INDIA) ICRISAT (INDIA)

Risultati L’altezza delle piante è stata significativamente influenzata dal genotipo (tab.2). Tra i genotipi si sono distinti la cv. Sorgo 90-5-2 e la Makueni Local 05, che hanno fatto registrare i valori più elevati 171


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dell’altezza pianta (≥ 330 cm). Per contro il valore inferiore (≤ 184 cm) è stato corrisposto dalle cv. Theis, Roce e Rio. Nella media dei genotipi l’altezza è stata di 273.7 cm. La concentrazione degli zuccheri nei genotipi di sorgo studiati ha mostrato valori più elevati dell’indice di rifrazione in Roce e Keller, (rispettivamente 20.6 e Tab. 2 – Altezza, biomassa fresca e secca epigea, zuccheri totali nei genotipi 19.7 °Brix), mentre più allo studio contenuto è risultato il tenore in Biomassa zuccheri in ABF 306 e ABF Genotipo Altezza fresca secca Indice rifrattometrico 26, (nell’ordine 12.9 e 13.5 (cm) (t ha-1) (gradi Brix) gradi brix). La media di tutti i Makueni Local 06 315,2 139,38 32,34 18,2 genotipi allo studio si è Makueni Local 05 329,8 132,12 36,40 19,1 attestata intorno a 16.3 gradi C 101 318,5 132,00 29,94 15,8 brix. (tab. 2). La produzione di ABF 14 259,4 126,00 31,52 15,1 biomassa totale epigea fresca Keller 299,3 123,20 31,93 19,7 nei genotipi allo studio si è 90-5-2 349,7 110,96 35,49 14,7 attestata, in media, intorno a M81-E 321,3 110,73 26,16 18,0 88.4 t ha-1, mentre la quantità di ABZ S 290,8 109,60 24,20 16,9 biomassa secca è stata di 24.7 t ABF 306 292,4 105,60 29,35 12,9 Tracy 292,2 103,87 28,26 15,7 ha-1 (tab. 2). Tra i genotipi si CC 261 325,5 101,33 34,84 15,2 sono distinti la cv. Makueni ABF 26 281,2 101,20 30,58 13,5 Local 06, 05 e la C 101, che IS 21055 307,5 94,53 26,85 15,1 hanno fatto registrare i valori H 132 284,3 89,68 33,03 13,7 più elevati della biomassa CC 270 307,7 86,22 36,08 14,2 totale fresca, (139.9 t ha-1, ABZ 23 268,3 83,50 19,30 15,8 -1 -1 132.1 t ha e 132.0 t ha MN 1500-2 279,1 83,40 21,98 16,6 rispettivamente). Le produzioni H 952 260,4 75,61 23,70 17,1 di biomassa totale secca più Wray 260,2 59,18 15,17 16,8 alte si sono riscontrate nelle cv. Soave 202,5 53,60 13,80 14,5 Makueni Local 05 e CC 270, Cowley 233,8 49,40 13,87 16,8 (rispettivamente 36.4 e 36.08 t Brandes 207,2 46,83 15,12 19,5 -1 ha ). Roce 186,9 33,53 9,51 20,6 Rio

185,9

30,48

8,62

15,5

Theis 183,6 29,08 8,55 17,5 Conclusioni media 273,7 88,44 24,66 16,34 I risultati di questa ricerca hanno confermato la buona capacità produttiva del sorgo, da fibra, da granella e zuccherino, come coltura da biomassa per energia nell’ambiente mediterraneo. L’ampia variabilità riscontrata tra i genotipi allo studio, in rapporto alle caratteristiche biologiche e fisiologiche, è stata indagata allo scopo di individuare i meccanismi che consentono un migliore adattamento all’ambiente mediterraneo. L’accumulo della biomassa secca totale della pianta, infatti, si è differenziato in rapporto ai genotipi.

Bibliografia Cosentino S. 1996. Crop Physiology of sweet Sorghum “First European Seminar on Sorghum”. Tolosa, 1-3 Aprile, 228-235. Cosentino S. et al. 1997a. Sweet sorghum (Sorghum bicolor (L.) Moench) performance in relation to soil water deficit in the south of Italy. Proceeding of "First Intern. sweet sorghum conference", Beijing, China, 14-19 September, 430-443. Cosentino S. et al. 1997b. Comparison of different sweet sorghum (Sorghum bicolor (L.) Moench) genotypes in mediterranean environment. Proceeding of "First International sweet sorghum conference", Beijing, China, 14-19 September, 444-455. Foti S., et al. 1996. Growth and yield of C4 species for biomass production in mediterranean environment. “9th European Bioenergy Conf. & 1st Energy from Biomass Technology Exhibition”. Copenaghen, 24-27 June, 612-621. Patanè C. et al. 1997. Yield potential evaluation of sweet sorghum (Sorghum bicolor (L.) Moench) genotypes in the Mediterranean environment of the South of Italy. Proceeding of "First International sweet sorghum conference", Beijing, China, 14-19 September,352-362.

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Valutazione della Capacità Germinativa dei Semi di Galatella linosyris (L.) Rchb. f. subsp. linosyris Enrico Scarici, Francesco Rossini Dip. di Produzione Vegetale, Univ. della Tuscia, IT, scarici@unitus.it

Introduzione Galatella linosyris (L.) Rchb. f. subsp. linosyris [Syn.: Aster linosyris (L.) Bernh.] è una emicriptofita scaposa, della famiglia delle Asteraceae (Figura 1). Il fusto glabro o poco peloso, generalmente indiviso, può raggiungere i 30-50 cm; le foglie lanceolato-lineari (0.1-0.15 x 3.5-6 cm) sono per lo più addensate alla base dei fusti: le inferiori erettopatenti, le superiori da erette a riflesse. I capolini formati da soli fiori tubulosi (fino a 25), di colore giallo, sono riuniti in corimbi contratti terminali ai fusti; fiori con tubo di 6 mm e 5 lacinie di 3 mm; stimmi sporgenti di 4 mm. Il frutto è un achenio lungo circa 3 mm, provvisto di pappo brunastro di peli sinuosi. E’ elemento EurimediterraneoSudsiberiano (Sub-Pontico), con baricentro orientale in Italia. L’habitat di pertinenza è costituito dai prati aridi di tipo steppico, soprattutto su argille, anche subsalse, dal livello del mare al piano montano inferiore Figura 1. Galatella linosyris (Pignatti, 1982). Il suo areale italiano comprende tutte le regioni s.s. in antesi peninsulari; è assente nelle isole (Conti et al., 2005; 2006). L’adattamento della pianta a suoli “difficili”, unitamente al valore ornamentale delle sue fioriture, rende molto interessante il suo impiego in interventi di valorizzazione estetico-paesaggistico di aree manomesse. Metodologia Gli acheni sono stati raccolti nell’ultima decade di novembre – prima decade di dicembre 2009, da un popolamento rinvenuto nell’Alto Lazio (Bomarzo), su un prato arido di versante calanchivo. Nei due mesi successivi sono state avviate le prove di germinazione in ambiente controllato. E’ stato eseguito un trattamento antimicotico prima dell’inizio del test immergendo gli acheni in una soluzione di ipoclorito di sodio al 2% per 5 minuti. Tale trattamento alla ben nota azione fungicida assomma quella ossidante nei riguardi di sostanze che inibiscono la germinazione, eventualmente contenute nei tegumenti seminali (Bacchetta et al., 2006). Gli acheni, 25 per ciascuna delle 4 repliche, sono stati collocati in capsule Petri (ø 100 mm) su 3 strati di carta da filtro saturata con acqua deioinizzata. Le capsule, sigillate con parafilm sono state incubate, poi, in camera termostatica. Sono stati saggiati 3 livelli termici (15, 20 e 25 °C ± 1 °C), al buio e con fotoperiodo di 12/12h (luce bianca emessa da neon fluorescenti PHILIPS THL 20W/33, PAR di 80 µmol m-2s-1). Il controllo della prova è stato eseguito quotidianamente fino al 30° giorno: il seme è stato considerato germinato quando i tegumenti seminali sono apparsi perforati dalla radichetta e quest’ultima aveva raggiunto la lunghezza di almeno 2 mm (Côme, 1970). Di ciascun test sono stati determinati la percentuale di semi germinati, il ritardo e la velocità di germinazione e costruita la curva cumulativa di germinazione. E’ stato inoltre determinato il peso di mille semi. I dati relativi alla germinabilità sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). Risultati In base ai dati ricavati, la germinazione è risultata influenzata significativamente dalla temperatura: il valore più elevato (75.50%) è stato raggiunto a 20 °C; alle altre temperature di prova il valore percentuale dei semi germinati non è risultato significativamente diverso e, comunque, superiore al 50% (Figura 2). Non sono stati riscontrati effetti significativi dovuti al fotoperiodo e all’interazione di quest’ultimo con la temperatura. Passando ad analizzare il ritardo di germinazione, i valori più elevati 173


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sono stati riscontrati a 15 °C e precisamente 6 giorni nella prova condotta con fotoperiodo di 12/12 h e 7 giorni in quella al buio, valori inferiori sono stati rilevati, invece, alle altre temperature mentre il TM50 è stato compreso tra 5 e 10 giorni (Tabella 1). Il peso di 1000 semi (g) è pari a 2.86 ± 0.21.

Figura 2. Germinazione rilevata alle tre temperature di prova (lettere diverse indicano differenze significative per P< 0.05)

Tabella 1. Valori rilevati alle 3 temperature di prova al buio e con fotoperiodo di 12/12h

Germinazione (%) Ritardo di germinazione (gg) TM50 (gg)

15 °C buio

15 °C 12/12h

20 °C buio

20 °C 12/12h

25 °C buio

25 °C 12/12h

51.60

62.50

75.00

76.60

53.30

58.33

7

6

3

3

3

3

10

8

6

5

8

6

Conclusioni La sperimentazione ha fornito alcune interessanti informazioni sull’ecologia germinativa di Galatella linosyris s.s., utili per uno studio successivo, che tenga conto anche di una valutazione in campo; il tutto nella prospettiva di un auspicabile impiego della specie in interventi di valorizzazione e riqualificazione estetico paesaggistica di aree manomesse. Bibliografia Bacchetta et al. 2006. Manuale per la raccolta, studio, conservazione e gestione ex situ del germoplasma Manuali e Linee Guida 37/2006 APAT, 37: 1-224. Côme D. 1970. Les obstacles à la germination. Ed. Masson, Paris. Conti et al. 2005. An Annotated Checklist of Italian Vascular Flora. Conti et al. 2006. Integrazioni alla checklist della flora vascolare italiana. Natura Vicentina, 10: 5-74. Pignatti S. 1982. Flora d’Italia, 3: 18-19.

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Effetti della Riduzione degli Input Colturali nella Coltura di Camelina sativa in Ambiente Mediterraneo Orazio Sortino, Mauro Dipasquale, Salvatore Luciano Cosentino, Rosario Boncoraglio Dipartimento di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) – Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia, 5 - 95123 Catania: o.sortino@tiscali.it

Introduzione Lo sfruttamento indiscriminato delle fonti tradizionali di energia come i combustibili fossili, non può più rappresentare la risposta al forte incremento del fabbisogno mondiale. Negli ultimi anni gli obbiettivi della ricerca sono stati rivolti allo studio di specie oleaginose ad elevata produttività con ridotta richiesta di input agronomici. Oltre all’uso energetico, tali produzioni trovano largo impiego in una vasta gamma di applicazioni industriali. Tra le varie specie che possono essere coltivate nel Sud Italia, per la produzione di oli vegetali, la Camelina sativa è una oleaginosa il cui pieno potenziale non è stato ancora esplorato (Zubr and Matthaus 2002, Sortino O., et al., 2009). Scopo di questo lavoro è stato quello di studiare gli effetti su Camelina sativa della riduzione degli input agronomici sulle produzioni nell’ottica di una maggiore sostenibilità economica ed ambientale. Materiali e metodi Le prove sono state condotte in un biennio (2007-09), nel territorio di Ispica (RG), sito nella Sicilia Sud-Orientale), su di un terreno di medio impasto. Ponendo allo studio la varietà “Calena” di Camelina sativa coltivata in semina autunnale, sono stati confrontati, in uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni e parcelle di 200 m2 (m 10 x 20), due differenti livelli di input: basso (T1) e alto (T2) (Tab.1). Tabella 1. Caratterizzazione dei due livelli di input applicati

BASSO INPUT (T1)

ALTO INPUT (T2)

Operazioni colturali pre-semina

Erpicatura

Aratura (30 cm) + erpicatura

Controllo erbe infestanti

Sarchiatura con motozappa sull’interfila (invernale)

Metazaelor (Butisan-s 1250 g ha-1 in pre-emergenza)

Concimazione in pre-semina (kg ha-1)

N32; P2O5 40; K2O 35.

N 46; P2O5 80; K2O 70.

La semina è stata effettuata il 13-11-2007 ed il 10-11-2008, su file distanti 20 cm con un investimento unitario di circa 400 semi per m2. I concimi fosfatici e potassici sono stati apportati interamente poco prima delle semine. L’azoto, invece, è stato distribuito in 2 frazioni, in fase di presemina ed in copertura all’inizio della levata, utilizzando la metodica proposta dal Cetiom (1998) per il colza, “Reglette Azote”, calcolandola sulla base del peso delle piante a fine inverno e della resa obiettivo. In relazione ai valori medi di biomassa delle aree di saggio (3 per replica) ottenute a fine febbraio, è stata determinata la dose di azoto ponendo una resa obiettivo di 1.8 - 2.2 t ha-1. Nei due anni in media sono stati somministrati, 32 e 46 Kg ha-1 di N rispettivamente nelle tesi T1 e T2. Durante il ciclo biologico, oltre al decorso termo-pluviometrico, sono stati oggetto di rilievo i principali dati fenologici (emergenza, fioritura e maturazione fisiologica), caratteristiche biometriche (statura delle piante), parametri produttivi (resa in granella, olio e residui colturali) e qualitativi (peso 1000 semi e contenuto in olio con il metodo Soxhlet). I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza e, in caso di significatività, è stato adottato il metodo di separazione delle medie di Student-Newman-Keuls (SNK). 175


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Risultati e discussioni L’andamento termopluviometrico registrato nel periodo di prova è risultato nella media dell’ambiente, tipico mediterraneo con piovosità maggiore al II anno e conseguente allungamento della durata del ciclo biologico; tale parametro è risultato nella media degli anni e dei trattamenti pari a 195 giorni con un intervallo più breve di 10 giorni nella tesi T1. La statura delle piante rilevata in prossimità della fase di maturazione e variata in funzione sia del fattore “anno” mostrando valori maggiori al II anno dovuti alla maggiore disponibilità idrica, che in funzione del fattore “input” con valori maggiori nella tesi T2 (Fig. 1). Il peso 1000 semi è risultato influenzato dall’incremento degli input con un valore nella media degli anni più alto di circa il 17% nella tesi T2 rispetto alla tesi T1. L’ applicazione dei bassi input ha comportato inoltre una riduzione del contenuto in olio del seme; tale parametro è risultato influenzato anche dal fattore anno (43,3% al I anno e 41,6% al II) mostrando un comportamento opposto della resa in granella. Dall’analisi della varianza delle rese in granella, in olio e dei residui colturali non sono state evidenziate interazioni tra il fattore “input” e il fattore “anno di coltivazione” (tab. 2). In entrambi gli anni, è stata evidenziata una produttività in granella significativamente maggiore nella tesi T2 (circa il 10%); tale resa è risultata in media maggiore al II anno. La resa in olio è risultata influenzata esclusivamente dal livello di input con produzioni più alte di circa il 14% nella tesi T2. I residui colturali hanno seguito lo stesso andamento della resa in Figura 1. Statura, e caratteristiche granella con una produzione nella media dei trattamenti del seme negli anni e nei -1 maggiore al 2° anno (2.0 e 1.8 t ha ) e nella media degli anni significativamente maggiore con l’aumento degli input (4.83 e 5.15 t ha-1). Tabella 2. Produzione in seme, olio e residui colturali in rapporto ai fattori sperimentali Resa in seme (t ha-1) 2007-08 2008-09 media

Resa in olio (t ha-1) 2007-08 2008-09 media

Residui colturali (t ha-1) 2007-08 2008-09 media

T1

1.73

1.90

1.82 b

0.73

0.78

0.75 b

4.63

5.03

4.83 b

T2

1.89

2.10

2.00 a

0.84

0.89

0.87 a

4.90

5.40

5.15 a

media

1.81 b

2.00 a

0.78

0.83

4.77 b

5.22 a

Conclusioni L’influenza degli input agronomici è risultata evidente in entrambe le annate agrarie, anche se i risultati relativi alla coltivazione condotta a bassi input si sono rivelati comunque soddisfacenti, come già riscontrato in altri studi. La presente ricerca ha permesso di ottenere indicazioni utili in merito alla possibilità di utilizzare questa coltura in un contesto di agricoltura ecosostenibile; tuttavia ulteriori approfondimenti saranno necessari per individuare l’itinerario tecnico più idoneo. Bibliografia Zubr J. and Matthaus B. 2002. Effects of growth conditions on fatty acids and tocopherols in Camelina Sativa oil. Indust. Crops Prod. 15: 155-162. Sortino O., et al. 2009. Valutazione di specie oleaginose autunno-vernine in Sicilia. Atti XXXVIII Convegno SIA, Firenze, 21-23 Settembre 267-268. 176


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Risposta alla Riduzione degli Input Colturali in Ricinus communis in Coltura Poliennale per la Produzione di Olio in Sicilia Orazio Sortino 1, Salvatore L. Cosentino1, Mauro Dipasquale1, Marco. Doz1, Elio Di Lella2. 1

Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Università di Catania, Italia – Via Valdisavoia, 5 – 95123 Catania, Italia; Tel: 095 234411, e-mail: o.sortino@unict.it. 2 Presidente e amministratore delegato Ecoil srl

Introduzione Il rinnovato interesse nei confronti del ricino (Ricinus communis) è dovuto al crescente bisogno mondiale di oli vegetali per la trasformazione in biodiesel, in sostituzione ai carburanti derivanti da fonti fossili. Come è già stato evidenziato in numerose ricerche, questa specie, in ambiente mediterraneo può essere validamente coltivata come coltura intercalare primaverile-estiva (Sarno et al., 1993; Patanè et al., 1995; Laureti e Marras, 1995; Laureti, 2002). Obiettivo di questo lavoro è stato quello di studiare, nel primo biennio di coltivazione, la risposta produttiva di una linea di Ricinus communis, selezionata dal DACPA da popolazioni spontanee, coltivandola in ciclo poliannuale e facendo riferimento a due tecniche di conduzione che prevedono un’alta applicazione di input al primo anno (simile a quella utilizzata per il ricino annuale), e una bassa applicazione di input fin dall’inizio della sperimentazione. Materiali e metodi Le prove sono state condotte in un biennio (2007-08), nel territorio di Ispica (RG), sito nella Sicilia Sud-Orientale. In uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni sono state poste allo studio l’applicazione di una tecnica colturale a bassi input (T0), con irrigazione esclusivamente alla semina e l’applicazione al I anno di una tecnica colturale convenzionale (T1), conforme a quella utilizzata nella coltura del ricino annuale (irrigazione alla semina e dall’emergenza alla maturazione del racemo principale; concimazione alla semina con 80 kg ha -1 N, 80 kg ha-1 di P2O5, 60 kg ha-1 di K2O). La semina è stata effettuata manualmente il 1/6/2007 realizzando un sesto di impianto di m 2x2. I rilievi effettuati al primo ed al secondo anno dall’impianto hanno riguardato i principali dati meteorologici, la statura delle piante, la produzione di biomassa, la resa in granella riferita al 10% di umidità, il peso 1000 semi ed il contenuto in olio dei semi (metodo Soxhlet). Risultati e discussioni Dall’analisi dei dati meteorologici del biennio emerge come al I anno in primavera si sono avuti circa 200 mm di pioggia utili all’insediamento della coltura, mentre al II anno le precipitazioni sono risultate concentrate nei mesi invernali; le temperature registrate al II anno sono risultate inoltre più alte di quelle rilevate al I anno. La statura delle piante è risultata essere influenzata dalla tecnica colturale utilizzata: è variata infatti tra 114 cm (T0) e 221 cm (T1) al I anno e tra 186 cm (T0) e 273 cm (T1) al II anno (tab. 1). La produzione di biomassa è aumentata coi maggiori livelli di input, raggiungendo alla fine del II anno valori di circa 7 e 15 t ha-1 (rispettivamente per T0 e T1). Tabella 1. Statura delle piante e produzione della biomassa epigea totale nei trattamenti e negli anni allo studio

T0 2007 2008 media Statura piante (cm) 114 b 186 b 150 Biomassa secca (t ha -1) 2,6 b 7 b 4,8 caratteri

T1 2007 2008 media 221 a 273 a 247 6,3 a 15 a 10,7 177


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La tesi T1 nei due anni ha fornito una resa in granella significativamente superiore rispetto alla tesi T0 (4 e 3 t ha-1 rispettivamente ); con produzioni superiori al II anno per entrambe le tesi (Fig. 1). Passando dal I al II anno ad un incremento della resa in seme, è corrisposta una generale riduzione del peso 1000 semi e del contenuto percentuale in olio. Con riferimento al fattore input, la loro riduzione ha comportato in entrambi gli anni una riduzione del peso 1000 semi (312 vs. 346 g) e del contenuto in olio (43 vs. 47%). Figura 1. Caratteristiche produttive rilevate nel biennio di prova T0

T1

La resa in olio ha seguito lo stesso comportamento della resa in granella incrementando notevolmente passando dal I al II anno. É stato osservato inoltre, come il ricino coltivato a ciclo poliennale, in quasi totale assenza di input, sia riuscito a fornire nel biennio delle buone produzioni pari al 75% circa di quella ottenuta con una tecnica colturale “convenzionale”. Conclusioni La possibilità di reintrodurre il ricino negli ordinamenti colturali mediterranei richiede la conoscenza e la sperimentazione di nuove tecniche colturali che possano minimizzare i costi e l’impatto sull’ambiente. Le rese di questa nuova selezione di ricino, coltivata in ciclo poliennale, sono decisamente promettenti. Da questa prima sperimentazione, riferita ai primi due anni di coltivazione in ciclo poliennale, il ricino sembrerebbe in grado di realizzare delle buone produzioni sia in seme che in olio, anche con una riduzione degli input agronomici. Bibliografia Patanè C. et al. 1995. Caratteristiche biologiche e produttive del ricino in relazione a differenti epoche di semina. L’Informatore Agrario, 46, Supplemento:9-11; Sarno R. et al. 1993. Bioagronomical and qualitative evaluation of same castor (Ricinus communis L.) varieties in the sicilian hilly inland. Atti del “Second European Symposium on industrial Crops and Products” 322-24 novembre, Pisa, Italy. Laureti D., Marras G. 1995. Irrigation of castor (Ricinus communis L.) in Italy. Eur. J. Agron., 4: 229-235; Laureti D. 2002. Fabbisogni idrici del ricino (Ricinus communis L.) mediante l’impiego di coefficienti colturali e di deficit idrico. Agroindustria, 1: 165-167.

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Effetti della Potatura sulle Produzioni di Ricinus communis allevato in coltura poliennale nella Sicilia Sud- Orientale Orazio Sortino, Mauro Dipasquale, Loredana Daparo, Maria Adriana Criscione Dipartimento di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) – Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia, 5 - 95123 Catania: o.sortino@tiscali.it

Introduzione Il Ricinus communis L. è un oleaginosa con considerevole rappresentatività nello scenario economico mondiale (Silva et al., 2007). Recenti ricerche dimostrano come questa specie possieda un elevato valore strategico in virtù delle vaste applicazioni industriali sia della biomassa per la produzione di energia, sia della granella per la produzione di olio da destinare alla produzione di biodiesel, plastiche, fibre sintetiche, tinture, vernici e cosmetici (Freire et al., 2007). La sua versatilità si deve alla struttura chimica dell’acido ricinoleico (INTERNATIONAL CASTOR OIL ASSOCIATION – ICOA, 2008). I risultati di queste ricerche rivestono notevole importanza in considerazione dell’ampia diffusione di tale specie allo stato spontaneo in molte aree meridionali indice di notevole adattabilità all’ambiente mediterraneo, caratteristica propedeutica per una sua possibile messa in coltura anche in aree marginali. In questo lavoro si riportano i risultati di una ricerca volta a studiare gli effetti di due forme di allevamento: accrescimento naturale (A1) e capitozzatura annuale degli arbusti (A2) di un genotipo selezionato in Sicilia di ricino come coltura energetica poliennale. Materiali e metodi Le prove sono state condotte in agro di Ispica (RG), località ricadente nella Sicilia Sud-Orientale (36° 49’ Lat. N, 14° 57’ Long. E, 280 m s.l.m.). In un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con tre repliche, sono stati posti allo studio, in una linea di ricino selezionato da genotipi spontanei della Sicilia Sud-Orientale per la coltivazione poliennale, gli effetti di due sistemi di allevamento: taglio della biomassa epigea a 50 cm dal colletto in autunno dopo l’ultima raccolta allo scopo di simulare la raccolta meccanica (A2) e testimone ad accrescimento indefinito (A1). La semina è stata realizzata manualmente il 15/06/2007 su parcelle elementari di 100 m2 (10 x 10 m) con un investimento di 0,25 piante per m2 (sesto di impianto 2 x 2 m). Prima dell’impianto, il terreno è stato lavorato e concimato con 60 kg ha-1 di N, 100 kg ha-1 di P2O5, e 60 kg ha-1 di K2O. La coltura è stata irrigata esclusivamente nei primi 20 giorni dopo la semina. Oltre ai principali parametri meteorologici (temperature minime, massime e precipitazioni) registrati per mezzo della stazione elettronica CR-10, sulla parcella utile (escluse le file di bordo e le piante di ciascuna estremità della fila), su un campione di 10 piante rappresentative sono stati determinati la lunghezza dei racemi, il numero di racemi per pianta, il numero di capsule per racemo e la produzione di seme. Sono stati inoltre rilevati il peso mille semi e il contenuto percentuale in olio; infine è stata calcolata la resa in seme ed in olio. Risultati e discussioni Con riferimento agli effetti del sistema di allevamento sulle caratteristiche biometriche delle piante è stato osservato come la capitozzatura effettuata sia al I che al II anno, abbia determinato rispettivamente al II e al III anno di coltivazione una significativa riduzione del numero di racemi, un maggiore allungamento dei racemi ed un aumento del numero di capsule per racemo; nessuna influenza è stata invece esercitata su tali caratteri biometrici dal fattore anno e dall’interazione di questo con il sistema di allevamento delle piante (Tab. 1). Nella media dei trattamenti i semi al III anno, hanno evidenziato rispetto al II un maggiore peso ed un minor contenuto in olio (Tab. 1, Fig. 1). In merito agli effetti della potatura, questa ha influenzato positivamente il peso 1000 semi in entrambi gli anni, mentre, esclusivamente al II anno, ha determinato una riduzione del contenuto in olio dei semi. La resa in seme ed olio nella media dei trattamenti è 179


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aumentata passando dal I al III anno (Fig. 2). Le differenze, riscontrate a partire dal II anno hanno mostrato come la potatura abbia influenzato negativamente la resa in seme (4,43 contro 5,78 t ha-1 nella media del biennio) ed in olio (1,6 contro 2,3 t ha1 nella media del biennio) sia al II che al III anno dalla semina. Figura 1. Contenuto in olio (%) dei semi nel triennio A1 seme A1 olio

7

A2 seme A2 olio

resa (t ha -1 )

6 5 4 3 2 1 0 2007

contenuto in olio (%)

44

2008

a

42 40

2009

a b

38

bc

b c

36

A1 A2

Figura 2. Andamento nel triennio della resa in seme ed in olio. Le barre verticali rappresentano l’errore standard

34 32 2008

2009

media

Conclusioni Dallo svolgimento di questa prova risulta evidente come la potatura da collegare alla raccolta meccanica nel triennio abbia provocato una riduzione del 20% della resa in seme e del 25% della resa in olio, risultati in ogni caso da inserire in un bilancio economico allo scopo di mostrare la convenienza dell’una o dell’altra pratica agronomica prendendo in considerazione anche il valore della biomassa da usare per fini energetici. Bibliografia Freire R. M. M. et al. 2007. Ricinoquìmica e co-produtos In: Azevedo, D. M. P. de; Beltrao, N. E. de M. O agronegocio da mamona no Brasil. 2. ed. Brasilia: Embrapa informacao tecnologica, 2007. cap. 19, p. 451-473 Silva T. R. B. et al. 2007. Adubacao nitrogenada em cobertura da mamona em plantio direto. Pesquisa Agropecuaria Brasileira. V. 42, n. 09, p. 1357-1359. INTERNATIONAL CASTOR OIL ASSOCIATION – ICOA, 2008. The chemistry of castor oil and its derivaties and their applications. Disponivel em: http: //www.icoa.org/bull2.htm. Acesso em:20 dez.2008

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Variazione della Caratteristiche Qualitative della Camelina Sativa in Funzione dell’Epoca di Raccolta Luigi Tedone1, Carmine Bruno2, Leonardo Verdini1, Nicola Grassano1, Giuseppe De Mastro1 1 Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari “A.Moro” demastro@agr.uniba.it 2 Centro Didattico Sperimentale “E. Pantanelli”, Università degli Studi di Bari “A. Moro” Policoro (MT)

Introduzione La camelina (Camelina sativa (L.) Crantz), è una brassicacea annuale originaria dell’Asia, a ciclo autunno-vernino o primaverile-estivo, introdotta in Europa intorno al XVI secolo, diffusasi per la buona adattabilità della coltura e per il ciclo estremamente precoce che ne ha permesso l’adattabilità a diverse condizioni pedo-climatiche. La più recente attenzione verso alimenti funzionali ed in particolare ricchi in acidi grassi omega-3, come nel caso dell’olio di camelina, ha risvegliato l’interesse per questa pianta per uso alimentare in particolar modo zootecnico (Matthaus et al, 2000). L’interesse nell’alimentazione animale è legato alla possibilità di ottenere, attraverso una dieta ricca in acidi grassi polinsaturi, un arricchimento in tali composti dei derivati zootecnici come carne e latte (Peiretti, 2007). Per di più l’uso zootecnico della camelina potrebbe prevedere un impiego foraggero della coltura in quanto anche la biomassa verde è dotata di un buon contenuto in grassi ricchi in acidi polinsaturi (Peiretti et al, 2007) oppure l’utilizzo diretto della granella o dei panelli, ricchi in proteine, dopo la spremitura dell’olio (Matthaus et al, 2000). Oggi si dispone di una discreta gamma varietale selezionata per le buone caratteristiche agronomiche e per aspetti qualitativi (Vollman et al, 2007). Non molte, invece, sono le informazioni sulla adattabilità della coltura a condizioni di coltivazione tipiche degli ambienti meridionali (Angelini et al., 1997, Tedone et al., 2010). A tal fine, si riportano, nella presente nota, i risultati relativi alla valutazione della coltivazione della camelina in ambiente meridionale, sia per la destinazione da seme, che per la produzione di foraggio.

Metodologia La prova è stata condotta durante l’annata 2006-2007 in due località: • a Policoro (MT), presso il Centro Didattico Sperimentale “E.Pantanelli” dell’Università di Bari, località caratterizzata da clima sub-umido e terreno di origine alluvionale, profondo, limosoargilloso, di buona fertilità; • in agro di Gravina in Puglia (BA), nel Parco dell’Alta Murgia, area a forte vocazione cerealicolozootecnica, con particolare attenzione all’allevamento ovino. Le semine sono state eseguite a fine ottobre in entrambe le località, utilizzando un’unica varietà (Calena) ed uno schema sperimentale a blocchi randomizzati e tre ripetizioni. I trattamenti a confronto hanno previsto epoche di raccolta della biomassa in tre distinte fasi fenologiche (levata, fioritura ed allegagione). La raccolta è stata eseguita su un’area di saggio di 20 m2, determinando la produzione biomassa totale e per parti di pianta (foglie, steli, silique) e le caratteristiche qualitative del prodotto (contenuto in proteine e grassi e relativa composizione). I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi della varianza e il confronto delle medie dei parametri considerati è stato effettuato mediante il test di Duncan (P<0,05). Risultati La coltura ha evidenziato differenze in termini di produttività tra l’areale di Policoro e quello di Gravina. La maggior fertilità del terreno e le condizioni più miti hanno permesso alla coltura di camelina di vegetare molto bene in agro di Policoro, come evidenziato dalla maggior taglia della pianta, 181


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in media 50.6 cm rispetto a 35.6 cm di Gravina, una maggior produttività in biomassa fresca, in media 22,9 tha-1 rispetto a 15.2 tha-1 dell’areale di Gravina. Lo sfalcio in fase di levata (tab.1) risulta il meno produttivo, tra 6.8 e 10.2 tha-1 di biomassa fresca, mentre gli sfalci in fase più ritardata risultano essere quelli più produttivi (tra 19.8 e 29.7 tha-1) con differenze sempre legate alla località di coltivazione. L’epoca di raccolta sembra condizionare la qualità della biomassa in termini di composizione e ripartizione delle diverse organi che la compongono (fusti, foglie e silique). Tabella 1. Risultati produttivi e caratteristiche qualitative della biomassa Epoche di raccolta

Gravina levata fioritura allegagione Policoro levata fioritura allegagione

Altezza pianta (cm)

Produzione biomassa fresca (t ha-1)

Produzione biomassa secca (t/ha)

Contenuto Proteine Distribuzione della biomassa in olio (%) (%) (%) foglie

fusti

silique

22,5 33,3 51,0

6,8 19,1 19,8

1,4 4,4 5,6

1,6 2,1 3,2

22,8 14,4 8,1

59,5 48,6 35,5

40,5 44,6 43,3

0,0 6,8 21,2

32,0 47,3 72,4

10,2 28,7 29,7

2,4 7,8 10,4

1,9 2,5 4,2

22,2 15,7 9,3

59,5 49,5 39,8

40,5 46,7 45,6

0,0 3,9 14,6

Gravina Policoro

35,6 A 50,6 B

15,2 A 22,9 B

3,8 A 6,8 B

2,3 2,9

13,9 15,7

47,9 49,6

42,8 44,3

9,4 6,2

Media generale

43,1

19,1

5,3

2,6

15,4

48,7

43,5

7,8

I valori non aventi alcuna lettera in comune sono significativamente diversi per P ≤ 0,01(test Duncan)

Le differenze riscontrate risultano, infine, ancor più evidenti nella caratterizzazione acidica dell’olio contenuto nelle parti vegetative, rispetto all’olio contenuto nei semi. In particolare i risultati ottenuti confermano quanto evidenziato da Peiretti et al.(2007) in termini di prevalenza di acido α-linolenico e palmitico nelle foglie e nei fusti, e di acido oleico e gadolenico nei semi. Conclusioni Lo studio effettuato sul potenziale utilizzo della camelina come coltura foraggera ha fornito risultati di un certo interesse, anche in considerazione di una possibilità di valorizzazione “funzionale” della coltura, con possibilità di ottenere delle produzioni zootecniche con maggior valore aggiunto. Bibliografia Angelini L.G. et al. 1997. Variation in agronomic characteristics and seed oil composition of new oilseed crops in central Italy. Industrial crops and Products. 6. 313-323. Matthaus B., Zubr J. 2000. Variability of specific components in Camelina sativa oilseed cakes. Industrial Crops and Products 12: 9–18. Peiretti P.G., Meineri G. 2007. Fatty acids, chemical composition and organic matter digestibility of seeds and vegetative parts of false flax (Camelina sativa L.) after different lengths of growth. Animal Feed Science and Technology 133.341–350 Tedone et al. 2010. Coltivazione della camelina in ambienti dell’Italia meridionale: primi risultati. Italus Hortus (in press). Vollmann J. et al. 2007. Agronomic evaluation of camelina genotypes selected for seed quality characteristics. Industrial Crops and Products 26: 270–277. Zubr J. 2002. Qualitative variation of Camelina sativa seed from different locations. Industrial Crops and Products 17: 161-169.

Tabella 2. Composizione acidica delle sostanze grasse contenute nella biomassa e nella granella

182


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Stato Nutrizionale del Frumento in Risposta alla Concimazione Organica e alla Consociazione Temporanea Giacomo Tosti, Federica Graziani, Roberta Pace, Marcello Guiducci Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Perugia, IT, giacomo.tosti@gmail.com

Introduzione In aree mediterranee le basse temperature e l’abbondante piovosità del periodo autunno-vernino producono solitamente delle condizioni di scarsa disponibilità azotata durante larga parte del ciclo del frumento Nei sistemi convenzionali le esigenze in azoto della coltura possono essere agevolmente soddisfatte con la concimazione minerale di copertura. Nei sistemi biologici, invece, la scarsa efficienza dei fertilizzanti organici distribuiti alla semina rende necessario individuare strategie di intervento innovative per contrastare la carenza di azoto durante le fasi più critiche del ciclo colturale del cereale (Quaranta et al. 2009). In questa nota vengono riportati i primi risultati di una sperimentazione di campo su due distinti approcci tecnici alla gestione della nutrizione azotata del frumento biologico: uno basato sull’impiego della consociazione temporanea con specie leguminose (Tosti and Guiducci, 2010), l'altro basato sulla distribuzione frazionata di concimi organici diversi Metodologia Nell'annata 2009/10 è stata effettuata presso la Stazione Sperimentale di Papiano del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell'Università degli Studi di Perugia una prova sperimentale sul frumento tenero biologico (cv Aubusson) In uno schema sperimentale a blocchi randomizzati (3 ripetizioni) sono state messi a confronto 3 concimi organici (cuoio torrefatto:C, panello proteico di girasole: P e sangue secco:S) e 3 tipi di consociazione temporanea con leguminose (favino: FV; pisello proteico: PP e trifoglio squarroso: TS). I concimi organici sono stati distribuiti nel frumento in purezza alla dose complessiva di 80 kg N ha-1 in un'unica soluzione alla semina (rispettivamente tesi C, P e S) oppure in due tempi: metà dose alla semina con gli stessi concimi organici e metà dose all’accestimento utilizzando il sangue secco (rispettivamente, tesi CS, PS, SS). Le consociazioni sono state realizzate previa semina delle leguminose nell’interfila del cereale e successivo interramento delle piante all’inizio della levata Il frumento in purezza è stato seminato con interfila a 0.25 m (interfila stretta); il frumento consociato è stato seminato con interfila a 0.375 m (interfila larga) per permettere la semina e l’interramento delle leguminose. Come tesi controllo sono state seminate parcelle di frumento in purezza concimate con nitrato di ammonio a dosi crescenti (0, 80, 160 kg N ha-1). Per stimare il prevedibile effetto della spaziatura delle file, i controlli sono stati realizzati sia con interfila stretta (rispettivamente tesi N0S, N80S, N160S) sia con interfila larga (rispettivamente N0L, N80L, N160L). Lo stato nutrizionale del frumento è stato determinato mediante determinazioni SPAD (SPAD 502, Minolta Ltd., Osaka, Japan) effettuate con cadenza quasi settimanale durante il ciclo colturale. Alla fioritura del frumento sono stati rilevati i valori SPAD su 20 foglie bandiera per parcella. Delle stesse foglie sono stati determinati in laboratorio la superficie, il peso secco e il contenuto di azoto per calcolarne lo Specific Leaf Nitrogen Weight (SLNW, g di N m-2). Risultati L’andamento dei valori SPAD ha evidenziato una sostanziale uguaglianza tra i differenti concimi organici impiegati, che si sono comunque attestati su livelli ben al di sotto di quanto osservato nella concimazione minerale di pari livello (N80S). Rispetto alla distribuzione dell’intera dose alla semina, il frazionamento della concimazione ha generato un lieve incremento dei valori SPAD soprattutto durante la seconda fase del ciclo del frumento. Per quanto concerne la consociazione temporanea, FV e PP hanno mostrato un andamento simile tra loro con un incremento del valore SPAD ben visibile a partire da circa una settimana dopo l’interramento delle leguminose mostrando, dalla spigatura in poi, valori 183


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simili ai controlli con le più alte dosi di azoto. In TS l’andamento SPAD è stato del tutto identico al controllo N0L (Fig. 1). L’influenza dei diversi trattamenti sullo SLNW della foglia bandiera è stata molto marcata e ben correlata ai valori SPAD registrati alla fioritura (Fig. 2); in particolare, tutti i concimi organici si sono situati su livelli medio-bassi, solo SS è riuscito a far raggiungere valori paragonabili (ma sempre inferiori) ad N80S Sia FV che PP hanno consentito al frumento di immagazzinare molto azoto nelle foglie bandiera (valori simili a N160L) grazie all’alta disponibilità dell’elemento a seguito della mineralizzazione del materiale interrato che si è sincronizzata in modo molto preciso con il fabbisogno della coltura durante la fioritura (Fig. 3)

SPAD

Figura 1. Andamento dei valori SPAD durante il ciclo del frumento tenero. Le frecce indicano la fioritura. 50

50

50

40

40

40

30

30 Interfila=0.250m C P S N0S

20

10

20

10

N80S

30 Interfila=0.250m CS PS SS N0S

10

N80S

N160S

Interfila=0.375m FV PP TS N0L

20

N80L N160L

N160S

0

0

0

4-Mar 25-Mar 15-Apr 6-May 27-May 17-Jun 4-Mar 25-Mar 15-Apr 6-May 27-May 17-Jun 4-Mar 25-Mar 15-Apr 6-May 27-May 17-Jun

Tempo

SLNW (g N m-2)

1.80

0.00

y = 0.045x - 0.3535 2

1.60

0.50

1.00

1.50

1.340

N80S C

1.40

P S CS

1.20

PS SS

2.00

0.942 1.532

N160S

-2

SLNW (g N m )

N0S

R = 0.859

1.009 0.980 1.147 1.168 1.067 1.241

1.00 N0L

1.195 1.614

N80L

0.80

1.728

N160L

25

30

35

40

45

50

SPAD

Figura 2. SPAD vs Specific Leaf Nitrogen Weight (SLNW, g N m-2) delle foglie bandiera del frumento alla fioritura

1.542

FV

1.586

PP TS

1.065

Figura 3. Specific Leaf Nitrogen Weight (SLNW, g N m-2) delle foglie bandiera del frumento alla fioritura Standard Error of the Mean = 0.1026.

