Coalta2 sintesi finale(1)

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Progetto Co.Al.Ta. II Sintesi dei risultati

Presentati nell’ambito del Progetto Di.Al.Ta. II “Divulgazione delle colture alternative al tabacco”

Finanziato dalla Comunità Europea Regolamento CE n. 2182/2002 con vigilanza tecnica del Ministero delle Politiche Agricole Alimemtari e Forestali


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Progetto Co.Al.Ta. II 1

Il progetto Di.Al.Ta 2 - Premessa Il progetto Di.Al.Ta 2 si inserisce in un ciclo di progetti coordinati dall'ex Istituto Sperimentale del Tabacco ora Unità di Ricerca per le Colture alternative al Tabacco di Scafati (Sa). I progetti nascono per affrontare le tematiche derivanti della riforma della PAC (Politica Agricola Comune) del giugno 2003 e delle problematiche ad essa connesse. Con la riforma della PAC si è inteso privilegiare il produttore piuttosto che il sostegno al prodotto, trasferendo la maggior parte del finanziamento disponibile dal sistema corrente al "pagamento unico aziendale". La riforma permette di trasferire risorse dalle misure di mercato allo sviluppo rurale ed inoltre, essendo il pagamento unico condizionato al rispetto di norme ambientali, assicura il mantenimento degli alti standard di prodotto che i consumatori mostrano di desiderare. La separazione tra l'erogazione dei fondi strutturali dell'UE ed il tipo di produzione ha riguardato anche la coltura del tabacco. Ciò ha messo in allarme gli operatori del settore nonché il Ministero delle politiche agricole, data l'importanza socio - economica del tabacco in Italia, che è coltivato su una superficie complessiva di circa 40.000 ha, con una produzione media di 3,42 t ha-1 (Istat, 2003). Pertanto, il Consiglio dei Ministri dell'agricoltura dell'Unione Europea, in particolare grazie all'impegno del Ministro dell'Agricoltura italiano, per non creare un traumatico abbandono della coltura con serie ripercussioni economiche ed occupazionali, ha raggiunto, nell'aprile del 2004, un accordo per riformare il settore del tabacco, mantenendo per il 2005 lo status quo ed attivando dal 2006 al 2010 il disaccoppiamento parziale degli aiuti. Il problema, tuttavia, è stato spostato nel tempo ma non accantonato. Il mancato sostegno alla coltivazione di tabacco per combattere il tabagismo, infatti, potrebbe portare al graduale "smantellamento" della tabacchicoltura italiana. È quindi opportuno prevedere in anticipo la riconversione della coltura ed il diverso utilizzo delle superfici agricole attualmente coltivate a tabacco. In tale contesto è già in corso di svolgimento a partire dal 25 giugno 2004 il progetto Co.Al.Ta (Colture Alternative al Tabacco) con lo scopo di individuare, con un approccio multidisciplinare di taglio socio-economico ed agronomico, delle alternative al tabacco per le zone rientranti nelle province di Salerno e Benevento per la regione Campania e di Brindisi e Lecce per la regione Puglia. Con il progetto Co.Al.Ta.2 la ricerca si è ulteriormente estesa alle regioni Umbria, Veneto e Toscana ed alle aree della Campania non interessate dal primo Co.Al.Ta. Sulla scia del primo Co.Al.Ta è stato successivamente varato il progetto Di.Al.Ta (Divulgazione delle colture Alternative al Tabacco) con lo scopo di realizzare un centro servizi capace di effettuare azioni di orientamento ed assistenza per i produttori che intendono abbandonare la produzione del tabacco nelle zone coperte dal progetto Co.Al.Ta. Obiettivo principale del progetto DiAlTa2 è di migliorare i servizi già offerti da DiAlTa e di estenderli alle zone interessate dal progetto Co.Al.Ta2 (quindi Campania, Toscana, Umbria e Veneto). In particolare, il miglioramento dei servizi esistenti implicherà quanto segue. * Potenziare il centro servizi già realizzato nell'ambito di Di.Al.Ta con funzionalità avanzate di videoconferenza, user profiling e information filtering profile-based per incrementare l'efficacia e l'efficienza degli interventi di formazione e tutorato a distanza oltre che per rendere più proficue le ricerche di informazioni sia all'interno che all'esterno della base di conoscenza del sistema massimizzando il matching tra informazione ricercata e documenti reperiti. * Accrescere la base di conoscenza ed il portfolio formativo del centro servizi sia integrando i risultati derivanti dal progetto Co.Al.Ta2 (afferenti alla nuove regioni), sia attraverso la realiz-zazione e l'integrazione di materiale specifico (di tipo informativo e formativo) contestualizzato sulle nuove realtà territoriali da coinvolgere nel progetto. * Realizzare materiale divulgativo prevedendo la realizzazione di schede informative descriventi ciascuna delle colture alternative al tabacco e la produzione di filmati da distribuire in formato DVD Video illustranti la problematica delle riconversione, le caratteristiche delle principali attività alternative, le tecniche agrozootecniche, le opportunità del mercato, ecc.


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Premessa

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Il progetto si è sviluppato in due fasi. Con la fase preparatoria è stata potenziata l'infrastruttura tecnologica già realizzata nel corso del primo Di.Al.Ta per ampliare la base di conoscenza relativa alle aree di produzione del tabacco di competenza del progetto. Inoltre, in questa fase, si è svolta l'attività di formazione rivolta al personale destinato all'assistenza e alla consulenza a supporto dei tabacchicoltori. La fase esecutiva, invece, ha rappresentato il momento di confronto diretto con i vari attori del mondo del tabacco coinvolti nei processi di riforma in corso. Attraverso incontri tematici, tavole rotonde e workshop è stato esaminato lo stato della conoscenza dei problemi attinenti la riconversione, in particolare c'è stato uno scambio di informazioni che ha permesso agli esecutori del progetto di individuare le esigenze dei tabacchicoltori e rilevare la disponibilità al cambiamento. Inoltre, durante gli incontri il progetto ha realizzato approfondimenti erogati attraverso la piattaforma informatica e distribuito materiale divulgativo e informativo. L'attività è stata quindi caratterizzata da azioni di input ed output che hanno costituito un possibilità reale di confronto con l'obiettivo di far aumentare la consapevolezza del cambiamento e proporre alcune tra le possibili soluzioni ai tabacchicoltori sensibili ad un processo di diversificazione. Supervisore Di.Al.Ta2 Vincenzo La Croce


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Progetto Co.Al.Ta. II 3

Il progetto Co.Al.Ta 2 - Premessa Con la riforma della Politica Agricola Comune, ratificata nel giugno 2003, si è inteso sostenere il produttore piuttosto che il prodotto, trasferendo la maggior parte del finanziamento disponibili dal sistema corrente al pagamento unico aziendale. Tale riforma permette di trasferire risorse dalle misure di mercato allo sviluppo rurale ed inoltre, essendo il pagamento unico condizionato al rispetto di norme ambientali,assicura il mantenimento degli alti standard di prodotto che i consumatori mostrano di desiderare. La separazione tra l'erogazione dei fondi strutturali UE ed il tipo di produzione (disaccoppiamento) riguarda anche la coltura del tabacco. Pertanto, il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea, grazie anche all'impegno del Ministro dell' Agricoltura italiano, per non creare un traumatico abbandono della coltura con serie ripercussioni economiche ed occupazionali, ha raggiunto, nell'aprile del 2004, un accordo per riformare il settore del tabacco, introducendo dall'anno 2006 il disaccoppiamento parziale degli aiuti. Il problema, tuttavia è stato spostato nel tempo ma non accantonato. Il mancato sostegno alla coltivazione di tabacco per combattere il tabagismo, infatti, potrebbe portare al graduale smantellamento della tabacchicoltura italiana. Tale periodo dovrebbe consentire un graduale adattamento verso altri usi della superfici agricole attualmente coltivate a tabacco. Il sostegno allo sviluppo di iniziative specifiche per il passaggio dei tabacchicoltori ad altre attività agricole rientra pienamente tra le finalità del fondo comunitario del tabacco e negli orientamenti della politica agricola comunitaria e nazionale. La dotazione finanziaria del fondo ha consentito l'attività dei progetti Co. Al. Ta 1 e 2 e dei progetti divulgativi Di. Al. Ta. 1 e 2. I progetti Co. Al. Ta. hanno affrontato in maniera sistematica il problema delle alternative per le aree italiane a tabacchicoltura. L'obiettivo del progetto Co. Al. Ta. 2 è stato quello di sostenere la riconversione dei produttori di tabacco verso altre produzioni o attività, ai sensi del Regolamento CE n. 2182 del 6 dicembre 2002 (art. 14, lettera a) attraverso l'analisi e la verifica sperimentale di alternative di produzione vegetale che, valorizzando le risorse disponibili, forniscano comparabili possibilità di remunerazione dei fattori produttivi. Le aree considerate allo scopo sono state il Salento e le aree tabacchicole delle seguenti regioni: Campania, Umbria, Toscana e Veneto. Il progetto ha cercato di individuare con approccio multidisciplinare, di taglio economico, agronomico e zootecnico delle alternative al tabacco, tenendo conto delle produzioni tradizionali nelle zone interessate alla riconversione, della possibilità di una loro diffusione sul territorio, nonché delle opportunità offerte da nuove produzioni da introdurre, valutando i connessi aspetti economici, agronomici, zootecnici ed agrotecnici. A tale scopo il progetto comprende le seguenti linee di attività: 1 - studi dei contesti tabacchicoli, che approfondiscono ed estendono a nuove aree le indagini intraprese con il precedente progetto COALTA.1; 2 - valutazione delle possibilità di filiere alternative di produzione vegetale e verifica di alcuni modelli produttivi; 3 - valutazione delle possibilità di produzioni zootecniche e servizi ambientali e verifica di relativi modelli; In particolare, gli aspetti del progetto sono stati curati dalle seguenti Unità Operative U.O.: 1) C.R.A.- CAT- Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco, che vedrà impegnate tutte le sue sedi (Scafati, Lecce, Roma e Bovolone) 2) CNR-ISAFoM - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Ercolano 3) CNR-IGV-Istituto di Genetica Vegetale, Sezione di Perugia, 4) Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambiental-Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee, Università degli studi di Perugia


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Risposta del pomodorino ciliegino..

5) Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze,(istituzione del Ministero degli Esteri) 6) CIRSEMAF Centro Interuniversitario di ricerca sulla selvaggina e sui miglioramenti ambientali a fini faunistici di Firenz. 7) CRA - ORT Centro di ricerca per l'Orticoltura di Pontecagnano Nello specifico la la linea di lavoro 1 si raccorderĂ con il parallelo progetto INEA per lo studio degli effetti della normativa comunitaria e nazionale e degli aspetti socio-economici della riconversione della filiera del tabacco (progetto RIPTA). Il Direttore del CRA-CAT Renato Contillo


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Progetto Co.Al.Ta. II 5

Il cavolfiore estivo-autunnale per le aree tabacchicole campane Cozzolino E, Leone V, Lombardi P Introduzione Il cavolfiore è la crucifera più coltivata in Italia, con circa 18.000 ha nel 2007 (dati ISTAT), localizzati soprattutto in Campania, Marche, Puglia e Sicilia. In Campania prevale la produzione invernale-primaverile. Le prove descritte in questa nota hanno mirato a verificare la produttività di ibridi a ciclo precoce e medio di cui due a corimbo colorato, oggetto di crescente domanda, per produzioni estivo-autunnali nelle aree tabacchicole irrigue, suscettibili di colmare carenze relative di offerta. Materiali e metodi Le prove sono state condotte in tre località (Sparanise, Portico e Venticano) secondo lo schema del confronto varietale, saggiando 14 ibridi in un disegno a blocchi completi con tre repliche per località e parcelle di 12 m2 (4 file con disposizione 70x50cm, corrispondente a una densità di 28.500 piante/ha)(www.sinab.it). Il trapianto è stato eseguito nella terza decade di luglio su terreno concimato con 33 unità/ha di N, integrando con altre 67 unità/ha due settimane dopo. Le condizioni di caldo intenso del periodo hanno reso necessario anticipare l'inizio dell'irrigazione, che è stata condotta con modalità e turni diversi per zona. Le colture sono state protette seguendo il disciplinare di difesa integrata della Regione Campania e non è stato effettuato nessun intervento di diserbo. La determinazione della resa si è basata sulle piante delle due file centrali delle parcelle ed è stata integrata con misure dello sviluppo vegetativo. Le misure ponderali sono state eseguite su corimbi convenzionalmente defogliati, ovvero privati di tutte le foglie avvolgenti ad eccezione delle più interne. Le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco, Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

(R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La stagione di coltivazione è stata caratterizzata da un andamento termopluviometrico sfavorevole per la coltura dalla fase di trapianto fino alla prima decade di settembre, con temperature elevate ed assenza di piogge utili in tutte e tre le zone. I livelli di resa in corimbi defogliati sono variati tra 25 e 48 t/ha, prevalentemente per differenze varietali, mentre la capacità produttiva media dei tre ambienti è risultata comparabile nelle condizioni stagionali sperimentate (tab. 1 e fig.1). In analoghe condizioni climatiche e pedologiche, per una varietà scelta a caso tra quelle saggiate si può prevedere una produzione prossima alle 40 t/ha in un ciclo di circa tre mesi. Rese elevate, ma con una certa oscillazione tra gli ambienti, sono state fornite dalle cultivar Concept, Delfino, Flamenco, Elby e Graffiti, mentre tra le meno produttive sono risultate Clima, Megha e ISI 16037, anche queste con sensibili variazioni tra gli ambienti (la graduatoria a Venticano e Portico è stata ribaltata a Sparanise). Le cultivar con livelli intermedi di resa hanno mostrato maggior consistenza di comportamento tra gli ambienti. La produttività è positivamente correlata con la lunghezza del ciclo colturale, che a sua volta si è allungato di una decina di giorni con l'abbassamento della temperatura media dalle zone casertane all'area avellinese, riducendo peraltro solo marginalmente la produzione (fig. 2). Tab. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per il prodotto totale, il volume del corimbo, l’altezza e la lunghezza del ciclo colturale.


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Valutazione agronomica della soia

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Megha e Clima si distinguoVenticano Sparanise Portico no dalle altre cultivar per la preConcept Delfino cocità, che ha consentito di conFlamenco Elby cludere il ciclo in due mesi nelle Graffiti Oceano zone più calde di Portico e Candido Sparanise e in 70 giorni a Nemo Cashmere Venticano. Prossima per precociMilkyway W.Flash tà è anche la W.Flash, che nel Isi16037 Megha complesso è risultata leggermenClima te più produttiva. Questa caratte25 30 35 40 45 50 25 30 35 40 45 50 25 30 35 40 45 50 ristica rende le cultivar molto Prodotto totale (t/ha) interessanti per l'ambiente colli- Fig. 1. Prodotto di corimbi defogliati per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%. nare dei tabacchi scuri, anche se i livelli di resa sono ai limiti inferiori della graduatoria. Elb Per fornire comparabili livelli di resa Cashmere, Grf Elb 220 Milkyway e ISI 16037 hanno richiesto da venti giorCnc Clm ni a un mese di coltivazione in più. Cnc Ocn Dlf Grf 200 La dimensione del corimbo è risultata relativaOcn Elb Cnc Flm mente indipendente dallo sviluppo in altezza della Csh Grf V Mlk Flm Cnd Flm P 180 pianta, maggiore nell'ambiente più caldo di Portico e W.FDlf S I16Dlf Mgh W.F W.F Csh MghMlk Cnd Sparanise, nonostante il ciclo più breve (Fig. 3).I tipi I16 I16 Mlk Cnd Mgh Csh Nem colorati ISI 16037 e Graffiti si sono caratterizzati per 160 Ocn Nem Nem un maggior sviluppo in altezza, mentre la cultivar Clm Clm Milkyway ha presentato un portamento vegetativo 60 70 80 90 molto espanso, per il quale la densità d'impianto utiAltezza pianta (cm) lizzata è risultata troppo alta. Grazie alla disponibili●

Volume corimbo (ml)

Fig. 3. Relazione tra volume del corimbo e sviluppo della pianta. Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.

CncElb Cnc Elb Ocn Flm Dlf Dlf Flm Grf

Prodotto (t/ha)

45

Dlf Cnd Ocn Nem Cnd Csh Nem

P S

40 35

Clm Mgh Mgh

W.F W.F

30

Mlk

W.F

Csh Mlk

Ocn Flm Grf

Grf

Cnc

Csh

Cnd Mlk NemI16

V

Elb I16

I16

Clm Mgh Clm

25 60

70

80

cifere, come il colza, utilizzando in tal caso cultivar precoci, che completano il ciclo entro ottobre. Nelle aree più miti della provincia di Caserta possono essere utilizzate anche cultivar più tardive come coltura principale a raccolta invernale-primaverile, in precessione ad oleaginose come girasole o soia.

90

100

Lunghezza ciclo (giorni) Fig. 2. Relazione tra resa e lunghezza del ciclo. Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.

tà di cultivar con una discreta gamma di precocità la coltivazione estivo-autunnale del cavolfiore nelle aree tabacchicole irrigue della Campania può essere praticata facilmente e fornire ai prezzi correnti ricavi elevati. In una prospettiva di ordinamenti colturali senza tabacco per le aree più interne il cavolfiore può intercalarsi tra due cereali o avvicendarsi ad altre cru-

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano Piccirillo di Portico(CE), Clementina Izzo di Sparanise (CE) e Gennaro Grasso di Venticano (AV), per l'assistenza alla conduzione dei saggi, e il dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano (SA), per la collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati.

Letteratura citata

http://www.sinab.it/programmi/webcreate.php?id=898 Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc, R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Progetto Co.Al.Ta. II 7

Produttività del cavolo broccolo in coltura estivo-autunnale nelle aree tabacchicole campane Cozzolino E, Leone V, Lombardi P, Oppito G Introduzione Il cavolo broccolo viene oggi promosso dai nutrizionisti per il buon livello di sostanze antiossidanti, fibra alimentare (2,6%) e vitamine come riboflavina (1,8 mg/kg), tiamina (1,1 mg/kg), vitamina C (1 g/kg), vitamina A, rame, fosforo, zolfo, acido folico, acido citrico, acido lattico e composti che sembrano contribuire alla diminuzione dell'incidenza del cancro dell'intestino (www.sinab.it). La coltivazione è diffusa principalmente in Puglia, Sicilia e Calabria. Negli ordinamenti orticoli da considerare per indirizzi alternativi alla tabacchicoltura delle aree campane il cavolo broccolo non può mancare, perché si colloca bene in avvicendamento e ha buone prospettive di domanda. Con questo lavoro abbiamo verificato la produttività del broccolo in due ambienti tipici di coltivazione dei tabacchi chiari e scuri curati all'aria. Materiali e metodi La sperimentazione del broccolo è stata condotta nei comuni di Portico e Venticano con otto cultivar a ciclo precoce e medio precoce, scegliendo le classi di precocità per un ruolo intercalare fra due colture autunnovernine. Le cultivar sono state allevate secondo uno schema di confronto varietale in un disegno a blocchi completi con 3 repliche e parcelle di 11 mq (5 file a 70x40cm). Il trapianto è stato eseguito nella terza decade di luglio su un terreno sufficientemente dotato in P e K, concimato con 33 unità/ha di N. Due ulteriori interventi di concimazione azotata con quantità simili sono stati eseguiti in copertura, alla prima sarchiatura e alla fase di abbozzo dell'infiorescenza. L'irrigazione è stata effettuata con modalità e turni diversi per zona. La difesa della coltura è stata effettuata seguendo le "Norme tecniche per la difesa fitosanitaria ed il diserbo integrato delle colture" pubblicate dalla Regione Campania. La resa è stata determinata raccogliendo i corimbi principali e i ricacci secondari delle tre file centrali

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

delle parcelle, dei quali sono stai rilevati peso, diametro ed altezza. La risposta è stata analizzata in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La stagione di coltivazione è stata caratterizzata da un andamento termopluviometrico sfavorevole per la coltura dalla fase di trapianto fino alla prima decade di settembre, con temperature elevate ed assenza di piogge utili. Nelle condizioni diversificate di Portico e Venticano il broccolo ha mostrato una produzione di corimbi pari in media a 26 t/ha, con intervallo di confidenza al 95% di 23,9-27,3 t/ha, in un ciclo di 65-94 giorni, a seconda della zona (tab. 1). Le differenze ambientali non hanno influito in modo sensibile sulla variabilità della produzione e sullo sviluppo della coltura, mentre le differenze varietali sono risultate considerevoli. Fiesta e Belstar a Venticano e Marathon e Fiesta a Portico hanno fornito rese tra il 20% e il 35% più alte della cultivar meno produttiva ISI 3055 (fig. 1). Il prodotto di prima raccolta (corimbo principale) ha rappresentato in media circa il 60% del totale e il peso del corimbo secondario è risultato positivamente correlato con quello del corimbo principale, ma il loro Tab.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per il prodotto totale, il prodotto principale (prima raccolta), il volume del corimbo principale e la lunghezza del ciclo colturale.


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Produttività del cavolo broccolo..

8 Cozzolino et al

Peso corimbo principale (g)

rapporto è risultato abbastanza Venticano Portico differenti tra le cultivar: le più ● ● Fiesta produttive (Marathon, Belstar e ● ● Marathon Fiesta) hanno dato corimbi secon● ● Belstar ● ● dari considerevolmente più grossi Poseidon ● ● delle altre cultivar e corimbi pri- Green Magic ● ● Olympia mari nettamente più piccoli di ● ● Green Belt Poseidon, quarta in ordine di pro● ● ISI 3055 duttività, mentre le minori dimensioni del corimbo principale spie20 25 30 20 25 30 Prodotto totale (t/ha) gano la bassa resa della ISI 3055 (fig. 2). Questi rapporti si sono Fig. 1. Prodotto totale di broccoli per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%. modificati poco tra le due zone. Tutte le cultivar hanno mostrato maggiore precoci- Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i Sig. ri Gaetano tà nell'ambiente più caldo di Portico, dove partico- Piccirillo di Portico (CE) e Gennaro Grasso di Venticano (AV), per l'assistenza alla conduzione dei saggi, e il dr larmente Poseidon ha mostrato una notevole velo- Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano (SA), per la cità di sviluppo vegetativo, tenuto conto delle collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei dimensioni del corimbo principale (fig. 3). In risultati. entrambe le località ISI 3055 ha fornito la prima raccolta un paio di settimane prima delle altre culPsd tivar. La coltivazione del cavolo broccolo è risulta500 ta complessivamente facile, data la rusticità della Psd specie, mostrata anche dalla comparabilità delle Oly 450 rese tra i due ambienti. La coltura può essere conFst GrB Fst GrM Mrt GrM Bls siderata per cicli intercalari estivo-autunnali nelle P V 400 Bls Oly GrB aree più interne, esemplificate da Venticano, e per Mrt cicli autunno-vernini nell'area casertana. 350 300

Peso corimbi secondari (g)

Mrt

180

60

70

80

90

Lunghezza del ciclo (giorni) Fig. 3. Relazione tra peso del corimbo principale e lunghezza del ciclo. Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.

Fst Bls Fst Bls

160

IS3 IS3

Mrt

VP

140

Psd

Oly

Psd

Oly

GrB

120

GrM GrM

100

IS3 IS3

300

GrB

350

400

450

500

Peso corimbo principale (g) Fig. 2. Relazione tra pesi dei corimbi secondario e principale. Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.

Letteratura citata http://www. sinab. it/programmi/webcreate. Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscel-laneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc, R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Primi risultati sulla coltivazione di radicchio e cicoria pan di zucchero in areali tabacchicoli Campani Raimo F, Cozzolino E, Leone V, Napolitano A, Oppito G, Vatore R, Vicidomini S Introduzione La cicoria da foglia è uno degli ortaggi più diffusi in Italia, infatti, è coltivata in tutte le regioni Italiane, la sua importanza è andata crescendo perché oltre al consumo tradizionale, è utilizzata nella IV gamma, da sola o in miscela con altre verdure. È un alimento a basso contenuto calorico, infatti, contiene più del 90% di acqua, ma è ricco di vitamine, sali minerali e fibra. Queste caratteristiche ne hanno favorito la diffusione nella dieta alimentare producendo una maggiore richiesta da parte dei consumatori, che ha ingenerato l'aumento delle superfici coltivate. Nell'ambito del progetto Co.Al.Ta. (Colture Alternative al Tabacco) sono state eseguite prove di coltivazione in alcune aree interne delle province di Avellino, Benevento e Caserta. Materiali e metodi Nella primavera del 2007 sono state impiantate nelle località di Frigento (AV), Portico (CE), Sparanise (CE) e Venticano (AV) tre varietà di radicchio rosso di Chioggia (Caspio, Indigo e Leonardo) e due varietà di cicoria pan di zucchero (Jupiter e Virtus). È stato adottato un disegno sperimentale a blocco randomizzato con tre ripetizioni. L'impianto è avvenuto nell'ultima decade di aprile, a file, su prode rialzate, con densità d'impianto di 83.000 piante a ettaro. La quantità totale di elementi fertilizzanti somministrati è stata di 100 kg ha-1 di N, 80 kg ha-1 di P2O5 e 90 kg ha-1 di K2O. La coltivazione è avvenuta senza l'ausilio della pacciamatura per cui durante il ciclo colturale si sono rese necessarie sarchiature e scerbature per l'eliminazione delle erbe infestanti. La raccolta è avventa tra l'ultima decade di giugno e l'inizio di luglio. A maturazione commerciale del prodotto sono stati effettuati rilievi biometrici e ponderali sulle parcelle. I dati sono stati analizzati utilizzando l'analisi della varianza (ANOVA). C.R.A. - CAT - via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) - Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206; e-mail: francesco.raimo@entecra.it

Risultati In località Frigento i risultati sono stati poco soddisfacenti per quanto riguarda le varietà di radicchio rosso, in particolare le varietà Caspio e Indigo sono prefiorite prima di giungere a maturazione commerciale, mentre la varietà Leonardo pur producendo cespi di dimensioni commerciali ha presentato problemi legati alla presenza di marciumi del cespo che hanno influito sulla resa commerciale. Le varietà di cicoria pan di zucchero, hanno presentato cespi di buone dimensioni, anche se la varietà Jupiter ha presentato problemi di Tip burn. Per quanto riguarda il radicchio rosso, si evidenzia che le maggiori produzioni sono state ottenute a Sparanise (graf. 1), località che presenta caratteristiche pedoclimatiche più favorevoli rispetto alle altre, la varietà più produttiva è stata Leonardo che ha raggiunto produzioni di 42,1 t ha-1, seguita da Caspio; a Frigento la produzione della varietà Leonardo è stata di 23,6 t ha-1. L'analisi statistica ha evidenziato una differenza altamente significativa per quanto riguarda la produzione fra le varie località, mentre l'interazione località * cv non ha mostrato differenze significative. Anche per la cicoria pan di zucchero la località con maggiori rese è stata Sparanise, mentre la meno produttiva è risultata Frigento (graf. 2) e la varietà più produttiva è stata Virtus con 64,4 t ha-1, pure in questo caso vi è stata una differenza altamente significativa per la resa tra le varie località, l'interazione località * cv ha mostrato una differenza significativa. In generale possiamo affermare che le produzioni maggiori di tutte le cv si sono avute a Sparanise, mentre le produzioni minori si sono avute a Frigento. I risultati ottenuti anche se limitati a un solo anno e a un ciclo primaverile-estivo, ci consentono di poter dare alcune indicazioni riguardanti le varietà coltivate, infatti, per quanto riguarda la coltivazione delle cinque varietà nelle località di Portico, Sparanise e Venticano, sono state ottenute buone produzioni, mentre in località Frigento i risultati sono stati inferiori alle attese.


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Coltivazione del radicchio e della cicoria...

Grafico 1. Produzione commerciale delle tre varietà di radicchio

Bibliografia Capuzzo P. (2000) - "Il radicchio rosso di Chioggia" L'Informatore Agrario n. 20 Tosini F. (2004) - "Le varietà di radicchio: confronto in Veneto" - Supplemento a L'Informatore Agrario n. 52 Cozzolino E., Leone V., Raimo F., Zeno G. (2007) - "Possibilità di coltivazione del radicchio e della cicoria (Cichorium intybus L.) nelle aree irrigue del beneventano. Risultati della sperimentazione 2006 in "Risultati finali del Progetto Co.Al.Ta.", pag. 279-284. Tesi R. (1994) "Principi di orticoltura e ortaggi d'Italia" Edagricole, pag 246-250.

Grafico 2. Produzione commerciale della varietà “Pan di zucchero”


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Indivia riccia e scarola a ciclo estivo-autunnale per le aree tabacchicole casertane Cozzolino E, Leone V, Interlandi G Introduzione L'orticoltura campana è contraddistinta da intensa innovazione di processo e di prodotto e da nuovi modelli di consumo. Il comparto ha esigenza di diversificare le colture e migliorare la qualità delle produzioni per conquistare nuovi sbocchi commerciali. Il mercato della IV gamma può rappresentare una buona opportunità per il rilancio della coltivazione di indivia riccia e scarola, di nuovo in espansione in Campania, dopo una flessione nel triennio 2003-05. La possibilità di inserire queste specie in ordinamenti per le aree tabacchicole che devono fronteggiare la dismissione del tabacco è stata valutata saggiando un campione di cultivar nella provincia di Caserta. Materiali e metodi Le prove sono state condotte a Portico e a Sparanise, su terreni fertili e irrigui, con sette cultivar di scarola e sette cultivar di indivia riccia, secondo uno schema di confronto varietale in un disegno a blocchi con tre repliche e parcelle di 6m2 (5 file con piante distanziate 40x30cm). Il trapianto è stato eseguito il 20/7 a Sparanise ed il 23/7 a Portico, su terreno concimato con 70 kg/ha di P2O5 e 20 kg/ha di N. In copertura sono stati apportati ancora 80 kg/ha di N, seguendo le raccomandazioni di Acciarri e Sabatini (2004). Il controllo delle malerbe e la difesa della coltura sono stati effettuati secondo le norme regionali per la difesa fitosanitaria ed il diserbo integrato. La resa è stata determinata sulla raccolta delle tre file centrali delle parcelle, eseguita il 18/9 a Sparanise e il 24/9 a Portico. Le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione L'andamento termopluviometrico del periodo di coltivazione è stato caratterizzato dall'assenza di precipitazioni utili e da temperature elevate. Per l'indivia riccia la produzione media per cultivar è variata tra le 34 t/ha della Debora a Portico e le 50 t/ha della Jennifer a Sparanise, mostrando una graduatoria delle cultivar quasi simile nelle due zone, peraltro simili come ambiente, con l'eccezione della Jennifer, risultata terza a Portico e prima a Sparanise (fig. 1). Per la somiglianza dei due ambienti la variabilità della resa è stata determinata per circa due terzi dalle differenze varietali e per un terzo da differenze locali a livello di parcella (tab. 1). In tali circostanze la scelta varietale incide notevolmente sul risultato della coltura. Per l'indivia scarola la produzione media per cultivar è variata dalle 38 t/ha della Silva a Portico alle 63 t/ha della Kokita a Sparanise, mostrando un appiattimento delle rese varietali su due soli livelli a Portico contro una distribuzione relativamente uniforme nell'intervallo suddetto a Sparanise (fig. 2). A parte l'appiattimento delle rese, a Portico si è avuta una produzione notevolmente più bassa, causa una gestione meno adeguata delle pratiche colturali e in particolare dell'irrigazione per questo tipo, che non ha consentito una piena manifestazione delle rispettive potenzialità alle cultivar che la possedevano. Comunque le cultivar più produttive (Kokita, Dafne e Full Heart) sono risultate tali in entrambe le zone. Nonostante l'eccesso di caldo della stagione non si sono avuti casi di prefioritura: la lunghezza Tab.1.Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per il prodotto mondato e il peso del cespo delle cultivar di indivia riccia e scarola.


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dello scapo fiorale è stata di 1-2cm per tutte le cultivar. Cuor d'oro tra le ricce e Fabula tra le scarole hanno manifestato maggiore suscettibilità al tip burn. L'imbianchimento è risultato buono per Cuor d'oro, Isi38454 e Tirsa nel tipo riccio e per Kokita nel tipo scarola. Le caratteristiche positive di adattamento e di qualità del cespo delle cultivar più produttive consentono di considerare favorevolmente la specie per ordinamenti senza tabacco nell'area tabacchicola casertana. Fig. 1. Produzioni medie di cespi di indivia riccia per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%.

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano Piccirillo di Portico e Maria Izzo di Sparanise per l'assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispettive aziende, e il dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano per la collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati.

Letteratura citata

Fig. 2. Produzioni medie di cespi di indivia scarola per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%.

Acciarri N, Sabatini E, 2004. Indivia e scarola. Il divulgatore 1:52-59. Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Il fagiolo in coltura estiva per le aree tabacchicole campane Cozzolino E, Leone V Introduzione Per verificare la produttività del fagiolo come intercalare estiva per la produzione di baccelli allo stadio ceroso nelle aree tabacchicole campane sono state scelte cultivar raccomandate dai costitutori per adattabilità e qualità merceologica. Materiali e metodi La valutazione è stata condotta su un terreno franco, fresco e fertile, a Portico di Caserta secondo lo schema del confronto varietale, con 12 cultivar (3 di cannellino e 9 di borlotto), in un disegno a blocchi completamente randomizzati con 3 repliche e parcelle di 15m2 (6 file di piante distanziate 50x10cm). La semina è stata eseguita in eccesso il 15 giugno con successivo diradamento manuale per una densità finale di 20 piante/m2 (Cattivello e Danielis, 2003). Data la buona dotazione del terreno in P e K è stata effettuata solo la fertilizzazione azotata, con 60 unità/ha di N distribuito alla preparazione del terreno. L'irrigazione è stata effettuata con modalità tipiche della zona e a turno fisso. Per la protezione della coltura sono state seguite le "Norme tecniche per la difesa fitosanitaria ed il diserbo integrato delle colture" edite dalla regione Campania. La raccolta dei baccelli allo stadio ceroso è stata effettuata dal 25 al 30 agosto sulle 2 file centrali delle parcelle determinando la resa in baccelli commerciabili e di scarto e la resa in granella sgusciata. I dati di resa e di sviluppo delle piante sono stati analizzati in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco, Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

Risultati e discussione La stagione di coltivazione estiva è stata caratterizzata da un andamento termopluviometrico sfavorevole, con elevate temperature e totale mancanza di pioggia fin dalla fase di emergenza. Nelle condizioni della prova i livelli medi di produzione di baccelli e di granella allo stadio ceroso sono stati rispettivamente di 14,6 e 7,4 t/ha, con una variabilità determinata per tre quarti dalle differenze varietali (tab. 1). La produzione media per cultivar di baccelli allo stadio ceroso è variata infatti tra 9 e 20 t/ha e quella di granella tra 5,5 e 10 t/ha (fig. 1). Nelle condizioni della prova lo scarto, peraltro abbastanza contenuto, è stato determinato più dalla situazione locale, mentre lo sviluppo delle piante in altezza è risultato, come il livello produttivo, un carattere prevalentemente varietale. Le cultivar di cannellino (Montalbano, Luxor, Impero bianco) hanno fornito rese inferiori rispetto alla maggior parte celle cultivar di borlotto in termini sia di baccelli che di granella, e tuttavia la Montalbano è risultata superiore all'Impero bianco per la produzione di baccelli, anche se non di granella. La cultivar di borlotto più produttiva (XP0549) ha fornito il 67% in più di baccelli e il 43% in più di granella rispetto alla meno produttiva (Mistral). Montalbano tra i cannellini e Merit, Granato e Lingua di fuoco tra i borlotti hanno mostrato rese in sgusciato inferiori. Oltre il 10% della produzione di baccelli è risultata di scarto per Montalbano, Merit e Splendido nano, mentre lo scarto non ha superato il 4% per XP0549 e Indios e l'8% per le altre cultivar (fig. 2).La produzione di baccelli è risultata positivamente correlata con lo sviluppo in altezza della Tab. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per il prodotto di baccelli commerciabili allo stadio ceroso e relativa percentuale di scarto, granella e l'altezza della pianta.


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pianta, anche se le cultivar più baccelli granella XP0549 produttive (XP0549, Lingua di Lingua di Fuoco Fuoco e particolarmente TegSplendido nano Teggia gia) sono di taglia relativamente Granato bassa, mentre la meno produttiSupremo va (Impero bianco) è di taglia Indios Merit relativamente bassa (fig. 3). Mistral I risultati della prova si posMontalbano Luxor sono considerare particolarImpero bianco mente soddisfacenti, tenuto 10 15 20 6 8 10 conto delle condizioni stagionat/ha li piuttosto sfavorevoli in cui Fig. 1. Produzione per cultivar di baccelli con granella allo stadio ceroso o di granella secca, sono stati ottenuti. La coltura si con barre di confidenza al 95%. potrebbe quindi proporre nelle aree irrigue tabacchicole come coltura intercalare estivo-autunnale, XP in vista del crescente interesse per le leguminose da 20 Sn LdF granella come alimenti fonte di proteine vegetali e Gr 18 della possibilità di coltivarle in condizioni di low Tg Sp input (AA.VV., 1999). ●

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano il Sig. Gaetano Piccirillo di Portico (CE) per l'assistenza alla conduzione del saggio e il dr Filippo Piro del CRA-ORT per la fattiva collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati.

Baccelli totali (t/ha)

16

Mr

14

Mn

In

Ms Lx

12 10

Ib

50

55

60

Altezza pianta (cm) 12 Mr

Scarto (%)

10 8

Fig. 3. Relazione tra produzione di baccelli e sviluppo della pianta. Le cultivar sono indicate con nomi abbreviati.

Sn

Mn

Letteratura citata

Ib Sp

Lx Ms

6

Tg

Gr LdF

4 XP

In

10

12

14

16

18

20

Produzione di baccelli (t/ha) Fig. 2. Relazione tra scarto e produzione di baccelli. Le cultivar sono indicate con nomi abbreviati.

AAVV, 1999. Manuale di corretta prassi per la produzione integrata del fagiolo-3 A Parco Tecnologico Agroalimentare dell'Umbria. Cattivello C, Danielis R, 2003. Fagiolo determinato: risultati delle prove di I livello. Notiziario ERSA 1: 22-24 Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Risposta del pomodorino in areali tabacchicoli interni della regione Campania Cozzolino E, Leone V, Raimo F, Interlandi G, Napolitano A, Vatore R Introduzione Nell'ultimo decennio il pomodorino, per l'industria e il mercato del fresco, ha avuto una discreta diffusione nelle aree interne della regione Campania, incentivato dal cambiamento dei regimi di sostegno alle colture. I saggi finora condotti in tali aree in regime asciutto hanno mostrato l'incostanza della produzione e la sensibilità della coltura alle condizioni climatiche (AAVV, 2003). Sperimentando la coltura del pomodoro nell'ambito delle alternative considerate per la riconversione delle aree a tabacco, abbiamo saggiato le più recenti costituzioni di pomodoro ciliegino in regime irriguo ridotto a distribuzione localizzata. Materiali e metodi Un campione di 8 cultivar di pomodorino è stato saggiato per due anni (2006-2007) a Venticano e Frigento, in provincia di Avellino, in un disegno a blocchi completi con tre repliche e parcelle di 20 m2, con una densità di 33.000 piante per ettaro. La coltura è stata concimata con 100 unità/ha di P2O5 e 30 unità/ha di N prima del trapianto, eseguito nella prima decade di maggio. Dopo il trapianto sono state fornite 70 e 90 unità/ha di N, rispettivamente a Venticano e Frigento. Per eliminare le infestanti sono state eseguite due lavorazioni superficiali. Per la difesa sono state seguite le linee guida del Piano Regionale di Lotta Fitopatologica Integrata. Le irrigazioni, con manichetta forata autocompensante, sono state una nel 2006 in entrambe le zone e tre a Venticano e due a Frigento nel 2007. La raccolta è stata eseguita in unica soluzione nella terza decade di agosto nel 2006 e nella seconda decade di agosto nel 2007. Le risposte, determinate mediante osservazioni sulle file centrali delle parcelle, sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco Via P. Vitiello 108 84018 Scafati(SA)Tel 0818563638 Fax 0818506206 e-mail:francesco.raimo@entecra.it

risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione L'estate 2006 è stata sufficientemente piovosa, mentre quella del 2007 è stata calda e secca. La produzione commerciabile di pomodoro ciliegino nell'ambiente considerato ha raggiunto in media 40 t/ha, con un intervallo di confidenza al 95% pari a 34-45 t/ha (tab. 1). La variabilità è stata determinata per due quinti da diversità parcellari e per un due terzi dalle differenze varietali e zonali in misura comparabile. L'ambiente ha mostrato scarsa influenza sul peso unitario e sulla forma dei frutti, che costituiscono quindi un attributo spiccatamente varietale. La produzione è stata generalmente superiore a Venticano in entrambe le annate, ma è stata caratterizzata anche da una maggiore variabilità parcellare (fig. 1). Le precipitazioni estive dell'anno 2006 hanno favorito lo sviluppo della coltura, ma anche attacchi peronosporici che hanno abbassato la produzione. Tali attacchi sono stati particolarmente gravi a Frigento e la cultivar Tamburino è risultata particolarmente suscettibile. Il rischio peronospora è stato minore nel 2007 e il livello produttivo del campo di Frigento è stato soddisfacente, mentre a Venticano un attacco di sclerotinia ha depresso la produzione. Tombolino e Tomito sono risultate le cultivar più produttive in tutti i saggi; Minidor, Ovalino e Tamburino quelle generalmente meno Tab.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la produzione commerciabile di pomodoro ciliegino, il peso unitario e il rapporto lunghezza/larghezza del frutto


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Risposta del pomodorino ciliegino..

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produttive. Le cultivar con livello Frigento Frigento Venticano Venticano 2006 2007 2006 2007 produttivo intermedio hanno Tombolino mostrato risposte alquanto disoTomito Mignon mogenee tra gli anni a Frigento. Triunfo Oltre che dal numero dei frutti, Micron il livello di produttività è stato Altavilla SS903 influenzato positivamente al peso del frutto, una caratteristica tutta- Tamburino Ovalino via abbastanza stabile al variare Minidor delle condizioni ambientali (fig. 2). 30 40 50 60 30 40 50 60 30 40 50 60 30 40 50 60 La variazione massima di peso al Prodotto commerciabile (t/ha) variare dell'ambiente è stata di 2-3 Fig. 1. Produzioni medie di pomodorino commerciabile per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%. di grammi, pari al 10-15%, per le cultivar a frutto più grosso (Tombolino, Tomito, come Tombolino, dai frutti grossi e rotondi di coloSS903), e di qualche grammo, percentualmente con re intenso e uniforme, fornire soddisfacenti produla stessa incidenza, per quelle a frutti più piccoli zioni anche per il mercato del fresco. (Tamburino e Minidor). Anche la forma del frutto si è dimostrata una Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Giacomo Stanco di Frigento e Gennaro Grasso di caratteristica varietale abbastanza stabile al variare Venticano, per l'assistenza alla conduzione dei saggi delle condizioni ambientali (fig. 3). La forma tonda nelle rispettive aziende, e il dr Filippo Piro del CRAo leggermente allungata ha compreso un ventaglio ORT per la collaborazione all'analisi dei dati e alla pre●

sentazione dei risultati.

Prodotto commerciabile (t/ha)

Letteratura citata

Tomt

60

Tmbl Tomt

50

Mcrn

Tmbr

40

30

Altv

Mndr TmbrMndr Tmbr

Tmbl

MgnnTrnf

Trnf Mgnn V−06 Altv Tomt Mcrn F−07 Trnf Mndr V−07 Mcrn Altv Ovln Altv Ovln Ovln Mcrn Ovln

F−06

Tmbl SS90

Tmbl SS90

Trnf Tomt

Tmbr

AAVV, 2003. Pomodorino da industria, varietà a confronto. Campania Agricoltura,8:8-15. Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0.99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3.0-12, http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc, R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www.R-project.org.

Mndr

10

12

14

16

18

20

20

Peso del frutto (g)

di dimensioni abbastanza continuo, da frutti di 9g (Tamburino) a frutti di 20g (Tombolino, SS903), le forme mediamente allungate hanno caratterizzato frutti di media grandezza (12-16g) (Tomito, Triunfo e Altavilla) e quella più allungata frutti medio-piccoli (Ovalino). I risultati indicano che nelle zone considerate, specialmente se è possibile irrigare, il pomodorino può fornire accettabili livelli di resa per la destinazione industriale e con varietà semierette ad alta resa

18

Peso del frutto (g)

Fig. 2. Relazione tra prodotto commerciabile e peso unitario del frutto delle cultivar di pomodorino. Medie e tendenze per le zone sono indicate dalle abbreviazioni in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le zone dal colore.

16 14

Tmbl SS90 Tmbl

Tmbl

Tmbl SS90 Tomt Tomt Tomt Tomt

Mgnn

TrnfTrnf Ovln

Trnf

Altv F−07 V−06Trnf Altv F−06 V−07 Altv

Mgnn

12

Mcrn Mcrn Mcrn Mndr

10

Mndr Mcrn Mndr Mndr

Tmbr

Ovln Ovln

Ovln

Altv

Tmbr Tmbr Tmbr

1,0

1,1

1,2

1,3

1,4

1,5

Forma del frutto (lunghezza/larghezza) Fig. 3. Relazione tra peso unitario e forma del frutto delle cultivar di pomodorino. Medie e tendenze per le zone sono indicate dalle abbreviazioni in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le zone dal colore.


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Produttività del mais a granella vitrea nelle aree tabacchicole campane Cozzolino E1, Leone V1, Tedone L2, Zeno G1 Introduzione Nelle aree tabacchicole con terreni di buona fertilità il mais a granella vitrea per farine speciali può essere considerato tra le alternative al tabacco, potendo offrire livelli di ricavi competitivi rispetto ai mais ibridi più produttivi, per un miglior rapporto tra prezzo e costi, in considerazione dell'interesse dei consumatori e dell'industria per prodotti alimentari più caratterizzati per tipicità. In questa nota si riportano i risultati di due saggi condotti con un campione di ibridi in due aziende tabacchicole campane. Materiali e metodi Un campione di nove ibridi, precoci e medio-precoci, è stato saggiato in due aziende localizzate nei comuni di Portico e Venticano, in parcelle di 15 m2 (sei file di piante di cinque metri distanziate 50 x 28 cm), in un disegno a blocchi con tre repliche. Il terreno è stato fertilizzato con 60 (Portico) e 100 (Venticano) unità/ha di P2O5 e con 50 unità/ha di N in presemina, aggiungendo in fase di levata 120 (Portico) e 100 (Venticano) unità/ha da urea agricola. Il mais è stato seminato in eccesso il 5/4 a Portico e il 20/4 a Venticano e diradato a circa 7 piante/m2 allo stadio di quarta foglia. Le infestanti sono state controllate con lavorazioni superficiali del terreno. L'irrigazione è consistita in tre adacquamenti per infiltrazione laterale a Portico e due per aspersione a Venticano. Dopo la fioritura è stato eseguito un trattamento per il controllo della piralide. La raccolta è stata eseguita in settembre, nella seconda decade a Portico e nella terza a Venticano. I dati sono stati raccolti sulle due file centrali delle parcelle. Come indice di produttività è stata utilizzata la produzione di granella ridotta/incrementata in proporzione dell'eccesso/difetto di umidità rispetto alla media e ridotta in proporzione alla raccolta da piante allettate e spezzate (performance, AAVV, 2001). Le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. 1-CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco Via P. Vitiello 108 84018 Scafati(SA), e-mail:eugenio.cozzolino@entecra.it 2-D.S.P.V. Dipartimento di Scienze e Produzione Vegetale Via Amendola 165/A 70126 Bari

L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La stagione è stata caratterizzata da assenza di pioggia per tutta l'estate e da temperature particolarmente calde in almeno tre periodi di crescita della coltura. La produzione media di granella corretta è stata di 9,5 t/ha, con intervallo di confidenza al 95% 6,9-12,2 t/ha (tab. 1). Oltre metà della variazione è stata determinata da differenze tra gli ibridi e un terzo da differenze tra i due ambienti. La componente genetica è risultata dello stesso ordine di grandezza per la sensibilità all'allettamento e ancora più marcata per lo sviluppo vegetativo e per il peso ettolitrico della granella. Quest'ultimo è risultato abbastanza elevato (83g). Il colore della granella è variato dall'arancio-rosso di Gritz all'arancio variamente accentuato degli altri ibridi. L'ibrido più produttivo (Arzano) ha fornito una resa di 11,3 t/ha, circa doppia di quello meno produttivo (Astico), nell'ambiente meno favorevole di Venticano, e di due terzi maggiore nell'ambiente più favorevole di Portico, dove ha raggiunto 13 t/ha (fig. 1). La graduatoria di produttività degli ibridi non è stata modificata in modo apprezzabile dall'ambiente. Il livello di produzione è risultato ben correlato positivamente con lo sviluppo vegetativo, ma gli ibridi Arzano, Redel, Banguy e Sicilia hanno mostrato un rapporto granella/vegetazione sensibilmente più alto degli ibridi meno produttivi (Astico e Corniola) e in media tale rapporto è risultato più alto a Portico (fig. 2). La percentuale di piante Tab. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la produzione di granella corretta (performance), l'altezza della pianta, la percentuale di piante allettate e spezzate e il peso ettolitrico.


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Produttività del mais a granella vitrea

18 Cozzolino et al Venticano Arzano Redel Sis Red Gritz Kurt Banguy Sicilia Corniola Astico

Produzione corretta (t/ha)

P

SR

8

V

G

● ●

8

10

12

6

8

10

12

Prodotto in granella, t/ha Fig. 1. Produzioni medie di granella per ibrido e zona, con barre di confidenza al 95%, corrette per contenuto relativo di umidità e proporzione di raccolto da piante allettate e spezzate (performance).

Ar

R SR G

Ar

C K

As

S B

K

S

12

B

6

R

10

Portico

85

Peso ettolitrico (kg)

allettate e spezzate non è stata influenzata in modo apprezzabile dallo sviluppo vegetativo ed è risultata più alta a Venticano per le punte registrate nelle parcelle degli ibridi Astico e Gritz, che insieme con Sicilia sono risultati i più sensibili a questa avversità. Il peso ettolitrico ha mostrato una correlazione negativa con il livello di produzione: i valori più alti sono stati osservati per gli ibridi di produttività medio-alta (Sis Red, Gritz e Kurt) e

C K G SR

As

84 83

SR

As

V

C

PG

Ar

S

82 81

K

S B

R

B

Ar

R

C As

8

200

220

240

260

Altezza pianta (cm) Fig. 2. Produzioni medie di granella in funzione dello sviluppo vegetativo, con linea di tendenza in grigio. Medie e tendenze per Portico e Venticano sono indicate dalle iniziali in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le due zone dal colore.

per quelli meno produttivi (Astico e Corniola), ma l'incremento medio della produzione a Portico rispetto a Venticano non ha comportato variazioni sensibili del peso ettolitrico medio (fig. 3). Nonostante la stagione particolarmente asciutta il mais a granella vitrea ha mostrato di poter fornire produzioni di tutto rispetto nelle zone considerate, ma a condizione di scegliere bene la cultivar. I dati di due esperimenti sono ovviamente insufficienti per fornire informazioni adeguate sul merito delle cultivar disponibili, ma la persistenza della stessa graduatoria di resa in due ambienti con potenzialità considerevolmente differenti (a Portico la resa media ha superato del 20% quella di Venticano) induce a ritenere che anche le informazioni comparative ottenute in altri saggi debbano essere considerate per la scelta varietale. Aun prezzo di 320 Euro/t il ricavo dalla produzione di mais nelle condizioni considerate risulta compreso tra 2200 e 3900 Euro/ha. Pertanto tale coltura potrebbe essere con-

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Produzione di granella corretta (t/ha) Fig. 3. Peso ettolitrico in funzione dello sviluppo vegetativo, con linea di tendenza in grigio. Medie e tendenze per Portico e Venticano sono indicate dalle iniziali in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le due zone dal colore. carattere più piccolo, le due zone dal colore.

siderata come praticabile alternativa al tabacco dal punto di vista dell'impresa quando la manodopera è prevalentemente un costo esplicito, condizione che riduce la convenienza relativa del tabacco. Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano Piccirillo di Portico e Gennaro Grasso di Venticano per l'ottima assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispettive aziende e il dr Filippo Piro del CRAORT per la collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati.

Letteratura citata AAV., 2001. L'Informatore Agrario, 14:47-51 Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0.99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3.0-12, http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www.R-project.org.


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Il Farro quale alternativa al tabacco Napolitano A, Raimo F, Vatore R, Vicidomini S e Contillo R Introduzione Il farro è un cereale minore a ciclo autunno- vernino-primaverile, appartiene al genere Triticum con tre specie: il Farro piccolo (Triticum monococcum L.), il Farro medio (Triticum dicoccum Schrank) ed il Farro grande o spelta (Triticum spelta L.), fa parte dei frumenti vestiti, che hanno la caratteristica che al momento della trebbiatura presentano le cariossidi rivestite di glume e glumelle. Nell'ambito del progetto Co.Al.Ta. sono stati fatti nel triennio 2005-2007 campi sperimentali in due differenti località della Campania per confrontare e verificare la produttività dei genotipi seminati. Materiali e metodi I campi sono stati eseguiti in due località uno a Paduli, in provincia di Benevento con terreno a giacitura inclinata e tessitura argillosa, l'altro in località Frigento in provincia di Avellino, con terreno a tessitura franca e giacitura pianeggiante, entrambi hanno una altitudine di circa 400 m slm. La semina è stata fatta nella prima e seconda decade ( 2005-2006) di gennaio a Paduli mentre a Frigento è stata fatta nella terza decade di novembre (28-11-2006). La raccolta è stata eseguita a Paduli nelle ultime due decadi di luglio, mentre a Frigento nell'ultima decade di giugno. Nel primo anno sono state usate le seguenti varietà: Forenza, Farvento, Luni, Molise colli, Titano (Zefiro). Nel secondo e terzo anno sono state aggiunte a quelle su citate le seguenti varietà: Davide, Lucanica, Mosè, Padre Pio e Triventina. La semina è stata fatta distribuendo 300 semi germinabili per m2 in tutti i campi. Lo schema statistico di campo è stato uno schema a blocchi randomizzati con tre ripetizioni. È stata eseguita solo una concimazione in copertura somministrando 50 kg ha-1 di azoto. Alla raccolta sono stati eseguiti i rilievi morfologici e produttivi su tutte le varietà e su essi è stata eseguita l'analisi statistica col software Data Desk.

1 CRA - CAT - Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco, via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206; e-mail: antonietta.napolitano@entecra.it

Risultati Dalle osservazioni eseguite nel triennio 20052007 è emerso quanto segue. L'altezza del fusto è variata tra i 65 e 149 cm, la cultivar più alta è la Triventina la più bassa è Mosè seguita da Davide; ma solo Mosè é diversa statisticamente da tutte le altre varietà, le altre due non differiscono dalla varietà Padre Pio. Le cultivar presentano una evidente variabilità nell'altezza fra i diversi anni, la meno variabile è la Mosè, le piante nel secondo anno erano più alte e lo erano ancora di più nel campo di Frigento. La dimensione della spiga ha distinto tre diversi gruppi, uno a spiga corta, uno a spiga di media lunghezza ed uno a spiga lunga. Le cultivar a spiga piccola sono: Davide, Lucanica, Mosè e Padre Pio, quelle a spiga lunga sono la Triventina e la Forenza (le due Spelta). I valori medi delle spighe oscillano da un minimo di 5,78 ad un massimo di

Foto 1. Spighe delle cv di farro


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15,79 cm. Le varietà Farvento, Forenza e Triventina presentano maggiore variabilità nella lunghezza della spiga come risulta dalla distanza tra il primo e terzo quartile dell'elaborazione statistica (frequenze comprese tra 25 %-75% della popolazione) (fig. 1).

produttive ed il campo di Frigento ha presentato decisamente una maggiore produzione rispetto ai campi di Paduli. La produzione più alta si ha nelle varietà Mosè seguita da Padre Pio nella località di Frigento, mentre a Paduli le produzioni delle stesse varietà si invertono ma rimangono comunque le più alte. Le varietà Farvento e Molise Colli presentano anch'esse una buona produzione in ogni caso le differenze non sono statisticamente significative (fig.3).

Fig. 1.

Le varietà più produttive riferite alla singola spiga sono Davide Mosè, Padre Pio e Triventina. Mosè e Padre Pio hanno il più alto peso in cariossidi per spiga, entrambe non si differenziano statisticamente dal Davide e la varietà Mosè non si differenzia statisticamente dalla Triventina. Le predette varietà mostrano anche il più alto numero di cariossidi per spiga rispetto alle altre varietà.(fig. 2).

Fig. 2.

Il numero delle spighe prodotte a metro quadrato è alto nel terzo e primo anno e più basso nel 2006. Farvento, Mosè, Molise Colli e Forenza presentano il più alto numero di spighe a metro quadrato. Nonostante la piccola dimensioni delle spighe delle cultivar Mosè e Padre Pio esse sono le più

Fig. 3.

L'Harvest Index medio ci dà valori nelle due rispettive località di 74,97-60,73 per la varietà Davide, 77,84-84,73 per Mosè, 74,08-82,08 per Padre Pio. Indubbiamente le ultime due varietà sono le più produttive ed hanno una maggiore resa in granella. Le altre varietà non superano mediamente nei diversi anni e nei diversi campi un valore di Harvest Index di 45. E' ovvio che la scelta della varietà, in relazione alla resa, dipende dal fatto che ci possa interessare o meno l'utilizzazione della paglia. Conclusioni Si può quindi affermare che le varietà a spiga piccola sono indubbiamente le più produttive non tanto per il numero di spighe prodotte a metro quadro quanto per il peso e per il numero di cariossidi prodotti per ogni spiga , le differenze comunque non sono significative statisticamente. Il campo di Frigento è stato indubbiamente il più produttivo ma questo era da attendersi in quanto quest'ultimo ha caratteristiche di pendenza e tessurometriche più favorevoli rispetto al terreno prevalentemente collinare ed argilloso di Paduli (vedi grafici sui suoli già pubblicati).


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Il lupino bianco per le filiere alternative al tabacco nell'area casertana Cozzolino E, Leone V Introduzione Il lupino produce granella ricca di proteine e grassi, utilizzabile per alimentazione zootecnica e umana, ed elevate quantità di biomassa utilizzata per sovescio (basso rapporto C/N), ma non come foraggio, a causa del pericolo di lupinosi (http://www.sinab.it). La granella contiene alcaloidi e piccoli quantitativi di fitati, oligosaccaridi e inibitori della tripsina, considerati in passato fattori antinutrizionali, ma attualmente ricercati in farmacologia, medicina, cosmesi e nell'industria alimentare. In questa nota riferiamo sui primi risultati di prove di valutazione del lupino ai fini del suo inserimento in filiere produttive alternative al tabacco. Materiali e metodi La sperimentazione è stata effettuata nell'anno 2007 a Sparanise (fig.1) su un terreno fertile a reazione sub-acida, allevando sei cultivar secondo le modalità di un confronto varietale, in un disegno a blocchi replicato tre volte, con parcelle di 18 m2. Le cultivar di grande sviluppo (Multitalia, Seme grosso e ecotipo Vairano) sono state seminate per una densità di 25 piante/m2, quelle di taglia più bassa (Ludic, Lustral e Lublanc) per una densità di 40 piante/m2, nell'ultima decade di ottobre, su terreno precedentemente coltivato a tabacco. Le infe-

stanti sono state controllate con due sarchiature. La granella è stata raccolta nella seconda decade di giugno determinando la resa su un'area di saggio di 2m2. L'analisi e la rappresentazione grafica delle risposte sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni del pacchetto contribuito Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La stagione di crescita della coltura è stata caratterizzata da temperature superiori alla media e da sufficienti precipitazioni. La produzione media in granella al 13% di umidità è stata di 2,7 t/ha, con intervallo di confidenza al 95% di 1,4-3,8 t/ha (tab. 1). Il 65% della variazione è dovuta a differenze tra le cultivar entro il livelli di densità ed il 35% a fattori locali a livello di parcella. Lustral è risultata la cultivar più produttiva seguita da Multitalia e Seme grosso (fig.2). Le dimensioni della granella sono state influenzate dalla densità ed in parte dalle cultivar, con i semi più pesanti prodotti dalle cultivar allevate alla densità inferiore (ecotipo Vairano, Seme grosso e Multitalia). Lublanc è stata la cultivar meno produttiva, con i semi più leggeri. Il numero di semi per baccello è risultato una caratteristica spiccatamente varietale. Le rese sono state generalmente più basse di quelle riportate da Innocenti e Del Re (2007), probabilmente per problemi fitopatologici causati da diversi microrganismi patogeni (Rhizoctonia solani, Pythium ultimum, Fusarium oxysporum, culmorum e solani). Tab.1.Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la produzione di granella, il peso di 1000 semi, e il numero di semi per baccelli.

Fig.1. Panoramica del campo di Sparanise

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it


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Il lupino bianco ...

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Ringraziamenti. Si ringrazia il sig.Lorenzo Costantino per l'assistenza alla conduzione del saggio e il dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano per la collaborazione all'analisi dei dati.

Letteratura citata

Fig. 2. Produzione di granella di sei cultivar di lupino allevate a due densitĂ , con barre di confidenza al 95%.

L'aumento della densitĂ di semina favorisce lo sviluppo dominante dell'asse principale, concentrando la maturazione in un periodo piĂš breve, con minori perdite di seme alla raccolta, come esemplificato in questo caso dalla cultivar Lustral.

http://www.sinab.it Innocenti A, Del Re L, 2007. Il lupino bianco, leguminosa interessante. Agricoltura 1:68-69 Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Valutazione agronomica della soia nelle aree tabacchicole campane da riconvertire Cozzolino E, Leone V, Oppito G Introduzione La soia potrebbe rientrare negli avvicendamenti di colture alternative al tabacco in alcuni ambienti, considerando che la domanda si prevede abbastanza vivace per il prossimo futuro, in conseguenza della crescente destinazione energetica di varie colture di base per l'industria mangimistica, che sta comportando una generale ascesa dei relativi prezzi. Le varietà costituite in Italia sono caratterizzate da un basso contenuto in fattori antinutrizionali e possono essere utilizzate nelle razioni zootecniche senza un preventivo trattamento termico (Signori et al., 2007). In questa nota si riportano i risultati di tre saggi condotti in altrettante aziende tabacchicole campane con un campione di otto cultivar, incluse due di costituzione italiana (Hilario e Aires). Materiali e metodi I saggi sono stati condotti a Portico, su terreno franco, a Venticano su terreno argilloso-limoso e a Pietrelcina su terreno argilloso, con otto varietà costituite da Asgrow, Sis, G. Harvest e R. Venturoli, in un disegno a blocchi completi con tre repliche e parcelle di 15 m2 (sei file di cinque metri con distanze 50x5cm). I terreni sono stati preparati secondo le pratiche aziendali e la coltura è stata condotta senza concimazioni. La semina è stata eseguita con seme in eccesso il 10/4 a Portico, il 20/4 a Venticano e il 10/5 a Pietrelcina, con diradamento successivo a 40 piante/m2. Le infestanti sono state controllate con lavorazioni superficiali del terreno. Soltanto a Portico e a Venticano è stato eseguito un adacquamento. La raccolta è stata eseguita nella seconda decade di settembre a Portico e a Venticano e nella terza decade a Pietrelcina. I dati sono stati raccolti sulle due file centrali delle parcelle e le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente, con un modello a effetti fissi, e globalmente per la specie, con un modello a effetti casuali, per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell,2007).

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco, Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

Risultati e discussione Le piante hanno beneficiato di favorevoli condizioni meteorologiche nella prima fase di crescita mostrando una germinazione rapida e uniforme. Successivamente la stagione di crescita è stata caratterizzata da assenza di pioggia per tutta l'estate e da temperature particolarmente calde. La produzione media di granella è stata di 3,2 t/ha, con intervallo di confidenza al 95% di 1,6-4,8 t/ha (tab. 1). Oltre il 90% della variazione è stata determinata da differenze tra gli ambienti, a causa delle forti variazioni di resa tra le località, con un livello di produzione a Portico più che doppio rispetto a Pietrelcina. Comparativamente, le differenze varietali sono risultate più contenute. Nell'ambiente più favorevole la cultivar più produttiva (Dekabig) ha fornito una resa di 5,1 t/ha, superiore di circa 1,3 t/ha a quella della cultivar meno produttiva (Shama) (fig. 1). Tale livello di divario si è ridotto marginalmente negli altri due ambienti meno favorevoli, ma in quello più sfavorevole di Pietrelcina alcune cultivar di produttività media altrove (Fiume, Atlantic, Taira) hanno fornito una prova deludente, penalizzate più di altre dall'assenza di piogge e dalla sfavorevole tessitura del terreno. Le rese a Venticano sono risultate di circa il 20% inferiori rispetto a Portico. Il livello di produzione è aumentato con lo sviluppo vegetativo, ma Dekabig si è distinta per un superiore rapporto granella/vegetazione, mentre Giulietta ha mostrato il rapporto più basso. Con l'aumento dello sviluppo è aumentata anche la percentuale di piante allettate (fig. 2). Le cultivar Tabella 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la produzione di granella, altezza della pianta, percentuale di allettamento e il peso di 1000 semi.


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Valutazione agronomica della soia

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Signori et al. , 2001. Buone rese con la soia nonostante la siccità. Notiziario Ersa1, 34-37 Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.

Gl TrFmDk Sh HlAr At

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Altezza (cm) Fig. 2. Relazione tra allettamento e sviluppo vegetativo. Medie e tendenze per le zone sono indicate dalle iniziali in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le zone dal colore.

to a Portico e a Venticano, e degne di considerazione per il contesto agricolo più marginale a Pietrelcina. A un prezzo di 350 euro/t il ricavo dalla produzione di soia nelle condizioni considerate risulta compreso tra 600 e 1700 euro/ha. Pertanto tale coltura potrebbe essere considerata come praticabile alternativa al tabacco dal punto di vista dell'impresa in casi di possibile estensivazione, con orientamento verso colture a basso fabbisogno di lavoro, come le energe-

Peso di 1000 semi (g)

Allettamento (%)

Giulietta, Taira e Dekabig sono Pietrelcina Venticano Portico risultate comparativamente più Dekabig ● ● ● sensibili a questa avversità, Haires, ● ● ● Hilario Hilario e Fiume più resistenti. ● ● Taira ● ● ● Il peso dei semi è aumentato Giulietta ● ● ● con il miglioramento dell'am- Atlantic ● ● ● ● Aires biente di coltura, ma mentre nel● ● Fiume ● l'ambiente meno favorevole di ● ● ● Shama Pietrelcina è risultato positivamente correlato con il livello di 2 3 4 5 2 3 4 5 2 3 4 5 Produzione di granella (t/ha) produzione, in quelli più favorevoli ha mostrato una tendenza a Fig. 1. Produzioni medie di granella per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%. diminuire con l'aumento della produzione (fig. 3). I semi più pesanti hanno caratte- tiche, o in casi di conversione verso ordinamenti zoorizzato le cultivar meno produttive (Shama e Fiume). tecnici. La cultivar più produttiva (Dekabig) ha prodotto anche i semi più pesanti nelle condizioni difficili di Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano Pietrelcina, ma insieme con Atlantic, di media pro- Piccirillo di Portico e Gennaro Grasso di Venticano per l'ottima assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispetduttività, ha mostrato valori di peso del seme tra i più tive aziende e il dr Filippo Piro del CRA-ORT per la colbassi nei due ambienti più favorevoli. laborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei Nonostante la stagione sia stata caratterizzata da risultati. condizioni climatiche non favorevoli, la soia ha dimostrato di poter fornire produzioni di tutto rispet- Letteratura citata

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Produzione di granella (t/ha) Fig. 3. Relazione tra produzione di granella e peso specifico della granella. Medie e tendenze per le zone sono indicate dalle iniziali in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le zone dal colore.


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Il girasole di tipo altoleico per filiere agroenergetiche nelle aree tabacchicole campane Cozzolino E, Leone V, Interlandi G, Raimo F, Napolitano A, Vicidomini S Introduzione Tra le oleaginose il girasole ha caratteristiche agronomiche e fisiologiche, particolarmente precocità e resistenza all'aridità, che ne consentono la coltivazione anche in aree marginali con basso impiego di mezzi agrotecnici. Con le prove oggetto di questa nota abbiamo inteso verificare la produttività del girasole di tipo altoleico in relazione alla possibilità di costituire filiere agroenergetiche sostenibili sotto i profili ambientale ed economico per le aree interessate dalla dismissione del tabacco Materiali e metodi Le prove sono state condotte a Sparanise e Portico (CE) e a Venticano e Frigento (AV), con un campione di 11 cultivar saggiate secondo criteri di confronto varietale in un disegno a blocchi replicato tre volte, con parcelle di 12 m2. Eccettuata la cultivar di riferimento Linsol, tutte le altre sono considerate di tipo altoleico. La semina è stata eseguita con seme in eccesso a file distanti 50cm, nella prima decade di aprile in provincia di Caserta e nella seconda decade in provincia di Avellino, e le piantine sono state diradate a una densità di 67.000 piante/ha una decina di giorni dopo l'emergenza. Le colture sono state fertilizzate con 80 unità/ha di N, somministrate 1/3 alla preparazione del terreno e 2/3 in copertura. In tutte le zone è stato eseguito un intervento irriguo allo stadio di bottone fiorale, quando inizia la massima suscettibilità allo stress idrico (Interlandi et al., 2007). Come epoca di fioritura di una parcella è stato considerato il giorno in cui il 50% delle piante si presentava fiorita. A tale epoca sono state eseguite le misure di sviluppo vegetativo. La raccolta è stata eseguita nell'ultima decade di agosto, determinando la resa sulle due file centrali della parcella e rilevando il numero di piante spezzate e allettate. Le risposte sono state analizzate in relazione ai

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco, Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione Le colture hanno beneficiato di condizioni meteorologiche favorevoli nella prima fase, ma il periodo di fine ciclo è stato stata particolarmente caldo e secco. La produzione media per cultivar è variata tra le 2,3 t/ha di Carnia a Frigento e le 5,5 t/ha di Trisun860 a Portico e la variabilità è stata determinata prevalentemente da fattori locali a livello del terreno e secondariamente in ugual misura dalle differenze di ambiente e dalle differenze varietali (fig. 1 e tab. 1). La variabilità locale è risultata massima a Frigento e minima a Sparanise, dove tutte le cultivar hanno fornito rese ugualmente elevate. Le rese sono state simili per la maggior parte delle cultivar anche a Venticano, ma a un livello produttivo inferiore. In contrasto, a Frigento e a Portico le cultivar hanno mostrato differenze di resa consistenti, e quella più produttiva (Trisun860) ha fornito rispettivamente il 40% e il 50% in più di granella rispetto alla meno produttiva (Carnia). Nelle zone più calde della provincia di Caserta la maggiore produzione di granella è stata accompagnaTab. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la produzione di granella, il peso di 1000 semi e l'epoca di fioritura di 11 varietà di girasole in quattro ambienti.


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Produzione di granella (t/ha)

Peso di 1000 semi (g)

ta anche da una maggiore precoFrigento Venticano Portico Sparanise cità, mentre nell'ambiente più ● ● ● ● Trisun860 sfavorevole di Frigento la resa è ● ● ● ● Viviana ● ● ● ● Heroic aumentata con la lunghezza del ● ● ● ● PR64H41 ciclo (fig. 2). Heroic è risultata ● ● ● ● Proleic204 ● ● ● ● Oleko consistentemente la cultivar più ● ● ● ● Linsol ● ● ● ● precoce, mentre la lunghezza MAS97OL ● ● ● ● PR64H61 del ciclo è variata considerevol● ● ● ● Gamasol ● ● ● ● Carnia mente da una zona all'altra per la maggior parte delle cultivar. 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 Produzione di granella (t/ha) La dimensione dei semi, positivamente correlata con il livello Fig. 1. Produzione di granella di 11 varietà di girasole in quattro ambienti, con barre di confidenza al 95%. di resa, non è stata influenzata molto dall'ambiente per la maggior parte delle culT8 100 tivar, eccettuata la Trisun860, che ha prodotto semi particolarmente grossi nell'ambiente di Frigento 90 (fig. 3). Questa cultivar si è fatta notare per un alto livello sia di produzione che di stabilità di risposta Ln Ln Ln al variare delle condizioni ambientali.Nonostante 80 PH4 Ln OlHr T8 Hr la stagione particolarmente asciutta il girasole ha Hr Cr PH4 OlOl Cr T8 T8 V Gm S F MA OlVv P2 PH4 mostrato di poter fornire produzioni elevate nelle PH6 PH6 MA Gm 70 P VvPH4 P2Vv PH6 Hr GmP2 zone considerate, confermando le notevoli capaciP2MA Vv Cr Gm PH6 tà di adattamento anche in condizioni di scarse Cr MA 60 disponibilità idriche. Tuttavia, a un prezzo di 200 3 4 5 euro/t la coltura del girasole nelle condizioni consiProduzione di granella (t/ha) derate può offrire un ricavo prevedibile di 700-900 3. Peso di 1000 semi di 11 varietà di girasole in quattro euro/ha, per cui potrebbe essere considerata in ordi- Fig. ambienti in funzione del livello di produzione. I dati relativi agli namenti senza tabacco solo per aziende abbastanza ambienti sono distinti con il colore, le medie per ambiente e grandi condotte con minimo impiego di lavoro cultivar sono indicate dalle posizioni delle relative abbreviazioni. umano.

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Giorni alla fioritura Fig. 2. Produzione di granella di 11 varietà di girasole in quattro ambienti in relazione alla lunghezza del ciclo vegetativo. I dati relativi agli ambienti sono distinti con il colore, le medie per ambiente e cultivar sono indicate dalle posizioni delle relative abbreviazioni.

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano Piccirillo di Portico, Izzo Clementina di Sparanise, Gennaro Grasso di Venticano e Franco Stanco di Frigento, per l'ottima assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispettive aziende, e il dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano per la collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati.

Letteratura citata

Interlandi G, Cozzolino E, Leone V, Raimo F, Del Gaudio C, Paino, Zeno G, 2007.Studio sulla adattabilità del girasole ad alto contenuto di acido oleico per la riconversione del tabacco nelle aree interne del beneventano.Risultati finali Progetto Co.Al.Ta.1 239-242 Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Il colza da olio per le aree tabacchicole della regione Campania Cozzolino E, Leone V, Zeno G, Oppito G, Interlandi G Introduzione Lo sviluppo mondiale della filiera bioenergetica ha riacceso l'interesse italiano per il colza, per il quale le superfici investite nel 2007 sono raddoppiate a 7000 ettari rispetto all'anno precedente (dati ISTAT). Il biodiesel prodotto in Europa proviene per tre quarti da colza e per un quinto da girasole. Nel 2006 la coltura ha interessato prevalentemente la Toscana, Lazio e Basilicata (Menguzzato e Rossetto, 2007). Con questa prova abbiamo voluto verificare la produttività del colza nelle aree tabacchicole campane e l'idoneità per un possibile impiego in ordinamenti colturali senza tabacco. Materiali e metodi La verifica è stata condotta a Sparanise e Portico, in provincia di Caserta, e a Venticano, in provincia di Avellino, su precessione di tabacco, con sei cultivar allevate secondo le modalità di un confronto varietale, in un disegno a blocchi replicato tre volte, con parcelle di 20 m2. La semina è stata eseguita con seme in eccesso a file distanti 45cm il 24/10/2006 a Venticano, il 25/10 a Portico e il 26/10 a Sparanise, rispettivamente con 100, 80 e 80 semi/m2. Successivamente è stato effettuato un diradamento per ottenere l'investimento programmato di 60 piante m2. Soltanto a Venticano è stata eseguita una concimazione fosfatica presemina con 50 kg/ha di P2O5. La concimazione azotata è stata dosata in base all'accrescimento delle piante a fine gennaio secondo le buone pratiche di produzione integrata del colza (AA.VV.,1999), somministrando 90 unità/ha di N a Portico e Sparanise e 120 unità/ha a Venticano, in due frazioni: 40% all'inizio di febbraio e il resto all'inizio della levata. Il controllo delle malerbe è stato effettuato con un intervento di sarchiatura. Non si sono resi necessari trattamenti antiparassitari. La raccolta è stata eseguita nella prima decade di giugno, determinando la produzione su aree di saggio di 2 m2. Le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un model-

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

lo a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La coltura ha beneficiato di condizioni meteorologiche favorevoli allo sviluppo, con temperature sopra la media. Le precipitazioni sono state sufficienti per le esigenze della coltura. Nel campo di Venticano un ristagno idrico nel mese di novembre ha creato qualche problema di asfissia alle piantine germinate. La produzione di granella per cultivar è variata da da tre a poco meno di sei tonnellate per ettaro (fig. 1), con un valore medio di 4,2 t/ha (tab. 1). La maggior parte della variabilità della resa, come pure dello sviluppo vegetativo, è stata determinata dalle differenze tra le zone più calde (Portico e Sparanise) e la zona relativamente più fresca (Venticano), per la quale non si può escludere qualche danno per l'eccessiva umidità nella prima fase della coltura. Pluto, con una produzione di granella tra 3,8 e 5,8 t/ha, è risultata la cultivar a più alta resa in tutti e tre gli ambienti, seguita da Pulsar e Plenty, che però hanno dato risultati alquanto incosistenti tra gli ambienti, la prima apparendo più sensibile nell'ambiente più fresco, la seconda giovandosi meno dell'ambiente più caldo. Alla densità di semina utilizzata un maggiore sviluppo vegetativo ha comportato un aumento della percentuale di allettamento, che a Sparanise ha raggiunto punte superiori al 40%, con la cultivar Dante (fig. 2). Tab.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la resa, il peso di 1000 semi, l'altezza della pianta e la percentuale di allettamento di colza coltivato in tre ambienti.


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Venticano Portico Sparanise Quest'ultima e Pulsar sono risultate ● ● ● Pluto relativamente più sensibili al pro● ● ● Pulsar blema, anche nelle condizioni ● ● ● meno predisponenti di Venticano. Plenty Le dimensioni della granella ● ● Lilian ● sono relativamente indipendenti ● ● ● Dante dal livello di resa e molto influen- Courage ● ● ● zate da fattori locali a livello di parcella (fig. 3 e tab. 1). Pulsar, per 3 4 5 3 4 5 3 4 5 Produzione di granella (t/ha) esempio, ha prodotto i semi più grossi a Sparanise e semi di peso Fig. 1. Produzione di granella per cultivar di colza in tre ambienti, con barre di confidenza al 95%. inferiore alla media a Venticano; i Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano semi di Pluto prodotti a Sparanise avevano un peso inferiore del 9% a quello dei semi di Piccirillo di Portico, Clementina Izzo di Sparanise e Portico e Venticano. Nel complesso le cultivar meno Gennaro Grasso di Venticano, per l'ottima assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispettive aziende, e il dr produttive (Dante e Courage) hanno prodotto semi Filippo Piro del CRA-ORT per la collaborazione all'anarelativamente più grossi, mentre la cultivar a resa inter- lisi dei dati e alla presentazione dei risultati. media Plenty si è caratterizzata per i semi più piccoli. Tenuto conto delle condizioni ambientali relativaDn

Allettamento (%)

40 Pls Dn Plt Ll Pls Ll

S PPltCr

30 20

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Pln Pln

10

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Pln

100

Peso di 1000 semi (g)

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S Ll Dn Cr P

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3,8 Pln

Cr PltV Ll

120

Dn Cr

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Plt

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140

160

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Altezza pianta (cm) Fig. 2. Relazione tra sviluppo in altezza delle cultivar di colza e la percentuale di allettamento. Le cultivar sono indicate con nomi abbreviati, le zone con le iniziali e il colore, la tendenza generale con la linea intera grigia, le tendenze zonali con le linee punteggiate in colore.

mente buone per lo sviluppo della coltura, possiamo ritenere soddisfacenti i livelli di resa ottenuti. A un prezzo di 250-300 euro/t nelle condizioni ambientali considerate si può attendere dalla produzione di colza un ricavo tra 900 e 1500 euro/ha, chiaramente inadeguato in riferimento a ordinamenti colturali sostitutivi del tabacco, tenuto conto che la coltura occupa il suolo per 8-9 mesi. Anche se può svolgere un apprezzabile ruolo di cover-crop autunno-vernina per la gestione dell'azoto, il colza difficilmente potrà essere considerato negli ordinamenti tendenzialmente intensivi di aziende medio-piccole.

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Produzione di granella (t/ha) Fig. 3. Relazione tra peso di 1000 semi e produzione di granella di cultivar di colza. Le cultivar sono indicate con nomi abbreviati, le zone con le iniziali e il colore, la tendenza generale con la linea intera grigia, le tendenze zonali con le linee punteggiate in colore.

Letteratura citata Menguzzato A, Rossetto L, 2007. Le aspettative sul biodiesel fanno da traino al colza italiano. Speciale L'informatore agrario 33:33-36 AAVV,1999. Manuale di corretta prassi per la produzione integrata del colza. 3A- Parco Tec. Agroalimentare dell'Umbria Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F, e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Risposta del kenaf a differenti livelli di concimazione azotata Cozzolino E, Leone V Introduzione Il kenaf, specie annuale a rapida crescita originaria del sud-est asiatico, è stata studiata per la produzione di fibre tessili e carta e fornisce fibre per isolamento termico-acustico e pellets per usi energetici. La pianta sviluppa un esteso apparato radicale, che le consente di utilizzare terreni di modesta fertilità e di essere gestita con limitato impiego di fertilizzanti, e inoltre forma una fitta vegetazione che soffoca le malerbe (Desiderio et al, 1994). La nostra sperimentazione ha mirato a valutare l'effetto della concimazione azotata sulla produzione di biomassa di due cultivar di kenaf in condizioni di sussidio idrico limitato. Materiali e metodi La sperimentazione è stata effettuata nell'anno 2007 con quattro livelli di azoto (0, 50, 100 e 150 kg/ha di N) e con le cultivar Tainung2 e Dowling, su un terreno argilloso-limoso a Calvi e argillososabbioso a S. Agata dei Goti, in un disegno a blocchi replicato tre volte, con parcelle di 20 m2. Il terreno, coltivato precedentemente a pomodoro, è stato concimato in presemina con 60 kg/ha di P2O5 e nell'occasione è stata anticipata la quota minima dell'azoto, rimandando il resto a un intervento allo stadio di quarta foglia. La semina è stata fatta in eccesso nella prima decade di maggio, a file distanti 50cm, con diradamento successivo alla densità di 35 piante m2. Le piogge dopo la semina hanno favorito germinazione e attecchimento delle piantine, rendendo non necessaria una irrigazione. In seguito alte temperature e assenza di precipitazioni hanno indotto ad eseguire tre interventi irrigui, erogando un totale di 180mm a Calvi e e 240mm a S. Agata. Il controllo delle malerbe è stato effettuato con un intervento di sarchiatura. La resa è stata determinata raccogliendo le due file centrali della parcella, nella seconda decade di ottobre, ed eliminando una porzione apicale erbacea di 10cm. Dopo misure di sviluppo degli steli, un campione di 30

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piante è stato passato in stufa a 105°C per 48 ore per determinare la biomassa secca. Le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La biomassa secca è aumentata con l'aumento del livello di fertilizzazione azotata in entrambe le zone e per entrambe le cultivar. La più produttiva (Tainung) ha mostrato tuttavia una risposta più limitata all'azoto, raggiungendo un plateu intorno ai 100 kg/ha di N somministrato, mentre l'altra (Dowling) ha risposto in modo lineare in tutto l'intervallo di livelli sperimentato (fig. 1). Quest'ultima, inoltre, ha mostrato una risposta più debole all'azoto insieme con un livello di produzione in biomassa secca e uno sviluppo vegetativo considerevolmente più bassi a S. Agata (fig. 2). Il rapporto tra resa percentuale in biomassa secca e produzione di biomassa fresca indica che le piante della Dowling a S.Agata non solo si sono sviluppate meno, ma avevano anche un maggior contenuto d'acqua, mentre a Calvi hanno fatto realizzare una Tab.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la biomassa secca, la resa in secco e il volume del fusto di due cultivar di kenaf allevate a quattro livelli di azoto in due ambienti.


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Concimazione azotata del kenaf

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Figura 1. Produzione di biomassa secca di due cultivar di kenaf in due ambienti funzione del livello di fertilizzazione azotata, con barre di confidenza al 95%.

Fig. 3. Relazione tra resa in secco e produzione di biomassa fresca di due cultivar di kenaf in due ambienti funzione del livello di fertilizzazione azotata. Le cultivar e gli ambienti sono indicati con le iniziali dei nomi e gli ambienti anche con il colore; le frecce in grigio indicano gli scostamenti delle posizioni delle cultivar dall'ambiente di Calvi a quello di S.Agata.

risultata pertanto nettamente più rilevante di quella prodotta dalla concimazione azotata, mentre per la resa in secco è risultata importante l'interazione varietà-ambiente e del tutto trascurabile l'effetto dell'azoto (tab. 1). Ciò vuol dire che per proporre il kenaf nell'ambiente considerato è opportuna una previa selezione sperimentale di cultivar dotate di buona stabilità, come la Tainung2.

Fig. 2. Volume del fusto di due cultivar di kenaf in due ambienti funzione del livello di fertilizzazione azotata. I simboli indicano le repliche e la linea un'interpolazione non parametrica

resa in secco superiore a quella della Tainung (fig. 3). Considerato che in questa località sono stati dati 60mm di acqua in più rispetto all'altra, si può ipotizzare che la Dowling sia adattata a condizioni di limitate risorse idriche e quindi risponda negativamente a un miglioramento del livello di umidità. In confronto la resa in biomassa secca della cultivar Tainung è rimasta allo stesso livello nelle due zone. La variabilità indotta dal fattore varietale per sviluppo vegetativo e produzione di biomassa è

Ringraziamenti. Un particolare ringraziamento è rivolto ai signori Bruno Viscusi e Maria Gerarda Vesce per l'assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispettive aziende e al dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano per la collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati.

Letteratura citata AAVV, 1994. Adattamento e resa di varietà di kenaf in Italia centrale e settentrionale. L'Informatore Agrario 13:27-38. Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Influenza di cultivar, concimazione azotata e stagione sulla produzione di biomassa del sorgo da fibra Cozzolino E, Leone V, Raimo F Introduzione Lo sviluppo delle colture da biomassa per la produzione di energia è ritenuto attualmente necessario per integrare con fonti rinnovabili le risorse energetiche della terra. Si pensa che l'uso di fonti energetiche vegetali dovrebbe anche frenare l'immissione di CO2 nell'atmosfera, facendo parte quella così immessa di un mero riciclo. Per gli ambienti agronomici più marginali le colture da biomassa rappresentano un contributo allo sviluppo economico e un mezzo per migliorare la stabilità dei suoli (Fagnano e Postiglione, 2002). Con la prova oggetto di questa nota abbiamo inteso verificare il livello di biomassa conseguibile con il sorgo in rapporto alla concimazione azotata in condizioni di limitato apporto idrico nelle aree tabacchicole interne della Campania, allo scopo di valutare la possibilità di includere tale coltura in ordinamenti economicamente sostenibili senza tabacco. Materiali e metodi La sperimentazione è stata effettuata nel biennio 200607 a Venticano, su un suolo argilloso-limoso, con due cultivar di sorgo da biomassa (H133 e H952) a due livelli di concimazione azotata, (100 e 200 kg/ha di N), in un disegno a blocchi ripetuto tre volte, con parcelle di 30 m2. Prima della semina, eseguita a file distanti 50 cm nella prima decade di maggio su terreno precedentemente coltivato a tabacco, sono stati somministrati 60 kg/ha di P2O5 e un terzo dell'azoto, per gli altri due terzi distribuito dopo il diradamento a 20 piante m2. Modesti interventi irrigui sono stati eseguiti dopo la semina e allo stadio di 14-15 foglie. Il controllo delle malerbe è stato effettuato con un intervento di sarchiatura. La raccolta è stata eseguita dopo 15 giorni dalla data di fioritura, stadio nel quale si ritiene sia massima la quantità di sostanza secca accumulata dalle piante (Peyre,1979), utilizzando un'area di saggio di 2m2 per determinare la resa areica in biomassa fresca e secca, dopo passaggio in stufa a 105° per 48 ore.

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it

Le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello a effetti casuali per quantificare la variazione delle risposte considerate a livello di specie. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2007), utilizzando anche funzioni dei pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione Le condizioni meteorologiche delle due stagioni sono state molto differenti: temperature normali e sufficiente piovosità estiva nel 2006, temperature elevate e assenza di precipitazioni nel 2007; pertanto le stagioni saranno indicate rispettivamente come temperata e caldo-secca. La variazione stagionale ha avuto un effetto più rilevante di cultivar e livello di azoto sulla produzione e sulla resa in secco, mentre lo sviluppo vegetativo è risultato una caratteristica più spiccatamente varietale (tab. 1). Passando dalla stagione calda-secca a quella temperata la produzione di biomassa secca è aumentata in media del 28% per la più produttiva cultivar H133 e del 21% per la meno produttiva H952, ed è aumentato leggermente anche il tasso di risposta all'azoto, da 10,8 a 11,4 kg di biomassa per kg di N aggiunto (fig. 1). Le rese medie di biomassa secca per le combinazioni di cultivar e livello di azoto sono variate tra 21 e 35 t/ha. La produzione di biomassa è risultata una funzione lineare del livello di idoneità della stagione e dello sviluppo vegetativo, dipendente a sua volta Tab.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti della varianza (in percentuale) per la produzione di biomassa secca, la resa in secco e il volume del fusto di due varietà di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni.


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Fig. 1. Effetto di concimazione azotata, cultivar e stagione su la produzione di biomassa secca di due varietà di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni, con barre di confidenza al 95%.

Fig. 3. Resa in secco in funzione dello sviluppo vegetativo di due varietà di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni. I dati relativi alle due stagioni sono distinti con il colore, le medie per stagione e trattamento sono indicate dalle posizioni dei relativi nomi.

non valgano il costo della stessa per la coltura del sorgo da biomassa nelle condizioni saggiate. Con le quotazioni correnti del sorgo da biomassa, da una coltura nella zona considerata si possono attendere ricavi nell'ordine dei 1200-1500 euro/ha, paragonabili a quelli ottenibili dalla coltura del colza in condizioni ambientali migliori, e superiori a quelli forniti dal girasole. Pertanto, anche questa specie potrebbe essere considerata in ordinamenti senza tabacco solo per aziende abbastanza grandi condotte con minimo impiego di lavoro umano

Fig. 2. Produzione di biomassa secca in funzione dello sviluppo vegetativo di due varietà di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni. I dati relativi alle due stagioni sono distinti con il colore, le medie per stagione e trattamento sono indicate dalle posizioni dei relativi nomi.

dalla cultivar e dal livello di concimazione azotata (fig. 2). La stagione temperata ha incrementato la produzione di biomassa secca, nonostante abbia ridotto di circa due punti percentuali (dal 28,8% al 27%) la resa in secco, che peraltro tende a ridursi con l'aumento della concimazione azotata e dello sviluppo vegetativo (fig. 3). A un prezzo di 40-45 euro/t per la biomassa secca risulta una produttività marginale dell'azoto intorno a 0,45 euro/kg, da confrontare con un prezzo dell'elemento all'ingrosso di circa 2 euro/kg. Anche senza considerare gli altri costi che la concimazione comporta, sembra che gli incrementi di produzione possibili con la concimazione azotata

Ringraziamenti. Un particolare ringraziamento è rivolto al PA Grasso Gennaro per l'assistenza alla conduzione del saggio nella propria azienda e al dr Filippo Piro del CRA-ORT per la collaborazione all'analisi dei dati e alla presentazione dei risultati

Letteratura citata Fagnano M, Postiglione L, 2002. Sorgo da energia in ambiente mediterraneo: effetto della concimazione azotata con limitati apporti idrici. Rivista di Agronomia 36: 227-232. Peyre B, 1979. Contribution à l'étude du sorgho papetier. Memoire de fin d'étude. Ecole Superiéure Agronomique Pourpan, 114pp. AAVV, 1999. Manuale di corretta prassi per la produzione integrata del colza. 3A-Parco Tec. Agroalimentare dell'Umbria. Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0. 99875-7. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


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Valutazione preliminare di alcune specie da fronda recisa in provincia di Caserta Raimo F1, Napolitano A1, Vatore R1, Vicidomini S1 Introduzione Con la fase II del progetto Co.Al.Ta. (Colture Alternative al Tabacco), è continuata la sperimentazione sulle specie da fronda, impiantando Aucuba japonica, Myrtus communis, Myrtus tarentina, Pittosporum tenuifolium "Silver queen" e Asparagus medeoloides. Queste specie sono già conosciute sui mercati floricoli e utilizzate come fronda recisa per la florocomposizione; il mirto è utilizzato anche per la produzione di liquori. Materiali e metodi Il terreno utilizzato per la prova è ubicato nel comune di S. Felice a Cancello, in provincia di Caserta, presenta tessitura franca con pH neutro e buona fertilità. L'impianto è avvenuto sia in tunnel coperto con rete (al 50% di ombreggiamento) sia in pieno campo con Aucuba, Mirtus e Pittosporum; mentre A. medeoloides è stata trapiantata solo sotto rete al 75% di ombreggiamento; il trapianto è avvenuto il giorno 24 maggio 2006 utilizzando piante allevate in vaso. La densità d'impianto e le caratteristiche delle diverse specie sono riportate in tabella 1. Obiettivi della prova erano di verificare: 1) la possibilità d'introduzione in provincia di Caserta delle specie in oggetto per l'utilizzo come fronda recisa; 2) le differenze di accrescimento fra le prime tre specie coltivate sotto ombreggiamento e all'esterno; 3) la risposta delle specie coltivate sotto rete ombreggiante a diversi livelli di concimazione azotata. La prova di concimazione azotata, prevedeva tre livelli (N1 = 80 kg ha-1, N2 = 160 kg ha-1, N3 = 240 kg ha-1), frazionati in tre riprese, mentre all'esterno è stata effettuata una concimazione azotata pari a 160 kg ha-1 di N (N2 -est) per tutte le specie. Durante il periodo di coltivazione sono stati eseguiti rilievi biometrici e alla fine del biennio sono stati effettuati rilievi ponderali per determinare la biomassa verde epigea. I dati sono stati analizzati utilizzando l'analisi della varianza (ANOVA).

1 CRA - CAT - Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco, via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206; e-mail: francesco.raimo@entecra.it

Risultati Nella Fig. 1 è riportato il peso verde medio, per pianta, della parte epigea, riscontrato nelle diverse tesi su aucuba a settembre 2007, dall'analisi dei dati è emerso che esiste una differenza significativa (p=0,05) per quanto riguarda il peso tra le tesi sotto rete ombreggiante e la tesi N2 impiantata in pieno campo, anche per quanto riguarda l'altezza totale, la differenza fra le tesi ombreggiate e quella esterna, è altamente significativa (p=0,01). Per quanto riguarda l'A. medeoloides non vi è una differenza significativa, in entrambi gli anni, tra le tre tesi, sia per la lunghezza massima del festone, sia per il peso fresco espresso come grammi per metro lineare di festone (grafico 2), mentre esiste una differenza altamente significativa (p=0,01) fra i due anni per i due parametri considerati. Il pittosporo ha evidenziato un minore accrescimento all'esterno, infatti, i risultati dei rilievi effettuati sulla parte epigea delle piante raccolte a settembre 2007, hanno evidenziato che non esistono differenze significative tra le tre tesi ombreggiate, per quanto riguarda il peso verde, l'altezza e il diametro; mentre esistono differenze altamente significative (p=0,01) tra la tesi N2 ombreggiata e la tesi N2 esterna per i parametri considerati. Sul mirto sia sul M. communis sia sul M. tarentina, i rilievi effettuati a fine agosto 2007 non hanno mostrato differenze significative fra le tesi ombreggiate e quelle impiantate all'esterno per

Fig. 1. Peso parte epigea di piante di aucuba rilevato a settembre 2007


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Valutazione preliminare fronde recise..

34 Raimo et al Tab. 1. Principali dati relativi alle specie impiantate

Fig. 2. Peso festone riscontrato su A. medeoloides nel biennio

quanto riguarda l'altezza, il diametro massimo e il peso verde della parte epigea della pianta. Le principali avversità riscontrate sono state: a) su Asparagus medeoloides un attacco di acari (Tetranychus urticae, Tetranychidae), che hanno provocato decolorazioni fogliari; b) su aucuba infestazioni di cocciniglie che deturpavano in maniera evidente i germogli, l'attacco si manifestava soprattutto sulla parte basale della vegetazione; c) su Myrtus sp. vi è stato un attacco di coccide Lichtensia viburni (Signoret) (Homoptera: Coccidae) che ha determinato su alcune piante la presenza di fumaggine, che imbrattava la vegetazione.

Conclusioni Nel confronto tra i due ambienti, pieno campo vs tunnel ombreggiato, solo il mirto ha evidenziato una buona adattabilità al pieno campo, mostrando livelli di accrescimento paragonabili alle piante coltivate sotto rete ombreggiante, nel caso dell’aucuba, è risultata improponibile la coltivazione in pieno campo, in quanto, anche se riesce a sopravvivere, manifesta bruciature fogliari e ridotto accrescimento. Per quanto riguarda il controllo delle avversità, gli acari su A. medeoloides sono stati controllati mediante trattamento con un prodotto a base di abamectina, mentre le cocciniglie su aucuba e mirto sono state controllate con prodotti a base di olio minerale. Ringraziamenti. Si ringrazia per la cortese collaborazione l'azienda agricola del sig. Ferrara Arcangelo, sita in S. Felice a Cancello (CE).

Bibliografia Gimelli F., Giusta R. (1998) - "Note di coltivazione di due specie di recente introduzione: Eucalyptus cv "Baby Blue" (fam. Mirtacee) e Pittosporum tenuifolium cv. "Silver Queen" (fam. Pittosporaceae)" - Flortecnica, 5, 25 - 29 Raimo F., Lombardi D.A., Napolitano A., Torsello R., Brunetti F., Vatore R., Casaburi S., Vicidomini S. (2007) "Valutazione di specie da fronda recisa a basso input energetico in ambienti meridionali" in "Risultati finali del Progetto Co.Al.Ta.", pag. 553-561.