Conclusioni Dai risultati preliminari risulta che l’utilizzo di pisello e favino in consociazione temporanea consente di migliorare in modo marcato lo stato nutrizionale del frumento facendo raggiungere livelli buoni e superiori rispetto a quelli ottenibili con i fertilizzanti organici Bibliografia Quaranta F. et al. 2009. Rese e qualità di varietà di grano duro in biologico. L’Informatore Agrario, 39:56-59. Tosti, G., Guiducci, M., Durum wheat–faba bean temporary intercropping: Effects on nitrogen supply and wheat quality. Eur. J. Agron. (2010), doi:10.1016/j.eja.2010.05.001. Ricerca finanziata dal progetto NITBIO 184


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Influenza dell’Epoca di Trapianto sull’Ambientamento di Piantine Micropropagate di Arundo donax (L.) in Apprestamenti Diversi di Protezione Simona Tringali1, Valeria Cavallaro1, Cristina Patanè1, Salvatore La Rosa1, Sebastiano Scandurra2 1

CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, valeria.cavallaro@cnr.it 2 DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, nuscand@yahoo.it

Introduzione La canna comune (Arundo donax L.), specie ad alta produttività in biomassa per energia nelle regioni dell’Europa meridionale (Cosentino et al., 2006), al di fuori del suo areale di origine, non produce seme e pertanto, la propagazione può avvenire esclusivamente per via agamica per rizoma o per parti di culmo. Tale metodo di moltiplicazione presenta degli inconvenienti, legati soprattutto al ristretto numero di piantine ottenibili per pianta, che potrebbero essere superati con la propagazione ‘in vitro’. In precedenti ricerche è stato messo a punto un protocollo per la propagazione ‘in vitro’ di Arundo donax L. (Cavallaro et al., 2008). Una delle fasi più delicate di quest’ultima tecnica è il passaggio dal vitro al vivo (ambientamento) durante il quale le plantule, devono subire un drastico cambiamento delle condizioni ambientali passando da una condizione di mixotrofia all’autotrofia e provvedere alla sostituzione delle radici prodotte in vitro non completamente funzionati con le radici definitive. Inoltre, grazie alla scelta di un’opportuna epoca di trapianto, le particolari condizioni climatiche che caratterizzano l’ambiente mediterraneo potrebbero consentire l’ambientamento sia in serra fredda che sotto semplici e poco costose reti ombreggianti in grado di proteggere le piantine dai parassiti, afidi in particolare. Sulla base di queste considerazioni, nell’ambito del progetto PRIN “Tecniche di propagazione e coltivazione dell’Arundo donax L., coltura da biomassa lignocellulosica per la produzione di biocombustibili di seconda generazione”, è stata effettuata una ricerca allo scopo di valutare gli effetti sull’ambientamento di piantine micropropagate di canna comune, di due differenti epoche di trapianto e apprestamenti di protezione: serra fredda e ombraio. Metodologia La tecnica adottata per l’introduzione in vitro e la proliferazione delle piante di Arundo donax L. è stata già descritta in precedenti lavori (Cavallaro et al., 2008). Le piante sono state radicate in vitro, utilizzando il seguente mezzo base: MS (Murashigue e Skoog, 1962), macro e microelementi, 100 mg L-1 di vitamine Morel, 20 g L-1 di saccarosio, 2 mg L-1 di acido naftalenacetico, 2.5 g L-1 di gelrite come gelificante (Duchefa), pH compreso tra 5.6-5.8. A 25 giorni dall’inizio della fase di radicazione, le piantine sono state poste in plateaux su terriccio commerciale. Sono stati posti a confronto due apprestamenti di protezione: serra fredda e ombraio, quest’ultimo realizzato con reti ombreggianti. Il trapianto delle piantine in ciascun apprestamento è stato effettuato in due epoche diverse: 9 novembre 2009 (I) e 11 gennaio 2010 (II). Per ogni epoca ed apprestamento sono stati previsti tre plateaux (repliche), contenenti ciascuno 30 piante. A 40 giorni circa dal trapianto, per ciascuna epoca è stato registrato il numero di piante morte. Contestualmente, sono stati effettuati singolarmente, su 10 piante per replica, i seguenti rilievi: peso fresco e secco della parte aerea e delle radici, numero di foglie, area fogliare (mediante rilevatore Delta T Devices, Cambridge, U.K.) Nel corso della prova, per ciascun apprestamento è stata registrata la temperatura minima e massima giornaliera dell’aria mediante Data Logger (Escort, iLog). I dati biometrici sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) a due vie (epoca x apprestamento) ed è stato applicato il test di Student-Newman-Keuls (SNK) per la separazione delle medie.

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Risultati La temperatura registrata nel corso della prova Tab. 1. Temperatura minima, massima e media del periodo compreso tra il trapianto e la ha mostrato valori più alti in serra fredda data del rilievo, nei due apprestamenti rispetto all’ombraio, nei suoi valori massimi allo studio. (oltre 10°C di differenza) e medi (circa 3°C) Epoca di trapianto giornalieri. Per contro, la minima termica non I (9 Novembre) II (11 Gennaio) si è differenziata tra i due apprestamenti di Temperatura (°C) serra ombraio serra ombraio protezione (Tab. 1). Per quanto concerne 2.8 2.2 1.3 1.0 l’effetto dell’epoca di trapianto, valori Minima Massima 35.9 24.8 36.3 20.6 significativamente più alti di peso secco della Media 15.6 11.9 13.0 9.5 parte epigea e di area fogliare per pianta sono stati registrati in corrispondenza della I epoca, nella media dei due apprestamenti (Tab. 2). Tab. 2. Caratteristiche delle piantine in relazione all’epoca di trapianto e all’apprestamento. Epoca di trapianto I (9 Nov) II (11 Gen)

s.s. parte Apprestamento epigea di protezione (g/pianta) Serra 0.16 Ombraio 0.08

s.s. parte ipogea (g/pianta) 0.10 0.08

s.s. epigea/ foglie ss. ipogea (n/pianta)

Area fogliare pianta (cm2)

1.61 0.92

4.00 4.00

15.74 11.46

4.00 3.22 4.00 3.61 4.00 3.61

12.03 4.72 13.60 8.38 13.88 8.09

n.s. n.s. n.s.

** ** n.s.

Serra 0.11 0.09 1.22 Ombraio 0.03 0.07 0.58 Media epoche I 0.12 0.09 1.26 II 0.07 0.08 0.9 Media apprestamenti Serra 0.14 0.10 1.42 ombraio 0.06 0.08 0.75 Significatività Epoca (E) ** n.s. ** Apprestamento (A) ** * ** ExA n.s. n.s. n.s. *, ** significativo a p≤ 0,05 e 0,01 rispettivamente; n.s.: non significativo.

Per contro, non sono emerse differenze nel peso secco delle radici. In relazione all’apprestamento di protezione, l’allevamento delle plantule in serra ha determinato, nella media delle due epoche, un accumulo di sostanza secca per pianta significativamente superiore rispetto a quanto accertato in ombraio, e più evidente per la parte epigea (+133%) rispetto alla ipogea (+10%), ed un’area fogliare del 71% più ampia rispetto a quella differenziata sotto reti ombreggianti(Tab. 2). Le piante morte non hanno mai superato il 5%. Conclusioni Dai risultati ottenuti, anche se relativi ad una prima serie di prove, è emerso quanto segue: - l’Arundo donax mostra un’elevata capacità di ambientamento anche in condizioni di basse temperature in ambiente Mediterraneo, con elevate percentuali di sopravvivenza anche sotto apprestamenti di copertura semplici ed economici quali reti ombreggianti; - grazie all’andamento mite della temperatura, nelle aree a clima caldo-arido l’ambientamento si rende possibile anche nel periodo invernale (Gennaio), per garantire il trapianto in pieno campo in Marzo e consentire in tal modo alle radici di usufruire delle riserve idriche accumulatesi nel corso della stagione piovosa, limitando pertanto gli interventi irrigui. Bibliografia Cavallaro V. et al. 2008. Influence of substrate hormonal composition on in vitro multiplication of Arundo donax L. Ital. J. Agron., 3: 477-478. Cosentino S.L. et al. 2006. First results on evaluation of Arundo donax L. clones collected in Southern Italy. Ind. Crop Prod., 23: 212–222. Murashigue T., Skoog F. 1962. A revised medium for rapid growth and bioassay with tobacco tissue cultures. Physiologia Plantarum, 15: 473-497. 186


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Effetti della Concimazione Fosfo-Azotata sulla Produttività del Cece nell’Italia Meridionale Carlo Troccoli, Beniamino Leoni Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, Univ. Bari Aldo Moro, IT, troccoli@agr.uniba.it

Introduzione La coltivazione del cece ha subito, nell’ultimo cinquantennio, una riduzione della superficie investita da circa 110.000 ha nel 1950 a poco più di 5000 ha nel 2004 con la produzione concentrata nell’Italia meridionale (Sicilia e Puglia principalmente).Tale riduzione è stata determinata da politiche alimentari che hanno favorito il consumo di proteine animali; tuttavia recentemente la dieta mediterranea ha favorito la produzione delle leguminose per l’alimentazione umana. Tra queste, un rinnovato interesse, per gli ambienti meridionali, è rivestito dal cece che, al pari di altre leguminose, esplica anche una azione favorevole sulla fertilità del suolo se impiegato nella pratica del maggese (Rupela e Saxena, 1987). In ambiente a clima Mediterraneo il cece conserva una costanza di produzione indipendentemente dall’andamento climatico dell’anno di coltivazione (Saxena et al., 1990). Una delle componenti principali della produzione è rappresentata dal numero di baccelli per pianta che è il carattere più strettamente correlato con la produzione del seme (Maiti e Wesche-Ebeling, 2001). Per quanto riguarda la concimazione, dosi eccessive di azoto possono ridurre la produzione; mentre dosi modeste, somministrate alla semina, possono avere una funzione “starter” (Orsi e Casini, 1985; LópezBellido R.J. e López-Bellido L. 2001). Di contro, dosi elevate di concimi fosfatici influiscono positivamente sulla produzione, anche se, in alcuni casi, non si sono avuti gli attesi aumenti produttivi (Abbate et al., 1994). Con la presente ricerca si è voluto studiare l’effetto combinato della concimazione azotata e fosfatica su alcuni vecchi genotipi, utilizzati solo localmente in piccole aree, ed altre cultivar diffuse commercialmente, al fine di poter migliorarne le rese produttive. Metodologia La prova è stata eseguita in agro di Bari, su una tipica terra rossa, argillosa, profonda 40-50 cm, ben strutturata, sub-alcalina, ben dotata di azoto, fosforo e potassio. Sono state poste a confronto due cultivar commerciali (Sultano e Otello) e tre genotipi locali, (Rocca Imperiale, Loc. Grumo, Loc. Altamura) utilizzati da agricoltori del posto, in ristrette aree di coltivazione, e due concimazioni, azotata e fosfatica, alle dosi di 0 e 30 kg ha-1 di N, e 0 e 100 kg ha-1 di P2O5. La cv. Sultano è a seme bianco; le altre sono a seme nero. Lo schema sperimentale è stato lo split-plot con quattro ripetizioni, ponendo nei parcelloni la concimazione azotata, nelle parcelle la concimazione fosfatica e i genotipi nelle subparcelle delle dimensioni di 15 m2. La semina è stata effettuata il 16-03-2009, dopo la concimazione, in ritardo per il decorso piovoso dell’andamento stagionale (500 mm di pioggia dal 1/11 al 10/3). La densità di semina è stata di 30 piante m2, in file distanti 30 cm. Il controllo delle malerbe è stato effettuato con una scerbatura. La raccolta è stata eseguita il 03-07-2009. I rilievi hanno riguardato, oltre alla produzione del seme, anche il numero di branche, palchi e baccelli per pianta (espresso come valore medio su tre piante), il numero di semi per baccello, il peso della biomassa prodotta, nonché il peso dei cento semi. Tutti i dati raccolti sono stati sottoposti ad elaborazione statistica; il confronto tra le medie è stato effettuato con il Duncan test. Risultati La concimazione azotata sembra che non abbia avuto alcuna influenza positiva sulla produzione di granella, anzi alla dose di 30 kg ha-1 si ha, in media, un calo produttivo di circa il 5% (da 1.58 a 1.51 t ha-1), così pure per la concimazione fosfatica si ha una diminuzione di circa l’ 8% (da 1.62 a 1.49 t ha-1) (Tab.1), probabilmente a causa della semina ritardata. E’ risultata significativa l’interazione dei tipi di concime. Infatti, in assenza di concimazione azotata la produzione non varia all’aumentare della concimazione fosfatica; mentre con 30 kg ha-1 di N la produzione diminuisce del 15% passando da 1.64 a 1.40 t ha-1 (Tab.1). 187


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Tabella 1. Influenza della concimazione fosfo-azotata su genotipi di cece. Concimazione azotata (kg ha-1 di N) 0 30 Genotipi Concimazione fosfatica (kg ha-1 di P2O5) 0 100 med. 0 100 med. 0 Sultano 1.72 1.74 1.73 1.86 1.56 1.71 1.79 Otello 1.63 1.63 1.63 1.80 1.59 1.69 1.72 R Imperiale 1.60 1.54 1.57 1.55 1.28 1.41 1.58 L. Grumo 1.51 1.39 1.45 1.46 1.18 1.32 1.49 L. Altamura 1.48 1.56 1.52 1.51 1.38 1.44 1.50 media 1.59 1.57 1.58 1.64 1.40 1.51 1.62

media 100 1.65 1.61 1.41 1.29 1.47 1.49

med. 1.72 1.67 1.50 1.39 1.49 1.55

Dai dati della tabella 2 si può rilevare, per la produzione del seme, una maggiore produttività delle cultivar commerciali, in media di circa il 14%, rispetto ai genotipi locali (da 1.69 a 1.45 t ha-1). Ciò sembra dovuto al maggior peso dei semi della cv. Sultano: in media si ha un maggior peso di circa il 42%, mentre il numero dei baccelli è, in media, inferiore del 25% rispetto a quello dei genotipi locali. Per la biomassa totale la cv. Sultano mostra una produzione più elevata del 18%, rispetto ai genotipi locali, e del 23% verso la cv. Otello (3.52, 2.90 e 2.73 t ha-1). Il numero di semi per baccello è maggiore del 15% circa, in Sultano, Rocca Imperiale e Loc. Altamura rispetto agli altri genotipi mentre non si osservano differenze significative per gli altri caratteri. Tabella 2. Caratteristiche bio-agronomiche di genotipi di cece (medie delle concimazioni). Branche/ Palchi/ Baccelli/ Semi/ Biomassa pianta pianta pianta bacc Genotipi (t ha-1) (n°) (n°) (n°) (n°) Sultano 3.83 14.3 11.3 B 0.94 a 3.52 A Otello 3.75 14.3 14.6 A 0.76 c 2.73 C 4.00 14.4 15.8 A 0.86 ab 2.88 B R. Imperiale L. Grumo 3.75 14.5 14.6 A 0.77 c 2.89 B 3.75 14.4 15.3 A 0.92 a 2.93 B L. Altamura I valori che non hanno alcuna lettera in comune, sono significativamente diversi tra loro per P ≤ 0,05 (lettere minuscole) e per P ≤ 0,01 (lettere maiuscole) (Duncan test).

Prod. granella (t ha-1) 1.72 A 1.66 A 1.49 B 1.39 B 1.48 B

P. 100 semi (g) 51.0 A 29.8 B 29.4 B 30.1 B 29.8 B

Conclusioni La concimazione fosfatica e azotata sembra avere un effetto deprimente sulla produzione di granella, imputabile al ritardo della semina causato dal prolungato periodo piovoso da novembre a febbraio. E’ risultata significativa l’interazione tra i due fertilizzanti. Le cultivar sono risultate più produttive dei genotipi, anche se questi hanno un numero di baccelli per pianta maggiore rispetto ad una varietà commerciale, e quindi sono meritevoli di attenzione in un programma di miglioramento genetico. Bibliografia Abbate V. et al. 1994. Aspetti della tecnica colturale del cece. Agricoltura Ricerca, 155: 105-120. Lopez-Bellido R.J., Lopez-Bellido L. 2001. Effects of crop rotation and nitrogen fertilization on soil nitrate and wheat yield under rainfed Mediterranean conditions. Agronomie, 21: 509–516. Maiti R.K., Wesche-Ebeling P. 2001. Vegetative and reproductive growth and productivity. In: Maiti, R., Wesche-Ebeling P. (Ed.), Advances in chickpea Science. Science Publishers, Enfield, NH, USA, pp. 67–104. Rupela O.P., Saxena M.C. 1987. Nodulation and nitrogen fixation in chickpea. In: Saxena, M.C., Singh, K.B. (Eds.), The Chickpea. CAB International, Wallingford, Oxon, UK, pp. 191–206. Orsi S., Casini P. 1985. Il cece: una leguminosa da granella da rilanciare. L’Informatore Agrario 46: 29-41. Saxena M.C. et al. 1990. Effect of supplementary irrigation during reproductive growth of winter and spring chickpea (Cicer arietinum) in a Mediterranean environment. J. Agric. Sci. Cabridge, 114: 285-293.

188


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Analisi Spazio-Temporale dell’impatto dei Cambiamenti Climatici su Coltura Irrigua di Pomodoro in Capitanata Domenico Ventrella, Luisa Giglio, Monia Charfeddine, Raffaele Lopez, Donatello Sollitto, Annamaria Castrignanò, Michele Rinaldi Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, CRA, Bari, IT, domenico.ventrella@entecra.it

Introduzione L’agricoltura è uno dei settori più sensibili ai cambiamenti climatici (CC). Nell’area del Mediterraneo, caratterizzata da limitate risorse idriche, i modelli climatici concordano nel prevedere un aumento delle temperature ed una riduzione delle precipitazioni tra il 30% e 40%. Tuttavia ad una scala locale si osserva una maggiore incertezza per le stime future dei dati pluviometrici. Certamente l’aumento delle temperature, la variazione dei regimi pluviometrici e la maggiore frequenza di eventi climatici estremi, faranno sentire i loro effetti sulle rese medie delle colture, sulla loro variabilità interannuale e sulla loro distribuzione geografica. In questa ottica, l’uso dei modelli di simulazione colturale a scala distribuita (AEGIS/WIN, interfaccia GIS del DSSAT), rappresenta uno strumento per pianificare le strategie di gestione dell’acqua in agricoltura a livello di comprensorio sulla base di informazioni (caratteristiche climatiche, pedologiche e colturali ) che concorrono a definire le attitudini produttive di un territorio. L’obiettivo di questo lavoro, realizzato nell’ambito del Progetto di ricerca CLIMESCO, D.D. MIUR 20/02/2006, Prot. n. 285, è quello di ottimizzare l’irrigazione su coltura di pomodoro in Capitanata (provincia di Foggia) per migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua, in regime di CC. Metodologia Il modello CROPGRO, implementato nel DSSAT v 4.0. (Jones et al., 2003), precedentemente calibrato e validato su coltura di pomodoro da industria a bacca tonda - ibrido PS126 (Rinaldi et al., 2007), è stato utilizzato per effettuare simulazioni spaziali e pluriennali. L’input climatico è rappresentato da uno scenario passato (19512005) e da uno scenario futuro diviso in tre trentenni (2011-2040, 2041-2070 e 2071-2100), tutti ottenuti mediante un processo di downscaling statistico a partire da una serie storica di dati misurati nell’area oggetto di Figura 1. Mappa delle sette pedoregioni. studio e da serie climatiche a larga scala prodotte mediante il modello GCM (Global Circulation Model) HadCM3 e riferibili allo scenario A2 dell’IPCC. I dati pedologici sono stati invece estrapolati dalle aree omogenee elaborate nell’ambito del progetto CLIMESCO ed ottenute con metodi geostatistici di interpolazione, e successivo clustering, a partire da numerosi dati di suolo (Castrignanò et al., 2010). Le tecniche colturali sono quelle normalmente adottate in Capitanata. In questo lavoro, ipotizzando 2 regimi di irrigazione automatica, corrispondenti alle soglie d’intervento del 30% (IRR30) e del 60% (IRR60) dell’acqua disponibile, è stato calcolato l’incremento produttivo % di resa in bacche, rispetto alla condizione più sfavorevole (IRR30), negli scenari climatici considerati mediante l’equazione:

Δ (%) =

resa IRR 60 − resa IRR 30 resa IRR 60 189


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Incremento produttivo %

Risultati Dai risultati ottenuti si evidenzia che il clima futuro previsto con il modello HADCM3 per i prossimi 90 anni, determinerebbe una riduzione, rispetto al passato, 16 della produzione di bacche, PASSAT O FUT URO 14 soprattutto nel terzo trentennio. 12 La figura 2 mostra la variazione, nel passato e nel futuro, 10 dell’incremento produttivo 8 determinato dalla soglia IRR60 6 rispetto all’IRR30. Nel futuro, la migliore resa corrispondente al 4 trattamento irriguo più 2 favorevole (IRR60), risulterebbe 0 ancora più elevato rispetto al 1 2 4 5 6 7 8 passato. Tale scarto risulterebbe Aree pedologiche però leggermente più basso nelle Figura 2. Incremento produttivo (%) osservato nel passato e nel aree risultate più produttive (1, 7 terzo trentennio.

Variazione % irrigazione stagionale

e 8). 15 La figura 3 mostra la variazione 1 2 4 5 6 7 8 dell’irrigazione stagionale per 10 ciascuna area pedologica omogenea, nei tre trentenni futuri 5 rispetto al passato, considerando la 0 soglia d’intervento irriguo ritenuta ottimale (IRR60). Nel primo -5 trentennio, per tutte le aree, si riscontra una riduzione -10 dell’irrigazione stagionale media di circa il 9%. In seguito ad un più -15 consistente aumento della 2011-2040 2041-2070 2071-2100 domanda evapotraspirativa Figura 3. Variazione percentuale dell’irrigazione stagionale rispetto dell’ambiente, determinata al passato distinta per area e per periodo futuro dall’aumento della temperatura nel periodo coincidente con il ciclo colturale, nel secondo trentennio l’irrigazione stagionale aumenterebbe mediamente di circa il 3% e più dell’8% dal 2070 al 2100. In questo terzo trentennio, la coltivazione del pomodoro nelle aree 2 e 8, caratterizzate per altro da una minore riserva idrica del suolo, farebbe registrare le irrigazioni stagionali più basse. Al contrario le irrigazioni stagionali più elevate sono risultate quelle relative alle aree 1 e 7. Conclusioni Nell’area oggetto di studio, l’irrigazione automatica del pomodoro, prevedendo il ripristino del 60 % dell’acqua disponibile, è risultata ottimale sia nel passato che nel futuro. L’analisi spaziale mediante il modello AEGIS/WIN, permetterebbe di prevedere, rappresentare e valutare le attitudini agronomiche e produttive del territorio agricolo, influenzato da CC, offrendo informazioni utili per la pianificazione e la scelta di opportune strategie per una gestione tecnica e delle politiche sostenibile. Bibliografia Castrignanò A. et al. 2010. Characterization, delineation and visualization of agro-ecozones using multivariate geographical clustering. Ital. J. of Agron., 2:121-132. Jones J.W. et al. 2003. The DSSAT cropping system model. Eur. J. of Agronomy, 18: 235-265. Rinaldi M. et al. 2007. Comparison of nitrogen and irrigation strategies in tomato using CROPGRO model. A case study from Southern Italy. Agr. Water Manage., 87:91-105.

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SESSIONE II - AGRONOMIA E AMBIENTE



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Effetto della Densità di Semina sulla Fitostabilizzazione di Metalli Pesanti in Radici Fittonanti di Colza Bandiera M.1, Mosca G.2, Vamerali T.3 1

Dip. di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, marianna.bandiera@unipd.it 2 Dip. di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, giuliano.mosca@unipd.it 3 Dip. Scienze Ambientali, Univ. Parma, IT, teofilo.vamerali@unipr.it

Introduzione L’impiego della fitoestrazione per la bonifica di terreni contaminati da elementi traccia sta ricevendo un interesse crescente in virtù della sua economicità e del minor impatto ambientale rispetto alle tecniche chimico-fisiche tradizionali. Tuttavia, diversi studi hanno evidenziato una modesta efficienza di tali sistemi biologici (Vamerali et al., 2009), causa spesso dei lunghi tempi di decontaminazione, e la necessità di perfezionare le metodologie allo specifico caso di studio. L’elevata concentrazione di metalli pesanti riscontrabile nell’apparato radicale, suggerisce la possibilità di immagazzinarli, anche solo temporaneamente, nelle strutture ipogee (fitostabilizzazione in planta). Tale evenienza è stata, tuttavia, poco studiata nelle specie erbacee, ma si intravvedono interessanti prospettive nelle piante ad apparato radicale fittonante. In questo contesto, il presente studio mira a quantificare l’accumulo di metalli pesanti in radici fittonanti di colza coltivato a investimenti crescenti, in raffronto alla capacità fitoestrattiva conseguibile con la biomassa epigea. Metodologia Quattro cultivar di colza (Brassica napus (L.) var. oleifera Metzg.) sono state coltivate tra fine settembre 2008 e inizio giugno 2009 in un terreno medio-limoso (Legnaro, Padova), di cui è stata determinata la concentrazione totale di metalli (As, Cd, Co, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Zn) e quella assimilabile (estrazione con DTPA). Le cv. saggiate erano: PR45D01 (Pioneer, ibrido CHH seminano); Excalibur (Dekalb) e Taurus (NPZ Lenbke-Rapool), ibridi CHH di taglia convenzionale, e Viking (NPZ Lenbke-Rapool), varietà a impollinazione libera. I materiali sono stati seminati a 3 diverse densità, i.e. 22, 44 e 63 piante m-2 (n=3). In fase di riempimento delle silique (7 maggio) sono stati determinati i parametri biometrici dei fittoni (lunghezza, diametro mediano e al colletto), la biomassa e la concentrazione di metalli nella porzione epigea e nel fittone. In quest’ultimo, la distribuzione dei metalli è stata valutata in tre sezioni concentriche, i.e., rizoderma e parenchima corticale più esterno, parenchima corticale interno, cilindro vascolare. A maturazione fisiologica, 9 fittoni per parcella sono stati raccolti, pesati e posti a incubare nel terreno a 0.15 m di profondità in nylon-net-bags (maglia 1.5 mm), al fine di studiarne la dinamica di decomposizione. A 6 e a 11 mesi dall’interramento (dicembre 2009 e aprile 2010), si è proceduto al campionamento dei fittoni; le radici sono state lavate delicatamente con acqua deionizzata e pesate dopo essiccazione, potendo così stimare la percentuale di degradazione. Risultati Nel sito di sperimentazione il contenuto di metalli è risultato inferiore ai limiti di legge, anche se As (16 mg kg-1), Co (8 mg kg-1) e Zn (80 mg kg-1) presentavano concentrazioni relativamente elevate. Rispetto alla varietà ad impollinazione libera, i tre ibridi hanno prodotto una biomassa maggiore, sia a livello epigeo (1,560 vs. 1,200 g m-2, in media, effetto principale) che ipogeo (100 vs. 90 g m-2), specialmente quando venivano coltivati a densità elevate; l’interazione ‘cultivar × densità’ non è risultata significativa. All’aumentare della densità di piante è corrisposta una diminuzione del tenore di umidità dei fittoni, indice di una maggiore lignificazione dei tessuti. Nell’insieme dei 9 metalli considerati, gli ibridi convenzionali (Excalibur e Taurus) hanno ottenuto i migliori bilanci fitoestrattivi (porzione epigea), mentre non sono emerse differenze a livello radicale. Taurus ha raggiunto le concentrazioni più elevate di Cd, Cu, Ni e Zn nella porzione epigea, mentre Taurus ed Excalibur sono state più efficienti 193


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per il Cd nel fittone. Il rapporto tra concentrazioni in fittone e parte epigea è apparso generalmente elevato, soprattutto per Co (4.14), Cr (4.01) e Ni (2.59), confermando la difficoltà di traslocazione già evidenziata da Tiwari et al. (2009) per il Cr e da Guo e Marschner (1995) per il Ni. Il parenchima corticale esterno e il cilindro centrale hanno presentato concentrazioni simili per Cd, Pb e Zn, mentre Co, Cr, Cu, Mn e Ni sono stati accumulati maggiormente nel parenchima corticale esterno. L’aumento di densità di semina ha determinato un incremento della fitoestrazione, in conseguenza del miglioramento sia della produttività che dell’accumulo di metalli (Fig. 1). Su base varietale, il bilancio dell’asportazione ha seguito l’ordine Taurus > Excalibur > PR45D01 > Viking. Ancorché le differenze a livello radicale per i 9 metalli complessivamente non siano risultate significative, gli ibridi si sono contraddistinti per un migliore accumulo di singoli metalli, come Co, Cr, Cu, Mn, Ni e Pb; l’aumento di densità delle piante ha avuto un effetto tendenzialmente positivo (Fig. 1). In generale, solo il 10% dei metalli complessivamente accumulati nella pianta è stato ritenuto nel fittone. Apparato epigeo

22 44 63 Densità di semina (piante m-2)

Viking

Taurus

Excalibur

Viking

PR45D01

Taurus

Excalibur

Viking

Viking

Taurus

Excalibur

Viking

PR45D01

Taurus

Excalibur

Viking

0

PR45D01

4

0

Taurus

8

40

PR45D01

12

80

PR45D01

Fittone

16

Altri elementi

Taurus

Cu

PR45D01

120

Mn

Excalibur

Zn

Excalibur

mg m-2

160

22 44 63 Densità di semina (piante m-2)

Figura 1. Accumulo di metalli (±e.s.) nella porzione epigea e nel fittone di quattro cultivar di colza coltivate a tre diversi investimenti. Altri elementi: As+Cd+Co+Cr+Ni+Pb.

Le dimensioni dei fittoni (simili tra le cultivar e inversamente proporzionali alla densità) non hanno influenzato la dinamica di degradazione. Dopo 6 mesi di incubazione le radici avevano subìto una diminuzione ponderale pari a ∼70%, incrementata a 76% dopo altri 5 mesi. Si è osservato una velocità di degradazione leggermente inferiore a densità di semina più elevate, probabilmente a causa della maggior lignificazione dei tessuti. Conclusioni Il colza ha dimostrato un’interessante potenzialità fitoestrattiva (~1 kg di metalli ha-1), e la scelta varietale nell’ambito dei nuovi ibridi permetterebbe di raggiungere risultati superiori rispetto alle varietà tradizionali. Anche la scelta della densità di semina influenza sia la fitoestrazione che la fitostabilizzazione in planta, potendo ottenere un miglioramento con maggiori investimenti. In termini di bilancio di massa, il fittone sembra comunque essere un sink secondario, che rilascia gran parte dei metalli entro un anno dalla raccolta della parte epigea. Sulla base del gradiente di concentrazione riscontrato all’interno della radice e ancora in assenza di dati sui fittoni degradati (analisi in corso) non si possono escludere differenze tra i trattamenti nella dinamica di rilascio degli inquinanti. Bibliografia Guo Y. e Marschner H. 1995. Uptake, distribution, and binding of cadmium and nickel in different plant species. J. Plant Nutr., 18: 2691-2706. Tiwari K.K. et al. 2009. Chromium (VI) induced phytotoxicity and oxidative stress in pea (Pisum sativum L.): biochemical changes and translocation of essential nutrients. J. Environ. Biol., 30: 389-394. Vamerali T. et al. 2009. Phytoremediation trials on metal- and arsenic-contaminated pyrite wastes (Torviscosa, Italy). Environ. Pollut., 157: 887-894.

194


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Dinamiche di Mineralizzazione del C e dell’N dopo Ripetute Applicazioni di Liquame: Risultati Preliminari Daniele Cavalli, Pietro Marino, Stefano Occhi, Luca Bechini Dip. di Produzione Vegetale, Facoltà di Agraria, Univ. degli Studi di Milano, IT, luca.bechini@unimi.it

Introduzione L’applicazione ripetuta di reflui zootecnici influenza nel breve periodo la fertilità del suolo e, nel lungo periodo, attraverso l’effetto fertilizzante residuo, influenza la disponibilità di N per le piante (Sørensen, 2004). L’accumulo di sostanza organica che si osserva dopo ripetute applicazioni di reflui nei suoli agrari, è stata studiata in diversi esperimenti di campo (es. Schröder et al., 2005). Tuttavia, negli esperimenti di pieno campo risulta difficile isolare i flussi di azoto nei diversi compartimenti del suolo a causa della contemporanea presenza di altri processi. Gli esperimenti di laboratorio permettono da un lato la stima della mineralizzazione netta dell’azoto derivante dai liquami, senza l’effetto di altre fonti di variabilità, e dall’altro lo studio del destino dell’azoto nei diversi pool del suolo (es. Bechini e Marino, 2009). L’obiettivo dell’esperimento qui descritto è quello di studiare in laboratorio, in condizioni costanti di temperatura e contenuto idrico, le dinamiche di mineralizzazione del C e dell’N in seguito a ripetute applicazioni di due diversi liquami zootecnici, su due suoli con diversa tessitura. Metodologia L’incubazione (tuttora in corso) prevede otto trattamenti, dati dalla combinazione di due suoli e quattro tipi di materiale (due reflui zootecnici e due controlli: acqua e solfato d’ammonio). I due suoli hanno caratteristiche simili ma un diverso contenuto in argilla (4% nel suolo 1 e 31% nel suolo 2). I due reflui (Tabella 1) sono un liquame di manze e uno di vacche in lattazione. L’esperimento presenta uno schema sperimentale completamente randomizzato con tre repliche. Nell’esperimento è adottato il metodo della “nursery” (Thuriès et al. 2000), che prevede misure distruttive nel tempo; il numero totale di unità sperimentali è 840, dato dalla combinazione di 8 trattamenti × 3 repliche × 35 date di campionamento. Ogni unità sperimentale è composta da 100 g di suolo secco, preventivamente preincubato e setacciato a 2 mm. Il set di unità sperimentali è stato diviso in 4 gruppi: il primo gruppo ha ricevuto il liquame una sola volta, il secondo due volte, il terzo tre, l’ultimo quattro. Le applicazioni ripetute sono effettuate ogni 84 giorni (corrispondenti a circa un anno in condizioni di campo). L’incubazione è condotta ad un potenziale idrico del suolo di -50 kPa ed una temperatura di 25°C. Al termine di ogni intervallo di incubazione, sono effettuate le misure di CO2-C respirata, concentrazione di ammonio scambiabile e nitrato, concentrazione di C ed N della biomassa microbica del suolo. Per ogni intervallo, è calcolata la respirazione netta di C proveniente dal liquame, sottraendo la CO2 respirata nel controllo non liquamato dalla CO2 respirata nel suolo liquamato. I valori cumulati sono poi espressi come percentuale del C applicato con il liquame. Per ogni intervallo è stato calcolato l’azoto disponibile per le piante (PAN) come differenza tra l’azoto minerale (NH4 + NO3) nel suolo liquamato e l’azoto minerale nel controllo non liquamato, espresso come percentuale dell’azoto totale applicato con il refluo. L’analisi della varianza è effettuata con il programma SPSS (versione 16.0.2), separatamente per ogni data di campionamento; ciò è necessario poiché le varianze non sono omogenee nell’intero data set (Test di Levene, P<0.05). Tabella 1: Caratteristiche dei liquami bovini utilizzati nella prova di incubazione.

Liquame

Tipo

#1 #2

Manze Bovine da latte

SS (g kg-1) 40 80

C tot. (g kg-1) 143 354

N tot. (g kg-1) 13 39

NH4-N (g kg-1) 3 20

N tot./NH4-N (g g-1) 0.23 0.51 195


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Risultati Nella prima aggiunta (l’unica per la quale i dati sono già disponibili) i due liquami presentano dinamiche di mineralizzazione del C molto differenti: il liquame 1 (manze) respira molto meno del liquame 2 (vacche da latte) in entrambi i suoli (P<0.05); entrambi i liquami presentano una dinamica di mineralizzazione con tassi elevati nel primo periodo, ed una seconda fase con tassi di respirazione più bassi (Fig. 1a). L’effetto del suolo sulla respirazione cumulata di C è trascurabile anche se vi sono differenze significative tra i trattamenti in alcune date. Alla fine del periodo di incubazione (84 giorni), il liquame 1 respira il 15 e il 16% del carbonio applicato sul suolo 1 e 2 rispettivamente; questi valori sono del 44 e del 47% per il liquame 2. Immediatamente dopo l’applicazione dei liquami al suolo, la recovery di azoto minerale (NH4 + NO3) nel suolo 2 è stata del 30% e del 39% per i liquami 1 e 2, mentre gli stessi valori sono del 99 e 94% per il suolo 1 (Fig. 1b). Ciò può essere dovuto in parte a fissazione di ammonio da parte dei minerali argillosi del suolo e in parte ad immobilizzazione microbica. L’azoto minerale (PAN) è rimasto abbastanza costante dopo le prime due settimane di incubazione. Alla fine dell’esperimento, solo il liquame 1 sul suolo 1 presenta valori di PAN superiori all’azoto ammoniacale applicato con il refluo (27% rispetto al 23%). Ciò indica che negli altri tre trattamenti l’eventuale mineralizzazione della quota organica e l’eventuale rilascio dai pacchetti argillosi non sono stati adeguati a controbilanciare il sequestro iniziale. Figura 1: Respirazione netta cumulata (a) e azoto disponibile per le piante PAN (b), per i due liquami nei due suoli.

a)

b)

Liquame #1 Suolo #1

60

Liquame #1 Suolo #2 Liquame #2 Suolo #1

45

Liquame #2 Suolo #2

45

PAN (% N aggiunto)

CO 2-C cumulata (% C applicato)

60

30

30

15

15

0 0

0 0

15

30

45

tempo (giorni)

60

75

90

15

30

45

60

75

90

-15 tempo (giorni)

Conclusioni I dati preliminari finora ottenuti confermano che i due liquami hanno pattern di decomposizione molto diversi. Le analisi del C e dell’N nella biomassa microbica e dell’NH4+ fissato nei pacchetti argillosi, forniranno ulteriori elementi per la comprensione delle dinamiche di mineralizzazione del C e dell’N. Bibliografia Bechini L. e Marino P. 2009. Short-Term Nitrogen Fertilizing Value of Liquid Dairy Manures is Mainly Due to Ammonium. Soil Sci. Soc. .Am. J., 73:2159-2169. Schröder J.J. et al. 2005. Long-term nitrogen supply from cattle slurry. Soil Use and Management 21:196-204. Sørensen P. 2004. Immobilisation, remineralisation and residual effects in subsequent crops of dairy cattle slurry nitrogen compared to mineral fertiliser nitrogen. Plant and Soil, 267:285-296. Thuriès L. et al. 2000. Evaluation of three incubation designs for mineralization kinetics of organic materials in soil. Comm. Soil Sci. Plant Anal., 31:289-304.

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Concimazione del Sorgo da Biomassa con Composta da Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani Eugenio Cozzolino1, Vincenzo. Leone1, Filippo Piro2 1

CRA-CAT, Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, eugenio.cozzolino@entecra.it 2 CRA-ORT, Centro di Ricerca per l’Orticoltura

Introduzione Per efficienza fotosintetica, resa areica di biomassa in rapporto alla durata del ciclo, resa in etanolo dalla fermentazione degli zuccheri del culmo, il sorgo è tra le specie di elezione per le produzioni bioenergetiche (Giovanardi et al., 2008).Un'ulteriore caratteristica positiva a tale riguardo è l'adattabilità ad ambienti di limitate risorse agronomiche. Nell'ambito di un programma per valutare alternative colturali per l'area a tabacchi scuri della Campania abbiamo saggiato anche il sorgo da biomassa, valutando l'impiego come fertilizzante di composta da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), prodotto economico, salvo per trasporto e distribuzione, e utile per migliorare la struttura del suolo. In questa nota riportiamo i risultati del primo ciclo di coltura. Metodologia Il saggio è stato svolto con la cultivar Biomass 133 a Venticano, su un suolo argilloso-limoso, a giacitura leggermente declive, povero di sostanza organica (20 g kg-1), azoto (1 g kg-1) e fosforo (P2O5, 24 mg kg-1), ma ben dotato di potassio scambiabile (366 mg kg-1), precedentemente coltivato a tabacco. La concimazione con composta, eseguita nell'ambito di un piano pluriennale, è stata saggiata a due livelli e confrontata con due trattamenti di controllo: 1. esclusiva, a 40 t ha-1 (pari a 30 t ha-1 di sostanza secca, con un contento NPK pari a 270-150-360 kg ha-1), distribuiti in una volta (C30); 2. mista, a 20 t ha-1 (pari a 15 t ha-1 di sostanza secca, con un contenuto NPK pari a 135-75-180 kg ha-1), distribuiti in una volta e integrati con 50 kg ha-1 di azoto da concime minerale (C15N); 3. controllo fertilizzato con concimi minerali NP 100-80 kg ha-1 (NP); 4. controllo non concimato (niente); Il composta, con requisiti idonei per l'impiego diretto in agricoltura secondo il DLgs 217/06, proveniva dall'impianto GESENU di Perugia ed è stato incorporato nel terreno in aprile con i lavori di preparazione del letto di semina, con i quali sono anche state eseguite le somministrazioni di concimi minerali per i trattamenti C15N e NP (quota intera per il fosforo, 1/3 per l'azoto). La semina è stata eseguita a file spaziate 50 cm nella prima decade di maggio. Dopo il diradamento a 20 piante m2 è stata distribuita la quota residua di azoto. La coltura è stata condotta in asciutto, con una sarchiatura per il controllo delle infestanti. La raccolta è stata eseguita dopo quindici giorni dalla fioritura, stadio limite dell'accumulo di sostanza secca (Peyre, 1979), determinando la resa in biomassa fresca su aree di saggio di 2 m2 e la corrispondente biomassa secca dopo passaggio in stufa a 105 °C per 48 ore. La resa energetica è stata determinata con calorimetro di Mahler. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2009),utilizzando anche funzioni delle estensioni ggplot2 (Wickham, 2009), effect (Fox et al., 2009) e multcomp (Hothorn et al., 2009). Risultati La più alta resa di biomassa fresca (100 t ha-1) è stata ottenuta con la dose minore di composta integrata con azoto minerale (C15N), con un incremento di 33 t ha-1 (+50%) rispetto al controllo non concimato, solo marginalmente superiore alle rese ottenute con solo composta (C30) e solo minerale (NP) (figura 1). In termini di biomassa secca i tre trattamenti concimati hanno fornito rese comparabili (intorno a 27 t ha-1), con un incremento di 4 t ha-1 rispetto al non concimato (+17%) (figura 2). La concimazione si è risolta in parte in un maggiore contenuto di acqua della vegetazione, con una perdita media di resa in secco del 6%, marginalmente maggiore per composta integrato con azoto rispetto a solo composta o solo minerale. La concimazione non ha fatto rilevare effetti sulla resa energetica (intorno a 16 Mj kg-1), 197


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ma attraverso l’aumento della biomassa la produzione equivalente di energia della coltura ha mostrato un incremento di 78 Gj ha-1 (+22%) rispetto al controllo non concimato. Figura 1. Sviluppo della vegetazione, produzione di biomassa, resa in secco, resa energetica e produzione equivalente di energia del sorgo in relazione al tipo di fertilizzazione (NP = minerale 100-80 U ha-1, C15N = composta FORSU (15 t ha-1 + N 50 kg ha-1); C30 = composta FORSU (30 t ha-1). Valori osservati di tre repliche e medie stimate con intervallo di confidenza al 95%.

Figura 2. Contrasti tra i trattamenti di concimazione (significato delle etichette come in figura 1) per sviluppo della vegetazione, produzione di biomassa, resa in secco, resa energetica e produzione equivalente di energia del sorgo. Stime con intervallo di confidenza al 95%.