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Analisi della variabilità genetica del “Fagiolo di Controne” mediante marcatori molecolari del Piano L, Capone C, Sorrentino C, Abet M, Cuciniello A IIl fagiolo comune (Phaseolus vulgaris L.) è un prodotto tradizionale italiano e occupa un ruolo importante nell'economia di molte regioni del nostro paese. Negli ultimi decenni molti agro-ecotipi di fagiolo sono stati sostituiti da coltivazioni selezionate, tuttavia diverse varietà locali continuano a sopravvivere nelle piccole aziende, in aree marginali, dove le tecniche agricole utilizzate restano legate ai metodi di coltivazione tradizionali del luogo. Le varietà locali, il più delle volte, prendono il loro nome dal luogo di provenienza della coltivazione stessa, come accade per il "fagiolo di Controne", un ecotipo campano di fagiolo, che viene coltivato nella fertile valle del fiume Calore, nell'area del salernitano. Il fagiolo di Controne è noto per le sue eccellenti proprietà nutrizionali, il suo delicato sapore e per l'alta digeribilità dovuta alla presenza di un tegumento sottile, quasi impalpabile. Proprietà peculiari di questo fagiolo sono un basso tempo di cottura e una scarsa tendenza alla frammentazione. Tali caratteristiche ne fanno un prodotto conosciuto ed apprezzato. Per tutelare le sue peculiari qualità, recentemente per il fagiolo di Controne è stato richiesto il marchio IPG (Indicazione Geografica Protetta). La presente ricerca è stata finalizzata alla valutazione della variabilità genetica presente in popolazioni di "fagiolo di Controne", mediante marcatori molecolari ISSR (Inter Simple Sequence Repeats) (Zietkiewicz, 1994) e SSR (Simple Sequence Repeats) (Gupta e Varshney, 2000), allo scopo di caratterizzare e valorizzare tale coltura tipica. Sono state utilizzate cinque popolazioni di fagiolo di Controne, provenienti da aziende site nel comune di Controne o in zone limitrofe e otto varietà italiane, tra locali e commerciali. Il DNA estratto da foglia è stato amplificato utilizzando

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, e-mail:luisa.delpiano@entecra. it

primer ISSR e SSR scelti tra quelli riportati dalla recente letteratura scientifica sul fagiolo (Galvan et al. 2003, Blair et al. 2003). L'analisi SSR condotta con quattro coppie di primer, specifiche per le sequenze geniche relative alle fitoemoagglutinina (PHA) ed alla cellulasi non ha rilevato alcun polimorfismo tra le popolazioni di fagiolo di Controne. L'analisi ISSR delle differenti varietà di fagiolo, è stata condotta con cinque primers precedentemente selezionati in base alla chiarezza e alla riproducibilità delle bande prodotte. I profili di amplificazione delle popolazioni di "fagiolo di Controne" esaminate hanno evidenziato un alto grado di similarità. Dall'analisi dei pattern elettroforetici ottenuti, sono state individuate 87 bande, 86 delle quali (99%) polimorfiche, ed è stata costruita una matrice 0/1, in base alla presenza o assenza del prodotto di amplificazione, per ciascuno dei genotipi esaminati. Questa matrice è stata utilizzata per calcolare i coefficienti di similarità, sulla base dei quali, è stato costruito un dendrogramma UPGMA. I dati ottenuti hanno mostrato nel "fagiolo di Controne" un basso polimorfismo sia inter che intra-popolazione. Dall'analisi condotta sulla base dei frammenti polimorfici ISSR, è stato evidenziato che la varietà campana del fagiolo di "Controne" presenta una elevata similarità con quella toscana del "Coco". Bibliorgafia M. W. Blair, F. Pedraza, H. F. Buendia, E. Gaitan-Solis, S. E. Beebe, P. Geps, J. Thome. Development of a genome-wide anchored microsatellite map for common bean (Phaseolus vulgaris L.). Theor Appl Genet 107: 1362-1374, 2003. M. Z. Galvan, B. Bornet, P. A. Balatti, M. Branchard. Inter simple sequence repeat (ISSR) markers as tool for the assessment of both genetic diversity and gene pool origin in common bean (Phaseolus vulgaris L.). Euphytica 132:297301, 2003. P. K. Gupta and R. K. Varshney, 2000. The development and use of microsatellite markers for genetic analysis and plant breeding with emphasis on bread wheat. Euphytica, 113, 163-185. E. Zietkiewicz, A. Rafalski and D. Labuda, 1994. Genome fingerprinting by simple sequence repeat (SSR) - anchored polymerase chain reaction amplification. Genomics, 20, 176-183.


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Individuazione del periodo di massimo accumulo di artemisinina in genotipi di Artemisia annua L. Abet M, Interlandi G, Lombardi P, Sodano E, Nunziata R, Del Gaudio C, Di Giorgio B Artemisia annua L. è una pianta erbacea annuale, pianta ha evidenziato un leggero effetto positivo originaria dell'Asia, che, sin dall'antichità, è stata della densità d'investimento sullo sviluppo in altezutilizzata in Cina per le sue proprietà terapeutiche za. Il maggior incremento del peso secco della nei confronti di alcune patologie. Tra i principi atti- pianta si è avuto nell'intervallo compreso tra 90 e vi presenti nelle foglie di tale pianta, di particolare 105 giorni dal trapianto. Inoltre, è stato osservato interesse è l'artemisinina, un prodotto molto effica- che la percentuale di peso secco delle foglie sulla ce per combattere la malaria, in quanto è attivo pianta intera, per tutte le varietà, diminuiva con lo contro le specie di Plasmodium resistenti ai comu- sviluppo della pianta. Il contenuto di artemisinina ni farmaci utilizzati. L'artemisinina è un sesquiter- nelle foglie aumentava con l'età della pianta ma pene lattone che presenta un ponte perossidico il con andamento diverso in dipendenza della varietà. quale sembra essere responsabile delle proprietà L'incremento di artemisinina per la varietà Eureka antimalariche di tale molecola. Poiché l'artemisia è stato lineare fino a circa 90 giorni dal trapianto ha un ciclo vegetativo praticamente coincidente per poi stabilizzarsi ad un valore di circa 7 g/kg di con quello del tabacco e una fase di essiccazione peso secco, mentre per le varietà Crono e la post raccolta, tale coltura è stata proposta come una Pericles l'incremento era praticamente nullo fino a delle possibili alternative al tabacco nelle aree della circa 80 giorni dal trapianto per poi aumentare Campania soggette a riconversione varietale. Sulla rapidamente, fino alla fioritura, con valori di prinbase dei risultati agronomici in precedenza ottenu- cipio attivo, pari a circa 8 g/kg di peso secco, intorti (programma Co.Al.Ta. 1), relativi all'adattamen- no a 105 giorni dal trapianto. Per quanto riguarda to ambientale, in alcune zone del beneventano, di l'effetto della densità di investimento sul contenuto genotipi di Artemisia annua L. allevati con diverse di artemisinina nelle foglie, i valori più elevati sono tecniche agronomiche, nell'ambito delle attività stati riscontrati sempre alla densità inferiore. relative al programma Co.Al.Ta. 2, nel campo spe- Durante tutte le fasi della crescita, il contenuto di rimentale di Scafati è stato avviato uno studio sul- artemisinina nei fusti è stato praticamente nullo. Per quanto riguarda le rese teoriche di artemisil'accumulo di artemisinina durante lo sviluppo della pianta, al fine di individuare la fase in cui si nina, è stato osservato che per la varietà Eureka è ha il maggior accumulo di questo principio attivo e più conveniente eseguire la raccolta a circa 90 gioril momento di maggiore convenienza per effettuare ni dal trapianto ottenendosi una resa pari a circa 80 kg/ha, anche se non è stata ancora raggiunta la la raccolta. Tre genotipi di artemisia (Pericles, Eureka e massima concentrazione di artemisinina nelle Crono), ad alto contenuto di artemisinina, sono foglie. Ciò è da mettere in relazione ad una eccesstati allevati a due densità di investimento (11 e 5,6 siva perdita di materiale fogliare oltre tale periodo. piante per mq.) adottando un disegno sperimentale Per la varietà Crono, invece la raccolta dovrebbe essere eseguita non prima di 120 giorni dal trapiansplit-plot con due ripetizioni. Ogni 15 giorni, a partire dal trapianto e fino alla to con una resa di circa 80 kg/ha. Il periodo migliofioritura, le parti aeree della pianta (foglie e fusto) re per la raccolta della varietà Pericles è invece sono state raccolte separatamente, pesate, essiccate compreso tra i 90 e 120 giorni dal trapianto con una in stufa a ventilazione forzata, polverizzate ed ana- resa di circa 65 kg/ha. Questi risultati indicano che, sebbene la massilizzate per il contenuto di artemisinina. L' analisi dei dati relativi alla crescita della ma concentrazione di artemisinina si raggiunga alla fioritura, l'epoca ottimale per la raccolta della pianta, per l'ottenimento della massima resa di princiCRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. pio attivo, non coincide necessariamente con queVitiello 108, 84018 Scafati(SA), sta fase, ma deve essere attentamente valutata in Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, dipendenza della varietà utilizzata. e-mail:massimo.abet@entecra.it


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Proprietà antitumorali dell’artemisinina Nicoletti R1, Carella A1, Canozo N2, Buommino E2, Cozzolino E1, Tufano MA2 Introduzione L'artemisia (Artemisia annua L.) è una pianta erbacea annuale aromatica ascritta alla tribù Anthemideae della famiglia Asteracee (Heywood e Humphries, 1977). Originaria delle steppe degli altopiani della Cina nord-orientale, come molte altre delle circa 400 specie congeneri si è acclimatata e diffusa in numerosi altri Paesi del mondo tra cui l'Italia (Van Geldre et al., 1997). La scoperta dell'artemisinina e della sua attività biologica quale prodotto antimalarico, avvenuta circa 30 anni fa (Anon., 1979), ne ha determinato la diffusione quale pianta coltivata; purtroppo però, essendo pianta a fotoperiodo breve, la coltura non appare adatta alle aree tropicali dove si registra il maggior uso farmacologico in concomitanza con la diffusione endemica della malaria, e ciò ha stimolato la ricerca di nuove aree di coltivazione tra cui quelle oggetto di sperimentazione nell'ambito del progetto Co.Al.Ta. 2. Fattori influenzanti la produzione di artemisinina La resa in artemisinina è piuttosto bassa, a causa della sua bassa concentrazione nei tessuti fogliari e al difficile processo di estrazione. Si stima che da una tonnellata di foglie secche (circa 40 ha di superficie investita) si ottengano 6 kg di artemisinina (Hien e White, 1993). I fattori influenzanti la resa della coltura in termini di quantità di principio attivo sono molteplici. A parte i fattori climatici e agronomici (cfr. Laughlin, 1993), particolare considerazione meritano gli aspetti di carattere biologico. Localizzandosi nei tricomi ghiandolari (Duke et al., 1994), l'artemisinina si accumula nelle foglie (ca. 89% del contenuto totale della pianta), nei germogli e nei fiori, nonchè nei semi, mentre è assente nelle radici (Van Geldre et al., 1997). È stata accertata una correlazione positiva tra crescita della pianta e contenuto in artemisinina (Singh et

1 CRA - Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Via Vitiello 108, 84018 Scafati (SA). Tel 0818563631 - Fax 0818506206 Email: rosario.nicoletti@entecra.it 2 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Seconda Università di Napoli, Via De Crecchio 7, 80100 Napoli

al., 1988), e si stima che alla completa fioritura la sostanza raggiunga nei fiori una concentrazione da 4 a 11 volte maggiore che nelle foglie (Ferreira et al., 1995), grazie anche alla trasformazione di altri composti strutturalmente correlati (acido artemisinico, artemisitene, arteannuina B), prodotti dalla pianta in quantità sensibilmente maggiori (Roth e Acton, 1989; Nair e Basile, 1993; Sangwan et al., 1993). Oltre che naturalmente per effetto della fioritura, la formazione di artemisinina dai precursori può essere incrementata artificialmente mediante trattamenti con acido gibberellico (Zhang et al., 2005). Come altri metaboliti secondari di origine vegetale, l'artemisinina è implicata nella difesa della pianta dalle avversità biotiche; pertanto lo stato fitosanitario e, più in particolare, la presenza e l'insediamento di microrganismi fungini nei tessuti della pianta influenzano la sintesi e l'accumulo della sostanza (Nicoletti et al., 2006). Tra questi particolare considerazione meriterebbero i miceti endofiti, la cui importanza nella stimolazione di reazioni di difesa delle piante attraverso la produzione di elicitori è sempre più considerata (Strobel e Daisy, 2003; Tan e Zou, 2001), ed è già stata messa in evidenza anche in A. annua (Wang et al., 2001). Proprietà antitumorali dell'artemisinina L'artemisinina, sesquiterpenoide classificabile come 1,2,4-trioxano, un tipo di struttura rara tra le sostanze naturali, è un potente farmaco antimalarico particolarmente adatto per combattere la malattia nelle aree dove si registra resistenza agli agenti chemioterapici tradizionali da parte dell'agente infettivo. Le proprietà dell'artemisinina e dei suoi derivati diidroartemisinina e artesunato come farmaci antimalarici sono state diffusamente trattate in letteratura (Jung et al., 2004; Sriram et al., 2004). Recentemente diversi studi indipendenti hanno evidenziato nell'artemisinina e nei suoi derivati proprietà antitumorali che preludono ad un impiego farmacologico anche in questo campo. Infatti sono già stati riportati effetti positivi nel trattamento clinico del carcinoma della laringe (Singh e Verma, 2002). Oltre a documentate proprietà antiangiogenetiche (Chen et al., 2003), il meccanismo


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di azione biomolecolare è basato su effetti antiproliferativi, sull'induzione di apoptosi e di stress ossidativi, e su effetti diretti sugli oncogeni e su geni soppressori (Efferth, 2006). La natura multifattoriale della risposta cellulare all'artemisinina e ai suoi derivati fornisce una spiegazione, e allo stesso tempo una garanzia, circa l'assenza di un rischio derivante dall'insorgenza di resistenza, oltremodo utile per le proprietà terapeutiche del farmaco nel caso sia della malaria che del cancro (Efferth, 2005). Approfondimenti condotti nell'ambito del Progetto Co.Al.Ta. 2 hanno messo in evidenza che l'artemisinina è altresì in possesso di proprietà antimetastatiche, essendo risultata efficace nell'inibire l'invasività di cellule di melanoma metastatico (A375M), attraverso la riduzione dell'espressione dell'integrina αvβ3 e della produzione di metalloproteasi (MMP-2). Bibliografia Anonimo (Qinghaosu antimalarial coordinating research group). Antimalarial studies on qinghaosu. Chin Med J 1979; 92:811-16. Chen H-H, Zhou H-J, Fang X. Inhibition of human cancer cell line growth and human umbilical vein endothelial cell angiogenesis by artemisinin derivatives in vitro. Pharmacol Res 2003; 48:231-36 Duke SO, Paul RN, ElSohly HN, Sturtz G, Duke SO. Localization of artemisinin and artemistene in foliar tissues of glanded and glandless biotypes of Artemisia annua L. Int J Plant Sci 1994; 155:365-72. Efferth T. Mechanistic perspectives for 1,2,4-trioxanes in anticancer therapy. Drug Resist Updates 2005; 8:85-97. Efferth T. Molecular pharmacology and pharmacogenomics of artemisinin and its derivatives in cancer cells. Curr Drug Targets 2006; 7:407-21 Ferreira JFS, Simon JE, Janick J. Developmental studies of Artemisia annua L.: flowering and artemisinin production under greenhouse and field conditions. Planta Med 1995; 61:351-55. Heywood VH, Humphries CJ. Anthemideae-systematic review. In: The biology and chemistry of Compositae, vol II. VH

Proprietà antitumorali dell’artemisinina Heywood, JB Harborne and BL Turner, eds. Academic Press, NewYork-London-San Francisco, 1977. Hien TT, White NJ. Qinghaosu. Lancet 1993; 341:603-08. Jung M, Lee K, Kim H, Park M. Recent advances in artemisinin and its derivatives as antimalarial and antitumor agents. Curr Med Chem 2004; 11:1265-84. Laughlin JC. Effects of agronomic practices on plant yield and antimalarial constituents of Artemisia annua L. Acta Hort 1993; 311:53-61. Nair MSR, Basile DV. Bioconversion of arteannuin B to artemisinin. J Nat Prod 1993; 56:1559-66. Nicoletti R, Cozzolino E, Carella A, Lauro P. Implicazioni fitopatologiche della coltivazione dell'artemisia. In: Le colture alternative al tabacco nel Salento (Puglia) e nelle province campane di Benevento e Salerno. CRA - Istituto Sperimentale per il Tabacco, Roma. 2007; 577-81. Roth RJ, Acton NA. A simple conversion of artemisinic acid into artemisinin. J Nat Prod 1989; 52:1183. Sangwan RS, Agarwal K, Luthra R, Thakur RS, Singh-Sangwan N. Biotransformation of arteannuic acid into arteannuin-B and artemisinin in Artemisia annua. Phytochemistry 1993; 34:1301-02. Singh NP, Verma KB. Case report of a laryngeal squamous cell carcinoma treated with artesunate. Arch Oncol 2002; 10:279-80. Singh A, Vishwakarma RA, Husain A. Evaluation of Artemisia annua strains for higher artemisinin production. Planta Med 1988; 54:475-76. Sriram D, Rao VS, Chandrasekhar KVG, Yogeeswari P. Progress in the research of artemisinin and its analogues as antimalarials: an update. Nat Prod Res 2004; 18:503-27. Strobel G, Daisy B. Bioprospecting for microbial endophytes and their natural products. Microbiol Mol Biol Rev 2003; 67:491-502 Tan RX, Zou WX. Endophytes: a rich source of functional metabolites. Nat Prod Rep 2001; 18:448-59. Van Geldre E, Vergauwe A, Van den Eeckhout E. State of the art of the production of the antimalarial compound artemisinin in plants. Plant Mol Biol 1997; 33:199-209. Wang JW, Zhang Z, Tan RX. Stimulation of artemisinin production in Artemisia annua hairy roots by the elicitor from the endophytic Colletotrichum sp. Biotechnol Lett 2001; 23:857-60. Zhang Y, Ye H, Liu B, Wang H, Li G. Exogenous GA3 and flowering induce the conversion of artemisinic acid to artemisinin in Artemisia annua plants. Rus J Plant Physiol 2005; 52:58-62.


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Avversità biotiche della rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia) Nicoletti R , Raimo F, Miccio G, Carella A Introduzione Lo sviluppo della domanda dei prodotti di 'IV gamma' ha determinato una crescita rapida del settore, con l'affermazione di nuove specie e tecniche di produzione. Tra le colture di questo comparto, la rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia L.) è una di quelle in fase di maggiore sviluppo in diverse aree del Paese, cosa che comporta crescenti problemi fitosanitari. Attualmente non esistono cultivar selezionate per la resistenza o la tolleranza verso alcuna avversità biotica; pertanto l'impatto di patogeni e parassiti sui risultati produttivi può essere alquanto rilevante, ed una conoscenza adeguata dei fattori che influenzano la loro insorgenza e le possibilità di controllo è indispensabile per una corretta conduzione della coltivazione. Malattie crittogamiche e virosi Numerosi sono i patogeni fungini della rucola. Particolarmente quelli terricoli rappresentano un problema in rapporto sia alla loro attitudine polifaga, sia al fatto che la loro incidenza aumenta progressivamente con il succedersi dei cicli colturali, determinando danni ingenti in assenza di idonei schemi di rotazione. La coltivazione ripetuta sugli stessi appezzamenti ha rappresentato il fattore principale delle epidemie di marciume del colletto e delle radici osservate recentemente nella Piana del Sele, causate da Rhizoctonia solani AG-4 (Nicoletti et al., 2004). Le piante infette vanno incontro ad un decorso acuto (damping-off) o cronico; in quest'ultimo caso lesioni necrotiche si sviluppano su un lato del colletto e/o della parte superiore del fittone, e le piante presentano sviluppo stentato e ingiallimenti fogliari. Altro agente di necrosi del colletto e dello stelo segnalato in varie zone del nostro Paese è Sclerotinia sclerotiorum (Garibaldi et al., 2005; Minuto et al., 2005). È facile risalire all'agente eziologico in quanto nel secondo caso i

1 CRA - Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Via Vitiello 108, 84018 Scafati (SA). Tel 0818563631 - Fax 0818506206 Email: rosario.nicoletti@entecra.it

tessuti infetti divengono molli e acquosi, e vengono ricoperti da micelio bianco e dai tipici sclerozi neri. L'incidenza di S. sclerotiorum è maggiore in condizioni di umidità elevata e temperature relativamente più basse (15°C), che si realizzano in Campania in inverno o all'inizio della primavera. Dopo le epidemie recentemente segnalate in Lombardia (Garibaldi et al., 2003), la tracheofusariosi è stata riscontrata anche in coltivazioni del casertano nel 2006 (Spigno, comunicazione personale). In questo caso i sintomi della malattia consistono in una riduzione dello sviluppo delle piante colpite, con clorosi fogliare, epinastia e avvizzimento. In uno stadio avanzato si evidenzia altresì necrosi a carico dei tessuti vascolari del fittone. Si ritiene che il patogeno possa propagarsi per seme dato che uno sviluppo simile della malattia è stato registrato in aziende ubicate in località distanti dello stesso areale (Garibaldi et al., 2002). L'agente eziologico, Fusarium oxysporum, è tuttavia alquanto eterogeneo; infatti gli isolati ottenuti da piante infette sono risultati appartenenti a due diverse forme speciali, conglutinans e raphani (Catti et al., 2007). Un'altra malattia fungina trasmissibile mediante il seme, che può risultare un fattore limitante nelle coltivazione della rucola, è la peronospora. L'agente causale (Hyaloperonospora parasitica) è comune sulle Crucifere invernali in Italia senza peraltro causare danni rilevanti, ma l'ambiente protetto dei tunnel in plastica che caratterizza di solito le coltivazioni di rucola costituisce un microambiente favorevole che spesso ne determina una veloce diffusione (Minuto et al., 2004). I sintomi consistono in una picchiettatura scura ed irregolare sulla superficie superiore delle foglie; le aree necrotiche confluiscono originando aree disseccate più estese sulle quali si differenziano i segni del patogeno sotto forma di una muffa bianco-grigiastra. Le foglie colpite vanno incontro ad ingiallimento e, in casi estremi, marciscono. La malattia può avere un decorso subdolo manifestandosi dopo la raccolta sul prodotto già immesso in commercio; infatti il patogeno continua a svilupparsi alle temperature di conservazione, che semplicemente determinano un prolungamento del periodo di incubazione (Garibaldi et al., 2004). Potendo in tal


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modo essere raggiunta una soglia di danno economico, è consigliabile attuare misure di controllo. Piuttosto comune sulle Crucifere invernali in Italia (Pollini, 1991) è anche la ruggine bianca causata da Albugo candida. Si tratta di un patogeno piuttosto eterogeneo (Choi et al., 2006) responsabile di infezioni locali sulle foglie che si manifestano sotto forma di pustole bianche distribuite per lo più sulla pagina inferiore. I tessuti circostanti possono necrotizzare portando le foglie a senescenza. Altre malattie fungine occasionalmente osservate in Campania sono l'oidio o mal bianco causato da Erisyphe cichoracaearum e le macchie fogliari da Alternaria (Anonimo, 2005). Quest'ultima fitopatia è causata principalmente da Alternaria brassicicola, essendo riportato in D. tenuifolia un certo grado di resistenza nei confronti delle altre specie segnalate su Crucifere, A. brassicae e A. raphani (Klewer et al., 2002; Sharma et al., 2002). La rucola selvatica è resistente anche all'agente della gamba nera, Leptosphaeria maculans (anamorfo Phoma lingam) (Delourme et al., 2006). Invece qualche preoccupazione desta il mixomicete Plasmodiophora brassicae, agente dalla ben nota ernia delle Crucifere, malattia diffusa particolarmente nei Paesi dell'Europa centrale (Voorips, 1995), meno frequente nei nostri ambienti. Segnalata per la prima volta su D. tenuifolia in Nuova Zelanda (Pennycock, 1989), tale fitopatia è stata osservata recentemente sulla coltura in Svizzera (Buser e Heller, 2006). Tra le batteriosi, particolare considerazione merita il marciume nero causato da Xanthomonas campestris pv campestris, malattia che colpisce la maggior parte delle Brassicacee spontanee (Westman et al., 1999), segnalata recentemente su rucola selvatica in Campania (Raio e Giorgini, 2005). Le foglie infette tipicamente spiccano per il colore giallo della pagina superiore, mentre la pagina inferiore diventa scura, quasi nera, da cui la denominazione della malattia. I sintomi necrotici si propagano lungo la nervatura principale, fino a raggiungere lo stelo; in tale circostanza la sopravvivenza della pianta è compromessa. Come altre batteriosi parenchimatiche e sistemiche, il patogeno si diffonde attraverso il seme e l'irrigazione. Come in altre colture ortive a breve ciclo praticate essenzialmente in apprestamenti protetti, le malattie virali non rappresentano un problema di primaria importanza per la rucola selvatica. In let-

Avversità biotiche della rucola

teratura segnalazioni su D. tenuifolia derivano essenzialmente da osservazioni quale ospite e serbatoio naturale di virus che rappresentano invece un problema rilevante su altre colture. È il caso ad esempio del virus del mosaico del cetriolo (CMV) (Cariddi et al., 2001). Altri virus segnalati sono comuni sulle Brassicacee in genere, come il virus del mosaico giallo della rapa (TYMV) (Brunt et al., 1997), il virus del mosaico della rapa (TuMV) (Stavolone et al., 1998) e il virus del mosaico del cavolfiore (CaMV) (Moreno et al., 2004). Altre specie del genere Diplotaxis (es. D. erucoides, D. muralis), considerate più che altro come infestanti, sono state altresì segnalate quali ospiti latenti dei virus "rattle" del tabacco (TRV), dell'avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV), della maculatura zonata del geranio (PZSV) (Lupo et al., 1991; Parrella et al., 2003; Gallitelli et al., 2004). Dopo la recente messa al bando del bromuro di metile, il cui uso nel caso della rucola era peraltro già sconsigliato nei disciplinari predisposti dalle ditte trasformatrici, il controllo delle malattie crittogamiche è divenuto piuttosto problematico su diverse colture orticole. I prodotti attualmente disponibili per la disinfestazione del suolo, come il metham sodio o il dazomet, non risultano altrettanto efficaci. Il dicloran è attivo contro la S. sclerotiorum ma, dato il lungo periodo di carenza del prodotto (20 giorni), i trattamenti devono essere operati nelle prime fasi del ciclo colturale. Oltre a considerare gli effetti di alcune pratiche colturali, quali le rotazioni e l'irrigazione, i coltivatori dovrebbero adottare ogni possibile accorgimento per evitare l'incremento del potenziale di inoculo dei diversi agenti patogeni nel terreno. Uno di questi è sicuramente la solarizzazione, che però può essere praticata solo in caso l'ordinamento aziendale lo consenta. Il potere biofumigante riportato nelle Brassicacee in relazione al loro contenuto in glucosinolati (Kirkegaard e Sarwar, 1998), il cui uso è stato proposto come alternativo alla geo-sterilizzazione contro i patogeni terricoli, non appare significativo nel caso della rucola; dati sperimentali hanno infatti dimostrato che il potenziale antifungino di questa coltura si esprime solo in caso si proceda all'interramento di quantità estremamente elevate di residui colturali (Yulianti et al., 2006). L'impiego di agenti di controllo biologico, come Trichoderma spp. e Coniothyrium minitans, comincia ad essere proposto anche su questa coltura


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Progetto Co.Al.Ta. II 41 (Anonimo, 2005), e può risultare particolarmente conveniente quando la coltura viene trapiantata. Infatti l'incorporazione dei micoparassiti nel substrato di coltivazione in pre-trapianto dà loro il tempo di colonizzare la rizosfera e di esercitare un'azione preventiva. Pertanto è utile usare questi prodotti anche in caso di bassa incidenza dei patogeni terricoli in quanto in pieno campo essi sono in grado di proliferare a spese delle loro strutture di conservazione (ad esempio gli sclerozi di S. sclerotiorum) o del micelio eventualmente in fase di sviluppo saprofitico a carico dei residui colturali. Un altro criterio "ecologico" da considerare per le sue possibili ripercussioni sul controllo delle fitopatie è l'uso dei fosfiti per la concimazione fogliare che notoriamente produce un effetto di stimolo della produzione di fitoalessine (Guest e Grant, 1991). Nonostante il recente sviluppo della coltura, numerosi sono i prodotti registrati in Italia utilizzabili nel controllo chimico delle fitopatie. In particolare il ricorso all'uso di fungicidi può essere necessario contro la peronospora, nei cui confronti è efficace la miscela metalaxil M + ossicloruro di rame. Tuttavia l'uso di tale prodotto non è consentito in coltura protetta; inoltre il breve ciclo della coltura rende spesso necessario l'uso di prodotti a bassa persistenza come l'iprovalicarb (anch'esso in miscela con ossicloruro di rame), la tolylfluanid e l'azoxystrobin, presentanti un periodo di carenza di 7 giorni, o leggermente superiore a basse temperature. I prodotti a base di rame, in particolare il solfato tetraramico presentano il periodo di carenza più breve e risultano efficaci contro il marciume batterico, ma il loro uso in genere è sconsigliato in quanto procurano imbrattamento del prodotto. Un altro prodotto impiegato occasionalmente è il tiram, che è pure efficace contro l'alternariosi e può essere eventualmente impiegato per il trattamento dei semi. La concia dei semi non è attualmente una pratica corrente, ma la definizione di un protocollo di sterilizzazione sarebbe particolarmente indicata per questa coltura, considerato il numero di patogeni in grado di diffondersi con questo veicolo. Una procedura di disinfezione basata sull'immersione in aceto per 15 minuti seguita da asciugatura a 2530°C è raccomandata in Svizzera contro la peronospora (Buser e Heller, 2006). Fitofagi Le segnalazioni di insetti su D. tenuifolia riguarda-

no in genere specie comuni su altre Brassicacee. Citati al riguardo sono gli afidi (Brevicoryne brassicae, Myzus persicae, Lipaphis erysimi), le altiche (Phyllotreta spp.), i ferretti (Agriotes spp.), le cavolaie (Pieris spp.) e i nottuidi (Autographa gamma, Mamestra brassicae, ma particolarmente Spodoptera littoralis) (Bianco, 1995; Anonimo, 2005). Altri Lepidotteri che hanno recentemente causato danno economico sulla coltura sono la tignola (Plutella xylostella) (Ciampolini et al., 1998) e il piralide Hellula undalis (Ciampolini et al., 2001a). Nei nostri ambienti possono essere particolarmente dannose le altiche, anche in via indiretta in quanto vettori del TYMV. Le infestazioni cominciano ad osservarsi all'inizio della primavera quando gli adulti, reduci dallo svernamento, riprendono ad alimentarsi sulle foglie producendo vistose erosioni e sforacchiature; viceversa le larve, che compaiono a stagione avanzata, non sono dannose in quanto si alimentano a spese delle radici (Pollini, 1991; Ciampolini et al., 2001b). Le condizioni climatiche particolarmente miti verificatesi in inverno negli ultimi anni hanno rappresentato un fattore stimolante insolite pullulazioni del collembolo Sminthurus viridis riscontrate in numerose aziende della Piana del Sele (Raimo et al., 2005). I danni sono simili a quelli prodotti dalle altiche, anche se generalmente le erosioni fogliari risparmiano l'epidermide di un lato della pagina fogliare. Le foglie danneggiate non sono commerciabili e, a parte una perdita diretta di prodotto, gli attacchi di questi fitofagi rendono necessaria un'operazione di cernita che incide sui risultati economici. Le pratiche di lotta devono prevedere un accurato controllo delle piante infestanti, specialmente nei canali di scolo circostanti i tunnel che costituiscono il microambiente ideale per l'inizio delle pullulazioni. Come già anticipato per le malattie crittogamiche, l'uso dei pesticidi sulla rucola selvatica è reso problematico a causa del breve ciclo colturale e del tempo ridotto intercorrente tra le successive raccolte; pertanto non possono essere utilizzati insetticidi a tossicità elevata o altamente persistenti. Tra i prodotti registrati in Italia i più diffusi sono probabilmente i piretroidi, efficaci in varia misura contro tutti i fitofagi citati. Bisogna però considerare che il loro uso indiscriminato può avere ripercussioni deleterie in quanto in grado di stimolare la proliferazione di acari (Bryobia spp.), già segnalati per la loro dannosità in diverse aree italiane (Giorgini, 2001;


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Avversità biotiche della rucola

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Laffi, 2001). Un'alternativa è rappresentata dallo spinosad o dall'etofenprox, presentanti un intervallo di carenza rispettivamente di 3 e 7 giorni. L'azadiractina è un prodotto in possesso di un forte potere fagodeterrente nei confronti delle altiche (Ciampolini et al., 2001b), poco tossico e rispettoso dell'ambiente, ed efficace anche nei confronti di afidi e nottuidi. Bassa tossicità presentano anche i prodotti a base di Bacillus thuringiensis che consentono peraltro di salvaguardare il contributo fornito da alcuni parassitoidi (es. Angitia tibialis, Apanteles spp.), spesso spontaneamente in grado di contenere i nottuidi ed altri Lepidotteri al di sotto della soglia di danno (Ciampolini et al., 1998). Infine varie specie di limacce (es. Deroceras reticulatum, Arion spp.) possono arrecare danni occasionali che possono tuttavia essere controllati con l'uso di esche trattate con metaldeide o metiocarb (Anonimo, 2005). Malerbe La rucola selvatica è una pianta dotata di buone capacità competitive, grazie anche alla produzione di sostanze allelopatiche (Giordano et al., 2005), tanto che è essa stessa descritta e studiata come malerba, specialmente in Australia (Parsons e Cuthbertson, 1992; Hurka et al., 2003). Ciò nonostante, il problema delle piante infestanti è concreto anche su questa coltura, specialmente se si considera che la loro presenza rappresenta un elemento pregiudizievole per gli aspetti produttivi in termini non solo quantitativi. L'assenza di erbe contaminanti è infatti un requisito fondamentale per tutti i prodotti di IV gamma, e un oneroso intervento di cernita si rende necessario dopo la raccolta in caso il controllo in campo risulti inadeguato. La lotta alle malerbe dovrebbe essere preferibilmente condotta privilegiando mezzi diversi dagli erbicidi, essendo il numero di principi attivi registrati per l'uso su questa coltura piuttosto ridotto. Spesso inoltre il loro spettro d'azione e la loro selettività non sono adeguati. Ad esempio, i trattamenti in pre-semina generalmente effettuati nelle coltivazioni della Piana del Sele con benfluralin non riescono a controllare alcune Brassicacee spontanee, tra cui Capsella bursa-pastoris, che sta divenendo così un problema frequente, risolvibile solo con un intervento di scerbatura manuale prima della raccolta. Altre malerbe particolarmente frequenti nelle coltivazioni di rucola sono le specie di Poa, Urtica,

Amaranthus retroflexus, Portulaca oleracea, Solanum nigrum e Chenopodium album (Pimpini e Enzo, 1996). A parte il ricorso a sistemi di coltura fuori-suolo, tra i quali il più diffuso nel caso della rucola è il 'floating system', il sistema di lotta alle malerbe più efficace è rappresentato dal ricorso alla pacciamatura con film plastici di colore nero. In mancanza di questo strumento, un ruolo preventivo fondamentale deve essere svolto dalle lavorazioni o da accorgimenti quali la falsa-semina, consistente nello stimolo alla germinazione delle infestanti presenti nel terreno con un intervento irriguo eseguito prima dell'impianto. Riferimenti Anonimo. 2005. Linee guida per la difesa fitosanitaria in agricoltura biologica delle principali colture campane. URL: http://www.sito.regione.campania.it/AGRICOLTURA/dife sa/files/rucola-BIO.pdf Bianco VV. 1995. Rocket, an ancient underutilized vegetable crop and its potential. In: Padulosi S., (Ed.) Rocket Genetic Resource Network. Report of the First Meeting. Lisbona (Portogallo) 13-15 novembre 1994. International Plant Genetic Resources Institute, Roma, pp. 35-57 Brunt AA, Crabtree K, Dallwitz MJ, Gibbs AJ, Watson L, Zurcher EJ (eds.) 1997. Plant viruses online: descriptions and lists from the VIDE database. URL: http://biology.anu.edu.au/Groups/MES/vide/ Buser H, Heller WE. 2006. Falscher mehltau an rucola: noch keine lösung des problems in sicht. Der Gemüsebau 69 (1), 11-12 Cariddi C, Casulli F, Gallitelli D, Lima G. 2001. Organismi patogeni di qualità delle ortive. In: Atti del Convegno su "Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche". Locorotondo 4-7 dicembre 2001, pp. 282. URL: http://www.agr.uniba.it/poma32/Locorotondo/Sessione.VI. ortive.pdf Catti A, Pasquali M, Ghiringhelli D, Garibaldi A, Gullino ML. 2007. Analysis of vegetative compatibility groups of Fusarium oxysporum from Eruca vesicaria and Diplotaxis tenuifolia. Journal of Phytopathology 155, 61 Choi YJ, Hong SB, Shin HD. 2006. Genetic diversity within the Albugo candida complex (Peronosporales, Oomycota) inferred from phylogenetic analysis of ITS rDNA and COX2 mtDNA sequences. Molecular Phylogenetics and Evolution 40, 400-409 Ciampolini M, Capella A, Farnesi I. 1998. La tignola delle Crucifere insidia le coltivazioni di rucola. Informatore Agrario 54 (21), 69-72 Ciampolini M, Capella A, Farnesi I, Mozzo G. (2001a) Hellula undalis pericoloso fitofago della rucola. Informatore Agrario 57 (24), 69-73 Ciampolini M, Regalin R, Guarnone A, Farnesi I. (2001b) Diffusi e intensi attacchi di altiche (Phyllotreta spp.) su rucola. Informatore Agrario 57 (48), 87-91 Delourme R, Chévré A, Brun H, Rouxel T, Balesdent M, Dias J, Sailsbury P, Renard M, Rimmer S. 2006. Major gene and polygenic resistance to Leptosphaeria maculans in oilseed


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Progetto Co.Al.Ta. II 43 rape (Brassica napus). European Journal of Plant Pathology 114, 41-52 Gallitelli D, Rana GL, Vovlas C, Martelli GP. 2004. Viruses of globe artichoke: an overview. Journal of Plant Pathology 86, 267-281 Garibaldi A, Gilardi G, Gullino ML. 2002. Una tracheofusariosi su Eruca sativa e Diplotaxis sp. osservata per la prima volta in Europa. Informatore Fitopatologico 52 (12), 57-59 Garibaldi A, Gilardi G, Gullino ML. 2003. First report of Fusarium oxysporum on Eruca vesicaria and Diplotaxis spp. in Europe. Plant Disease 87, 201 Garibaldi A, Minuto A, Gullino ML. 2004. First report of Peronospora parasitica on wild rocket (Diplotaxis tenuifolia) in Italy. Plant Disease 88, 1381 Garibaldi A, Minuto A, Gullino ML. 2005. First report of Sclerotinia stem rot and watery soft rot caused by Sclerotinia sclerotiorum on sand rocket (Diplotaxis tenuifolia) in Italy. Plant Disease 89, 1241 Giordano S, Molinaro A, Spagnuolo V, Muscariello L, Ferrara R, Cennamo G, Aliotta G. 2005. In vitro allelopathic properties of wild rocket (Diplotaxis tenuifolia DC) extract and of its potential allelochemical S-glucopyranosyl thiohydroximate. Journal of Plant Interactions 1, 51-60 Giorgini M. 2001. Un nuovo acaro dannoso alla coltura di rucola selvatica in Campania. Informatore Fitopatologico 51 (12), 88-91 Guest DI, Grant BR. 1991. The complex action of phosphonates as antifungal agents. Biological Reviews 66, 159-187 Hurka H, Bleeker W, Neuffer B. 2003. Evolutionary processes associated with biological invasions in the Brassicaceae. Biological Invasions 5, 281-292 Kirkegaard JA, Sarwar M. 1998. Biofumigation potential of brassicas. Plant and Soil 201, 71-89 Klewer A, Mewes S, Mai J, Sacristán MD. 2002. Alternariaresistenz in interspezifischen hybriden und deren rückkreuzungsnachkommenschaften im tribus Brassiceae. Vortrage Pflanzenschutzforschung-Zücht 54, 505-508 Laffi F. 2001. Infestations of the mite Bryobia praetiosa on Diplotaxis tenuifolia. Informatore Agrario 57 (10), 83-84 Lupo R, Castellano MA, Savino V. 1991. Virus della Diplotaxis erucoides DC. in Puglia. Informatore Fitopatologico 41 (12), 42-44 Minuto A, Pensa P, Rapa B, Garibaldi A. 2005. Sclerotinia sclerotiorum (Lib.) de Bary nuovo agente di alterazione basale e fogliare della Diplotaxis tenuifolia (L.) D.C. Informatore Fitopatologico 55 (11), 43-45 Minuto G, Pensa ., Rapa ., Minuto A, Garibaldi A. 2004. La peronospora della rucola selvatica [Diplotaxis tenuifolia (L.) D.C.] in Italia. Informatore Fitopatologico 54 (9), 57-60

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Gravi danni da Sclerotium rolfsii su diverse colture in provincia di Benevento Caiazzo R, Carella A, Cozzolino E, Porrone F, Leone V & Lahoz E Introduzione Nell'ambito del progetto di ricerca Colture Alternative al Tabacco sono stati monitorati i campi per valutare la presenza di fitopatie. Il quadro generale delle colture ha evidenziato la presenza di numerose malattie ad eziologia fungina. Nessuna malattia ha raggiunto livelli epidemici ad eccezione di Sclerotinia sclerotiorum su grano saraceno (Lahoz et al. 2007) ed una malattia osservata sulle coltivazioni presenti in un campo del beneventano (Venticano), nel quale tutte le colture sono state colpite al colletto ed alle radici da un fungo che ha prodotto, ingiallimento diffuso, appassimento anche precoce ed anche la morte delle piante, come segno è stata osservata una efflorescenza biancastra sulle radici e sul colletto. Su questi tessuti sono stati prodotti dal fungo sclerozi simili a semi di senape Le colture colpite sono state: Pomodoro, Kenaf, Fagiolo, Peperone e Melanzana (Figg. 1-7).

Foto 1- 2 S. rolfsii

ficato a pH 4.5, V8 juice agar e inoculati a 25°C per una settimana in cella climatica. Le colonie fungine cresciute in purezza sono state sottoposte all'osservazione microscopica per il riconoscimento morfologico al quale è stato affiancato quello biomolecolare. Per avere un'identificazione inequivocabile della specie fungina, è stata eseguita un'amplificazione mediante PCR degli spaziatori interni (ITS1-5.8-ITS2) e del gene 5.8 rDNA, usando primers fungini universali (ITS1 e ITS2) (Glass and Donaldson 1995). Le colonie emergenti sono state prontamente trasferite, prelevando porzioni apicali delle ife in accrescimento, in piastre contenenti PDA. Le prove di patogenicità sono state effettuate su 5 piantine di ognuna delle colture, precedentemente poste in contenitori di polistirolo con terreno naturale sabbioso, sterilizzato in autoclave con due cicli di 1h a 120 °C. Dopo 20 gg le piantine sono state trapiantate in vasi di plastica con diametro di 20 cm ed inoculate con 20 sclerozi di Sclerotium rolfsii per 100 cm3 di terreno, fatta eccezione per la tesi di controllo dove non è stato inoculato alcun fungo. Dopo due settimane sono stati valutati i sintomi della malattia.

Risultati Gli isolamenti condotti sui differenti substrati hanno prodotSintomi su radice e colletto e campo di pomodoro con numerose fallanze dovute a to più del 95% di colonie fungine a crescita rapida in pos-

Materiali e metodi Campioni di tessuto, prelevati da piante presentanti i sintomi descritti sono stati trattati per 15s con ipoclorito di sodio all'1%, lavati in acqua sterile e posti su piastre Petri contenenti diversi substrati di crescita: PDA (Potato Dextrose Agar), PDA acidi-

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206, E-mail: rosa.caiazzo@entecra.it

Foto 3 - Piante di kenaf colpite da S. rolfsii


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Foto 4 e 5 - Pianta e campo di peperone con danni da S. rolfsii

Foto 6 - Parcella di fagiolo fortemente colpita da S. rolfsii

Foto 7 - Pianta di melanzana con chiari segni di S. rolfsii

Foto 8 - Sclerozi in piastra di 30 giorni

Gravi danni da Sclerotium rolfsii ...

sesso dei tipici sclerozi chiari ed uniformi del genere Sclerotium. Gli isolati si sono presentati in piastra uniformi nella morfologia e quattro di essi sono stati utilizzati per le fasi successive. Sia il riscontro in banca dati (NCBI) sia quello morfologico hanno fatto ascrivere con sicurezza alla specie Sclerotium rolfsii gli isolati ottenuti. L'agente è un patogeno del terreno che sopravvive sottoforma di sclerozi, (Fig. 8). Il micelio vive in condizioni ottimali in terreni acidi ad un range di temperature da 10 a 35°C. Il micelio muore a temperature prossime allo zero, mentre gli sclerozi resistono fino a circa -10°C. Il patogeno, però è diffuso soprattutto al di fuori delle aree che raggiungono regolarmente basse temperature cioè zone temperate e tropicali. Il fungo si diffonde bene nelle coltivazioni ben irrigate. Nelle prove di patogenicità gli isolati hanno confermato la loro elevata virulenza e polifagia. In alcuni casi sui tessuti e nel terreno inoculato sono stati prodotti i caratteristici "Turf" con gli sclerozi (Fig. 9). Conclusioni L'estesa presenza nel campo di Venticano di specie colpite da S. rolfsii può essere ascritta alla storia di monocoltura di tabacco, infatti questa coltura pur albergando il patogeno raramente crea danni consistenti, però può far moltiplicare l'inoculo nel terreno, per cui la sperimentazione di nuove specie passa proprio attraverso l'analisi dei patogeni potenziali. Il controllo della malattia è difficile e dipende da un insieme di tecniche culturali, biologiche e chimiche. In particolare, S. rolfsii può essere controllato attraverso l'uso di buone pratiche culturali che prevedono: - Rotazione: Avvicendamenti con cerealicole, evitare rotazioni con leguminose. Recentemente si è osservato che seminando piante di cipolla in inverno, diminuisce sensibilmente l' attività patogenica del fungo in quanto gli essudati delle radici di cipolla rendono Sclerotium sensibile alla microflora antagonista del suolo. - eliminazione delle infestanti ospiti (es. Amaranto, Farinaccio,


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Foto 9 - Sclerozi ottenuti in vivo su terreno e tessuti di pianta nelle prove di patogenicità

Rafano, Senape selvatica ) - lavorazioni profonde ammendamento del suolo che stimola la crescita dei microrganismi che inibiscono lo sviluppo di S. rolfsiii, tra essi principalmente: * Bacillus subtilis, * Gliocladium virens, * Penicillium,

* Trichoderma harzianum, * Trichoderma viride. - calcinazioni (pH neutri e subalcalini ostacolano lo sviluppo del fungo) - buon drenaggio del terreno - in alcuni casi con la raccolta precoce delle piante Mezzi di lotta diretti: - solarizzazione che è molto efficace; - Lotta chimica: in non molti casi è praticabile in pieno campo e va modulata utilizzando prodotti registrati ed efficaci da scegliersi coltura per coltura; - lotta biologica: attraverso l'uso degli ormai numerosi prodotti registrati e contenenti quali agenti di contenimento i microrganismi già menzionati.


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Danni da Meloidogyne incognita (Kofoid et White) Chitw. su colture erbacee nel beneventano Russo G, Sannino L, Cozzolino E Introduzione Nel corso di sopralluoghi effettuati nel luglio del 2006 in un'azienda sita in contrada Fenile di S. Agata dei Goti (Bn), in un campo coltivato a fagiolo, sono state notate un elevato numero di piante morte o con sintomi di grave sofferenza(Figura1).Il campo era stato predisposto per eseguire una prova agronomica di confronto varietale su fagiolo (Phaseolus vulgaris L.); allo scopo erano state seminate, in maggio, tre cv di borlotto (Splendido Nano; Granato; sel. Lingua di Fuoco) e due di cannellino (Impero Bianco e Montalbano). Le piante, indipendentemente dalla cv, mostravano sintomi analoghi con un apparato radicale fortemente danneggiato dalla presenza di numerose galle (Figura 2), sintomo questo tipico di attacco dei nematodi cecidogeni del genere Meloidogyne Goeldi. Ulteriori osservazioni sulle altre colture presenti in azienda, girasole (Helianthus annus L.), kenaf cv Tainung 2 (Hibiscus cannabinus L.) e pomodoro (Lycopersicum esculentum L.) seminate o trapiantate nello stesso periodo, hanno evidenziato la manifestazione della medesima patologia. Considerata la gravità delle infestazioni, soprattutto nei confronti del kenaf, coltura da biomassa energetica, le radici, per singola coltura, sono state poste in sacchetti di polietilene e trasferite in laboratorio per l'estrazione dei nematodi per la determinazione della specie. Materiali e metodi Gli apparati radicali delle citate specie botaniche presenti in azienda, una volta trasferiti in laboratorio, dopo opportuno lavaggio in acqua corrente, sono stati oggetto di osservazione ad uno stereomicroscopio per accertare, attraverso le femmine, la reale presenza di nematodi galligeni. In seguito dagli apparati radicali delle singole piante, in corrispondenza delle masse d'uova presenti sulle radici, sono state isolate dieci femmine mature utilizzate per l'osservazione delle impronte perineali e per il calcolo del rapporto tra la distanza fra zona cefalica e poro escretore e la lunghezza dello stiletto (PE/St) (Taylor, 1987); rapporto questo utilissimo come discriminante, nell'ambito della diagnostica tradiziona-

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le, per la determinazione della specie. Per rendere possibile il rilevamento di tali caratteri le femmine, prelevate dai tessuti vegetali, sono state poste in capsule Petri, tagliate a circa 2/3 della loro lunghezza, ripulite e rifinite in una soluzione di acido lattico al 45%. Le porzioni interessate, per poterle esaminare al microscopio completo, sono state montate in glicerina su vetrini portaoggetti per allestire i preparati permanenti. Risultati e discussione Le impronte perineali della quasi totalità delle femmine (Figura 3), ritenute principale caratteristica di diagnosi differenziale, mostravano un arco dorsale alto, strie cuticolari ondulate e assenza sia di campi laterali che di punteggiature tra ano e coda; il rapporto PE/St risultava essere = 1,4. Peculiarità queste tipiche di Meloidogyne incognita (Kofoid et White) Chitw. Alcuni tratti perineali, mostravano le caratteristiche di un' impronta rotondeggiante, con linee laterali appena abbozzate con archi ampi e arrotondati, ascrivibili a M. arenaria (Neal) Chitwood; anche il relativo rapporto PE/St = 2,4 ha confermato la legittimità di detta specie. Il campo pertanto risultava essere infestato da una popolazione mista con prevalenza di M. incognita. Infestazioni promiscue delle due specie, tra l'altro, soprattutto in terreni molto sciolti sono molto facili da rinvenire (Lamberti e Basile, 1993).Il nematode galligeno Meloidogyne incognita, per la sua elevata polifagia e diffusione, è un pericolo per gli agricoltori che operano in tutti i segmenti agricoli e soprattutto l'orto-floricoltura in terreni sciolti in ambiente protetto. Nell'azienda in questione, se negli anni precedenti il nematode non ha creato problemi rile-

Fig. 1. Campo di fagioli con sintomi di grave sofferenza


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Fig. 2. Radice di fagiolo rachitica e mostrante numerose galle in seguito dell'attacco di Meloidogyne incognita. Fig. 2. Impronta perineale di Meloidogyne incognita.

vanti al tabacco è l'effetto del continuo utilizzo di trattamenti preventivi con nematocidi non volatili che hanno contenuto la carica del galligeno entro limiti tollerati dalla coltura. Tali p.a. geodisinfestanti non essendo eradicanti, riescono solo a contenere la carica nematologica nei livelli sopportabili dalla coltura; aspetto questo evidentemente ancora non ben chiaro a molti operatori nel settore. Pertanto, l'assenza dei trattamenti e l'annata particolarmente calda che, abbreviando il ciclo, ha accresciuto il numero delle generazioni sono alla base dell'esaltazione dei danni. E' noto infatti al riguardo che lo sviluppo di M. incognita è possibile ad una temperatura compresa fra i 16 e i 40°C (Wallace, 1963) e che nelle Regioni mediterranee della Francia, con caratteristiche similari a quelle dell'areale oggetto di indagine, il ciclo è compreso tra i 25-90 giorni a seconda della stagione (Ritter, 1971). Da ciò si desume che nell'arco di tempo di coltivazione del fagiolo si siano completate due generazioni. Inoltre, forse anche in seguito alla contemporanea presenza del basidiomicete Sclerotium rolfsii Sacc., anch'esso estremamente polifago e particolarmente attivo a temperature elevate, i danni sono risultati devastanti al punto da azzerare le produzioni. Su pomodoro, invece, pur se l'apparato radicale mostrava numerose galle, ricche di femmine e masse d'uova, le produzioni, grazie anche al trapianto che ha consentito l'attacco del nematode a radice già formata sono risultate soddisfacenti. In altre parole ciò ci conferma che in terreno infestato le colture in semina diretta subiscono danni più gravi di quelle trapiantate (Ekanayake e Di Vito, 1984; Lamberti e Basile, 1993). I danni più contenuti riscontrati su kenaf e girasole sono probabilmente da attribuire o ad una carica nematologica iniziale più ridotta presente nei terreni investiti da dette colture più che alla loro minore sucettibilità ( Di Vito et al., 1991; Sasanelli e Di Vito, 1992; Crozzoli et al., 1997; Di Vito

Danni da Meloidogyne incognita ...

et al., 1997). Alla luce delle risposte acquisite sulle colture in oggetto è evidente che le problematiche indotte dal nematode galligeno Meloidogyne incognita in un'areale dove l'orticoltura, tende a sottrarre spazi in maniera sempre più evidente alla coltura del tabacco può assumere dimensioni di notevole entità. Tale situazione potrebbe essere sempre più compromessa da una tropicalizzazione del clima che, attraverso un'estate sempre più lunga e calda, è particolarmente predisponente agli incrementi dei livelli di popolazione del nematode. Si presume pertanto che negli anni a seguire se non si interviene con misure adeguate la situazione nematologica diventerà insostenibile per qualsiasi coltura. Considerate le difficoltà di impiego dei p.a. geodisinfestanti volatili e non che sono in fase di valutazione e che porteranno inevitabilmente ad una contrazione delle molecole utilizzabili si ritiene che la via da perseguire è quella di trovare i giusti spazi di applicazione, soprattutto nei tempi, di vie a basso impatto ambientale quali la solarizzazione del terreno e/o biofumigazione o avvicendamenti culturali con specie a ciclo autunno-vernino. L'utilizzo di cv resistenti, altra via perseguibile, al momento ha grossi limiti applicativi in quanto solo per il pomodoro la ricerca ha prodotto materiale geneticamente resistente commercialmente valido. Letteratura citata Crozzoli R., Greco N., Suarez A. C., Rivas D. - (1997) Pathogenicity of the root-knot nematode, Meloidogyne incognita, to cultivars of Phaseolus vulgaris and Vigna unguiculata - Nematropica 27 (1): 61-67. Di Vito M., Cianciotta V., Zaccheo G. - (1991) - The effect of population densities of Meloidogyne incognita on yeld of susceptible and resistant tomato - Nematologia mediterranea, 19 (2): 265-268. Di Vito M., Piscionieri I., Pace S., Zaccheo, G. Catalano F. (1997) - Pathogenicity of Meloidogyne incognita on Kenaf in microplots - Nematologia mediterranea, 25 (2): 165-168. Ekanayake H.M.R.K., Di Vito M. - (1984) - Effect of population densities of Meloidogyne incognita on growt of susceptible and resistant tomato plants - Nematologia mediterranea 12 (1): 1-6. Lamberti F., Basile M. - (1993) - I nematodi parassiti del pomodoro - Bayer S.p.A. Divisione Agraria, pp. 24. Ritter M. - (1971) - Les nématodes des cultures - Journées d'études et d'information. Paris 3-5 novembre, pp. 27. Sasanelli N., Di Vito M. - (1992) - The effect of Meloidogyne incognita on growth of sunflower in pots. - Nematologia Mediterranea, 20 (1): 9-12. Taylor A.L. - (1987) - Identification and estimation of root-knot nematode species in mixed populations.- Florida Department of Agriculture and Consumer Services, Division of Plant Industry, Gainesville, U.S.A., pp. 73. Wallace H. R. - (1963) - The Biology of Plant Parasitic Nematodes - Arnold, London 280 pp.


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Valutazione di specie da fronda recisa a basso imput in tre località dell’Italia Meridionale Raimo F1, Napolitano A1, Torsello R2, Brunetti F2, Vatore R1, Grassi F2, Vicidomini S1 Risultati Introduzione Negli ultimi anni in Italia la coltivazione delle Durante il ciclo colturale sono stati rinvenuti piante da fronda recisa è andata sempre più cre- Metcalfa pruinosa (Say) su Aralia, Pinnaspis aspiscendo, spostando il suo areale di coltivazione distrae Sign. su Aspidistra (Sannino et al., 2006), dalla Liguria, alla Campania, alla Puglia e alla nel mese di giugno 2006 si è verificato un forte Toscana. Nell'ambito del progetto Co.Al.Ta. attacco di afidi in località Racale che ha colpito la (Colture Alternative al Tabacco) è stato inserito lo parte apicale delle piante di aralia; inoltre su studio della coltivazione di specie da fronda verdi entrambe le specie sono stati riscontrati attacchi di al fine di valutare il loro potenziale produttivo in chiocciole e lumache, mentre su E. pulverulenta alcuni ambienti meridionali, dove la loro diffusio- var. "baby blue" in tutte e tre le località si sono verificati attacchi di Alternaria (Lauro et al., 2007). I ne è ancora limitata. risultati riportati sono stati rilevati nel triennio Materiali e metodi 2005-2007 e rappresentano la produzione commerSono state impiantate le seguenti specie: Aralia siebol- ciale ottenuta in diverse epoche di raccolta, per di, Aspidistra elatior, Asparagus medeoloides, sotto tutte e tre le località menzionate nell'articolo. rete ombreggiante, ed Eucalyptus pulverulenta var. Nella valutazione dei risultati è da tener presen"baby blue" in pieno campo, nelle località di te che nell'inverno 2006-2007 un fortunale abbattuBenevento (Campania), Racale e Sternatia nel Salento tosi nel Salento ha provocato danni all'ombraio sito (Puglia), inoltre è stato realizzato un campo catalogo in Sternatia, per cui la coltivazione è stata esposta presso l'azienda del CRA - Istituto Sperimentale per il per un certo periodo alle intemperie, con conseTabacco sita in Monteroni (LE). L'impianto è stato guenze negative sullo sviluppo delle piante. effettuato in tutte le località tra l'ultima decade di magL'aralia, ha mostrato una produzione comgio e la prima decade di giugno 2005, utilizzando sem- merciale espressa in numeri di foglie per pianta pre piantine in vaso. È stata effettuata una concimazio- (grafico 1), che è stata in totale di circa 39 foglie ne minerale di pre-impianto comune per tutte le loca- per Benevento, 59 foglie per Racale e 33 foglie lità, con 80 kg ha-1 di N, 50 kg ha-1 di P2O5 e 80 kg ha- per Sternatia. In località Benevento le piante di 1 di K2O, successivamente sono state effettuate fertir- aralia durante l'inverno 2005-2006, a causa delle rigazioni con concimi complessi. L'irrigazione è avve- basse temperature, hanno subito l'allessatura nuta utilizzando acqua di pozzo ed erogata mediante della parte apicale, ciò nonostante col sopragsistemi a microportata. La valutazione del materiale giungere della primavera le piante hanno mostraraccolto è stata effettuata quando le foglie presentava- to una buona ripresa vegetativa, come si evidenno la necessaria consistenza e colore tipico delle foglie zia anche dalle produzioni ottenute nel periodo mature prendendo in considerazione per l'aralia la lar- successivo. ghezza delle foglie, per l'aspidistra la lunghezza delle lamine fogliare e l'integrità delle foglie, mentre per E. pulverulenta var. "baby blue" è stato valutato tutto il materiale raccolto suddividendo i germogli in diverse classi di lunghezza.

1 CRA - CAT - Scafati (SA) 2 CRA - CAR - Lecce (LE) Raimo F. - C.R.A. - CAT - via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206; e-mail: francesco.raimo@entecra.it

Grafico 1. Foglie commerciali di aralia raccolte nel triennio


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Grafico 2. Foglie commerciali di aspidistra raccolte nelle tre località

L'aspidistra ha fatto registrare una produzione commerciale (grafico 2), espressa in numero di foglie raccolte per m2, di circa 65 a Benevento, 63 a Racale e 70 a Sternatia. A. medeoloides ha mostrato un buon comportamento di crescita in tutti e tre gli ambienti, la raccolta è avvenuta nel periodo autunnale, quando le piante presentavano mediamente una altezza superiore ai 150 cm. Nel grafico 3 sono riportate le lunghezze medie dei festoni rilevate nelle tre località. E. pulverulenta ha mostrato il maggior sviluppo in altezza a Benevento, mentre a Racale, soprattutto per problemi legati alle caratteristiche pedologiche del sito d'impianto le piante hanno raggiunto uno sviluppo molto limitato, ciò evidentemente ha avuto una diretta ripercussione sulla produzione di materiale commerciabile raccolto (grafico 4). Conclusioni Le avversità segnalate hanno provocato danni alle colture per cui si sono resi necessari trattamenti antiparassitari per il controllo delle fitopatie. I

Grafico 3. Lunghezza media festoni di A. medeoloides

Grafico 4. Peso medio per pianta dei germogli commerciali raccolti nel triennio su Eucalyptus.

risultati ottenuti hanno dimostrato come le diverse caratteristiche pedoclimatiche dei tre ambienti hanno influito notevolmente sullo sviluppo e di conseguenza sulle rese produttive delle piante in coltivazione. Aralia ha dimostrato una maggiore produttività in località Racale, mentre l'Aspidistra ha fornito produzioni nel triennio di 65, 63 e 70 foglie, rispettivamente a Benevento, Racale e Sternatia. . A. medeoloides ha fatto registrare l'altezza massima dei festoni a Benevento, mentre il peso verde per metro lineare di festone è stato più elevato a Racale e Sternatia. E. pulverulenta var. "baby blue" ha mostrato buone produzioni in località Benevento e Sternatia. Ringraziamenti. Si ringraziano per la cortese collaborazione le aziende agricole sede delle prove: F.lli Miggiano di Racale (LE), Zollino Maria Teresa di Sternatia (LE) e l'Istituto Professionale Agrario "M. Vetrone" di Benevento

Bibliografia Lauro P., Carella A., Caiazzo R., Pisacane A., Raimo F., Lahoz E. (2007) - "Alternaria alternata agente causale delle macchie necrotiche su foglie e rami di eucalipto ornamentale in Italia" in "Risultati finali del Progetto Co.Al.Ta.", pag. 583588. Raimo F., Lombardi D.A., Napolitano A., Torsello R., Brunetti F., Vatore R., Casaburi S., Vicidomini S. (2007) "Valutazione di specie da fronda recisa a basso input energetico in ambienti meridionali" in "Risultati finali del Progetto Co.Al.Ta.", pag. 553-561. Sannino L., Espinosa B., Cozzolino E. (2005) - "Fitofagi e predatori riscontrati su tredici colture erbacee in Italia meridionale" - Progetto Co.Al.Ta. 1. Risultati 1° anno di attività, pag. 201.


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Risultati della valutazione bioagronomica di ecotipi salentini di cece e pisello Raimo F1, Accogli R2, Brunetti F3, Manzi G3, Grassi F3, Scarcella M3, Torsello R3 Introduzione Negli ultimi anni si è assistita ad una rivalutazione dei prodotti tipici locali, che unitamente alla salvaguardia della biodiversità hanno portato ad una maggiore sensibilizzazione verso il recupero di materiale genetico in via di estinzione. Le leguminose da granella sono ormai entrate a pieno titolo tra le specie meritevoli di recupero e di utilizzazione; infatti, viene ampiamente riconosciuto il loro ruolo nell'alimentazione umana e del bestiame. Il loro impiego è strategico (perché a basso input economico), soprattutto, nella valorizzazione delle aree marginali sottoutilizzate, e per la possibilità che offrono per il recupero di antiche pratiche agricole e di tradizioni popolari. La ricerca condotta nell'ambito del progetto Co.Al.Ta., ha permesso di valutare alcune accessioni di cece (Cicer arietinum L.) e pisello (Pisum sativum L.). Gli obiettivi proposti sono stati: a) la valutazione della produttività e delle fasi fenologiche di alcune varietà già diffuse a livello nazionale nell'ambiente Salentino; b) il confronto di tali cultivar con gli ecotipi locali; c) il recupero del materiale genetico ottenuto dai contadini salentini Materiali e metodi La ricerca è stata eseguita presso l'azienda del CRA CAR sita in Monteroni di Lecce nel triennio 20052007. Le prove sono state pianificate a blocchi randomizzati con due ripetizioni. Per quanto riguarda il Cece: nel primo anno, sono stati messi a confronto, i genotipi "Pascià", "Kairo", "Sultano", "Visir" e "Zollino"; mentre nel biennio 2006-2007 l'indagine, ha interessato sia le varietà del 2005 sia ecotipi diffusi nel Salento quali: "Alessano", "Corigliano", "Leverano", "Monteroni", "Muro Leccese", "Sannicola", "Soleto", "Tricase 08", "Tricase 19", "Uggiano la Chiesa" e "Vitigliano". Per il pisello gli ecotipi sottoposti a valutazione, nel biennio 20062007, sono stati "Alessano", "Corigliano", "Riccio di 1 CRA - CAT - Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco, via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206; e-mail: francesco.raimo@entecra.it 2 Orto Botanico del Di.S.Te.B.A. - Università degli studi di Lecce 3 CRA - CAR - Lecce (LE)

Sannicola", "S. Donato", "Sannicola", "Soleto", "Tranesi" e "Zollino". Le pratiche colturali, identiche per le due specie, hanno previsto: distanze di semina di 0,6 metri tra le file; una concimazione con 40 kg ha-1 di N, 80 kg ha-1 di P2O5 e 170 kg ha-1 di K2O; irrigazioni di soccorso e la raccolta che è avvenuta nei mesi di luglio e agosto secondo la maturazione dei genotipi in prova. I rilievi sulle colture hanno riguardato i principali parametri biometrici, fenologici e produttivi. I dati sono stati analizzati utilizzando l'analisi della varianza (ANOVA). Risultati Nel grafico 1 è riportata la produzione media in granella ottenuta dai cinque genotipi nell'anno 2005, l'analisi ANOVA dei dati non ha mostrato differenze significative per quanto riguarda le produzioni fra i vari genotipi. Mentre nel grafico 2 sono riportate le produzioni medie relative a tutti i genotipi in prova espressi come produzione media del biennio 2006-2007, l'ANOVA non ha mostrato differenze significative (p=0,05), sia per l'effetto anno, sia per l'effetto genotipi e sia per l'interazione genotipi per anno. Gli ecotipi più produttivi sono risultati "Vitigliano", "Uggiano la Chiesa", "Monteroni" e "Leverano", con produzioni medie relative al biennio superiori alle 2 t ha-1. Le varietà colturali hanno raggiunto il completo sviluppo vegetativo tra la VII e l'VIII settimana dalla semina; la fine della fase vegetativa, contraddistinta dallo stadio "ingiallimento", è iniziata intorno alla XVIII settimana, procedendo lentamente sino alla XX, per poi concludersi entro la XXII. La fase di viraggio è stata considerata come quella fase in cui il legume completamente sviluppato, inizia l'ingiallimento dell'esocarpo e completa la maturazione lattea del seme; per quasi tutte le varietà, ha avuto inizio entro la XVIII settimana, con valori alquanto bassi ma che raggiungono già il 70 % entro la XX settimana, proprio quando la fase vegetativa di ingiallimento della pianta volgono al termine e quindi ciclo vegetativo e ciclo riproduttivo terminano contemporaneamente.


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Ecotipi salentini di cece e pisello ..

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Fig. 1. Produzione media nei genotipi di cece coltivati nel 2005

Fig. 2. Produzione media registrata sui ceci nel biennio 2006-2007

L'andamento delle fenofasi riproduttive più significative, quali, fioritura, allegagione e maturazione lattea, ha differenziato le varietà colturali, identificando quali tra esse meglio rispondono alle condizioni ambientali, anticipando o posticipando il ciclo, garantendo comunque la produzione. Il peso medio di 1000 semi rilevato su tutte le accessioni di cece per gli anni 2006-2007 ha presentato notevoli fluttuazioni sia per le varietà stabilizzate sia per gli ecotipi, per cui le differenze sono risultate altamente significative (p=0,01), sia nel biennio, sia nell'interazione genotipi x anno. Per il pisello gli ecotipi più produttivi (Fig.3) sono stati "Alessano", "Sannicola", "Zollino" e "S. Donato", con rese superiori ad 1 t ha-1, mentre le accessioni "Riccio di Sannicola" e "Sannicola" hanno mostrato notevoli fluttuazioni nei due anni di prova. L'ANOVA ha evidenziato che esistono differenze altamente significative (p=0,01) per quanto riguarda l'effetto anno e nell'interazione varietà x anno, mentre non vi sono state differenze significative fra i genotipi. Conclusioni I risultati relativi alla produzione degli ecotipi salentini di cece hanno mostrato che buona parte delle accessioni reperite hanno fornito produzioni comparabili con le varietà diffuse a livello nazionale, pertanto è augurabile che nel prossimo futuro si riesca ad incrementarne la reintroduzione e diffusione, al fine di salvaguardarne il patrimonio genetico e valorizzare le produzioni tipiche locali. Bibliografia

Fig. 3. Produzione media ecotipi di pisello nel biennio 2006-2007

Abbate V. (1994) - "Aspetti della tecnica colturale del cece" Agricoltura Ricerca, Luglio/Settembre, n. 155, pag 105120. Giordano I. (1994) - "Potenzialità produttiva del cece in differenti condizioni ambientali" - Agricoltura Ricerca, Luglio/Settembre, n. 155, pag 95-104. Lombardi D.A., Marchiori S., Accogli R., Brunetti F., Capano M., Raimo F. (2006) - "Valutazione degli aspetti fisiologici e produttivi di alcune leguminose da granella" - Progetto Co.Al.Ta. 1. Risultati 1° anno di attività, pag. 171-173. Raimo F., Accogli R., Lombardi D., Marchiori S., Brunetti F., Casaburi S. (2007) - "Valutazione bioagronomica di genotipi salentini di leguminose da granella" in "Risultati finali del Progetto Co.Al.Ta.", pag. 365-379.


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Risposta bio-agronomica dell’Artemisia annua L. a differenti regimi irrigui Greco P, Scarcella S, Manzi G Introduzione I recenti orientamenti di politica agricola comunitaria e nazionale, volti a sostenere, attraverso il Fondo Comunitario del Tabacco, lo sviluppo di iniziative specifiche per il passaggio dei tabacchicoltori ad altre attività agricole hanno permesso di indagare sulle possibili alternative colturali al tabacco.Tra queste rientra l'Artemisia annua L., specie utilizzata per l'estrazione di un principio attivo, l'artemisinina', impiegato per la lotta alla malaria nel mondo. Obiettivo della presente ricerca è quello di valutare, in ambiente meridionale, l'adattabilità e la risposta agronomica dell'artemisia a diversi regimi irrigui. Materiali e metodi La ricerca si è svolta presso l'azienda sperimentale dell'Unità di Ricerca- CRA -CAR di Lecce su terreno di natura franco-sabbioso, povero di sostanza organica (0.75%), di azoto totale (0.08%) e di fosforo assimilabile( 4.35 ppm), ma ricco di potassio scambiabile (281,5 ppm). È stato impiegato il genotipo Krono trapiantato alla distanza di cm 80 di interfila e a cm 55 sulla fila con un investimento di 22.727 p·ha-1. In pre-trapianto sono stati somministrati: 130 Kg·ha-1 di P2O5 (da perfosfato minerale 18%); 100 Kg·ha-1 di K2O (da solfato potassico 50%) e 60 Kg·ha-1 di N ( metà da solfato ammonico 20,5% in pre-trapianto e metà da nitrato ammonico 26% in copertura). Sono stati confrontati, insieme al testimone non irrigato (V0), tre regimi irrigui (V1, V2, V3) ottenuti mantenendo costante il volume di adacquamento (300 m3 ha-1) e variando il turno irriguo. Per i trattamenti da V1 a V3, infatti, si è intervenuti con l'rrigazione ogni qualvolta la sommatoria dell'evapotraspirazione della coltura , calcolata a partire dall'ultimo intervento irriguo, stimato con il criterio evaporimetrico al netto delle pioggie ed adot-

CRA- Unità di Ricerca per l'individuazione e lo studio di colture ad alto reddito in ambiente caldo arido- Lecce. Via F. Calasso 3 tel. 0832-306882, fax 0832-305411. e-mail: pasquale.greco@entecra.it

tando i coefficienti colturali di seguito riportati, raggiungeva valori di 40-80-120 mm. rispettivamente. I valori di Kc sono stati i seguenti: dal 1° al 20° giorno 0.40; dal 21° al 45° giorno 0.60; dal 46° al 75° giorno 0.80; dal 76° fino a venti giorni dalla raccolta 1.0. La tabella 1 riporta il numero delle adacquate ed i volumi stagionali erogati. Tab.1. Numero interventi irrigui e volumi stagionali di irrigazione Anno 2007

E' stato adottato uno schema sperimentale a blocco randomizzato con quattro ripetizioni; il metodo irriguo quello per infiltrazione laterale da solchi. Le erbe infestanti sono state controllate con due sarchiature meccaniche interfilari, integrate con sarchiatura manuale sulla fila; non è stato effettuato alcun intervento fitosanitario. Sono stati effettuati rilievi biometrici (altezza e diametro pianta) e produttivi (peso verde e secco; inoltre, da tutte le parcelle sono stati prelevati, settimanalmente, e fino alla raccolta, campioni di foglie per determinare la % di "artemisinina"sintetizzata nei vari stadi di sviluppo delle piante. Questi risultati saranno oggetto di una prossima comunicazione, appena saranno terminate le analisi di laboratorio. Andamento climatico Tutto il periodo di prova è stato caratterizzato da totale assenza di piogge e da temperature superiori alla norma storica per cui, la coltivazione è stata sottoposta per un lungo periodo a condizioni eccezionali di stress ambientale i cui effetti, probabilmente, si sono riflessi negativamente sulla coltivazione.


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Irrigazione artemisia...

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minati i cui valori sono cresciuti, in generale, con l'aumentare dei regimi irrigui impiegati; in particolare differenze significative si sono manifestate tra il volume stagionale più alto di 4.800 m3ha-1 e tutti gli altri a confronto (V0 -V1 -V2). Da segnalare, inoltre, la buona adattabilità dell'artemisia agli stress idrici ed ambientali come dimostrano i risultati produttivi ottenuti dalla tesi irrigata solo al trapianto rispetto a quelle con regimi irrigui di 1.500 e 2.400 m3ha-1.

Tab. 2. Caratteristiche biometriche e produttive dell'Artemisia annua L. - Anno 2007

Risultati L'esame dei dati riportati in tabella 2, mostrano una uniformità di comportamento di tutti i caratteri in studio. Infatti, a regimi irrigui crescenti è corrisposto un generale incremento dei parametri biometrici e produttivi. In particolare, per l'altezza e il diametro medio delle piante, l'influenza dei trattamenti sperimentali si è manifestato(P= 0.05) tra la tesi V3 (4800 m3ha-1) e le tesi V0 - V1 (1.500 m3/ha-1) e V2 (2400 m3ha-1); quest'ultime, risultate tra loro equivalenti. I medesimi effetti, riscontrati precedentemente, si sono evidenziati anche per i caratteri peso verde e peso secco infatti, l'analisi statistica ha registrato differenze significative soltanto tra le parcelle maggiormente irrigate (V3) e quelle prive di intervento irriguo (V0), con incrementi di + 69,0% e + 74,0% rispettivamente; non si sono manifestate, invece, differenze produttive significative tra i volumi da V0 a V2 cui è corrisposto solo un graduale aumento di peso. Conclusioni Il particolare ed eccezionale avverso andamento climatico durante tutta la durata della prova ha, come indicato in precedenza, posto in sofferenza la coltivazione dell'artemisia la cui produzione areica, mediamente, è risultata inferiore rispetto a precedenti esperienze. Comunque, questi primi risultati sullo studio dell'irrigazione su Artemisia annua L., hanno rilevato effetti positivi su tutti i caratteri esa-

Bibliografia Charles, D.J., J.E. Simon, C.C. Shock, E.B.G. Feibert, and R.M. Smith. 1993. Effect of water stress and post-harvest handling on artemisinin content in the leaves of Artemisia annua L. p. 628-631. In: J. Janick and J.E. Simon (eds.), New crops. Wiley, New York. Greco P., Lauretti M., Manzi G.- 2007- Influenza della concimazione azotata sulle caratteristiche morfo-produttive e chimiche dell'artemisia (Artemisia annua L.) . Atti Progetto CO.AL.TA. 1 Risultati finali, Lecce 22 giugno, p 529-533. Greco P., Scarcella M., Spedicato S. 2007- Effetto della densità di investimento sulle caratteristiche morfo-produttive e chimiche dell'Artemisia (Artemisia annua L.). Atti Progetto CO.AL.TA. 1 -Risultati finali, Lecce 22 giugno, p 535-538. De Magalhãnes P., Raharinaivo J., Delabays N. (1996) Influence de la dose et du type d'azote sur la production en artémisinine de l'Artemisia annua L.- Rev. Suisse Vitic. Arboric.Hortic., 28 (6) : 349-353

Fig.1. Parcella di artemisia


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Introduzione dell’asparago nel Salento. Prova di confronto varietale Greco P, Grassi F, Manzi G Introduzione Tra le alternative al declino della coltura del tabacco nel Salento, l'asparago può rappresentare una promettente soluzione alla luce dei risultati economici più o meno comparabili con quelli del tabacco. Tradizionalmente coltivato nelle regioni settentrionali, si è via via esteso verso il Sud dove può usufruire di condizioni climatiche più adatte a favorire una maggiore precocità produttiva. In Puglia la coltivazione dell'asparago è localizzata in massima parte nella provincia di Foggia con circa 1000 ettari; seguono le provincie di Taranto e Brindisi con 100 e 70 ettari rispettivamente. Non risultano investimenti nella provincia di Lecce. La scelta varietale, le modalità di impianto, l'adeguata assistenza agronomica, sono i principali aspetti di tecnica colturale per le quali è necessario definire un protocollo di coltivazione. Gli interessanti risultati economici della coltivazione, specie per le varietà precoci, giustificano l'introduzione della coltura. Infatti, se si considera che l'Italia importa oltre 5.000 tonnellate di asparago nel periodo Marzo -Aprile, si deduce che esiste la possibilità di espandere la coltivazione per almeno 1.000 ettari senza causare particolari problemi di sovrapproduzione. L'individuazione di uno o due ibridi di asparago adatti all'ambiente Salentino, potrebbe concorrere a favorire, insieme ad altre specie orticole, una opportunità colturale in sostituzione del tabacco. Materiali e metodi La sperimentazione si svolge su terreno di natura franco-sabbioso, pianeggiante e profondo, povero di sostanza organica (0,80%), di azoto totale (0,07%), di fosforo assimilabile (4,15 ppm) ma ricco di ossido di potassio (270,5 ppm). L'impianto è stato effettuato a fine marzo 1999 mettendo a dimora le zampe alla profondità di 35 cm, distanziate di 30 cm sulla fila e di 130 cm di interfila. Gli ibridi di asparago impiegati, ognuno insistente su una superficie di 500 m2 sono Atlas, Grande, Eros e UC 157. CRA- Unità di Ricerca per l'individuazione e lo studio di colture ad alto reddito in ambiente caldo arido- Lecce. Via F. Calasso 3 tel. 0832-306882, fax 0832-305411. e-mail: pasquale.greco@entecra.it

Annualmente si interrano nella fase di riposo 100 Kg·ha-1 di P2O5 (da perfosfato minerale 18%), 50 Kg·ha-1di K2O (da solfato potassico 50%) e 50 Kg·ha1 di N (da solfato ammonico 20,5%). Successivamente l'azoto viene distribuito in copertura per altre due volte sotto forma di nitrato, fino a raggiungere la dose totale di 200 Kg·ha-1. Vengono effettuati lavori per il controllo delle erbe infestanti e di difesa fitosanitaria, oltre ai rilievi sulla produzione dei turioni e del peso medio degli stessi, separatamente per classi di categoria e cioè: "extra" (ø turioni >16 mm), "I" (ø da 12 a 16 mm), "II" (ø da 6 a 11 mm), "asparagina" (ø < di 6 mm). L'andamento climatico ha fatto registrare, rispetto al periodo storico, un deficit pluviometrico di -29.8 mm e - 84.6 mm negli anni 2005 e 2006; le temperature, invece, sono rimaste nella norma storica. Risultati L'uniformità del terreno su cui insiste l'asparagiaia e l'ampia superficie parcellare occupata da ogni ibrido, permette di valutare con sufficiente obiettività le singole potenzialità produttive. L'osservazione dei dati riferiti ad un biennio di prova (Tab.1 ), mette in evidenza il differente comportamento medio degli ibridi a confronto. In particolare è da segnalare il basso livello produttivo dell'UC 157 con circa 1,4 t·ha-1 di turioni da imputare, probabilmente, al grave attacco di ruggine (Puccinia asparagi D.C.) dopo il secondo anno di impianto con conseguenti annuali riflessi negativi sullo sviluppo e uniformità della coltivazione.

Fig.1. Campo sperimentale


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58 Greco et al Tab. 1. Media delle caratteristiche produttive e peso turioni

Fig. 2. Turrioni pronti per la raccolta

I migliori risultati sono stati ottenuti da Eros, con una produzione commerciale media di 7,86 t·ha-1 ; seguono Atlas e Grande, rispettivamente con 7,51 t·ha-1 e 6,81 t·ha-1 di turioni .Il "peso medio turioni" all'interno delle diverse categorie commerciali è risultato pressoché equivalente. L'"asparagina" si è mantenuta al di sotto del 10% della produzione commerciale, condizione importante per la resa economica della coltivazione.Tutti gli ibridi, all'interno delle categorie commerciali, hanno prodotto turioni omogenei per forma, colore, diametro e per compattezza dell'apice. Con riferimento al carattere di precocità, l'UC 157 ed Eros sono risultati rispettivamente il più precoce ed il più tardivo confermando anche dell'ambiente salentino le differenze costitutive propie. Conferma anche per Atlas e Grande per le caratteristiche intermedie di precocità.

Conclusioni Da questi primi risultati, possono essere tratte interessanti considerazioni circa l'introduzione dell'asparago nell'ambiente di prova. Tutti gli ibridi hanno mostrato una buona adattabilità; in particolare Eros, Atlas e Grande hanno espresso valori produttivi medio alti rispetto alla produzione media nazionale (6,0-6,5 t·ha-1). L'UC 157 si è attestato su livelli inferiori rispetto alle potenzialità mediamente espresse nelle asparagiaie del meridione, ciò per i motivi patologici indicati in precedenza. Pertanto, prestando molta attenzione alla difesa fitosanitaria, questa cv. è da riproporre in quanto espressione di maggiore precocità con conseguenti riflessi economici più favorevoli. Le caratteristiche merceologiche degli ibridi, in generale, sono risultate omogenee per forma, colore, diametro e compattezza dell'apice dei turioni. L'opportunità di sfruttare condizioni climatiche idonee a favorire la precocità di raccolta, insieme all'appropriata scelta varietale e alla corretta gestione agronomica dei campi, indicano nell'asparago una nuova specie orticola dagli interessanti aspetti economici da introdurre nel Salento. E' ovvio che la ricerca deve continuare per validare altri ibridi, sia in coltura da pieno campo che in coltura protetta, al fine di ottenere produzioni molto precoci già dai primi dell'anno, periodo in cui l'Italia è importatrice netta. Bibliografia: Brunelli A., 2006 - La difesa integrata dell'asparago. Convegno "Interventi per migliorare produzione e qualità dell'asparago Italiano" ORTO MAC, Cesena 26-27 Gennaio. Falavigna A., Casali P. E., Alberti P., 2005. Asparago: Confronti varietali, L'informatore Agrario. 1: 55-59. GrecoP., PandielloV.2005--Valutazione agronomica di quattro ibridi di asparago coltivati nell'ambiente Salentino - Primi risultati - XXXVI convegno S.I.A. - Foggia 20-22 Settembre, pg 294, 295. Falavigna A., Palumbo A. D. - 2001 La coltura dell'asparago. Calderini Edagricole, Maggio - Bologna.


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Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: produzione e qualità di aspetto di colture su pannelli flottanti Bacco A, Chiancone I, De Luca I, Piro F, Stipic M, Venezia A Introduzione La preparazione in IV gamma consente di commercializzare ortaggi a foglia raccolti allo stadio di rosetta, ottenibili in modo intensivo con diversi cicli di coltura all'anno e più tagli per ciclo (per alcune specie), in suolo o fuori suolo, ma prevalentemente in ambiente protetto. Per livello di ricavi, impiego di risorse materiali e umane e rapporti di filiera questo indirizzo produttivo può costituire una valida alternativa al tabacco e risponde a una crescente domanda di insalate pronte al consumo. La 'minima' trasformazione impiegata controlla male la microflora, che continua a svilupparsi anche a bassa temperatura nell'ambiente saturo di umidità dell'imballaggio e contribuisce alla degradazione del prodotto, riducendone il valore alimentare e la vita commerciale (Beuchat, 2000; Ragaert et al, 2007). Per ottenere prodotti sicuri e di sufficiente durata commerciale occorre materia prima di elevata qualità e igiene e la coltivazione su pannelli flottanti potrebbe migliorare le possibilità di controllo a tale riguardo. In questa nota riportiamo risultati di produzione e qualità di aspetto di rucola e valerianella ottenute in prove di coltura su pannelli flottanti. In altra nota della stessa pubblicazione sono riportati i risultati di qualità microbiologica.

alla diversità dei substrati, data la contiguità dei due periodi nell'ambito della stessa stagione estiva. Come supporti sono stati utilizzati pannelli da 40 celle, collocati in batterie di vasche di dimensioni leggermente superiori, contenenti 40 litri di soluzione. La soluzione nutritiva ridotta aveva una concentrazione pari a due terzi di quella intera, che era composta da (meq/L): Na (1,7), N-NH4 (3,0), K (10,5), Mg (6,0), Ca (10), Cl (2), N-NO3 (18), P-H2PO4 (3), S-SO4 (7,5), HCO3 (5,8). L'ossigenazione delle vasche è stata realizzata con comuni ossigenatori da acquario. Dopo la semina (manuale) i pannelli sono rimasti in ambiente climatizzato fino all'emergenza delle piantine, stadio al quale sono stati trasferiti nelle vasche. Il prodotto, raccolto allo stadio di rosetta, con foglie lunghe una dozzina di centimetri per la rucola e più piccole per la valerianella, è stato misurato come massa fresca e sostanza secca per unità di superficie, ed è stato valutato per la qualità dell'aspetto in base a un indice su scala ordinale 1:9, media geometrica di punteggi nella stessa scala separati per integrità, freschezza, colore e odore. Per l'analisi delle risposte, eseguita secondo un modello lineare generale, è stato utilizzato l'ambiente R (R Development Core Team, 2007) con il pacchetto contribuito Hmisc (Harrell, 2007).

Materiali e metodi Un esperimento esplorativo è stato condotto con rucola 'selvatica' (Diplotaxis tenuifolia DC) e valerianella (Valerianella locusta L.) nell'estate 2007 in una serra climatizzata del CRA-ORT, come fase preliminare del trasferimento a collaboratori tabacchicoltori. Le due specie vegetali sono state saggiate in un disegno 25 in combinazione con i seguenti fattori a due livelli: substrato (torba e perlite), soluzione nutritiva (intera e ridotta), ossigenazione dell'acqua (si e no), densità di semina, con livelli di piante/mq variabili per substrato e specie (rucola/torba 2781-4024, rucola/perlite 16981858, valerianella/torba 2771-2810, valerianella/perlite 1960-2713). I due substrati sono stati adoperati in periodi successivi (torba a giugno, perlite a luglio-agosto), ma il confondimento con il periodo non dovrebbe causare dubbi attribuzione per gli effetti associati

Risultati e discussione La produzione di massa fresca non ha mostrato effetti di rilievo per la concentrazione della soluzione nutritiva ed è variata con la densità di semina in modo differente per le due specie a seconda del substrato (fig. 1). Il campo di densità effettive è risultato abbastanza in linea con quello programmato nella maggior parte delle condizioni, salvo che per rucola su perlite e valerianella su torba nelle vasche non ossigenate, dove si è molto ridotto. Sulla perlite i semi hanno incontrato difficoltà di aderenza al substrato e rischi di insufficienti disponibilità idriche, con riduzioni e ritardi di germinazione, solo parzialmente alleviati con la subirrigazione. La produzione di massa fresca, nettamente superiore per la rucola in relazione alla diversità delle strutture vegetative e delle modalità di raccolta delle due specie, è aumentata con l'incremento di densità per entrambe le specie su perlite, ma soltanto per la rucola, e a un tasso di incremento minore, su torba, dove invece la valerianella ha mostrato una risposta

CRA-ORT, Centro di Ricerca per l'Orticoltura, Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA); accursio.venezia@entecra.it


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con l'incremento della produzione. Nel complesso, una produzione di buon livello è risultata positivamente correlata con un buon aspetto delle foglie (fig. 4). Sull'insieme delle condizioni sperimentate i livelli medi stimati di produzione di massa fresca, con intervallo di confidenza al 95%, sono risultati di 1,9±0,3 kg/mq per la rucola e di 1,1±0,6 kg/mq per la valerianella, che ai prezzi correnti consentono di attendere per condizioni simili ricavi per ciclo di coltura tra 24.000 e 32.000 euro/ha con la rucola e tra 11.000 38.000 euro/ha con la valerianella. Fig. 1. Prodotto fresco, stimato con bande di confidenza al 95% in funzione della densità effettiva, della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

Fig. 2. Concentrazione di sostanza secca in funzione del livello di produzione di massa fresca, della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

tendenzialmente negativa. La minore risposta alla densità della rucola su torba è dovuta probabilmente al campo di densità più estremo, in media del 50% più alto rispetto a quello su perlite. L'ossigenazione delle vasche ha avuto un effetto modesto, ma generalmente positivo sulla produzione di massa verde. La concentrazione di sostanza secca, relativamente più alta per la valerianella, è comunque diminuita per entrambe le specie con l'aumento della produzione di massa fresca per unità di superficie, e quindi con la maggiore fittezza di semina (fig. 2). I valori particolarmente bassi di sostanza secca si possono spiegare con lo stadio molto precoce delle foglie raccolte. Il punteggio per la qualità di aspetto delle foglie alla raccolta è stato generalmente superiore per la rucola, per la quale si è avvicinato al limite superiore della scala, anche se una differente percezione degli attributi qualitativi per le due specie può aver contribuito a tale divario (fig. 3). A bassi livelli di densità e su perlite il livello di produzione si è accompagnato a un miglioramento dell'aspetto, mentre a densità superiori e su torba l'aspetto ha mostrato una lieve tendenza a peggiorare

Fig. 3. Punteggio per la qualità di aspetto del prodotto fresco, stimato con bande di confidenza al 95%, in funzione della densità effettiva della specie, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

Fig. 4. Punteggio per la qualità di aspetto del prodotto fresco in funzione del livello di produzione di massa fresca, della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

Letteratura citata Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2 Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org. Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological and physiological spoilage mechanisms during storage of minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol. 44,185-194.


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Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: qualità microbiologica del prodotto da colture su pannelli flottanti Caponigro V, Chiancone I, De Luca I, Marrollo P, Piro F, Stipic M Introduzione La preparazione in IV gamma consente di commercializzare ortaggi a foglia raccolti allo stadio di rosetta, ottenuti da diversi cicli di coltura all'anno e da più tagli per ciclo (per alcune specie), in suolo o fuori suolo, prevalentemente in tunnel-serre. Per livello di ricavi, impiego di risorse materiali e umane e rapporti di filiera questo indirizzo produttivo può costituire una valida alternativa al tabacco e risponde a una crescente domanda di insalate pronte al consumo. La 'minima' trasformazione impiegata controlla male la microflora, che continua a svilupparsi anche a bassa temperatura nell'ambiente saturo di umidità dell'imballaggio e contribuisce alla degradazione del prodotto, riducendone il valore alimentare e la vita commerciale (Beuchat, 2000; Ragaert et al, 2007). In tali condizioni una contaminazione con microrganismi patogeni può creare situazioni di rischio. Per ottenere prodotti sicuri e di sufficiente durata commerciale occorre materia prima di elevata qualità e igiene e la coltivazione su pannelli flottanti potrebbe migliorare le possibilità di controllo a tale riguardo. In questa nota si riportano le caratteristiche microbiologiche di foglie di rucola e valerianella ottenute in prove di coltura su pannelli flottanti. Materiali e metodi Un esperimento esplorativo è stato condotto con rucola 'selvatica' (Diplotaxis tenuifolia DC) e valerianella (Valerianella locusta L.) nell'estate 2007 in una serra climatizzata del CRA-ORT, come fase preliminare del trasferimento a collaboratori tabacchicoltori. Oltre alle due specie vegetali sono stati saggiati a due livelli i fattori: substrato (torba e perlite), soluzione nutritiva (intera e ridotta di un terzo), ossigenazione dell'acqua (si e no), densità di semina, con livelli di pinte/mq variabili per substrato e specie (rucola su torba 27814024, rucola su perlite 1698-1858, valerianella su torba 2771-2810, valerianella su perlite 1960-2713). Come supporti sono stati utilizzati pannelli da 40 celle, collocati in vasche di dimensioni leggermente superiori, contenenti 40 litri di soluzione nutritiva. Il prodotto è stato esaminato per la carica microbica totale, i batteri coliformi e i miceti alla raccolCRA-ORT, Centro di Ricerca per l'Orticoltura, Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA); idachiancone@libero.it

ta e dopo conservazione per 5-7 giorni in imballaggio plastico a 4-6 °C, seguendo procedure ordinarie della conta su piastra: omogenazione di campioni di 25 grammi in 100 ml di acqua peptonata sterile a pH 6,8 per 120 secondi, diluizione seriale delle sospensioni, inseminazione di aliquote su terreni appropriati in piastre Petri, incubazione in termostato per 24-48 ore e conta delle colonie. La qualità dell'aspetto è stata valutata con un punteggio su scala 1:9 aggregando i punteggi sulla stessa scala assegnati per integrità, freschezza, colore e odore. Le risposte sono state analizzate secondo un modello lineare generale, utilizzando l'ambiente R (R Development Core Team, 2007) con il pacchetto contribuito Hmisc (Harrell, 2007). Risultati e discussione La carica totale di batteri è variata tra 5,85 e 7,64 Log UFC/g, soprattutto per differenze tra le due specie vegetali e in misura minore per effetti degli altri fattori considerati. La valerianella ha presentato un livello di carica più alto rispetto alla rucola, di due ordini di grandezza su perlite e di un ordine di grandezza su torba, in parte perché il prodotto comprende anche colletto e radici delle piantine, presumibilmente più cariche di microflora perché a contatto con il substrato (fig. 1). La carica microbica è generalmente aumentata con la fittezza delle piante e durante la conservazione a bassa temperatura ed è risultata più alta con il substrato di perlite che con quello di torba per la valerianella, mentre al contrario è stata più alta con il substrato di torba per la rucola. L'ossigenazione dell'acqua della vasca ha ridotto di circa un mezzo Log UFC/g la carica totale della valerianella su perlite e della rucola su torba, ma non ha mostrato effetti di rilievo negli altri casi. La carica di batteri coliformi è variata tra 2,76 e 5,62 Log UFC/g, con livelli tendenzialmente più alti per valerianella nel prodotto ottenuto su torba (fig. 2). Durante la conservazione la componente coliformi della popolazione batterica ha mostrato una dinamica relativamente più vivace, soprattutto per il materiale vegetale prodotto su torba con ossigenazione della vasca e per quello prodotto su perlite senza ossigenazione della vasca. L'assenza di


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Fig. 1. Carica totale di batteri sul prodotto fresco e conservato, stimata con bande di confidenza al 95%, in funzione della densità effettiva, della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

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Fig. 3. Cariche di miceti in rapporto alla carica batterica totale sul prodotto fresco e conservato in funzione della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

Fig. 4. in rapporto alla carica batterica totale sul prodotto fresco e conservato in funzione della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca. Fig. 2. Cariche di batteri coliformi in rapporto alla carica batterica totale sul prodotto fresco e conservato in funzione della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.

E. coli (una sola determinazione positiva) è indice di una buona qualità igienica del sistema. La popolazione di funghi e lieviti è variata tra 2,70 e 6,20 Log UFC/g, con valori di un ordine di grandezza più alti su valerianella in confronto a rucola, che tuttavia non sono aumentati in modo rilevante con la conservazione (fig. 3). In contrasto, la micoflora presente su rucola ha mostrato una dinamica più vivace durante la conservazione, soprattutto sulle foglie prodotte con ossigenazione, ma anche su quelle ottenute su torba senza ossigenazione. La qualità dell'aspetto è peggiorata nettamente con la conservazione, in modo più drastico per la rucola prodotta su torba e per la valerianella prodotta su perlite (fig. 4). Il peggioramento dell'aspetto e l'aumento della carica microbica totale contrassegnano l'inevitabile degradazione del prodotto con

l'allontanamento dalla raccolta, nonostante l'attenuazione del processo con la refrigerazione. La qualità microbiologica di rucola e valerianella prodotte su pannelli flottanti ha mostrato un livello complessivo leggermente migliore di quello delle colture in suolo ed è risultata sensibile in discreta misura ai fattori considerati per la tecnica di produzione, che pertanto è suscettibile di adattamenti migliorativi. Letteratura citata Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2 Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org. Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological and physiological spoilage mechanisms during storage of minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol. 44,185-194.


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Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: livelli di produzione di colture in suolo Bacco A*, Correale A, Cozzolino E**, Leone V**, Piro F* Introduzione Per l'area del tabacco Burley in Campania l'alternativa orticola rappresenta una naturale assimilazione ai comprensori orticoli contigui. Le colture per insalatine pronte sono un segmento in espansione che per livello di ricavi, impiego di risorse materiali e umane e rapporti di filiera possono competere con il tabacco e, per la brevità del ciclo colturale, si possono ripetere più volte nel corso dell'anno, anche con più tagli per ciclo. La produzione si è estesa a circa 3000 ettari, di cui oltre metà localizzati in Campania nella piana del Sele, facendo di questa regione il principale polo produttivo del settore, con una dinamica positiva anche per il segmento della trasformazione. Le buone prospettive commerciali sussistono però solo per prodotti di elevata qualità, ottenuti in modo da minimizzare i fattori di rischio per la salute del consumatore e i fattori di deterioramento, che ne influenzano la trasformazione e conservazione. Il tipo di lavorazione riduce le alterazioni del prodotto fresco, ma non consente un controllo pieno dei processi metabolici dei vegetali e non impedisce lo sviluppo della microflora presente, che continua anche a bassa temperatura nell'ambiente saturo di umidità dell'imballaggio e contribuisce alla degradazione del prodotto, riducendone il valore alimentare e la vita commerciale (Beuchat, 2000; Ragaert et al, 2007). Pertanto l'introduzione di colture per IV gamma nei piani di produzione impone il rispetto di nuovi protocolli colturali e di gestione dei prodotti, per cui è prevedibile un periodo di sperimentazione e adattamento aziendale per raggiungere livelli qualitativi soddisfacenti. Nel lavoro oggetto di questa nota abbiamo valutato i risultati produttivi (qui riportati) e qualitativi (esposti in altra di questa pubblicazione) della coltura di insalate da taglio in tunnel e in pien'aria in aziende tabacchicole casertane.

nacio, var. Ibrid F1 Power; rucola selvatica ordinaria) in otto cicli successivi in tunnel (apr-06, lug-06, nov06, mar-07, mag-07, giu-07, lug-07, set-07) e cinque cicli in pien'aria (giu-06, lug-06, giu-07, lug-07, set07). Tutti i cicli suddetti sono stati realizzati nell'azienda IC, mentre solo gli ultimi tre in pien'aria e gli ultimi quattro in tunnel sono stati replicati nell'azienda IM. La lattuga è mancata in un ciclo, spinacio e rucola in due. Le colture in ambiente protetto sono state realizzate in due tunnel larghi 5,5m e lunghi 50m, dotati di impianto irriguo sospeso. Il terreno è stato preparato per il primo ciclo dell'anno con aratura a 25-30cm e due lavorazioni di affinamento, mentre per cicli successivi dell'anno è stata praticata una vangatura seguita da due lavorazioni di affinamento. Un intervento di diserbo presemina è stato eseguito con lenacil (750 g/ha) per lo spinacio e con benfluralin (4 L/ha) per le altre specie. Rucola e lattuga sono state seminate a righe distanziate 7cm, bietola e spinacio a spaglio, impiegando rispettivamente 6, 30, 110 e 110 kg/ha di seme. Le misure fitosanitarie hanno compreso la concia del seme di spinacio (metalaxil-M), un intervento contro peronospora (cymoxanil), botrite (iprodione) e nottue (deltametrina) della lattuga e peronospora (ossicloruro di rame) e altica (deltametrina) della rucola. Il livello di resa in prodotto fresco è stato determinato pesando le foglie raccolte su tre aree di saggio per parcella individuate con metodo casuale e assegnando un punteggio in scala 1:9 per il grado di purezza da infestanti. Le risposte sono state analizzate nell'ambiente R base (R Development Core Team, 2006) anche con funzioni della libreria Hmisc (Harrell, 2006) utilizzando per le combinazioni dei fattori specie, ciclo, ambiente e azienda un modello lineare generale e per i livelli medi di resa delle specie un modello misto, con le combinazioni ciclo-ambiente considerate fattore casuale.