Conclusioni Le rese di biomassa e di energia equivalente ottenute nell’ambiente considerato competono bene con quelle rilevate in altre prove con sorgo e con quelle di altre specie energetiche e consentirebbero un bilancio economico positivo (Candolo, 2006). Il vantaggio della concimazione appare piuttosto modesto e probabilmente non compensa il costo dell’operazione, almeno per il sorgo in successione a una coltura concimata. Bibliografia Candolo G. 2006. Energia dalle biomasse vegetali: le opportunità per le aziende agricole. Agronomica 4:26-35. Fox J et al. 2009. effects: Effect Displays for Linear, Generalized Linear, Multinomial-Logit, and Proportional-Odds Logit Models. R package version 2.0-7. http://CRAN.R-project.org/package=effects Giovanardi et al. 2008.Il sorgo da fibra:bilancio energetico e aspetti ambientali nella pianura friulana. Atti XIII Convegno Internazionale Interdisciplinare Aquileia - UD, 18-19 settembre 2008. Hothorn T et al. 2008. Simultaneous Inference in General Parametric Models. Biometrical Journal 50:346-363. Peyre B. 1979. Contribution à l'étude du sorgho papetier.Memoire de fin d'étude. Ecole Superiéure Agronomique Pourpan, 114pp. R Development Core Team 2009. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project.org. Wickham H. 2009. ggplot2: An implementation of the Grammar of Graphics. R package version 0.8.3. http://CRAN.Rproject.org/package=ggplot2 198


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

Resa del Tabacco Kentucky Concimato con Composta di Rifiuti Urbani Eugenio Cozzolino1, Vincenzo Leone1, Filippo Piro2 1

CRA-CAT (Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT), eugenio.cozzolino@entecra.it 2 CRA-ORT (Centro di Ricerca per l'Orticoltura, Pontecagnano (SA), IT

Introduzione Si riportano gli effetti della fertilizzazione con composta da rifiuti urbani sul livello di produzione e di qualità del tabacco Kentucky nell'area beneventana, sperimentata nell'ambito di un programma della Regione Campania (DGR 617 del 27.03.09). Metodologia Nel 2009 è stato iniziato un esperimento di fertilizzazione del tabacco Kentucky in due aziende beneventane (De Gregorio e Vesce), applicando a tre cultivar (Riccio beneventano, SKL dell'Impresa Bartolucci e Foiano delle Manifatture Sigaro Toscano) cinque livelli di fertilizzanti 1) Min, azoto minerale; 2) C10, 10 t ha-1 di composta; 3) C20, 20 t ha-1 di composta; 4) C10N, 10 t ha-1 di composta + metà della dose di azoto della modalità Min; 5) C20N, 20 t ha-1 di composta + metà della dose di azoto della modalità Min. La composta, della GESENU di Perugia, aveva il 74% di sostanza secca, il 28% di carbonio organico, il 14% di acidi umicie fulvici, il 2.1% di N totale, il 2% di N organico, lo 0.8% di fosfato, l'1.8% di potassa e un pH pari a 7.9. Pertanto l'azoto fornito è stato (in kg ha-1): Min 135; C10 210; C20 420; C10N 210+70; C20N 420+70. Le unità sperimentali erano parcelle di 30 m2, costituite da quattro file di piante in quadro a distanze di 1 m. Ciascuna azienda ha ospitato due repliche dei trattamenti. L'azoto minerale, anche per le integrazioni all'organico, è stato frazionato, 1/3 alla preparazione del terreno e 2/3 nel primo mese dopo il trapianto. Solo nell'azienda Vesce è stato fornito un supplemento di fosfato (100 kg ha-1). Il trapianto è stato eseguito il 26 maggio. Per la difesa da infestanti, parassiti e malattie sono state eseguite applicazioni di pendimetalin (1, pretrapianto), clorpirifos etile (1), thiamethoxam (1), cymoxanil (2). Per il controllo dei germogli ascellari è stata eseguita un'applicazione di idrazide maleica. La raccolta è iniziata il 18 agosto e si è conclusa il 6 ottobre. La cura è stata condotta in uno stesso locale per entrambe le aziende. Campioni di foglie medio-apicali sono stati valutati per la qualità visuale, con punteggio in scala decimale, e campioni di foglie mediane esaminati per la concentrazione di azoto totale, nicotina e nitrati. Risultati Una cimatura più severa nell’azienda Vesce (in media due foglie in meno per pianta) ha stimolato lo sviluppo della superficie fogliare e l'ispessimento del fusto, in particolare per le cultivar SKL e Riccio, controbilanciando la sensibilità all'eccesso di azoto, manifestata attraverso effetti di sfilamento. L’integrazione della composta con azoto minerale non ha incrementato lo sviluppo delle piante, anzi ha attenuato gli effetti positivi dell’incremento di composta rispetto al livello base. Con l'azoto minerale lo sviluppo delle piante è risultato intermedio rispetto ai livelli conseguiti con i trattamenti a base di composta, integrata o no con azoto minerale. Nonostante la comparabile superficie fogliare per pianta, il minor numero di foglie per pianta nell’azienda Vesce (tre raccolte rispetto alle quattro dell’altra azienda) ha ridotto il livello di resa in prodotto curato, particolarmente per la Foiano, che pure è stata prima per sviluppo vegetativo e ha fornito un livello di resa comparabile alle altre nell’azienda De Gregorio (figura 1). La resa media più alta in tabacco curato è stata fornita dalla SKL, con 370 kg ha-1 più della Foiano e 126 kg ha-1 più della Riccio. L’incremento dell’apporto di composta rispetto al livello base ha avuto un modesto effetto medio sulla produzione: +130 kg ha-1 con C20 rispetto a C10 e +210 kg ha-1 con C20N rispetto a C10N. 199


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Figura 1. Prodotto curato, indice di qualità visuale e rapporto delle concentrazioni nicotina / (N totale + nitrati) in relazione al livello e tipo di fertilizzazione, cultivar e località. Valori parcellari (simboli) e stime medie con intervallo di confidenza al 95% (barre verticali).

L'azoto minerale da solo ha dato una resa sensibilmente più alta rispetto alla composta ad entrambi i livelli (+140/270 kg ha-1) e la quota minerale aggiunta a quest’ultima ha prodotto un incremento di resa maggiore del raddoppio della dose di composta (+380/460 kg ha-1). L'indice di qualità visuale della foglia curata è risultato piuttosto basso (intorno a 6/10) e comparabile tra le cultivar, a causa principalmente di una gestione non del tutto appropriata cura. L’aumento del livello di composta ha mostrato effetti leggermente positivi sulla qualità sensoriale per la SKL e la Foiano, mentre i modesti effetti dell'integrazione minerale sono stati positivi per la prima e negativi per la seconda. Il tenore di nicotina della foglia curata è risultato piuttosto alto (4.5% in media), in particolare per l’azienda De Gregorio, dove anche la concentrazione di azoto totale è risultata sensibilmente più alta, aumentando con l’apporto di azoto minerale, che solo per la cultivar Riccio ha causato un aumento del livello di nitrati nel tabacco curato, risultato scarsamente influenzato dalla concimazione nelle altre due cultivar. Per tutte e tre le cultivar il rapporto tra le concentrazioni di nicotina e azoto è aumentato con il livello di azoto fornito, più per l'aggiunta di azoto minerale, che per l'incremento della dose di composta. Conclusioni In termini di resa in prodotto curato e qualità del prodotto, il tabacco Kentucky sembra beneficiare moderatamente, nel complesso, della composta da rifiuti urbani come fertilizzante. In relazione alla congruità degli impieghi di composta, la risposta sarà verificata con la ripetizione dei trattamenti per un altro anno.

200


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Sequestro Potenziale di Carbonio in Sistemi Colturali Cerealicoli della Collina Marchigiana Giacomo De Sanctis 1, Giovanna Seddaiu 2, Giuseppe Iezzi 3, Marco Toderi 3, Roberto Orsini3, Martina Perugini 3, Pier Paolo Roggero2 1

Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli Studi di Sassari, IT, gdesanctis@uniss.it Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli Studi di Sassari, IT, pproggero@uniss.it 3 Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, IT, m.toderi@univpm.it 2

Introduzione Una delle sfide più importanti dell’agricoltura di questi anni è lo sviluppo di pratiche colturali in grado di aumentare il sequestro di carbonio organico nel suolo (Purakayastha et al. 2008). La scelta del sistema colturale e in particolare l’utilizzo di una bilanciata gestione della fertilizzazione può influenzare in misura molto rilevante il potenziale di incremento del carbonio organico nei suoli agrari (Lal, 2002). Il lavoro aveva l’obiettivo di valutare, attraverso sperimentazioni di campo e modelli di simulazione, l’impatto sulla sostanza organica del suolo di diverse modalità di fertilizzazione azotata nell’ambito di un avvicendamento asciutto frumento duro-mais della collina marchigiana. Metodologia Il modello di simulazione applicato è DSSAT v. 4.5 (Hoogenboom et al. 2004), che include il modulo CENTURY (Porter et al. 2009) per la simulazione della sostanza organica del suolo (SOC). I dati di input del modello derivano dai risultati di una sperimentazione di lunga durata avviata nel 1994 presso l’azienda didattico-sperimentale “Pasquale Rosati” dell’Università Politecnica delle Marche sita ad Agugliano (AN) a 100 m s.l.m. (700 mm di precipitazioni medie annue) su un versante collinare (pendenza: 10-15%) e terreno limo-argilloso. La produzione delle colture, le temperature e le precipitazioni sono state direttamente misurate, la radiazione giornaliera è stata stimata con Radest 3.00 (Donatelli et al. 2003), le caratteristiche chimico-fisiche del suolo sono state determinate su 16 profili pedologici e le costanti idrologiche del terreno sono state stimate in accordo con Saxton e Rawls (2006). A seguito della calibrazione colturale e dell’inizializzazione del carbonio, descritti da De Sanctis et al. (2009), sono stati simulati per 16 anni i diversi trattamenti di fertilizzazione organica e minerale illustrati in tabella 1 al fine di valutare l’influenza della gestione del sistema colturale sulla dinamica della SOC. trattamento N 120-220 Org N 120-222 Min N 140-280 Org N 140-280 Min

Frumento duro 120 120 140 140

Mais 220 220 280 280

Fertilizzazione Organica Minerale Organica Minerale

Tabella 1. Dosi di concime azotato (kg ha-1 N) utilizzate per simulazioni effettuate con il modello DSSAT.

Risultati La riduzione degli input di concime azotato minerale su frumento duro da 140 a 120 kg ha-1 N ha determinato una riduzione nelle rese del 16%, (4,5 t ha-1 vs. 3,8 t ha-1); mentre la sostituzione di concimi minerali con fertilizzanti organici, a parità di dose di azoto distribuito, ha determinato un calo di resa nel frumento di circa il 18% (3,7 t ha-1) e il 24% (2,9 t ha-1) rispettivamente nei trattamenti N 120-220 e N 140-280. Nel caso del mais invece, le differenze di rese colturali sono risultate trascurabili (circa 4,0 t ha-1) per tutti i trattamenti. Questo risultato è stato attribuito alla bassa potenzialità produttiva della coltura in regime asciutto, anche con concimazione convenzionale. 201


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I risultati delle simulazioni indicano chiaramente che la dinamica della sostanza organica nell’orizzonte superficiale (0-30 cm) di suolo è influenzata in maniera significativa dalla tipologia di fertilizzazione (organica vs minerale) e dalle dosi di fertilizzante I risultati mostrano un netto effetto di aumento del contenuto di C organico nel suolo con l’impiego di fertilizzante organico rispetto a quello minerale, a parità di unità di fertilizzante azotato distribuite. La dose di fertilizzante organico è risultata proporzionale al “sink” di carbonio organico nel suolo: l’incremento della dose da 120-220 a 140-280 unità di azoto nell’avvicendamento frumento-mais ha portato ad un aumento del sink di C, con tassi assoluti di circa +2 - +3 kg ha-1 giorno-1 rispettivamente per 120-220 e 140-280.

Kg/ha

140_280 Org= 3.125x - 83369 R2 = 0.99

140_280 = 0.3503x + 15805 R2 = 0.84

120_220 Org= 2.0208x - 43892 R2 = 0.99

120_220 = 0.3026x + 17550 R2 = 0.80

60000 55000 50000 45000 40000 35000 30000 25000

N140-280 Org

N140-280 min

N120-220 Org

2014

2013

2012

2011

2010

2009

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

2001

2000

1999

1998

20000

N120-220 min

Figura 1. Impatto di diverse strategie di fertilizzazione sull’evoluzione del contenuto di C organico nel suolo espresso in kg ha-1 (orizzonte 0-30 cm) nell’avvicendamento colturale frumento duro-mais.

Conclusioni I risultati mettono in evidenza l’importanza strategica dell’impiego dei reflui zootecnici per la gestione conservativa del SOC e fertilizzazione azotata dei sistemi colturali cerealicoli. Tuttavia, questa considerazione non può essere disgiunta dal fatto che la riconversione del sistema di fertilizzazione comporti di fatto la riconversione di tutto il sistema aziendale, l’integrazione della cerealicoltura con le attività zootecniche e quindi anche una variazione degli avvicendamenti colturali. Bibliografia Donatelli M. et al. 2003. RadEst3.00: Software to estimate daily radiation data from commonly available meteorological variables. Eur. J. Agron. 18:363-367. De Sanctis et al. 2009. Dinamica del carbonio del suolo in sistemi colturali cerealicoli di collina. XXXVIII Convegno della SIA - Firenze, pp. 317-318. Hoogenboom et al. 2004. Decision Support System for Agrotechnology Transfer Version 4.0. Volume 1: Overview. University of Hawaii, Honolulu, HI. Lal, R., 2002. Why carbon sequestration in soils. In: Kimble, J., et al. (Ed.), Agricultural Practices and Policies for Carbon Sequestration in Soil. CRC Press, Boca Raton, FL., pp. 21–30. Porter et al. 2009. Modeling organic carbon and carbon-mediated soil processes in DSSAT v4.5. Operations Research: An International Journal. Saxton K. E., and W.J. Rawls 2006. Soil water characteristic estimates by texture and organic matter for hydrologic solutions. Soil Sci. Soc. Am. J. 70:1569-1578. Purakayastha T.J. et al. 2008 Long-term impact of fertilizers on soil organic carbon pools and sequestration rates in maize– wheat–cowpea cropping system. Geoderma 144: 370–378. 202


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Risposta Produttiva ed Ecofisiologica all’Ambiente di Coltivazione della Malva sylvestris L. Sebastiano Delfine, Paola Pinelli, Gennaro Marcellino Dip. di Scienze Animali, Vegetali e dell’Ambiente, Univ. Molise, IT, delfine@unimol.it

Introduzione Le piante officinali sono ricche in principi attivi che hanno diversi utilizzi industriali e domestici. Molte sono le condizioni che possono alterare o modificare la resa quali-quantitativa di queste specie. È noto, infatti, che la tecnica colturale può interferire con le rese delle piante officinali attraverso una mirata gestione: della lavorazione del suolo, delle erbe infestanti e delle necessità idriche e nutritive delle piante. Per alcune specie è noto che anche l’ambiente di coltivazione può modificare la resa in sostanza secca prodotta o in essenza. Molto poco è noto circa gli effetti combinati di ambiente e tecnica colturale sulla qualità e quantità delle rese. Pertanto, a parità di tecnica colturale, ad ogni essenza vegetale può essere assegnato un determinato ambiente che ne possa garantire una buona resa e valorizzare la qualità dell’essenza prodotta. Scopo di questo lavoro è di quantificare gli effetti dell’ambiente di coltivazione sull’accrescimento, l’ecofisiologia e la resa di una coltura di malva. Il lavoro rientra in un progetto più ampio dal titolo: “Progetto di ricerca applicata sulle piante officinali”, finanziato dalla Regione Molise e avente come Ente capofila il Comune di Bagnoli del Trigno (IS). Metodologia La coltura di Malva sylvestris L. è stata allevata in siti molisani caratterizzati da differenti condizioni pedoclimatiche: l’areale costiero (Campomarino (CB), 40 m.s.l.) con suolo argilloso e precipitazioni annue di 750 mm; l’ areale collinare (Acquaviva Collecroce (CB), 400 m.s.l.) con suolo argilloso e precipitazioni annue di 800 mm; l’areale pedomontano (Agnone (IS), 830 m.s.l.) con suolo argilloso e precipitazioni annue di 1000 mm. La specie è stata allevata in parcelle con 5 ripetizioni. La coltura è stata concimata in presemina con 50 unità per ettaro di azoto, 90 di fosforo e 50 di potassio; e in copertura con 50 unità per ettaro di azoto. Il controllo delle malerbe è stato effettuato per mezzo di interventi meccanici (interfila) e scerbature manuali (sulla fila). A fine ciclo colturale sono stati misurati i seguenti parametri agronomici: resa in cimette e fiori, e accumulo di sostanza secca per pianta intera. Inoltre, durante il periodo balsamico, sono stati misurati i seguenti parametri eco-fisiologici: fotosintesi, conduttanza stomatica e del mesofillo fogliare ottenuti con misure contemporanee di scambio gassoso (Licor 6400, Nebraska, USA) e fluorescenza della clorofilla a (Mini PAM, Waltz, Germania), e attività della Rubisco. Risultati L’incremento dell’altitudine ha avuto effetti negativi sulla coltura di malva rispetto agli ambienti di pianura. E’ stato evidenziato, infatti, un decremento della resa per ettaro, del peso secco della pianta e dell’efficienza fotosintetica. Un ulteriore approfondimento di carattere ecofisiologico, ha permesso di discutere i risultati agronomici anche dal punto di vista del movimento di CO2 nella foglia, della quantità di CO2 nei diversi comparti del mesofillo fogliare e dell’attività di enzimi quali la Rubisco. L’ambiente più produttivo è risultato quello di pianura dove le rese sono aumentate di circa il 280% rispetto al sito di Agnone meno produttivo. I maggiori vantaggi negli ambienti costieri potrebbero essere ricercati nei parametri pedo-climatici in grado di assicurare alla pianta condizioni di sviluppo ottimali per garantire un buon metabolismo fotosintetico e una corretta gestione delle risorse idriche presenti nel suolo. Il buon risultato in termini di resa è supportato da un analogo risultato in termini di accumulo di sostanza secca per pianta. Le misure ecofisiologiche e biochimiche chiariscono le motivazioni metaboliche alla base del grande successo degli ambienti pianeggianti. Dall’analisi dei dati riguardanti la fotosintesi, la conduttanza 203


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stomatica, la conduttanza del mesofillo e l’attività della Rubisco si evince un grosso coinvolgimento del metabolismo primario giustificato dal grande incremento percentuale del valore di fotosintesi rispetto al sito meno produttivo di Agnone. L’incremento di fotosintesi è connesso essenzialmente a due fattori: alla maggior quantità di CO2 capace di entrare nella foglia e di raggiungere il sito della Rubisco (aumento sia della conduttanza stomatica che mesofillica) e alla maggior organicazione della CO2 ad opera dell’attività della Rubisco. Tabella 1. Resa in cimette e fiori, sostanza secca accumulata nella pianta intera e fotosintesi durante il periodo balsamico di una coltura di malva allevata secondo quanto riportato nella sezione dei Materiali e Metodi. I valori sono medie ± SE (n = 10) e sono espressi in maniera relativa, come incremento percentuale rispetto al sito meno produttivo di Agnone.

Sito Campomarino Acquaviva

Resa in cimette e fiori media SE. 281.5 23.9 153.1 11.6

Sostanza secca pianta intera media SE 310.6 26.3 176.6 14.9

Fotosintesi media SE 297.6 26.4 176.6 13.3

Tabella 2. Conduttanza stomatica, conduttanza del mesofillo e attività della Rubisco durante il periodo balsamico di una coltura di malva allevata secondo quanto riportato nella sezione dei Materiali e Metodi. I valori sono medie ± SE (n = 10) e sono espressi in maniera relativa, come incremento percentuale rispetto al sito meno produttivo di Agnone.

Sito Campomarino Acquaviva

Conduttanza stomatica media SE 298.5 24.6 138.0 11.1

Conduttanza mesofillo media SE 273.1 26.5 157.5 16.6

Attività Rubisco media SE 290.2 24.8 141.3 13.9

Bibliografia Catizone P. et al. 1986. Coltivazione delle piante medicinali ed aromatiche, Patron Editore, Bologna. Marzi V. et al. 2008. Piante officinali. Coltivazione, trattamenti di post-raccolta, contenuti in principi attivi, impieghi in vari settori industriali ed erboristici, Ricchiuto Editore.

204


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Il Segnale Climatico sulle Produzioni: Interrelazioni tra Strategie Irrigue e Risposte delle cultivars Francesca De Lorenzi1, Antonello Bonfante1, Rodica Tomozeiu2, Cristina Patanè1, Giulia Villani2, Angelo Basile1, Fausto Tomei2, Massimo Menenti3 1

Ist. per i Sistemi Agricoli e Forestali nel Mediterraneo, CNR, Ercolano, IT francesca.delorenzi@cnr.it 2 ARPA-SIMC, Bologna, IT, 3 Delft University of Technology, Delft, NL

Introduzione Il cambiamento del clima è inevitabile ed i sistemi agricoli devono affrontare la sfida dell’adattamento. L’intensità dell’influenza del cambiamento climatico sulla produttività delle colture irrigue dipende dalla disponibilità futura della risorsa idrica. Il lavoro mostra come le scelte di strategia irrigua definiscono gli effetti del segnale climatico ed esplora alcune opzioni di adattamento al clima futuro, esaminando la risposta produttiva al deficit idrico di alcune cvs di pomodoro da industria. Metodologia Il lavoro è svolto in 2 aree di studio: Destra Sele (DS) in provincia di Salerno, e Valpadana (VP) in provincia di Piacenza; in esse sono stati prodotti scenari di cambiamento climatico di temperatura minima, massima e precipitazioni a scala giornaliera, per il periodo 2021-2050. Dalle proiezioni di 5 modelli climatici globali, scenario A1B (Progetto UE Ensembles), sono state elaborate proiezioni climatiche a scala stagionale con tecniche di downscaling statistico (Tomozeiu et al. 2007), utilizzando i dati del grigliato CRA-CMA; le serie giornaliere sono state prodotte da un weather generator. Nel presente lavoro è stata utilizzata una serie temporale rappresentativa dell’insieme dei 5 modelli (Ensemble Mean, EM). E’ stato esaminato anche un periodo climatico attuale (1961-90); i dati sono stati ricavati dal grigliato CRA-CMA. Nei 2 periodi climatici sono state utilizzate le serie temporali di temperature e precipitazioni in corrispondenza del ciclo colturale del pomodoro da industria (maggio – agosto), applicate come condizioni al contorno superiore per simulare i regimi idrici di 25 unità di suolo (in DS) e di una unità parcellare di un’azienda sperimentale in VP, con modelli meccanicistici del sistema suolo-pianta-atmosfera (SWAP, CRITERIA). La coltura è stata sottoposta a 2 differenti gestioni irrigue, ipotizzando: 1) che l’acqua irrigua disponibile consenta di soddisfare completamente il fabbisogno della coltura; 2) che l’acqua sia disponibile in quantità limitata. Nel primo caso l’irrigazione era somministrata quando il potenziale matriciale del suolo era a circa di -800 cm, con un volume irriguo tale da riportare il contenuto idrico dello spessore di suolo esplorato dalle radici alla capacità di campo. Nel secondo caso gli interventi irrigui erano a turno fisso e a volume irriguo stagionale limitato (150 mm in DS, 190 mm in VP). Risultati Le proiezioni stagionali indicano aumenti di temperatura in DS e in VP. La fig.1 mostra le distribuzioni di probabilità delle anomalie di temperatura massima estiva nelle due aree: uno spostamento verso temperature maggiori di circa 2°C è atteso in entrambe, per il periodo 2021-50 rispetto al periodo 1961-90. Il quadro delle variazioni previste per le precipitazioni è più complesso, con differenze intra-annuali; le piogge primaverili varieranno di +25% in VP e -25% in DS, in estate le piogge rimangono invariate in DS e diminuiscono (-20% ) in VP. Il segnale delle variazioni climatiche incide sul bilancio idrico delle colture, e perciò sulla loro

FIG 1 Probability Density Function Tmax estive ENSEMBLE MEAN 1961-1990_P o Valley 1961-1990_Des tra S ele 2021-2050 EM P o Valley 2021-2050 EM Des tra S ele

1.0 0.8 0.6 0.4 0.2 0.0

-3

-2

-1

0

1

2 3 4 5 variazioni di Tmax (°C)

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produttività, in misura diversa in relazione alle strategie irrigue possibili. Quando la risorsa idrica non è limitante, l’aumento previsto della temperatura estiva determina in DS un aumento dei volumi irrigui medi stagionali, mentre in VP essi rimangono invariati (con un incremento dei valori estremi) probabilmente per l’aumento delle piogge primaverili (fig.2). Il segnale climatico si riflette in un aumento di deficit idrico relativo del suolo (SWD) quando la risorsa idrica è limitata. In DS l’SWD raggiunge in alcune unità di suolo il 32% nel 2021-50; in VP la mediana passa dal 40% (1961-90) al 45% (2021-50) (fig.3). FIG 3 Soil Water Deficit periodi 2021-50 e 1961-90 risorsa idrica limitata

FIG 2 volumi irrigui stagionali periodi 2021-50 e 1961-90 risorsa idrica non limitante 2021-50

50

1961-90 Soil Water Deficit (%)

volume irriguo (mm

400

300

200

100

0

2021-50

1961-90

40 30 20 10 0

Destra Sele - unità di suolo

Valpadana

Destra Sele - unità di suolo

Valpadana

produzione relativa

Quando la risorsa idrica è limitata, e il segnale climatico non può essere annullato con un aumento di uso di acqua irrigua, è necessario valutare la possibilità di persistenza delle colture attuali nelle mutate condizioni climatiche, tenendo conto dell’ampia variabilità intraspecifica delle specie agrarie, quindi della diversità dei requisiti pedo-climatici delle cvs. A tal fine è stata analizzata la relazione tra produzione relativa e SWD in 4 cvs di pomodoro, FIG 4 produzione relativa e soil water deficit ed individuati i valori di soglia di SWD (fig.4). Le soglie (45% in Design e Season e 55% in 1.2 Brigade e Sole rosso) sono superiori alle medie di 1.0 SWD simulate sia in DS sia in VP (previsioni 0.8 2021-50). Ma la variabilità delle condizioni 0.6 climatiche nelle serie temporali considerate fa sì 0.4 che l’SWD in alcuni casi possa superare il valore di 0.2 0.0 soglia di 2 cvs. 20

30

40

50

60 70

80

90 100

Conclusioni Soil Water Deficit (%) Nello scenario climatico futuro l’irrigazione cvs Brigade e Sole rosso limitata potrebbe influire negativamente, in alcuni cvs Design e Season SWD DS (max 2021-50) + sd anni, sulla resa di cvs di pomodoro negli ambienti SWD VP (max 2021-50) + sd colturali attuali. Sarà perciò approfondito ed esteso lo studio dei requisiti varietali per l’analisi delle opzioni di adattamento. Le interrelazioni tra strategia irrigua e segnale climatico saranno esaminate considerando più strategie irrigue. Lavoro svolto nell’ambito del progetto “Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici – AGROSCENARI”

Bibliografia Tomozeiu R. et al. 2007. Climate change scenarios for surface temperature in Emilia-Romagna (Italy) obtained using statistical downscaling models. Theor Appl Clim, 90: 25-47.

206


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Produzione dell’Arundo donax in Ambiente Collinare Meridionale Massimo Fagnano, Adriana Impagliazzo, Mauro Mori, Nunzio Fiorentino Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio - Università degli Studi di Napoli Federico II - Via Università, 100; 80055 Portici (Na). Tel 0812539129; fax 0817755129; email: fagnano@unina.it

Introduzione L’interesse verso le fonti energetiche rinnovabili come le colture da biomassa, si rafforza sempre più rientrando nel quadro generale della riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e dei cambiamenti climatici. In questo contesto, l’Arundo donax come biomassa ligno-cellulosica risulta particolarmente interessante perché utilizzabile in processi a diverso livello tecnologico, come combustione diretta, fermentazione anaerobica per la produzione di metano, produzione di etanolo di seconda generazione, substrato per lieviti oleaginosi, materia prima per polimeri biodegradabili. Per far fronte alle esigenze degli impianti industriali, sarebbe necessario occupare decine di migliaia di ettari, sottraendo suoli utili alle colture tradizionali e determinando incrementi dei prezzi delle colture alimentari. Per evitare che l’aumento dei prezzi possa limitare l’accesso al cibo delle popolazioni meno fortunate, le biomasse da energia dovrebbero essere coltivate sui suoli non idonei per le colture alimentari, come ad esempio suoli inquinati e suoli di aree marginali. Tra questi vanno anche considerati gli ambienti cerealicoli Appenninici, nei quali le produzioni di frumento sono tanto basse (20-25 q ha-1) da non compensare i costi di produzione. Inoltre in queste aree la tecnica colturale del frumento (lavorazioni a fine estate ed assenza di copertura vegetale fino a novembre) determina condizioni di estrema vulnerabilità all’erosione che può raggiungere valori di 2-300 t ha-1 di suolo, concentrate soprattutto nei mesi di settembre ed ottobre (Diodato et al., 2009). L’ Arundo donax è particolarmente interessante in quanto perenne, con un’elevata adattabilità pedoclimatica ed elevati livelli produttivi. Inoltre è una specie con impatto ambientale positivo in quanto antierosiva, in grado di stabilizzare pendici grazie alla grande resistenza alla trazione delle radici. Rispetto alle colture annuali necessità di una gestione del suolo limitata ciò potrebbe portare ad un aumento del carbonio organico e di biodiversità nel suolo (Lewandowski, 2006). Infine, le elevate asportazioni di metalli pesanti la potrebbero rendere particolarmente idonea anche per la fitodepurazione di siti inquinati. Prove sperimentali hanno infatti mostrato un recupero di mercurio pari a 8 kg ha-1 e di cadmio pari a 6.2 kg ha-1 in soli 8 mesi (Papazoglou et al., 2007). Metodologia La prova è stata condotta a S.Angelo dei Lombardi (AV), 700 m s.l.m., su suoli argillosi (argilla = 44%, limo = 22%, sabbia = 34%). L’impianto è stato realizzato nel 2004, con una densità di impianto di 1.0 x 1.0 m. Le parcelle sono state sottoposte a tecniche di coltivazione a bassi input energetici: nessuna irrigazione, scerbatura manuale nel 1° anno e falciatura della flora infestante negli anni successivi. A partire dal 2007, sono stati adottati due livelli di concimazione: 50 e 100 kg ha -1 di N. Al fine di favorire la restituzione al suolo dei principali minerali asportati, le raccolte sono state effettuate a fine inverno, dopo il distacco della maggior parte delle foglie. Alla fine del primo (novembre 2004) e del sesto ciclo di crescita (novembre 2009) sono stati effettuati prelievi di suolo negli strati 0-20, 20-40 e 40-60 cm, per verificare le variazioni di accumulo di C nel profilo in seguito alla coltivazione. I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza con disegno a split-plot: anni x concimazione per i dati produttivi ed anni x profondità per i dati del C nel suolo. Risultati Le produzioni di sostanza secca sono state crescenti fino al 5° anno di coltivazione (2009), con valori intorno a 20 t ha-1 (Fig. 1). Nel sesto anno non sono emerse flessioni per le parcelle concimate con 100 kg ha-1 di N, mentre significative riduzioni di produzione sono state riscontrate in quelle concimate con la dose ridotta. 207


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Inoltre, è stato riscontrato un maggiore accumulo di C organico nel suolo in tutti e 3 gli strati esaminati fino alla profondità di 60 cm, naturalmente in maniera più marcata negli strati superficiali (Tab. 1). N50 misurati

25

N100 misurati

t/ha s.s.

20

N50 simulati N100 simulati

15 10

y = -0.9179x2 + 8.7764x - 5.28 R2 = 0.9294

5 0 -5

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

anni dall'impianto

Figura 1. Produzione di Arundo donax misurata nei primi 6 anni e stima della produzione nel 7° ed 8° anno.

Tabella 1. Contenuto % di Carbonio organico nel suolo nel 2004 e nel 2009. Anni Differenza 2009-2004 Strato cm 0-20

0.57

0.95

0.76 a

20-40

0.50

0.86

0.68 b

+0.36

+8.6

40-60

0.46

0.73

0.60 c

+0.27

+6.5

0.68

+0.34

+8.1

0.51 b

2009

media

t ha-1 +9.1

% +0.38

Media

2004

0.85 a

Conclusioni L’Arundo donax negli ambienti collinari ha fatto registrare produzioni elevate confermando la sua notevole adattabilità anche se coltivata senza irrigazione. Con un adeguato apporto di concime azotato (100 kg ha-1) dopo 6 anni non si evidenzia fase calante nella produzione, non consentendo quindi di stimare la durata economicamente conveniente dell’impianto. Invece, in assenza di adeguata concimazione azotata, la durata massima si può stimare in 8 anni. L’apporto di sostanza organica, sia radicale che fogliare, e l’assenza di lavorazioni del terreno hanno favorito l’accumulo di C nel suolo. In totale l’accumulo di C, considerando una densità apparente di 1.2 t m-3, può essere stimato in 24 t ha-1 nella somma dei 3 strati (0-20, 20-40 e 40-60 cm), corrispondenti a circa 5 t ha-1 per anno di C. Pertanto la coltivazione di specie poliennali da biomassa, come la canna comune, può consentire un reddito interessante per le aree collinari, con effetti favorevoli sull’accumulo di sostanza organica. Ciò potrebbe determinare una riduzione dell’erodibilità del suolo ed una sua maggiore protezione da parte della copertura vegetale continua. Un ulteriore effetto positivo sull’ambiente è anche dato dalla immobilizzazione di quantitativi importanti di C nel suolo. Bibliografia Diodato N. et al. 2009. CliFEM – Climate Forcing and Erosion Response Modelling at Long-Term Sele River Research Basin (Southern Italy). Natural Hazard and Earth System Science 9: 1693-1702. Lewandowski I., Schmidt U. 2006. Nitrogen, energy and land use efficiencies of miscanthus, reed canary grass and triticale as determined by the boundary line approach. Agriculture, Ecosystems & Environment 112:335–46. Papazoglou E.G. 2007. Arundo donax L. stress tolerance under irrigation with heavy metal aqueous solutions. Desalination, 211: 304-313.

208


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Effetto della Salinità su Matricaria Chamomilla L. Laura Frabboni, Angela Libutti, Annamaria Tomaiuolo, Grazia Disciglio, Francesca Cristella, Emanuele Tarantino Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, l.frabboni@unifg.it

Introduzione La biosintesi di metaboliti secondari all'interno dei tessuti vegetali delle piante officinali non è controllato solo geneticamente, ma è anche fortemente influenzata dai fattori abiotici (Naghdi Badi et al., 2004) ed è, quindi, considerata una reazione delle piante agli stress ambientali (Berlin, 1988; Lambers et al. 1998). Molteplici sono le molecole organiche coinvolte nella risposta delle piante ai fattori di stress, in grado di svolgere una vera e propria difesa di natura chimica. Gli stress salini, ad esempio, possono incrementare la produzione di principi attivi (antocianine, flavonoidi, alcaloidi, ecc.) da parte dei tessuti vegetali di diverse specie (Selmar, 2008). Nella camomilla (Matricaria chamomilla L.) le variabili ambientali influenzano la resa in oli essenziali e la loro composizione (Mann et al., 1986). Il comportamento di tale specie in condizioni di stress salino non è stato oggetto di approfondimento e, in letteratura, solo pochi studi riportano l’effetto della salinità dell’acqua irrigua sulla caratteristiche morfologiche e sulla composizione degli oli essenziali della camomilla (Afzali et al., 2006; Baghalian et al., 2008; Razmjoo et al., 2008). Alla luce di tali considerazioni, un’attività sperimentale è stata condotta in provincia di Foggia su coltura di Matricaria chamomilla L., con l’obiettivo di valutare l’effetto dell’irrigazione con acqua salmastra, a differenti livelli di conducibilità elettrica, sull’accrescimento, sulla resa in olio essenziale e sul contenuto in alcuni principi attivi della specie. Metodologia L’attività sperimentale è stata condotta in pieno campo, nell’annata 2009/2010, in agro di Manfredonia (FG), su terreno di tipo franco (sabbia 38,1 %, limo 39, 9 %, argilla 22,0%), avente un contenuto in sostanza organica pari al 3,0%, in N del 2,0% e in P2O5 corrispondente a 3,6 ppm. Prima della semina, il terreno è stato sottoposto ad un’aratura profonda 40 cm e ad una successiva fresatura di affinamento. La semina di Matricaria chamomilla L. (varietà tetraploide) è stata eseguita a mano, nella modalità a spaglio, il 29/10/2009, impiegando una quantità di seme pari a 3,0 kg ha-1. I trattamenti sperimentali a confronto sono consistiti in due diversi livelli di conducibilità elettrica (ECW – dSm-1) dell’acqua irrigua (S1 = 4.0 dSm-1 e S2 = 8.0 dSm-1), in aggiunta ad un testimone (T = 0.8 dSm-1), irrigato con acqua di fonte. E’ stato adottato un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 2 ripetizioni, in parcelle di 3,75 x 7,25 m. Gli interventi irrigui sono stati eseguiti in primavera (21/04 e 29/04), al termine del processo di crescita delle piante e hanno apportato, a ciascuna parcella sperimentale, una quantità totale di acqua pari a 10 l. Alla raccolta, eseguita a mano (18/05) quando le piante erano in piena fioritura, sono stati determinati: altezza del fusto (cm), lunghezza delle radici (cm), numero di capolini per pianta, peso fresco e secco dell’intera pianta (g). I capolini sono stati poi sottoposti ad idrodistillazione mediante apparecchio di Clevenger, per estrarne l’olio essenziale. Tutti i dati emersi dalle prove sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA), applicando il test di Tukey. Risultati Dall’analisi dei risultati relativi alla resa in prodotto fresco e secco (fig. 1), è possibile osservare come la tesi P1 abbia raggiunto il più elevato sviluppo, avendo evidenziato valori di PF e PS rispettivamente pari a 350 e 155 g pt-1. La tesi P2, di contro, ha mostrato valori di peso fresco e peso secco significativamente più bassi: 185 e 68 g pt-1. Prendendo in

400

A

350 300 250

B

T

200

P1

D A

150

P2

B

100

D

50 0 PF

PS

Fig. 1 Peso fresco (PF) e peso secco (PS) per pianta, nelle tesi a confronto. 209


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considerazione i parametri relativi all’accrescimento della coltura riportati in tab. 1, risulta evidente che le piante allevate in condizioni di più elevata salinità (tesi P2) hanno fatto registrare una maggiore profondità dell’apparato radicale. Nessuna differenza significativa è stata riscontrata, Tabella 1. Lunghezza della radice (LR - cm); lunghezza relativamente alla lunghezza del fusto, tra le tre tesi a del fusto (LF - cm); numero di capolini (NC); rapporto confronto. Interessante notare (tab. 1) che il più elevato peso secco/peso fresco (PS/PF), nelle tesi a confronto. numero di capolini per pianta è stato raggiunto nella Tesi LR LF NC PS/PF tesi P2; mentre, il rapporto PS/PF è risultato essere migliore nel testimone rispetto alle tesi P1 e P2. T 9.5 BC 77.5 A 47.5 B 0.54 A All’aumentare della concentrazione salina P1 11.5 B 76.0 A 56.5 AB 0.44 AB dell’acqua irrigua, si è ottenuto anche un incremento della resa in olio (tab. 2) che, in P2, è stata pari al 38 P2 13.5 A 78.5 A 62.5 A 0.36 AB I valori seguiti dalla stessa lettera non sono %, significativamente superiore a quelle di T e P1. Il significativamente diversi per P ≤ 0.05, secondo il medesimo trend è stato osservato con riferimento ai principali componenti dell’estratto di oli essenziali Tukey test. analizzato: α-bisabololo, β-bisabololo e camazulene; anche se differenze significative sono state evidenziate solo per il contenuto in βbisabololo che, nella tesi P2, ha raggiunto la concentrazione maggiore, pari al 18.1 %. Conclusioni La tesi irrigata con acqua a più elevata conducibilità elettrica (8 dS m-1) ha fatto registrare buoni risultati relativamente ai parametri di accrescimento, resa in olio essenziale e contenuto in alcuni principi attivi. Il rapporto PS/PF, al contrario, non è stato elevato, probabilmente a causa di una notevole perdita in prodotto durante l’essiccazione. Bibliografia Afzali S.F. et al. 2006. Effects of salinity and drought on germination and growth of Matricaria chamomilla. In: Salamon I. (Ed.), Proceeding of the I International Symposium on Chamomile Research, Development and Production. Presove, Slovak Repulic, 7–10 July. Baghalian K. et al. 2008. Effect of saline irrigation water on agronomical and phytochemical characters of chamomile (Matricaria recutita L.). Scientia Horticulturae, 116, 437–441. Berlin J., 1988. Formation of secondary metabolites in plant cells and its impact on pharmacy. Biotechnology in Agriculture and Forestry, Vol. 4, Y.P.S. Bajaj, ed. Springer, Berlin, Germany. Lambers H. et al. 1998. Plant Physiology Ecology. Springer-Verlag, New York. Mann C., Staba E.J. 1986. The chemistry, pharmacology and commercial formulations of chamomile. In: Craker L.E., Simon J.E. (Eds.), Herbs, Spices and Medicinal Plants: Recent Advances in Botany, Horticulture and Pharmacology. Vol. 1., Food Products Press, pp. 235–280. Naghdi Badi H. et al. 2004. Effects of spacing and harvesting on herbage yield and quality/quantity of oil in thyme, Thymus vulgaris L. Ind. Crop. Prod. 19, 231–236. Razmjoo K. et al. 2008. Effect of Salinity and Drought Stresses on Growth Parameters and Essential Oil Content of Matricaria chamomile. International Journal Of Tabella 2. Resa in olio essenziale (%); contenuto in α-bisabololo (%), β-bisabololo (%) Agriculture & Biology, 10–4, e Camazulene (%). 451-454. Tesi ECw Resa olio α-bisabololo β-bisabololo Camazulene Selmar D. 2008. Potential of T 0 dSm-1 0.30 ab 40.9 a 13.2 c 4.1 a salt and drought stress to increase pharmaceutical significant secondary compounds in plants. Agriculture and Forestry Research, 1/2 (58), 139-144.

P1

4 dSm-1

0.32 ab

44.9 a

16.0 ab

5.3 a

-1

P2 8 dSm 0.38 a 47.8 a 18.1 a 5.7 a I valori seguiti dalla stessa lettera non sono significativamente diversi per P ≤ 0.05, secondo il Tukey test.