Materiali e metodi L'esperimento è stato condotto tra aprile 2006 e settembre 2007 in due aziende (IC e IM) coltivando quattro specie (bietola, var. Bubard chard; lattuga, var. G8; spi-

Risultati e discussione Il livello di produzione è variato prevalentemente con la specie e il periodo del ciclo colturale, con modeste differenze tra pien'aria e tunnel e minime tra le due aziende. A parità di lunghezza del ciclo colturale (variabile con la stagione intorno a un mese) e alle densità di semina impiegate, la lattuga ha fornito le rese di foglie recise più alte, con mediana di 2 kg/mq e intervallo di confidenza al

*CRA-ORT, Centro di ricerca per l'orticoltura, Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA); filippo.piro@entecra.it **CRA-CAT, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco, Via Vitiello 106, 84018 Scafati (SA)


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Fig. 1. Prodotto di foglie recise (medie con intervalli di confidenza al 95%) da quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura (8 in tunnel e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 in due aziende tabacchicole casertane (indicate dai simboli). In alto a destra i livelli mediani di resa delle specie vegetali.

Fig. 2. Effetti del ciclo e dell'ambiente di coltura, al netto delle differenze tra le specie, sulla produzione di insalatine da taglio.

95% di 1,7-2,3 kg/mq, la rucola quelle più basse, con mediana 1,3 kg/mq e intervallo di confidenza al 95% di 1-1,6 kg/mq (fig. 1). A parità di ciclo e specie i livelli di resa sono in qualche caso risultati molto differenti tra le due aziende, ma in modo non sistematico. Al netto delle differenze tra le specie, il livello di resa in pien'aria è stato di 0,24 kg/mq più alto rispetto al tunnel. Gli effetti stimati per il periodo colturale, pur raggiungendo una differenza 1,23 kg/mq (tra lug-07 all'aria e lug-06 in tunnel), non sembrano collegabili alla stagione, anche perché le condizioni termiche stagionali vengono neutralizzate variando la lunghezza del ciclo e raccogliendo a livelli di sviluppo comparabili. Il controllo della vegetazione estranea è risultato inadeguato in entrambe le aziende, specialmente in

Insalatine, produzione in suolo ...

Fig. 3. Livello di purezza specifica delle produzioni di insalatine da taglio in due aziende (distinte dal colore) in rapporto al livello di produzione, al ciclo (indicato dalle abbreviazioni), alla specie vegetale e all'ambiente.

alcuni cicli (giu-07, mar-07, lug-06, nov-06), problema che non si dovrebbe presentare una volta consolidata l'esperienza di questo tipo di coltura (fig. 3). Per un ciclo di produzione nelle condizioni dell'ambiente casertano si possono prevedere ai prezzi correnti i seguenti livelli di ricavi in migliaia di euro per ettaro: 23-32 per lattuga, 21-30 per bietola, 21-29 per spinacio e 14-23 per rucola. Certamente la coltivazione di insalatine comporta un elevato livello di investimenti, ma quest'ordine di ricavi per un ciclo di un mese ne fa un'alternativa interessante per i tabacchicoltori con strutture adeguate. Ringraziamenti. Gli autori ringraziano le signore Maria e Clementina Izzo di Sparanise, per l'ottima assistenza alla conduzione dei saggi nelle rispettive aziende.

Letteratura citata Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2 Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org. Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological and physiological spoilage mechanisms during storage of minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol. 44,185-194


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Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: qualità del prodotto da colture in suolo Amato L, Chiancone I, Caponigro V, De Luca I, Marrollo P, Piro F Introduzione Le colture per insalatine pronte, che si possono ripetere più volte nel corso dell'anno, possono competere con il tabacco per livello di ricavi, impiego di risorse materiali e umane e coordinamento di filiera. Il tipo di lavorazione riduce le alterazioni del prodotto fresco, ma non consente un controllo pieno dei processi metabolici dei vegetali e non impedisce lo sviluppo della microflora presente, che continua anche a bassa temperatura nell'ambiente saturo di umidità dell'imballaggio (Beuchat, 2000; Ragaert et al, 2007). Alla raccolta le insalate da taglio presentano cariche microbiche variabili in funzione dell'ambiente e delle modalità di produzione e la microflora non patogena, benché non necessariamente problematica sotto il profilo igienicoalimentare, contribuisce a degradare i tessuti vegetali, abbreviando la durata della vita commerciale dei prodotti. Questi vegetali devono presentare pertanto una bassa carica microbica alla raccolta. Va inoltre considerato il rischio di contaminazione con microrganismi patogeni, il controllo dei quali va perseguito in tutte le componenti della filiera (Brackett, 1999). Nel lavoro oggetto di questa nota abbiamo studiato la qualità delle insalatine da taglio coltivate per saggio in aziende tabacchicole casertane e qui riportiamo alcuni risultati delle determinazioni eseguite alla raccolta. Materiali e metodi L'esperimento è stato condotto tra aprile 2006 e settembre 2007 in due aziende (IC e IM) con quattro specie (bietola, lattuga, spinacio, rucola) in otto cicli successivi in tunnel (apr-06, lug-06, nov-06, mar-07, mag-07, giu-07, lug-07, set-07) e cinque cicli in pien'aria (giu-06, lug-06, giu-07, lug-07, set-07) realizzati nell'azienda IC, con gli ultimi tre in pien'aria e gli ultimi quattro in tunnel replicati nell'azienda IM. Maggiori dettagli sulla gestione delle colture sono riportati in una nota collegata in questa pubblicazione. I campioni di prodotto trasportati dal campo al laboratorio in contenitori refrigerati sono stati valutati per CRA-ORT, Centro di Ricerca per l'Orticoltura, Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA); vittorio.caponigro@entecra.it

integrità, sanità, freschezza, tipicità del colore e dell'odore in base a una scala ordinale da 1 a 9 e la media geometrica dei punteggi è stata analizzata come indice globale della qualità di aspetto. La qualità microbiologica è stata valutata determinando la carica microbica totale, i batteri coliformi ed E. coli secondo procedure ordinarie della conta su piastra: omogenazione di campioni di 25 grammi in 100 ml di acqua peptonata sterile a pH 6,8 per 120 secondi, diluizione seriale delle sospensioni, inseminazione di aliquote su terreni appropriati in piastre Petri, incubazione in termostato per 24-48 ore e conta delle colonie. L'indice della qualità di aspetto e i valori logaritmici di carica microbica sono stati analizzati nell'ambiente R base (R Development Core Team, 2007) utilizzando anche funzioni delle librerie Hmisc (Harrell, 2007) e lme4 (Bates, 2007) per la rappresentazione grafica e l'adattamento di modelli di risposta ai fattori specie, periodo del ciclo, ambiente e azienda. Risultati e discussione La carica microbica totale a livello campionario è variata tra 4,83 e 8,70 Log UFC/g, con mediana 7,13; quella dei batteri coliformi tra 2,91 e 8,23, con mediana 6,13; E. coli è stato rinvenuto abbastanza frequentemente e in oltre il 10% dei casi a livelli superiori a 3 Log, indice di un livello di igiene insoddisfacente, dovuto sicuramente alla novità della coltura per le aziende, soprattutto rispetto alle esigenze di profilassi. La carica microbica totale è stata influenzata dal periodo del ciclo colturale e dalla parcella di terreno, mentre la specie vegetale, l'ambiente (tunnel vs pien'aria) e l'azienda hanno dato luogo a differenze non sistematiche e complessivamente di piccola entità (fig. 1). Le produzioni estive si sono caratterizzate per maggiori livelli di carica microbica rispetto a quelle primaverili e nel caso più estremo (giugno 2007 contro aprile 2006) lo scarto si è avvicinato a due ordini di grandezza. La difficoltà di ottenere livelli contenuti di carica microbica sulle produzioni estive è ben nota nel settore e questi risultati indicano che l'area considerata difficilmente si può proporre come complementare per queste colture al centro di produzione della piana del Sele, come sarebbe auspicabile in una prospet-


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Insalatine, qualità del prodotto da colture in suolo ..

Fig. 1. rica batterica totale (medie con intervalli di confidenza al 95%) sulle foglie fresche di quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura (8 in tunnel e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 in due aziende tabacchicole casertane (indicate dai simboli). Al margine destro sono riportati come scarti gli effetti del periodo-ambiente, al netto delle differenze tra specie.

Fig. 2. Cariche E. coli e di batteri coliformi sulle foglie fresche di quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura (8 in tunnel e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 (indicati con abbreviazioni-simboli), in due aziende tabacchicole casertane (distinte dal colore).

tiva di coordinamento geografico-stagionale della produzione. Le cariche di batteri coliformi sono risultate correlate con quelle totali, ma per bietola e lattuga sono risultate più alte sulle foglie prodotte in tunnel, mentre il livello di presenza di E. coli non sembra sia stato influenzato allo stesso modo dalla stagionalità (fig. 2). La qualità dell'aspetto è risultata inversamente correlata alla carica microbica totale per le produzioni in tunnel, ma non per quelle in pien'aria, e nel complesso è risultata piuttosto mediocre dopo il trasporto al laboratorio (fig. 3). I risultati di questi saggi indicano che il tipo di coltura, pur non presentando difficoltà agronomiche per il tabacchicoltore in possesso di strutture adeguate, richiede un affinamento della pratica e un livello di controllo a cui bisogna abituarsi.

Fig. 3. Indice della qualità di aspetto in rapporto alla carica microbica totale sulle foglie fresche di quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura (8 in tunnel e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 (indicati con abbreviazioni-simboli), in due aziende tabacchicole casertane (distinte dal colore).

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes. R package version 0.99875-7. Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2 Brackett RE, 1987. Microbiological consequences of minimally processed fruits and vegetables. J. Food Qual. 10, 195-206. Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous. R package version 3.0-12, http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc. R Development Core Team, 2007. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria, http://www.R-project.org. Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological and physiological spoilage mechanisms during storage of minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol. 44,185-194.

Letteratura citata


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Risposte produttive della quinoa (Chenopodium quinoa Willd) nell’areale casertano Riccardi M,*1 Pulvento C,1 De Luca S,1 Iafelice G,2 D'Amario M,2 d'Andria R,1 Lavini A,1 Marconi E2 Introduzione Chenopodium quinoa Willd. è una pianta annuale originaria degli altopiani andini dove era coltivata già 5000 anni fa. Questa specie fu domesticata probabilmente nella regione del lago Titicaca dove è presente la maggior diversità genetica (Casini, 2002). La Quinoa è una specie resistente allo stress idrico e salino, si sviluppa in ambienti con suoli acidi ed alcalini (Jacobsen et al., 2005) ed è adattabile al fotoperiodo (Bertero, 2001). La Quinoa non contiene glutine e possiede un alto valore nutrizionale; i semi contengono mediamente una percentuale di proteine totali del 14.6% composta da amminoacidi essenziali tra cui i principali sono: lisina, metionina, treonina, istidina e arginina (Ruales e Nair, 1992). Con la presente prova si è inteso valutare le potenzialità produttive di questa specie in un ambiente dell'Italia centro meridionale nell'ambito delle ricerche volte ad individuare alternative colturali al tabacco. Materiali e metodi La prova sperimentale è stata condotta nel biennio 2006 - 2007 presso la stazione sperimentale del CNR - ISAFoM di Vitulazio - CE - (14°50' E, 40°07' N; 25 m s.l.m.). Il sito sperimentale è caratterizzato da una tessitura argillo-limosa (sostanza organica 1,31%, CaCO3 2,51%, N 0,8‰, pH 7,6, densità apparente 1,28) ed un contenuto idrico in volume (m m-3) di 39,4 alla capacità idrica di campo (Ψ del suolo a -0,03 MPa) e 21,7 al punto di appassimento (Ψ del suolo a 1,5 MPa). Sono stati posti a confronto due genotipi di quinoa: KVLQ520Y (K) ricevuto dall'International Potato Center, Lima, Perù e Regolana Baer (RB) - di provenienza cilena. Nel primo anno il genotipo K è stato seminato dal 25 gennaio ogni 15 giorni per individuare la migliore epoca di semina per l'ambiente considerato. I migliori risultati sono stati ottenuti con la semina del 5 aprile (A), quando il suolo aveva una 1 - CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli), tel. 0817717325, Fax 0817718045, *e-mail: m.riccardi@isafom.cnr.it 2 - Università del Molise, Dipartimento STAAM, via De Sanctis, - 86100 Campobasso

temperatura di circa 7 °C. Successivamente è stata effettuata una semina tardiva di entrambe i genotipi a distanza di un mese (4 maggio). Sulla base dei risultati del primo anno, nel secondo è stata eseguita una sola semina il 10 aprile. La densità di semina adottata in ogni epoca è stata di 20.000 piante ha-1 con un'interlinea di 0,5 m. La raccolta è stata eseguita il 12 e 25 luglio per il genotipo K nel 2006 e il 21 luglio nel 2007, mentre la RB è stata raccolta il 24 e 31 luglio rispettivamente nel 2006 e nel 2007. Alla raccolta di ciascuna epoca di semina è stata rilevata l'altezza delle piante, la sostanza secca della pianta ed il peso medio dei semi. Il disegno sperimentale era un blocco randomizzato con tre repliche. I dati raccolti sono stati sottoposti all'analisi della varianza (ANOVA) e la differenza tra le medie è stata effettuata con il test della Differenza Minima Significativa (DMS). Risultati L'andamento climatico è stato diverso nei due anni di prova soprattutto nelle fasi iniziali del ciclo colturale. Il 2006 è stato caratterizzato da precipitazioni inferiori a quelle del 2007 nel mese di aprile (25 mm vs. 57 mm, nel il 2006 e 2007, rispettivamente) e maggio, mentre si sono verificati alcuni eventi piovosi nella prima decade di giugno (circa 38 mm) che hanno favorito l'emergenza e l'attecchimento in entrambe le epoche di semina. L'ET0 del periodo Aprile - Maggio di entrambi gli anni di prova è risultato mediamente più elevato di 0,5 mm al giorno rispetto al valore medio poliennale, ed inoltre, anche le temperature massime nei due anni sono risultate più elevate delle medie poliennali. Nel 2006 l'analisi dei dati biometrici e produttivi delle due epoche di semina (A e B) del genotipo K (Tab. 1), non hanno mostrato differenze significative in altezza, diametro del fusto e lunghezza del panicolo; mentre, la produzione in acheni è stata maggiore nella prima epoca di semina. La maggiore produzione ha determinato un harvest index, (rapporto percentuale tra produzione in acheni e biomassa secca epigea totale) significativamente più elevato nella prima epoca. Tale comportamento è da attribuire alla riserva


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Tab 1. Caratteristiche biometriche e produttive del genotipo KVLQ520Y (K) nelle due epoche di semina. E’ riportata la differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05. n.s.= non significativa.

idrica accumulata nel suolo a seguito degli abbondanti eventi piovosi di marzo che, le piante della prima epoca di semina, hanno potuto utilizzare nelle prime fasi di sviluppo vegetativo. Le precipitazioni di giugno sono state utili per la fasi di fioritura, allegagione e riempimento del seme. Il confronto tra i due anni ha messo in evidenza la significatività dell'interazione anno per genotipo. I risultati (Tab. 2) hanno mostrato il maggiore sviluppo vegetativo di RB del diametro dei fusti, altezza e biomassa totale rispetto al genotipo K. Il genotipo RB è risultato il più produttivo per la maggior ramificazione dei pannicoli (dati non riportati) che ha determinato un maggior numero di semi pianta, sebbene il peso dei mille semi è risultato significativamente inferiore Conclusioni Lo studio sull'adattabilità della Quinoa all'areale casertano ha fornito, nei due anni di prova, buone produzioni se paragonate a quelle di prove analoghe condotte in altri paesi europei o alle produzioni dei zone andini. La specie non ha mostrato particolari esigenze irrigue (sono state somministrate solo irrigazioni di soccorso)

quindi potrebbe risultare utile valutare il miglioramento delle risposte della coltura a regimi irrigui a parziale soddisfacimento del consumo. In conclusione, dai risultati ottenuti si può considerare che questa specie può essere coltivata con successo negli areali dell'Italia meridionale. Si deve considerare, inoltre, la crescente richiesta del mercato di pseudo-cereali glutein free. Sono però necessarie prove sperimentali per individuare i genotipi più idonei alle condizioni pedo-climatiche locali e andrebbero approfonditi studi di tecnica agronomica per la preparazione di un protocollo di coltivazione. Bibliografia Bertero H.D., King R.W., Hall A.J. Photoperiod-sensitive development phases in Quinoa (Chenopodium quinoa Willd.). Field Crop Research. 1999; 60: 231-243. Casini P. Possibilità di introdurre la Quinoa in ambienti mediterranei. L'Inf. Agrario. 2002; 27: 29-32. Jacobsen S.E., Mauteros C., Christiansen J.L., Bravo L.A., Corcuera L.J., Mujica A. Plant Responses of quinoa (Chenopodium quinoa) to frost at various phenological stages. European Journal of Agronomy. 2005; 22: 131-139. Ruales J., Nair B.M. Nutritional quality of the protein in Quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) seeds. Plant Foods Human Nutrition. 1992; 42(1): 1-11.

Tab. 2. Caratteristiche biometriche e produttive dei due genotipi in prova KVLQ520Y (K) e Regolana Baer (RB). E’ riportata la differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05. n.s.= non significativa.


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Fabbisogno irriguo della Stevia rebaudiana (Bertoni) in ambiente centro meridionale Pulvento C*., Riccardi M., Romano G., De Luca S., d'Andria R., Lavini A. Introduzione La Stevia rebaudiana Bert. è originaria della valle del Rio Monday nel Nord-est del Paraguay, dove gli indiani Guaranì la utilizzano come dolcificante (Midmore e Rank, 2002). Sono state descritte più di 150 specie di Stevia, ma la rebaudiana è l'unica con importanti proprietà dolcificanti (Soejarto et al., 1982). Le foglie contengono un insieme complesso di glicosidi diterpenici dolci, i principali sono: lo Stevioside e il Rebaudioside A che hanno un potere dolcificante rispettivamente di 110-270 e 180-400 volte superiore rispetto al saccarosio. La Stevia può essere impiegata come dolcificante a zero calorie sotto forma di foglie fresche o in polvere, estratto disidratato, o concentrato liquido di estrazione acquosa e/o idroalcolica. I prodotti di estrazione possono essere usati in diverse preparazioni alimentari precotte e da forno poiché sono stabili a temperature fino a 200 °C e non fermentano. In medicina è impiegata come agente anti-iperglicemico per la cura di patologie della pelle, nel trattamento dell'ipertensione per la sua azione cardiotonica e per molte altre patologie. Con il presente lavoro si sono valutate le risposte produttive e qualitative al regime irriguo della specie in un ambiente dell'Italia centro-meridionale nell'ambito delle ricerche per individuare alternative colturali al tabacco. Materiali e metodi La prova è stata condotta nel biennio 2006-2007 presso il centro sperimentale di Vitulazio - CEdell'ISAFoM (14°50' E, 40°07' N). La coltura. è stata trapiantata il 20/4/ 2006 con una densità di 5 piante m-2 (interlinea 0,6 m). Sono stati posti a confronto in un blocco randomizzato, tre regimi irrigui: un controllo (T100) irrigato con la restituzione del 100% del consumo idrico e due tesi a restituzione parziale del consumo rispetto alla tesi T100, 66% (T66) e 33% (T33). Il turno irriguo è stato settimanale il volume di adacquamento è stato calcoCNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli), tel. 0817717325, Fax 0817718045, *e-mail c.pulvento@isafom.cnr.it

lato sulla base del contenuto idrico nello strato di suolo 0-0,40 m. Alla coltura sono state somministrati rispettivamente 105, 23 e 180 kg ha-1 di N, P e K in entrambe gli anni. La raccolta è stata eseguita due volte ogni anno, quando le piante erano a inizio fioritura (22/7 DOY 204 - e 25/9 - DOY 269 nel 2006 ed il 28/7 DOY 210 - e 13/10 - DOY 267 nel 2007). In ciascuna raccolta è stata rilevata l'altezza delle piante, la superficie fogliare e la sostanza secca delle foglie e dei fusti. Campioni di foglie e fusti sono stati analizzati per valutare il contenuto dei principali prodotti dolcificanti (stevioside e rebaudioside A) e per determinare i principali elementi (Fe, Mn, Cr, Mg, Na, Ca, K). I dati sono stati sottoposti all'analisi della varianza e le differenze tra le medie sono state confrontate con il test della differenza minima significativa (DMS). Risultati Il secondo anno è stato meno piovoso del primo, infatti, non si sono verificati eventi piovosi utili da metà giugno fino all'inizio della raccolta. (Tab. 1). Questo ha determinato un consumo idrico maggiore nel secondo anno di 17, 5,3 e 23,5 mm rispettivamente per le tesi T100, T66 e T33. I coefficienti colturali (kc), calcolati come rapporto tra il consumo idrico giornaliero e l'evapotraspirazione di riferimento, sono risultati in genere simili nei due anni di prova. L'analisi statistica dei dati di produzione e sviluppo vegetativo non ha evidenziato differenze significative dell'interazione tra gli anni, pertanto di seguito sono riportate le medie degli anni per ciascuna raccolta. Lo sviluppo vegetativo delle piante e la produzione di sostanza secca è risultato maggiore nella seconda epoca di raccolta (Fig. 1 A, B, C, D), mentre la tesi T100 ha mostrato la maggiore produzione rispetto alle altre. Tali differenze sono risultate sempre significative nella seconda epoca, mentre nella prima epoca la tesi T66 ha mostrato solo un lieve incremento rispetto alla T33. L'indice di raccolta, calcolato come rapporto tra sostanza secca delle foglie e biomassa epigea, non ha mostrato differenze tra le tesi omologhe nelle due epoche, mentre è diminuito con l'aumento del


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Fabisogno irriguo della stevia ...

Tab.1. Volume irriguo, volume idrico stagionale, consumo idrico e coefficienti colturali (kc) calcolati per l’intera stagione (irr. stag.) e per i due periodi di crescita di ciascun anno

livello irriguo. Il contenuto percentuale di glucosidi non è stato influenzato dal regime irriguo ed è stato accumulato soprattutto nelle foglie con valori medi di 8,36% (v/v) di stevioside e di 5,72 % (v/v) di rebaudioside A. La produzione di rebaudioside A è risultata di 0,26 t ha-1 e quella di stevioside di 0,38 t ha-1 per la tesi T100. Le tesi T66 e T33 hanno avuto una produzione di 0,22 e 0,19 t ha-1 di rebaudioside A e 0,33 e 0,28 di stevioside, rispettivamente. Nei fusti sono stati rilevati valori medi di stevioside di 0,48 e di 0,36 di rebaudioside A.

Conclusioni I risultati confermano che questa specie può essere coltivata con successo nell'areale preso in considerazione. La corretta gestione dell'irrigazione in termini di turno e volume degli adacquamenti ha un ruolo fondamentale per l'ottenimento di buone produzioni. Ulteriori prove sarebbero necessarie per mettere a punto un protocollo di coltivazione ed andrebbero promossi programmi di miglioramento genetico per sviluppare varietà idonee alle caratteristiche pedo-climatiche dell'areale.

Fig. 1. Altezza delle piante, produzione di sostanza secca della pianta intera e delle foglie e indice di raccolta in relazione al livello irriguo. Sono indicati i valori della differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05.

Bibliografia

Midmore D.J. and Rank A.H. A new rural industry - Stevia - to replace imported chemical sweeteners. Report for the Rural Industries Research and Development Corporation 02/022. 2002; 55 p.

Soejarto D.D., Kinghorn A.D. and Farnsworth N.R. Potential sweetening agents of plant origin. III. Organoleptic evaluation of stevia leaf herbarium samples for sweetness. J. Nat. Prod. 1982; 45: 590-599.


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Valutazione agronomica della coltivazione di Senape bianca (Sinapis alba L.) in ambienti dell'Italia meridionale Pulvento C*, Riccardi M, De Luca S, Romano G, d'Andria R, Lavini A Introduzione La Senape è una specie originaria dell'Asia. Si pensa che sia stata coltivata già nel 3000 a.C. in India e poi esportata in occidente come spezia pregiata. Nel IV sec. a.C. i Romani se ne servivano per conservare i succhi di frutta e il mosto e ne consumavano le foglie come verdura cotta (Brown et al., 2000-2002). La mostarda in pasta, come condimento, si diffuse in tutta Europa intorno al 1200. La Senape può avere molteplici impieghi; le foglie possono essere consumate crude o cotte ed hanno un sapore piccante, i semi possono essere impiegati nelle insalate per il loro aroma, oppure possono essere macinati e utilizzati per condimento (mostarda bianca). I semi hanno, inoltre, proprietà antibatterica, antifungina, di stimolazione dell'appetito, carminativa, digestiva, diuretica, emetica, espettorante, decongestionante e stimolante. In occidente sono di rado utilizzati come medicina interna, ma sono impiegati comunemente per uso esterno. I semi di Senape bianca contengono un olio che può essere impiegato come lubrificante o per l'accensione di lampade (McGuire, 2003). L'impiego della Senape bianca è ormai comune nei disciplinari di agricoltura biologica per il controllo dei nematodi cisticoli della barbabietola da zucchero (Heterodera schachtii), dei nematodi galligeni della patata (Globodera spp., Meloydogyne spp., Pratylenchus spp.) e del tabacco (M. incognita, M. javanica, M. arenaria, M. hapla) con riduzioni del 50-60% (Ahmed et al., 2005). L'industria alimentare italiana utilizza prodotti semilavorati importati soprattutto dai paesi dell'Est Europa, ma è evidente l'interesse per uno sviluppo dei mercati locali. Per tale motivo andrebbe approfondita la potenzialità produttiva della specie in ambienti centro meridionali e la possibilità di fornire all'industria semilavorati attraverso strutture associative di agricoltori. Con il presente lavoro si è inteso valutare i principali parametri bio-agrono-

CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli), tel. 0817717325, Fax 0817718045. *E mail c.pulvento@isafom.cnr.it

mici della specie nelle aree del casertano a prevalente ordinamento tabacchicolo. Materiali e metodi La prova è stata condotta nel biennio 2006-2007 presso il centro sperimentale del CNR-ISAFoM di Vitulazio (CE). La semina della varietà Zlatka è stata eseguita il 5 Aprile nel 2006 e il 17 Aprile nel 2007 su file distanti 0,2 m in parcelle di 30 m2 (6 x 5 m) ripetute tre volte impiegando 2 g m-2 di seme. A seguito del diradamento delle piante sulla fila è stata ottenuta una densità di 28 piante m-2. Durante lo sviluppo vegetativo della coltura sono stati effettuati solo interventi irrigui di soccorso e non sono stati necessari interventi di difesa antiparassitaria. La raccolta è stata effettuata il 13 Luglio nel 2006 e il 26 Luglio nel 2007 e sono stati rilevati i seguenti parametri: altezza della pianta, numero di piante m-2, numero e lunghezza delle ramificazioni, numero di silique fertili, sterili e aperte, lunghezza delle silique, peso fresco e peso secco delle silique e dei semi. Risultati e discussione Dall'analisi statistica dei dati (Tab. 1) è risultata significativa la variabilità tra gli anni determinata dal diverso andamento climatico. Le evidenti differenze produttive tra i due anni, infatti, sono state determinate essenzialmente dalla diversa distribuzione ed entità delle piogge tra gli anni. Nel 2006 si sono verificate precipitazioni inferiori al 2007 nel mese di Aprile, periodo della semina, e Maggio, ed alcuni eventi piovosi nella prima decade di Giugno (circa 38 mm) hanno favorito lo sviluppo delle fasi vegetative. Nel 2007 l'andamento pluviometrico, è stato particolarmente abbondante nelle fasi di emergenza (57 mm in Aprile), mentre non si sono verificati eventi piovosi dalla prima decade di Giugno fino al momento della raccolta con evidenti effetti negativi sulla produttività della specie. Nel primo anno, infatti, la produzione di semi al 13% di umidità è stata di 2,12 t ha-1, mentre nel secondo si è avuta una riduzione del 28% (1,53 t ha-1). La maggiore produzione del primo anno è principalmente dovuta ad un minore indice di sterilità oltre che al maggior peso medio


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Valutazione agronomica della senape ...

Tab. 1. Caratteristiche biometriche e produttive della varietà Zlatka nei due anni di prova. E’ riportata la differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05. n.s.= non significativa.

dei 1000 semi. Tale comportamento è da attribuire allo stress idrico che si è manifestato durante la fase di riempimento del seme. Per questo stesso motivo anche la sostanza secca ed il numero delle silique sono risultati inferiori nel secondo anno, mentre non si sono manifestate differenze nel numero di semi per siliqua. Quest'ultimo parametro, pertanto, è maggiormente controllato dal patrimonio genetico (Laureti e Pieri, 2000). La differenza tra i due anni di prova è stata evidente anche per lo sviluppo vegetativo dal momento che le piante del secondo anno sono risultate più alte, più ramificate e con ramificazioni di maggiore lunghezza. Conclusioni Dato il comportamento vegetativo e produttivo andrebbero approfonditi aspetti relativi al fabbisogno irriguo della specie dal momento che lo stress

idrico nella fase di fioritura e riempimento del seme ha fortemente ridotto la produttività. Irrigazioni di soccorso nei periodi critici sarebbero ampiamente compensate dall'incremento di produzione. Complessivamente i risultati evidenziano le buone potenzialità produttive della specie nell'ambiente casertano soprattutto laddove si può disporre di acqua per l'irrigazione. Bibliografia Ahmed H. S., Miroslaw S. e Wladyslaw G. Defence responses of white mustard, Sinapis alba, to infection with the cyst nematode Heterodera schachtii. Nematology. 2005; 7 (6): 881-889. Brown J., Davis J.B. e Esser A. Pacific Northwest Condiment Yellow Mustard (Sinapis alba L.) Grower Guide. Subcontract Report NREL/SR-510-36307 July 2005. McGuire A. Mustard. Washington State University (WSU) Cooperative Extension bulletins. 2003. Laureti D., Pieri S. Colza, ravizzone e senape nelle Marche. L'inf. Agrario. 2000; 34: 37-39.


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Impiego di sfarinati di quinoa per la realizzazione di prodotti a base di cereali Iafelice G1), D'Amario M1), Riccardi M2), Pulvento C2), d'Andria R2), Marconi E1) Introduzione La quinoa è uno pseudocereale appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae largamente coltivato nelle regioni andine. Questa coltura presenta interessanti caratteristiche chimico-nutrizionali (elevata qualità proteica, presenza di acidi grassi essenziali, vitamine e minerali) offrendo numerose potenzialità per future applicazioni tecnologiche (Lopez 2007). Inoltre per l'assenza delle proteine del glutine la quinoa può essere utilizzata per la preparazione di alimenti gluten-free. La presenza di composti antinutrizionali e in particolare le saponine, limitano l'utilizzo di questo pseudocereale dal momento che conferiscono caratteristiche di amaro e astringente influenzando negativamente la qualità sensoriale dei prodotti finiti (Dini et al., 2001). Il presente lavoro ha preso in considerazione le caratteristiche compositive e nutrizionali di alcuni genotipi di quinoa, coltivati in Italia centro meridionale come colture alternative al tabacco. Tali genotipi sono stati utilizzati per la preparazione di prodotti a base di cereali (pane, pasta) caratterizzati da una migliorata qualità nutrizionale e da una elevata accettabilità sensoriale. Materiali e metodi Sono state analizzate due varietà di quinoa KVLQ520Y coltivata in due epoche differenti (sigla campioni KA e KM) e REGOLANA BAER (sigla campione RB). Entrambi i genotipi di quinoa sono stati coltivati nei campi sperimentali del CNR-ISAFoM (Vitulazio-CE). Sui campioni di quinoa è stata effettuata la caratterizzazione chimica e valutato mediante tecniche cromatografiche combinate (TLC, GC) il contenuto in saponine sia sul prodotto tal quale sia sul prodotto opportuna-

1)DI.S.T.A.A.M.-Università degli Studi del Molise, Via De Sanctis, 86100 Campobasso, tel. 0874404616, Fax 0874404652, e-mail marconi@unimol.it 2)CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli), tel. 0817717325, Fax 0817718045, e-mail m.riccardi@isafom.cnr.it

mente trattato (perlato). Gli sfarinati di quinoa perlata sono stati quindi utilizzati per la realizzazione di prodotti quali pane e pasta. Risultati e discussione Le analisi in merito alla caratterizzazione chimiconutrizionale evidenziano che la quinoa presenta un contenuto proteico più alto rispetto ai cereali comuni con valori pari a circa il 16-17 %. E' interessante osservare valori elevati in ceneri (3,96-4,28 g/100 g s.s.) e in fibra alimentare (16,1-18,6 g/100 g s.s.). L'amido rappresenta il componente principale della quinoa con valori compresi tra il 54,8% e il 55,6% per le varietà KA e KM; per la varietà RB si è riscontrato un contenuto in amido totale pari a 52,8%. Gli sfarinati di quinoa si distinguono inoltre per l'elevato contenuto lipidico pari al 7,7-7,9%. In questo lavoro è stato ottimizzato un metodo gascromatografico per la valutazione quanti/qualitativa delle saponine idrolizzate (sapogenine). L'analisi GC ha rilevato la presenza di specifiche saponine della quinoa rappresentate da: acido oleanolico, ederagenina, fitolaccagenina (Fig. 1). Dal punto di vista quantitativo nelle varietà di quinoa analizzate si è riscontrato un contenuto in saponine totali di 238,9-213,8 mg/100 g s.s. per le varietà KA e KM; per la varietà RB il contenuto in saponine totali è risultato di 329,0 mg/100g (Tab.1). La quantificazione delle saponine è un utile parametro in quanto permette di distinguere le varietà di

Fig. 1. Tracciato GC delle saponine della quinoa (1)acido oleanolico, 2 ederagenina, 3 fitolaccagenina)


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74 Iafelice et al Tab. 1. Contenuto in saponine totali (mg/100 g s.s.)

quinoa "sweet" (contenuto in saponine < di 200 mg/100 g) e le varietà "bitter"(contenuto in saponine > di 400 mg/100 g); questa distinzione è di notevole interesse in quanto ai fini tecnologici/applicativi è importante utilizzare le varietà "sweet" a basso contenuto in saponine (Mazza e Gao 2005). L'analisi GC ha evidenziato che le varietà di quinoa analizzate (KA, KM, RB) si collocano in una posizione intermedia tra i genotipi "sweet" e i genotipi "better". Modulando il tempo di perlatura si è osservato che la rimozione delle parti periferiche dell'achenio del 20% determina una riduzione in saponine totali del 50% rispetto al valore iniziale, mentre applicando una perlatura pari al 30% si riesce a ridurre in maniera significativa il contenuto in saponine superiore all'80%. I risultati evidenziano pertanto che il processo di abrasione può essere utilizzato efficacemente per allontanare le saponine da questo pseudocereale. La Tab. 2 riporta le caratteristiche chimiche dei prodotti ottenuti utilizzando gli sfarinati di quinoa perlata. Come si osserva la pasta e il pane ottenuti utilizzando il 20% di quinoa presentano un contenuto proteico superiore (14,7-16,6 % s.s.) rispetto ai prodotti controllo (12,6-10,1 % s.s.) E' interessante considerare che l'impiego di sfarinati di quinoa consente di migliorare la qualità pro-

teica; gli sfarinati di quinoa sono, infatti, caratterizzati dalla presenza di un bilanciato apporto di amminoacidi essenziali (lisina), con conseguente innalzamento dell'indice chimico. In virtù dell'alto contenuto in fibra alimentare, la pasta e il pane con il 20% di quinoa potrebbero rientrare nella categoria di prodotti ad alto contenuto in fibre. Le analisi delle saponine evidenziano la persistenza di tali sostanze nei prodotti finiti anche dopo i trattamenti tecnologici e, nel caso della pasta, anche dopo cottura del prodotto. Le valutazioni sensoriali hanno messo in evidenza che la pasta con il 20% di quinoa è risultata accettabile. Gli assaggiatori, pur evidenziando delle differenze rispetto al prodotto controllo in termini di sapore e di gusto, hanno giudicato il prodotto complessivamente buono. Per il pane con il 20% di quinoa il gruppo di assaggiatori ha espresso un giudizio estremamente positivo per l'aspetto e colore della crosta e l'aspetto della mollica, tuttavia il sapore e l'odore, considerati anomali, hanno inciso nel giudizio globale del prodotto che comunque è risultato sufficiente. Conclusioni I risultati ottenuti in questa ricerca dimostrano che, mediante l'utilizzo di formulazioni e tecnologie appropriate, gli sfarinati di quinoa perlata possono essere proposti come potenziali ingredienti/materie prime per la produzione di prodotti con migliorate caratteristiche nutrizionali e con accettabili proprietà sensoriali. Queste prime prove sono incoraggianti nell'ottica di ampliare la gamma di prodotto realizzati con sfarinati di quinoa con soddisfacenti caratteristiche sensoriali.

Tab. 2. Caratteristiche chimiche (g/100 g .s.s) della pasta e del pane con quinoa

Bibliografia Dini I, Schettino O, Simioli T, Dini A. Studies on the costituents of Chenopodium quinoa seeds: isolation and characterization of new triterpene saponins. J.Agric. Food Chem. 2001, 49: 741-746.

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Introduzione di nuove colture: La quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) Taviani P, Rubini A, Menconi L, Pieroni G, Damiani F Introduzione La richiesta di mercato per cibi sempre più differenti e ricchi di componenti salutari determinano una consistente modificazione della domanda dei prodotti alimentari. In questa ottica si è intrapreso un processo di introduzione di alcune colture esotiche nel nostro ambiente. La quinoa (Chenopodium quinoa willd.) specie originaria dell'America meridionale nella zona andina, è una specie erbacea annuale la cui forma coltivata C. quinoa subsp. quinoa (2n =4x=36) viene utilizzata nei sistemi agricoli presenti nei diversi paesi andini. E' uno pseudocereale che produce farine altamente proteiche (14-18%) con buon bilancio amminoacidico (Oelke et al., 1990) e prive di glutine. Può quindi essere proposta come alternativa al riso nell'alimentazione delle persone celiache. Prime sperimentazioni per l'introduzione di tale coltura nell'ambiente mediterraneo sono state condotte in Grecia ed hanno evidenziato che all'interno della specie esiste una variabilità tale da permetterne la coltivazione con buoni risultati anche in climi più caldi di quello andino (Karyotis et al., 2003). L'obiettivo dell'attività che viene riportata è reperire accessioni, valutarle e verificarne le potenzialità produttive nei nostri ambienti. Materiali e metodi Per il reperimento delle accessioni ci si è rivolti a ditte produttrici di sementi, a mercati locali, a banche del gemoplasma ed istituti di ricerca. È stata condotta una prova di valutazione a piante spaziate con un numero variabile di piante per accessione. In tale prova sono stati valutati su pianta singola 16 caratteri morfologici e fenologici scelti tra i descriptors specifici della specie (IPGRI, 1981); la variabilità complessiva è stata utilizzata per stimare il livello di similarità tra le accessioni utilizzando le distanze Euclidee per un'analisi cluster con il metodo UPGMA con il software NTSYS-pc. Inoltre è stato messo a punto un metodo di analisi molecolare basato su marcatori SSR (Mason et al., 2005) ed è stato utilizzato per valutare la variabilità genetica. E' stata eseguita una valutazione agroIstituto Genetica Vegetale CNR via Madonna Alta, 130 06128 Perugia 075 5014862, fax 0755014869, francesco.damiani@igv.cnr.

nomica di 4 accessioni, quelle con più seme disponibile, con una prova parcellare replicata con due repliche; è stata rilevata la produzione di seme per pianta e per unità di superficie e la produzione di biomassa per pianta. Tale prova è stata replicata con una semina autunnale. E' stata impiantata una prova per valutare la percentuale di incrocio della specie. A tale scopo sono state scelte combinazioni di parentali che risultavano facilmente distinguibili all'analisi molecolare, coppie di piante di due accessioni sono state messe in isolamento, il seme è stato raccolto separatamente su ciascuna pianta, è stato fatto germinare, è stato estratto il DNA dal singolo germinello ed esaminato per la per la presenza di alleli microsatellitari di origine paterna. In una prova condotta in camera di crescita, piante di 3 accessioni sono state allevate in condizioni di temperatura identiche e divise in due gruppi. Un gruppo era allevato con un fotoperiodo simulante la primavera (P) ed uno l'autunno (A). Dopo 16 settimane dalla semina è stato valutato lo sviluppo, la fioritura e la persistenza delle piante verificando quindi l'effetto del fotoperiodo sulla vitalità della pianta. Risultati In totale nel corso del biennio 2006-2007 sono state reperite 14 accessioni di origine geografica molto variabile e con struttura genetica altrettanto variabile (ecotipi, linee in miglioramento, varietà). A causa del ricevimento dilazionato delle sementi solo 10 accessioni sono state incluse nella prova di valutazione morfo-fenologica in cui sono stati valutati 10 caratteri quantitativi: altezza (in due date) fioritura, maturazione, n. ramificazioni, alt. ramificazioni, produzioni (seme e biomassa), peso del seme, disseminazione e 6 caratteri morfologici relativi a colore e forma di foglie e infiorescenza. Per l'insieme dei caratteri si è osservata un'ampia variabilità che ha permesso di disegnare un dendogramma di similarità . Tale risultato è stato confermato dall'analisi della variabilità genetica stimata fra tutte le 14 popolazioni tramite l'analisi molecolare di 9 combinazioni di primer SSR che su 74 campioni ha rilevato 76 alleli differenti, di cui 12 specifici di C. album L. una specie molto simile alla quinoa ed ampiamente diffusa nei nostri area-


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li. L'analisi cluster mostra una chiara distinzione della specie C. album da C. quinoa. Le accessioni di quinoa sono raggruppate in 2 cluster principali: quelle provenienti da Ecuador, Perù e Bolivia sono separate dal materiale di origine cilena e statunitense. I genotipi delle 2 varietà Regalona e Francia e delle linee in selezione W5 e Napoli, sono dispersi nello stesso cluster e non sono distinguibili come accessioni. Quattro accessioni sono state seminate in aprile ed un numero maggiore in ottobre. La semina primaverile ha mostrato uno sviluppo limitato delle piante ed una precoce entrata in fioritura, tale andamento non ha permesso il rilievo di molti caratteri ma ha reso possibile la raccolta del seme che, se derivato da autofecondazione, può essere utilizzato in successive valutazioni. Questa prova non è risultata tuttavia soddisfacente a causa della non regolare emergenza delle piante e del numero quindi molto variabile di individui a m2, tuttavia per una accessione si è prodotta una quantità di seme notevole. Il risultato della semina autunnaleha mostrato una buona emergenza delle piante che sono tuttavia andate incontro a forte diradamento. Tali informazioni insieme a quelle ottenute in semine su scala aziendale eseguite l'anno successivo presso due aziende agricole ha mostrato che tale pianta è lenta nell'insediamento, sensibile agli attacchi di fitofagi e debole competitore con le infestanti. L'individuazione della data ottimale di semina è quindi indispensabile. A tale proposito è stata eseguita una prova in camera di crescita per valutare l'effetto del fotoperiodo sullo sviluppo della pianta che ha mostrato come il giorno corto non sia favorevole e quindi non sia proponibile una semina anticipata all'autunno. La letteratura relativa al sistema di incrocio in quinoa è abbastanza discordante infatti viene riportata come specie autogama con solo il 10% di interincrocio (Taylor e Parker, 2002) ma è stato anche osservato un 30 % di incrocio interspecifico (Wilson e Manhart 1993). La discordanza dei dati porta a pensare che il genotipo e l'ambiente di crescita possano influire fortemente su tale aspetto. È stato impiantato un piccolo esperimento di incrocio a coppie tra piante di accessioni facilmente distin-

guibili per il profilo microsatellitare che mostra risultati non univoci. La progenie dell'accessione A1 risulta autofecondata, Otavalo mostra invece un 40% di individui derivati da impollinazione incrociata ma il basso numero di individui analizzati non permette di fare conclusioni oltre quella che in Otavalo può avvenire l'incrocio. L'accessione Francia presente in entrambi gli incroci ha un comportamento disomogeneo: nell'incrocio con A1 la progenie mostra un 20% di alloimpollinazione, nell'incrocio con Otavalo, al contrario, non si osservano progenie con alleli dell'altro parentale. Non è da escludere che fattori di incompatibilità genetica o fisiologica (diversa epoca di fioritura) possano determinare i risultati osservati, un esperimento su scala più ampia sarebbe necessario, l'unica conclusione possibile con tali risultati è che Chenopodium quinoa si autofeconda ma non è una specie strettamente autogama. In conclusione la quinoa è una specie che può fornire una produzione consistente anche nei nostri ambienti, ma per le sue caratteristiche di piccole dimensioni del seme, lentezza nell'emergenza, sensibilità all'aggressione di fitofagi nelle prime fasi di sviluppo necessità di un'ottimizzazione delle tecniche agronomiche e soprattutto di un approfondito lavoro di miglioramento genetico, la variabilità necessaria a tal fine sembra largamente disponibile. Letteratura citata IPGRI Descriptores de quinua. AGP:IBPGR/81/104, Agosto 1981 (www.ibpgr.cgiar.org). Karyotis T, Iliadis C, Noulas C, Mitsibonas T. Preliminary Research on Seed Production and Nutrient Content for Certain QuinoaVarieties in a Saline-Sodic Soil. J. Agronomy & Crop Science 2003 189: 402-408. Mason SL, Steven MR, Jellen EN, Bonifacio A, Fairbanks DJ, Coleman CE, McCarty RR, Rasmussen AG, Maughan PJ. Development and use of microsatellite markers for germoplasm characterization in quinoa (Chenopodium quinoa Willd.). Crop Sci. 2005 45:1618-1630.. Oelke A, Putnam DH, Teynor TM, Oplinger ES Quinoa. In: Alternative field crops manual. University of Wisconsin University of Minnesota - Cooperative Extension Febbraio 1990. Taylor JRN e Parker ML. Quinoa In: Pseudocereals and less common cereals (Belton P Taylor J, eds.) Springer Berlin 2002 pp 93-115. Wilson H e Manhart J. Crop/weed gene flow: Chenopodium quinoa Willd. and C. berlandieri Moq. TAG 1993 86:642648.


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Caratterizzazione molecolare di accessioni di carciofo di Pietrelcina Taviani P, Menconi L, Rubini A, Cozzolino E1, Leone V1, Damiani F Introduzione La valorizzazione del carciofo di Pietrelcina è una delle strategie proposte nel progetto COALTA1 per sostituire la coltivazione del tabacco nell'area del beneventano. Tale coltura diffusa da oltre un secolo nella zona presenta due significative caratteristiche che la rendono particolarmente interessante: la tardività che gli permette di fornire prodotto in un periodo in cui il carciofo locale è assente e l'alto contenuto di inulina che lo rendono particolarmene adatto per la terapia di disfunzioni meataboliche dei lipidi e dei glucidi (del Piano et al., 2006). L'analisi di tali caratteristiche in carciofaie della zona ha mostrato tuttavia una variabilità tra ed entro carciofaie che giustifica ulteriori studi per caratterizzare la variabilità entro piante dell'accessione e per definire un genotipo tipico di Pietrelcina che si disitngua anche molecolarmente dal carciofo Romanesco da cui indubitabilmente deriva. Lo scopo di tale lavoro è stato quindi lo studio tramite marcatori molecolari della variabilità genetica della specie Cynara scolymus L. con l'intento applicativo di definire un pattern molecolare distintivo di cv locali campane. Materiali e metodi E' stato estratto il DNA da 66 piante: 38 piante da 13 aziende della zona di Pietrelcina, 6 dell'ecotipo Pietrelcina conservato presso la banca del germoplasma del CRPV di Sassari (piante 7.x), 16 di carciofo Capuanello da due aziende (piante 5.x e 6.x), 4 di Romanesco recuperate in centro e sud Italia (9.x e 4.x), e due altre piante fuori tipo (8 ecotipo Scafati e 10 allungato umbro). L'analisi molecolare è stata eseguita valutando il polimorfismo di regioni microsatellitarie e il polimorfismo generato con la tecnica AFLP (Vos et al., 1995) utilizzando una sola coppia di primer derivati dalla restrizione con gli enzimi EcoRI e MseI ed utilizzando le basi selettive ACT e CAA ai due rispettivi siti di taglio. E' stata anche Istituto Genetica Vegetale CNR via Madonna Alta 130, 06128 Perugia 075 5014862, fax 0755014869, francesco.damiani@igv.cnr.it; 1Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco CRA, via Vitiello 116, 84018 Scafati (SA)

applicata la tecnica S-Sap che consiste nell'amplificazione di DNA ristretto con un primer ancorato al sito di taglio ed uno ricavato dalla sequenza di un retrotrasposone endogeno. Per l' S-Sap sono stati utilizzati primer ancorati al sito di taglio MseI aventi le basi selettive CAA, CAC e CAT in combinazione con un primer disegnato sul retrotrasposone CYRE5 (Acquadro et al., 2006). Nell'analisi dei risultati, i profili di ogni combinazione di primers sono stati riportati come dati di presenza assenza della banda per ogni campione costruendo una matrice binaria unica per S-SAP e AFLP, da cui è stata calcolata la matrice delle distanze genetiche con l'indice di Nei, seguita da una analisi cluster con il metodo UPGMA e rappresentata graficamente da un dendrogramma elaborato con il software NTSYS-pc (Rohlf, 1993). Per l'analisi dei microsatelliti ci si è basati sulle tecniche ed i primer sviluppati in carciofo da Acquadro et al (2003; 2005). Sono state utilizzate 12 combinazioni di primer SSR e per ogni coppia di primer è stato mantenuto il nome del codice del locus. Per un confronto diretto dei risultati ottenuti con i marcatori "multi-locus" (S-SAP e AFLP) e a "singolo locus" (SSR) è stata eseguita un'analisi di raggruppamento cluster con relativo dendrogramma anche dalla matrice della distanza genetica costruita con i marcatori SSR. Le due matrici sono state quindi combinate e con le stesse modalità si è costruito un dendogramma complessivo della variabilità genetica osservata. Risultati Dall'analisi AFLP e S-SAP si sono ottenute 141 bande polimorfiche, mentre l'analisi SSR condotta su 12 loci ha evidenziato la presenza di un totale di 26 alleli. Di questi, 3 alleli sono presenti in tutte le piante del controllo Pietrelcina (piante 7.x) e non condivisi con altre accessioni ad eccezione di uno con la n. 10. I dendogrammi ottenuti dall'analisi di similarità con i due tipi di marcatori danno risultati molto simili e l'ulteriore elaborazione ottenuta raggrupando tutti i dati è riportata in fig. 1. Solo due accessioni ( n.7 e n. 6) risultano omogenee e distinguibili, le 38 piante collezionate nella zona di Pietrelcina sono alquanto eterogenee,


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Caratterizzazione molecolare carciofo di Pietrelcina

Fig. 1. Dendogramma della distanza genetica tra le 66 piante di carciofo analizzate

hanno diversi alleli in comune con le piante di Romanesco utilizzate come controllo e non presentano gli alleli che caratterizzano le 6 piante di Pietrelcina collezionate dal CRPV di Sassari. Le due analisi con marcatori molecolari suggeriscono quindi che il materiale raccolto nell'area di Pietrelcina sia frutto di incroci avvenuti in passato e che in assenza di selezione siano rimasti in coltivazione diversi genotipi che evidentemente si sono adattati alle condizioni climatiche e alle pratiche colturali della zona di Pietrelcina. Resta da stabilire in prove agronomiche condotte nella zona di Pietrelcina ed anche in aree lontane se le caratteristiche di pregio siano peculiari dei materiali allevati attualmente nella zona e riottenibili anche altrove, oppure se è solo l'ambiente di coltivazione responsabile delle performance produttive indipendentemente dal materiale genetico coltivato ed infine se l'interazione genotipo ambiente abbia un effetto determinante nell'espressione dei caratteri di pregio.

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Colture da biomassa per l’alta valle del Tevere Menconi L, Taviani P, Damiani F Introduzione Nell'ambito delle iniziative di sviluppo e promozione delle fonti rinnovabili all'interno del territorio umbro recentemente è stato sottoscritto, dalla comunità Montana Alto Tevere Umbro e da otto Comuni del territorio, un Accordo di Programma finalizzato ad intraprendere delle iniziative integrate di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e dell'uso razionale dell'energia nell'ambito di un più vasto modello di sviluppo sostenibile. L'Accordo è finalizzato all'attuazione del Programma denominato "Energia Sostenibile Alto Tevere", attraverso il quale le Parti si impegnano ad ideare ed attuare iniziative per la produzione di energia da fonti rinnovabili tramite idonei progetti ed iniziative nel settore della ricerca e formazione in campo energetico ed ambientale. In questo contesto la produzione nel territorio di biomasse è irrinunciabile e lo sviluppo di colture destinate allo scopo sembra un'alternativa interessante alla coltivazione del tabacco. In tale ottica sono state impostate delle prove di valutazione agronomica di colture da fibra. Le specie da valutare sono state scelte in base alle seguenti considerazioni: 1) novità, poiché non si vede l'esigenza di un'ulteriore sperimentazione su colture già estensivamente studiate, 2) specie che da indagini preliminari condotte in ambienti diversi da quello in esame sono risultate meritevoli di attenzione (Venturi e Amaducci, 1998). Si è evitato di prendere in considerazione colture invasive, difficili da eliminare una volta impiantate, tipo la canna comune (Bell, 1998) ed il miscanto, per evitare all'agricoltore scelte impegnative nel tempo a fronte di una situazione relativa all'investimento delle strutture di produzione di energia che rimane purtroppo, nonostante tutte le emergenze ambientali e di indipendenza di approvvigionamento sopra enunciate, ancora condizionata dall'instabilità del prezzo dei prodotti petroliferi che è il principale stimolo all'adozione di politiche di sviluppo di energie alternative Istituto Genetica Vegetale CNR via Madonna Alta 130, 06128 Perugia 075 5014862, fax 0755014869, francesco.damiani@igv.cnr.it;

Materiali e metodi Si sono quindi utilizzate tre specie: sorgo da fibra (Sorghum bicolor), Kenaf (Hibiscus cannabinus) e canapa (Cannabis sativa) che garantiscono sviluppo di biomassa notevole e nel contempo possono avere un uso alternativo alla produzione di energia, in modo da offrire al produttore filiere alternative per il conferimento del prodotto. Per il sorgo sono state valutate 2 cultivar H952 e H133, per il kenaf la varietà medio-tardiva Tainung1 e per la canapa la varietà monoica Felina34. La sperimentazione è stata condotta per due anni consecutivi in 4 aziende poste all'interno del comprensorio coinvolto nell'Accordo di Programma sopra citato, sono tutte aziende tabacchicole 3 localizzate in pianura ed una in media collina. Le colture sono state valutate adottando un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con numero e dimensione delle parcelle variabile compatibilmente con la superficie a disposizione. Il primo anno si sono valutate le produzioni utilizzando pratiche agronomiche leggermente diverse per irrigazione e concimazione nel secondo anno invece in tutte le aziende sono state eseguite prove di confronto tra dosi diverse di concimazione azotata da 0 150 u/ha. Le semine sono state eseguite in nel periodo fine aprile seconda metà di maggio con le apparecchiature disponibili in azienda, nel secondo anno di prova sono state eliminate dallo studio la canapa ed una azienda. I caratteri rilevati sono stati: data di emergenza, in giorni dalla semina; percentuale di insediamento, calcolata contando il numero di piante insediate su un metro lineare, replicato 4 volte per parcella; altezza della pianta, su 4 piante prese a caso entro ciascuna parcella con cadenza bisettimanale (a partire dal 27°/45°giorno dalla semina fino alla fine di agosto; numero di foglie per pianta, sulle stesse piante su cui è stata misurata l'altezza è stato contato il numero di foglie sullo stelo principale; produzione sostanza fresca e secca per m2, in 3 m2 per parcella. Nel primo anno tale rilievo è stato eseguito a dicembre mentre nel secondo anno a metà settembre.


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Colture da biomassa per l’alta valle del Tevere kenaf seppure molto meno produttivo con 17 t/ha è risultato tuttavia molto stabile con variazioni di produzione tra il massimo ed il minimo di 7,5 t/ha contro le oltre 21 del sorgo ed inoltre è caratterizzato da una più bassa umidità del prodotto quando la raccolta viene ritardata, ciò riduce notevolmente i costi di essiccazione. La canapa non ha prodotto quantità apprezzabile di biomassa tranne in una azienda in cui comunque la produzione è risultata inferiore alle 6 t/ha, troppo bassa per un'utilizzazione energetica. I risultati del 2° anno non hanno fornito, a causa delle scarse precipitazioni, informazioni sull'effetto della concimazione azotata ed hanno mostrato, per la stessa ragione, una riduzione delle produzioni. La riduzione in produzione si è osservata in maniera più sensibile percentualmente sul kenaf mentre in valore assoluto sulla varietà di sorgo h952. Analizzando tali risultati per singola azienda si osserva un notevole polimorfismo con grosse riduzioni di produzione (Az. 3), ed inversione di tendenza nell'azienda di collina (Az. 2) che peraltro a differenza dell'anno precedente ha beneficiato di un regime irriguo più consistente. In conclusione si può riassumere la sperimentazione nei seguenti punti: 1) la canapa non sembra adatta per produzioni di biomassa ad uso energetico; 2) il sorgo ha grosse capacità produttive e tra le due varietà sperimentate la h133 è più produttiva e più stabile; 3) il kenaf ha produzioni molto inferiori rispetto al sorgo ma comunque accetabili, in particolare nel kenaf si riesce a ridurre l'umidità del prodotto ritardando la raccolta mentre ciò non viene osservato nel sorgo.

Tab.1. medie per accessione e per azienda dei caratteri produttivi rilevati nei due anni di sperimentazione

Risultati I due anni sono risultati molto contrastanti per regime termo-pluviometrico. Nell'annata agraria 2006 si è avuta una primavera con elevata piovosità distribuita per tutto l'arco primaverile, che ha ritardato le semine con particolare nocumento alla canapa. Tuttavia la piovosità ha sicuramente beneficiato lo sviluppo delle colture nei periodi successivi. Per contro il 2007 è stato estremamente siccitoso, nel periodo aprile-settembre si sono avuti 130 mm di pioggia in meno rispetto all'anno precedente (dati FAT Fattoria Autonoma Tabacchi di Cerbara, Città di Castello). Ciò ha innegabilmente influenzato la risposta delle colture come mostrato dall'analisi comparata dei dati riportati in tabella1. L'insediamento delle colture è stato molto variabile, pessimo per la canapa, buono per il sorgo h952. Il sorgo ha avuto un accrescimento costante ed ha raggiunto altezze notevoli. La canapa ha mostrato un notevole accrescimento nelle prime fasi di sviluppo e poi un rallentamento mentre il kenaf risulta lento e costante nell'allungamento che prosegue fino a tutto settembre. Le produzioni sono risultate molto variabili sia tra accessioni che tra aziende il sorgo ed in particolare la cv h133 è risultato nettamente superiore con oltre 38 t/ha di media e punte di oltre 50 t/ha, il

Bibliografia Bell GP. Biology and management of Arundo Donax, and approaches to riparian habitat restoration in southern California.The Nature Conservancy of New Mexico 1998 pp.104-114 Venturi G, Amaducci MT. Il progetto finalizzato PrisCA situazione e prospettive. L'informatore agrario 1998 46:37-43


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Confronto tra nuovi ibridi di pioppo da biomassa Bartolini S, Covarelli G Introduzione Prima di effettuare un impianto di SRF (Short Rotation Forestry) di pioppo per la produzione di biomassa, è importante scegliere con particolare attenzione il clone più adatto all'ambente pedoclimatico dove si vuole attuare la coltura. Recentemente sono stati selezionati nuovi ibridi capaci di elevata produttività e di adattarsi a diversi ambienti. Si è ritenuto opportuno eseguire una prova di confronto tra i migliori cloni disponibili. Materiali e metodi Nel 2006 e 2007, presso i campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo), sono state realizzate due prove di confronto varietale con ibridi di pioppo da biomassa recentemente selezionati per la coltivazione in impianti da SRF. La prova del 2006 prevedeva il confronto tra quattro ibridi di pioppo impiantati secondo due diversi sistemi e densità: fila semplice a bassa densità (5.500 piante a ha) e fila binata ad alta densità (11.000 piante a ha). I cloni di pioppo utilizzati erano: Monviso (Populus maximowiczii x P. nigra), Sirio (P. x euramericana), AF6 (P. x interamericana x P. x euramericana), AF2 (P. x euramericana). Lo schema sperimentale adottato per la prova è split plot con tre ripetizioni in cui le tesi di primo ordine erano costituite dai sistemi di impianto (fila semplice e fila binata) mentre le tesi di secondo ordine dai diversi cloni di pioppo. Le parcelle dove è stato adottato il sistema di impianto a fila semplice avevano una superficie di 63 m2 (9 x 7 m), mentre quelle con file binate di 73.5 m2 (10.5 x 7 m). Il sesto d'impianto adottato è di 3 x 0.6 m nel caso della fila semplice con una densità di 0.55 piante a m2, mentre per le parcelle a fila binata è di 3 x 0.48 m con una distanza tra le bine di 0.75 m e una densità di 1.1 piante a m2. Le parcelle sono state suddivise in due parti in Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856341 simone.bartolini@agr.unipg.it

modo tale da poter applicare due turni differenti di ceduazione; uno annuale e l'altro biennale. Nel 2006 la ceduazione delle piante è stata effettuata solo nella porzione di parcella a cui era stato assegnato il turno annuale, nel 2007 invece oltre ai ricacci dell'anno (turno annuale), sono state tagliate anche le piante di due anni del turno biennale. Nel 2007 è stata realizzata una prova di confronto varietale tra quattro cloni di pioppo: Monviso e AF2, rivelatisi i più produttivi nella prova dell'anno precedente e Orion e Baldo. Lo schema sperimentale che è stato adottato per la prova è il blocco randomizzato con tre ripetizioni con parcelle di 67.2 m2 (8.4 x 8 m). Il sesto d'impianto è di 2.80 x 0.5 m con una densità di 0.7 piante m2 (7.000 p.te per ha). Nelle prove è stata determinata la percentuale di attecchimento delle talee, la biomassa legnosa espressa come peso fresco e secco e la sua umidità. Sono state eseguite inoltre analisi sul raccolto per determinare il potere calorifico e il contenuto in ceneri. La coltivazione nei due anni considerati è stata condotta senza eseguire concimazioni. Sono state eseguite solo irrigazioni al momento dell'impianto per favorire l'attecchimento e erpicature per mantenere il terreno libero da malerbe. Risultati e discussione Nell'anno di impianto è stata rilevata un'alta percentuale di attecchimento delle talee, con valori in media tra il 97 e il 98 % (tab. 1). Sottoponendo i dati ad analisi della varianza non emergono differenze significative tra i diversi sistemi di impianto; ciò indica che la densità di impianto non influisce sull'attecchimento delle talee. Dai dati relativi alla produzione di biomassa secca del 2006 da piante di un anno, si evince che l'impianto ad alta densità a file binate consente di ottenere produzioni di poco superiori rispetto all'impianto a bassa densità a file semplici con produzioni medie rispettivamente di 4.6 e 3.6 t a ha. Va valutata quindi la convenienza economica di tali impianti considerando che aumentando la densità incrementano proporzionalmente anche le spese per la costituzione del pioppeto, mentre la produzione non è direttamente correlata al numero di piante per ettaro. Per quanto riguarda la produttività degli ibridi il clone Monviso è risultato il più produttivo mentre


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Tab. 1. Produzione di biomassa con turno di ceduazione annuale e biennale

SIRIO ha mostrato una minore produttività in tutte e due le tipologie di impianto. Nel 2007 la produttività delle piante di un anno del turno annuale è stata leggermente superiore a quella rilevata nel 2006 con in media 5,9 e 4,7 t ha-1 di biomassa fresca rispettivamente per l'impianto ad alta e bassa densità. In quest'anno non sono state rilevate invece differenze significative tra i diversi ibridi a confronto. La produzione ottenuta con piante di due anni (turno di ceduazione biennale) è stata doppia rispetto a quella ottenuta nello stesso anno dai ricacci di un anno. Non sono state osservate differenze significative tra i differenti sistemi di impianto ne tra gli ibridi a confronto. La produzione del turno biennale, in entrambe le tipologie di impianto, è stata superiore a quella totale ottenuta in due anni con due ceduazioni del turno annuale, con valori di biomassa fresca rispettivamente di 29.3 e 22.9 t ha-1 nel caso di impianto ad alta densità e di 21.6 e 17.7 t ha-1 a bassa densità di impianto. L'umidità della biomassa al raccolto è oscillata tra il 53 e 54 %. Nella prova di confronto varietale impiantata nel 2007, significativa è stata la differenza tra la percentuale di attecchimento nelle diverse tesi. I cloni AF2, Monviso e Orion hanno mostrato elevate percentuali di attecchimento mentre valori più bassi sono stati

osservati per l'ibrido Baldo. La produzione è stata mediamente bassa (2.6 t ha-1 di sostanza secca) rispetto a quella ottenuta in altre prove in quanto lo sviluppo iniziale delle piante è stato ostacolato da un estate particolarmente siccitosa nella quale, nei mesi da giugno ad agosto, le precipitazioni sono state inferiori di 45 mm rispetto alla media degli ultimi trenta anni. Significative sono state le differenze tra le tesi; i cloni più produttivi AF2 e Monviso (3.1 e 2.6 t ha-1 di sostanza secca). Conclusioni 1) La produzione ottenuta in due anni dal turno biennale, in entrambe le tipologie di impianto, è stata superiore a quella totale ottenuta nello stesso periodo con due tagli del turno annuale con valori di biomassa fresca rispettivamente di 29.3 e 22.9 t ha-1 Tab. 2. Produzione di biomassa con turno di ceduazione annuale (2007)


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Progetto Co.Al.Ta. II 83 nel caso di impianto ad alta densità e di 21.6 e 17.7 t ha-1 a bassa densità di impianto; 2) l'impianto ad alta densità (11.000 p.te ha-1) è leggermente più produttivo indipendentemente dal turno di ceduazione adottato di quello a bassa densità (5.500 p.te ha-1), tuttavia ne va valutata la convenienza economica; 3) le produzioni maggiori sono state ottenute con i cloni AF2, AF6 e Monviso; leggermente inferiori con Sirio, Baldo e Orion.

Letteratura citata Bonari E. 2005 Risultati produttivi del pioppo da biomassa. Terra e Vita, 10, pp. 69-73. Facciotto G., et al. 2006 I nuovi cloni di pioppo. Agricoltura, giugno, pp. 71-78. Facciotto G., et al. 2006 Produttività di cloni di pioppo e salice in piantagioni a turno breve. Atti 5° Congresso SISEF. Paris P., et al. 2005 Le nuove varietà di pioppo da biomassa garantiscono produttività interessanti. Informatore Agrario, 18, pp. 49-53


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Concimazione azotata del pioppo da biomassa Bartolini S Introduzione Tra le colture da biomassa per la produzione di energia il pioppo (Populus spp. L.) è di notevole interesse per l'elevata produttività e le caratteristiche qualitative della biomassa, in particolare potere calorico e contenuto in ceneri, migliori rispetto alla maggior parte delle colture erbacee. In un pioppeto da energia è fondamentale ottenere elevate produzioni ma affinché queste siano sostenibili dal punto di vista ambientale è necessario limitare gli input chimici e quindi diviene indispensabile determinare la dose di azoto che consente di ottenere le massime produzioni in modo da evitare apporti eccessivi con i rischi conseguenti per l'ambiente dovuti alla lisciviazione dei nitrati. Materiali e metodi Nel 2006 presso i campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo), è stata impiantata un prova di concimazione azotata su pioppo da biomassa con lo scopo di valutare la risposta della coltura a due diverse dosi di azoto: 37.5 e 75 Kg ha-1 anno-1 in confronto con un testimone non concimato. Lo schema sperimentale adottato per la prova è stato il blocco randomizzato con quattro ripetizioni con parcelle di 45 m2 (9 x 5m). Per la prova sono state impiegate talee dell'ibrido Monviso (Populus maximowiczii x P. nigra) che sono state messe a dimora su file semplici con un sesto di 3 m tra le file e 0,4 m sulla fila. Le parcelle sono state suddivise in due parti in modo tale da poter applicare due turni differenti di ceduazione; uno annuale e l'altro biennale. Nel 2006 la ceduazione delle piante è stata effettuata solo nella porzione di parcella a cui era stato previsto il turno annuale, nel 2007 invece oltre ai ricacci dell'anno (turno annuale), sono state tagliate anche le piante di due anni (turno biennale). Nelle prove in ciascuna delle annate considerate è Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856341 simone.bartolini@agr.unipg.it

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo aprile-ottobre 2006 e del poliennio.

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo aprile - settembre 2007 e del poliennio.

stata determinata la produzione di biomassa legnosa espressa come peso fresco e secco e la sua umidità. La coltivazione nei due anni considerati è stata condotta senza eseguire irrigazioni se non al momento dell'impianto per favorire l'attecchimento; inoltre non sono state eseguite concimazioni oltre a quelle azotate previste dal protocollo della prova. Sono state eseguite solo erpicature per mantenere il terreno libero da malerbe. Andamento climatico Nel 2006 (grafico 1) nel periodo da aprile a ottobre, le temperature sono state sempre al di sopra della media degli ultimi trenta anni eccetto che nella prima decade di giugno e nelle prime due decadi di agosto dove sono stati registrati valori inferiori alla media. Per quanto riguarda le precipitazioni nel periodo considerato, i mesi di maggio e giugno sono stati particolarmente siccitosi men-


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86 Bartolini et al Tabella 1. Produzione di biomassa con turno di ceduazione annuale e biennale

tre abbondanti sono state le precipitazioni nella seconda e terza decade di settembre. Complessivamente nel 2006 da maggio a settembre sono caduti 251 mm inferiori alla media del poliennio precedente che è stata di 302 m. Nel 2007 (grafico 2) nei mesi da aprile a settembre le temperature sono state sempre superiori alla media degli ultimi trenta anni eccetto che nella prima decade di agosto e settembre. Per quanto concerne le precipitazioni; scarse (2.8 mm) sono state le piogge dalla seconda decade di giugno alla terza decade di luglio e nelle prime due decadi di settembre. Complessivamente da aprile a settembre sono caduti 193 mm contro i 373 mm degli ultimi trenta anni. Risultati e discussione I dati rilevati nel 2006 e 2007 (tabella 1) non evidenziano differenze statisticamente significative tra le tesi per la produzione di biomassa in quanto la concimazione azotata non ha influenzato la produttività della coltura, molto probabilmente sono necessarie dosi di azoto superiori per avere incrementi produttivi significativi. La produzione del turno biennale, è stata superiore a quella totale ottenuta in due anni con due ceduazioni del turno annuale.

Risultati e discussione I dati rilevati nel 2006 e 2007 (tabella 1) non evidenziano differenze statisticamente significative tra le tesi per la produzione di biomassa in quanto la concimazione azotata non ha influenzato la produttività della coltura, molto probabilmente sono necessarie dosi di azoto superiori per avere incrementi produttivi significativi. La produzione del turno biennale, è stata superiore a quella totale ottenuta in due anni con due ceduazioni del turno annuale. Conclusioni 1) La prova mette in evidenza come sia possibile ottenere, adottando una tecnica di coltivazione a basso input, produzioni medie di circa 5 o 16 t ha-1 di sostanza secca nel caso di turno di ceduazione annuale o biennale. 2) Per quanto riguarda l'effetto della concimazione azotata l'impiego di 37.5 e 75 Kg ha-1 anno1 non ha comportato incrementi produttivi significativi. Bibliografia consultata AA. VV. 2002 Pioppicoltura. Produzioni di qualità nel rispetto dell'ambiente. Villanova Monferrato, Diffusioni grafiche. Minotta G. 2003 L'arboricoltura da legno: un'attività produttiva al servizio dell'ambiente. Bologna, Avenue media. Pari L., Civitarese V. 2005 Il pioppo da biomassa può essere una valida alternativa. Informatore Agrario, 18, pp. 55-58.


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Il diserbo del pioppo da biomassa Covarelli G, Pannacci E, Bartolini S Introduzione L'impianto di un pioppeto richiede che venga fatta particolare attenzione al controllo delle infestanti nelle prime fasi di sviluppo della coltura in quanto possono provocare scarso attecchimento delle talee e riduzioni dell'accrescimento superiori al 50% (Buhler et al., 1998). L'esigenza di un ottimo controllo delle infestanti in questa fase è ancora più sentito nel vivaio dove è fondamentale ottenere materiale vegetativo di buon vigore e di ottima qualità (Anselmi et al., 1983; Frison, 1997). Per il controllo delle malerbe la tecnica più efficace è quella di effettuare un trattamento chimico in pre impianto o appena dopo, con principi attivi ad azione residuale che consentono il controllo delle infestanti per almeno 46 settimane. Successivamente, nel caso fosse necessario, è possibile controllare le infestanti tra le file con mezzi chimici e meccanici mentre più problematico è il diserbo chimico sulla fila per la scarsa disponibilità di erbicidi selettivi quando distribuiti sulla vegetazione (Giorgelli, 1996). Un'altra problematica che si presenta al termine del ciclo produttivo di un pioppeto è l'eliminazione delle ceppaie. Questa operazione, necessaria per liberare il terreno per la coltura successiva, presenta alcuni inconvenienti, per i ricacci di pioppo dalle porzioni di radici lasciate in campo. Per evitare questo inconveniente, una tecnica che potrebbe essere efficace è quella di devitalizzare chimicamente le ceppaie prima dell'espianto, attraverso l'applicazione di principi attivi sistemici sulla vegetazione o subito dopo la ceduazione delle piante, direttamente sulla ceppaia. In questo modo gli eventuali residui di radici devitalizzate chimicamente non sono più in grado di generare ricacci. Allo scopo di dare risposta alle problematiche sopra esposte sono state realizzate alcune ricerche per individuare sia gli erbicidi da applicare in pre e post impianto selettivi per il pioppo sia quelli più efficaci per la devitalizzazione delle ceppaie di pioppo.

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856326 covarel@unipg.it

Materiali e metodi Negli anni 2006 e 2007 sono state realizzate quattro prove sperimentali su pioppo da biomassa: due sul controllo chimico delle infestanti in pre e post impianto e due sulla devitalizzazione chimica delle ceppaie. Per tutte le prove è stato utilizzato l'ibrido Monviso (Populus maximowiczii x Populus nigra). Diserbo chimico in pre impianto Oggetto della prova è stata la valutazione dell'efficacia di 6 erbicidi impiegati nel controllo delle principali infestanti del pioppo in pre impianto e della loro selettività nei confronti della coltura. Per la prova è stato adottato lo schema sperimentale a blocchi randomizzati con quattro ripetizioni e parcelle di 15 m2 (5 x 3 m). Per la valutazione dell'efficacia dei p.a., è stato eseguito 50 giorni dopo i trattamenti (GDT) un rilievo visivo sul ricoprimento delle infestanti secondo il metodo fitosociologico dell'abbondanza - dominanza di Braun - Blanquet. Per valutare la selettività dei p.a. verso la coltura è stato eseguito un rilievo visivo 42 GDT, mediante una scala convenzionale con valori da 0 a 10 (0 = fitotossicità nulla e 10 = morte della coltura). Inoltre è stata misurata l'altezza delle piante ed è stata raccolta la biomassa legnosa determinandone il peso fresco e secco e ciò non tanto con la finalità di valutare la produttività del pioppo, quanto gli effetti dei trattamenti sull'accrescimento delle piante. Tabella 1. Diserbo in pre impianto - principi attivi e dosi d'impiego.


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88 Covarelli et al Tabella 5. Devitalizzazione delle ceppaie - principi attivi e dosi d'impiego.

Diserbo chimico in post impianto L'obiettivo della sperimentazione è stato quello di valutare la selettività nei confronti del pioppo di 6 erbicidi impiegati in post-impianto della coltura, dei quali solo isoxaben autorizzato, al momento dell'impiego. I p.a. e le rispettive dosi d'impiego sono riportati in tabella 2. La prova è stata realizzata secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni e parcelle di 9 m2 (3 x 3 m). I trattamenti sono stati eseguiti con le stesse modalità già descritte nel diserbo di pre - impianto. Essendo già noto lo spettro di efficacia di questi principi attivi nei confronti delle principali infestanti, si è deciso di limitare le valutazioni alla sola selettività nei confronti del pioppo mantenendo le parcelle libere da malerbe. Per cui, sono stati eseguiti rilievi visivi per valutare la fitotossicità dei p.a. verso la coltura secondo una scala 0 - 10 (0 = nessun sintomo; 10 = coltura distrutta). E' stato inoltre determinato il peso fresco e secco sulla biomassa del pioppo.

Il diserbo del pioppo da biomassa.

Devitalizzazione chimica delle ceppaie di pioppo Nel 2007 sono state realizzate due prove sperimentali con l'obiettivo di individuare i p.a. più idonei per devitalizzare le ceppaie di due anni secondo due diverse modalità di applicazione: a) trattando la vegetazione costituita dai ricacci di un anno tagliati ad un metro di altezza; b) trattando le piante ceduate costituite dai ricacci tagliati a 10 centimetri. In entrambi i casi i ricacci sono stati tagliati appena prima dei trattamenti. I formulati commerciali e relativi p.a. impiegati sono riportati in tabella 5. Le prove sono state realizzate secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni e parcelle di 15 m2 (5 x 3 m). Per il trattamento sulla vegetazione è stata utilizzata una barra irroratrice tenuta alta 150 centimetri circa da terra in grado di erogare 1000 L ha-1 di acqua. Il trattamento sulle piante ceduate è stato eseguito in maniera localizzata in corrispondenza della fila per una larghezza di 50 centimetri utilizzando 600 L ha-1 di acqua. Per valutare l'efficacia dei p.a. applicati sulla vegetazione, sono stati eseguiti rilievi visivi a 21, 45 e 96 GDT per determinare la fitotossicità dei principi attivi (percentuale di tessuti lesi). L'efficacia dei principi attivi applicati sulle piante ceduate è stata invece valutata come percentuale di ceppaie senza ricacci rilevata a 45 e 96 GDT. Risultati e discussione Diserbo chimico in pre impianto

Tabella 7. Diserbo in pre impianto - Ricoprimento delle infestanti, altezza e biomassa di pioppo.


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Progetto Co.Al.Ta. II 89 Tabella 8. Diserbo in post impianto - Fitotossicità dei p.a. e biomassa di pioppo.

La flora infestante nel testimone non trattato, era composta da Helianthus annuus L. (presente per disseminazione nelle annate precedenti, 20%), Chenopodium album L. (6%) ed altre specie presenti in maniera sporadica come Echinochloa crus-galli L., Stachys annua L., Fallopia convolvulus L., Mercurialis annua L., Anagallis arvensis L., Convolvulus arvensis L., Polygonum aviculare L., Portulaca oleracea L., Amaranthus graecizans L. e Amaranthus retroflexus L.; 9% in totale (tabella 8). La selettività dei principi attivi è risultata buona in tutte le tesi ad eccezione di quelle in presenza di s-metolachlor dove si sono verificati effetti di fitotossicità caratterizzati da ingiallimento fogliare e riduzione nella taglia dei giovani germogli delle talee. Tali sintomi tuttavia sono risultati transitori scomparendo già dopo circa un mese dal rilievo, senza pregiudicare il successivo accrescimento delle piante come mostrano i dati sulla biomassa secca rilevati in settembre (tabella 7). La buona selettività dei trattamenti è confermata anche dalla percentuale di attecchimento delle talee che è risultata pari al 98%. Per quanto riguarda l'efficacia erbicida, tutti i trattamenti hanno mostrato buoni risultati senza differenze significative tra di essi. Diserbo chimico in post impianto Tabella 9. Devitalizzazione delle ceppaie di pioppo - applicazione sulla vegetazione.

Tra i principi attivi utilizzati, isoxaben, metamitron, clopyralid e triflusulfuron methyl si sono rivelati selettivi per la coltura mentre rimsulfuron e phenmedipham hanno esercitato fitotossicità, che si è manifestata con ingiallimenti della lamina e necrosi del lembo fogliare e con riduzione della taglia delle piante. Le produzioni rilevate nelle tesi sono mediamente molto al disotto della capacità produttiva della coltura, in quanto la raccolta della biomassa è stata effettuata in un'epoca molto anticipata rispetto a quella che consiglia la corretta tecnica colturale per evidenziare meglio gli eventuali effetti fitotossici dei p.a.. Le differenze di produzione tra le tesi, non sono risultate significative (tabella 8). Devitalizzazione chimica delle ceppaie di pioppo Applicazione sulla vegetazione Il trattamento sulla vegetazione è risultato complessivamente molto efficace. In cinque tesi su sei, si è osservato, il disseccamento delle piante presenti (tabella 9). Solo le piante trattate con il solo picloram sono sopravvissute riportando gravi sintomi fitotossici che ne hanno tuttavia, bloccato l'accrescimento. Applicazione su piante ceduate Il trattamento su piante ceduate senza ricacci si è dimostrato meno efficace rispetto all'applicazione sulla vegetazione in quanto in sole due tesi su sei è stata osservata la totale perdita della capacità di ricaccio delle ceppaie (tabella 10). La minore efficacia potrebbe essere dovuta a due fattori: ai principi attivi stessi che vengono assorbiti prevalentemente per via fogliare e solo marginalmente per via radicale e alla modalità di applicazione. L'applicazione del diserbante su una superficie limitata della pianta, quale la sezione del tronco Tabella 10. Devitalizzazione delle ceppaie di pioppo - applicazione su piante ceduate.


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ceduato, non consente alla stessa di assorbire la quantità di p.a. sufficiente a determinare la sua devitalizzazione. Per quanto riguarda le tesi con picloram, picloram + 2.4 D, glyphosate + solfato ammonico e triclopyr + fluroxypyr, il trattamento della ceppaia sembra aver solo rallentato l'attività vegetativa delle piante senza provocarne la devitalizzazione se non in poche piante. Risultati interessanti sono stati ottenuti dalle tesi con triclopyr e triclopyr + glyphosate dove il trattamento ha devitalizzato le ceppaie e non vi sono stati ricacci. Conclusioni 1) Oxadiazon, oxifluorfen e pendimethalin impiegati in pre impianto si sono dimostrati selettivi per il pioppo; moderati sintomi di fitotossicità si sono manifestati con s-metolachlor; 2) Nel trattamento in post impianto isoxaben, metamitron, clopyralid e triflusulfuron-methyl sono stati selettivi per la coltura mentre phenmedipham; e rimsulfuron hanno causato sinto-

mi di fitotossicità; 3) Per la devitalizzazione delle ceppaie il trattamento sui ricacci è stato molto efficace, con tutte le tesi eccetto che con picloram da solo; 4) Il trattamento su piante appena ceduate senza vegetazione è stato complessivamente meno efficace, tuttavia ottimi risultati sono stati ottenuti impiegando sia triclopyr da solo che in miscela con glyphosate. Bibliografia Anselmi N., Giorgelli A. 1983. Indagini sulle erbe infestanti nei vivai di pioppo di nuovo impianto. Atti del Convegno SILM "Le erbe infestanti fattore limitante la produzione agraria ", Perugia, 109-118. Buhler D.D., Netzer D.A., Riemenschneider E., Hartzler R.G. 1998. Weed management in short rotation poplar and herbaceous perennial crops grown for biofuel production. Biomass and Bioenergy, vol. 14, 4, 385-394. Frison G. 1997. Cure culturali al vivaio di pioppo. Informatore agrario, 22, 31-36. Giorgelli A., Vietto L. 1996. Fitotossicità verso il pioppo di principi attivi diserbanti distribuiti in post-emergenza. Atti Giornate Fitopatologiche, 1, 405-412.


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Sperimentazione su ibridi di sorgo (Sorghum vulgare Pers.) per impiego a fini energetici Covarelli G, Pannacci E, Bartolini S Introduzione Tra le colture erbacee coltivabili per la produzione di biomassa da impiegare nelle filiere agroenergetiche, il sorgo risulta particolarmente interessante sia per le elevate quantità di sostanza secca in grado di produrre sia per i bassi input energetici (irrigazioni, concimazioni ecc.) richiesti; aspetti fondamentali nel definire la sostenibilità economico-ambientale delle colture per usi energetici (Foti e Cosentino, 2001). La biomassa di sorgo, inoltre, in funzione dei diversi ibridi (da fibra o biomassa, foraggio, zuccherini), può essere utilizzata per ottenere diverse fonti di energia, dal materiale tal quale, al biogas e bioetanolo (Bonardi et al., 2007). A tal proposito, scopo della ricerca è stato quello di valutare le caratteristiche produttive di alcuni ibridi di sorgo, in un ambiente di coltivazione tipico del centro Italia. Materiali e metodi Nel biennio 2005-2006, in località Papiano (Marsciano - PG) presso il Laboratorio Didattico Sperimentale del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, dell'Università degli Studi di Perugia, sono state realizzate due prove sperimentali, su un terreno di tessitura argillo-limosa (43% limo, 35% argilla, 22% sabbia). Con un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni sono stati messi a confronto gli ibridi di sorgo riportati in tabella 1. Tra questi, Speedfeed e Grazer N data la bassa produzione di biomassa riscontrata nel 2005, sono stati sostituiti nel 2006, con Hikane II, SS405 e SS506 ibridi da foraggio caratterizzati da elevato contenuto in zuccheri fermentescibili. In entrambi gli anni, il sorgo è stato seminato il 17 maggio, a file larghe 0.5 m per gli ibridi da biomassa e 0.25 m per quelli da foraggio, con una quantità di seme tale da ottenere una densità di circa 30 piante m-2. L'emergenza è avvenuta 8 e 5 giorni dopo la semina rispettivamente nel 2005 e Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856326 covarel@unipg.it

Tabella1. Ibridi in sperimentazione

2006, mentre la concimazione è stata eseguita apportando ogni anno 75 Kg ha-1 di P2O5 al momento delle lavorazioni principali e 75 Kg ha-1 di N alla semina. L'irrigazione è stata eseguita con interventi di soccorso che hanno apportato, 600 m3 ha-1 nel 2005 e 1150 m3 ha-1 nel 2006. Per quanto non riportato precedentemente, si fa presente che la coltura è stata condotta secondo le pratiche colturali usuali per la zona. I rilievi eseguiti hanno riguardato l'altezza delle piante (determinata all'inserzione dell'ultima foglia), l'epoca di fioritura (determinata come data alla quale risultavano fiorite il 50% delle piante ed espressa in giorni dopo l'emergenza, GDE) e la produzione di biomassa fresca e secca a fine ciclo. Nel 2006, campioni di biomassa sono stati analizzati in laboratorio per determinare il potere calorifico superiore (PCS), il potere calorifico inferiore (PCI) e il contenuto in ceneri al fine di poter valutare il potenziale energetico della biomassa secca alla combustione. I dati raccolti sono stati sottoposti ad ANOVA per valutare l'errore sperimentale per ciascuna delle variabili rilevate. La significatività delle differenze tra le medie è stata saggiata con MDS protetta al livello di probabilità prescelto (p=0,05). Risultati e discussione Dai risultati ottenuti nel 2005 si evidenzia una maggior precocità del ciclo produttivo per gli ibridi da foraggio rispetto a quelli da biomassa con differenze in media di circa 25 giorni nei valori del periodo fenologico emergenza-fioritura (tabella 2).


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se si considera che l'andamento termopluviometrico durante il ciclo è risultato pressoché analogo nei due anni. Anche nel 2006 gli ibridi da biomassa hanno mostrato i valori più elevati di altezza delle piante, che hanno raggiunto, in prossimità della raccolta, oltre 3 m. I risultati delle analisi sulla valutazione del potenziale energetico della biomassa alla combustione non hanno Tabella 3. Risultati fenologici e produttivi dei diversi ibridi di sorgo - 2006. evidenziato differenze significative tra i diversi ibridi con valori medi di PCS pari a 18.0 ± 0.25 MJ Kg-1 di s.s., di PCI pari a 17.2 ± 0.26 MJ Kg-1 di s.s. e di ceneri pari al 7.2 ± 0.30 % sulla s.s. Sulla base del valore di PCI rilevato, è possibile esprimere la quantità di energia prodotta dalla combustione di una tonnellata di biomassa secca di sorgo come 0.41 tep (tonnellate di petrolio equivalente) (Fagnano e Postiglione, 2002), che equivale a dire che la comLa maggiore durata del ciclo vegetativo degli ibridi bustione della biomassa prodotta da un ettaro di da biomassa fa si che questi si accrescano maggiorsorgo, ad esempio 25 t ha-1 di s.s, produce la stessa mente rispetto a quelli da foraggio, come mostrano i valori delle altezze raggiunte dalle piante 75 giorni energia di 10.3 t di petrolio. Tabella 2. Risultati fenologici e produttivi dei diversi ibridi di sorgo - 2005.

dopo l'emergenza. A tal proposito, anche le produzioni di biomassa secca hanno mostrato differenze notevoli tra le due tipologie di ibridi: quelli da biomassa (H133 e H952), infatti, hanno prodotto in media 21.6 t ha-1 di sostanza secca, di molto superiore rispetto a quelli da foraggio (Speedfeed e Grazer N) per i quali la produzione media è risultata pari a 14.5 t ha-1, con valori di umidità della biomassa pari al 65-66% (tabella 2). Anche i risultati del 2006 hanno mostrato differenze significative nella lunghezza del ciclo produttivo tra i diversi ibridi, pur senza differenze sostanziali in media tra quelli da biomassa e quelli da foraggio (tabella 3). In particolare, si distinguono SS506 e H133 per il ciclo più lungo e Hikane II e H128 per il ciclo più breve. A tal proposito, come era da attendersi, si evidenzia un elevato grado di correlazione (r = 0.983) tra lunghezza del ciclo (periodo emergenza-fioritura) e produzione di biomassa secca nei diversi ibridi, con i più tardivi SS506 e H133 che hanno raggiunto, rispettivamente 27.3 t ha-1 e 26.3 t ha-1 di biomassa secca (tabella 3). Le produzioni di H133 e H952, più elevate nel 2006 rispetto al 2005, sono probabilmente da imputare ai maggiori apporti irrigui del 2006,

Conclusioni 1) gli ibridi più produttivi risultano H133 e H952 tra quelli da biomassa e SS506 tra quelli da foraggio; 2) l'elevata altezza della coltura può favorirne l'allettamento, soprattutto quando si verifichino condizioni meteorologiche favorevoli a tale fenomeno (piogge e venti forti); 3) l'elevata umidità della biomassa alla raccolta costituisce uno dei maggiori inconvenienti sia per la sua conservazione che per l'impiego tal quale; utile risulta il condizionamento (sfibratura) della biomassa in campo e successiva raccolta tramite imballatrici; 4) i valori di PCS e PCI risultano buoni ai fini del potenziale energetico della biomassa alla combustione, pur con l'inconveniente dell'elevato contenuto in ceneri. Bibliografia Bonardi P., Lorenzoni C., Amaducci S., 2007. L'informatore Agrario, 13, 37-40. Fagnano, M., Postiglione L., 2002. Rivista di Agronomia, 36, 227-232. Foti S., Cosentino S. L., 2001. Rivista di Agronomia, 35, 200-215.


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Effetti della concimazione azotata sulla produzione del sorgo da biomassa Bartolini S Introduzione Una delle caratteristiche di grande pregio della coltura del sorgo è l'elevata produttività superiore a molte altre colture erbacee, ottenibile con bassi input energetici. E' importante determinare la dose di azoto ottimale per ottenere la resa massima e nel contempo ridurre la lisciviazione dei nitrati. Per tali motivi negli anni 2005 e 2006 è stata realizzata una prova di concimazione azotata su sorgo da biomassa. Materiali e metodi Nel 2005 e 2006, presso i campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo), sono state realizzate due prove per valutare l'influenza sul sorgo di tre diverse dosi di azoto: 50, 100 e 150 kg ha-1 in confronto con un testimone non concimato. Lo schema sperimentale che è stato adottato è il blocco randomizzato, con quattro ripetizioni e con parcelle di superficie di 24 m2 (6 x 4 m). Per le prove è stato utilizzato l'ibrido H133 con una densità di semina di 31 semi per m2 con interfila di 50 cm. Nel 2005, la semina è stata effettuata il 17 maggio e l'emergenza è avvenuta il 25 dello stesso mese mentre nel 2006 la semina è stata eseguita il 15 maggio e l'emergenza è stata rilevata il 19. La coltura nei mesi da maggio a luglio è stata irrigata per aspersione, distribuendo attraverso tre interventi nel 2005 complessivamente 600 m3 ha-1 mentre nel 2006 con quattro interventi sono stati apportati 1150 m3 ha-1. Andamento stagionale L'andamento climatico del 2005 è stato caratterizzato da temperature che dalla fine di aprile fino alla Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856341 simone.bartolini@agr.unipg.

fine di luglio si sono mantenute per lo più al di sopra della media degli ultimi trenta anni, mentre successivamente, da agosto ad ottobre, queste sono risultate generalmente inferiori (grafico 1). Le precipitazioni registrate nei mesi invernali sono nella norma mentre sono da segnalare i mesi di giugno e luglio come particolarmente siccitosi e quelli da agosto a ottobre come particolarmente piovosi. Nel 2006 (grafico 2) le temperature dalla seconda decade di marzo in poi sono state leggermente superiori alla media del poliennio. Solo nella seconda decade di gennaio, marzo e nella prima decade di giugno sono stati registrati valori sensibilmente inferiori. Per quanto riguarda le precipitazioni, la pioggia caduta da gennaio fino al mese di ottobre è stata inferiore alla media degli ultimi trenta anni di 150 mm circa; abbondanti piogge sono state registrate nella seconda decade di settembre. Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo gennaio-ottobre 2005 e del poliennio

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo gennaio- ottobre 2006 e del poliennio.


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Tabella 1. Epoca di fioritura, biomassa secca e umidità

Risultati e discussione Nel 2005 non è stato possibile determinare la data di fioritura delle varietà a seguito del parziale allettamento della coltura già dopo circa 90 giorni dall'emergenza. Per quanto riguarda la produttività, la dose di azoto che ha massimizzato la produzione della coltura è stata 100 Kg ha-1; non sono stati osservati incrementi significativi con una dose di 150 kg ha-1. Quanto rilevato è in accordo con studi effettuati in altri istituti, i quali hanno osservato differenze non significative tra la produzione ottenuta apportando 100 e 150 Kg ha-1 di azoto in condizioni di regime irriguo sub ottimale mentre sono stati osservati incrementi produttivi considerevoli con la tesi maggiormente concimata con un irrigazione ottimale (Montemurro, 2002). Nel 2006 le varietà hanno fiorito in media dopo 105 giorni dopo l'emergenza senza differenze significative tra le tesi.

La produttività della coltura è stata mediamente superiore a quella del 2005; molto probabilmente conseguenza delle maggiori irrigazioni. Non sono state rilevate differenze significative tra le tesi per quanto riguarda la produzione di sostanza secca. L'umidità al raccolto nei due anni è stata in media del 68%. Conclusioni La dose di azoto che ha massimizzato la produzione della coltura, nelle condizioni in cui si è operato è stata di 100 kg ha-1. Bibliografia consultata Montemurro F., Colucci R., Martinelli N., 2002 Nutrizione azotata ed efficienza della fertilizzazione del sorgo zuccherino in ambiente mediterraneo. Rivista di Agronomia, 36, 313318. Monti A., Venturi G., Amaducci M.T. 2002 Confronto fra sorgo, kenaf e miscanto a diversi livelli di disponibilità idrica e azotata per la produzione di energia. Rivista di Agronomia, 36, pp. 213-220.


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Il diserbo pre e post-emergenza del sorgo da biomassa Pannacci E, Covarelli G, Graziani F Tabella 1. Notizie agronomiche delle due prove sperimentali Introduzione Nel diserbo del sorgo da biomassa, il trattamento di pre-emergenza assume un ruolo fondamentale al fine di garantire un buon controllo delle infestanti fin dalle prime fasi dopo l'emergenza della coltura, nelle quali la competizione delle malerbe può ridurre drasticamente la densità della coltura e comprometterne l'accrescimento (Rapparini, 2003). Nelle fasi successive del ciclo i problemi legati alla competizione con le malerbe diminuiscono in quanto la coltura rimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni si accresce piuttosto velocemente in altezza, rico- sono stati messi a confronto i trattamenti erbicidi di prendo rapidamente il terreno e limitando così pre e post-emergenza riportati nelle tabelle 2 e 3. I l'emergenza e lo sviluppo di nuove infestanti formulati commerciali impiegati sono: Challenge (Covarelli, 1999). Ciò fa si che il diserbo in post- (aclonifen 600 g L-1), Click 50 FL (terbutilazina 500 emergenza, risulti giustificato, solo nei casi di scarsa g L-1), Ramrod Flow (propaclor 480 g L-1), efficacia del diserbo di pre-emergenza o quando que- Primagram Gold (terbutilazina 187.5 g L-1 + s-metost'ultimo non sia stato eseguito. Sul piano operativo, lachlor 312.5 g L-1), Bi-Fen (MCPA 337 g L-1 + 2,4 inoltre, la scarsa disponibilità di erbicidi e l'efficacia D 331 g L-1), Emblem (bromoxinil ottanoato 20%), non sempre completa, rendono necessaria la valuta- Mondak 21 S (dicamba 243.8 g L-1). I trattamenti di zione dell'impiego di erbicidi in miscela allo scopo di post-emergenza precoce e tardiva sono stati eseguiti, aumentarne lo spettro d'azione mantenendo al con- rispettivamente, con la coltura allo stadio di 2-3 tempo una buona selettività (Meriggi e Catizone, foglie e 4-5 foglie. La selettività dei trattamenti erbi2001). Scopo della ricerca è stato quello di individua- cidi verso la coltura è stata valutata con rilievi visivi re, nel sorgo da biomassa, soluzioni di diserbo chimi- mediante una scala convenzionale con valori da 0 a co di pre e post-emergenza efficaci verso le piante 10 (0 = fitotossicità nulla; 10 = morte della coltura); infestanti e al contempo selettive nei confronti della inoltre, è stata rilevata anche la biomassa secca del sorgo. L'efficacia erbicida è stata valutata con rilievi coltura. visivi del ricoprimento delle specie infestanti e nel Materiali e metodi 2006 anche mediante conta e peso delle malerbe rileNel biennio 2005-2006, in località Papiano vate su 2 quadrati (0.5 m di lato) per ogni unità spe(Marsciano - PG) presso il Laboratorio Didattico rimentale. I dati raccolti sono stati sottoposti ad Sperimentale del Dipartimento di Scienze Agrarie e ANOVA per valutare l'errore sperimentale per ciaAmbientali, dell'Università degli Studi di Perugia, scuna delle variabili rilevate. La significatività delle sono state realizzate due prove sperimentali su un ter- differenze tra le medie è stata saggiata con MDS proreno di tessitura argillo-limosa (43% limo, 35% argil- tetta al livello di probabilità prescelto (p=0,05). la, 22% sabbia). Le notizie agronomiche relative alle due prove sperimentali sono riportate nella tabella 1. Risultati e discussione Per quanto non specificatamente riportato, si fa pre- Nel 2005, la flora infestante era composta da sente che la coltura è stata condotta secondo le prati- Amaranthus retroflexus L. (51% di ricoprimento), che colturali usuali per la zona. Con un disegno spe- Chenopodium album L. (22%), Portulaca oleracea L. (23%), Polygonum persicaria L. (29%) ed altre specie presenti in maniera sporadica (3%). La selettiDipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali vità dei trattamenti è risultata buona in tutte le tesi, Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee con lievi e transitori sintomi di fitotossicità nei trattaUniversità degli Studi di Perugia 075/5856342, menti di post-emergenza (tabella 2). In pre-emergenpannacci@unipg.it


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Conclusioni 1) tutti i trattamenti hanno mostrato una buona selettività; lievi e transitori sintomi di fitotossicità possono manifestarsi con i trattamenti in post-emergenza; 2) i trattamenti in pre-emergenza assicurano in genere una maggior efficacia rispetto a quelli in postemergenza; tuttavia tra i primi, mentre terbutilazina, sia da sola che in miscela con altri pp. aa., garantisce ottimi risultati, aclonifen e propaclor dimostrano una bassa efficacia nei confronti rispettivamente di A. retroflexus e P. oleracea; 3) in post-emergenza sono stati rilevati buoni risultati di efficacia da parte dei trattamenti impiegati con una minor attività della miscela (2,4D + MCPA) + terbutilazina; in presenza di P. oleracea risultati più soddisfacenti sono stati ottenuti dalla miscela bromoxinil + terbutilazina; 4) le rese produttive del sorgo, in termini di biomassa secca, non hanno mostrato differenze significative nei diversi trattamenti erbicidi; ciò per la presenza di infestanti poco competitive che anche se non completamente controllate non hanno influenzato in maniera significativa l'accrescimento del sorgo.