Ringraziamenti Si ringraziano il dott. Filippo Taronna ed il Sig. Fabrizio Palumbo per la disponibilità ed il prezioso aiuto mostrati nella conduzione delle prove. 210


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Produttività a Livello Fogliare del Girasole Sottoposto a Differenti Regimi Irrigui e Carbonici Pasquale Garofalo, Michele Rinaldi CRA-SCA, Unità di ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari, IT pasquale.garofalo@entecra.it

Introduzione L’efficienza di una coltura nel convertire l’acqua in biomassa secca (WUE), viene generalmente espressa come il rapporto tra la biomassa (per lo più la biomassa secca totale) e l’acqua utilizzata dalla coltura stessa. Questa metodologia è ampiamente riportata in numerosi lavori (de Wit, 1958; Tanner e Sinclair, 1983), ma un grosso limite deriva dalla scelta del parametro usato come denominatore nel calcolo del WUE, che può essere l’evapotraspirazione della coltura (misurata attraverso vari metodi), la traspirazione, l’acqua consumata dalla coltura normalizzata per il deficit di pressione di vapore o l’evapotraspirazione di riferimento (Steduto e Albrizio, 2005). Inoltre, questo approccio fornisce informazioni generiche, senza migliorare la comprensione dei fenomeni fisiologici coinvolti a livello fogliare e legati essenzialmente all’efficienza d’uso del carbonio (CUE). Obiettivo della ricerca è quello di valutare l’attività fotosintetica e la WUE a livello fogliare in girasole (Helianthus annus L.) in condizioni di diverso rifornimento idrico e di carbonio. Metodologia Sito sperimentale La prova è stata condotta a Foggia (lat. 41° 8’ 7’’ N; long. 15° 83’ 5’’ E, alt. 90 m s.l.m) nel 2009. Il suolo è un vertisuolo di origine alluvionale, Typic Calcixeret (Soil Taxonomy 10th ed., USDA 2006), limo-argilloso, con una quantità di acqua disponibile pari a 202 mm m-1. Il clima è “accentuato-termoMediterraneo” (classificazione Unesco-FAO), con temperature sotto lo 0 °C in inverno e superiori a 40 °C in estate. Le piogge annuali (550 mm) sono concentrate nei mesi invernali e l’evaporato di classe “A” supera i 10 mm-1 giorno in estate. Prova sperimentale Il girasole è stato seminato l’8 maggio e raccolto il 28 agosto. L’investimento è stato di 7.5 piante per m2 e la concimazione è stata effettuata in presemina, fornendo 2 q ha-1 di fosfato biammonico. L’irrigazione a goccia, con gocciolatori da 2 L h-1, ha previsto un’ala gocciolante per ogni interfila; ogni qualvolta l’evapotraspirazione della coltura, calcolata con lisimetri a pesata, raggiungeva 60 mm, veniva distribuita l’acqua irrigua. Le tesi sperimentali sono state diversificate sospendendo l’irrigazione al raggiungimento di tre fasi fenologiche specifiche; inizio fioritura (IF), fine fioritura (FF) e riempimento acheni (RA). Sono stati distribuiti in totale 162 mm per IF, 282 mm per FF e 402 mm per RA. Misurazione scambi gassosi La misurazione degli scambi gassosi è avvenuta per tutte le tesi 7 giorni dopo la sospensione dell’irrigazione (3 rilievi) usando un analizzatore di gas agli infrarossi LCpro plus (ADC, Bioscientific, LTD), provvisto di una camera fogliare specifica per colture a foglia larga (6.25 cm2), lampada emittente nel PAR a 1500 µmol m-2 s-1 e impostando 5 valori di concentrazione di CO2: valore ambientale 380 e incrementi successivi pari a 450, 580, 680 e 760 ppm. Risultati In Fig. 1a emerge come la concentrazione di CO2 nei tessuti fogliari (ci) aumenti in maniera lineare con l’incremento di CO2 (cref), senza differenze tra le tesi irrigue. Anche il tasso di fotosintesi netta (A, µmol m-2 s-1), correlato significativamente con ci (Fig. 1b) non ha mostrato differenze significative tra le diverse tesi irrigue. I valori di A, mediamente per i tre regimi irrigui, sono oscillati da 14.7 a 41.9 µmol m-2 s-1 per valori di concentrazione di CO2 da 380 a 760 ppm. 211


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La conduttanza stomatica (gs), si è diversificata in funzione del regime irriguo e del cref, passando da un valore minimo di 0.2 mol m-2 s-1 nella tesi IF con cref ambientale, a 1.0 mol m-2 s-1 nella tesi RA con un valore di cref pari a 769 ppm. Variazioni della conduttanza stomatica hanno influenzato in maniera significativa (Fig. 1c) la traspirazione fogliare (E ), con valori medi pari a 4.8 mol m-2 s-1 nelle tesi RA ed FF e 3.8 mol m-2 s-1 in quella meno irrigata (IF). La WUE (mmol mol-1), calcolata come rapporto tra A ed E, è variata linearmente con la concentrazione di CO2 nell’ambiente, ma non è apparsa influenzata dal regime irriguo (Fig. 1d); la WUE è triplicata al raddoppiare della CO2 ambientale, passando da un valore medio per le tre tesi di 3.3 a 9.3 mmol mol-1. 600

6

a

ci = 0.6119cref 450

c

2

5 -2

E (mol m

ci (ppm)

-1

s )

R = 0.9706

300

150

3 2

E= -4.4521gs + 7.2239gs + 1.9466 R2 = 0.8708

2

0

0

0

300

600

900

0.0

0.6

0.9

1.2

-1

gs (mol m s )

10

60 2

A = -0.0003ci + 0.3362ci - 49.708 2

R = 0.9232

8

WUE = 0.0116cref R2 = 0.9017

WUE

-2

-1

(mmol mol )

45

-1

A (u mol m s )

0.3

-2

cref (ppm)

30

15

0

b

5

3

d

0

0 150 600 0 300 600 Figura 1. Componenti della300 fotosintesi450 osservate su girasole sottoposto a 3 regimi irrigui IF (rombi), FF ci (ppm) (quadrati) e RA (triangoli). Per il significato, fare riferimento al testo. cref (ppm)

900

Conclusioni Questa ricerca ha evidenziato come i parametri legati alla produttività a livello fogliare nel girasole, quali fotosintesi netta e WUE, sono abbastanza costanti, anche in condizioni di moderato stress idrico. Nette sono risultate, invece, le variazioni positive legate agli incrementi di CO2. Questo approccio, può fornire valide indicazioni per l’attività modellistica, specie se orientata alla simulazione di scenari climatici futuri, per i quali si prevede un incremento della concentrazione dei CO2 nell’atmosfera, attraverso l’utilizzo di relazioni che tra parametri fisiologici e concentrazione di CO2. Bibliografia De Wit C.T. 1958. Transpiration and crop yield. Agricultural Research Reports 64.6, Wageningen, Pudoc, 88 pp Steduto P., Albrizio R. 2005. Resource use efficiency of field-grown sunflower, sorghum, wheat and chickpea. II. Water Use Efficiency and comparison with Radiation Use Efficiency. Agric. For. Meteorol., 130: 269-281. Tanner C. B., Sinclair T. R 1983. Efficient water use in crop production: research or re-search. In: Limitations to Efficient Water Use in Crop Production (H. M. Taylor, W. R. Jordan and T. R. Sinclair eds) American Society of Agronomy, Madison, WI.

212


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Valutazione dell’effetto del Deficit Idrico sulla Composizione delle Proteine di Riserva del Frumento Duro Mediante un Approccio Proteomico Marcella Michela Giuliani, Marianna Pompa, Luigia Giuzio, Michele De Santis, Annalisa Mentana, Carmen Palermo, Diego Centonze, Zina Flagella Dip. di Scienze Agroambientali, Chimica e Difesa vegetale, Univ. Foggia, IT, m.giuliani@unifg.it

Introduzione La qualità tecnologica del frumento duro dipende essenzialmente dalla quantità e dalla qualità delle proteine di riserva accumulate durante il processo di maturazione della cariosside. Entrambe le componenti possono essere influenzate da fattori ambientali e genetici. Negli ambienti mediterranei il deficit idrico, spesso associato ad un’elevata temperatura, è uno dei più frequenti fattori limitanti la produzione del frumento duro. Poco nota è l’influenza dello stress idrico sulla sintesi delle gliadine e delle glutenine. L’analisi proteomica è un efficace strumento per valutare l’espressione genica nelle diverse condizioni ambientali. Nell’ambito del progetto FAR-AGROGEN del MiUR, il nostro gruppo di ricerca si è proposto di valutare, mediante un approccio proteomico, l’effetto dello stress idrico sulla composizione delle proteine del glutine. Metodologia La prova sperimentale è stata realizzata in vaso in camera di crescita, nel corso dell’anno 2009, presso il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura (CRA-CER) di Foggia. Per la prova è stato utilizzato un disegno sperimentale randomizzato con due ripetizioni e due fattori, mettendo a confronto due varietà (Ciccio e Svevo) e due trattamenti idrici (controllo e stressato). Le tesi fino alla fase di fioritura sono state allevate in condizioni idriche ottimali intervenendo al 50% dell’acqua disponibile per riportare il terreno alla capacità idrica di campo (CIC). Dalla fioritura sono stati differenziati i due trattamenti idrici: ad un controllo allevato in condizioni idriche ottimali, riportando ad ogni intervento irriguo il terreno alla CIC, è stato affiancato un trattamento “stressato” in cui il terreno è stato riportato al 70% dell’acqua disponibile. Quaranta giorni dopo l’antesi le cariossidi sono state raccolte, macinate e dallo sfarinato sono state estratte le proteine di riserva, secondo la metodica riportata da Hurkman e Tanaka (2004). Le proteine di riserva sono state separate mediante elettroforesi bidimensionale 2D (IEF x SDS PAGE), come riportato da Ferrante et al. (2008), e sottoposte ad analisi d’immagine mediante il software ImageMaster 2D Platinum 6.0 (Amersham). Le differenze significative tra gli spot differenzialmente espressi tra i due trattamenti idrici, nell’ambito di ciascuna varietà, sono state evidenziate mediante l’applicazione del test t. Alcuni spot specifici e/o differenzialmente espressi tra i trattamenti sono stati prelevati ed analizzati mediante nano-HPLC-ESI-MS/MS. Gli spettri ottenuti sono stati valutati mediante il software “Biotools 3.2 (Bruker Daltonics) e l’identificazione delle proteine è stata eseguita mediante ricerca in banca dati utilizzando il server MASCOT (www.matrixscience.com). Risultati I gel sono risultati caratterizzati da un’elevata riproducibilità e da una buona risoluzione degli spot. In media in ogni gel sono stati identificati 106 spot: 103 nel Ciccio, sia nel controllo che nel trattamento stressato, e, nello Svevo, 108 e 111 rispettivamente nel controllo e nel trattamento stressato. Relativamente alla varietà Ciccio, nel trattamento stressato (fig. 1b) si è evidenziata la presenza di 8 spot specifici (11, 12, 13, 99, 153, 190, 222, 225), appartenenti per lo più alla zona a basso peso molecolare. Di questi 3 sono stati analizzati mediante spettrometria di massa: gli spot 11 e 12 sono risultati essere frammenti di un precursore della γ-gliadina, mentre lo spot 13 un frammento di una LMW-GS. Sempre per la varietà Ciccio, l’analisi di immagine ha evidenziato 13 spot maggiormente espressi nel trattamento stressato rispetto al controllo (fig. 1a e b) di cui 3 appartenenti alla zona ad alto peso molecolare (63, 70 e 74), 4 alla zona in cui generalmente si separano le ω-gliadine (1, 101, 102 e 213


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103) e 7 alla zona a a b più basso peso molecolare (7, 135, 137, 147, 152 e 163). Di questi spot due sono stati analizzati mediante spettrometria di massa e sono risultati essere una ω-5-gliadina (spot 1) ed un frammento di una glutenina a Fig.1 Gel di riferimento Ciccio Controllo (a) e Ciccio Stressato (b) basso peso molecolare (spot b a 7). Per la varietà Svevo (fig. 2a e b), nel trattamento stressato si è evidenziata la presenza di 15 spot specifici, di cui 3 spot appartenenti alla zona ad alto peso molecolare (70, 73 Fig.2 Gel di riferimento Svevo Controllo (a) e Svevo Stressato (b) e 75), tre alla zona di separazione delle ω-gliadine (101, 103, 104) e 9 alla zona a più basso peso molecolare (3, 5, 111, 114, 116, 130, 176, 196 e 217). Di questi lo spot 5 è stato analizzato mediante nano-HPLC-ESI-MS/MS ed è risultato essere una α-gliadina. Inoltre, per la varietà Svevo, l’analisi di immagine ha evidenziato 20 spot sovraespressi nel trattamento stressato di cui solo uno appartenente alla zona ad alto peso molecolare (71), due (94 e 96) alla zona delle ω-gliadine e 17 (2, 4, 6, 168, 172, 174, 180, 182, 183, 190, 192, 195, 202, 213, 214, 223 e 225) alla zona a basso peso molecolare. Per gli spot 4 e 6 si è proceduto anche all’identificazione mediante spettrometria di massa e sono risultati appartenere entrambi ad un frammento di α-gliadina appartenente al Triticum turgidum spp. dicoccoides. Conclusione Il deficit idrico imposto in fase di granigione sulle varietà di frumento duro oggetto di studio ha comportato variazioni nella composizione delle proteine di riserva valutate mediante un approccio proteomico. In particolare esso ha indotto una maggiore espressione di γ- ed ω-gliadine in Ciccio e di αgliadine in Svevo. Ulteriori studi saranno condotti, sia allo scopo di identificare altre proteine, sia per correlare variazioni nella composizione delle proteine di riserva indotte dal deficit idrico alle prestazioni tecnologiche della granella. Bibliografia Hurkman William. J., Tanaka Charlene. K. 2004. Improved methods for separation of wheat endosperm proteins and analysis by two-dimensional gel electrophoresis. Journal of Cereal Science 40: 295-299. Ferrante P., et al. 2006. A protomic approach to verify in vivo expression of a novel γ gliadin containing an extra cysteine residue. Proteomics (2006) 6: 1908-1914.

Ringraziamenti Il lavoro è stato svolto nell’ambito del Progetto FAR-AGROGEN del MiUR. Coordinatore prof. Donato Pastore

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Influenza della temperatura e del contenuto idrico del terreno sul tasso di emissione di CO2 Paolo Guarnaccia, Giorgio Testa, Giovanni Scalici, Salvatore Luciano Cosentino Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali - Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania, Italia, paolo.guarnaccia@unict.it

Introduzione L'attività agricola partecipa al contenimento del livello della CO2 atmosferica attraverso la fissazione del carbonio nei composti organici prodotti dalle colture. I prodotti agricoli sono in gran parte destinati al consumo, e quindi tendono a restituire all'ambiente, in tempi più o meno brevi, le sostanze che hanno in precedenza accumulato; piccole variazioni del contenuto di sostanza organica del terreno, in virtù della sua distribuzione quantitativa e dei tempi necessari per la sua mineralizzazione, potrebbero, invece, riflettersi in cospicue riduzioni od incrementi del livello della CO2 atmosferica. Il rilascio di CO2 dal terreno verso l'atmosfera avviene attraverso la respirazione della parte ipogea delle piante, la respirazione dei microrganismi e la decomposizione della sostanza organica. Al fine di stabilire gli interventi da attuare per il mantenimento di un ottimale contenuto di sostanza organica nel terreno, è necessario approfondire le conoscenze sui flussi di carbonio all'interno dell'agroecosistema e dei fattori ambientali e tecnici che li influenzano (Guarnaccia et al., 2003). Sulla base di tali premesse è stata condotta una ricerca con lo scopo di studiare l'influenza esercitata dalla temperatura e dalla disponibilità idrica del terreno sulle emissioni di CO2. Metodologia Lo studio è stato condotto presso la Facoltà di Agraria di Catania nei mesi di luglio ed agosto 2004. Il terreno aveva un contenuto di sabbia, limo e argilla pari rispettivamente a 64,8, 23,3 e 11,7%. Il contenuto di sostanza organica dei primi 20 cm di profondità era pari a 2,8%. Il contenuto di umidità era mantenuto intorno alla capacità di campo (20% del volume). La densità apparente era di 1,21 g cm-3, mentre la porosità era pari a 53,6%. I rilievi sulla respirazione del terreno sono stati eseguiti utilizzando una camera in alluminio con una lunghezza di 63,5 cm, una larghezza di 52 cm ed un altezza di 20,5 cm, collegata ad un analizzatore portatile di gas all'infrarosso (LI-6200, LI-COR, Lincoln, Nebraska, USA) predisposto per effettuare una lettura ogni 3 secondi durante un periodo di tempo fissato pari a 20 secondi. Il rilievo veniva ripetuto per 5 volte. Il tasso di scambio di CO2 dal terreno ( Rt ) è stato calcolato, in accordo con la legge ideale dei gas ed assumendo il valore della pressione pari a quello atmosferico, attraverso la formula Rt = [(ΔCO2 / Δt) (V/RT )] / A, dove Rt (µmoli CO2 m-2 s-1) = tasso di respirazione del terreno; ΔCO2 / Δt (µmoli moli-1 s-1) = tasso del cambiamento della concentrazione di CO2 durante il rilevamento; V (49140 cm-3) = volume totale del sistema (volume della camera, dei tubi e dell'analizzatore di gas); R (cm3 atm. moli-1 K-1) = costante dei gas pari a 82,054; T (°K= 273,15 + °C) = media della temperatura assoluta dell'aria rilevata all'inizio e alla fine del rilievo all'interno della camera; A (0,33 m2) = superficie occupata dalla camera (Guarnaccia et al., 1993) Condizioni ambientali differenziate sono state ottenute per la temperatura, effettuando i rilievi in diverse ore del giorno e riscaldando artificiosamente il terreno attraverso l'effetto determinato da una lastra di vetro posta sulla camera aperta; per il contenuto idrico, effettuando dei rilievi successivi su una parcella irrigata precedentemente sino a raggiungere la capacità idrica massima, sempre durante le ore più calde della giornata al fine di mantenere costante la temperatura del terreno (in media 26,4°C). Risultati Il range di temperature osservato è risultato compreso tra 22°C e 44°C. La respirazione del terreno è risultata essere influenzata positivamente dalla temperatura e la relazione è stata descritta utilizzando la seguente funzione polinomiale di secondo grado: y=14,739-0,818x+0,018x2 (Figura 1). 215


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Ad un aumento delle temperature da 22°C a circa 36°C è corrisposto un incremento pressoché costante del tasso di emissione di CO2 che è passato da 6 a circa 9 µmoli m-2 s-1. Un ulteriore incremento della temperatura fino a circa 44°C, anziché determinare un decremento del tasso di respirazione ha provocato un brusco innalzamento dei valori del tasso di respirazione che ha raggiunto 14 µmoli m-2s-1. Il contenuto idrico del terreno è oscillato tra il 10 e il 40% del volume apparente. La respirazione del terreno è risultata essere influenzata positivamente dall'incremento del contenuto idrico fino ai valori corrispondenti alla capacità di campo. Il tasso di emissione di CO2 è, infatti, aumentato da 3 a 7 µmoli di CO2 m-2 s-1 con il variare del contenuto di umidità dal 10 al 22% (Figura 2). Successivamente, un ulteriore incremento del contenuto idrico fino ai valori massimi registrati, ha determinato un decremento Figura 1. Respirazione del terreno in relazione a differenti del tasso di respirazione fino quasi ad temperature del terreno. annullarsi intorno a valori pari al 40% di umidità. Dalla relazione tra il contenuto idrico del terreno e la respirazione, descritta dalla funzione polinomiale di secondo grado y=-4,69+1,03x-0,02x2, si evince una stretta influenza della porosità libera dall'acqua sul flusso di CO2 dal terreno verso l'atmosfera. Conclusioni Le relazioni tra temperatura e contenuto idrico del terreno con le emissioni di CO2 descritti nel presente lavoro possono costituire un valido punto di partenza per la definizione di modelli di simulazione che possano consentire di valutare il ruolo dei fattori ambientali nel monitoraggio delle emissioni di CO2 del suolo. Queste conoscenze insieme a quelle relative agli effetti degli interventi agronomici di gestione del suolo possono rappresentare, inoltre, efficaci indici di sostenibilità con cui valutare l’impatto ambientale dei sistemi colturali. Bigliografia

Figura 2. Respirazione del terreno in relazione a differenti contenuti idrici del terreno.

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Guarnaccia P. et al. 1993. Measuring photosynthesis and respiration of reproductive organs of field grown maize (Zea mays L.). Rivista di Agronomia, 27, 4:382-391. Guarnaccia P. et al. 2003. Emissione di CO2 dal terreno in condizioni ambientali ed agronomiche diversificate. Atti XXXV Convegno Società Italiana di Agronomia, Napoli 16-18/9/03,.9192.


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L’Approccio “Farming System” e Statistico per l’Individuazione delle Aree Agricole ad alto Valore Naturalistico (HNVF): il Caso di Studio della Toscana Giulio Lazzerini, Concetta Vazzana Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell'Ambiente, Univ. Firenze, IT, Giulio.lazzerini@unifi.it

Introduzione L’interesse verso le aree agricole ad alto valore naturale nasce all’inizio degli anni ’90 con l’introduzione del concetto di “High Nature Value Farmland” (HNVF). Nel 2003 Anderson identifica 3 tipologie di HNVF: il Tipo 1 e 2 identifica le aree agricole con una elevata copertura vegetale seminaturale e una bassa intensità di gestione; il Tipo 3 identifica le aree agricole sulle quale sono presenti specie o gruppi di specie rare. Nel 2008 Paracchini et al. hanno definito una metodologia per identificare le HNVF che parte dalla selezione di alcune classi d’uso del suolo. Tale metodologia presenta numerose criticità, infatti non considera: l’intensità di gestione delle aree agricole (approccio farming system); le informazioni sulle infrastrutture ecologiche (approccio paesaggistico); le informazioni sulla presenza di specie rare. In Europa sono state fatte esperienze significative sulla identificazione delle HNVF che approfondiscono l’approccio “farming system” come in Francia (Pointereau et al. 2007) e nelle Regioni della Vallonia in Belgio e della Repubblica Ceca (Samoy et al. 2007). Interessante è l’esperienza sviluppata in Inghilterra sull’approccio delle specie (specie target uccelli) (Porter, 2008). Aspetto ancora poco studiato, riguarda poi, la definizione di misure gestionali per le HNVF. Esistono numerose esperienze a livello internazionale (del Royal Society for the Protection of Birds – RSPB inglese; dell’Istituto per la fauna Selvatica – INFS italiano), che hanno necessità di essere validate a livello locale. In questo lavoro viene presentato il caso studio della Toscana con la definizione di una metodologia di identificazione delle HNVF utilizzando l’approccio “farming system” e statistico (Samoy et al., 2007), il quale è stato confrontando con l’approccio della copertura del suolo (Paracchini et. al, 2008) e con quello delle specie (Porter, 2008). Per gli habitat agricoli più significativi individuati all’interno delle HNVF, sono definiti criteri e misure di gestione. Metodologia La Metodologia “farming system” e statistica utilizzata è quella modificata da Samoy et al. (2007) e parte dal presupposto di considerare tre aspetti, evidenziati in Fig.1, ai fini della definizione delle HNVF (IEEP, 2007a). Su questa base sono stati scelti 3 indicatori: 1: “Diversità colturale”, 2: “Pratiche estensive”, 3: “Elementi del Paesaggio”. Ogni indicatore è composto di più sub-indicatori, ognuno dei quali ha un valore fra 0 e 1. Ogni indicatore è stato calcolato a livello di comune ed a ciascuno è stato attribuito un valore compreso fra 1 e 10 punti. La mappa finale delle HNVF è stata prodotta attraverso la somma dei tre indicatori utilizzati e il punteggio massimo raggiungibile è di 30. Sono state fissate due soglie per identificazione delle HNVF: -la prima è stata fissata a 12 punti (Pointereau, 2007); - la seconda è stata fissata a 15 punti (come valore medio fra il punteggio minimo di 1 e 30 massimo). Sulla base degli indirizzi gestionali relativi all’esperienza del RSPB e dell’INFS, sono state definite le principali misure di conservazione e di gestione degli habitat agricoli individuati all’interno delle HNVF. Risultati Confrontando l’approccio “farming system” e statistico (1), con quello della copertura del suolo (2) e e quelle delle specie (3), si evidenzia una difformità nell’identificazione delle aree HNVF in Toscana

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Caratteristiche di bassa intensità di gestione: - animali/ha - input/ha

Alta percentuale di vegetazione seminaturale: - siepi, boschi

Alta diversità di copertura del suolo: - seminativi - foraggere

Figura 1. Le caratteristiche chiave per l’identificazione della HNVF

(Fig.2). Queste hanno riguardato in particolare la non identificazione, con l’approccio “farming system” e statistico, di alcune aree HNV nella Toscana meridionale. La cartografia elaborata con tale approccio e con quello delle specie identificano le stesse aree come potenziali HNVF (Fig.2). 1

2

3

Figura 2. Cartografia delle aree HNVF ottenute con metodologie diverse in Toscana

Per gli habitat agricoli presenti all’interno delle HNVF sono state definite misure di conservazione/gestione che implicano una validazione a livello locale. Conclusioni Il lavoro svolto ha consentito di verificare che a livello europeo non esiste una metodologia univoca per la definizione delle HNVF, ma esistono invece diverse tipologie di percorsi metodologici, che partono tutti dalla conoscenza della copertura del suolo. La metodologia “farming system” e statistica applicata consente di integrare la copertura del suolo con l’intensità di gestione e con la presenza di elementi del paesaggio e di definire quindi le HNVF. Deve essere approfondita l’analisi di specie target attraverso cui identificare le HNVF di Tipo 3 così come proposte da Anderson nel 2003. Bibliografia Andersen, E et al. 2003. Developing a High Nature Value Indicator. Report for the European Environment Agency, Copenhagen, accessed through http://eea.eionet.europa.eu/Public/irc/envirowindows/hnv/library IEEP, 2007a. HNV Indicators for Evaluation, Final report for DG Agriculture, (Contract Notice 2006-G4-04), IEEP, London. Paracchini M.P, et al. 2008. High Nature Value Farmland in Europe An estimate of the distribution patterns on the basis of land cover and biodiversity data - EUR 23480 EN – 2008 Pointereau, P., et al. 2007. Identification of High Nature Value farmland in France through statistical information and farm practice surveys, Report, EUR 22786 EN. 62 pp. Porter, K., 2008. Experiences of Developing HNV indicators in England Keith Porter Natural England, UK RSPB: www.rspb.org.uk/farming Samoy D., et al. 2007. Validation and Improvement of High Nature Value Farmland Identification National Approach in the Walloon Region in Belgium and in the Czech Republic - EUR 22871 EN – 2007

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Gestione Irrigua delle Acque Salmastre e Valutazione del Rischio di Salinità Angela Libutti, Massimo Monteleone Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, a.libutti@unifg.it

Introduzione Il rischio di salinizzazione secondaria del suolo, strettamente connesso con l’impiego irriguo di acque salmastre, aumenta con l’intensificarsi dei sistemi colturali; così, ad esempio, il passaggio da avvicendamenti biennali (in cui le specie irrigue primaverili-estive si coltivano ad anni alterni) a coltivazioni consecutive di specie che prevedono il sistematico ricorso all’irrigazione, accresce notevolmente la probabilità che l’accumulo salino nel suolo raggiunga livelli insostenibili ai fini agricoli. Le risultanze della prova sperimentale eseguita hanno consentito di elaborare un modello generale e sintetico di lisciviazione (valido per l’ambiente pedo-climatico in cui la prova stessa è stata condotta). L’impiego del modello e la sua applicazione a dati pluviometrici pluriennali (1921-2003), ha consentito di procedere ad una valutazione del rischio di salinità con riferimento a diverse strategie di gestione irrigua aziendale. Definiamo “rischio di salinità” la probabilità (nel nostro caso riferita ad una periodicità annuale) che nel suolo si realizzi un accumulo salino superiore ad una soglia ritenuta compatibile per la gran parte delle colture (o per quelle meno sensibili). Materiali e Metodi L’attività sperimentale è stata condotta, nel triennio 2007-2010, nell’ambito del contesto produttivo di un’azienda agricola ad indirizzo cerealicolo-orticolo, situata in agro di Manfredonia (FG). Una superficie di terreno di 300 m2 è stata ripartita in 3 identiche ed adiacenti parcelle. Al centro di ciascuna di esse è stata realizzata una vasca (superficie = 50 m2; profondità = 0.7 m), opportunamente allestita per il recupero delle acque di drenaggio. L’avvicendamento colturale adottato ha visto l’alternarsi di specie primaverili-estive (pomodoro, zucchino e peperone) a colture autunno-vernine (spinacio, cavolo broccolo e frumento). A ciascuna parcella è corrisposto un trattamento irriguo differenziato che ha previsto l’adozione di diversi rapporti di lisciviazione, impiegando allo scopo acqua salmastra e, solo in un caso, anche una limitata disponibilità di acqua dolce (≤ 200 mm annui). La rilevazione dei volumi irrigui e di drenaggio, nonché la misura del loro contenuto salino, ha consentito di eseguire un bilancio idro-salino (Libutti et al., 2008), dalla cui elaborazione è derivato un modello empirico di lisciviazione. In particolare, tramite analisi della covarianza (Ancova), il valore del rapporto di salinità (SR, %) è stato espresso in funzione del rapporto di lisciviazione (L, %). SR è la frazione di sali allontanati dalle acque di drenaggio (SOUT) rispetto alla somma di quelli già presenti nel suolo (S0) ed apportati (SIN) con l’irrigazione (termini espressi in t ha-1); L è la frazione di acqua lisciviata (D) rispetto alla somma delle acque di pioggia (R) e di quelle irrigue (I) complessivamente apportate al suolo (termini espressi in m3 ha-1). Per la valutazione del rischio di salinità, sono state messe a confronto diverse strategie di gestione irrigua: regime idrico che non prevede alcun leaching intenzionale; apporti idrici liscivianti pari a 200 e 400 mm di acqua, realizzati mediante l’impiego di acqua salmastra e di acqua dolce; inserimento biennale di colture irrigue estive nell’ambito dell’avvicendamento colturale. Si è partiti, inoltre, dal presupposto che lo scopo di un’adeguata gestione irrigua delle acque salmastre è quello di raggiungere una condizione di equilibrio tra la quantità di sali apportati con l’irrigazione rispetto a quelli allontanati con la lisciviazione, mantenendo il contenuto salino del suolo al di sotto di un adeguato valore soglia (S0). Tale soglia è quantificabile intorno a 17.5 t ha-1 di sali (ECe = 5.0 dS m-1). Considerando che un apporto irriguo stagionale di circa 500 mm di acqua salmastra (ECw = 5.0 dS m-1) si traduce in un apporto annuo di sali (SIN) pari a 16.0 t ha-1, lo stesso ammontare di sali deve essere allontanato dal profilo del suolo attraverso la lisciviazione (SOUT). Se l’acqua salmastra viene impiegata anche ai fini liscivianti, nei quantitativi di 200 e 400 mm, il carico salino complessivo del suolo diviene allora pari a 22.4 e 28.8 t ha-1, rispettivamente. Per chiudere in “pareggio” il bilancio salino annuale è quindi necessario conseguire un preciso valore di SR dato dalla seguente espressione: SR = 100*SOUT / 219


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA probabilità di superare il valore di Y 99 98 95 90

400

80 70 60 50 40 30 20

10 5

2 1

A = Lisciviazione con acqua dolce 3

200

2

0

1

-200

Y - deviazione rispetto al bilancio salino (mm)

-400 -600 1 2

400

5 10

20 30 40 50 60 70 80

90 95 98 99

99 98 95 90

80 70 60 50 40 30 20

10 5

2 1

B = Lisciviazione con acqua salmastra

200

(S0+SIN). Ad esso corrisponde un particolare valore, Leq, definito percentuale di lisciviazione all’equilibrio. Leq, a sua volta, consente di determinare il valore annuale di drenaggio che assicura la condizione di equilibrio salino nel suolo, Deq = Leq * (R+I) / 100. Il bilancio dei sali può essere assicurato solo se il drenaggio effettivamente realizzatosi nel corso dell’anno (Dact) è superiore (od al limite uguale) al valore del drenaggio di equilibrio (Deq), ossia: Dact ≥ Deq o, in altri termini, ΔD = Dact-Deq ≥ 0. Una carta di probabilità di ΔD è stata, dunque, calcolata con riferimento alle diverse strategie di gestione irrigua precedentemente descritte, considerando le precipitazioni annuali del periodo 1923-2001 a Manfredonia, ottenendo così una simulazione del “rischio di salinità”.

3

Risultati I risultati dell’Ancova hanno consentito di definire un 1 -200 unico modello lineare che descrive quantitativamente il processo di leaching: SR = L * 1.375 (P < 0.001; R2 = -400 0.93). Il valore di SR è pari al 48 % in assenza di leaching intenzionale, al 56 ed al 62 % quando 200 e -600 400 mm di acqua salmastra vengono impiegati per 1 2 5 10 20 30 40 50 60 70 80 90 95 98 99 eseguire la lisciviazione. A tali valori di SR 99 98 95 90 80 70 60 50 40 30 20 10 5 2 1 corrispondono valori di Leq pari a 35, 41 e 45 %, 400 C = Avvicendamento colturale biennale 2b rispettivamente. 2a 200 La Fig. 1 riporta la carta probabilistica del rischio di 1 salinità connesso alle diverse strategie di gestione 0 irrigua ipotizzate. È possibile osservare (Fig. 1 A e B, linea 1) la condizione di assoluta insostenibilità della -200 mancata applicazione del leaching (ΔD < 0). Analoga condizione è osservabile in caso di leaching con 200 -400 mm di acqua salmastra (Fig. 1B, linea 2). Allo stesso -600 quantitativo di acqua dolce corrisponde, invece, un 1 2 5 10 20 30 40 50 60 70 80 90 95 98 99 rischio di salinità pari al 90 % (Fig. 1A, linea 2). probabilità di non superare il valore di Y L’impiego di 400 mm di acqua lisciviante riduce notevolmente il rischio: al 5 % nel caso di acqua dolce Figura 1. Rischio di salinità connesso alle (Fig. 1A, linea 3); al 40 % nel caso di acqua salmastra diverse strategie di gestione irrigua. (Fig. 1B, linea 3). Infine, con riferimento al sistema di avvicendamento biennale, il rischio di salinità è del 70 % in assenza di leaching (Fig. 1C, linea 1); del 40 e 10 % se gli apporti idrici liscivianti vengono realizzati con 200 mm d’acqua salmastra (Fig. 1C, linea 2a) e dolce (Fig. 1C, linea 2b), rispettivamente 0

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Conclusioni Al fine di prevenire un eccessivo accumulo salino nel suolo e garantire il bilancio annuo fra sali apportati con l’irrigazione ed allontanati con le acque di drenaggio, una strategia fortemente raccomandata è quella di ridurre la frequenza di coltivazione delle specie irrigue a ciclo primaverileestivo, facendole ritornare sullo stesso terreno una volta ogni due anni. Bibliografia Libutti A. et al. 2008. Hydrosalinity balance to monitor soil salinity at field scale due to brackish irrigation water. Option Méditerranéennes, A, 84, 301-309. La presente ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Progetto CLIMESCO, D.D. del 20/02/2006 prot. n. 285). 220


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Desalinizzazione di un Suolo Mediante Lisciviazione: Analisi Dinamica Lungo il Profilo Angela Libutti, Massimo Monteleone Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, a.libutti@unifg.it

Introduzione Per procedere al recupero produttivo di terreni affetti da salinità secondaria (salini ma non sodici) è imprescindibile procedere alla lisciviazione dei sali contenuti in eccesso. Ciò si ottiene mediante un apporto eccedentario di acqua rispetto alla capacità di trattenuta idrica del suolo. Di rilevante interesse tecnico, ai fini progettuali, è definire la quantità complessiva di acqua che dovrà essere impiegata al fine di rimuovere una data quantità di sali rispetto ad una particolare profondità di riferimento. L’approccio di carattere empirico si basa su prove “in situ”, ossia eseguite direttamente sul suolo. Tali verifiche sperimentali consentono, nella generalità dei casi, nel predisporre la cosiddetta “curva di lisciviazione” (Libutti et al., 2009). Essa esprime la relazione funzionale che sussiste fra la frazione residuale dei sali nel suolo e l’entità relativa della lisciviazione. Il vantaggio di esprimere tale relazione in termini relativi anziché assoluti è quello di definire un modello più generale di comportamento: i sali residui presenti nel suolo dopo l’azione lisciviante sono infatti quantificati in rapporto alla loro concentrazione iniziale, prima della lisciviazione; l’altezza dell’acqua di drenaggio è invece espressa in rapporto alla profondità di suolo da essa attraversata lungo il profilo. Diversamente, un più rigoroso approccio scientifico farebbe appello alle conoscenze relative alla dinamica dei flussi idrici nel suolo ed agli effetti che essi esplicano sul movimento dei soluti. Il presente lavoro cerca di riconnettere i due suddetti approcci proponendo un semplice modello dinamico di simulazione mediante il quale è possibile “costruire” la “curva di lisciviazione” del suolo attraverso la definizione di parametri più aderenti alle caratteristiche idrologiche del suolo stesso. Materiali e Metodi La sperimentazione è stata condotta su 12 contenitori cilindrici (Ø=0.4 m, H=1.20 m), assimilabili a dei “lisimetri a drenaggio” in quanto provvisti inferiormente di uno scarico per il recupero dell’acqua di percolazione, oltre che di sei aperture laterali, distanziate di 0.20 m lungo la verticale. Servendosi delle suddette aperture, alle profondità di 0.20, 0.40 e 0.60 m, sono stati inseriti degli estrattori di soluzione circolante del suolo (operanti alla tensione di -0.3 bar). I contenitori, collocati al di sotto di una tettoia, erano riempiti con un terreno già precedentemente impiegato per diversi cicli di coltivazione e salinizzato a seguito dell’apporto di acque irrigue salmastre. Un Sflux_Max processo di lisciviazione è stato quindi indotto sul terreno nudo, ossia privo di copertura vegetale: ciascun lisimetro (mediante un Sflux_In gocciolatore della portata di 1 l h-1) ha ricevuto una quantità totale d’acqua (non salmastra) pari a 300 mm, ripartita in 20 mm al giorno nell’arco di 15 giorni. Sono stati giornalmente rilevate le conducibilità elettriche delle acque di drenaggio e della soluzione Sx ε circolante del suolo (pore water) alle tre profondità. Ai dati sperimentali è stato applicato un semplice modello dinamico in grado di simulare il processo di lisciviazione. Sono stati Sflux_Out considerati quattro strati orizzontali consecutivi di suolo (S20, S40, S60 ed S80), tutti del medesimo spessore (0.20 m) ed aventi la K stessa costituzione. Il modello calcola il flusso di sali che si Figura 1. Diagramma del modello trasferisce da uno strato al successivo a mezzo del movimento dinamico che interpreta i flussi verticale dell’acqua; in corrispondenza di ciascuno strato, si esegue idro-salini lungo il profilo del il bilancio fra i sali in ingresso (provenienti dall’alto) e quelli in suolo. Un solo, generico livello di uscita (trasferiti verso il basso), secondo una essenziale profondità è considerato (Sx). strutturazione “a cascata”. Il flusso salino è prevalentemente influenzato dal parametro K, denominato salt mixing efficiency, il quale, moltiplicato per la 221


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Concentrazione relativa di sali residui (-)

Conducinilità elettrica della "pore water" (dS m-1)

conducibilità elettrica del suolo ad ogni livello di riferimento, determina la quantità potenziale di sali che si allontana dallo strato considerato (Fig. 1). Il suo valore è 5 inferiore all’unità; il valore limite unitario (K=1) 0 identificherebbe una condizione teorica di “effetto lisimetro ad elevata salinità (H) pistone” esercitato dall’acqua entrante sull’acqua in 30 uscita. Si è assunto, inoltre, che la concentrazione salina 0.20 m del flusso in uscita da un definito livello di suolo 25 0.40 m (Sflux_Out) sia anche condizionata dalla concentrazione 0.60 m 20 del flusso salino in entrata nel compatimento medesimo (Sflux_In): tanto maggiore è il grado di salinità di 15 quest’ultimo (rispetto ad un definito parametro di saturazione Sflux_Max), tanto minore sarà la capacità del 10 primo di trascinare con sé elevati quantitativi di sali, 5 secondo un coefficiente ε denominato leaching efficiency, uguale a (Sflux_Max – Sflux_In) / Sflux_Max, anch’esso 0 (come K) sempre inferiore all’unità. Il modello, in ultimo, 0 50 100 150 200 250 300 necessita in input anche dei valori iniziali di conducibilità Altezza d'acqua drenata (mm) elettrica del suolo alle 4 profondità di riferimento (variabili di stato), nonché della conducibilità dell’acqua Figura 2. Applicazione del modello e confronto impiegata per la lisciviazione (assunta pari a circa 1 dSmfra dati misurati e curve di simulazione alle tre 1 ). In ultimo, si assume che la conducibilità elettrica del profondità. 1,2 flusso idrico in uscita dallo strato S80 sia corrispondente alla K = 0.02 conducibilità dell’acqua di drenaggio. 10

lisimetro a bassa salinità (L)

1,0

K = 0.03

0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0,0

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

Altezza relativa d'acqua drenata (-)

Figura 3. Curve di lisciviazione relative alla tesi H, ponendo a confronto due diversi valori del parametro K; il tratteggio indica la banda di confidenza.

Risultati I 12 lisimetri sono stati ripartiti in tre gruppi da 4, distinguendoli in base alla conducibilità elettrica media del suolo lungo il profilo e discriminando fra condizioni di elevata (H), media (M) e bassa (L) salinità (ECe media pari a 25.0, 14.0 e 4.2 dSm-1, rispettivamente). La Tab. 1, mostra i valori medi assegnati ai parametri del modello, con riferimento ai tre gruppi lisimetrici. La Fig. 2 riporta i risultati dell’applicazione del modello a due tesi, ad alta (H) e bassa (L) salinità iniziale. Infine, la Fig. 3 riproduce la “curva di lisciviazione” ottenuta mediante applicazione del modello alla tesi H, ponendo a confronto due valori di K (0.02 e 0.03).

Conclusioni I risultati delle simulazioni mostrano una buona capacità del modello ad adattarsi ai dati Tabella 1. Valori assegnati ai parametri del modello sperimentali. Il parametro K è quello Parametri H M L in grado d’influenzare maggiormente Soil_Init 25.0 ± 2.4 14.0 ± 1.1 4.2 ± 0.3 la conformazione della “leaching Sflux_In 1.0 1.0 1.0 curve”, accentuando la quantità di sali Sflux_Max 120.0 ± 18.0 60.0 ± 9.0 12.0 ± 1.8 rimossi dal suolo al crescere del suo K (*1000) 20.0 ± 3.0 25.0 ± 3.8 30.0 ± 4.5 valore e a parità di drenaggio. Bibliografia Libutti et al. 2009. Elaborazione di una “Leaching curve” ai fini delle valutazione della capacità lisciviante delle piogge. Atti XXXVIII Convegno SIA. Firenze, 20-22 settembre 2009, 129-130. La presente ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Progetto CLIMESCO, D.D. del 20/02/2006 prot. n. 285).

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Effetti dell’irrigazione con Acque Reflue Urbane Depurate e Clorate su Coltura di Lattuga e sul Suolo Antonio Lonigro, Pietro Rubino Università di Bari - Dip. Scienze delle Produzioni Vegetali - Via Amendola 165/A, 70126 Bari - ITALY Tel.: (+39) 0805443479 - Fax: (+39) 0805442976 e-mail: a.lonigro@agr.uniba.it

Introduzione Le acque reflue urbane, se opportunamente trattate, possono essere utilizzate per l’irrigazione, rappresentando una valida alternativa alle acque convenzionali, nelle zone aride e semi-aride. Tuttavia, il riuso irriguo di acque reflue urbane depurate può comportare problemi sia di natura igienico-sanitaria che agronomica. Mentre i problemi legati alla contaminazione microbiologica sono stati diffusamente studiati e considerati come avviati a risoluzione, al contrario quelli legati alla presenza nelle acque reflue di sostanze chimiche, organiche ed inorganiche più svariate, sono lontani dalla risoluzione. I rischi legati all’uso delle acque reflue a scopo irriguo sono molteplici ed essenzialmente attribuibili a due ordini di fattori: il primo riguarda la contaminazione dei suoli agrari con eventuali effetti fitotossici e/o di contaminazione della catena alimentare, il secondo la contaminazione delle acque del sottosuolo (Leoni e Fabiani, 1985). Pochissimo si conosce sulle conseguenze dell’uso di reflui clorati, infatti, è noto che l’effetto del cloro residuo, presente nelle acque dopo il trattamento di disinfezione, risulta tossico per la maggior parte delle colture già a concentrazioni di 0,2 mgL-1. L’uso di cloro in acque contenenti sostanze organiche porta alla formazione di trialometani (THM) e di altri sottoprodotti alogenati (TOX), alcuni dei quali, potenzialmente cancerogeni e mutageni (Verlicchi e Masotti, 2002). Più alta è la dose e il residuo di cloro utilizzato come disinfettante, maggiore sarà il numero di sottoprodotti che si formano. Metodologia Per approfondire il problema della formazione di sottoprodotti tossici del cloro, il Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali dell’Università di Bari, ha condotto due diverse prove sperimentali su piantine di lattuga allevate in vasi in PVC ed irrigate con acque a valori crescenti di cloro residuo, sotto tettoia in vetro, per evitare l’eventuale effetto diluizione delle acque meteoriche. Nella prima prova sono stati confrontati due diversi tipi di terreno, uno tendenzialmente sabbioso e l’altro tendenzialmente argilloso. Le tesi a confronto sono state: un testimone irrigato con acqua di rete e 4 tesi irrigate con acqua contenente 0,2 – 10 e 40 mg L-1 di cloro residuo in soluzione. La quantità di acqua somministrata per ogni intervento irriguo è stata pari a 1 L/vaso, ed è stata data quando si esauriva la riserva idrica facilmente utilizzabile dalla pianta. La seconda prova è stata effettuata sempre su coltura di lattuga, allevata sugli stessi terreni, utilizzando solo acqua di rete, per evidenziare un’eventuale effetto memoria. Per entrambe le prove, alla raccolta sono stati prelevati campioni di terreno su cui determinare i composti organici alogenati estraibili (Extractable Organic Halogen) (EOX). Risultati Nella prima prova, le piantine di lattuga (Lactuca sativa L.), dal trapianto fino all’attecchimento (circa 15 giorni) sono state irrigate 4 volte con acqua di rubinetto, poi sette successivi interventi irrigui sono state effettuati con acqua clorata. Le piante coltivate su terreno sabbioso, fin dalla prima irrigazione con acqua clorata, hanno mostrato sintomi di sofferenza, le tesi 10 e 40 hanno evidenziato gravi danni. Le piante di lattuga allevate sul terreno limoso-argilloso, invece, hanno mostrato i primi sintomi, solo a partire dalla quarta irrigazione con acqua clorata. L’intensità dei sintomi è risultata direttamente proporzionale alla concentrazione di cloro libero nell’acqua di irrigazione. 223


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I valori di EOX trovati nei due tipi di terreno, riportati nel grafico 1, evidenziano che, nel terreno limoso-argilloso, a causa del maggior contenuto in sostanza organica, sono quasi doppi rispetto a quelli del terreno sabbioso con incrementi nelle tesi 0,2 e 10, mentre non si è rilevata una significativa differenza tra la tesi 10 e 40. Nella seconda prova, utilizzando lo stesso terreno della prova precedente, le piante coltivate su terreno irrigato nel ciclo precedente con acqua contenente 10 e 40 mg L-1 di cloro, hanno evidenziato danni subito dopo la prima irrigazione. I valori degli EOX trovati sul terreno alla fine della seconda prova sono rimasti sostanzialmente invariati (Grafico 2). 250

250

Sabbioso

Sabbioso

Argilloso

EOX (μg Cl Kg di terreno secco)

200

-

200

150

-1

150

-

-1

EOX (μg Cl Kg di terreno secco)

Argilloso

100

100

50

50

0

0

0

0

0.2

10

40

0.2

10

40

Tesi

Tesi

Grafico 1. EOX presenti nei due tipi di terreno utilizzati utilizzati nella seconda prova.

Grafico 2. EOX presenti nei due tipi di terreno nella prima prova

Conclusioni I risultati ottenuti, sebbene richiedano ulteriori approfondimenti, appaiono in linea con quanto è stato riscontrato nelle prove in campo (Lonigro, 2006) a Cerignola (FG) e pertanto hanno consentito alcune considerazioni utili per la gestione dell’irrigazione con acque reflue urbane depurate. Dalla valutazione degli EOX determinati sul suolo, è emerso che nel terreno sabbioso i composti organo-alogenati subiscono un incremento trascurabile all’aumentare delle dosi di cloro utilizzate nell’acqua irrigua ed sono comunque notevolmente inferiori rispetto a quelli presenti nel terreno argilloso, a dimostrazione che il fenomeno è legato alla presenza della sostanza organica contenuta nel suolo. La seconda prova, condotta sullo stesso terreno utilizzato nel primo ciclo colturale, irrigando le piante di lattuga con sola acqua di rubinetto ha evidenziato un certo “effetto memoria” dovuto alla presenza nel terreno di sottoprodotti del cloro formatisi durante il ciclo precedente; tale effetto che si protrae nel tempo, è stato confermato dalla presenza di dosi elevate di EOX delle tesi che hanno ricevuto irrigazioni con acque addizionate con 10 e 40 mg L-1 di Cloro. Quindi, si può dire che sebbene la risorsa idrica rappresentata dalle acque reflue urbane depurate sia una valida alternativa all’irrigazione con acque convenzionali, l’uso di cloro come disinfettante in dosi massicce (eccedenti 0,2 mgL-1), può comportare, a medio e lungo termine, problemi di tossicità alle piante e di accumulo nel terreno. Bibliografia Leoni V. e Fabiani L., 1985. Inquinanti organici nelle acque reflue da impiegarsi a scopo irriguo: aspetti legislativi e tossicologici relativi a pesticidi, ftalati, policlorodifenili. Commissione per l’irrigazione del ministero dell’Agricoltura e Foreste. Ricerca svolta nell’ambito dei lavori della IV Sottocommissione per lo studio dell’utilizzazione delle acque reflue, salmastre e calde. Lonigro A., 2006. Studio sugli aspetti igienico-sanitari connessi al riutilizzo di acque reflue urbane depurate a scopo irriguo. Tesi di Dottorato di Ricerca in “Agronomia Mediterranea” XVIII Ciclo, Università di Bari. Verlicchi P. e Casotti L., 2002. Sistemi “convenzionali” e sistemi “naturali”di disinfezione delle acque reflue. Ed.Franco Angeli.

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Impatto di Colture Agri-energetiche sulla Biodiversità Edafica Cristina Menta, Paola Baldino, Federica Delia Conti, Alan Leoni Dip. Biologia Evolutiva e Funzionale, Sez. Museo di Storia Naturale, Univ. Parma, cristina.menta@unipr.it

Introduzione La percezione del comparto suolo come risorsa naturale non rinnovabile sulla scala temporale umana viene riconosciuta da qualche decennio a livello internazionale. Inoltre, al suolo vengono riconosciute funzioni essenziali dal punto di vista ambientale (produzione di biomassa, stoccaggio e trasformazione di elementi minerali e organici nonché di energia, regolazione del ciclo delle acque sotterranee, scambio di gas con l’atmosfera) oltre ad essere il supporto per la vita ed una riserva di biodiversità. Risulta quindi indispensabile proteggerlo e mantenerne la fertilità. Inserito nel progetto Seq-cure, nato per rispondere alle problematiche energetico-ambientali legate all’approvvigionamento energetico, finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Life III Ambiente e coordinato dal CRPA di Reggio Emilia, il presente studio ha avuto lo scopo di valutare l’impatto sulla biodiversità del suolo di apporti di diversi concimi a colture per biomasse destinate alla conversione bioenergetica. Metodologia L’area di studio si trova nel comune di San Pancrazio (PR) e fa parte dell’Azienda Agricola Sperimentale Stuard di Parma. I campionamenti sono stati effettuati a maggio ed a ottobre 2009, periodi ottimali per lo studio della pedofauna. Sono state prese in considerazione quattro colture a scopo energetico: panicum e triticale (campionate in primavera), sorgo e mais (in autunno). Per ogni coltura sono state analizzate 3 tesi di concimazione: compost -C-; liquame suino -L-; chimico, nitrato ammonico -CH-, rispetto ad un controllo (non concimato -NC-) (Fig. Figura 1. Schema di campo per le parcelle 1). In ogni parcella sono state prelevate 3 zolle di terreno, di dimensioni di 10x10x10 cm, dalle quali sono stati estratti i microartropodi attraverso il selettore Berlese-Tüllgren. Le seletture sono state quindi osservate allo stereomicroscopio, gli organismi rinvenuti sono stati identificati a livello di ordine (classe per i miriapodi) e contati. La qualità biologica del suolo è stata espressa attraverso l’applicazione dell’indice QBS-ar (Parisi et al., 2005; Menta et al., 2008) e il rapporto tra acari e collemboli (Bachelier, 1986). Le differenze nei valori di biodiversità (descritta dagli indici di diversità di Shannon-Wiener -H’e di equiripartizione -evenness, E-) e nelle abbondanze relative degli ordini di microartropodi osservati nei quattro trattamenti considerati sono state valutate utilizzando il test PERMANOVA (Permutational Multivariate Analysis of Variance; Anderson, 2001; Anderson, 2005). Risultati Il popolamento di microartropodi delle 4 colture esaminate è caratterizzato dalla presenza di diversi gruppi, tra cui alcuni ben adattati alla vita ipogea (pauropodi, sinfili, dipluri, proturi). Nelle colture di panicum, sorgo e mais si può notare sostanzialmente un aumento delle forme biologiche, nonché delle densità degli organismi, nelle tesi trattate con concimi di origine organica, quali compost e liquami (Tab. 1). In queste stesse parcelle si è riscontrata, inoltre, la presenza di collemboli maggiormente adattati alla vita nel suolo. E’ possibile attribuire questi risultati alla maggiore quantità di sostanza organica presente sul suolo. I valori di QBS-ar sono per tutte le colture piuttosto elevati se confrontati con i risultati ottenuti in ambienti agricoli, soprattutto per le tesi con concimazione

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organica. In genere si riscontra una diminuzione dei valori in corrispondenza delle parcelle trattate con concime chimico (Fig. 2). Tabella1. Numero di Forme Biologiche e rispettive Densità (espresse in d/m2)

In particolare nel mais sono stati osservati risultati di QBS-ar più elevati rispetto a quelli ottenuti in studi precedenti (Leoni, 2003; Menta et al., in press). Valori dell’indice di questa entità sono dovuti presumibilmente a due fattori: da un lato il fatto che il mais fosse stato già raccolto lasciando al suolo residui organici come fonte di sostanza organica; dall’altra parte, la pratica agricola di rotazione con colture che mantengono la copertura durante l’inverno (come la loiessa) mantiene le caratteristiche del suolo buone promuovendo un “effetto eredità”. Infatti solo in questa coltura sono stati osservati i proturi, organismi primitivi estremamente adattati alla vita ipogea.

Figura 2. Valori di QBS-ar nelle diverse colture e nei diversi trattamenti

Conclusioni La gestione sostenibile degli agroecosistemi considerati e, quindi, la promozione della rotazione tra le colture e la concimazione organica utilizzando residui vegetali e animali, non ha avuto impatti negativi rilevanti sul popolamento edafico. In effetti, è stato osservato un significativo numero di gruppi, di cui alcuni aventi caratteristiche morfologiche di adattamento alla vita ipogea ed una discreta densità. L’indice di qualità biologica del suolo QBS-ar conferma sostanzialmente questa condizione con valori piuttosto elevati rispetto a quelli precedentemente osservati nei sistemi agricoli. Questo testimonia che le pratiche sostenibili possono almeno in parte tutelare il comparto suolo, permettendo di non alterare importanti equilibri funzionali che in esso hanno sede. Bibliografia Anderson M.J. 2001. A new method for non-parametric multivariate analysis of variance. Austral Ecol, 26: 32-46. Anderson M.J. 2005. PERMANOVA: a FORTRAN computer program for permutational multivariate analysis of variance. Dep. of Statistics, Univ. Auckland, New Zeland Bachelier G. 1986. La vie animale dans le sol. ORSTOM, Paris: 171-196. Leoni A. 2003. Effetti dei fanghi di depurazione sul popolamento edafico. Tesi di Laurea, Univ. Parma Menta C. et al. 2008. Nematode and microarthropod communities: comparative use of soil quality bioindicators in covered dump and natural soils. Env. Bioind, 3(1): 35-46. Menta C. et al. In press. Does compost affect microarthropod soil communities? F. E. B. Parisi V. et al. 2005. Microarthropod communities as a tool to assess soil quality and biodiversity: a new approach in Italy. Agr. Ecosyst. & Ecol, 105: 323-333.

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Influenza Della Frigoconservazione Sul Contenuto Di Antiossidanti Nel Capolino Di Carciofo (Cynara Cardunculus L Subsp. Scolymus (L) Hegi) Maria Grazia Melilli, Salvatore Antonino Raccuia CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, salvatore.raccuia@cnr.it

Introduzione Il carciofo (Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hegi), è un ortaggio dalle ben note caratteristiche nutrizionali legate al contenuto proteine, inulina, polifenoli e flavonoidi (Melilli et al., 2004a,b, Melilli et al., 2007). La parte edule del capolino è costituita dal ricettacolo fiorale e dalle brattee più interne (cuore), ricco sostanze fenoliche (Raccuia e Melilli, 2007) che influenzano la qualità nutrizionale, il colore e il sapore dei cibi di origine vegetale durante i processi di conservazione e trasformazione industriale dei prodotti ortofrutticoli (Aydemir, 2004). Tra i metodi di conservazione dei prodotti ortofrutticoli freschi, la conservazione con il freddo è da sempre considerata una tecnica priva di rischi per il cibo, la caratteristica peculiare del freddo è infatti quella di rallentare l'attività enzimatica e biochimica (respirazione, maturazione, ecc.) e quindi un rallentamento dei processi degenerativi. In questa nota si riportano i risultati relativi alla variazione del contenuto in acidi fenolici totali in relazione a differenti temperature di frigoconservazione dei capolini di carciofo Metodologia La prova è stata effettuata utilizzando la cultivar di carciofo “Violetto di Sicilia”. I capolini sono stati raccolti allo stadio “D” di sviluppo e selezionati, per avere un prodotto di pezzatura uniforme. In laboratorio sono stati suddivisi in 3 frazioni; la prima è stata sottoposta ad analisi, mentre le altre due, dopo immersione in acqua al 2% di acido ascorbico a temperatura ambiente per 30 minuti, sono stati riposti all’interno di sacchetti di polietilene trasparenti forati per essere conservati una frazione in cella frigorifera a temperatura di 4 ±1°C e l’altra frazione a 8 ±1°C. Per ogni temperatura allo studio, a cadenza settimanale, su 3 repliche, ognuna costituita da 5 capolini, è stato determinato sul cuore e sulle brattee esterne, il contenuto di polifenoli totali per via spettrofotometrica, col metodo Folin-Ciocalteu (Macsimov et al., 2005). La lettura è stata effettuata alla lunghezza d'onda di 730 nm e il contenuto è espresso in mgGAE kg-1 p.f.. Tutti i dati sono stati sottoposti all'analisi della varianza previa misura dell’omogeneità della varianza mediante il test di Bartlett. In caso di ‘F’ significativo, le medie sono state confrontate con il metodo della Differenza Minima Significativa (DMS) o con il test di Student Nuwman Keuls (SNK). I valori percentuali sono stati preventivamente trasformati in arcsen % (Snedecor e Cochran, 1989). Risultati Nella media delle due temperature e dei giorni di conservazione il contenuto in acidi fenolici totali è risultato pari a 573 mgGAE kg-1 p.f. nel cuore e 1,020 mgGAE kg-1 p.f. nelle brattee esterne. Alla raccolta il contenuto in acidi fenolici totali era pari a 851 mgGAE kg-1 p.f. (cuore) e 1307 mgGAE kg-1 p.f. (brattee). L’effetto della temperatura sui capolini conservati è stato marcata a partire dalla seconda settimana di conservazione. Nel cuore infatti, dopo una settimana di conservazione, sia a 4°C che a 8°C è stato registrato un calo percentuale del 56 (4°C) e 73 % (8°C) rispetto al campione non conservato. Alla temperatura di 4°C dopo due settimane di conservazione è stato osservato un picco di 1,153 mgGAE kg-1 p.f., mente a 8°C è proseguito un trend di degradazione per tutto il periodo della prova (Fig. 1). Stesso trend è stato registrato per il contenuto in acidi fenolici delle brattee. Alla temperatura di 4°C dopo un primo calo del 9% rispetto al campione non conservato, picchi di 1,191 e 1,621 mgGAE kg-1 p.f sono stati registrati la seconda e la terza settimana di conservazione. Un decremento pari a circa il 30% rispetto al campione non conservato è stato registrato dopo 4 settimane di 227


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frigoconservazione. Alla temperatura di 8°C già dopo una settimana di conservazione il contenuto in acidi fenolici, pari a 678 mgGAE kg-1 p.f, risultava dimezzato rispetto al campione non conservato, per abbassarsi a 457 mgGAE kg-1 p.f (media dei valori registrati la seconda e terza settimana di conservazione). L’ultima settimana il contenuto in acidi fenolici delle brattee era pai a 737 mgGAE kg-1 p.f. (Fig. 1). La variazione percentuale rispetto al campione non conservato in acidi fenolici totali è risultata nella media di tutti i campionamenti più marcata alla temperatura di 8°C rispetto a 4°C sia per quanto riguarda la componente cuore che per le brattee (Fig. 2). Conclusioni Le differenze registrate tra le due temperature di conservazione hanno fornito risultati utili ai fini dello studio della componente antiossidante presente nel capolino di carciofo sottoposto a frigoconservazione e costituiscono una base concreta per avviare ulteriori sperimentazioni sui meccanismi biochimici che si verificano durante la conservazione alle basse temperature. Inoltre, le brattee esterne, che costituiscono lo scarto di lavorazione industriale, e che rappresentano circa il 70% in peso del capolino intero, presentano un elevato contenuto di sostanze antiossidanti che potrebbero essere estratte dopo la lavorazione dei capolini per l’ottenimento dei cuori.

Figura 1. Andamento del contenuto in acidi fenolici

Bibliografia Aydemir T. 2004. Partial purification and characterization of polyphenol oxidase from artichoke (Cynara scolymus L.) heads. Food Chemistry, 87: 59-67. Macsimovic Z et al. 2005. Polyphenols content and antioxidant activity of Mayd stigma extracts. Bioresource Technology, 95: 873-877. Figura 2. Variazione percentuale del contenuto in Melilli MG. et al. 2004a Effect of cold storage on colour acidi fenolici totali rispetto al campione fresco changes in globe artichoke (Cynara cardunculus L. var. durante tutto il periodo di conservazione nella scolymus (L.) Hegi) head tissues. Acta Hort., 660: 557-561. media delle due temperature studiate (A) e nella Melilli MG. et al. 2004b Genetic and environmental media dei giorni di conservazione (B) Lettere influence on some carbohydrates content in globe differenti nell’ambito della stessa componente del artichoke (Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) capolino indicano differenze minime significative Hegi) heads. Acta Hort., 660: 123-129. a P< 0,05. Melilli MG et al. 2007. Screening of genetic variability for some phenolic constituents of globe artichoke head. Acta Horticulturae, 730: 85-91 Raccuia SA, Melilli MG 2007. Effect of storage temperature and genotype on quality of globe artichoke (Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hegi) Head. Acta Horticulturae 730: 449-454 Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press Publishing: New York.

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Produttività dell’Acqua e Ky (Yield Response Factor) nel Pomodoro da Industria Coltivato in Ambiente Caldo-Arido Cristina Patanè, Salvatore La Rosa, Simona Tringali CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, cristinamaria.patane@cnr.it

Introduzione Nelle zone con scarsa disponibilità di acqua per l’irrigazione, come quelle del Meridione d’Italia, la massimizzazione della produttività dell’acqua risulta più conveniente della massimizzazione della resa di una coltura (Pereira et al., 2002). In queste zone, strategie irrigue come la ‘deficit irrigation’, che consentano un risparmio idrico mantenendo livelli produttivi soddisfacenti, possono contribuire al miglioramento della efficienza d’uso dell’acqua (Topcu et al., 2007). Gli effetti di tali strategie sono tuttavia specifici per coltura (Pereira et al., 2002). E’ possibile prevedere la produttività di una coltura in risposta al suo uso dell’acqua, attraverso il calcolo del Ky (yield response factor) (Doorenbos e Kassam, 1979), fattore che correla la perdita di produttività di una coltura alla relativa riduzione evapotraspirativa (Lovelli et al., 2007). La presente ricerca ha avuto come obiettivo lo studio della risposta produttiva all’irrigazione deficitaria in due cultivar di pomodoro da industria in Sicilia. Metodologia La ricerca è stata condotta nell’anno 2003 in una località della collina interna siciliana (550 m s.l.m., Lat 37°27’ N, Long 14°14’ E), su due cultivar di pomodoro da industria: Solerosso e Season. Le piantine sono state trapiantate in pieno campo il 2 Maggio, in un disegno sperimentale a split-plot con tre repliche, adottando una parcella elementare di 24 m2 ed un investimento unitario di 2,5 piante m-2. Le due cultivar sono state sottoposte a 4 diversi regimi irrigui (V100, V50, V25 e V0), che prevedevano la restituzione rispettivamente del 100, 50, 25 e 0% della evapotraspirazione massima (ETm), quest’ultima calcolata considerando l’evaporato da vasca evaporimetrica di classe ‘A’ e i kc (coefficienti colturali). L’irrigazione è stata effettuata mediante un sistema a microportata di erogazione con manichetta forata. E’ stato erogato un volume complessivo di acqua pari a 3696, 2052, 1231 e 408 m3ha-1, nell’ordine in V100, V50, V25 e V0. Per ciascun trattamento irriguo, è stata stimata la evapotraspirazione (ET) attraverso il bilancio idrico nel periodo compreso tra il trapianto e la raccolta (Lovelli et al., 2007). Il contenuto idrico del terreno al trapianto ed alla raccolta è stato misurato per via gravimetrica prelevando campioni di terreno a diverse profondità (da 0 a 0,80 m ogni 0,2 m), poi essiccati in stufa termoventilata a 105°C sino a peso costante. Alla raccolta, eseguita ad Agosto, è stata determinata la produzione totale di bacche. Per ciascun regime irriguo e cultivar, è stata calcolata la produttività dell’acqua o water use efficiency (WUE, kg m-3), come rapporto tra resa effettiva (kg ha-1) e acqua totale utilizzata (m3 ha-1). E’ stato infine calcolato il valore del Ky (yield response factor) attraverso la seguente formula (Istanbulluoglu, 2009):

⎡ ⎛ ETa ⎞⎤ ⎛ Ya ⎞ 1− ⎜ ⎟ = Ky ⎢1 − ⎜ ⎟⎥ ⎝ Ym ⎠ ⎣ ⎝ ETm ⎠⎦ dove Ym (kg ha-1) e Ya (kg ha-1) sono rispettivamente la resa massima e la resa effettiva, ETm (m3 ha-1) e ETa (m3 ha-1) sono rispettivamente la ET massima e la ET effettiva, Ky è il fattore di risposta della resa, che esprime la riduzione di resa per unità di riduzione di ET (Singh et al., 2010). Risultati La produzione totale di bacche si è progressivamente ridotta al diminuire della quantità di acqua somministrata per ciascun intervento irriguo. La contrazione produttiva è apparsa più marcata nella cv. Solerosso, la cui resa, rispetto alle condizioni di pieno soddisfacimento idrico (V100), si è ridotta di quasi il 40% nella tesi V50 e si è più che dimezzata nella tesi V25 (Tab. 1). Per contro, in V50, la cv. 229


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Conclusioni 1-ETa/ETm La presente ricerca dimostra come, in 1.0 0.8 0.6 0.4 0.2 0.0 ambiente caldo-arido, sia valida 0.0 l’adozione di strategie di irrigazione deficitaria nel pomodoro da industria. 0.2 Nelle condizioni di limitata disponibilità idrica, il deficit di resa è 0.4 infatti meno che proporzionale al relativo deficit evapotraspirativo. Tuttavia, la scelta varietale assume un 0.6 ruolo di primaria importanza nel conseguimento di produzioni valide in 0.8 regime di deficit irrigation. A tal Season ky= 0.309 proposito, il Ky può rappresentare uno Solerosso ky= 0.728 strumento di valutazione della 1.0 sensibilità della cultivar al deficit irriguo e, pertanto dell’adattabilità della Figura 1. Decremento relativo di resa vs. decremento relativo di ET nelle due cultivar di pomodoro allo stessa ad un regime di irrigazione studio. deficitaria. Esso risulta, inoltre, un indice utile nella programmazione irrigua che mira ad un efficiente utilizzo dell’acqua di irrigazione.

1-Ya/Ym

Season, a fronte di un Tab. 1. Effetto del regime irriguo sulla resa, sul consumo idrico e sulla WUE. risparmio idrico di oltre il Riduzione WUE Cultivar Tesi Resa Riduzione ET 40% rispetto a V100, ha -1 3 -1 ) di resa (%) (m ha ) di ET (%) (kg m-3) irrigua (t ha subito una contrazione Season V100 69.3 0 3943 0 17.6 produttiva del 7%, 67.6 6.8 2300 41.7 29.4 V50 dimostrando una ottima 52.6 24.1 1480 62.5 35.5 V25 adattabilità alla 48.2 30.4 658 83.3 73.3 V0 irrigazione deficitaria. La stessa, nel testimone non Solerosso V100 59.0 0 3943 0 15.0 irrigato (V0) ha prodotto 35.7 39.5 2300 41.7 15.5 V50 -1 oltre 48 t ha , cioè il 30% 26.9 54.4 1480 62.5 18.2 V25 meno rispetto a V100. 25.6 56.6 658 83.3 38.9 V0 La produttività dell’acqua ha subito un progressivo aumento al diminuire della quantità di acqua somministrata, risultando più elevata nella tesi asciutta (V0). Le variazioni di WUE in rapporto ai regimi di irrigazione deficitaria sono apparse più evidenti nella cv. Season, la cui WUE già nella tesi V50 si è incrementata di oltre il 60% rispetto a V100. Il valore di Ky calcolato per Solerosso (0,728), più alto rispetto a quello corrisposto a Season (0,309), dimostra la maggiore sensibilità della prima cultivar al deficit idrico (Fig.1). In entrambe le cultivar, tuttavia, il decremento produttivo è risultato meno che proporzionale al decremento della ET applicata (Ky <1).

Bibliografia Doorenbos J. e Kassam A.H. 1979. Yiel response to water. FAO Irrigation and Drainage paper n. 33. Istanbulluoglu A. 2009. Effects of irrigation regimes on yield and water productivity of safflower (Carthamus tinctorius L.) under Mediterranean climatic conditions. Agric. Water Manage, 96:1792-1798. Lovelli S. et al. 2007. Yield response factor to water (ky) and water use efficiency of Carthamus tinctorius L. nd Solanum melongena L. Agric. Water Manage, 92:73-80. Pereira L.S. et al. 2002. Irrigation management under water scarcity. Agric. Water Manage, 57:175-206. Singh Y. et al. 2010. Deficit irrigation and nitrogen effects on seed cotton yield, water productivity and yield response factor in shallow soils of semi-arid environment. Agric. Water Manage, 97:965-970. Topcu, S. et al. 2007. Yield response and N-fertilization recovery of tomato grown under deficit irrigation. Eur. J. Agron., 26, 64-70. 230


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Screening di Genotipi di Sorgo Da Biomassa [Sorghum bicolor (L.) Moench] per Requisiti Termici in Fase di Germinazione Cristina Patanè1, Alessandro Saita2 1

CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, cristinamaria.patane@cnr.it 2 DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, alessandro.saita@tiscali.it

Introduzione Nell’ambito del progetto ‘Filiere agroenergetiche nel Sud Italia’ (FAESI) del MIPAF, è stata effettuata una ricerca in laboratorio avente come obiettivo lo studio degli effetti di temperature subottimali sul processo germinativo dei semi di cultivar di sorgo zuccherino, da fibra e da granella, al fine di effettuare uno screening per la selezione di linee adatte alle semine anticipate nelle aree del Sud Italia, e definire il limite per l'anticipo della semina attraverso l’individuazione della soglia termica minima per la germinazione. Metodologia I test di germinabilità sono stati condotti sul seme di 13 cultivar di sorgo da biomassa [Sorghum bicolor (L.) Moench], tra tipi da fibra, da granella e zuccherini. Sono state studiate sette diverse temperature di germinazione: 8, 10, 15, 20, 25 (testimone), 30 e 35°C. I test sono stati condotti in germinatoio termostaticamente controllato (±1°C). Campioni di 200 semi (4 repliche di 50 semi ciascuna) sono stati posti in capsule Petri contenenti un singolo foglio di carta bibula, inumidita con 7 ml di acqua distillata. Le capsule Petri sono state quindi chiuse ermeticamente con parafilm per prevenire le perdite di acqua per evaporazione, randomizzate all’interno del germinatoio e mantenute al buio. La germinazione dei semi è stata registrata giornalmente sui semi la cui radichetta raggiungeva almeno 2 mm di lunghezza, sino a quando non veniva osservata alcuna ulteriore emissione di radichette. A conclusione del test, sono stati calcolati la germinabilità finale (%) ed il t50, cioè il tempo reale per il raggiungimento del 50% di semi germinati (ore). I dati della germinabilità finale, previa trasformazione in valori angolari, sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) a una via, all’interno di ciascuna temperatura di germinazione. Per la stima della temperatura base (Tb), cioè la soglia minima termica per la germinazione del seme di ciascuna cultivar, è stata utilizzata una regressione lineare dei valori dell'inverso del t50 (1/t50 o GR50) vs. temperatura di germinazione. L'intercetta sull'asse delle ascisse rappresenta la temperatura base, cioè la temperatura in corrispondenza della quale la germinabilità del lotto di semi si riduce al 50% (Foti et al., 2002). Per ciascuna cultivar è stata infine calcolata la somma termica (θT) necessaria per il raggiungimento del 50% di semi germinati. Risultati E’ stata accertata una variabilità genetica nella risposta germinativa del sorgo, più marcata alle temperature più basse (8 e 10°C) (Tab. 1). A 25°C (temperatura ottimale di germinazione) la germinabilità è risultata ≥ 96% (ad esclusione della cultivar da granella ‘CC 270’), riducendosi progressivamente all’abbassarsi della temperatura. A 15°C tutti i genotipi sono germinati per oltre il 90% (anche in questo caso ad eccezione di ‘CC 270’), e in particolare le cv. ‘Makueni Loca’ (da granella) ed il testimone ‘Keller’ hanno raggiunto la piena germinazione dei semi (100%). A 10°C, nove cultivar su 13 hanno fornito valori di germinabilità >70% e, di queste, quattro (‘IS 21055’, da fibra, ‘Makueni Loca’, da granella, il testimone ‘Keller’ e ABZ 5 a seme scuro, zuccherine) sono germinate per oltre il 90%. A 8°C la variabilità nella risposta germinativa è apparsa più ampia, a causa della drastica riduzione della capacità germinativa (a meno del 50%) di alcune cultivar (‘ABF 14’, ‘CC 101’, ‘ABZ 5’ a seme bianco, ‘M81E’, ‘CC 270’) risultate pertanto poco tolleranti allo stress termico da basse temperature in fase di germinazione e, quindi, meno adatte alle semine molto anticipate. Tra queste, particolarmente sensibile alle basse temperature è apparsa la cv. ‘CC 101’ da fibra, la cui 231


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germinabilità, piena o pressoché tale a temperature ≥15°C, si è marcatamente ridotta a 15% a 8°C. La stessa, per contro, ha mostrato una notevole tolleranza alle temperature sopraottimali, fornendo valori di germinabilità alquanto elevati (99-100%) a 30 e 35°C. Ugualmente tolleranti alle alte temperature sono apparse ‘IS 21055’, ‘ABZ 5’ (sia a seme bianco che a seme rosso), ‘M81 E’, ‘ABF 26’, pertanto adatte alle semine ritardate (coltura in secondo raccolto). E’ da evidenziare, tuttavia, come a 30°C, la germinabilità media sia risultata lievemente più alta rispetto a quella accertata a 25°C, e il corrispondente basso valore del coefficiente di variabilità (CV, 5,3%), dimostra come la temperatura ottimale del sorgo sia più alta rispetto a quanto riportato in letteratura (25°C, ISTA, 1996). La temperatura base (Tb) per la germinazione è risultata compresa tra 7,37 (‘Keller’) e 11.58°C (‘CC 270’). Una soglia termica minima ridotta (≤8°C) è corrisposta anche alle cv. ‘Makueni Loca’, ‘M81E’e ‘ABZ 5’ a seme scuro. Le somme termiche necessarie per raggiungere il 50% di semi germinati sono risultate comprese tra 23,4 (‘ABZ 5 chiaro’) e 31,6 (‘CC 270) °Cd. Tabella 1. Germinabilità finale, soglia termica minima di germinazione (Tb) e somma termica (θT(50)) in cultivar diverse di sorgo da biomassa. Lettere diverse per i valori di germinabilità, all’interno di ciascuna colonna, indicano differenze significative per p≤ 0,05 (test S.N.K.). Cultivar IS 21055 ABF 14 ABF 306 CC 101 ABZ 5 (chiaro) ABZ 5 (scuro) M81E Makueni Loca 90-5-2 (chiaro) 90-5-2 (scuro) ABF 26 CC 270 Keller

Tipo F F F F Z Z Z G Z Z F G Z

Germinabilità (%) 8°C 10°C 58.3cd 92.0bc 33.3de 58.7ef cd 61.7 72.0def ef 15.0 51.7f cd 45.4 81.8ce c 70.7 90.3cd cd 48.3 73.3df ab 90.0 100a bc 76.7 86.7cd cd 60.0 73.3def cd 56.7 64.0ef f 10.0 28.4g a 95.0 98.3ab

Media 53.2 74.7 26.5 20.4 σ CV(%) 49.8 27.3 F= da fibra; Z= zuccherino; G= da granella

15°C 95.0a 91.7a 98.3a 98.3a 95.0a 98.3a 98.3a 100a 98.3a 91.7a 96.7a 69.9b 100a

20°C 95.2ab 90.0b 100a 100a 92.9ab 100a 98.5ab 100a 100a 93.9ab 96.3ab 70.7c 98.4ab

25°C 100a 96.0a 98.7a 98.3a 100a 98.3a 100a 100a 100a 96.7a 97.3a 63.3b 98.3a

30°C 97.1ab 87.1bc 100a 100a 100a 97.2ab 98.6a 96.8ab 98.3a 95.2ab 98.3a 74.2c 100a

35°C 97.3a 76.0b 92.0a 98.7a 100a 97.3a 100a 94.7a 95.0a 93.3a 98.7a 69.3b 96.7a

94.7 8.0 8.4

95.1 8.0 8.4

95.9 9.9 10.3

96.4 5.1 5.3

93.0 9.5 10.2

Tb (°C) 8.77 9.90 8.49 9.33 9.55 7.51 8.02 7.49 8.47 8.43 8.72 11.58 7.37

θT(50) (°Cd±es) 29.8±4.06 25.5±8.66 31.2±3.91 24.8±5.57 23.4±7.86 26.4±2.54 29.2±5.56 27.5±2.66 30.9±3.58 29.7±5.38 30.0±3.88 31.6±6.57 30.9±3.47

Conclusioni Le differenze genetiche emerse nella risposta germinativa alle basse temperature sono utili nella costituzione di genotipi di sorgo da biomassa adatti alle semine anticipate in ambiente mediterraneo. In particolare, criteri di selezione risultano una bassa temperatura base ed una somma termica ridotta (come osservato nelle cultivar ‘ABZ 5’ a seme scuro e ‘Makueni Loca’), che quando associate, in condizioni termiche subottimali garantiscono la piena e rapida germinazione. Si rendono tuttavia necessarie prove di pieno campo per validare i risultati di laboratorio e verificare se, oltre alla temperatura, altri fattori strettamente connessi alle caratteristiche del terreno, possono interferire con il normale svolgimento del processo germinativo in condizioni termiche subottimali. Bibliografia Foti S. et al. 2002. Effect of osmoconditioning upon seed germination of sorghum (Sorghum bicolor (L.) Moench) under low temperatures. Seed Sci. Technol., 30: 521-533. ISTA, 1996. International rules for seed testing. Seed Sci. Technol. supplem. n.24.

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Variabilità Funzionale di Isolati Fungini Micorrizici Arbuscolari Esotici e Nativi Inoculati in Campo su Medicago sativa Elisa Pellegrino1,2, Enrico Bonari1, Manuela Giovannetti2 1

Land Lab, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, IT. epellegrino@agr.unipi.it; bonari@sssup.it 2 Dip. di Biologia delle Piante Agrarie, Univ. Pisa, IT. mgiova@agr.unipi.it

Introduzione I funghi micorrizici arbuscolari (MA) sono un elemento fondamentale per la fertilità del suolo di ecosistemi naturali e agricoli. Essi colonizzano la maggior parte delle specie vegetali e incrementano la crescita delle piante e l’assorbimento dei nutrienti mediante il micelio extraradicale (ERM) che si sviluppa dalle radici micorrizate nel suolo circostante. Un’elevata variabilità funzionale è stata riportata tra isolati fungini MA diversi, anche tra quelli appartenenti alla stessa specie (Munkvold et al., 2004), per cui la ‘performance’ di una singola specie vegetale ospite dipende dall’isolato MA associato e la performance di un singolo isolato dalla specie ospite associata. Diversi studi, eseguiti in serra, hanno mostrato i precedenti effetti, ma pochi sono quelli realizzati in campo. Per la maggior parte tali studi hanno utilizzato inoculi singoli esotici, raramente isolati nativi, o misture di esotici e nativi (Lekberg e Koide, 2005). Recentemente misture di più isolati sono state testate in serra, ed effetti positivi sono stati osservati sulla produzione vegetale. Ad oggi, un aspetto ancora da studiare è quindi quello della reale efficienza di inoculi MA misti in campo, rispetto all’efficienza di isolati singoli altamente efficienti, e soprattutto l’aspetto riguardante la valutazione di misture sia esotiche sia native. In questo studio è stata valutata l’efficienza di isolati MA singoli esotici, di un inoculo misto composto dagli isolati esotici, e di un inoculo nativo composto da una popolazione MA nativa, su Medicago sativa inoculata in campo, per un periodo di 2 anni. Gli isolati AM esotici erano stati in precedenza testati su medica in serra da Avio et al. (2006), ed erano risultati altamente efficienti e diversi dal punto di vista funzionale. Metodologia Materiale fungino e vegetale. Il materiale saggiato è stato: isolati singoli MA esotici (Glomus intraradices IMA5 e IMA6, Glomus mosseae AZ225C e IMA1), un mix dei precedenti isolati esotici (EMix) e un mix di funghi MA indigeni (provenienti dallo stesso sito sperimentale, NMix). La specie vegetale usata come ospite è stata Medicago sativa cv. Messe. Descrizione del sito e dispositivo sperimentale. L’esperimento è stato svolto presso il Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema, Università di Pisa, su parcelle di 15m2. Il suolo era franco-sabbioso. E’ stata impiegata una dose di inoculo di 0.7 kg/m2. La semina è stata eseguita distribuendo una dose di seme di 5g m-2. Il disegno sperimentale è stato completamente randomizzato, 3 le repliche per trattamento e 4 i tagli (2 al primo e 2 al secondo anno di crescita). Sono stati saggiati 7 trattamenti (AZ225C, IMA1, IMA5, IMA6, EMix, NMix e controllo). Misure fungine e vegetali. A ciascun taglio il peso secco e l’assorbimento di N e P sono stati misurati. Inoltre, la percentuale di colonizzazione radicale micorrizica è stata osservata mediante il metodo “clearing and staining”, con acido lattico al posto del fenolo e misurata usando il metodo ‘grid line intersect’. La variazione di colonizzazione, crescita vegetale e assorbimento di N e P rispetto alle piante di controllo è stata calcolata per ciascun trattamento fungino MA come ((valore nel trattamento studiato – valore nelle piante di controllo)/valore nelle piante di controllo) x 100. Analisi statistiche. I dati sono stati comparati usando un’ANOVA ad una via (trattamento fungino come fattore), che è stata fatta in accordo con il disegno completamente randomizzato. I dati sono stati comparati usando i contrasti ortogonali. Risultati Misure fungine e vegetali. Durante il primo e il secondo anno di crescita, la colonizzazione micorrizica 233


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delle piante di controllo (C) è risultata diversa in modo statisticamente significativo rispetto alla colonizzazione dei trattamenti inoculati (M) (C vs M, P<0.001), che presentavano un incremento della colonizzazione nel primo anno variabile tra il 74% e il 138% (in IMA5 e NMix, rispettivamente) e nel secondo tra 36% e il 61% (in IMA5 e NMix e EMix, rispettivamente). La produzione di biomassa e gli assorbimenti in N e P delle piante trattate con funghi MA sono risultati maggiori rispetto alle piante di controllo ad ogni taglio (C vs M, P≤0.009), ad eccezione per la concentrazione di N al primo taglio del primo anno (P=0.06). L’incremento di biomassa totale è stato tra il 49% e il 157% (in IMA6 e EMix, rispettivamente) e tra il 20% e il 153% (in IMA1 e EMix, rispettivamente) al primo e secondo taglio del primo anno di crescita, e tra il 23% e il 50% (in NMix e IMA6, rispettivamente) e tra il 38% e il 113% (in IMA1 e EMix, rispettivamente) al primo e secondo taglio del secondo anno. Nello specifico per NMix si sono registrati incrementi di biomassa del 127%, 78%, 23% e 61%, nei quattro diversi tagli. Inoltre, nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata tra i diversi trattamenti MA per quanto riguarda la biomassa, ad eccezione del secondo taglio del primo anno di crescita, durante il quale una maggiore variabilità funzionale è stata registrata: differenze statisticamente significative tra inoculi misti e singoli (P=0.001), tra EMix e NMix (P=0.012) e tra IMA1 e AZ225C (P=0.015). In tale taglio, è stato evidenziato un incremento di biomassa maggiore negli inoculi misti, e tra i misti nell’EMix, ed inoltre una maggiore capacità di incrementare la biomassa totale da parte di AZ225C. Per ciò che riguarda la produzione di biomassa fogliare, una maggiore variabilità funzionale tra i diversi trattamenti è stata osservata: al primo taglio del primo anno, Misti vs Singoli (P=0.012); al secondo taglio del primo anno Misti vs Singoli (P≤0.001), EMix vs NMix (P=0.006) e IMA1 vs AZ225C (P=0.002), e al primo taglio del secondo anno IMA5 vs IMA6 (P=0.036). Oltre al ben conosciuto incremento in P totale (tra un minimo dell’ 80% e un massimo del 285% nel secondo taglio del primo anno e del secondo anno, rispettivamente in IMA1 e EMix), un interessante incremento del contenuto di N totale delle piante è stato registrato. Tale incremento variava tra il 179% e il 407% (in IMA1 e EMix, rispettivamente) e tra il 159% e il 397% (in IMA1 e EMix, rispettivamente) al primo e secondo taglio del primo anno di crescita, e tra il 47% e il 112% (in NMix e IMA6, rispettivamente) e tra il 76% e il 193% (in IMA1 e AZ225C, rispettivamente) al primo e secondo taglio del secondo anno. Nello specifico per NMix si sono registrati incrementi di contenuto totale di N del 360%, 268%, 47% e 124%, nei quattro diversi tagli. Per ciò che riguarda l’N e il P totale, differenze statisticamente significative sono state osservate, e cioè: al primo taglio del primo anno Misti vs Singoli (P≤0.03); al secondo taglio del primo anno Misti vs Singoli (P=0.001), EMix vs NMix (P≤0.010), IMA1 vs AZ225C (P=0.006), e al secondo taglio del secondo anno IMA1 vs AZ225 (P≤0.001). Nessuna differenza statisticamente significativa invece è stata registrata tra i diversi trattamenti fungini MA nella concentrazione di N e P della biomassa vegetale. Conclusioni Questo lavoro conferma l’elevato effetto della micorrizazione in campo su medica, e mette in luce, oltre all’aumentato assorbimento in P, un significativo effetto della micorrizzazione anche sull’N. Inoltre, l’inoculo nativo misto è risultato comparabile sia a isolati esotici singoli altamente efficienti sia alla mistura di questi. Bibliografia Avio L. et al. 2006. Functional diversity of arbuscular mycorrhizal fungal isolates in relation to extraradical mycelial networks. New Phytol, 172: 347-357. Lekberg Y. e Koide RT. 2005. Role of niche restrictions and dispersal in the composition of arbuscular mycorrhizal fungal communities. J. Ecol, 95, 95-105. Munkvold L. et al. 2004. High functional diversity within species of arbuscular mycorrhizal fungi. New Phytol, 164: 357364. Smith SE. e Read DJ. 2008. Mycorrhizal Symbiosis. Academic Press, Cambridge, UK.