Tabella 2. Efficacia e selettività dei trattamenti erbicidi e biomassa del sorgo - 2005

za, i migliori risultati di efficacia sono stati ottenuti dalla terbutilazina sia da sola che in miscela con propaclor ed s-metolaclor. Aclonifen e propaclor hanno mostrato una scarsa efficacia soprattutto nei confronti di A. retroflexus. In post-emergenza sono stati rilevati buoni risultati di efficacia da parte di tutti i principi attivi impiegati anche se in misura minore per la miscela (2,4 D + MCPA) + terbutilazina. Nella produzione di biomassa secca del sorgo non si riscontrate differenze significative tra i trattamenti; tuttavia, la più bassa produzione è stata riscontrata nel testimone non trattato con 17.6 t ha-1. Nel 2006, la flora infestante era composta prevalentemente da P. oleracea (50%), A. retroflexus (5%) ed altre specie presenti in maniera sporadica (3%). I Bibliografia Covarelli G., 1999. Controllo della flora infestante le principali trattamenti in pre-emergenza hanno avuto una magcolture agrarie. Edagricole, pp. 209. giore efficacia rispetto a quelli di post-emergenza, Meriggi P., Catizone P., 2001. Il diserbo delle colture erbacee. In: Malerbologia, Pàtron Editore, pp. 925. tranne nel caso di propaclor per la scarsa efficacia mostrata verso P. oleracea (tabella 3). Nei trattamen- Rapparini G., 2003. Diserbo di pre e post-emergenza di mais e sorgo. Informatore Agrario, 10, 71-89. ti di post-emergenza i migliori risultati sono stati forniti dalla miscela bromo- Tabella 3. Efficacia e selettività dei trattamenti erbicidi e biomassa del sorgo - 2006 xinil + terbutilazina. La biomassa secca prodotta dal sorgo, come nel 2005, non ha mostrato differenze significative tra i trattamenti (tabella 3). Ciò va ricercato nella presenza di una flora infestante di scarsa entità e costituita da specie poco competitive che non hanno influenzato l'accrescimento del sorgo.


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Selettività di alcuni principi attivi per il diserbo del Miscanto Graziani F Introduzione Tra le colture erbacce per la produzione di biomassa il miscanto (Miscanthus x giganteus GREEF et DEU) è tra quelle più interessanti per l'elevata produttività e le caratteristiche qualitative della biomassa migliori rispetto alle altre colture erbacee. Fondamentale per la diffusione della coltura è mettere a punto la tecnica del diserbo individuando principi attivi selettivi che potrebbero in futuro essere registrati in quanto al momento non ne sono disponibili. Materiali e metodi Nel 2007 presso i campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo), è stata realizzata una prova sperimentale per valutare l'efficacia di 9 erbicidi di cui 4 applicati in pre impianto, uno in post impianto precoce (2-4 foglie) e 4 in post tardivo (4-6 foglie); nel controllo delle principali infestanti del Miscanto e la selettività nei confronti della coltura. I principi attivi usati e le dosi di impiego sono riportati in tabella 1. L'impianto dei rizomi è stato eseguito il 16 maggio su file distanti 0,50 m con una densità di 1,5 piante per metro quadrato. I trattamenti per le tesi di pre impianto sono stati eseguiti il 21 maggio

mentre quelli di post impianto precoce e tardivo rispettivamente 15 e 26 giorni dopo il impianto della coltura. La prova è stata realizzata secondo lo schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni e parcelle di 6.75 m2 (2.25 x 3 m). Ai fini della sperimentazione sono stati eseguiti rilievi per valutare la densità e la biomassa delle infestanti; il ricoprimento di queste secondo il metodo fitosociologico dell'abbondanza-dominanza di Braun-Blanquet, la selettività dei pp.aa. secondo una scala da 0 a 10 (0=nessun danno e 10= coltura distrutta) e la biomassa fresca e secca della coltura. Il ricoprimento e la fitotossicità sono stati rilevati 16 giorni dopo il trattamento di post impianto tardivo.

Risultati e discussione Per quanto riguarda la flora infestante nel testimone inerbito (tabella 2) è risultata costituita da Echinochloa crus galli L. (52% di ricoprimento), Digitaria sanguinalis L. (26%), Polygonum lapathifolium L. (10%), Convolvulus arvensis L. (9%), Solanum nigrum L. (5%), con un ricoprimento complessivo del 102%. In particolare il testimone ha presentato un'infestazione di specie monocotiledoni caratterizzata da un ricoprimento del 78%, mentre le specie dicotiledoni presentavano un ricoprimento del 24%. Contro questa flora infestante, tutte le tesi hanno mostrato un'elevata efficaTabella 1. Principi attivi, nome commerciale, dose e epoca di impiego. cia erbicida. I principi attivi usati in pre impianto hanno esercitato un ottimo controllo delle infestanti con valori di efficacia prossimi al 100%. Anche i trattamenti di post impianto si sono rivelati molto efficaci ad eccezione della tesi con tifensulfuron metile che ha esercitato uno scarso controllo sulle dicotiledoni in particolare su S. nigrum e C. arvensis. Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Per quanto riguarda la selettività dei principi Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee attivi questa è risultata buona in tutte le tesi; solo Università degli Studi di Perugia 075/5856334 nelle parcelle trattate con le formulazioni a base di covarel@unipg.it


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Tabella 2. Ricoprimento delle infestanti, fitotossicitĂ dei pp.aa., e biomassa secca del miscanto

infestante contro cui si è operato e alle dosi impiegate, tutti i prodotti si sono rivelati selettivi per la coltura. Conclusioni 1) Per il diserbo del miscanto sono disponibili principi attivi selettivi da impiegare efficacemente sia in pre che post impianto; 2) i migliori principi attivi selettivi per la coltura, sono stati pendimetalin, sulcotrione e tifensulfuron metile. Bibliografia consultata

oxifluorfen si sono manifestati lievi ingiallimenti fogliari allo stadio di 4-5 foglie che sono scomparsi dopo circa due settimane dal trattamento. I formulati maggiormente selettivi sono stati quelli a base di pendimetalin, sulcotrione e tifensulfuron metile. Possiamo affermare sulla base dei risultati ottenuti che contro la composizione della flora

Lewandowski I., Scurlock J.M.O., Lindvall E., Christou M. 2003. The development and current status of perennial rhizomatous grasses as energy crops in the US and Europe, Biomass Bioenergy 25: 335-361. Mckendry P. 2002. Energy production from biomass - overview of biomass", Bioresource Technology, 83: 37-46. Reynolds JH, Walker CL, Kirchner MJ. 2000.Nitrogen removal in switchgrass biomass under two harvest systems. Biomass & Bioenergy, 19(5), 281-286.


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Valutazione agronomica e qualitativa di varietà di girasole ad alto contenuto di acido oleico a destinazione industriale Monotti M. Introduzione L'olio di girasole prodotto da varietà "alto oleico" presenta notevole interesse per svariate utilizzazioni industriali (oltre che, ovviamente, come olio alimentare con particolari caratteristiche nutrizionali e salutistiche), in modo particolare per la produzione di biocarburanti e di altri prodotti sostitutivi di derivati petroliferi. Due aspetti, in particolare, assumono importanza ai fini della valutazione delle varietà alto oleico per le finalità predette: 1. l'accertamento delle potenzialità produttive degli ibridi disponibili sul mercato sementiero nelle condizioni agro-pedo-climatiche degli ambienti di riferimento del Progetto di ricerca (Italia centrale), dove il girasole potrebbe riassumere rilevante interesse quale coltura asciutta nei comprensori di pianura e di collina privi di disponibilità irrigue. In tali ambienti la coltura è soggetta alle alee derivanti da andamenti stagionali sempre più o meno avversi per sfavorevoli condizioni di piovosità, alte temperature ed elevati consumi evapotraspirativi. In simili contesti risulta indispensabile la valutazione delle reali possibilità produttive della oleifera attraverso la individuazione dei genotipi più adatti (in termini di precocità e di attitudine a valorizzare le limitate risorse rese disponibili da un opportuna tecnica di arido-coltura) nell'ambito del panorama varietale disponibile. Tale esigenza è tanto più sentita negli ambienti italiani, in quanto la totalità degli ibridi coltivabili è rappresentata da tipi costituiti in altri paesi (soprattutto in Francia), i cui profili pedoclimatici sono diversi e assai meno avversi di quelli che caratterizzano gli ambienti nostrani. 2. fondamentale presupposto delle colture nonfood è il contenimento dei costi di produzione, da ricercare sia attraverso il ricorso a itinerari produttivi quanto più semplificati possibile, sia mirando alla massimizzazione delle rese di biomassa. Sotto

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856334 covarel@unipg.it

questo aspetto gioca un ruolo importante, nel girasole, la difesa da malattie gravemente distruttive e penalizzanti le rese, in particolare dalla peronospora. Questa malattia rappresenta, infatti, il più forte condizionamento di natura fitopatologica per l'oleifera, a causa della aumentata frequenza degli attacchi, legata alla comparsa di nuove razze fisiologiche del parassita, e della potenziale elevata intensità degli attacchi. Nei riguardi di questo pericolo non vanno sottovalutate le difficoltà esistenti, sul piano della operatività pratica, per realizzare un'adeguata protezione delle colture attraverso trattamenti di concia del seme con prodotti antificomicetici. Materiali e metodi Nel 2006, presso i campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo), è stata realizzata una sperimentazione mirante a valutare il comportamento biologico-produttivo di 15 varietà "alto oleico", tutte di provenienza estera (Francia e Spagna), prescelte in base all'ineludibile requisito della resistenza genetica alla peronospora (risultante da documentazioni bibliografiche ufficiali o da indicazioni formalmente rilasciate dalle ditte sementiere distributrici), almeno nei confronti delle razze fisiologiche del parassita di accertata diffusione negli areali elianticoli italiani. Oltre le predette varietà alto oleico sono state incluse nella prova tre cultivar convenzionali quali tipi di confronto per adattamento e produttività negli ambienti di riferimento, caratteri accertati da precedenti sperimentazioni ivi condotte per più anni. Le 18 varietà a confronto sono elencate nella tabella 1. Nel 2007 la prova è stata ripetuta secondo le stesse modalità con l'unica differenza che le varietà messe a confronto sono state 30, di cui 26 alto oleico e 4 convenzionali come riferimento per adattamento e produttività negli areali del centro Italia. Le varietà oggetto della sperimentazione del 2007 sono riportate in tabella 2.


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Girasole ad alto contenuto di acido oleico...

Tabella 1. Prova di confronto varietale su girasole 2006 - cultivar alto oleico e convenzionali in prova

Tabella 2. Prova di confronto varietale su girasole 2007 - cultivar alto oleico e convenzionali oggetto della provaa

Risultati Nel 2006 sono state messe in evidenza diverse varietà "alto oleico" non inferiori alle migliori cultivar convenzionali per quanto riguarda rese areiche in acheni e in olio e contenuto in olio degli acheni. Quasi tutte le varietà risultate migliori per i parametri produttivi hanno espresso percentuali di acido oleico molto elevate, da 88% a oltre 90% . Estrema importanza riveste il fatto che le varietà predette non abbiano subito attacchi di peronospora, il che consente di poterle proporre con relativa tranquillità per la coltivazione in pieno campo. Con riferimento alla predetta malattia sono stati osservati, in certe altre varietà, attacchi di significativa intensità, non chiaramente spiegabili se si tiene conto delle resistenze dichiarate. Accertamenti di assoluta attendibilità sulla risposta delle varietà alle varie razze esistenti del parassita sono ormai da considerare un'esigenza urgente e non eludibile.

La sperimentazione svolta nel 2007 conferma quanto osservato l'anno precedente. Tra le prime sei varietà per produttività superiore a 3.1 t ha-1, ci sono quattro cultivar convenzionali di cui LINSOL è la più produttiva con 3.2 t ha-1. Per quanto concerne la produzione in olio risulta che tra le prime sei cultivar tre sono convenzionali, delle quali due (TELLIA e LINSOL) si distinguono per essere le più produttive con una resa in olio superiore a 1.5 t ha-1. La sperimentazione mette in luce che le varietà convenzionali fino ad ora coltivate negli areali del centro Italia possono essere impiegate con successo anche per la produzione di olio a destinazione energetica. Inoltre, diverse cultivar alto oleico di recente costituzione si sono dimostrate idonee per tale finalità. Per quanto riguarda la resistenza alla peronospora non è stato possibile realizzare un accertamento probante per la limitata presenza di questo fungo, concretizzatasi in percentuali massime di piante infette del 1.7% nei casi peggiori; ciò, verosimilmente, a causa della assenza di piogge e di umidità libera nel terreno durante le fasi di germinazione dei semi.


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Confronto tra diversi ibridi di pomodoro (Lycopersicon esculentum Mill.) di tipo Cherry r Mini plum a pianta determinata Peccetti G, Lorenzetti M.C, Bartolini S Introduzione Con la riduzione delle sovvenzioni della U.E. alla coltivazione del tabacco da alcuni anni si cerca di mettere a punto la tecnica colturale di specie agrarie alternative a questa coltura. Ciò soprattutto nelle regioni, quale l'Umbria, dove il tabacco è largamente coltivato e costituisce un'elevata fonte di reddito. L'U.E., tramite il M.I.P.A.A.F. sensibile a questa problematica, ha finanziato negli anni 2002 - 06 ricerche su probabili colture alternative al tabacco (Co.Al.Ta 2). Materiali e metodi Negli anni 2006 - 07 con l'obiettivo di fornire agli imprenditori agricoli la verifica della redditività di alcune colture industriali e orticole sono state eseguite prove su pomodoro tipo mini plum e cherry denominati, seppur impropriamente datterino e ciliegino. Scopo specifico della prova era quello di saggiare la produttività di alcuni ibridi già in commercio ed altri ancora in sperimentazione ed il loro adattamento alle condizioni pedoclimatiche dell'Italia centrale dopo la larga diffusione avuta al sud Italia. La sperimentazione si è svolta nei campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo). Con schema sperimentale a blocchi randomizzati, con quattro ripetizioni, sono stati messi a confronto sia nel 2006 che nel 2007 gli ibridi Micron, Quorum, Minuet e Penny costituiti dalla ISI sementi; il primo della tipologia cherry mentre gli altri di tipo mini plum. Le singole parcelle avevano una dimensione di 24 m2. Il pomodoro è stato trapiantato il 24 maggio nel 2006 ed il 25 dello stesso mese nel 2007 con una Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856334 covarel@unipg.it

densità di 3 piante a m2 disposte su file distanti 100 cm e 33.3 sulle file. La coltura è stata concimata all'impianto con 75 kg ha-1 di P2O5 nella forma di perfosfato triplo e 150 kg ha-1 di N sotto forma di urea. La coltura è stata diserbata in pre trapianto con metribuzin (Sencor WG alla dose di 0,8 kg ha-1). Per la difesa dalle crittogame in giugno e luglio è stato eseguito un trattamento con ossicloruro di rame più zolfo (Pasta Siapa blu) nonché con metalaxyl 2.5% più ossicloruro di rame 40% (Ridomil gold R) e penconazolo 10.2% (Topas); questi trattamenti sono stati ripetuti in agosto in entrambi gli anni; nella fase terminale del ciclo della coltura il pomodoro è stato trattato con azoxystrobin al 23,2% (Ortiva). Per la difesa dagli insetti, in giugno, è stato usato imidacloprid al 17.1% (Confidor), in luglio bifetrin al 2% (Brigata Flo), in agosto nel primo anno procimidone 50% (Sialex 50 WDG). Tutti questi interventi hanno consentito di avere la coltura al raccolto priva di danni da parassiti vegetali ed animali. La prova è stata sottoposta ad un regime irriguo mediante impianto a goccia con il quale sono stati distribuiti in nove interventi nel 2006 e tredici nel 2007 rispettivamente 3000 e 3500 mc di acqua ad ettaro. Il 7 settembre nel primo anno ed il 24 agosto nel secondo è stato raccolto il pomodoro determinandone la resa in bacche rosse, invaiate e verdi, il peso unitario, i gradi Brix, pH e sostanza secca. Andamento climatico Nel 2006 (grafico 1) nel periodo da maggio a settembre, le temperature sono state sempre al di sopra della media degli ultimi trenta anni eccetto che nella prima decade di giugno e nelle prime due decadi di agosto dove sono stati registrati valori inferiori alla media. Per quanto riguarda le precipitazioni nel periodo considerato, i mesi di maggio e giugno sono stati particolarmente siccitosi mentre abbondanti sono state le precipitazioni nella seconda e terza decade di settembre. Complessivamente nel 2006 da maggio a settembre sono caduti 251 mm inferiori alla media del poliennio precedente che è stata di 302 mm.


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Peccetti et al

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo maggio-settembre 2006 e del poliennio

Tabella 1. Produzioni in t ha-1

Nel 2007 (grafico 2) nei mesi da maggio a settembre le temperature sono state sempre superiori alla media del poliennio eccetto che nella prima decade di agosto e settembre. Per quanto concerne le precipitazioni; scarse sono state le piogge dalla seconda decade di giugno alla terza decade di luglio e nelle prime due decadi di settembre. Complessivamente nei mesi considerati sono caduti 184 mm contro i 302 mm degli ultimi trenta anni.

Confronto ibridi di pomodoro...

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo maggio - settembre 2007 e del poliennio

Anche nel secondo anno la produzione è risultata alquanto elevata ottenendo in media circa 85 t ha-1; le diverse varietà non si sono differenziate statisticamente tra di loro. La cv. Penny con le caratteristiche tipiche del miniplum ha fatto registrare il peso unitario più elevato che è stato quasi triplo nel 2006 (32.8 g) rispetto alla media degli altri tipi di circa 12 g (tabella 2). Il grado Brix sia nel primo che nel secondo anno è stato superiore nelle varietà Minuet (5.7) e Quorum (5.5). La precocità delle diverse cv. si può evidenziare con la percentuale di bacche verdi al momento della raccolta contemporanea delle diverse tesi. Il minimo quantitativo è stato registrato nel primo anno con Quorum e Minuet mentre nel secondo anno con Penny. La cultivar Micron, di tipo cherry si è contraddistinta per essere la più tardiva.

Conclusioni Risultati e discussione Nella tabella 1 sono riportate le produzioni e le 1) Le varietà usate di pomodoro di tipo cherry e mini plum hanno dimostrato un'ottima adattabicaratteristiche merceologiche delle diverse varietà a lità alle condizioni pedoclimatiche dell'Italia confronto; nel 2006 l'ibrido Quorum è stato il più centrale fornendo produzioni di circa 90 t ha-1, -1 produttivo con 95.6 t ha di bacche mature. poco inferiori a quelle da pelato e concentrato; Produzioni inferiori, seppur non significative, hanno fornito Minuet e Penny. La varietà Micron si è palesata la più tardiva in Tabella 2. Caratteristiche merceologiche quanto al momento del raccolto aveva 40 t ha-1 di bacche invaiate e verdi. Per la ingente massa vegetativa si è dovuto fare una raccolta contemporanea delle diverse varietà e non scalare che verosimilmente avrebbe evidenziato una migliore resa del Micron.


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Progetto Co.Al.Ta. II 103 2) se vi fossero gli opportuni sbocchi commerciali per la vendita del prodotto questa coltura potrebbe costituire una valida alternativa al tabacco; 3) il grado Brix è stato più elevato nelle varietà Minuet e Quorum; 4) il peso unitario delle bacche è oscillato tra 11 e 13 g nelle varietà Minuet, Quorum e Micron mentre più elevato nella varietà Penny (circa 30 g).

Bibliografia consultata A.A. V.V. 1999 Pomodoro da mensa cherry. Informatore Agrario,20. Parisi M. et al. 2007 La scelta varietale in Campania e Puglia. Informatore Agrario, 2. Pentangelo A. 2004 Tecnica colturale e qualità del pomodorino "cherry". Informatore Agrario 16. Pentangelo A. 2004 Cultivar di pomodorino "cherry" per le aree interne collinari. Informatore Agrario 11. Piazza R. 1999 Il consumatore lo riconosce con vari nomi... ma è sempre cherry. Informatore Agrario, 20. A.A. 1999 Gli ibridi disponibili per il pomodoro Cherry. Informatore Agrario, 20.


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Stevia (Stevia rebaudiana Bertoni),produttività, concimazione e diserbo in Umbria Covarelli G, Peccetti G, Pannacci E, Graziani F Introduzione Stevia rebaudiana (Bertoni), un'asteracea originaria del Sudamerica ad habitat subtropicale, è attualmente coltivata in vari paesi per le proprietà dolcificanti del complesso di glucosidi contenuti nelle foglie. Stevioside e rabaudioside hanno un potere dolcificante molto superiore a quello dello zucchero, non apportano calorie e non alzano il livello di glucosio nel sangue, sono stabili alle alte temperature (200° C), non interferiscono con i componenti degli alimenti e non fermentano. La stevia può essere impiegata sotto forma di foglie fresche, foglie in polvere, estratto di polvere, o concentrato liquido di estrazione acquosa e/o idroalcolica. I prodotti ottenuti dalla stevia hanno impieghi analoghi ai dolcificanti artificiali a basso contenuto calorico e sono utilizzati soprattutto come dolcificanti per migliorare il gusto di alimenti e bevande. L'Unità UNIPE ha valutato la risposta della specie alla concimazione, al diserbo chimico, la produttività e l'influenza della selettività di alcuni erbicidi nei confronti della coltura. Materiali e metodi Nel biennio 2006-07 sono state eseguite quattro prove sperimentali per verificare questa asteracea nelle condizioni pedo-climatiche dell'Italia centrale la produttività, l'influenza della concimazione azotata e la possibilità di eliminare la sua flora infestante con il diserbo chimico selettivo. La sperimentazione si è svolta in entrambi gli anni, nella media valle del Tevere, nei campi sperimentali del Laboratorio Didattico Sperimentale della Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali della Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Perugia. Il terreno sede delle prove è argillosabbioso ( 40% sabbia, 33% argilla e 27% limo). In entrambi gli anni è stato adottato lo schema sperimentale a blocchi randomizzati con quattro ripetizioni; la densità d'impianto è stata di 6 piante Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856334 covarel@unipg.it

a m2 e le parcelle avevano una dimensione di 4 m2. Il trapianto è stato effettuato l'11 maggio sia nel primo che nel secondo anno. Per l'effetto della concimazione azotata sulla coltura sono stati somministrati 20 giorni dopo il trapianto, sia nel primo che nel secondo anno, 0,50 e 100 kg ha-1 di azoto sottoforma di urea. Per la messa a punto del diserbo chimico sia nel 2006 che nel 2007 prima del trapianto, avvenuto sempre contemporaneamente a quello delle prove di concimazione, è stato sperimentato l'erbicida Stomp (pendimentalin al 31,7%) alla dose di 3 l ha1 e, 33 giorni dopo, Challenge (aclonifen 49%) alla dose di 2,5 l ha-1 e Targa gold (quizalofop-etile isomero D al 5,2%) alla dose di 2,5 l ha-1. Sia le prove di concimazione che di diserbo sono state irrigate a goccia ricevendo nel 2006 700 mc di acqua e nel 2007 850 mc ad ettaro. Sono state eseguite periodiche osservazioni sullo sviluppo della stevia, sul ricoprimento delle piante infestanti e sulla selettività degli erbicidi nei confronti della coltura. In tutte le prove alla raccolta è stato determinato il peso fresco e secco della parte aerea delle piante di stevia e la percentuale di foglie in essa contenute. Ciò è avvenuto il 12 luglio e 22 settembre nel primo anno ed il 2 luglio e 10 ottobre nel secondo. Risultati a) Resistenza al freddo Le piante oggetto della sperimentazione sono state lasciate in campo allo scopo di valutare la resistenza della specie alle basse temperature. A marzo 2007 si è potuto verificare che il 60% delle piante aveva resistito ai rigori invernali e si apprestavano a riprendere a vegetare. Si sottolinea il fatto che l'inverno 2006-07 non è stato particolarmente rigido; nel sito dove si sono svolte le prove, le temperature minime raggiunte, nella prima decade di gennaio, sono state intorno ai meno 5 gradi centigradi. Dall'analisi dei dati dell'ultimo trentennio si può notare che durante i mesi invernali nella località dove si è svolta la prova, si verifichino tempe-


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Covarelli et al

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del 2006 e del poliennio.

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo gennaio - settembre 2007 e del poliennio

Stevia...

a confronto. Nel primo taglio il quantitativo di foglie è stato superiore di circa il 25% rispetto al secondo. Questi valori sono molto importanti in quanto nelle foglie di stevia si estrae il 70% dello stevioside, composto con potere edulcorante. c) Diserbo chimico L'infestazione sviluppatasi nel controllo non trattato è stata molto elevata con valori di ricoprimento totali, con più strati di vegetazione, superiori al 100% (tabella 2). Le piante infestanti maggiormente presenti erano: Portulaca oleracea con l'80% di ricoprimento, Digitaria sanguinalis (46%), Amaranthus retroflexus (31%), Echinochloa crus-galli (25%) ed altre. Il diserbo di pre-trapianto ha fornito risultati superiori ai trattamenti di post-trapianto. Più importante dell'efficacia erbicida dei principi attivi usati, già ben nota, è la selettività nei confronti della coltura che finora non era stata mai verificata. Ottima è stata quella del pendimentalin (Stomp) nei confronti della stevia sia nel primo che nel secondo anno in pre-trapianto. Con le colture in atto (post-trapianto) si è ripetuta la selettività del suddetto p.a. e buona è stata quella dell'aclonifen, mentre leggeri sintomi di fitotossicità evidenziati da malformazioni delle foglie di stevia sono stati causati da quizalofopetile isomero D. Al termine di un biennio di sperimentazione, nelle condizioni in cui si sono svolte le prove, si possono trarre le seguenti conclusioni.

rature abbondantemente al disotto di questi valori intorno ai -10 -12 °C. Ne consegue che per poter esprimere un giudizio più attendibile, occorra verificare il comportamento della specie a questi valori di temperatura. Conclusioni b) Concimazione azotata L'effetto dell'azoto si è manifestato soprattutto nel 1) Nelle condizioni climatiche della media valle del Tevere, con temperature scese a -7°C vi è secondo taglio cioè nei ricacci vegetativi; con la -1 stata una perdita di vitalità delle piante di stevia dose di 100 kg ha di N si è avuta la produzione più -1 tale da indurre al suo trapianto primaverile ed elevata di sostanza secca che è stata di circa 3 t ha -1 effettuare in primavera - estate due tagli della nel primo taglio e circa 9 t ha nel secondo (tabella 1). Produzioni netta- Tabella 1. Biomassa fresca mente inferiori, soprattutto nel secondo periodo, si sono avute con 50 kg ha-1 di N. L'altezza della coltura non è stata influenzata da alcuna tesi. La percentuale di foglie sulla parte area della pianta è stata nel primo anno di circa il 70% e nel secondo del 65% e non è stata influenzata dalle diverse tesi


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Progetto Co.Al.Ta. II 107 Tabella 2. Prova di diserbo su stenia - Rilievi del 30/06/2007.

coltura; non può avere l'habitus della poliennalità; 2) la produttività di questa specie, con la somministrazione di 100 kg ha-1 di azoto, si è ottenuta sia (nel ciclo primaverile estivo) del primo e del secondo anno su circa 3 t ha-1 al primo taglio (giugno) e circa 9 t ha-1 nel secondo (settembre) per un totale di 11 t ha-1 di sostanza secca con un investimento di 6 piante m2; 3) la concimazione azotata che ha fatto maggiormente incrementare la resa della stevia è di 100 kg ha-1 di N; 4) per eliminare dalla coltura le erbe infestanti sia in pre che in post trapianto ottima selettività si è avuta con pendimentalin ed in post trapianto con aclonifen. Bibliografia consultata Andolfi L., Ceccarini L., Machia M. 2002. Caratteristiche bioa-

gronomiche di Stevia rebaudiana. Informatore Agrario, 23: 48-51. Brandle J.E., Starrat A.N., Gijzen M. 1998. Stevia rebaudiana: its agricultural, biological and chemical properties. Canadian Journal of Plant Science, 78: 527-1266. Cioni P.L., Morelli I., Andolfi L., Ceccarini L., Macchia M. 2006. Qualitative and quantitative analysis of essential oil of five lines Stevia rebaudiana Bert. genotypes cultivated in Pisa (Tuscany, Italy), Italian Journal of Agronomy, 18:76-79. Fronda, D.; Folegatti, M.V. 2003. Water consumption of the stevia (Stevia rebaudiana Bert.) crop estimated through microlysimiter. Scientia Agricola, 60-3: 595-599. Geuns, J.M.C. 2003. Stevioside. Phytochemistry, 64: 913-921. Lowering, N.M; Reeleder, R.D. 1996. First report of Septoria Steviae on stevia (Stevia rebaudiana) in North America. Plant Disease, 80:959. Macchia, M.; Andolfi L.; Ceccarini, L.; Angelini, L.G. 2007. Effects of temperature, light and pre-chilling on seed germination of Stevia rebaudiana (Bertoni) Bertoni Accessions. Italian Journal of Agronomy, 1:55-62. Tan, S.; Ueki, H. 1994. Method for extracting and separating sweet substances of Stevia rebaudiana Bertoni. Jap. Patent 06-007108.


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Confronto tra nuove cultivar di lattuga (Lactuca sativa L.) Peccetti G Introduzione Tra le colture orticole per la produzione sulla IV gamma particolare importanza assumono i diversi tipi di lattuga. Si è ritenuto opportuno, nelle condizioni pedo-climatiche dell'Umbria, determinare la produttività di diverse varietà di lattuga a raccolta precoce.

Tabella 1. Data di raccolta, durata del ciclo e peso della biomassa fresca

Materiali e metodi Nel 2006 presso i campi sperimentali della sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo-sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo), è stata realizzata una prova di confronto varietale tra sette cultivar di lattuga (Lactuca sativa L.) destinate alla IV gamma. Le varietà impiegate: ISI 45717 (in corso di registrazione), NIVES, CHOSPER, ISIRA, MATADOR, ANUBI, SENTRY appartengono a quattro tipologie: lollo bionda, multilieaf, foglia di quercia e lollo rossa. Lo schema sperimentale adottato è stato il blocco randomizzato con quattro ripetizioni con parcelle di 6 m2 (1,5 x 4 m). Le piantine sono state trapiantate il 16 maggio. Nei mesi tra maggio e luglio sono stati distribuiti attraverso sei irrigazioni per aspersione circa 1000 m3 ha-1 in totale. La raccolta è stata effettuata scalarmente quando ciascuna delle varietà aveva raggiunto la maturità.

Tra le diverse tipologie lollo bionda, multilieaf e foglia di quercia hanno mostrato una produttività superiore alla media mentre inferiore è stata la produttività delle varietà lollo rossa. Non è stata osservata correlazione tra la produttività e la lunghezza del ciclo.

Risultati e discussione La prova ha messo in evidenza una buona adattabilità delle varietà all'ambiente pedoclimatico in cui sono state eseguite le prove con una produzione media di circa 26 t ha-1. Significative le differenze tra la varietà meno produttiva SENTRY (17.1 t ha-1) e la più produttiva ISI 45717 (31.3 t ha-1).

Bianco V.V. 2007. Nuove specie ortive da destinare alla IV gamma. Informatore Agrario, 16. Antonelli M., Fontana F. 2006. Varietà di lattuga in serra e in pieno campo. Informatore Agrario, 23. Elia A., Conversa G. 2006. IV gamma, tecniche colturali e scelte varietali. Informatore Agrario, 16.

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856334 covarel@unipg.it

Conclusioni 1) La coltivazione della lattuga può offrire produzioni interessanti in media di 26 t ha-1 di biomassa fresca con un ciclo di circa 50 gg; 2) le tipologie più produttive sono state lollo bionda, multilieaf e foglia di quercia; 3) tra le varietà in prova la più produttiva è stata ISI 45717 con 31.3 t ha-1 di biomassa fresca. Bibliografia consultata


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Verifica dell’adattabilità dell’origano (Origanum vulgare L.) alle condizioni agro-pedologiche dell’Italia centrale Lorenzetti M.C Introduzione L'interesse del mercato agro-alimentare verso le piante aromatiche e in particolare verso l'origano è in forte crescita per il tradizionale consumo come prodotto sia essiccato che fresco. La necessità di disporre continuamente di questo prodotto induce alla sua surgelazione come da tempo si fa per il prezzemolo ed il basilico. Un ostacolo a ciò è l'annerimento delle foglie di origano causato dalle basse temperature che visivamente non è gradito nelle pizze dove è maggiormente usato. Tuttavia, anche in attesa che il miglioramento genetico elimini questo inconveniente, è interessante la diffusione della coltivazione soprattutto per l'esportazione. Si consideri che nei soli Stati Uniti è decuplicato il consumo negli ultimi dieci anni sull'onda della popolarità della pizza. Si è ritenuto opportuno verificare l'adattabilità di questa specie nelle condizioni pedo-climatiche dell'Italia centrale ed in particolare in Umbria. Materiali e metodi Nel biennio 2006-07 sono state eseguite due prove di adattabilità di questa specie nella media Valle del Tevere su terreno argillo-sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo). Con schema sperimentale a blocchi randomizzati, con tre ripetizioni, sono stati messi a confronto nel 2006 le seguenti cv provenienti dalla Grecia: origano greco (Origanum hirtum), origano Herrenhausen (Origanum laevigatum var. Herrenhausen), origano aureo (Origanum vulgare var. aureus), origano comune (Origanum vulgare). Le parcelle avevano una dimensione molto ridotta (2 m2) trattandosi solo di verificare l'adattabilità della specie nel sito della sperimentazione. Il trapianto della coltura è avvenuto l'11 maggio nel 2006 con un sesto d'impianto di 0.5 x 0.5 m. Da maggio ad agosto sono state fatte nove irrigazioni

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per un apporto complessivo di 700 m3ha-1. Il 3 agosto è stata effettuata la raccolta della biomassa e successivamente si è provveduto ad estrarre gli oli essenziali mediante distillazione in corrente di vapore. Risultati e discussione La produttività della biomassa area dell'origano è variata da 3,7 (Origanum vulgare var. aureus) a 6,9 (Origanum laevigatum var. Herrenhausen) con una media tra le cultivar di 4,9 t ha-1 di sostanza fresca e 1,47 di sostanza secca (tabella 1). L'altezza della coltura è stata di circa 22 cm per tutte le cultivar eccetto per l'origano comune che è stata di 33 cm circa. L'umidità alla raccolta è stata di circa il 70%. Molto importante la resa in oli essenziali che è stata molto variabile 0,4 % nell'Origano aureus detto aureo e ben 2 nell'Origanum hirtum detto greco (tabella 1). Nel secondo anno si è proseguita la coltivazione delle piante trapiantate nel primo. Alle temperature di -5° C registratesi nell'inverno 2006-07 hanno resistito solo l'origano aureo, il greco ed il comune che nel 2007 hanno prodotto rispettivamente 7.9, 7.2 e 13.8 t ha-1 di sostanza fresca pari rispettivamente a 2.7, 2.4 e 4.6 di sostanza secca. L'umidità alla raccolta è stata del 50-55% sensibilmente più bassa di quella registratasi nell'anno precedente. Nelle condizioni in cui si è lavorato si possono trarre le seguenti conclusioni. Conclusioni 1) La produttività dell'origano nelle condizioni pedo-climatiche della media Valle del Tevere si può attestare su 4 t ha-1 di foglie il 70% circa di sostanza fresca e 1,3 di sostanza secca. 2) Hanno resistito alle relativamente basse temperature invernali (-5° C) aureo, greco e comune che nell'anno successivo hanno poi raddoppiato la produzione. 3) La resa in oli essenziali è stata molto elevata (2%) nell'Origanum hirtum, e molto bassa nell'Origanum vulgare var. aureus (0,4%)


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Lorenzetti

Verifica dell’adattabilità dell’origano....

Tabella 1.

Bibliografia consultata Batistutta, F.;Conte, L.S:; Zironi, R.; Carruba, A.; Leto, C.; Tuttolomondo, T. 1995. Caratteristiche compositive di oli essenziali da diversi ecotipi di Origanum vulgare L. di provenienza siciliana. Atti 2° congresso nazionale di Chimica degli alimenti. Giardini Naxos, 24-27 maggio 1995 Branca, F.; Argento, S.; La Porta, V. 2006. Da pianta spontanea a nuova coltura: confronto tra tipi di origano siciliano (Origanum vulgare L.). Italus Hortus, Vol. 13 (2), 630-633. Leto, C.; Carruba, A.; Trpani, P. 1994. Tassonomia, ecologia, proprietà ed utilizzazioni del genere Origanum. Atti Convegno Internazionale "Coltivazione e miglioramento di piante officinali". Trento 2-3 giugno 1994. Leto, C.; Carruba, A.; Trapani, P.; Zironi, R.; Conte, L.; Battistutta, F. 1996. Le specie officinali per la valorizzazione e difesa delle aree interne: valutazione di ecotipi siciliani di origano (Origanum vulgare). Riv. di Agron. 30, 3 Suppl, 423-435. Leto, C.; La Bella, S.; Tuttolomondo, T.; Licata, M.; Carrara, M.; Febo, P.; Catania, P.; Comparetti, A.; Orlando, S. 2003.

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Risultati di un biennio di sperimentazione sullo stato fitosanitario del pioppo da biomassa in Umbria Covarelli L, Tosi L, Beccari G Introduzione Il pioppo (Populus spp.) da biomassa, coltivato per la produzione di energia, può andare soggetto a svariate, talora gravi, fitopatie che possono facilmente tradursi in forti perdite produttive in grado di compromettere la convenienza economica della sua coltivazione. Per tale motivo all'interno del progetto "Analisi e valutazione di ordinamenti produttivi alternativi al tabacco - Co.Al.Ta.2", finanziato dall'Unione Europea e dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali (Mi.P.A.F.), è stato valutato lo stato fitosanitario di questa coltura. Nel presente contributo vengono illustrati i risultati riguardanti i problemi fitopatologici osservati nel pioppo destinato alla produzione di biomassa in Umbria. Materiali e metodi Periodiche osservazioni sono state effettuate nelle prove sperimentali di pioppo da biomassa coltivato presso il Laboratorio Didattico Sperimentale della Sezione di Agronomia e Coltivazioni Erbacee del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali della Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Perugia situato in località Papiano (Media Valle del Tevere), al fine di monitorare lo stato fitosanitario della coltura nelle condizioni ambientali ed agronomiche umbre. Nel biennio 2006-2007 è stata esaminata una prova sperimentale dove erano coltivati i seguenti cloni di pioppo: Sirio [Populus (P.) deltoides Bartr x P. x canadensis Monch] e AF2 (P. x canadensis Monch), entrambi con elevata tolleranza alla ruggine del pioppo, Monviso [(P. x generosa) x P. nigra] con tolleranza molto elevata e AF6 [(P. x interamericana) x (P. x euramericana)], per il quale è indicata una sufficiente tolleranza all'avversità sopra citata (http://www.alasiafranco.it/biomasse.htm). Nella sola annata 2007 è stata esaminata anche un'ulteriore prova dove erano presenti, oltre ai

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee Università degli Studi di Perugia 075/5856464 lorenzo.covarelli@unipg.it

cloni AF2 e Monviso, anche i cloni Baldo e Orion per i quali non si dispone di notizie circa la resistenza/tolleranza alla ruggine. Nel mese di settembre 2006 e 2007, infezioni fogliari di ruggine sono state riscontrate negli appezzamenti oggetto di indagine e all'inizio del mese di ottobre di entrambe le annate, con l'attacco di ruggine al massimo livello di intensità, sono stati condotti appositi rilievi su 10 piante per ciascun clone, registrando il numero delle foglie sane e infette (10 foglie/pianta) al fine di determinare l'incidenza dell'infezione. La gravità della malattia è stata calcolata rilevando le infezioni sulle foglie mediante una scala empirica arbitraria di valutazione (0-5) basata sulle seguenti classi di infezione (0=0%; 1=1-20%; 2=21-40%; 3=41-60%; 4=61-80%; 5=81-100%). I valori ottenuti sono stati successivamente elaborati statisticamente tramite analisi della varianza e test di Duncan. Mediante osservazioni di microscopia ottica sono state esaminate e misurate le strutture fungine (uredosori, uredospore, teleutosori, teleutospore e parafisi) dell'agente patogeno ed analizzate numerose sezioni delle foglie infette con lo scopo di individuare la localizzazione di uredosori e teleutosori rispetto alle pagine fogliari. Risultati Le foglie di pioppo infette presentavano la tipica colorazione rugginosa dovuta alla presenza di numerosi uredosori principalmente localizzati sulla pagina fogliare inferiore ma in qualche caso anche su quella superiore. Dal mese di novembre, numerosi teleutosori sono comparsi su entrambe le superfici fogliari. Dalle osservazioni e dalle analisi effettuate tutti i cloni esaminati sono risultati suscettibili alla ruggine. Nel 2006 sono state rilevate delle differenze statisticamente significative sia per quanto riguarda l'incidenza che per quanto riguarda la gravità degli attacchi. In particolare, in questa annata, il clone AF6 si è rivelato il clone più suscettibile (incidenza del 100% e gravità del 37%) mentre Monviso è risultato il meno suscettibile (incidenza del 69% e gravità del 13%). L'incidenza e la gravità degli altri


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cloni sono state rispettivamente dell'86% e del 10% (Sirio), del 77% e dell'11% (AF2). Nel 2007, nella stessa prova dell'anno precedente, non sono state riscontrate differenze statisticamente significative per quanto riguarda l'incidenza e la gravità delle infezioni. Queste sono risultate più contenute rispetto al 2006 con valori medi rispettivamente del 46% e del 7% contro l'83% e il 34% della stagione precedente. Ciò è probabilmente attribuibile alle differenze climatiche tra le due annate che, nella seconda stagione, sono state meno favorevoli alle infezioni di ruggine se confrontate con quelle verificatesi nell'anno precedente quando la malattia è comparsa con circa due settimane di anticipo. Per quanto riguarda l'ulteriore prova esaminata nel 2007, i risultati delle elaborazioni statistiche hanno invece evidenziato differenze significative in riferimento all'incidenza e alla gravità della fitopatia: il clone Baldo è risultato il meno suscettibile alla ruggine (incidenza del 43% e gravità del 5%) mentre il clone AF2 il più suscettibile (incidenza del 92% e gravità del 22%). L'incidenza e la gravità degli altri cloni sono state rispettivamente del 72% e del 15% (Monviso), del 72% e del 14% (Orion). Le osservazioni microscopiche hanno mostrato la presenza di uredospore (17,5-52,5 x 12,5-27,5 µm), teleutospore (37,5-50 x 5-12,5 µm) e parafisi (35-77,5 x 7,5-22,5 µm). Le caratteristiche morfo-

Risultati stato fitosanitario pioppo in Umbria...

logiche dell'agente patogeno osservate al microscopio e l'analisi cluster delle dimensioni delle spore hanno rivelato che l'attacco è stato causato da due specie fungine: Melampsora larici-populina Kleb. e Melampsora allii-populina Kleb. Conclusioni L'alta suscettibilità alla ruggine fogliare dei cloni di pioppo sottolinea la necessità di realizzare maggiori e più accurate indagini riguardo agli agenti patogeni causali di tale pericolosa e temibile fitopatia. Infatti, la possibilità di infezioni naturali miste di ruggine causate da M. larici-populina e M. alliipopulina nei paesi europei (Pinon e Frey, 1997; Vietto e Giorcelli, 2000) e la presenza di razze fisiologiche di M. larici-populina richiedono la necessità di un attento monitoraggio delle popolazioni del patogeno realizzabile tramite l'utilizzo di cloni di pioppo differenziali e specifici metodi diagnostici molecolari al fine di delineare la composizione delle popolazioni fungine, seguirne l'evoluzione nel tempo e in differenti condizioni ambientali. Bibliografia Pinon J., Frey P., 1997. Structure of Melampsora larici-populina populations on wild and cultivated poplar. European Journal of Plant Pathology, 103: 159-173. Vietto L., Giorcelli A., 2000. Le malattie del pioppo. Calderini Edagricole, Bologna, pp.83.

Siti internet http://www.alasiafranco.it/biomassa.htm


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Studio geomatico delle aree coltivate a tabacco della Toscana e dell'Umbria Fiorillo E*, Magazzini P*, Ongaro L* Introduzione Il progetto Co.Al.Ta. 2 (Colture alternative al tabacco, fase 2), nasce come Progetto finalizzato della Comunità Europea (Regolamento CE n. 2182/2002) nel quadro della lotta al tabagismo e promosso dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il quale ha affidato ad alcuni enti di ricerca, istituti ed università, il compito di eseguire studi e sperimentazioni al fine di valutare le possibilità di riconversione della filiera produttiva tabacchicola con colture alternative. L'approccio è stato di tipo multidisciplinare con taglio socio-economico e agronomico, che, con questa seconda fase, ha interessato tutte le regioni con contesti tabacchicoli consistenti (Veneto, Toscana e Umbria, Campania e Puglia) indirizzandosi in particolare verso la sperimentazione in campo delle colture alternative scelte. Da qui la necessità di conoscere approfonditamente le caratteristiche dei territori coltivati a tabacco al fine di valutare sia la sostenibilità ambientale delle specie alternative scelte, sia le potenzialità intrinseche dei suoli a sostenere le colture alternative. Si è quindi provveduto a progettare e realizzare un sistema informativo geografico che permettesse sia l'analisi delle risorse del territorio dal punto di vista climatico, pedologico e morfologico e che fornisse informazioni sulla potenzialità d'uso dei suoli riguardo alle colture alternative oggetto di sperimentazione. L'indagine ha inizialmente interessato le aree tabacchicole della Toscana e dell'Umbria, i cui risultati sono riportati nel presente lavoro, in seguito estesa alla Campania e alla Puglia. Materiali e metodi La struttura del progetto Il progetto ha utilizzato un tipo di approccio di tipo "olistico", attraverso la correlazione dei dati rileva-

*Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze - Ministero Affari Esteri. Via A. Cocchi 4, 50131 Firenze. Tel. 05550611 Fax 0555061333 e-mail: iao@iao.florence.it

Fig. 1. Area di studio in Toscana e in Umbria

Fig. 2. Aree di studio in Campania

ti in campagna relativi al clima, ai tipi di suoli, alla fertilità, alle disponibilità irrigue, alla vulnerabilità, alle colture presenti o a quelle oggetto di sperimentazione, è possibile, per un determinato territorio, ottenere dei modelli interpretativi e simulare scenari di riconversione delle aree tabacchicole, che tengano conto delle risorse disponibili in stretta relazione alla sostenibilità dell'ambiente. Le aree oggetto dell'indagine sono state scelte sulla base della maggiore superficie occupata da colture tabacchicole. Per la Toscana, dove la superficie totale coltivata a tabacco ammonta a circa 2.326 ha (dati AGEA 2005), è stata scelta l'area che comprende la Valdichiana e l'Alta Val Tiberina,


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Le aree sono state individuate sulla base dei dati disponibili presso gli enti competenti e presso le Associazioni di categoria, in tal modo si è potuta ottenere una mappatura esatta della distribuzione delle aree attualmente utilizzate a tabacco o potenzialmente utilizzabili a tabacco (fig. 3). Per la fotointepretazione delle unità pedopaesaggistiche si è fatto ricorso ad un modello digitale del terreno con passo medio 20x20m e 40x40m e di ortofotocarte pancromatiche in scala media 1:10.000 (volo AIMA 2004-2005). Il progetto si è articolato in tre fasi consecutive, realizzate nell'arco di due anni, sintetizzato nello schema riportato in fig. 4 Nei paragrafi che seguono si riportano, in sintesi i risultati relativi alle elaborazioni di analisi spaziale dei dati climatici ed alle elaborazioni di carte tematiche di potenzialità d'uso dei suoli. Fig. 3. Distribuzione delle aree coltivate a tabacco in Toscana ed Umbria)

dove è concentrata la quasi totalità delle coltivazioni di tabacco nella regione, e ha interessato una superficie totale di 211.000 ha (fig. 1). Per l'Umbria, che ha una superficie totale coltivata a tabacco di circa 7.490 ha (dati AGEA 2005), è stata scelta l'intera val Tiberina, dal confine toscano al lago di Corbara, per una superficie complessiva di 171.000 ha. Per le aree campane, sono state localizzate 7 aree corrispondenti ai seguenti lotti di rilevamento pedologico eseguiti in scala 1:50.000 dalla Regione Campania negli anni 2003-2005: CP1 - Piana in destra Sele, Cp3 - Pianura del Volturno, Cp4 Avellinese, Cp5 - Piana in Sinistra Sele, Cp7 Carinolese, Cp11 - Roccamonfina, Cp12 Provincia di Benevento.