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Agricoltura e Land Degradation: Luci ed Ombre Luigi Perini1, Maria Elisa Venezian Scarascia2, Luca Salvati3 1

CRA-CMA, Roma, IT, luigi.perini@entecra.it ITAL-ICID, Roma, IT, me.scarascia@politicheagricole.it 3 Dipartimento di Studi GeoEconomici, Università ‘La Sapienza’, Roma, IT, luca.salvati@uniroma1.it 2

Introduzione I processi di land degradation, siccità e desertificazione (LDD&D), o più sinteticamente di “desertificazione”, sono fenomeni gravi e preoccupanti che comportano una progressiva e talvolta irreversibile perdita di fertilità dei suoli. A partire dagli anni ’70, il dibattito scientifico ha gradualmente riconosciuto che i processi di LDD&D hanno cause non solo di origine naturale ma anche precise responsabilità umane. La United Nations Convention to Combat Drought and Desertification (UNCCD), infatti, definisce attualmente la desertificazione come “degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le attività antropiche”. Da ciò consegue anche un’implicazione di carattere socio-economico di riduzione della redditività delle terre (Ceccarelli et al. 2006). Condizioni acclarate di LDD&D si riscontrano principalmente nelle zone aride e semi-aride del globo, mentre in altri contesti, come ad esempio anche in Italia, è più comune rilevare disequilibri a carico degli agro-ecosistemi, ovvero una sorta di vulnerabilità o di rischio potenziale rispetto al fenomeno (Conacher, 2000). Le possibili conseguenze, quantificate in termini di erosione, riduzione della capacità di ritenzione idrica, salinizzazione, decremento del contenuto di sostanza organica, riduzione della fertilità, etc., vanno attentamente ponderate per i risvolti ambientali e socio-economici che inevitabilmente comportano. Allo stato attuale, le procedure più comunemente adottate sono in genere riferite a scale territoriali più o meno ampie (nazionale o regionale) e poggiano su metodologie di valutazione che, attraverso un insieme di indicatori elementari, prendono in considerazione il ruolo svolto da fattori di natura bio-geo-fisica e fattori connessi all’antropizzazione e alla gestione/sfruttamento del territorio (Perini el al., 2004). Metodologia La metodologia MEDALUS/ESA, utilizzata in questo lavoro per una valutazione a scala nazionale e contestualizzata all’anno 2000, rappresenta uno standard di riferimento internazionale che definisce la sensibilità alla desertificazione attraverso un indice sintetico qualitativo (Environmental Sensitive Area Index - ESAI) ottenuto dalla combinazione di quattro indici di qualità relativi al suolo (Soil Quality Index - SQI), al clima (Climate Quality Index - CQI), alla vegetazione (Vegetation Quality Index VQI) e gestione del territorio (Management Quality Index (MQI), ognuno dei quali è a sua volta definito da un insieme di variabili (indicatori elementari) che più significativamente contribuiscono a stimarne il valore (Kosmas et al., 1999. Al fine di integrare le valutazioni ottenute con l’ESAI e stimare il contributo dei vari sistemi di degrado, tutte le variabili elementari raccolte sono state implementate in uno schema DPSIR (Determinanti-Pressioni-Stato-Impatti-Risposte) e sottoposte ad analisi delle componenti principali (PCA) per determinarne il ruolo e l’importanza (Salvati & Zitti, 2009). In virtù dell’approccio multidisciplinare richiesto, il database delle informazioni elementari è stato desunto da varie fonti informative (CRA, SIAN, ISTAT, MATTM, Corine Landcover) in funzione dell’attendibilità dei dati forniti e della rispondenza, in termini spazio-temporali, agli obiettivi del lavoro, ovvero alla capacità di coniugare una completa ed omogenea copertura nazionale con un idoneo dettaglio geografico non inferiore, nel caso specifico, a quello comunale. Tutte le informazioni sono state quindi georeferenziate ed elaborate in ambiente ArcGis. Risultati Il territorio italiano, a parte le poche e circoscritte aree di desertificazione conclamata presenti nel Mezzogiorno e nelle Isole, evidenzia purtroppo una diffusa vulnerabilità ai processi di LDD&D. Ciò significa che, se anche i fenomeni di degrado non sono concretamente in atto, il territorio presenta elementi di compromissione tale da risultare esposto al rischio di desertificazione. La classificazione 235


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ottenuta tramite l’indice ESAI, infatti, definisce critico o molto critico il livello di vulnerabilità del territorio nazionale per ben oltre il 30% della sua superficie (Tabella 1). Tabella 1. Classificazione della superficie (Km2) territoriale italiana in relazione alla vulnerabilità ai processi di LDD&D, ottenuta tramite indice ESAI (anno di riferimento 2000).

Zona Nord

Non soggetta

Potenziale

Fragile

Critica

Molto critica

Non valutabile

11,802

22,596

32,798

19,746

1,741

31,255

Centro

3,647

19,641

21,792

15,085

4,546

4,523

Sud

3,081

14,828

14,614

18,471

8,584

3,373

Isole

124

2,611

11,622

14,237

15,686

5,618

Italia

18,654

59,676

80,826

67,539

30,557

44,770

6.2

19.8

26.8

22.4

10.1

14.8

Italia %

Molto evidente appare anche la distribuzione geografica della vulnerabilità che, sempre considerando congiuntamente le classi “critica” e “molto critica”, interessa il 18% della superficie del Nord, il 28% del Centro, il 43% del Sud e il 60% delle Isole. Dall’analisi dei dati disaggregati, inoltre, è stato stimato il peso che i singoli sistemi di degrado hanno nel determinare il grado di vulnerabilità, sia nei diversi ambiti territoriali, sia in relazione l’uno dell’altro. A scala nazionale, ad esempio, i fattori di impatto del clima e del cambiamento climatico pesano per il 18.4%, l’urbanizzazione per il 14.4%, l’erosione per il 18.5%, l’inquinamento per il 14%, la salinizzazione per il 14.2% e l’agricoltura per il 20.5%. Conclusioni In Italia si rileva una certa vulnerabilità del territorio ai processi di LDD&D che risulta connessa a cause di diversa natura ma, perlopiù, riconducibili a fattori di pressione antropica. In tal senso, anche l’agricoltura o, per meglio dire, una non corretta attività agricola, può concorrere alla perdita di fertilità/produttività dei suoli come, purtroppo, emerge dalle analisi condotte. I risultati del lavoro, tuttavia, suggeriscono che la stessa agricoltura ha margini di azione molto importanti per contrastare i fenomeni di degrado, ad esempio attraverso l’adozione di buone pratiche agricole a livello locale e nell’ambito di politiche generali mirate a favorire la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Bibliografia Ceccarelli T et al. 2006. Vulnerability to desertification in Italy: collection, analysis, comparison, and validation of procedures for risk mapping and indicators used at national, regional and local scale. National Agency for Environmental Protection, Rome – Technical Report No. 40 Conacher A.J. (ed.) 2000. Land Degradation. Kluwer Academic Publishers, Dordrecht. Kosmas C. et al. 1999. The MEDALUS project. Mediterranean desertification and land use. Manual on key indicators of Desertification and mapping environmental sensitive areas to desertification. EUR 18882, Bruxelles, Belgium. Perini L. et al. 2008. La desertificazione in Italia. Processi, indicatori, vulnerabilità del territorio. Bonanno Editore, RomaAcireale, 192 pagine + DVD-datawarehouse + 4 mappe poster in allegato. ISBN 88-7796-422-7. Salvati L. e Zitti M. 2009. Assessing the impact of ecological and economic factors on land degradation vulnerability through multiway analysis. Ecological Indicators 9: 357-363.

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Effetto dei Trattamenti a Base di Auxine delle Talee ai Fini della Propagazione Clonale di Jatropha Curcas L.: Risultati Preliminari Salvatore Antonino Raccuia, Salvatore Scandurra, Maria Grazia Melilli CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, salvatore.raccuia@cnr.it

Introduzione Jatropha curcas L. (Euphorbiaceae) è una specie perenne nativa dell’America Centrale, ampiamente distribuita in Africa, India e Sud Est Asiatico. E’ una pianta resistente alla siccità che cresce su terreni poveri, e sta suscitando una crescente attenzione nel mondo della ricerca come fonte alternativa di biodiesel, poiché i semi contengono un elevato contenuto in olio, che può raggiungere valori attorno al 60% (GEXSI, 2008). Considerate le caratteristiche climatiche peculiari delle regioni tropicali e subtropicali, la specie ben poco si adatta in ambiente mediterraneo, dove spesso non raggiunge la fase di fruttificazione e maturazione del seme. Con lo scopo di selezionare dei cloni in grado di completare il ciclo produttivo in un ambiente, caratterizzato da condizioni climatiche poste al limite della zona subtropicale, quali quelle che si registrano nell’area meridionale della Sicilia, la U.O.S. di Catania dell’ISAFOM ha cominciato una raccolta di materiale genetico, reperito in diversi areali subtropicali, da cui selezionare linee in grado di adattarsi in tali areali. In questa nota si riportano i risultati preliminari ottenuti moltiplicando la coltura per via clonale mediante talee trattate con due tipologie differenti di auxine. Metodologia Per raggiungere gli obiettivi connessi con l’attività di ricerca, è stata utilizzata la “Linea 6” delle accessioni poste in collezione presso il campo sperimentale della U.O.S. di Catania dell’ISAFOM-CNR, sito in Cassibile (SR, 36°58’30’’N; 15°12’15’’E, 50 m s.l.m.), che in prove preliminari di confronto varietale, partendo da seme, ha completato il ciclo biologico fino alla produzione dei frutti maturi. I singoli rami, prelevati dalla pianta madre, della lunghezza di circa 60 cm sono stati suddivisi in parte basale, mediana e apicale ottenendo così delle talee basali (TB), mediane (TM) e apicali (TA) della lunghezza di circa 20 cm, sane ed uniformi. Un lotto di talee di ogni tipo sono state trattate con 100 mg L-1 di acido indolo-3butirrico (IBA), mentre un altro lotto con 100 mg L-1 di 1-naftalene acetico (NAA) Dopo 24 ore di pretrattamento con le soluzioni contenenti IBA o NAA, le talee sono state trasferite in vasi del diametro di 12 cm contenente terriccio concimato e trasferite in camera di crescita ad una temperatura di 30°C e UR del 60% fino a 45 giorni Le talee sono state irrigate quotidianamente con 200 ml di acqua distillata Sulle talee sono state rilevate la data di emissione della prima foglia, il numero di germogli, il numero di foglie emesse, il numero di infiorescenze. Dopo 45 giorni è stato rilevato il numero di talee che hanno emesso radici, espresso in % sul totale. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di Student - Newman – Keuls (Snedecor e Cochran, 1989). Risultati Nella media dei due trattamenti ormonali e del tipo di talea utilizzata l’emissione della prima foglia è avvenuta dopo quasi 18 giorni dall’impianto. Le talee apicali hanno emesso le foglie 9.4 giorni dopo l’impianto, seguite da quelle basali (18.4 giorni dall’impianto) e dalle talee mediane (25.9 giorni dall’impianto). Nella media del tipo di talea utilizzata nel trattamento con IBA l’emissione della prima foglia è avvenuta dopo 7.4 giorni dall’impianto, mentre quella con NAA 28.3 giorni dall’impianto. Con riferimento al singolo trattamento ormonale, utilizzando IBA non si sono riscontrate differenze significative tra le TB e le TM (8.75 giorni dall’impianto). Utilizzando NAA come ormone radicante, i tempi di emissione della prima foglia risultano raddoppiati passando da TA (14 giorni dall’impianto) a TB (28 giorni dall’impianto) e triplicati passando da TA a TM (43 giorni dall’impianto). Tutte le talee trattate con IBA hanno emesso radici, mentre 237


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differenze significative nella percentuale di radicazione sono state riscontrate tra le diverse tipologie di talee all’interno del trattamento ormonale con NAA, con una percentuale massima del 50% riscontrata utilizzando TA (Tab. 1) Tab. 1 Emissione della prima foglia (giorni dall’impianto) e percentuale di talee radicate Emissione prima foglia (giorni dall’impianto) TB TM TA Medie 8.8 8.7 4.8 7.4 28.0 43.0 14.0 28.3 18.4 25.9 9.4 17.9 2.2 2.5

Trattamento ormonale IBA NAA Medie DMS trattamento (P<0.05) DMS talea (P<0.05)

Talee radicate (%) TB TM TA Medie 100 100 100 100 25 17 50 30.7 62.5 58.5 75.0 65.3 1.4 1.7

Riguardo il numero di germogli talea-1, nella media delle tipologie di talee utilizzate, nel trattamento con IBA è stato pari a 3.0, contro 1.0 registrati utilizzando come ormone radicante NAA. Le TM trattate con IBA hanno mostrato il numero di germogli più elevato (4.1 germogli talea-1). Il numero di foglie emesse talea-1 è risultato pari nella media dei fattori allo studio a 10.7. Nella media delle tipologie di talee utilizzate il trattamento con IBA ha fatto registrare 18.3 foglie talea-1, contro 3.0 foglie talea-1 di NAA. L’effetto dei due ormoni e della tipologia di talea ha significativamente influenzato questo parametro, in particolare nel trattamento con IBA il maggior numero di foglie è stato riscontrato in TM (22.5 foglie talea-1) e TB (20.3 foglie talea-1), mentre nell’ambito del trattamento con NAA il numero maggiore di foglie è stato riscontrato in TA e TB (4.0 foglie talea-1) Degno di nota è l’emissione di infiorescenze riscontrata in entrambi i trattamenti ormonali solo nelle TA (Tab. 2). Tab. 2 Numero di germogli, foglie e infiorescenze in relazione alla tipologia di talea utilizzata e al trattamento ormonale

Conclusioni Dai risultati ottenuti è emerso che IBA tutti i caratteri NAA allo studio Medie sono stati DMS trattamento (P<0.05) influenzati sia DMS talea (P<0.05) dal trattamento ormonale che dalla tipologia di talea. In particolare nella media delle tipologie di talee, utilizzando l’ormone IBA, l’emissione della prima foglia avviene già dopo una settimana dall’impianto, con una percentuale di radicazione del 100%. Il numero di foglie emesse è dipeso sia dal tipo di talea, che dal trattamento ormonale e non è risultato correlato con il numero di germogli. Risultati simili sono stati ottenuti da Sunita et al., 2008 per quanto concerne il trattamento ormonale con IBA, mentre per quanto concerne l’ormone NAA hanno ottenuto una percentuale di radicazione pari al 79%. Dai primi risultati si evince che impiegando la linea clonale 6, in selezione presso la U.O.S. di Catania dell’ISAFOM, il trattamento ormonale con IBA permette di ottenere il 100% di talee radicate. Inoltre l’impiego di talee apicali può anticipare sensibilmente l’emissione delle infiorescenze con la conclusione, nell’ambiente meridionale siciliano, delle fasi di allegazione dei fiori, produzione dei frutti e maturazione dei semi prima del calo delle temperature che si verifica nel tardo autunno. Germogli

Trattamento ormonale

Foglie Infiorescenze n. talea-1 TB TM TA Medie TB TM TA Medie TB TM TA 2.6 4.1 2.2 3.0 20.3 22.5 12.3 18.3 --- 24.2 1.0 1.0 1.0 1.0 4.0 1.0 4.0 3.0 --- 5.0 1.8 2.5 1.6 2.0 12.1 11.7 8.1 10.7 --- 14.6 0.32 1.26 0.47 0.40 1.54

Bibliografia GEXY, 2008. Global market study on Jatropha – Final report. Berlin. http://tinyurl.com/cnyn44 Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press (New York), 503. Sunita et al. 2008. effect of auxins and associated biochemical changes during clonal propagation of the biofuel plant-Jatropha curcas. Biom and bioenergy, 32: 1136-1143. 238


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Curve di Risposta alla Luce in Relazione alla Salinità delle Acque di Irrigazione, all’Età ed alla Temperatura della Foglia in una Coltura di Melone nell’Oasi di Minqin N-O della Cina Ezio Riggi, Giovanni Avola CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo ezio.riggi@cnr.it

Introduzione La crop physiology fornisce strumenti utili alla valutazione della risposta delle colture ad aspetti ambientali, biologici, genetici ed agronomici ed alle loro interazioni (Potvin et al., 1990; Avola et al., 2008). Le curve di risposta ai principali fattori ambientali (ed in particolare alla luce) rappresentano uno degli strumenti messi a disposizione dalla crop physiology per la valutazione dell’efficienza fotosintetica e con tale fine sono state largamente applicate da biologi ed agronomi. In generale le suddette curve di risposta presentano andamenti non lineari e numerosi modelli matematici sono stati applicati al fine di rappresentare ed interpretare aspetti diversi dell’attività fotosintetica in funzione dei fattori sperimentali (Heschel et al., 2004). Fra i suddetti fattori, la salinità delle acque di irrigazione rappresenta uno degli elementi condizionanti l’agroecosistema che, in virtù dei suoi risvolti sia sulla produzione agraria attuale che sulla qualità del suolo (e quindi sulla produzione agraria futura) riceve un’attenzione progressivamente crescente da parte della comunità scientifica (Munns, 2002). La complessità dei fattori che entrano in gioco sia nella regolazione dei processi fotosintetici, sia nell’influenza della salinità della soluzione circolante sulla pianta, richiedono uno sforzo speculativo alla comunità scientifica per l’individuazione degli opportuni interventi genetici e tecnici finalizzati a contenere gli effetti negativi dei fenomeni sempre più spesso riscontrati di salinizzazione delle acque ad uso irriguo. Tuttavia, pur a fronte del suddetto crescente interesse, solo poche ricerche si sono occupate della risposta ecofisiologica di colture, peraltro assai diffuse come il melone, che si connotano per una moderata tolleranza alla salinità (Shani and Dudley, 2001). Peraltro, ancor più limitate appaiono le ricerche condotte il condizioni di pieno campo e con l’uso di composizioni saline “realistiche” e non già diversificate meramente in termini di conducibilità elettrica (Grattan and Grieve, 1999). A questo scopo, nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale (CNR- Chinese Academy of Science Joint Project), è stata realizzata una ricerca con l’applicazione in pieno campo di livelli diversi di acque saline durante la quale è stata valutata la risposta ecofisiologica a livello fogliare valutando, anche, l’influenza di alcuni fattori additivi (età e temperatura della foglia). Metodologia La ricerca è stata condotta presso la stazione sperimentale Xuebai a Minqin (CINA, prov. Gansu, 38°05′N, 103°03′E, 1340 m slm), impiegando l’ibrido di melone Huanghemi. Le curve di risposta alla luce sono state studiate in relazione a due livelli di salinità (0,8 g l-1 e 1,00 dS m-1 – C – e 5 g l-1 con 7,03 dS m-1 – S) dell’irrigazione (simulando qualità di acque di irrigazione già in uso nell’area di studio e in un area contigua con maggiori problemi di salinità), due livelli di età della foglia (ultima foglia espansa – Y - e quinta foglia precedente sul medesimo fusto – O) e due livelli di temperatura della foglia durante il rilievo (25 e 35°C). L’irrigazione salina differenziata ha preso avvio 32 giorni dopo la semina. L’assimilazione netta (AN) è stata misurata mediante IRGA GFS-3000 (WALZ, Effeltrich, Germany), programmato per imporre set composti da 8 livelli di intensità luminosa (0, 100, 200, 400, 800, 1200, 1600, 2000 µmol m-2 s-1). Per ciascuno dei livelli di PAR le letture (effettuate in notturna per minimizzare le influenze ambientali) sono state registrate almeno per 2 minuti, con frequenza di 5 secondi, dopo aver raggiunto condizioni stazionarie. Per la curva di risposta è stata applicata una funzione esponenziale a 3 parametri descritta come “Mitscherlich function” (Potvin et al., 1990). Tramite detta funzione è stato possibile calcolare la dark respiration (Rd - µmol CO2 m-2 s-1), il massimo tasso fotosintetico (ANmax - µmol CO2 m-2 s-1), la massima resa quantica (Qapp), il punto di compensazione della luce (LCP) ed il punto di 239


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saturazione della luce (LSP), ossia Tabella 1. Risultati dell’ANOVA e valori medi per le interazioni. il valore di PAR in corrispondenza Rd * AN max ** Qapp *** LCP** LSP** del quale AN = 90%ANmax (Rascher ANOVA et al., 2000). Salinità

P

0,456

0,630

0,548

0,494

0,621

Risultati LSD0.05 L’ANOVA a tre vie calcolata per P 0,445 0,003 0,098 0,996 0,456 i singoli parametri della curva e Età LSD0.05 per i coefficienti derivati ha fatto P 0,951 0,000 0,352 0,762 0,000 rilevare la presenza di effetti Temp. significativi solo per il parametro LSD0.05 ----ANmax e per il coefficiente P 0,167 0,043 0,128 0,307 0,001 derivato LSP da parte dei fattori EtàxTemp. LSD0.05 -4,9 --371 “Età” e “Temperatura” e della Average -0,56 0,030 17 loro interazione, mentre, per contro, non sono emersi effetti Valore medio interazioni significative significativi del fattore salinità Età Temp (Tab. 1). In particolare il valore 25 19,6 1591 minore di ANmax e LSP è stato Y registrato per la tesi O35 (6,7 35 13,4 1169 μmol CO2 m-2s-1 e 793 μmol m25 17,3 1971 2 -1 O s PPFD), che, per ANmax è 35 6,7 793 risultato pari al 50% del valore -2 -1 registrato nelle foglie più giovani alla medesima temperature (13,4 μmol CO2 m s ). Per gli altri coefficienti non si sono riscontrate influenze significative dei fattori allo studio e delle loro interazioni e valori pari a -0,564 μmol CO2 m-2s-1 and 0,030 mol mol-1 rispettivamente per la “dark respiration” e per l’efficienza quantica sono stati riportati. L’assenza di effetti significativi della salinità sulla relazione AN : PPFD, contrasta parzialmente con risultati di altri autori (Del Amor et al., 2000). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la composizione salina delle tesi allo studio viene modificata con la sola aggiunta di NaCl il che limita l’estrapolabilità dei dati (Grattan and Grieve 1999). Inoltre, in alcuni casi (Kaya et al., 2003), si sono riscontrati effetti positivi in virtù della presenza di ioni diversi che hanno mitigato gli effetti negativi del NaCl. Conclusioni La risposta ecofisiologica all’irrigazione salina va valutata in condizioni di pieno campo attenzionando le caratteristiche composizionali delle acque, la fenologia della coltura e gli aspetti pedologici in grado di modificare gli effetti negativi degli ioni presenti nelle acque di irrigazione. Bibliografia Avola et. al. 2008. Gas exchange and photosynthetic water use efficiency in response to light, CO2 concentration and temperature in Vicia faba. J Plant Physiol., 165:796-804. Del Amor et al., 2000. Gas exchange, water relations, and ion concentrations of salt-stressed tomato and melons plants. J. Plant Nutr., 23:1315-1325. Grattan SR. et al. 1999. Salinity-mineral nutrient relations in horticultural crops. Sci. Hortic., 78:127-157. Heschel MS. et.al. 2004. Natural selection on light response curve parameters in the herbaceous annual, Impatiens capensis. Oecologia, 139:487–494. Kaya C. et al. 2003. Ameliorative effects of calcium nitrate on cucumber and melon plants drip irrigated with saline water. J. Plant. Nutr., 26:1665-1681. Munns R. 2002. Comparative physiology of salt and water stress. Plant. Plant Cell Environ., 25:239-250. Potvin C. et al. 1990. The statistical analysis of ecophysiological response curves obtained from experiments involving repeated measures. Ecology,71:1389–1400. Rascher et al. 2000. Evaluation of instant light response curves of chlorophyll fluorescence parameters obtained with a portable chlorophyll fluorometer on site in the field. Plant Cell Environ., 23:1397-1405. Shani U. et al. 2001. Field studies of crop response to water and salt stress. Soil Sci. Soc. Am. J., 65:1522-1528. 240


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Effetti dell’irrigazione con differenti concentrazioni saline sull’assimilazione netta del melone coltivato in area predesertica del Nord –Ovest della Cina Ezio Riggi1, Li Zong2, Giovanni Avola1, Anna Tedeschi1 1

Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM) - Via V. Lancia, Blocco Palma I, Zona Industriale - 95121 Catania (Italy) 2 Graduate School of Chinese Academy of Sciences, Beijing 100039, China

Introduzione La presenza di sali solubili nel suolo, nelle falde acquifere e nelle acque superficiali rappresenta certamente uno dei maggiori problemi ambientali in grado di condizionare negativamente sia l’accrescimento che la produttività delle colture in molte regioni del nostro pianeta. Pratiche inappropriate nell’uso della risorsa idrica, inoltre, accentuano il problema, sopratutto in ambienti aridi e semi aridi in cui è elevata la domanda evapo-traspirativa (Debez et al., 2006). Nel bacino di Minqin, una tipica zona arida nel nord-ovest della Cina, sono state individuate diverse aree con salinità dell’acqua di falda crescente (da 0,8 a 10 g l-1), per cui l’eccessivo loro utilizzo ha provocato negli ultimi anni un progressivo incremento della salinizzazione dei suoli (Xiao et al., 2007). Nell’areale in parola, il melone è tra le colture maggiormente coltivate. Ad oggi, se da un lato numerose sono le ricerche sugli effetti della salinità in condizioni controllate, assai limitate sono le evidenze sperimentali disponibili sulla risposta fisiologica del melone allo stress salino in condizioni di pieno campo. In questo contesto, l’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare gli effetti dell’irrigazione con tre diversi livelli di salinità, in grado di simulare le differenti composizioni di acqua di falda non solo in termini di conducibilità elettrica ma anche per composizione ionica, sulla gli scambi gassosi di una coltura di melone coltivata in pieno campo. Materiali e metodi La prova, condotta presso la stazione sperimentale di Xuebai a Minqin (Gansu province - latitude 38°05′N, longitude 103°03′E, altitude 1340 m) ha valutato gli effetti di 3 livelli di salinità: i) 0,8 g l-1 (C, testimone - conduttività elettrica ECw = 1,00 dS m-1) ii) 2 g l-1 (S1 - con ECw di 2.66 dS m-1) iii) 5 g l-1 (S2 - con ECw = 7,03 dS m-1) sul tasso di assimilazione netta (An) e sulla conduttanza fogliare (gw) di un ibrido di melone (cv. Huanghemi). I trattamenti S1 e S2 hanno sumulato qualità di acque di irrigazione già in uso nell’area di studio, mediante l’aggiunta di concentrazioni diverse di CaCl2, MgCl2, Na2SO4, NaHCO3, NaNO3, and MgSO4 al testimone (C). La misura di An e gw è stata determinata attraverso l’utilizzo di un infrared gas analyzer GFS-3000 (WALZ, Effeltrich, Germany) a sistema aperto sulle ultime foglie pienamente distese dello stelo principale, su tre piante considerate come replica. Le misure hanno avuto inizio 13 giorni dopo la prima irrigazione con acque saline e sono state eseguite in sei giorni privi di nubilosità (11, 12, 16 di giugno, e 5, 6, e 8 luglio 2008). Al fine di valutare gli effetti dei trattamenti allo studio, è stata eseguita l’analisi della varianza sui dati di An e gw , misurati in tre diversi momenti della giornata: mattina (9.45-10.30), mezzogiorno (12.45-13.30), pomeriggio (17.45-18.30). Risultati e discussione Nei rilievi eseguiti durante le ore della mattina, relativamente all’assimilazione netta un significativo effetto della salinità è emerso in quattro rilievi su sei (Tab. 1). Tuttavia, dall’analisi dei diversi livelli di salinità allo studio, emerge come nessuno di questi raggiunge costantemente i valori più elevati nelle diverse date e, conseguentemente, non è stato possibile evidenziare una risposta costante per il trattamento salinità. Relativamente alla conduttanza fogliare, differenze significative tra i trattamenti sono emerse in soli due rilievi su sei (dati non riportati).

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Nessuna differenza significativa tra i trattamenti è emersa per entrambe le variabili studiate, nel rilievo eseguito in corrispondenza del mezzogiorno, quando le piante sono sottoposte alla massima intensità luminosa. I valori osservati hanno oscillato tra 9,5 e 27,1 μmol CO2 m-2s-1, e tra 142 e 489 mmol H2O m-2s-1 rispettivamente per An e gw. Anche dai rilievi pomeridiani non emerge nessun effetto significativo per entrambe le variabili allo studio, fatta eccezione per il rilievo del 6 luglio. La ridotta risposta della assimilazione netta e della conduttanza fogliare alla salinità (effetti significativi solo in 5 e 3 casi sui 17 studiati rispettivamente per An and gw) contrasta con i risultati di altri autori sulla risposta allo stress salino (Carvajal et al., 1998; Del Amor et al., 2000). Tuttavia nella maggior parte di queste ricerche, la composizione salina delle tesi allo studio viene modificata con la sola aggiunta di NaCl. La presenza di ioni diversi (quali Ca, Mg) potrebbe aver avuto effetto mitigante gli effetti negativi del cloruro di sodio sulla risposta fisiologica di questa specie (Kaya et al., 2003). Conclusioni Dall’analisi dei risultati emerge chiaramente come la risposta fisiologica del melone all’irrigazione con acque saline non sia stata condizionata dalla salinità. Pertanto al fine di predire gli effetti dell’innalzamento del grado di mineralizzazione delle acque di falda, condizioni che simulano quanto più realisticamente quelle di pieno campo (es. per composizione ionica delle acque di irrigazione) dovrebbero essere prese in considerazione, a causa dell’ampio range di variabili (condizioni del suolo, effetti osmotici del sale, effetti tossici/mitiganti dei singoli ioni) che possono fortemente influenzare la risposta eco-fisiologica della coltura. Bibliografia Carvajal et al. 1998. Time course of solute accumulation and water relations in muskmelon plants exposed to salt during different growth stages. Plant Sci., 138:103-112 Debez et al. 2006. Leaf H+-ATPase activity and photosynthetic capacity of Cakile maritima under increasing salinity. Environ. Exp. Bot., 57:285-295 Del Amor et al. 1999. Salinity duration and concentration affect fruit yield and quality, and growth and mineral composition of melon plants grown in perlite. HortScience, 34:1234-1237 Kaya et al. 2003. Ameliorative effects of calcium nitrate on cucumber and melon plants drip irrigated with saline water J. Plant. Nutr., 26:1665-1681 Xiao et al. 2007. Temporal and spatial dynamical simulation of groundwater characteristics in Minqin Oasis. Science in China Series D: Earth Sciences 50:Sci. China Ser. D-Earth Sci., 50:261-273

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Suscettibilità alla ‘Macchia Primaverile del Cynodon’ di Cultivar di Cynodon dactylon da Tappeto Erboso Filippo Rimi, Stefano Macolino, Umberto Ziliotto Dip. di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, stefano.macolino@unipd.it

Introduzione Cynodon dactylon L. (Pers.) è la specie macrotema maggiormente impiegata in Europa per la realizzazione di superfici a tappeto erboso. Ciò può essere attribuito alla capacità di tale specie di fornire elevate prestazioni in svariate condizioni pedo-climatiche e alla sua tolleranza a condizioni di caldo e siccità (Beard, 1973). Sebbene i tappeti erbosi di C. dactylon siano poco attaccati da patogeni fungini fogliari, nelle zone di transizione, ove le macroterme sono dormienti dall’autunno a marzo – aprile successivo, essi possono essere severamente danneggiati dalla “macchia primaverile del Cynodon” (Kozelnicky, 1974; Gullino et al., 2000). I sintomi compaiono durante il rinverdimento primaverile sotto forma di macchie circolari necrotiche di ampiezza variabile (5 – 90 cm), la cui ricolonizzazione può prolungarsi fino a luglio – agosto. La “macchia primaverile del Cynodon” si presenta solitamente dopo alcuni anni dalla semina del tappeto erboso ed è causata da diversi patogeni radicali, tra cui Ophioshaerella korrae, O. herepotricha, O. narmari e Gaeumannomyces graminis, che colonizzano la gramigna in autunno e svernano come micelio nelle radici e nelle corone (Vann e Patton, 2010). Le pratiche gestionali consigliate per ridurre l’insorgenza di tale malattia sono la riduzione delle somministrazioni di N in prossimità dell’autunno, il controllo del feltro e, soprattutto, la scelta di cultivar resistenti (Tisserat e Fry, 1997). Il lavoro, condotto in Veneto, si è posto l’obiettivo di valutare la suscettibilità alla “macchia primaverile del Cynodon” di diverse cultivar di C. dactylon selezionate in funzione dell’adattabilità a zone di transizione. Metodologia La prova si è svolta nel biennio 2009 – 2010 presso l’Azienda Agraria Sperimentale dell’Università di Padova “L. Toniolo” (45°20’N, 11°57’E; 8 m s.l.m.), su un terreno medio-limoso. Sono state poste a confronto otto cultivar di C. dactylon: ‘Barbados’, ‘Contessa’, ‘La Paloma’, ‘Mohawk’, ‘NM Sahara’, ‘Princess 77’, ‘SR 9554’, e ‘Yukon’. Il disegno sperimentale prevedeva uno schema a blocco Figura 1. Andamento meteorologico rilevato da settembre 2008 a maggio 2010 randomizzato con quattro presso l’Azienda Agraria sperimentale dell’Università di Padova “L. Toniolo”, repliche. Per la Legnaro (PD). sperimentazione sono state utilizzate parcelle di tappeto erboso maturo, semitate il 4 luglio 2005, delle dimensioni di 7.2 m2. Il taglio era eseguito a 45 mm di altezza con cadenza settimanale. Le parcelle avevano ricevuto 200 kg ha-1 anno-1 di N in tre applicazioni (maggio, giugno e agosto). L’andamento climatico rilevato durante il periodo d’interesse è riportato in Fig. 1. 243


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La severità della malattia è stata valutata il 15 maggio di entrambi gli anni e stimata come percentuale di parcella danneggiata sulla superficie complessiva. La percentuale di malattia è stata determinata mediante foto dell’intera area parcellare, acquisite utilizzando una fotocamera digitale e successivamente elaborate tramite il software SigmaScan Pro (ver. 5; SPSS,Inc., IL) (Butler e Tredway, 2006). Limitatamente alle cultivar in cui si è verificata la presenza di sintomi, i dati, previa adeguata trasformazione angolare, sono stati sottoposti all’analisi della varianza. Risultati Tra le varietà a confronto, Yukon è stata l’unica immune dalla malattia, mettendo in evidenza una resistenza già riscontrata anche in altri continenti (Vann e Patton, 2010). Le restanti sette cultivar hanno mostrato evidenti sintomi della “macchia primaverile del Cynodon”. L’analisi della varianza non ha permesso di porre in evidenza differenze significative tra le cultivar affette da malattia, entro le quali vi erano livelli d’incidenza compresi tra 3.4% e 7.7%. Anche l’interazione cultivar x anno non è risultata significativa, mentre è stato possibile accertare differenze tra i due anni di sperimentazione. Dal 2009 al 2010 si è assistito ad un incremento della superficie interessata dalla malattia, che è passata da 5.3% ± 0.74 ES a 6.4% ± 0.59 ES. Tale risultato trova ampio riscontro in letteratura (Gullino et al., 2000; Butler e Tredway, 2006). Tuttavia, la spiegazione dell’incremento osservato nel nostro studio può essere supportata anche dalle condizioni climatiche verificatesi nel 2008 durante il periodo d’infezione (Fig. 1). In particolare, le condizioni di straordinaria piovosità di settembre 2008, abbinate a temperature non limitanti, potrebbero aver favorito la colonizzazione autunnale di radici, stoloni e corone da parte dei patogeni radicali responsabili della malattia osservata nella primavera successiva. Conclusioni I risultati conseguiti pongono in evidenza che negli ambienti sub-continentali della pianura veneta i tappeti erbosi di C. dactylon sono notevolmente esposti all’insorgenza della “macchia primaverile del Cynodon”. Pertanto, in tali aree, bisogna ipotizzare la programmazione di interventi volti alla riduzione di tale problema, tra cui la scelta di cultivar resistenti. I risultati del confronto biennale tra cultivar hanno mostrato, mediante l’impiego della cultivar Yukon, la possibilità di adottare efficacemente questa strategia. Bibliografia Beard J.B. 1973. Turfgrass Science and Culture. Prentice-Hall, Inc. Upper Saddle River, New Jersey. Butler E.L. e Tredway L.P. 2006. Method and timing of fungicide applications for control spring dead spot in hybrid bermudagrass. Online. Plant Healt Progress doi:10.1094/PHP-2006-0901-01-RS. Gullino M.L. et al. 2000. La difesa dei tappeti erbosi: Malattie fungine, nemici animali e infestanti. Edizioni L’Informatore Agrario S.r.l., Verona. Kozelnicky G.M. 1974. Updating 20 years of research: Spring dead spot. USGA Green Sec. Rec. (May):12-15. Tisserat N.A. e Fry J.D. 1997. Cultural practices to reduce spring dead spot (Ophiosparella herpotricha)severity in Cynodon dactylon. Int. Turf. Soc. Res. J. 8:931.936. Vann S. e Patton A. 2010. Bermudagrass Spring Dead Spot. Online. FSA7551-PD-3-07N. Coop. Ext. Serv. University of Arkansas, AR.

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Valutazione del Recupero di Residui di Piante Coltivate per la Estrazione di Oli Essenziali Graziana Roscigno1, Samantha Salvati1, Domenico Perrone2, Enrica De Falco1 1

Dip. Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Salerno, IT, edefalco@unisa.it 2 CRA – ORT, Sede di Battipaglia. (SA), IT, massimo.zaccardelli@entecra.it

Introduzione Negli ultimi anni l’interesse per le piante aromatiche destinate al consumo fresco è cresciuto grazie ad una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente, della salute umana e più in generale del concetto di qualità delle produzioni. In particolare la produzione si sta espandendo in alcune aree di coltivazione irrigue delle regioni meridionali dove queste piante trovano condizioni ottimali sia per la crescita, tenuto conto che si tratta di piante caratteristiche dell’area mediterranea, sia per le capacità tecniche degli imprenditori. La produzione per il mercato fresco richiede standard qualitativi molto elevati e, pertanto, determina una quantità di residui di coltivazione e lavorazione che rappresentano, il più delle volte, una materia prima ancora pregiata che può essere pertanto recuperata (Roscigno et al., 2009). D’altra parte sono da tempo riconosciute le molteplici proprietà degli oli essenziali che hanno richiamato negli ultimi anni un crescente interesse scientifico (Zhang et al., 2009) L’obiettivo di questa ricerca è stato la valutazione di una possibile recupero dei residui di piante coltivate che contengono oli essenziali. Metodologia La ricerca è stata condotta prendendo in considerazione i residui di potatura e confezionamento di alcune piante aromatiche (salvia, rosmarino, basilico, menta) prelevati in un’azienda della Piana del Sele (SA) a conduzione biologica che lavora per la GDO. Inoltre sono stati analizzati gli scarti di raccolta di 2 varietà di finocchio (Aurelio e Spartaco) in prova presso l’azienda sperimentale del CRA–ORT, Sede di Battipaglia, per la valutazione degli effetti residui della fertilizzazione con compost (Mona et al., 2008). Su 40 campioni per ciascun materiale di scarto recuperato è stata determinata la biomassa delle differenti componenti ed il contenuto di umidità. La resa in olio essenziale su peso fresco è stata effettuata mediante estrazione in corrente di vapore con apparecchio di Clevenger (Farmacopea Europea), separatamente per le diverse componenti. Per simulare un possibile processo aziendale, campioni degli scarti non suddivisi, sono stati sottoposti ad estrazione con estrattore semi-industriale, modello “Spring”, della capacità di 12 litri (Albrigi). Infine, campioni prelevati dai residui del processo di estrazione effettuato, sono stati essiccati in stufa (50oC per 24 h) e sottoposti nuovamente a distillazione con apparecchio di Clevenger per verificare la presenza di oli residui. Risultati In tutti gli scarti di piante aromatiche (Tab. 1) la percentuale di foglie è stata più elevata rispetto a quella degli steli ad esclusione del basilico dove sono risultate uguali. Il contenuto in acqua è risultato molto elevato sia nelle foglie che negli steli per basilico e menta mentre sono stati più bassi per gli scarti di rosmarino, sia provenienti dal confezionamento che dalla potatura. Il peso medio delle foglie ha rispecchiato le caratteristiche morfologiche della specie. I dati hanno generalmente mostrato una elevata variabilità e ciò in relazione alla provenienza del materiale. Tabella 1. Caratterizzazione dei residui di coltivazione e confezionamento di piante aromatiche

residui basilico menta salvia rosmarino

confez. confez. confez. confez. potatura

peso medio foglia mg

Coef. var. %

foglie su totale %

Coef. var. %

steli su totale %

Coef. var. %

umidità foglie %

Coef. var. %

umidità steli %

Coef. var. %

129.3 84.1 104.8 16.1 19.0

63.4 21.9 58.4 17.6 22.3

49.1 77.0 66.1 63.1 69.2

48.4 6.7 27.1 25.6 51.0

51.1 23.0 33.8 36.8 30.8

46.4 22.3 53.1 43.9 -

87.7 76.2 74.2 55.9 54.5

3.6 1.3 8.5 0.8 2.9

91.6 77.1 58.2 50.0 46.2

1.0 1.8 13.0 15.3 2.9

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La resa in olio essenziale è risultata superiore nelle foglie rispetto agli steli per tutte le specie. Per i residui di confezionamento di menta e rosmarino sono stati rilevati valori elevati sia per le foglie che per gli steli mentre piuttosto bassi sono risultati quelli del basilico (Tab. 2). I dati evidenziano inoltre una migliore estrazione di olio con l’estrattore Clevenger rispetto a quello Albrigi soprattutto per basilico e menta dove, infatti, i residui di olio sono molto elevati. Il sistema semi-industriale è risultato invece efficace per l’estrazione di olio di rosmarino, probabilmente grazie alla più favorevole struttura dei residui che permette un migliore passaggio del vapore acqueo. Tabella 2. Resa in olio essenziale su residui di piante aromatiche scarti

basilico menta salvia rosmarino

confez. confez. confez. confez. potatura

estrattore Clevenger foglie steli % % 0.09 0.49 0.15 0.38 0.26

Albrigi pianta intera residuo % %

0.02 0.28 0.07 0.13 0.01

0.03 0.13 0.22 0.33 0.20

0.09 0.12 0.12 0.08 0.03

In entrambe le varietà di finocchio la percentuale delle foglie è risultata superiore rispetto alle guaine (Tab. 3); i valori di umidità sono stati sempre molto elevati, particolarmente per le guaine. La resa in olio essenziale è risultata abbastanza soddisfacente per le foglie con l’apparecchio Clevenger mentre è stata molto bassa sia utilizzando l’estrattore Albrigi sia per le guaine. Tabella 3. Caratterizzazione degli scarti di produzione del finocchio

varietà

guaine su totale %

Coef. var. %

foglie su totale %

Coef. var. %

umidità guaine %

Coef. var. %

umidità foglie %

Coef. var. %

40.5 38.5

17.8 17.3

59.5 61.5

12.1 10.8

94.6 92.9

0.4 0.3

88.2 85.5

0.6 0.6

Aurelio Spartaco

olio essenziale (%) estrattore Clevenger Albrigi foglie guaine foglie 0.096 0.042

0.002 0.007

0.006 -

Conclusioni I risultati della ricerca hanno evidenziato, soprattutto per alcune tipologie di scarto, la possibilità di una effettiva utilizzazione dei residui di coltivazione e di confezionamento per la estrazione di oli essenziali, tenuto anche conto che il materiale vegetale derivante dal processo di estrazione può trovare un ulteriore recupero in azienda mediante processi di compostaggio. Bibliografia Mona Y. et. al 2008. Effect of three different compost level on fennel and Salvia growth character and their essential oil. Res.J.Agr.and Biol. Sc., 4: 34-39. Roscigno G. et al. 2009. Recupero degli scarti di produzione di basilico destinato al mercato fresco delle aromatiche. IV Convegno Piante Mediterranee, 7-10 ottobre. Zhang J.W. et al. 2009. The main chemical composition and in vitro antifungal activity of the essential oils of Ocimum basilicum Linn. var. pilosum (Willd.) Benth. Molecules, 14: 273-278.

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Comparazione dei Polisaccaridi Strutturali in tre Colture Erbacee-lignocellulosiche Poliennali Danilo Scordia, Giorgio Testa, Salvatore Luciano Cosentino, Santo Virgillito Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali – Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania, Italia, cosentin@unict.it

Introduzione Tra le colture dedicate alla produzione di biomassa per conversione termochimica e/o biochimica le colture erbacee-lignocellulosiche poliennali possono rivestire un ruolo di primaria importanza. Tra queste Arundo donax L., specie endemica delle regioni del mediterraneo, è stata indicata come una delle più promettenti per la produzione di biomassa (Cosentino et al. 2006); Miscanthus x giganteus Greef et Deu, caratterizzata da potenziali produzioni elevate, incontra difficoltà negli ambienti del bacino mediterraneo a causa della siccità estiva che ne condiziona la crescita e la produzione (Cosentino et al., 2007); Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hack., specie affine al genere Miscanthus, presenta, invece, spiccata adattabilità a tali ambienti, dove è ampiamente diffusa allo stato spontaneo (Cosentino et al. 2006). Scopo della presente ricerca è stato quello di determinare il contenuto in polisaccaridi strutturali, quali cellulosa, emicellulosa e lignina, per il loro importante contributo alla bioconversione in etanolo di seconda generazione. Metodologia Nella primavera del 2008 sono stati prelevati, presso l’azienda didattico-sperimentale della Facoltà di Agraria di Catania (Piana di Catania, 10 m slm, 37°25'N, 15°30'E), campioni di biomassa epigea di Arundo donax (clone Capo d’Orlando), Miscanthus x giganteus e Saccharum spontaneum ssp. aegyptiacum, coltivati nelle medesime condizioni. I campioni raccolti sono stati posti in stufa, a 65 ± 5 °C, fino a peso costante. La biomassa secca è stata macinata omogeneamente (0,85 mm) usando un mulino da laboratorio (Thomas Scientific, Swedesboro, New Jersey). I polisaccaridi strutturali (glucani, xilani, arabinani, mannani, galattani e ramnani), la lignina e le ceneri acido insolubili sono stati determinati secondo la metodologia Davis (1998). Successivamente il substrato è stato trattato con acido solforico (72% v/v) a 30°C e 3,6% (v/v) a 120 °C per il primo e secondo step di idrolisi, rispettivamente. Il supernatante acido idrolizzato è stato usato direttamente per l’analisi cromatografia attraverso “High-performance anion exchange chromatography (ICS-3000, Dionex, Sunnyvale, California) with pulsed amperometric detection (HPAEC-PAD)”. La lignina è stata determinata gravimetricamente mediante differenza in peso tra le singole componenti. Infine il campione è stato posto in muffola a 550 ± 50 °C per la determinazione delle ceneri acido insolubili. L’analisi della varianza è stata effettuata mediante Costat 6.0 (CoHort software), per la separazione delle medie è stata utilizzata la metodologia Student-Newman-Keuls (SNK). Risultati Il contenuto in cellulosa, composta esclusivamente da glucani (omopolisaccaride lineare del glucosio), è stata significativamente maggiore in Miscanthus rispetto a Saccharum e Arundo (40,99, 36,81 e 34,60%, rispettivamente) (tab.1). Come per altre monocotiledoni utilizzate per la produzione di bioetanolo di seconda generazione (paglia di frumento, riso e orzo, stocchi di mais e sorgo) (Ebringerova and Heinze, 2000), anche le colture studiate hanno messo in evidenza che la frazione emicellulosica è composta maggiormente da arabino-xilani. Galattani, mannani e ramnani costituiscono, invece, una frazione minima dell’emicellulosa. I valori significativamente più elevati nel contenuto in emicellulosa totale è stato registrato in Saccharum (24,71%), seguito da Arundo (23,06%) e Miscanthus (22,40%). Saccharum e Arundo mostrano un contenuto in lignina acido insolubile paragonabile a quello di altre colture erbacee (15-20%), ma inferiore a quello di angiosperme e gimnosperme legnose (20-35%) 247


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(Chang, 2007); in Miscanthus, invece, è stato determinato il contenuto più elevato (22,40%). Il contenuto in ceneri acido-insolubili, il residuo ottenuto dopo combustione della frazione acido idrolizzata, è stato significativamente maggiore in Arundo (1,67%) rispetto a Saccharum (1,21%) e Miscanthus (0,84%), tra loro indifferenziati. Tra i substrati studiati Miscanthus ha fatto registrare il contenuto significativamente più elevato in polisaccaridi strutturali totali (63,39%), seguito da Saccharum (61,52%) e Arundo (57,66%). Il profilo in polisaccaridi strutturali ottenuto è comparabile con quello di altri substrati ampiamente studiati per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, quali stocchi di mais e panico (Zhu and Pan, 2010). Tabella 1 – Contenuto (%) in polisaccaridi strutturali di Arundo donax L., Miscanthus x giganteus Greef et Deu. e Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hack. Nell’ambito della stessa colonna valori contrassegnati da lettere uguali non sono significativamente differenti per p ≥ 0,05. Coltura

Cellulos a Glucani Xilani

Arundo

Emicellulosa Galattan Arabinan Mannan Ramnan i i i i

Polisaccaridi totali

Lignin a

Ceneri (LAI)*

34.60c 20.41b 0.66a

1.81b

0.12a

0.06b

57.66c

20.44b

1.67a

Miscanthus 40.99a 19.98c 0.57a

1.74b

0.09a

0.02c

63.39a

22.40a

0.84b

Saccharum 36.81b 21.53a 0.72a

2.16a

0.16a

0.14a

61.52b

20.03b

1.21b

1.90

0.12

0.07

60.86

20.96

1.24

Media

37.47 20.64

0.65

*Lignina acido insolubile

Conclusioni Dallo studio effettuato emerge che Arundo, Miscanthus e Saccharum possono essere considerate come specie potenzialmente idonee alla produzione di bioetanolo di seconda generazione negli ambienti caldo-aridi mediterranei. Il valore più elevato in polisaccaridi strutturali ottenuto in Miscanthus, potrebbe far ipotizzare una maggiore produzione di bioetanolo; tuttavia il contestuale maggior contenuto in lignina potrebbe costituire un fattore limitante nella successiva saccarificazione ad opera di enzimi cellulase. Ulteriori studi sono necessari a conferma della possibile bioconversione di tali substrati. Bibliografia Chang M.C.Y., 2007. Harnessing energy from plant biomass. Curr. Opin. Chem. Biol. 11:677–684. Cosentino, S.L. et al. 2006. Valutazione di germoplasma di specie del genere Miscanthus e Saccharum per la produzione di biomassa. Italus Hortus, 13:433-436. Cosentino, S.L. et al. 2007. Effect of soil water content and nitrogen supply on the productivity of Miscanthus x giganteus Greef and Deu. in a Mediterranean environment. Ind. Crops Prod. 25:75–88. Davis M.W. 1998. A rapid modified method for compositional carbohydrate analysis of lignocellulosics by high pH anionexchange chromatography with pulsed amperometric detection (HPAEC/PAD). J. Wood Chem. Technol. 18:235- 252. Ebringerova A., Heinze T. 2000. Xylan and xylan derivatives – biopolymers with valuable properties, 1 – naturally occurring xylans structures, procedures and properties. Macromol. Rapid Commun., 21:542–556. Zhu J.Y., Pan X.J., 2010. Woody biomass pretreatment for cellulosic ethanol production: Technology and energy consumption evaluation. Bioresource Technology 101:4992-5002.

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Effetto dei Trattamenti di Condizionamento sulla Presenza di Sali sulla Fascia del Sigaro Maria Isabella Sifola1, Michele Di Giacomo 2, Sandra Minissi 2 1

Dip. Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio, Università di Napoli Federico II, Via Università 100, 80055 Portici (Napoli), sifola@unina.it 2

MST, Dip. Ricerca e Qualità., Via E. Mattei 780, 55100 Lucca

Introduzione Alla fine del ciclo di manifattura, sulla superficie della fascia dei sigari possono evidenziarsi cristalli di sali organici di Ca (estrusione). I sigari che mostrano tale fenomeno vengono generalmente scartati per motivi estetici, con evidenti danni economici. Studi precedenti hanno dimostrato che esiste una relazione tra l’estrusione di sali, le condizioni di produzione in campo (ricchezza in Ca del suolo) e/o alcuni trattamenti in post-raccolta (lavaggi del prodotto curato, in acqua o in soluzioni specifiche) (Di Giacomo et al., 2009). Scopo del presente studio è stato di valutare se esiste una relazione tra l’estrusione di sali ed i trattamenti di condizionamento cui sono soggetti i sigari durante la fase di manifattura. Metodologia Nell’autunno 2009 è stato condotto, presso lo stabilimento di Lucca della Manifattura Sigaro Toscano, un esperimento su sigari confezionati da miscela extravecchio (EXV) e semilavorato di fascia di cv. Foiano proveniente da tre diversi fornitori. La diversa provenienza è indice di diverse caratteristiche, di trattamento dei tabacchi prima del confezionamento dei sigari. I sigari, confezionati per ciascuna provenienza con due diverse macchine confezionatrici, sono stati sottoposti a: i) I condizionamento per 25 giorni in celle climatizzate dopo aver subito un trattamento di pre-essiccazione della durata di 2 giorni; ii) I condizionamento per 25 giorni senza preventivo trattamento di pre-essiccazione. I sigari, man mano che venivano confezionati sostavano 15, 30, 45 e 60 minuti all’esterno delle celle di pre-essiccazione e/o I condizionamento. Dopo i due giorni di pre-essicazione e/o dopo i 25 giorni di I condizionamento sono stati rilevati, su sottocampioni di 250 sigari, il numero di sigari con presenza di cristalli ben evidenti in superficie ed è stata calcolata l’incidenza percentuale della presenza di sigari “salati”. L’esperimento è stato ripetuto tre volte: 6 ottobre (Test 1), 27 ottobre (Test 2) e 25 novembre 2009 (Test 3). I risultati sono stati sottoposti ad analisi di varianza (ANOVA) entro ciascun Test, secondo uno schema sperimentale a randomizzazione completa, e le medie separate con test della DMS a P<0.05 e P<0.01. In particolare, poichè si è voluto evidenziare l’effetto del diverso materiale di partenza (fornitori), delle diverse macchine confezionatrici (operatori diversi) e del tempo di sosta all’esterno delle celle di pre-essiccazione e/o I condizionamento queste stesse variabili sono state inserite come fattori nell’ANOVA. Risultati I risultati dei diversi test condotti non sono risultati omogenei (Tab.1). In particolare, nei test 2 e 3 è risultato significativo l’effetto della provenienza del materiale (fornitori T e A) sul % salati dopo 2 giorni, con valori sempre favorevoli nel materiale T rispetto ad A (Tab.1). Nel Test 1, al contrario, non è stata registrata nessuna differenza nel % di salati dopo 2 giorni per effetto della diversa provenienza del materiale ma va considerato che le provenienze confrontate in questo test erano diverse (T vs. U)(Tab. 1). In tutti i test non è emerso nessun effetto significativo della diversa provenienza del materiale sul % salati dopo 25 g anche se differenze numeriche di rilievo sono emerse nei Test 2 e 3 (Tab. 1). L’effetto del trattamento di pre-essiccazione sul % di sigari salati dopo 2 e 25 giorni è risultato sempre positivo anche se significativamente solo nel Test 1. La macchina confezionatrice ha sempre determinato differenze di rilievo sul % salati sia dopo 2 sia dopo 25 giorni, anche se significativamente solo nel Test 1 (Tab. 1). L’effetto macchina è risultato quindi sempre rilevante, come si evince dalle molte interazioni significative Macchina x Pre-essiccazione (sui salati dopo 2 e 25 giorni nel Test 1, sui salati dopo 2 giorni nel Test 2), Fornitore x Macchina x Pre-essiccazione (sui salati dopo 25 giorni nel Test 2) o 249


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Fornitore x Macchina (sui salati dopo 2 e 25 giorni nel Test 3). In ogni caso, tale effetto è di difficile interpretazione poiché non è possibile, nelle condizioni delle presenti prove, associare sempre l’operatore alla macchina utilizzata, e non va dimenticato, inoltre, che le macchine sono state accorpate nell’ANOVA in modo del tutto casuale. Infine, nessun variazione di rilievo è stata registrata per effetto del tempo di sosta all’esterno delle celle di pre-essiccazione e/o I condizionamento sul % salati dopo 2 e 25 giorni (dati non mostrati). Tabella 1. Effetto della provenienza del prodotto (fornitori) e delle fasi/trattamenti di manifattura sulla % di salati dopo 2 (pre-essiccazione) e 25 giorni (fine I condizionamento); Test 1, 6/10/2009; Test 2, 27/10/2009; Test 3, 25/11/2009. Le lettere diverse indicano differenze significative a P<0.05 e P<0.01 (maiuscole).

Fornitore

% salati (2 giorni) T U A

Colpo di calore Pre-essiccazione No pre-essiccazione Macchina confezionatrice Macchina 1 Macchina 2 Tempo di permanenza 15 min 30 min 45 min 60 min

Test 1 % salati (25 giorni)

1.11 1.18

1.45 1.69

0.33 A 1.96 B

% salati (2 giorni)

Test 2 % salati (25 giorni)

% salati (2 giorni)

Test 3 % salati (25 giorni)

0.74 a

2.80

1.74 a

3.59

1.85 b

3.24

4.04 b

5.68

0.43 A 2.71 B

1.19 1.40

2.58 3.46

2.66 3.11

3.48 5.79

0.10 A 2.19 B

0.19 A 2.95 B

0.94 1.65

2.11 3.93

3.78 2.00

5.39 3.88

1.35 1.65 1.07 0.50

1.93 bc 2.48 c 1.15 ab 0.73 a

1.40 0.60 1.70 1.48

3.56 1.53 3.98 3.00

2.80 4.03 2.70 2.03

4.68 6.20 4.30 3.35

Conclusioni In conclusione, gli esperimenti nella fase di manifattura hanno evidenziato che: i) la provenienza del materiale, poiché determinante di tutte le caratteristiche finali del prodotto finito (sigari), va individuata e descritta con chiarezza ai fini di una tracciabilità e, sulla base di questi risultati preliminari, sembrerebbe piuttosto importante per comprendere la dinamica dei salati; ii) il colpo di calore (preessiccazione) si conferma un trattamento utile a ridurre la % di salati in tutte le condizioni indagate; iii) il confezionamento dei sigari (operatore) può giocare un ruolo di rilievo ed a tale proposito vanno accertate e considerate le caratteristiche della macchina/operatore che potrebbero essere coinvolte nella dinamica dei salati (distribuzione della colla, esperienza operatore etc.); iv) il tempo di sosta al di fuori delle celle di pre-essiccazione e/o I condizionamento non sembra influenzare in alcun modo l’incidenza di salati né dopo 2 né dopo 25 giorni di trattamento. Bibliografia Di Giacomo M. et al. 2009. Calcium excretion in dark tobacco leaves. CORESTA, Rovinj (Croatia) 4 - 8 October 2009.

250


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Qualità Salutistica del Frumento Duro Valutata Mediante Determinazione dell’Attività Antiossidante Damiana Tozzi 1, Marianna Pompa 1, Nilde Di Benedetto 1, Michele Prencipe 2, Michele Lo Storto 1, Marcella Michela Giuliani 1, Eugenio Nardella 1, Michele De Santis 1, Luigia Giuzio1, Zina Flagella 1 1

Dip. di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetali, Univ. Foggia, IT, d.tozzi@unifg.it 2 ASSOCERFOGGIA - Cooperativa dei Produttori di Cereali della Provincia di Foggia

Introduzione Il consumo di granella integrale di frumento è associato alla riduzione del rischio di malattie cardio-vascolari, diabete, obesità e cancro (Schatzkin A. et al. 2007). Gli effetti benefici legati al consumo della granella integrale sono ascrivibili ai composti naturali bioattivi definiti “phytochemicals” (Liu H., 2007) caratterizzati da proprietà antiossidanti. Diversi fattori possono influenzare la capacità antiossidante della granella. Limitate sono le informazioni in letteratura sull’influenza della varietà e delle condizioni di coltivazione sulla capacità antiossidante della granella di frumento duro (Triticum durum Desf) (Okarter N. et al. 2010; Menga V. et al. 2010; Panfili G. et al. 2005). Nell’ambito del progetto OIGA “FRUDUSAL: Filiera del frumento duro e qualità salutistica: ottimizzazione della fertilizzazione e valutazione varietale” del MIPAAF, ci si è proposti di approfondire le indagini relativamente all’effetto della varietà e della concimazione sulle proprietà antiossidanti del frumento duro. Obiettivo di questo lavoro è stato riportare i primi risultati relativi ai parametri produttivi ed alla valutazione dell’attività antiossidante (AA) di granella di diverse varietà di frumento duro coltivato nell’ambiente sub-arido di Capitanata e sottoposto a due diversi piani di concimazione. Metodologia La prova agronomica è stata condotta in agro di Foggia, presso l’azienda agricola Prencipe su un terreno di medio impasto. E’ stato utilizzato un disegno sperimentale a split plot con 2 fattori (piano di concimazione e varietà) e 3 ripetizioni per un totale di 60 parcelle di circa 700 m2 ciascuna. Sono state messe a confronto 10 varietà di frumento duro (Quadrato-V1, Torrebianca-V2, Pietrafitta-V3, Vendetta-V4, Alemanno-V5, PrincipeV6, Cannavaro-V7, Gattuso-V8, Simeto-V9 e Duilio-V10) e due piani di concimazione (C1: 102 unità di N e 74 unità di S con un rapporto N/S 1:0,7, secondo il disciplinare adottato dall’azienda; C2: 76 unità di N e 38,5 di S con un rapporto N/S pari a 2:1). La semina delle 10 varietà è stata realizzata in data 02/11/2009, utilizzando semente certificata e conciata. Alla raccolta, effettuata il 18/06/2010, sono state determinate le principali componenti della produzione. Per la determinazione dell’attività antiossidante, il materiale di indagine era costituito da campioni di sfarinato integrale di frumento duro. Si è operato su estratti acquosi ottenuti come riportato in Pastore et al., 2004. I reagenti, tutti del maggior grado di purezza possibile, sono stati acquistati da SIGMA Chemical Co (St Louise, Mo) e da Fluka Chemie GmbH. La determinazione dell’AA è stata effettuata con il metodo ABTS come riportato in Re et al. 1999. I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA). Risultati Dall’analisi dei risultati produttivi ottenuti, l’effetto del genotipo è risultato significativo (P≤0,01), mentre non è risultato significativo l’effetto della concimazione e dell’interazione tra i due fattori. In particolare, i valori più elevati della resa sono stati ottenuti per le varietà Quadrato (V1) e Torrebianca (V2) il che risulta ascrivibile ad un più elevato numero di cariossidi m-2 (Tab. 1). Allo scopo di effettuare un’indagine preliminare sulle proprietà antiossidanti della granella ottenuta dalla prova di pieno campo, si è valutata l’AA di estratti acquosi di sfarinato integrale di 4 delle 10 cultivar di frumento duro: Simeto, Duilio, Quadrato e Torrebianca. 251


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1. Effetto del genotipo sui parametri produttivi. Lettere diverse corrispondono a valori significativamente diversi per P≤0,01. V1-V10: varietà denominate come riportato nei metodi. V1 Resa (q ha-1) Cariossidi m-2 (n)

V2

V3

V4

32.4A

32.7A 24.5B

26.1B

8,358 A

7,702 AB

6,642 A-C

5,349 C

V5

V6

V7

V8

V9

V10

29.0AB 23.7B 26.8AB 24.7B 27.0AB 29.0AB 7,679 6,784 AB A-C

6,006 BC

6,546 A-C

6,090 BC

7,160 A-C

Le cultivar che hanno mostrato valori significativamente più elevati di AA sono state Duilio e Torrebianca, con valori superiori di circa il 10% ed il 5% rispetto alla media delle altre due varietà. Relativamente alla concimazione, si è osservata un’influenza positiva del piano C2 sull’AA, sebbene si sia riscontrato un incremento significativo soltanto per la cultivar Duilio (V10).

μmol eq. Trolox/g sfarinato integrale ….

Peso 1000 semi (g) 39.4A-D 42.9A-C 46.1A 39.5A-D 37.9B-D 35.0D 44.6AB 37.8CD 44.6AB 40.7A-D

a

9,2

c

8,4 8

C1

C2

b

8,8 d

d d

c

d

7,6 7,20

Simeto

Duilio

Quadrato

Torrebianca

Figura 1. AA delle 4 varietà di frumento duro oggetto di studio. C1; C2: Tesi di concimazione secondo quanto riportato nei metodi. Lettere diverse corrispondono a valori significativamente diversi

Conclusioni Dai risultati preliminari ottenuti, si è evidenziata variabilità genetica in frumento duro relativamente all’attività antiossidante e si è riscontrato, inoltre, un incremento dell’AA con il piano di concimazione che prevedeva un rapporto N/S pari a 2:1. La valutazione delle altre varietà, attualmente in corso, consentirà di ottenere maggiori informazioni riguardo all’influenza del genotipo sulla valenza salutistica del frumento duro. I risultati che emergeranno dagli ulteriori anni di prova previsti consentiranno, inoltre, di evincere anche l’effetto dell’interazione fra genotipo e fattori ambientali in condizioni di pieno campo. Bibliografia Liu, R. H. 2007. Whole grain phytochemicals and health. J. Cereal Sci., 46 (3), 207–219. Menga V. et al. 2010. Effects of genotype, location and baking on the phenolic content and some antioxidant properties of cereal species. Int J Food Sci Technol, 45, 7–16. Okarter N. et al. 2010. Phytochemical content and antioxidant activity of six diverse varieties of whole wheat. Food Chemistry. 119, 249–257. Panfili G et al., 2005.Influenza dello stress idrico e della concimazione azotata e solfatica sul contenuto di antiossidanti lipidici nel frumento duro. Atti XXXVI Convegno SIA. Foggia, 2005. pp. 342-343. Pastore D. et al. 2004. Attività antiossidante della granella di frumento duro (Triticum durum Desf.) e reazioni della Lipossigenasi.Atti “5° Convegno AISTEC”, pp 27-33. Tramaglino-Alghero 26-28 Giugno 2003. Re R. et al., 1999. Antioxidant activity applying an improved ABTS radical cation decolorization assay. Free Radic. Biol. Med., 26: 1231-1237. Schatzkin A. et al. 2007. Dietary fiber and whole-grain consumption in relation to colorectal cancer in the NIHAARP diet and health study. Am. J. Clin. Nutr., 85 (5), 1353–1360.

Ringraziamenti: Il lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto OIGA “FRUDUSAL” del MIPAAF, coordinatore Prof.ssa Z. Flagella.

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Gestione delle Stoppie e dei Residui Colturali sulla Fertilità del Suolo in una Monosucessione di Frumento Domenico Ventrella, Angelo Fiore, Marcello Mastrangelo, Alessandro Vittorio Vonella, Francesco Fornaro, Donato Ferri Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, CRA, Bari, IT, domenico.ventrella@entecra.it

Introduzione Sull’effetto dell’interramento dei residui colturali sono state condotte molte ricerche. In generale, l’effetto positivo di tale tecnica sulle caratteristiche chimico-fisiche del suolo è stato ampiamente dimostrato, ma non tutte le ricerche condotte concordano sugli incrementi del contenuto in sostanza organica che ne deriva, in quanto tale effetto è strettamente correlato alle caratteristiche pedo-climatiche dell’area in studio, alla tipologia dei residui interrati e alle azioni agronomiche messe in atto per favorire la degradazione del materiale organico fresco incorporato. La bruciatura delle stoppie e delle paglie è una consuetudine nelle aree in cui, tradizionalmente, sono coltivati i cereali. Il ricorso a tale tecnica deriva da difficoltà gestionali, dalla riduzione delle richieste di paglia a seguito di una riduzione degli allevamenti e del numero di capi di bestiame, dalla necessità di liberare il terreno dai residui in modo economico, dalla necessità di abbattere gli inoculi di eventuali patogeni presenti sui residui della coltura conclusa e, infine, dalla necessità di ridurre il numero di semi germinabili delle erbe infestanti. Tuttavia, il ricorso alla bruciatura, senza le opportune cautele imposte da leggi specifiche nazionali e regionali, abbinate, talvolta, alla superficialità ed alla incompetenza degli operatori, ha comportato, in alcuni casi, ingenti danni a patrimoni naturalistici di notevole interesse, oltre che dissipazione di sostanza organica accumulatasi per l’intero ciclo colturale. In Italia, presso l’Azienda Sperimentale di Foggia, denominata “Podere 124”, del CRA-SCA di Bari è in corso, dal 1977, una ricerca sull’effetto dell’interramento e della bruciatura sulle caratteristiche chimico-fisiche del suolo e sulle performance produttive di frumento in monosuccessione. La prova sperimentale, condotta senza soluzione di continuità, consente di confrontare l’effetto della bruciatura, del semplice interramento dei residui colturali e dell’interramento praticato con alcuni accorgimenti agronomici, come la distribuzione di dosi crescenti di azoto sui residui colturali prima dell’interramento, e la simulazione di una pioggia abbondante sulla degradazione della sostanza Tab. 1 – Contrasti ortogonali organica, attraverso un’irrigazione di 50 mm. Bruciatura vs Interramento In questo lavoro si riportano i risultati di C1 un’indagine chimica volta a verificare l’effetto di C2 Interramento: N in copertura vs no N 32 anni di bruciatura e interramento in C3 Interramento: N sui residui vs no N monosuccessione di frumento, sullo stato della Interramento: acqua sui residui vs no acqua fertilità chimica del suolo relativamente a C4 sostanza organica, azoto, fosforo e potassio. No acqua sui residui: componente lineare C5 di N Metodologia No acqua sui residui: componente La ricerca, attualmente finanziata nell’ambito del C6 quadratica di N Progetto di ricerca EFFICOND (Coord. Dr. P. Acqua sui residui: componente lineare di N Bazzoffi), è stata avviata nell’autunno del 1977 a C7 Acqua sui residui: componente quadratica Foggia (41° 27’ lat. N, 3° 04’ long. E, 90 m C8 di N s.l.m.) presso l’Azienda Sperimentale “Podere 124” del CRA-SCA, Il suolo è un Vertisuolo limoso-argilloso di origine alluvionale, classificato come Typic Chromoxerert, Fine, Mesic secondo la tassonomia USDA. Lo schema sperimentale utilizzato è il blocco randomizzato con cinque ripetizioni e 9 tesi su parcelle di 80 m2: T1 - bruciatura dei residui colturali del frumento; T2 - interramento; T3 - interramento + 50 kg ha-1 di N (urea) sui residui; T4 - interramento + 100 kg ha-1 di N sui residui; T5 interramento + 150 kg ha-1 di N sui residui; T6 - trattamento T3 + 500 m3 ha-1 di acqua sui residui; T7 - trattamento T4 + 500 253


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA 3

-1

m ha ; T8 - trattamento T5 + 500 m3 ha-1; T9 - interramento dei residui senza N su paglie e in copertura. Su campioni di suolo, prelevati il 19 marzo 2009, è stato determinato il contenuto in: azoto totale (N Tot) secondo il metodo di Kjeldahl, fosforo assimilabile (P2O5) secondo il metodo Olsen, potassio scambiabile (K), sodio (Na), calcio (Ca), magnesio (Mg), Carbonio Organico Totale (TOC), secondo il metodo Springer & Klee, Carbonio Totale Estratto (TEC) e acidi Umici e Fulvici (U+F), secondo il metodo di Stevenson. Dai parametri di TOC, TEC e U+F, sono stati calcolati: contenuto in S.O. del suolo; DH, grado di umificazione, rapporto tra il contenuto di carbonio umico (HA+FA) e quello del carbonio organico totale estratto (TEC); HR, tasso di umificazione, rapporto tra la quantità di carbonio umico (HA+FA) e quella del carbonio organico totale (TOC). 1620

15

1610

14

1600

-1

*

13

12

1580 1570

11

1560

TOC e TEC g kg-1

K mg kg

n.s.

*

1590

10

n.s.

1550

9

1540 1530

8

bruciatura

interramento K

bruciatura

interramento TOC

N sui residui N0 sui residui N sui residui N0 sui residui TOC Interramento

TEC Interramento

Figura 1. Contenuto di K, TOC e TEC. *: differenza significativa per P<0.05; n.s.: differenza non Trattamenti significativa

Risultati e conclusioni La Figura 1 mette in evidenza quanto è emerso dall’analisi della varianza con il metodo dei contrasti ortogonali. Dopo 32 anni di trattamenti reiterati senza soluzione di continuità, la bruciatura, rispetto all’interramento, ha fatto registrare un incremento statisticamente significativo del contenuto in K pari al 3,6%. La pratica dell’interramento ha determinato, rispetto alla bruciatura, un incremento del contenuto in S.O. dello 0,7%, ma esso non è risultato non significativo. Considerano solo le tesi in cui viene effettuato l’interramento, è stato possibile osservare che la somministrazione di N sui residui colturali, al momento dell’interramento, ha avuto un effetto positivo determinando un incremento statisticamente significativo del TOC pari al 5,7%. Il TEC, al contrario, non ha mostrato differenze statisticamente significative attribuibili alla gestione dei residui (incremento medio del 3,3%). In definitiva, emerge, che l’interramento dei residui colturali tende a migliorare sia l’aspetto quantitativo della S.O., sia l’aspetto qualitativo. Infatti il grado di umificazione (DH), per le parcelle sottoposte ad interramento, ha denotato un incremento del 6,7% rispetto a quelle della bruciatura. La somministrazione di azoto sui residui colturali ha consentito una migliore degradazione della S.O. fresca apportata. Dall’analisi dei dati è emerso, infatti, che, come riportato in letteratura, la somministrazione di azoto alle paglie al momento dell’interramento ha fornito i migliori risultati per quanto riguarda il contenuto in S.O. del suolo, anche con una dose minima pari a 50 kg ha-1 di N. Al contrario l’effetto della somministrazione di acqua (50 mm) sulle stoppie non è risultato significativo.

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SESSIONE III – AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE



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Analisi dei Caratteri del Paesaggio Classificazione Territoriale Anna Rita Bernadette Cammerino, Lorenzo Piacquadio, Massimo Monteleone Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, a.cammerino@unifg.it

Introduzione Il paesaggio, secondo l’accezione pertinente all’analisi ecologica (Forman e Godron, 1986), si caratterizza per un insieme (clusters) di ecosistemi tra loro interagenti e variamente ripetuti secondo riconoscibili modelli spaziali (patterns); il paesaggio, quindi, costit uisce una particolare e specifica configurazione di elementi biotici ed abiotici a partire da fattori inerenti, ad esempio, la topografia, la copertura da parte della vegetazione, l’uso del suolo, ecc. che determinano, nel loro complesso, alcune coerenze di processi naturali ed antropici (Green et al., 1996). Una componente imprescindibile (si direbbe ormai prevalente) del paesaggio è oggi costituita da quella parte del territorio dedicato all’agricoltura; esso non deve essere considerato meramente come l’espressione delle finalità produttive dell’uomo applicate all’ambiente, bensì una ricca e singolare interazione fra l’intervento forgiante antropico e le condizioni della natura, dunque il risultato di una “sintesi” evolutiva che può assumere, alternativamente, i caratteri della complessità biologica così come quelli di una drastica semplificazione. Ne consegue che l’esercizio dell’agricoltura può, a seconda delle condizioni, salvaguardare l’ambiente oppure contribuire al suo degrado. Il presente lavoro ha riguardato la “lettura” ed “interpretazione” del paesaggio del territorio del Gargano, vasto promontorio situato in provincia di Foggia, attraverso due diverse analisi condotte a partire da differenti data-set relativi alla copertura e/o all’uso del suolo. Ne è scaturita una zonazione territoriale utile alla definizione di strategie di pianificazione e gestione territoriale. Metodologia La prima analisi ha impiegato i dati relativi al V Censimento dell’agricoltura (ISTAT, 2000). La seconda, parallela alla precedente, ha considerato il database relativo al Corine Land Cover, IV livello (APAT, 2005). Quest’ultima procedura ha consentito di elaborare dati georeferenziati circa la distribuzione delle diverse coperture del suolo nell’area investigata. In entrambi i casi, l’unità territoriale di riferimento è stata indicata nel territorio comunale, essendo i comuni afferenti al territorio del Gargano complessivamente pari a 18. Relativamente ai dati censuari, l’analisi statistica è stata condotta a partire dai valori d’incidenza delle superfici dei seminativi, dei pascoli e dei prati permanenti, del bosco; con riferimento alle colture legnose agrarie, sono state considerate l’incidenza delle superfici della vite, dell’olivo, degli agrumi e dei fruttiferi. Riguardo al data-set Corine, l’analisi statistica è stata condotta a partire dai valori d’incidenza delle superfici agricole, considerando le superfici a seminativo, quelle investite a colture arboree da frutto (vigneti ed oliveti, in particolare), i prati stabili, le zone agricole eterogenee; nel novero delle superfici a copertura naturale o semi-naturale, l’incidenza delle superfici boscate prevede la distinzione fra boschi di latifoglie, di conifere e boschi misti, nonché la valutazione dell’incidenza delle superfici a praterie e macchia mediterranea. Per entrambe le analisi, i valori percentuali delle superfici assegnate alle differenti classi d’uso del suolo sono stati elaborati statisticamente secondo una procedura di tipo multivariato, consistente in una serie di passaggi successivi: un’analisi di correlazione, prima, una successiva analisi fattoriale ed una procedura finale di raggruppamento (clustering). Scopo dell’analisi è stato quello di identificare alcune componenti della struttura del paesaggio (indipendenti od “ortogonali” fra loro), utili a definire un set più ristretto di indici che possano fungere da caratteri discriminanti dell’area complessivamente investigata (Ritters et al., 1995). Ciascun raggruppamento venutosi a determinare tende pertanto a rappresentare una precisa tipologia di riferimento (potremmo definirla “unità paesistica”) ai fini della caratterizzazione del sistema del paesaggio garganico.

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Risultati L’analisi statistica ha consentito di identificare quattro raggruppamenti territoriali principali con riferimento sia al data set ISTAT che Corine (e rispettivamente sette e sei sottoraggruppamenti). Buono è risultato l’accordo fra le due classificazioni. Con riferimento alle classi territoriali si distinguono (Fig. 1): C1.1 = territori della pianura interna e delle propaggini occidentali del promontorio; C1.2 = territori della pianura litoranea, a Nord-Ovest e SudEst del promontorio; C3 = territori della collina centrale del promontorio; C4 = territori della collina litoranea relativa alla porzione più orientale del promontorio. Le peculiari trasformazioni paesistiche che intervengono nella caratterizzazione del territorio garganico possono essere sintetizzate identificando due direttrici contrapposte: l’una marcatamente agricola, che si riconosce per la rilevante incidenza Figura 1. Rappresentazione del promontorio garganico; i territori dei seminativi rispetto alle colture arboree, al comuni in cui esso è ripartito sono assegnati alle quattro classi pascolo ed alle superfici boscate, in netta scaturite dall’analisi della composizione paesistica. prevalenza nei territori di pianura interna (C1.1) o litoranea (C1.2) che gradatamente ascendono verso la collina. L’altra trasformazione è di segno contrario, ossia reca un’impronta agricola meno marcata; essa può manifestarsi nei termini alternativi di una maggiore incidenza del bosco rispetto al prato ed al pascolo (territori C4) o, nei termini opposti, di prevalenza relativa dei prati e del pascolo o della macchia mediterranea rispetto al bosco (territori C3). A queste direttrici di modellamento paesistico se ne associa un’altra: quella che vede l’incidenza crescente delle coltivazioni arboree da frutto, in particolare passando dalle aree di pianura (C1) a quelle della collina interna (C3) fino ad arrivare alla collina litoranea (C4), tutta spostata ad oriente; in particolare, marcata è la tendenza all’incremento relativo degli agrumeti a misura che aumenti la rilevanza generale delle colture arboree; ciò avviene, sempre in termini relativi, a discapito di altre colture legnose, in particolare dei fruttiferi e dei vigneti, che sono maggiormente rappresentati nelle aree agricole a maggiore intensità colturale (particolarmente in pianura) e dell’olivo in quelle più estensive. Conclusioni Le due distinte fonti d’informazione, da cui è discesa l’elaborazione statistica dei dati, hanno fornito informazioni complementari, entrambe utili all’identificazione di aree omogenee per caratterizzazione paesistica e modelli d’uso del suolo. Dalla fonte censuaria ISTAT è derivata un’interpretazione tendenzialmente più esaustiva sul fronte dell’uso agricolo del suolo; i dati di derivazione Corine sono apparsi più completi nella descrizione dei caratteri naturalistici del paesaggio. Nel complesso, è stato possibile riconoscere la “vocazione” dei diversi territori comunali e procedere all’analisi dello spazio geografico in termini di rapporti fra aree a maggiore o minore grado di “naturalità” o, all’opposto, di “antropizzazione”, identificandone i rapporti di complementarietà ed equilibrio. Bibliografia Forman R.T.T. e Godron M., 1986. Landscpae Ecology. John Wiley and Sons, New York. Green B.H. et al. 1996. Landscape Conservation: Some Steps Towards Developing a New Conservation Dimension. A draft report of the IUCN-CESP Landscape Conservation Working Group. Dept. Agriculture, Horticulture and Environment, Wye College, Ashford, Kent, UK. Riitters, K.H. et al. 1995. A factor analysis of landscape pattern and structure metrics. Landsc. Ecol. 10: 23–39. 258


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Identificazione e Caratterizzazione di Aree Agricole ad Elevato Valore Naturalistico in Territorio pre-Appenninico Anna Rita Bernadette Cammerino, Lorenzo Piacquadio, Massimo Monteleone Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, a.cammerino@unifg.it

Introduzione Nel contesto europeo, le Aree Agricole ad Alto Valore Naturalistico (HNVF) rappresentano agroecosistemi che conservano una ricca varietà di habitat e di specie di grande interesse conservazionistico; in esse, l’attività agricola costituisce l’elemento prevalente e forgiante che, nel corso del tempo, ha dato vita a numerose forme di paesaggio (Andersen, 2003). In particolare, tali aree si riscontrano dove i sistemi di produzione agricola sono estensivi, ovvero minore è il ricorso ad input agrotecnici, e sono preservate particolari infrastrutture a carattere ecologico (es. siepi, fasce inerbite, filari di alberi, macchie di vegetazione spontanea, ecc.). Fra gli habitat prevalenti che rientrano in queste aree si annoverano le formazioni prato-pascolative permanenti, le aree agroforestali, le aree steppiche, le zone umide. Le HNVF sono ritenute strategiche al fine di arrestare la perdita di biodiversità; di qui la necessità di attuare, a livello comunitario, iniziative volte alla loro identificazione e misure finalizzate alla loro conservazione. L’obiettivo del presente lavoro è quello di proporre un processo metodologico utile ai fini della localizzazione delle HNVF; l’area di interesse è quella dei Monti Dauni Meridionali in provincia di Foggia. Metodologia Due approcci distinti e complementari sono stati proposti e verificati in Figura 1. Localizzazione delle HNVF potenziali identificate tramite “land use approach” con riferimento ad un’area dei Monti Dauni meridionali questa sede. Il land use approach, operando su scala vasta a partire dai dati di uso/copertura del suolo e mediante l’impiego del GIS, ha consentito d’individuare le differenti “tessere” (o patches) del mosaico ecologico territoriale; le classi d’uso/copertura del suolo sono state quindi convertite nei corrispondenti biotopi e ad essi è stato assegnato un particolare grado di naturalità. La metodologia adottata, quindi, è di tipo top-down (ossia dall’alto verso il basso) ed ha consentito di selezionare quei “tasselli” agro-ecologici che, per caratteri 259


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intrinseci e soprattutto per condizioni di vicinanza e prossimità ad altri “tasselli” d’interesse, evidenziassero prerogative di notevole valore naturale. Questi tasselli o tessere sono stati identificati a partire dalla “trama” generale del territorio indagato. Il secondo approccio, diametralmente complementare al primo, è definito farming system approach. che si basa sulla valutazione diretta (ossia tramite sopralluoghi ed analisi aziendale) del grado di sostenibilità che contraddistingue la gestione dell’azienda. A ciò occorre aggiungere la verifica della presenza di eventuali infrastrutture ecologiche (siepi, filari alberati, arbusti, margini inerbiti, cavedagne, ecc.) in grado di valorizzare l’area dal punto di vista naturalistico, in rapporto all’estensione, composizione, varietà ed articolazione, complessità, funzionalità delle infrastrutture medesime. A tal fine, sono stati applicati specifici indicatori inerenti la struttura e la qualità dell’agro-paesaggio (Lazzerini e Vazzana, 2008). Tale metodologia, dunque, è di tipo bottom-up (ossia dal basso verso l’alto), in quanto valuta l’idoneità dell’area in base all’effettiva presenza e qualità delle sue componenti ecologiche, ambientali e paesaggistiche. Risultati L’applicazione della strategia land use sull’intero territorio provinciale ha consentito la localizzazione delle potenziali HNVF (Fig. 1). Le aree agricole in cui si concentra la quota più rilevante del valore naturalistico si riferiscono per lo più all’area sub-appenninica, se si escludono lembi assai esili o spot notevolmente ridotti individuati in territorio di pianura, particolarmente lungo gli assi principali della rete idrografica. Le associazioni più frequentemente riscontrate fra componenti agricole e componenti naturali coinvolgono i sistemi agrari a cerealicoltura estensiva “asciutta” od anche prato – pascoli permanenti, dove le aziende manifestano una certa incidenza degli allevamenti zootecnici, quasi sempre di tipo ovi-caprino e, più raramente, anche bovino podolico. Più rarefatte sono le aree definite “agricole con presenza di spazi naturali importanti” o quelle ad “agromosaico eterogeneo complesso”. In tali contesti, vigneti, oliveti e frutteti sono del tutto sporadici. La metodologia farming system, basandosi su di una valutazione diretta delle aziende, è stata applicata ad una un’area di studio più circoscritta, scegliendo tre aziende rappresentative dei biotopi presenti nell’area. Per brevità, ci si limita a riferire il carattere ancora provvisorio e del tutto “aperto” degli indicatori, solo di recente proposti in letteratura e non ancora soggetti ad un’ampia verifica. Conclusioni Lo studio evidenzia l’importanza di entrambi gli approcci metodologici. L’area analizzata mediante l’approccio farming system manifesta caratteri riconducibili alle Aree Agricole ad Alto Valore Naturalistico. Sulla scorta dei valori assunti dagli indici nonché in base a quanto valutato direttamente in campo, con riferimento alle componenti vegetazionali presenti sulle diverse superfici aziendali, è possibile concludere che il valore naturalistico associabile a queste aree mostra i segni di una “necessaria” estensivizzazione, frutto della tendenziale marginalità economica in cui tali aziende generalmente versano, ciò che non rende conveniente un livello superiore d’impiego degli input agrotecnici. Gli spazi naturali o naturaliformi presenti nelle suddette aree sono più il risultato di un ritiro delle superfici dalla produzione piuttosto che di un “investimento” aziendale in naturalità; in altri termini, le infrastrutture agro-ecologiche osservate hanno una marcata valenza “residuale”. Le considerazioni precedenti evidenziano la necessità di procedere al riconoscimento pieno dell’utilità sociale e del valore dei servizi ambientali erogati dalle aziende in questione da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Di pari passo, occorre accrescere significativamente la consapevolezza degli agricoltori insediati in queste aree, al fine di adottare strategie di gestione che sappiano superare i limiti di un’agricoltura unicamente rivolta alla produzione, per abbracciare con convinzione e capacità professionale le esigenze di un’agricoltura che valorizzi l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità, in grado di presidiare il territorio e salvaguardarne i caratteri più salienti. Bibliografia AA VV, 2004. High nature value farmland: Characteristics, trends and policy challenges. EEA Report. Andersen E. (ed.), 2003. Developing a high nature value farming area indicator. Internal report EEA. European Environment Agency, Copenhagen. Lazzerini G. e Vazzana C., 2008 – Analisi a livello aziendale. In “Indicatori di Biodiversità per la sostenibilità in Agricoltura. APAT. 260


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Valutazione dell’Impatto della Direttiva Nitrati in una Azienda Zootecnica della Pianura Friulana Paolo Ceccon, Valeria Muzzolini Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Udine, IT, pceccon@uniud.it

Introduzione La lisciviazione dei nitrati contribuisce in maniera molto rilevante alle perdite complessive di azoto nell’ecosistema, rappresentandone, secondo recenti stime, il 34% a livello mondiale e il 48% in Europa (Liu et al. 2010); tale fenomeno è responsabile dell’allontanamento dal sistema agrario del 27% dell’azoto apportato con i concimi. La Direttiva Nitrati (91/676/CEE) ha inteso introdurre norme per attenuare e prevenire l’inquinamento dei corpi idrici da nitrati di origine agricola. Ancorché recepita con grave ritardo nel nostro Paese, la Direttiva Nitrati, attraverso la designazione delle Zone Vulnerabili da Nitrati (ZVN) e la predisposizione dei programmi d’azione, pone importanti vincoli alla conduzione agricola dei suoli, i cui effetti sono difficilmente valutabili con metodi convenzionali. Il presente studio è stato condotto con l’obiettivo di stimare gli effetti dell’adozione del programma d’azione in un’azienda zootecnica friulana attraverso l’impiego di un modello di simulazione di sistema colturale. Metodologia Un’azienda zootecnica ricadente in ZVN della pianura del Friuli Venezia Giulia (FVG) è stata individuata secondo criteri di rappresentatività pedo-climatica, tecnico-organizzativa e dimensionale rispetto al panorama delle aziende regionali. L’azienda conta circa 90 ha di proprietà, prevalentemente irrigui, coltivati a mais da granella e, su minori superfici, orzo, frumento, soia e colza, lasciando a prato le aree marginali. I suoli sono di natura franco-sabbiosa, ricchi di scheletro, con medio contenuto in C organico (ca. 2.2%); le precipitazioni medie annue ammontano a circa 1400 mm. L’azienda pratica l’allevamento di suini da ingrasso (1500 capi; 1.7 cicli/anno) e di broilers (150000 capi; 4.5 cicli/anno), con una produzione media annua di 36500 kg N da reflui zootecnici, di cui 25500 come pollina e 11000 come liquame suino. Lo studio ha posto a confronto la gestione aziendale precedente (ex-ante) all’adozione del programma d’azione della Regione FVG per le aziende localizzate in ZVN (B.U.R. FVG, 2008), facente riferimento alle pratiche agricole del quinquennio 2002-2006 ricavate da intervista al titolare dell’azienda, con la gestione aziendale successiva all’adozione del programma d’azione (ex-post) desunta dal Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA) predisposto dal titolare per il quinquennio 200812. La consistenza zootecnica, e quindi la produzione di reflui, è stata considerata costante nei due scenari. I sistemi colturali praticati nelle due situazioni a confronto sono stati simulati utilizzando il modello CropSyst (Stöckle et al. 2003) calibrato e validato nell’ambiente di prova. Le simulazioni sono state condotte a scala particellare, utilizzando le informazioni pedologiche desunte dalla carta dei suoli della Regione FVG, il clima monitorato dall’Osservatorio Meteorologico Regionale, le rotazioni e le tecniche colturale acquisite come precedentemente descritto. Ogni combinazione rotazione-clima-terreno (in numero di 86 nello scenario ex-ante e di 229 in quello ex-post) è stata condotta per un trentennio (6 cicli di rotazioni quinquennali) utilizzando dati meteo prodotti dal generatore climatico ClimGen (Stöckle et al., 2001) e scartando i primi 10 anni. Dei numerosi output del modello sono stati considerati in particolare: le asportazioni da parte delle colture, le perdite in forma gassosa e le perdite per lisciviazione. Dei valori di tali indicatori è stata calcolata la media ponderata rispetto alla superficie dell’unità di simulazione.

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Risultati Il rispetto delle normative agroambientali già vigenti nello scenario ex-ante ha indotto il titolare dell’azienda alla sottoscrizione di contratti di spandimento dei reflui fino a portare la superficie complessiva a 110 ha, sufficienti allo smaltimento dell’azoto prodotto dagli allevamenti. Tale superficie è aumentata nello scenario ex-post a 236 ha, necessari in seguito alla riduzione delle dosi massime di azoto di origine zootecnica previste dal programma d’azione, che limita anche l’apporto di azoto minerale in misura differenziata in relazione alle colture e alle precessioni colturali: complessivamente si è riscontrata una contrazione delle concimazioni azotate del 30% a livello medio aziendale (Tab. 1). Tabella 1. Elementi simulati del bilancio dell’azoto prima (ex-ante) e dopo (ex-post) l’adozione del programma d’azione a scala aziendale. Valori espressi in kg N ha-1 anno-1. Scenario ex-ante ex-post

Concimazione minerale (†) 85 135

Concimazione organica (†) 330 157

Asportazioni colture (‡) 103 117

Perdite per lisciviazione (‡) 75 63

Perdite gassose (‡) 24 40

(†) dati rilevati (‡) dati simulati

I risultati delle simulazioni (Tab. 1) suggeriscono che l’adozione del programma d’azione, in conseguenza delle limitazioni agli apporti azotati e ai vincoli imposti alle rotazioni colturali, ha provocato un incremento delle asportazioni medie annue di azoto da parte delle colture (+13%): tale effetto, unitamente alla già citata riduzione degli apporti complessivi di azoto e alla razionalizzazione delle epoche e delle modalità di distribuzione, ha indotto un apparente miglioramento dell’efficienza d’uso dell’azoto a livello di rotazione colturale (25 vs. 40%). Sotto il profilo dell’impatto ambientale, le prescrizioni agronomiche imposte nelle ZVN hanno determinato una diminuzione delle perdite di azoto per lisciviazione (-16%), particolarmente accentuata nelle superfici irrigue (-22%) in quanto destinate alle colture maggiormente esigenti in azoto, come il mais. Nello scenario ex-post si è altresì riscontrato un aumento delle perdite di azoto in forma gassosa (ammoniacale) (+67%), correlate al maggior impiego di concimi minerali (urea). Conclusioni La valutazione dell’impatto delle politiche agroambientali è limitata dalla modesta adattabilità dei metodi convenzionali alla scala territoriale. L’impiego di modelli di simulazione può rappresentare una valida alternativa, sia in sede di progettazione delle misure agroambientali, sia nella fase di valutazione ex-post. I risultati ottenuti nel presente studio mettono in luce la sostanziale validità delle misure implementate nelle ZVN della Regione FVG, il cui riscontro è tuttavia fortemente condizionato dalla corretta applicazione delle tecniche agronomiche dichiarate nei piani di utilizzazione agronomica redatti dalle aziende. Ricerca finanziata dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, fondi PRIN 2007, progetto “Strumenti e strategie innovative per la progettazione di sistemi colturali per le Zone Vulnerabili da Nitrati italiane”; coordinatore nazionale: prof. Pier Paolo Roggero.

Bibliografia Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, n. 45 del 5 novembre 2008, p. 38. Liu J. et al., 2010. A high-resolution assessment on global nitrogen flows in cropland. Proc. Nat. Acad. Sci., 107, 17: 80358040. Stöckle C.O. et al., 2001. ClimGen: a flexible weather generation program. 2nd Int. Symp. Modelling Cropping Systems, 16-18 July, Florence, Italy, 229-230. Stöckle C.O. et al. 2003. CropSyst, a cropping systems simulation model. Eur. J. Agron., 18: 289-307.

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Agronomia Territoriale, Funzioni Agro-Ambientali e Politiche di Sviluppo: alcune Evidenze in Recenti Esperienze di Ricerca Mariassunta Galli1, Marta Debolini1, Elisa Marraccini1,2, Enrico Bonari1 1

Land Lab, Scuola Superiore Sant'Anna, m.galli@sssup.it 2 Cemagref, UMR Métafort, Aubière (France)

Introduzione Negli ultimi anni gli studi agronomici hanno evidenziato un adeguamento degli strumenti conoscitivi a problematiche di ordine territoriale, anche considerando il crescente interesse per l’integrazione tra programmazione e pianificazione (spatial planning) a supporto delle politiche di sviluppo. L’emergere della connotazione territoriale è avvenuta in modo spontaneo con l’approfondimento di alcune problematiche di natura agroambientale, come quelle connesse all’erosione o all’inquinamento da nitrati a livello di bacino In previsione della PAC post-2013, gli studi agro-ambientali a scala territoriale assumono un ruolo strategico anche nel supportare politiche di compensazione alla fornitura di servizi pubblici da parte delle aziende. Da un punto di vista disciplinare, l’agronomia territoriale non è stata ancora definita in modo condiviso. Stanno tuttavia emergendo alcune nuove “proprietà” disciplinari. Una prima proprietà è la multiscalarità (MS): alle diverse scale si distinguono elementi e processi diversi per il diverso grado di dettaglio, quindi tra loro necessariamente complementari per un quadro conoscitivo esaustivo. Una seconda proprietà è la multitemporalità (MT) che risponde alla necessità di caratterizzare le tendenze in atto, quindi di definire gli scenari di trasformazione e le relative misure d’intervento. Queste due proprietà spesso conducono allo sviluppo di ricerche strutturate in fasi successive che si alimentano progressivamente. Infine, come ultima proprietà, ci riferiamo alla destinazione, per fini gestionali, dei quadri conoscitivi acquisiti, quindi alla necessità di restituirli con modalità che ne permettano un uso funzionale al governo del territorio, anche dal punto di vista strumentale (messa a punto di sistemi informativi territoriali, di modelli di simulazione di scenari, di sistemi di supporto alle decisioni, ecc.) (G). Alla luce di queste proprietà il presente lavoro intende evidenziare alcune criticità metodologiche (CM) attraverso una descrizione schematica di tre percorsi di dottorato che hanno approfondito la gestione agricola a scala territoriale qualificandone alcune funzioni agro-ambientali che, seppur supportate dalle “politiche agricole”, non avevano un quadro conoscitivo di dettaglio a livello territoriale. Metodo I progetti di ricerca sono stati scomposti in funzione di tre categorie analitiche: 1) le funzioni ambientali che costituiscono l’obiettivo dello studio (FA); 2) le modalità con cui sono stati inclusi i modelli gestionali in funzione dell’obiettivo di studio (MG); 3) il contributo ad una migliore finalizzazione delle politiche agro ambientali (PAA). Tali categorie caratterizzano alcuni elementi di valenza generale per studi agronomico-territoriali funzionali a politiche orientate a supportare l’erogazione di servizi ambientali. In particolare i progetti proposti avevano come obiettivo la messa a punto di un metodo di analisi agronomico-territoriale per la stima: 1) della fragilità di un paesaggio terrazzato olivato per indirizzare gli interventi di manutenzione (Rizzo, 2007); 2) della capacità di determinate configurazione spaziali di uso del suolo di un comprensorio agricolo a contenere l’erosione e la lisciviazione e a conservare il paesaggio (Marraccini et al., 2010); 3) su come scenari di cambiamento di uso del suolo possano influenzare i processi di degradazione del suolo stesso (Debolini et al., 2009). Risultati L’analisi dei progetti di ricerca in funzione delle categorie analitiche è riassumibile come segue.

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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA FA Funzione di regimazione delle acque superficiali in una situazione di prevalente copertura con sistemazioni idraulico agrarie

MG Analisi multicriteri in ambiente GIS, come somma lineare non pesata, basata su due tipologie di parametri: strutturali (primari, riferiti a caratteristiche naturali – es. pericolosità geomorfologica; secondari, dipendenti da modifiche antropiche - es. sistemazioni) e agronomicogestionali (uso del suolo e stato delle colture)

Funzione di protezione delle acque superficiali dai nitrati, di protezione della fertilità del suolo, di conservazione del mosaico del paesaggio in un’area cerealicolozootecnica

Cluster analisi geografica con assegnazione ai parametri utilizzati di un contributo potenziale al soddisfacimento della funzione. Somma lineare non pesata del contributo dei parametri per ciascuna funzione, divisi in geofisici (es. pendenza, densità di corsi d’acqua, qualità del suolo) e agronomico - gestionali (uso del suolo/pratiche agricole). Analisi dei cambiamenti di uso del suolo tramite fotointerpretazione di foto aeree relative a tre intervalli temporali degli ultimi 15 anni; interviste in azienda per la valutazione dei modelli gestionali. I fattori acquisiti sono stati utilizzati per la modellizzazione dei processi erosivi.

Funzione di protezione del suolo dall’erosione e dalla perdita di sostanza organica nella collina interna della Toscana meridionale

PAA Identificazione di un indice di fragilità classato su quattro livelli di suscettibilità alla perdita della funzione. A ciascuna classe corrisponde una progressione di interventi per la manutenzione, da ordinari a straordinari. Produzione di una carta di fragilità adottata per indirizzare la gestione delle sistemazioni con il supporto di un manuale tecnico. Produzione di una cartografia del soddisfacimento delle funzioni agro-ambientali (3 categorie: soddisfatte, intermedie, non soddisfatte) e identificazione di un indicatore spaziale in grado di predire il soddisfacimento delle funzioni in una determinata area ad un momento x. Identificazione di modalità di gestione del territorio compatibili con la conservazione del suolo. Produzione di una cartografia del rischio di erosione e di perdita di sostanza organica a scala provinciale e identificazione di macroaree in cui proporre modalità produttive distinte.

CM Mancanza di un adeguato quadro conoscitivo della organizzazione gestionale a livello di azienda/proprietà perché estremamente frazionata ed eterogenea (MS), quindi difficoltà a definire scenari di trasformazione dell’uso del suolo e dei modelli gestionali (MT). Difficile validazione della stima della fragilità (G).

Difficoltà di accesso a dati riguardanti le pratiche agricole e l’articolazione dei sistemi colturali e aziendali (MS). Difficile validazione delle funzioni per mancanza di cartografia comparativa e quindi delle configurazioni spaziali dell’uso del suolo identificate. Validazione possibile attraverso gli utilizzatori finali delle mappe prodotte (G). Mancanza di dati continui nel tempo sui parametri idrologici per la valutazione dell’erosione (MT) e difficoltà nel reperimento di dati sull’organizzazione gestionale a causa dell’estensione dell’area di studio (MS). Difficoltà nella fase di validazione, per la mancanza di dati sul trasporto di sedimenti a livello di bacino (MS).

Conclusioni L’agronomia territoriale potrà esercitare un ruolo sempre più decisivo nel supportare le politiche di sviluppo agricolo ma, come evidenziato, i campi applicativi mettono in luce numerose complessità di ordine metodologico che per essere risolte hanno necessità anche di finanziamenti finalizzati all’acquisizione dei dati primari. Ciò tuttavia costituisce un passaggio basilare per il rafforzamento della fornitura di beni e servizi pubblici in agricoltura con una positiva ricaduta su tutta la collettività. Bibliografia Marraccini et al. 2010. Spatial variability of agro-environmental functions fulfilment in a Mediterranean agricultural landscape. Proceedings of the XI ESA Congress, 29 August- 2 September 2010, Montepellier (France), in press Debolini M., et al. 2009. Spatial assessment of agro-environmental functions for sustainable land management. A case study in the Province of Grosseto (Tuscany). Proceedings of the European IALE Conference, Salzburg. ber 2010, Montpellier (France) in press. Rizzo D., et al. 2007. The geoagronomic approach to the rural landscapes management: a methodological path to characterize contemporary challenges Proceedings of the IALE world congress: 25 years Landscape Ecology; scientific principles in practice, Wageningen (Netherlands), 8-12 July, 805-806. 264


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Erosione del Suolo e Inquinamento da Nitrati: Valutazione Integrata e Partecipativa delle Misure Agro-ambientali Martina Perugini1, Marco Toderi1, Giovanna Seddaiu2,3, Roberto Orsini1, Giacomo De Sanctis3, Pier Paolo Roggero2,3 1

Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, IT, m.perugini@univpm.it 2 Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli studi di Sassari, IT, pproggero@uniss.it 3 Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli studi di Sassari, IT, gdesanctis@uniss.it

Introduzione L’Unione Europea richiede ai paesi membri una valutazione ex-post dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) per la quale fornisce un set di indicatori agro-ambientali (IAA) e di criteri di valutazione (Doc. STAR VI/43517/02, VI/12004/00, VI/8865/99). La Regione Marche, ad integrazione della valutazione indipendente del PSR condotta dalla Ati Ecoter-Resco-Unicab, ha commissionato agli autori (gruppo di lavoro SAPROV) una valutazione quantitativa dell’impatto delle misure agroambientali (basso impatto ambientale e biologico) sulle perdite di nitrati ed erosione idrica del suolo. In questo lavoro, si riportano in sintesi le “lessons learned” da questa esperienza, che è stata condotta attraverso l’integrazione di metodologie a diversa scala d’indagine relative ad aspetti agro-ambientali, politico-istituzionali e partecipative. Metodologia L’approccio metodologico si è basato sull’integrazione degli output derivanti da diversi strumenti analitici quantitativi, applicati dai ricercatori, e dalle percezioni degli stakeholder, soprattutto istituzionali (Perugini et al., 2009). La valutazione dell’impatto delle misure agro-ambientali si è quindi basata sull’analisi di alcuni IAA relativi ad erosione del suolo ed inquinamento da nitrati a diversa scala di indagine (territoriale, bacino, campo e stakeholder) come illustrato nella Tabella 1. L’analisi della valutazione è basata sull’applicazione del framework diagnostico (DF) proposto da Steyaert e Jiggins (2007), sviluppato nell’ambito del progetto UE FP5 “SLIM”. Il DF consente di analizzare i cambiamenti delle pratiche in uno specifico contesto e come questi siano influenzati dal cambiamento nella capacità di interpretazione del funzionamento del sistema di interesse da parte degli stakeholder. L’applicazione del DF richiede l’analisi di quattro variabili: interessi in gioco, istituzioni e politiche, vincoli ecologici e facilitazione dell’apprendiemnto. In particolare, lo studio ha riguardato l’analisi della percezione dei fattori ecologici e istituzionali da parte degli stakeholder. Risultati Dalla valutazione indipendente eseguita tenendo conto dei soli IAA desunti dai documenti STAR, emerge una buona rispondenza tra misure adottate e riduzione dell’impatto ambientale. Dal monitoraggio a scala di bacino e dalle simulazioni ottenute dai modelli matematici risulta che uno dei fattori chiave di controllo dell’erosione del suolo e dell’inquinamento delle acque da nitrati è il grado di diversificazione dei sistemi colturali nello spazio e nel tempo, in particolare in aree collinari. Questo aspetto non era incluso nelle misure agroambientali del PSR, la cui efficacia (Perugini et al., 2009) non ha trovato sostanziali riscontri nelle valutazioni quantitative. La discrepanza di risultati tra valutazione indipendente e valutazione quantitativa è da mettere in relazione con la diversa metodologia di indagine adottata. Infatti, alcuni indicatori previsti dalla UE per la valutazione (es. bilanci apparenti dell’azoto) non tengono sufficientemente conto delle specificità ambientali locali, in altri casi presumono una relazione lineare causa-effetto (es: riduzione concimazione=riduzione perdite nitrati) che frequentemente non trova riscontro, perché le modalità di attuazione delle misure non è a scala idonea, come riferito da alcuni dirigenti della Regione, “…la scala di applicazione delle misure agroambientali della UE è assolutamente aziendale, e non territoriale…”. L’attuazione del PSR in ambito regionale non poteva che riflettere questi indirizzi. Infatti, nonostante l’interesse mostrato dai decisori locali verso iniziative a scala territoriale, la loro principale priorità è quella di soddisfare le richieste della UE e di utilizzare nei tempi previsti tutte le risorse finanziarie assegnate. 265


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA Tabella 1 Attività di valutazione ex-post, integrata e partecipativa, realizzate dal Valutatore Indipendente (VI, ATI EcoterResco-Unicab, 2008) e dal gruppo di lavoro SAPROV in risposta ai criteri dei documenti STAR nell’ambito della valutazione ex-post delle misure agro-ambientali del PSR Valutatore

Scala Spaziale

VI

Territoriale

SAPROV

Bacino

Campo

Stakeholder

IAA e strumenti metodologici di valutazione adottati Superficie che ha aderito alla misura (IAA) Interviste ai beneficiari e non beneficiari del PSR (IAA) Monitoraggio sistema colturale Monitoraggio produzioni colturali Bilanci dell’azoto kg/ha/anno (IAA) Trasporto dei nitrate nel runoff (IAA) azoto nell’acqua superficiale (IAA) azoto nell’acqua profonda (IAA) solidi sospesi nelle acque di drenaggio Modello EUROSEM Monitoraggio sistema colturale Monitoraggio produzioni colturali Bilanci dell’azoto kg/ha/anno (IAA) Modello DSSAT Questionari agli agricoltori Interviste semi-strutturate agricoltori workshop partecipativi Interviste semi-strutturate funz.politici Focus group EUROSEM come dialogical tool

Riduzione erosione suolo

Riduzione input agricoli inquinanti

Miglioramento qualità dell’acqua

X

X

X

X

X

X

X

X X X X X X

X X X X X X X X X X X

DSSAT come dialogical tool

X X X X X

X X X X X X X

Conclusioni L’analisi quantitativa di alcuni processi bio-fisici, ha messo in evidenza un impatto nullo o poco significativo delle misure agroambientali sull’inquinamento da nitrati e sull’erosione del suolo nelle situazioni ambientali prese in esame. L’introduzione nelle misure agro-ambientali di interventi volti a favorire la diversificazione spazio-temporale dei sistemi colturali potrebbe favorire il raggiungimento degli obiettivi specifici. Numerosi sono i vincoli emersi che, sulla base del DF, mettono in evidenza la necessità di instaurare un processo partecipativo e di condivisione delle problematiche, alternativo all’approccio command and control normalmente alla base della programmazione. Un nuovo modello di attuazione, complementare all’impiego di incentivi e sanzioni, basato sulla condivisione delle problematiche sito-specifiche tra stakeholder (funzionari regionali, agricoltori, ricercatori, ecc.), potrebbe favorire l’adozione di misure agroambientali più efficaci e avviare un percorso di apprendimento che si traduca in pratiche agronomiche desiderabili. Ciò implica l’istituzionalizzazione di strumenti di facilitazione finalizzati alla concertazione delle azioni a scala territoriale. In questa prospettiva, la ricerca agronomica ha offerto elementi essenziali a supporto del dialogo tra stakeholder. Bibliografia Ati-Ecoter-Resco-Unicab, 2008. Rapporto di valutazione ex-post. Regione Marche. http://www.agri.marche.it/PSR%202000-2006/Valutazione%20PSR/Parte%20I%2010%20febbraio%202009.pdf Perugini, M. et al. 2009. In: Van Ittersum, M.K., J. Wolf & H. H. Van Laar (Eds). Selected papers of AgSAP 2009. Roggero P.P. et al. 2008. Rapporto di valutazione misure agroambientali del PSR 2000-2006. Regione Marche.

http://www.agri.marche.it/PSR%202000-2006/Valutazione%20PSR/default.htm Steyaert P. & Jiggins J. 2007. Environ Sci Pol., 10/6:575-586.

266


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Un Nuovo Paradigma per le “Buone Pratiche” di Lotta alla Desertificazione in Italia Giovanna Seddaiu1,2, Stefania Solinas2, Pietro Pisanu2, Pier Paolo Roggero1,2 1

2

Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università di Sassari, IT Centro Interdipartimentale di Ateneo, Nucleo Ricerca Desertificazione, Università di Sassari, IT

Introduzione Il concetto di desertificazione ha avuto varie e talvolta controverse interpretazioni, che hanno implicazioni sulle politiche e sulle pratiche di mitigazione (Herrmann e Hutchinson, 2005; Sivakumar, 2007; Lean, 2008). In una recente review sul tema, Reynolds et al. (2007) pongono l’accento sulla natura complessa dei processi di desertificazione e sulla necessità di sviluppare nuovi framework concettuali per affrontare il problema in maniera efficiente ed efficace. Questo lavoro riassume in sintesi un’indagine portata avanti nell’ambito di un accordo di programma tra il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e il Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione dell’Università degli studi di Sassari con l’obiettivo di supportare l’adozione di “buone pratiche” per la lotta alla desertificazione a livello nazionale, partendo da situazioni esemplari di riferimento. Metodologia Sono stati analizzati circa 50 tra documenti (comunicazione e proposta di direttiva comunitaria, decreto legislativo, programmi di sviluppo rurale regionali, piani di azione locale e progetti pilota relativi ad azioni sperimentali di lotta alla desertificazione, manuali tecnici, ecc.) e casi di studio individuati attraverso interviste a soggetti istituzionali ed esperti locali, come potenziali situazioni esemplari di attuazione di buone pratiche nelle cinque regioni italiane più vulnerabili (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Con i dati raccolti è stato realizzato un database che fa riferimento ad un sistema di indicatori per facilitare la rapida analisi dei contenuti dei documenti e dei casi considerati. Le situazioni esemplari sono state selezionate in base ai seguenti criteri: 1) Collegamento delle pratiche ai quattro settori di riferimento definiti dalla delibera CIPE 229/99 “Programma Nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione” (protezione del suolo; gestione sostenibile delle risorse idriche; riduzione degli impatti delle attività produttive; riequilibrio del territorio); 2) Applicazioni a scala territoriale; 3) Trasferibilità del processo di attuazione ad altri contesti; 4) Esistenza di piani di valutazione dell’effettività nel medio-lungo periodo. I casi di studio individuati sono stati analizzati impiegando come riferimento il framework sviluppato nell’ambito del progetto UE FP5 SLIM (Social Learning for the Integrated Management and sustainable use of water at catchment scale), centrato sul concetto di apprendimento sociale (social learning), inteso come processo che emerge dall’interazione facilitata tra stakeholder tra loro interdipendenti, che condividono esperienze su questioni complesse, caratterizzate da interdipendenze tra processi biofisici e sociali, incertezze e controversie nell’individuazione di soluzioni (SLIM, 2004). Risultati Dei ventisei casi di studio presi in esame, ne sono stati selezionati dieci su cui è stato applicato preliminarmente il framework di valutazione. Su questi (tabella 1) è stata effettuata un’analisi approfondita che ha permesso di testare la validità del framework rispetto ad un’ampia gamma di tipologie di pratiche e situazioni. E' stato inoltre realizzato un glossario di riferimento contenente 163 definizioni in italiano sul tema della desertificazione. Conclusioni L’analisi dei 10 casi di studio con il framework SLIM ha messo in evidenza diversi elementi in comune alle diverse situazioni, utili ai fini della loro trasferibilità: 1) La natura delle questioni relative alla lotta alla desertificazione è sempre complessa perché deriva dall’interazione tra processi bio-fisici e contesto 267


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socio-economico; 2) I processi di desertificazione sono poco percepiti socialmente o si verificano improvvisamente sotto forma di calamità, quando è ormai tardi per mitigarli. Per questo motivo mancano esempi di pratiche “bottom-up” e lo “stakeholding” è spesso orientato ad ostacolare le iniziative di prevenzione; 3) Efficaci pratiche di lotta alla desertificazione possono essere inizialmente avviate da “decisori” in un contesto di politiche e istituzioni che non ostacoli la loro adozione. Tuttavia, per essere durature (effettività) richiedono continui investimenti sui processi di facilitazione dell’apprendimento sociale tra quegli stakeholder che dovranno garantire continuità e capacità di adattamento alle mutevoli condizioni di contesto; 4) Il ruolo di attori chiave può essere strategico per facilitare l’apprendimento sociale finalizzato all’adozione di pratiche efficaci; 5) I paradigmi “gestire in maniera adattativa” (adaptive managing) e “pratiche desiderabili” (desirable practice) si sono rivelati più utili di quelli di “gestione sostenibile” (sustainable management) e “buone pratiche” (best practice). Attraverso questi nuovi paradigmi, infatti, la lotta alla desertificazione viene indirizzata verso continui interventi di facilitazione dell’apprendimento orientati a garantire un miglioramento delle capacità di mitigazione ed adattamento attraverso lo sviluppo di azioni concertate. Tabella 1 - Sintesi delle situazioni esemplari di riferimento di attuazione di buone pratiche di lotta alla desertificazione. Caso di studio

Pratica

Key triggers/ Crisi su cui è stato costruito il sistema di interesse

Cosa rimarrà dopo gli interventi?

Uso di acque reflue per scopi irrigui ad Ostuni - Puglia Gestione sostenibile della risorsa idrica a Ferrandina - Basilicata

Riciclo acqua reflua Riciclo acqua reflua

Fondi FESR/ Siccità

Tecnologia affinamento acqua Conoscenza scientifica

Certificazione forestale Sardegna;

Certificazione forestale FSC

Sensibilità ambientale di un owner/ Difficoltà di gestione, esigenza di pianificazione

Macalube di Aragona - Sicilia

Restauro ecologico Fondi LIFE; PSR ricerca scientifica/ Crisi settore agricolo; perdita di biodiversità

Area protetta

Gestione conservativa dell'irrigazione - Sicilia

Gestione efficiente acqua irrigua

Gestione acqua/ Siccità

Sistema di gestione

Forestazione nel bacino del fiume Arente - Calabria

Rimboschimenti

Leggi Speciali per la Calabria Occupazione Politica/ Dissesto idrogeologico, disoccupazione

Boschi con le relative risorse; esperienza

Conversione colturale da grano duro a foraggere - Calabria

Avvicendamento conservativo

Fondi MATTM/ Alluvioni; crisi agricoltura; disaccoppiamento sussidi PAC

Conoscenza scientifica

Monitoraggio del recupero della vegetazione a Lampedusa

Restauro ecologico Fondi Cassa Mezzogiorno; ricerca scient.; fondi LIFE/ Erosione del suolo; perdita di biodiversità

Rimboschimenti vegetazione autoctona, suolo

Pianificazione partecipata della gestione del Parco delle Gravine – Puglia

Stesura Piano di Gestione del Parco

Politica – Fondi MATTM/ Tutela delle Gravine (natura, biodiversità, storia, cultura)

Piattaforma dialogo

Definizione di un Piano Forestale Territoriale di Indirizzo - Basilicata.

Stesura Piano Forestale territoriale di Indirizzo

Fondi PON ATAS, Politica/ Rapporto bosco-uomo

Modello di approccio partecipativo

Ricerca scientifica/ Siccità

Bibliografia Herrmann S.M., Hutchinson C.F., 2005. Journal of Arid Environments 63, 538–555. Lean G., 2008. Secretariat for the Convention to Combat Desertification. Reynolds J.F. et al., 2007. Science, 11 May 2007, Vol. 316. no. 5826, 847-851. Sivakumar M.V.K., 2007. Agricultural and Forest Meteorology 142, 143–155. 268

Boschi (certificati); sistema gestione


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Degrado del Territorio e Multifunzionalità dell’Agricoltura: Un Futuro per gli Ecosistemi Agro-Forestali Maria Elisa Venezian Scarascia1, Alberto Sabbi2, Luigi Perini2, Luca Salvati3 1

Comitato Italiano per l’irrigazione e la Bonifica Idraulica (ITAL-ICID), Roma, IT, me.scarascia@politicheagricole.it Dipartimento di Studi GeoEconomici, Linguistici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale, Università di Roma ‘La Sapienza’, Roma, IT, luigi.perini@entecra.it 3 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Unità di ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura (CRA-CMA), Roma, IT, luca.salvati@uniroma1.it 2

Introduzione Questo lavoro intende affrontare il tema della multifunzionalità agricola e della sua possibile implicazione nei processi di mitigazione del degrado territoriale (Dumanski e Pieri, 2000). Il territorio rurale, sede dell’attività di produzione primaria, oltre ad assicurare la sicurezza alimentare offre alla società servizi indispensabili che nessun altro settore può arrecare: esso tutela le risorse naturali suolo ed acqua, assicura la capacità di carico necessaria ad ogni cittadino e protegge dalle calamità idrogeologiche l’intero territorio (Williams et al. 2008). La programmazione degli interventi (e.g. Trouvè et al. 2007) si articola usualmente nell’individuazione delle variabili che causano i processi di degrado e nell’analisi di correlazione tra le stesse variabili e i vari tipi di intervento, operando a scala di bacino; infatti poiché nel bacino hanno origine il dissesto idrogeologico, durante la trasformazione degli afflussi nei deflussi, e l’innesco dei fenomeni di trasporto solido, tale dominio spaziale può essere utilizzato come un’unità geografica di riferimento poiché il suo funzionamento deriva dalla risposta delle sue caratteristiche alle sollecitazioni degli eventi meteorologici. Per affrontare tali sollecitazioni, la tematica viene affrontata in questo lavoro e sviluppata attraverso un approccio sistemico, in cui si definiscono tre livelli gerarchici di analisi: i sistemi geografici (atmosfera, litosfera, idrosfera, biosfera), i processi di degrado (erosione, salinizzazione, compattamento ed impermeabilizzazione) e gli interventi agronomici conservativi (sistemazioni idrauliche, drenaggio, lavorazioni del terreno, copertura vegetale del terreno, sostenibilità irrigua, gestione razionale del pascolo e del bosco). Metodologia Il framework proposto, sviluppato secondo la filosofia DPSIR, mette in correlazione a coppia le tre dimensioni attraverso idonee matrici input-output, in cui vengono evidenziate le interazioni (positive o negative) fra gli elementi di ciascuna dimensione. Per ogni dimensione, viene quindi proposto un idoneo insieme di variabili, di indicatori tematici e/o di indici sintetici in grado di descrivere i fenomeni suddetti. Ad ogni dimensione viene infine associata una possibile scala di osservazione e di intervento di policy. L’operatività dello schema concettuale proposto si avvale di un’analisi quali-quantitativa mediante strumenti di statistica multivariata e di Sistemi Informativi Territoriali in grado di modellizzare l’influenza degli interventi agronomici conservativi sulla mitigazione dei processi di degrado e quindi sulla qualità complessiva del territorio rurale (Zalidis et al. 2002; 2004). Risultati In base al framework sopra descritto, viene proposto un sistema di variabili, indicatori e indici (anche sintetici) di natura agro-ambientale e di interesse ecologico a partire da numerose fonti di informazione statistica e di cartografia ufficiale (Tabella 1), anche in accordo con gli standard agro-ambientali dell’OECD, della FAO e della letteratura scientifica di settore (Istat, 2010). Il contenuto informativo di tale matrice di dati viene esplorato tramite analisi statistica multivariata (e.g. componenti principali, clusters). Particolare attenzione viene posta alle relazioni che intervengono fra i 269


XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA

diversi componenti dello schema DPSIR, esplorata attraverso l’uso dell’analisi di correlazione non parametrica (Salvati et al. 2007). Tabella 1 –Esempio di framework per descrivere la possibile influenza delle variabili dei quattro comparti ecosistemici sui cinque tipi sistemi di degrado e sul loro grado di severità (da I a IV).

Comparti

Variabili

Erosione

Indicatori I

Atmosfera

Litosfera

Idrosfera

Biosfera

II

III IV

Impermeabilizz Compattamento Salinizzazione Desertificazione azione I

II

III IV

I

II

III

IV

I

II

III IV

I

II

III IV

Regime pluviometrico Erosività piogge Intensità piogge … Stagionalità piogge … Topografia DEM Tessitura Sostanza organica Permeabilità Stabilità

AWC Erodibilità suolo … … … …

Portata minima Portata massima Sorgenti Ruscellamento Bosco non gestito Pascolo sfruttato

Bilancio idrico Afflussi/Deflussi Coeff. corrivazione … … …

Conclusioni Il lavoro qui presentato può evidenziare come la valutazione delle performances del comparto agricolo esuli progressivamente dagli aspetti economici per concentrarsi, sempre più efficacemente, sulle tematiche sociali e, soprattutto, ambientali (Hubacek e Van den Bergh, 2006): ciò va nella direzione di riconciliare una visione sistemica con un approccio produttivistico e di filiera agro-ambientale. Il lavoro sottolinea infine come, con il potenziamento e la valorizzazione degli ecosistemi agro-forestali, si favorisce lo sviluppo rurale, si crea nuova occupazione e si migliora l’economia nazionale all’interno di un quadro complessivo di un rinnovato equilibrio ecosistemico (Yli-Viikari et al. 2007). Bibliografia Dumanski, J., and Pieri, C., 2000. Land quality indicators: research plan. Agriculture, Ecosystems and Environment, 81: 93-102. Hubacek, K., and Van den Bergh, J.C.J.M., 2006. Changing concepts of ‚land’ in economic theory: from single to multidisciplinary approaches, Ecological Economics, 56: 5 – 27. Istat, 2010. Agricoltura e ambiente. Istituto Nazionale di Statistica, Collana Informazioni, n. 2, Roma. Salvati, L., et al. 2007. Comparing indicators of intensive agriculture from different statistical sources, Biota, 8: 51-60. Trouvè, A., et al. 2007. Charting and theorising the territorialisation of agricultural policy, Journal of Rural Studies, 23: 443-452. Williams, C.L., et al. 2008. Agro-ecoregionalization of Iowa using multivariate geographical clustering, Agriculture, Ecosystems & Environment, 123: 161-174. Yli-Viikari, A., et al. 2007. Evaluating agri-environmental indicators (AEIs) – Use and limitations of international indicators at national level, Ecological Indicators, 7: 150-163. Zalidis, G., et al. 2002. Impacts of agricultural practices on soil and water quality in the Mediterranean region and proposed assessment methodology, Agriculture, Ecosystems & Environment, 88: 137-146. Zalidis, G., et al. 2004. Selecting agro-environmental indicators to facilitate monitoring and assessment of EU agroenvironmental measures effectiveness, Journal of Environmental Management, 70: 315-321.

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