Fig. 4. Schema della struttura del progetto

Analisi spaziale dei dati climatici La rappresentazione di un tema di interesse geografico di natura climatica in un sistema informativo geografico è generalmente effettuata in modalità raster. Le informazioni provenienti da stazioni meteorologiche sono invece di natura puntuale, quindi si ritiene necessario un trattamento statistico per questo tipo di informazione. Per passare da una serie di dati puntuali ad una distribuzione continua nello spazio, che consenta la rappresentazione cartografica dell'andamento delle grandezze climatiche in esame, si possono impiegare diversi metodi che si riferiscono al campo della statistica applicata. Qualunque sia la natura della tecnica usata (metodi basati sulla regressione, metodi geostatistici o altro), lo scopo è stimare il più fedelmente possibile i valori incogniti della variabile oggetto di studio sull'intero grigliato regolare rappresentato dal raster, a partire da valori noti solo in alcune posizioni. Il termine spazializzazione indica proprio questo tipo di operazione. Per le temperature è stata utilizzata la tecnica della regressione lineare semplice. Questa tecnica viene utilizzata quando si ritiene che ci sia una correlazione lineare fra la variabile dipendente e quelle indipendenti. Un modello di regressione lineare con due variabili di predizione può essere scritto come segue: y(g)=β0 + β1x1 +β2x2 +ε


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Progetto Co.Al.Ta. II 117 geostatistico detto coKriging, valido quando non c'è una correlazione di tipo lineare fra la variabile dipendente e quelle indipendenti. Il Cokriging viene utilizzato nel migliorare la stima di una variabile nei siti sprovvisti di misure sperimentali, tutto ciò si realizza attraverso l'uso combinato di un'altra variabile, la quale presenti almeno un fenomeno di correlazione con la prima. Questa tecnica è stato sviluppata da Matheron nel 1971 e non richiede nessuna assunzione sul tipo di correlazione che deve esserci tra le due variabili. Fig. 5. Spazializzazione di dati climatici: Temperature e precipitazioni in Valdichiana, Giugno È necessario solo che esse abbiano un significativo numero di punti campione in comune per dove y è la variabile dipendente, nel nostro caso le temperature da spazializzare, x1 e x2 sono le varia- ottenere una discreta stima del crossvariogramma; bili indipendenti (in questo caso rappresentate dai la condizione ottimale si ottiene minimizzando la metadata delle stazioni meteorologiche); β0, β1, varianza dell'errore di stima. La tecnica del cokriβ2 sono i regressori e ε è un termine che esprime ging migliora la stima, poiché è capace di incorpol'errore random . L'ipotesi è che i valori β0, β1, β2 rare interamente la natura e la variabilità spaziale siano costanti su tutta l'area di studio. Nelle spazia- della correlazione tra le due variabili (x) e y (x). Ciò lizzazioni da noi effettuate si è così potuto spazializ- non toglie comunque la difficoltà che alcune volte zare le temperature medie di ogni mese e le medie si incontra con il calcolo del crossvariogramma e la annuali partendo dai dati della serie storica relativa verifica di correttezza del modello teorico, in modo alle stazioni meteorologiche presenti nell'area e particolare sé le due variabili non sono ben correlausando come variabili indipendenti un DEM di te tra loro. passo 20*20m, l'esposizione ricavata dallo stesso La cartografia tematica di potenzialità d'uso DEM, la latitudine e la longitudine. Per le precipitazioni è stato utilizzato il metodo La procedura di valutazione dell'attitudine del ter-

Fig. 6. Spazializzazione di dati climatici: precipitazioni e temperature in Campania, mese di giugno


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Fig. 7. Esempio della Legenda delle Unità Pedopaesaggistiche.

Fig. 8.

Fig. 9.

ritorio ad una utilizzazione specifica, secondo il metodo della Land Suitability è stato messo a punto dalla F.A.O., intorno agli anni settanta, con l'obiettivo di stabilire una metodologia di valutazione. Essa si basa sui seguenti principi: · l'attitudine del territorio deve riferirsi ad un uso specifico; · la valutazione deve confrontare vari usi alternativi; · l'attitudine deve tenere conto dei costi per evitare la degradazione del suolo; · la valutazione richiede un approccio multidisciplinare. Alla base del metodo è posto il concetto di "uso sostenibile", cioè di un uso in grado di essere pratiStralcio della Carta dei Pedopaesaggi scala 1:50.000 cato per un periodo di tempo indefinito, senza provocare un deterioramento severo o permanente delle qualità del territorio. Nel caso studiato è stata eseguita una fotointepretazione, eseguita su DEM 20x20 con l'ausilio di ortofotocarte 1:10.000, che ha permesso la creazione di unità pedopaesaggistiche suddivise in Sistemi, Sottosistemi ed Unità Cartografiche a scale di dettaglio progressivamente maggiori (da 1:250.000 per i Sistemi fino 1:50.000 per le Unità) e definite per morfologie, litologie, usi del suolo e suoli diversi (fig. 7). I dati relativi ai suoli dell'area toscana sono stati reperiti presso la BD della Regione Toscana (Banca dati Progetto Carta dei Suoli 1:250.000)e da bibliografia, per l'area umbra sono stati in Schema della procedura di valutazione in automatica di potenzialità d'uso dei suoli parte ottenuti da bibliografia e


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Fig. 10. Scale di rating e classi di potenzialitĂ d'uso del suolo riferite alla coltura del Pioppo da biomassa

per la gran parte rilevati direttamente in campo, mentre per l'area campana i dati di base sono consistiti in circa 180 profili di suolo campionati e localizzati con precisione nel corso dei rilevamenti relativi al progetto Cp della Regione Campania. I caratteri definiti in legenda, opportunamente codificati, sono stati inseriti in un Data Base di Land suitability MS Access che, attraverso il collegamento con tabelle e macro MSExcel, hanno fornito la base dati per l'elaborazione automatica delle cartografie tematiche, secondo lo schema riportato (fig. 8). Si è proceduto quindi a definire le esigenze col-

turali e vegetazionali delle diverse colture oggetto di sperimentazione e di seguito elencate: - Artemisia annua - Stevia Rebaudiana - Kenaf (Hibiscus Cannabinus) - Erba medica (Medicago sativa) - Mais - Canapa da fibra e biomassa (Cannabis sativa) - Sorgo da biomassa - Pioppo da biomassa Cui si deve aggiungere la valutazione dell'attitudine dei suoli al pascolo ovino e bovino, la valutazione del Rischio Potenziale di Erosione, l'Attitudine


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Fig. 11. Esempi di potenzialità d'uso dei suoli dell'area di studio toscana (Valdichiana e Valtiberina) per il Mais da biodiesel, il Kenaf e il pioppo da biomassa

dei Suoli allo Spandimento dei Reflui e valutazioni più genericamente agronomiche quali la FCC (Soil Fertility Capability Classification System) e la LCC (Land Capability Classification). Il risultato finale ha consentito l'elaborazione di complesse tabelle di rating che hanno fornito, sulla base dei caratteri vegetazionali e delle esigenze colturali delle singole specie, valori di riferimento relativi alle esigenze climatiche, morfologiche, idrologiche e pedologiche che definiscono 5 classi di potenzialità d'uso dei suoli, anch'esse inserite del Data Base di Land Suitability (fig. 9): S1 - Adatto, con valori di rating tra 85 e 100 S2 - Moderatamente adatto, con valori di rating tra 60 e 85

S3 -Poco adatto, con valori di rating tra 40 e 60 N1-Temporaneamente inadatto, con valori di rating tra 25 e 40 N2 - Permanentemente inadatto, con valori di rating tra 0 e 25 I risultati delle elaborazioni automatiche delle Land Suitabilities per le diverse colture scelte, sono stati collegati all'archivio geografico vettoriale della Carta dei Pedopaesaggi, permettendo la tematizzazione delle diverse potenzialità d'uso (figg. 10 e 11). Risultati, conclusioni e prospettive I risultati finali del progetto, che ha raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, non sono da considerare sta-

Fig. 12. Carta della potenzialità d'uso del suolo per l' Artemisia annua(a sinistra) e per la Stevia rebaudiana (a destra) in regime irriguo nell'area Cp3 - Pianura del Volturno


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Progetto Co.Al.Ta. II 121 tici nel tempo, ma hanno la pissibilità di divenire dinamici soprattutto riguardo al tema della valutazione e della simulazione del comportamento ambientale in seguito a variazioni colturali o climatiche. Tali prospettive sono facilmente gestibili dal sistema informativo che è stato creato, implementando e aggiornando continuamente le basi dati con i parametri necessari alle nuove esigenze che di volta in volta si vengano a creare. I risultati finali e le prospettive possono essere sintetizzati come segue: - Possibilità di realizzare carte dei pedopaesaggi su superfici estese (400.000 ha) anche in aree prive o quasi di informazioni pedologiche grazie all'utilizzo di ortofoto, DEM modelli descrittivi che riducono in maniera significativa le indagini in campo. - Sperimentazione e validazione di metodologie di valutazione su specie e metodi di coltivazione mai utilizzati finora (Artemisia, Stevia, Kenaf ecc.). - Realizzazione di GIS con sistema "aperto", con possibilità di estendere le valutazioni a numerose altre specie coltivate e non coltivate. - Sperimentazione e validazione di modalità di spazializzazione dei dati climatici applicabile a numerosi altri rilievi di tipo puntuale (erosione ecc.) - Possibilità di creare facilmente modelli di simulazione in ordine ai cambiamenti climatici futuri - Possibilità di implementare con facilità modelli valutativi per tematiche ambientali quali ad esempio lo spandimento dei reflui, la vulnerabilità degli acquiferi da nitrati di origine agricola ecc. Un ultimo aspetto, non meno importante, è quello della realizzazione del report finale, contenente tutti i dati di partenza e le elaborazioni dettagliate che hanno portato al conseguimento dei risultati sopra elencati. Tale report non è previsto nella fase attuale del progetto, ed è auspicabile che vengano reperite le risorse necessarie al la sua realizzazione, in modo da dare completezza all'analisi eseguita e fornire le basi tecnico scientifiche sulle quali si basano i risultati sopra esposti. Bibliografia FAO, ISRIC, 1998. World Reference Base for Soil Resources.

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122 Fiorillo et al Proceedings of the Colloquium of the Commission on the Sustainability of Rural Systems of the UGI, Rabouillet, France2001. Magazzini P, D'Antonio A,et al. (2004) - Progetto Carta dei suoli della Campania 1:50.000: I suoli della piana in Destra Sele. - Regione Campania Assessorato All'Agricoltura SeSIRCA G. Mecella, P. Scandella, N. Di Blasi, F. Pierandrei, F.A. Biondi (1985-86) - Land Classification ed aspetti climatici del territorio dell'Alta Valle del Tevere - Annali Ist. Sperim. Per la Nutrizione delle Piante vol. XIII 1985-86 - Roma Osservatorio nazionale pedologico e per la qualità del suolo, 1994 - Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo, con commenti e interpretazioni. MURST, Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, Roma F. Pancaro (1966) - Osservazioni pedologiche nella conca aretina. Annali Acc. It. Sc. Forestali vol. XV, 1966. Firenze Regione Campania, Assessorato all'Agricoltura - Se.S.I.R.C.A. - Norme tecniche per il rilevamento e la descrizione dei suoli. Versione 1.98 e successivi aggiornamenti SCAF Coop (1989) . Indagine pedologica sulle aree interessate dal progetto lavori di riordino fondiario e irrigazione nei Comuni di Anghiari e Sansepolcro. Regione Toscana, Comunità Montana Valtiberina Toscana, Zona H. Poppi (AR)

Studio geomatico delle aree della Toscana e dell’Umbria.. Servizio Geologico d'Italia, 1970. Carta Geologica d'Italia, F. 121 Montepulciano, 1:100.000. Servizio Geologico Nazionale, 1994. Carta Geomorfologica d'Italia - 1:50.000, Guida al Rilevamento. A cura del Gruppo di Lavoro per la Cartografia Geomorfologica. Quaderni serie III, vol. 4, Ist. Poligr. e Zecca dello Stato, Roma. Soil Survey Division Staff, 1998- Soil Survey Manual. USDA Handbook n. 18, United States Department of Agriculture, Washington Soil Survey Division Staff, 2006 - Keys to Soil Taxonomy, 10th edition. Soil Conservation Service, United States Department of Agriculture, Washington L. Tombesi, Mecella G., De Rossi C. (1978-79) - Studi di Climatologia agraria, di pedologia applicata e di fertilizzazione - Nota 1 - Alta valle del Tevere. Annali Ist. Sperim. Per la Nutrizione delle Piante vol. IX A. 1978-79 Pubbl. n. 8 - Roma Ungaro, F., Calzolari, C. e Magazzini, P., 1999. Vulnerabilità dei suoli e delle acque in aree di Pianura. II. Applicazione di modelli di simulazione a scala regionale. In Atti del Convegno "Le Pianure: Conoscenza e Salvaguardia - Il contributo delle Scienze della Terra", Ferrara, Università degli Studi, 8-11 novembre 1999.


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Le possibili alternative zootecniche alla coltura del tabacco in Toscanae in Umbria: l'attività del CIRSeMAF Alessandro Giorgetti1 Introduzione Nel rispetto dell'obiettivo generale sul potenziamento dell'opportunità di riconversione dei produttori di tabacco verso altre attività, ai sensi dell'art 14 del reg. CE n° 2182/2002, e degli obiettivi specifici previsti nella bozza generale, l'Unità Operativa CIRSeMAF si è occupata delle possibilità di riconversione in direzione zootecnica e faunistica. Per quanto riguarda il primo settore l'UO ha inteso muoversi nel settore della valorizzazione delle produzioni zootecniche tipiche e di qualità, a partire da razze autoctone già affermate sul mercato o in fase di recupero, facendo leva sull'esistenza, nelle regioni considerate, di tipi genetici bovini ed ovini di grande pregio. Per quanto riguarda il secondo, sono state valutate le possibilità di creazione di centri privati di produzione di selvaggina, di aziende agri-turistico-venatorie o comunque istituti faunistici in senso lato che, soprattutto in Toscana ed Umbria, svolgono un ruolo economico importante. Entrambi i settori sono infatti ampiamente diffusi nelle due regioni, anche se si riconosce, allo stato dei fatti, la necessità di una migliore utilizzazione delle risorse naturali e professionali e di una ottimizzazione delle produzioni zootecniche eco-compatibili in una logica di filiera e in ambito distrettuale. Materiali e metodi Il progetto si è articolato in tre filoni di ricerca e indagine interdipendenti, ciascuno dei quali comprendente più fasi. Il primo filone ha riguardato lo studio analitico della tabacchicoltura in Toscana e Umbria e delle sue possibilità di riconversione. In una prima fase il lavoro è stato concentrato sull'elaborazione e interpretazione dei dati forniti dall'INEA, che collabora al Progetto. Successivamente, a partire dai risultati degli incon-

1 Direttore del CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche dell'Università di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel +390553288356, E-mail: alessandro.giorgetti@unifi.it

tri con i responsabili dell'Associazione Produttori di Tabacco e di singoli tabacchicoltori delle due regioni, è stato predisposto un questionario, che è stato sottoposto a una settantina di tabacchicoltori, individuati tra quelli maggiormente interessati ad una trasformazione, totale o parziale, in senso faunistico o zootecnico oppure già attivi nel settore delle produzioni animali. Parallelamente è stato avviato il lavoro nel secondo filone, che ha previsto la definizione delle possibili alternative zootecniche e faunistiche, in funzione dell'estensione delle aziende e delle vocazionalità dei territori interessati. Nei primi mesi di progetto sono state prese in considerazione numerose alternative, poi ridotte a quelle più facilmente percorribili, tenuto conto delle preferenze e delle aspirazioni dei tabacchicoltori, così come andava progressivamente emergendo dagli incontri con i singoli, dai risultati del questionario e dalle osservazioni critiche effettuate in campo dal gruppo di ricerca dell'Unità Operativa. I primi due filoni di studio si sono praticamente conclusi nell'aprile 2006, e da allora, sulla base delle indicazioni emerse e dei risultati ottenuti, è stato avviato il terzo filone di studio, ancora in corso. In questo viene affrontato lo studio tecnico, seguito da un'analisi economica, delle alternative zootecniche o faunistiche considerate più percorribili: 1. produzione di carne bovina con marchio IGP, 2. caprinicoltura da latte con annessa trasformazione, 3. recupero, conservazione e valorizzazione di tipi genetici animali autoctoni in via di estinzione, 4. centri privati di produzione di selvaggina da ripopolamento. E' attualmente in corso la verifica dei punti di forza e di debolezza delle attuali filiere produttive del settore zootecnico delle aree interessate e la valutazione delle possibilità di riconversione, con l'identificazione degli ostacoli strutturali, economici e professionali alle ipotesi di riconversione.


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La tabacchicoltura in Toscana e le sue possibilità di riconversione Giorgetti A1, Sargentini C1, Degl'Innocenti P1, Fabeni P1, Lorenzini G1, Tocci R1 Introduzione Nell'ambito del progetto COALTA 2, in una prima fase di attività l'U.O. si è avvalsa della collaborazione dell'INEA che ha fornito alcuni dati generali relativi alle aziende che coltivano tabacco, con particolare riguardo alla regione Toscana. In seguito sono state studiate circa settanta aziende tabacchicole, in gran parte nelle province di Siena ed Arezzo sulle quali è stato iniziato un percorso di studio, a partire dai dati di un questionario appositamente predisposto, volto a verificare le possibilità di una loro riconversione, totale o parziale, in senso zootecnico o faunistico. Parallelamente sono state individuate e studiate alcune alternative zootecniche per verificarne le potenzialità e su alcune di queste sono iniziate sperimentazioni di campo. Materiali e metodi I dati raccolti nelle aziende sono stati elaborati calcolando medie, deviazioni standard, e valori massimi e minimi dei vari parametri. Per i metodi impiegati nelle sperimentazioni zootecniche si rimanda ai capitoli specifici. Risultati e discussione Dei circa 35.400 ha coltivati a tabacco in Italia (il 38% circa del totale UE) 2.400 ha sono localizzati in Toscana, tradizionalmente specializzata nella produzione di tabacco Kentucky, ma anche produttrice della varietà Bright. La varietà Kentucky, dopo un periodo di crisi, sembra aver preso nuovo vigore grazie al rinnovato apprezzamento dei prodotti locali, in particolare del sigaro toscano. Oltre il 70% delle superfici e delle produzioni tabacchicole della Toscana è localizzata e in provincia di Arezzo (Val di Chiana e Val Tiberina) e circa il 26% nella provincia di Siena, mentre le province di Firenze, Pisa e Grosseto continuano ad occupare una posizione marginale sia in termini percentuali che di superficie. 1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università di Firenze. Via delle Cascine, 5 50144 Firenze Tel +390553288356; e-mail: alessandro.giorgetti@unifi.it

I dati raccolti hanno mostrato grande variabilità nelle caratteristiche generali delle aziende, confermando la scarsa omogeneità già emersa dai dati INEA. A partire dalla SAU infatti si osserva una grande differenza tra i valori minimi, tipici di una piccola azienda a gestione familiare, ed i valori massimi tipici di aziende a grande produzione. Molto diffuse sono le piccole aziende, possedute in genere da agricoltori anziani che coltivano il tabacco per tradizione. Le grandi aziende sono in numero limitato, ma rappresentano una percentuale molto estesa di superficie agricola interessata dalla coltura del tabacco. L'effetto dell' OCM tabacco sembra essere quello che i grandi produttori assimilino quelli minori, quindi lo scenario che si viene a delineare è quello di pochi grandi produttori interessati al proseguimento della propria attività ed ad un possibile ampliamento della stessa. La giacitura delle aziende è in gran parte in pianura, trattandosi essenzialmente di terreni irrigui. Le trattrici sono in media 3-4 in ciascuna azienda e tutte le aziende sono dotate delle varie attrezzature necessarie alle lavorazioni. Gli edifici, di differente ampiezza e tipologia, presentano comunque una cubatura media consistente che consentirebbe l'eventuale conversione in stalle o locali di trasformazione. Gli essiccatoi sono sempre presenti, anche se spesso sono di carattere provvisorio (di solito costruiti in lamiera). Le attività precedenti degli intervistati interessavano per il 24% il settore zootecnico, per il 32% quello agronomico, per il 13% entrambi. Il 27% degli intervistati svolgeva attività diverse da quelle agricole. In alcuni casi tali attività sono ancora oggi praticate dagli imprenditori agricoli. La manodopera fissa varia in media da 2 a 3 unità, rispecchiando la caratteristica della conduzione familiare tipica della coltura. La media dei lavoratori stagionali è di 4-5 persone poiché alcune tipologie di tabacco richiedono una lavorazione artigianale che determina un alto fabbisogno di manodopera, che spesso si basa sullo scambio di aiuto tra familiari e amici. Il valore delle quote è mediamente alto, a dimostrare la vocazione di queste zone della Toscana verso la coltura del tabacco. Il Bright ed il Kentucky sono le varietà più coltivate,


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l'Havana ed il Burley sono coltivati seppur in minori superfici. Tra le attività alternative o integrative alla coltura del tabacco indicate come possibili dai coltivatori, quella zootecnica risulta la più frequente (Fig. 1) ed è relativa all'allevamento di bovini da carne di razze autoctone (prevalentemente Chianina), e in minor misura ad altre specie (equini, suini, ovini). Solo alcuni seguirebbero alternative di tipo agronomico, tra le quali l' unica su cui viene riposta fiducia è quella delle biomasse. Altri settori di interesse, seppur in modo più limitato, sembrano essere quello agrituristico e quello faunistico. L'analisi a livello provinciale ha evidenziato differenze marcate tra Arezzo e Siena, sia come caratteristiche intrinseche aziendali che come disponibilità alla riconversione. sembrano più diffuse in provincia di Siena. Alle 5 alternative prospettate nelle fasi iniziali di svolgimento del progetto (Costituzione di centri di ingrasso per bovini da carne, Allevamento di capre da latte con annessa trasformazione, Allevamenti di piccole specie, Allevamenti equini, Allevamenti di struzzo, Produzione di fauna selvatica) alla fine del primo anno di attività, sulla base degli incontri con i tabacchicoltori, ne è stata aggiunta una, poi risultata per molti versi la più interessante, rappresentata dall'allevamento bovino, sia dei riproduttori che dei produttori di carne, secondo sche-

La tabacchicoltura in Toscana .....

Fig. 1. Alternative alla coltura del tabacco indicate dai coltivatori

mi riferibili alla linea vacca/vitello. Un certo interesse è manifestato verso attività faunistiche, anche se le competenze presenti nel settore sono di gran lunga inferiori. Meno apprezzate ma presenti appaiono le alternative riguardanti i caprini e l'allevamento di soggetti di razze autoctone, di diverse specie. L'attrattiva, in quest'ultimo caso, dipende dai contributi che la Regione Toscana eroga per l'allevamento di razze in via di estinzione, quando queste sono presenti nel "paniere" delle razze riconosciute a livello regionale. Invece sono state "congelate" le alternative: Costituzione di centri di ingrasso per bovini da carne, Allevamenti di piccole specie, Allevamenti di Struzzo. Tali alternative risultano di difficile attuazione o di scarsa o nulla predilezione da parte degli attuali tabacchicoltori


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Le alternative zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in Umbria M. Pecchiai, L. Bianchi, C. Casoli1 Introdzione In Umbria la tabacchicoltura rappresenta un settore agricolo di notevole importanza, con una superficie destinata a questa coltura pari a 8567,35 ha che corrisponde al 24,20% dei 35.401,46 ettari coltivati a tabacco a livello nazionale (Fig. 1). Nella regione sono presenti 714 aziende, di cui 699 in provincia di Perugia (97,90 %) e 15 in provincia di Terni (3,10 %). Della superficie totale a tabacco, 8304,63 ha, pari al 96,93%, si trovano in provincia di Perugia e 262,72 ha, pari al 3,07%, in provincia di Terni. La superficie media aziendale destinata a questa coltura è di 15,95 ± 22.43 ha (PG: 16,06 ± 22,96 ha; TR: 14,29 ± 12,27 ha), con valori estremi compresi tra 0,20 e 150,91 ha (PG: 0,20 - 150,91; TR: 1,89 - 38). La classe di ampiezza più rappresentata è la A (< 10 ha a tabacco), dove ricadono 445 aziende (PG: 441; TR: 4), pari al 62,32 % del totale. Segue la classe B (10 ÷ 50 ha a tabacco) con 251 aziende (PG: 240; TR: 11) corrispondenti al 35,15 % del totale. Nelle classi C (50 ÷ 100 ha a tabacco) e D (>100 ha a tabacco) si trovano rispettivamente solo 12 e 6 aziende, tutte in provincia di Perugia (Tab. 1). Materiali e metodi Ai fini del progetto, in collaborazione con le associazioni di categoria, sono stati compilati 21 questionari e visitate 4 aziende agricole tra le più rappresentative. Risultati e discussione Le aziende del campione sono tutte a conduzione familiare con impiego di manodopera avventizia (soprattutto straniera). Presentano superfici da 5,95 a 180 ha con terreni di proprietà e in affitto. La giacitura dei terreni aziendali è per il 54,5 % in pianura e per il 45,5% in collina. La percentuale delle superfici destinate a tabacco va da un minimo del 28% ad un massimo dell'85%, le restanti superfici vengono coltivate principalmente a seminativi (frumento, orzo,mais), ortaggi (peperoni, pomodo1 CIRSeMAF - DBVBAZ, Università degli Studi di Perugia B.go XX giugno, 74 - 06121 Perugia.

Fig. 1. Distribuzione della superficie italiana coltivata a tabacco

ri, cavoli, zucchine), ortive da seme (cipolle, insalate). I fabbricati presenti sono utilizzati come essiccatoi, rimesse attrezzi e abitazioni e vanno da un minimo di 100 m2 ad un massimo di 1520 m2. I macchinari in dotazione sono rappresentati da trattori, aratri, seminatrici, sarchiatrici, erpici, spandiconcime, botti per trattamenti. Quindi, macchinari speciali per il tabacco, quali trapiantatrici e raccoglitrici. Il tabacco è, generalmente, la principale fonte di reddito. La produzione annuale va mediamente dai 4,2 a 300 t con un prezzo che oscilla da 800 a 3850 €/t per la varietà Kentucky. Tra gli imprenditori contattati, solo 3 hanno svolto attività zootecnica (bovini da carne) dagli anni '70 alla fine degli anni '90. Dalle interviste effettuate, è risultato che tutti gli imprenditori sono informati circa la riforma dell'OCM TABACCO - Reg. CE 864/04 e manifestano un certo grado di incertezza dovuto, principalmente, alla mancanza di valide alternative alla tabacchicoltura e di proposte in merito da parte delle istituzioni competenti. I principali problemi da affrontare sono: l'alto reddito garantito dalle produzioni di tabacco (di cui una quota importante era finora costituita da contributi) e non raggiungibile, attualmente, con le altre colture; la presenza di strutture e attrezzature non riconvertibili, quali forni e macchinari per il trapianto e la raccolta. Attualmente, alcune aziende integrano il reddito con coltivazione di altri seminativi, ortaggi ed ortive da seme; è emerso, inoltre, l'interesse per la possibile introduzione di coltivazioni a scopo energetico (colza, girasole, mais) o per la produzione di fibra tessile (canapa). Le nuove colture, tuttavia, comportano interrogativi inerenti il reddito conseguibile e le possibili vie di


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Tab. 1. Suddivisione delle aziende a tabacco in base alle classi di ampiezza, alla provincia e alla regione

commercializzazione. Per quanto riguarda possibili riconversioni in ambito zootecnico, alcuni allevatori sarebbero interessati ad avviare allevamenti, principalmente, di vacche nutrici chianine nelle aree collinari, evitando di dedicarsi a tipologie di allevamento che necessitano di investimenti per la costruzione di ricoveri, etc. Va, comunque, sottolineata la generale mancanza di esperienza in zootecnia, che potrebbe richiedere opportune attivitĂ di formazione. In definitiva, gli imprenditori manifestano interesse verso ogni proposta che permetta loro di raggiun-

gere risultati economici paragonabili alla coltivazione del tabacco; tuttavia, dalle interviste, è emersa una certa sfiducia sulle possibili alternative a questa attività . Bibliografia MA. Marchini. Mutamenti strutturali dell'agricoltura umbra "tra diversificazione e multifunzionalità ". Regione dell'Umbria, Perugia, 2005. INEA. Risultati tecnico-economici delle aziende agricole dell'Umbria. Regione dell'Umbria, Perugia, 2005. M.R. Lorenzetti, G. Bocci. La guerra del tabacco. Umbria agricoltura, 2003; 16: 6-12.


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La zootecnia “consolidata” da carne: la razza Chianina Sargentini C1 Introduzione Secondo il Piano Zootecnico Regionale (Supplemento B.U.R.T. n.26 del 30.06.2004) la Chianina, particolarmente diffusa nelle province di Siena ed Arezzo, è la razza bovina più allevata nella regione, facendo registrare un costante incremento della numerosità dall'anno 2000. "…Questo andamento contraddice in parte l'andamento generale delle consistenze dei bovini da carne che invece hanno mostrato una flessione diffusa. Il dato può essere spiegato da una sostanziale "tenuta" degli allevamenti di qualità meglio organizzati rispetto agli altri… Per Chianina, Romagnola e Marchigiana è attivo il riconoscimento comunitario IGP "Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale". Lo strettissimo legame che unisce la razza Chianina al suo territorio è testimoniato non solo dal nome, ma anche dalla sua storia e dalla sua attualità. Scopo del presente lavoro è quello di valutare la possibilità di considerare l'allevamento di bovini di razza Chianina un'alternativa alla coltura del tabacco in funzione del Reg. (CE) n. 864/2004. Materiali e metodi Vengono descritti le origini, la storia, la diffusione, le caratteristiche morfologiche, produttive e riproduttive ed i sistemi di allevamento della razza Chianina nelle province di Arezzo e Siena, le più interessate sia dalla coltura del tabacco che dall'allevamento di bovini di razza Chianina. Risultati e discussione La razza Chianina è originaria della Val di Chiana, area geografica tra Toscana ed Umbria, situata tra il fiume Paglia e l'Arno corrispondente a quella dell'antico bacino Clanis Aretinum ricordato da Plinio il Vecchio (Hist. Nat. III, 52-54), "…lunga 57 km e larga 20 km circa, compresa tra le provincie di Arezzo…(Arezzo, Castiglion Fiorentino, Civitella della Chiana, Cortona, Foiano, Lucignano,

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE; Tel. 055 3288333; Fax 055 321216;

Marciano e Monte San Savino), di Siena (Cetona, Chianciano, Chiusi, Montepulciano, San Casciano dei Bagni, Sarteano, Sinalunga e Torrita), e per breve tratto in quella di Perugia (Castiglion del Lago, Città della Pieve e Tuoro) e Terni ((Monteleone d'Orvieto e Fabro). L'aspetto generale della Val di Chiana è quello di una vasta pianura orizzontale, delimitata da colline ubertosissime, ad eccezione del tratto fra Cortona e Arezzo che è costituito da monti aspri e brulli" (Marchi e Mascheroni, 1925). La razza è attualmente diffusa, con diversa consistenza, su tutto il territorio nazionale (ANABIC, 2006). La grande capacità di adattamento all'ambiente, in gran parte dovuto ad alcune sue caratteristiche morfologiche, ha fatto sì che si sia diffusa sia in ambienti particolarmente caldi (Brasile) che freddi (Canada). La Chianina è la razza bovina di maggior mole, potendo raggiungere, i tori, 180 cm di altezza al garrese e 16 q.li di peso vivo. Il mantello bianco porcellana, costituito da peli bianchi su cute ardesia, la rende tollerante alle radiazioni solari, determinando l'eccellente capacità di adattamento anche ai difficili ambienti tropicali. La pigmentazione apicale è nera. Nei primi mesi di vita il mantello è di colore fromentino. La testa è leggera con profilo rettilineo e corna corte a sezione ellittica, nere fino a due anni, bianco-giallastre alla base e nere in punta successivamente. Il collo è corto e muscoloso, con gibbosità pronunciata nei tori e giogaia leggera.. Il tronco è cilindrico con il dorso e i lombi, da cui si ottiene la famosa "bistecca fiorentina" lunghi, larghi e muscolosi. Groppa, cosce e natiche sono ampie e muscolose. Il profilo della coscia non appare tuttavia eccessivamente convesso a causa dello sviluppo in lunghezza delle masse muscolari. Gli arti infatti sono più lunghi rispetto alle altre razze da carne. L'elevata statura è uno dei caratteri che, trasmissibile ai prodotti d'incrocio, hanno maggiormente contribuito alla sua diffusione oltre Oceano consentendo il pascolamento anche in zone caratterizzate da essenze vegetali di grande sviluppo. Il peso adulto è di 1200-1500 kg per i maschi, 8001000 per le femmine. L'età al primo parto delle è di 33 mesi e l'interparto medio di 14 ( Franci et al., 1998).


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La razza è allevata prevalentemente in aziende di piccole e medie dimensioni (Sargentini e Acciaioli, 2006). L'87,7% degli allevamenti è situato in zone collinari e di montagna; il rimanente 12,3% si trova in aziende di pianura. Sia in Val di Chiana che in Val Tiberina si pratica prevalentemente il ciclo chiuso con allevamento dei riproduttori ed ingrasso dei vitelli, mentre poco diffuso è il ciclo aperto, con la sola fase d'ingrasso dei vitelli da ristallo in centri che provvedono al finissaggio, alla macellazione e alla vendita e commercializzazione della carne. L'allevamento dei riproduttori in alta collina è generalmente di tipo semibrado, con una stagione di pascolamento compresa tra maggio e ottobre, ed interessa aziende di piccole e medie dimensioni. I ricoveri invernali seguono generalmente le tipologie della stabulazione fissa o forme più o meno eterodosse di stabulazione libera. In pianura sono più diffusi, anche per i riproduttori, sistemi intensivi in stalle aperte, anche se non sempre secondo gli schemi classici della stabulazione libera e talvolta addirittura in stalle chiuse a posta fissa tipiche delle tradizionali aziende mezzadrili. I vitelli vengono ingrassati in box multipli, con lettiera permanente o semipermanente, dotati o meno di paddok esterni. L'alimentazione è basata essenzialmente su fieno e concentrati. La razione alimentare delle fattrici risulta mediamente inferiore ai fabbisogni soprattutto nei periodi critici, mancando una diversificazione tra fase d'asciutta, prima e seconda fase di lattazione (Cianci, 2003). Anche le razioni dei vitelli risultano, fino ad un anno di età, inadeguate, soprattutto dal punto di vista proteico, particolarmente importante nel periodo in cui è più attiva la sintesi di tessuto muscolare. Nella fase di finissaggio invece le razioni appaiono spesso sbilanciate per eccesso sia di energia che di proteina (Cianci, 2003) con notevole spreco dal momento che i processi di proteinogenesi sono in questa fase oramai attenuati. Per la razza Chianina, come per la Romagnola e per la

Marchigiana, che sono protette dal marchio "Vitellone bianco dell'appennino centrale", nei 4 mesi che precedono la macellazione non devono essere utilizzati insilati e sottoprodotti dell'industria. Il disciplinare prevede che la razione debba assicurare livelli nutritivi alti o medio alti (maggiori di 0.8 U.F./Kg di s.s.) ed una quota proteica compresa tra il 13% ed il 18% in funzione dello stadio di sviluppo dell'animale. Le migliori prestazioni si ottengono da vitelloni alimentati con razioni ad elevato livello nutritivo e macellati a 16-18 mesi di età ad un peso di 650-750 kg. Le rese al macello sono del 62-63%. Le carni, anche a pesi elevati, presentano ottimi parametri fisici (colore, tenerezza e capacità di ritenzione idrica) e chimico-nutrizionali, con un basso tenore in lipidi intramuscolari(Sargentini e Acciaioli, 2006). Questi sono rappresentati peraltro da un'alta percentuale di acidi grassi monoinsaturi e presentano un rapporto polinsaturi/saturi ottimale per l'alimentazione umana. La buona tenuta della razza Chianina all'interno del comparto zootecnico toscano e l'ubicazione degli allevamenti sul territorio regionale (Val di Chiana e Valtiberina) sembrano poter indicare nell'allevamento bovino da carne destinato alle produzioni di qualità un'alternativa alla produzione di tabacco. Riferimenti bibliografici ANABIC http://www.ANABIC.it/., 2006 Cianci D. Valorizzazione del Germoplasma bovino autoctono toscano. I georgofili - Quaderni. 2003. 23-58. Falaschini A., Vivarelli A. Zootecnica speciale. Edizioni Agricole Bologna. pp 558. 1965. Franci O., Panella F., Acciaioli A., Filippini F., Pugliese C., Bozzi R., Lucifero M. "Estimates of genetic parameters for some reproductive traits in Chianina beef cattle." Zoot. Nutr. Anim. 1998. 24:31-39. Marchi E., Mascheroni E. Zootecnica speciale. I. Equini e bovini. Nuova Enciclopedia Agraria Italiana: 952-965. Unione Tipografico-Editrice Torinese - TO. 1925. Sargentini C., Acciaioli A. Chianina. Risorse genetiche animali autoctone della Toscana. 2002.19-29.


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La zootecnia quale alternativa alla coltura del tabacco nell’Italia centrale:la produzione di carne di qualità con la razza Chianina Fabeni P1 La possibilità dell'alternativa zootecnica Durante i sopralluoghi effettuati presso i produttori di tabacco della provincia di Arezzo è risultato che alcuni di loro hanno già intrapreso la strada della zootecnia quale futuro sviluppo per la propria azienda agricola. E' inoltre interessante notare che alcune delle strutture utilizzate per l'essiccazione di tabacco sono in realtà antiche strutture zootecniche. Gli agricoltori sono consapevoli di trovarsi in un momento di transizione verso un nuovo settore produttivo ed esclusi pochi produttori, restii a qualunque ipotesi alternativa, quasi tutti sono interessati al settore zootecnico. Questa opzione sembra avvalorata da una seppur modesta conoscenza del comparto produttivo zootecnico da buona parte dei produttori di tabacco, che hanno sempre affiancato questa produzione a quella di un ristretto numero di bovini o suini. L'alternativa zootecnica sembra in molti casi la via d'uscita da una situazione alquanto compromessa dell'agricoltura di settore, anche se sarebbe necessario un adeguato periodo di formazione e aggiornamento sulle produzioni animali, in particolare per i nuovi imprenditori. La produzione di carne bovina secondo l'IGP. "vitellone bianco dell'Appennino centrale". L'estensione geografica dei confini dei mercati agricoli e la crescente liberalizzazione degli scambi hanno determinato rapidi mutamenti nel quadro competitivo internazionale e, se da una parte ciò apre nuove opportunità per la filiera agroalimentare, dall'altra determina l'affermazione di minacce rilevanti. L'agricoltura europea non può vincere la concorrenza globale omologandosi ai modelli dell'America e dell'Oceania, e neanche a quelli dell'Asia e dell'Africa; deve avere un modello auto-

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE; Tel. 055 3288333; Fax 055 321216

nomo, competitivo e differenziato. In questo senso la qualità organolettica e dietetica, la specificità e la tipicità d'origine delle produzioni sono tra le principali leve di intervento ed in particolare un patrimonio fondamentale dell'agricoltura italiana. Nelle aree del centro Italia interessate dalla coltura del tabacco sono presenti molti prodotti agroalimentari di pregio. In particolare, riferendosi alle aree della Valdichiana e della Valtiberina, dove il tabacco è largamente coltivato, è considerevole la quota crescente di produzione di carne proveniente dalle produzioni del “vitellone bianco dell' Appennino centrale” a marchio IGP, ovvero la carne prodotta da bovini delle razze Chianina, Marchigiana o Romagnola, macellati ad una età compresa tra i 12 e i 24 mesi, nati, allevati e macellati all'interno dell'area di produzione nel rispetto del disciplinare di produzione. Il ruolo della Chianina nella realtà zootecnica toscana Gli allevamenti di Chianina in Toscana appartengono a due gruppi principali: a ciclo chiuso, con allevamento sia dei riproduttori che dei vitelloni fino alla macellazione e allevamenti di solo accrescimento-ingrasso. Il campione di aziende toscane esaminate nel primo anno di attività, tutte situate in provincia di Arezzo, appartiene al secondo gruppo e presenta peculiarità molto marcate. Si tratta di allevamenti di piccole dimensioni in cui l'attività può anche assumere caratteri complementari rispetto all'economia dell'intera azienda, e risulta esclusivamente centrata sull'ingrasso di capi di Chianina acquistati presso allevatori delle aree limitrofe al termine del periodo di svezzamento. Le razioni alimentari adottate dipendono sia dal tipo genetico dei capi allevati sia dalle condizioni pedoclimatiche delle aree in cui sono localizzate le aziende, che indirizzano le scelte colturali per la produzione aziendale di foraggi destinate all'alimentazione del bestiame. Il silomais è praticamente assente nei piani colturali degli allevamenti di Chianina, che dispongono in media di 11 ha di


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La zootecnia quale alternativa .....

opportuna l' erogazione di servizi reali. Si tratta di dare risposte ad una serie di esigenze manifestate dalle imprese sostanzialmente su più versanti: comunicazione aziendale, organizzativa, organizzativa/commerciale/marketing, gestionale/commerciale/aziendale, ecc.. a cui alcune figure professionali esterne possono dare risposta concreta. Fig. 1 Ripartizione colturale negli allevamenti a ciclo aperto della Toscana Di fatto è un'attività di cooperazione (2004) con l'impresa richiedente secondo i superficie per le foraggere impiegate, pari al 69% criteri del tutoraggio, sia pur per singole aree d'intedella SAU aziendale. La razione alimentare in que- resse. Infine appaiono opportune iniziative collettisti allevamenti si caratterizza per l'utilizzo di fieno ve finalizzate a creare un contesto organizzativo e come principale foraggio di produzione aziendale. di servizio non centrato a favore della singola La sua produttività ad ettaro è notevolmente infe- impresa ma dell'insieme di queste. Si tratta in altri riore rispetto al mais, e questo costituisce uno dei termini di strutturare una serie più o meno espansa vincoli strutturali alla possibilità di raggiungere di iniziative ed azioni in grado di supportare la comdimensioni più elevate, però la qualità del prodotto mercializzazione della carne Chianina. A titolo finale (carne), viene ulteriormente esaltata. I prati esemplificativo si può considerare la creazione di di erba medica e i prati stabili occupano più del un consorzio di produttori che integrando le diverse 50% della SAU, che per la parte rimanente è colti- attitudini aziendali e tecniche supportino completavata ad orzo (19%), mais (granella) e frumento mente ed efficientemente la rete di produzione e duro, di cui viene utilizzata la paglia come lettiera. commercializzazione dei prodotti. La composizione delle razioni alimentari differisce secondo il tipo genetico e l'età in cui il vitello fa il Riferimenti bibliografici suo ingresso in stalla, come è mostrato nella tabel- ISMEA - Dir. Mercati e risk management - U.O. Analisi economiche e finanziarie. Indagine sull'Analisi del costo e della la 1. che riporta la composizione media delle razioredditività della produzione di carne bovina. CRPA - Centro ni adottate dagli allevamenti analizzati. ricerche produzioni animali, 2006. Proposte Per il miglioramento produttivo ed economico del comparto possono essere utili iniziative di formazione e aggiornamento tecnico, sia nel settore della produzione (alimentazione del bestiame, tecniche e sistemi di allevamento, età e pesi di macellazione) che del marketing, attraverso seminari tematici, con taglio operativo e pragmatico del tipo informazione-formazione-consulenza. Inoltre appare

Lucifero M., Pilla A.M. II miglioramento genetico: organizzazione, evoluzione, proposte, Atti del Convegno Nazionale su "Le razze bovine bianche da carne dell'Italia Centrale", Accademia dei Georgofili, Firenze, 1984. Mariotti L. Aspetti e problemi del settore zootecnico bovino da carne in Umbria, Tesi di Laurea, Istituto di Economia e Politica Agraria, Perugia,1978. Salvini E. Produzione del vitello da ristallo in allevamenti estensivi, INEA-Osservatorio di Economia Agraria per la Toscana, Firenze, 1983. Mondini S. Razze italiane da carne: marchio di qualità e garanzia del consumatore, Informatore Zootecnico, 1987; 17.


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L’allevamento della capra da latte: struttura dell’allevamento biologico Lorenzini G1, Martini A1, Sargentini C1, Giorgetti A1 Introduzione L'allevamento caprino, soprattutto per la produzione aziendale di formaggio, può rappresentare, in particolari situazioni, un' alternativa o una fonte integrativa importante alla coltivazione del tabacco. Dopo un significativo incremento del numero di capi nei primi anni '90, la consistenza del patrimonio caprino in Italia è attualmente in diminuzione. Oggigiorno le capre sono allevate di preferenza in greggi di 60-200 capi. La produzione principale è quella di latte che viene lavorato direttamente in azienda. Esso infatti, pur essendo un alimento particolarmente pregiato e con elevate caratteristiche organolettiche, non sempre è raccolto nei caseifici, almeno in Toscana, dove non esiste una produzione tradizionale di formaggio come avviene nel Nord Italia. Un'attenzione crescente sembra comunque interessare prodotti con marchi IGP o ottenuti secondo il disciplinare biologico. I dati ISTAT del V° Censimento Generale dell'Agricoltura mostrano come il patrimonio caprino toscano dal 1990 al 2000 abbia subito una preoccupante contrazione sia nel numero dei capi allevati (48,5% ) che nel numero delle aziende (- 55,2%). Questa diminuzione è imputabile principalmente alla crisi strutturale cui è andata incontro la zootecnia, che ha determinato la rarefazione degli allevamenti familiari e di quelli di dimensioni ridotte non specializzati. Gli allevamenti ovi-caprini hanno potuto attingere meno di altri alle risorse disponibili per far fronte ai cambiamenti imposti dalla globalizzazione dei mercati ed all'adeguamento alle nuove norme di produzione, come quella ad esempio sulla qualità igienico-sanitaria. A quelli strutturali si sono aggiunti poi, nel comparto, altri fattori congiunturali quali le emergenze sanitarie (Blue Tongue, Scrapie, ecc.), i cambiamenti socio-culturali, ed i consumi fortemente legati alla tradizione. Per valutare le potenzialità dell'allevamento biolo-

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze zootecniche dell'Università di Firenze, via delle Cascine, 5. 50144 Firenze. Tel. 055 3288357. Fax 055 321216. e-mail g.lorenzini@unifi.it

gico per la produzione di latte caprino caseificato in azienda vengono di seguito esposte le caratteristiche di questo indirizzo produttivo. Allevamento In allevamento biologico le capre vengono allevate esclusivamente a stabulazione libera. La superficie coperta a disposizione è di almeno 1,5 m² per ogni animale adulto e 0,35 m² per i capretti. Il fronte di mangiatoia è di almeno 35-40 cm/capo. Il pascolo dovrebbe essere garantito quotidianamente con un carico massimo di 13,3 capre/ha, corrispondenti alla distribuzione di 170 kg N/ha/anno, valore massimo stabilito dalla Dir. 91/676/CEE. Il pascolamento si dimostra necessario sia per rispondere ai naturali fabbisogni alimentari in modo soddisfacente ed economico sia per garantire il benessere degli animali scongiurando disordini o turbe di tipo comportamentale (aggressività), talvolta riscontrabili in allevamento intensivo. In mancanza di pascoli, o se questi sono troppo lontani dall'azienda, devono essere assicurati comunque paddock esterni dove gli animali possano muoversi liberamente. Queste aree di esercizio dovrebbero essere dotate di tronchi, pietre e scarpatine per permettere agli animali di saltare e arrampicarsi e manifestare così i comportamenti specie-specifici. Dal punto di vista riproduttivo la capra viene definita poliestrale stagionale: essa concentra cioè in un periodo dell'anno (nei nostri climi da agosto a gennaio) la propria attività ovarica che si ripete, in assenza di gravidanza, a cicli regolari di 21 giorni circa, per tutto il periodo con fotoperiodo decrescente o negativo. Il becco segue l'attività sessuale della capra con una maggior libido nello stesso periodo. Il primo calore si manifesta a 6-7 mesi e la carriera riproduttiva è di 7-10 anni. Il calore può durare dalle 12 alle 48 h; il momento più fertile sembra essere quello che precede di poche ore il calore stesso, questo interessa nel caso si proceda alla fecondazione artificiale. Nel caso in cui i maschi vengano lasciati liberi nel gregge si autoregolano senza la necessità di alcun intervento. In genere calori sono sincroni e non è raro che nel giro di pochi giorni tutti i capi adulti manifestino l'estro;


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questa sincronizzazione aumenta quando si immette il becco dopo un periodo di isolamento. La gestazione dura in media 5 mesi (135-160 giorni). Organizzazione del lavoro Annualmente il lavoro inizia con la stagione dei parti, a cui segue l'inizio della lattazione e lo svezzamento dei capretti che può essere naturale o artificiale. Questo periodo è compreso di norma tra gennaio e le festività pasquali, quando i capretti da macello vengo venduti e le femmine da allevamento svezzate. Nel caso in cui si adotti, per motivi economici e organizzativi, lo svezzamento artificiale, la fase di lattazione, in cui è effettuata la mungitura, inizia alla fine dei parti e contemporaneamente inizia l'allattamento dei capretti. Durante la lattazione gli orari delle operazioni di stalla sono mantenuti abbastanza costanti e l'insieme dei lavori in stalla sarà minore; con il procedere della stagione primaverile/estiva, a seconda della latitudine, si dovranno comunque adeguare gli orari di foraggiamento, perchè con il caldo gli animali tenderanno a rimanere più volentieri in stalla durante le ore centrali del giorno e a pascolare in quelle più fresche. In estate inoltrata, con l'inizio dei calori, ven-

L’allevamento della capra da latte .... gono immessi nel gregge i maschi. All'inizio dell'autunno comincia la messa in asciutta delle capre passando ad una sola mungitura giornaliera. Terminata la lattazione le operazioni di stalla consistono in due foraggiate giornaliere e nell'uscita al pascolo durante le ore più calde. Alimentazione L'alimentazione deve provenire al 95% da agricoltura biologica e di questo il 50% deve essere prodotto in azienda. Durante la primavera e l'estate predomina l'erba fresca, in inverno il fieno. Le capre in lattazione, ricevono farine di cereali come mangime integrativo. La razione deve essere sempre costituita per almeno il 60% da foraggi mentre i concentrati non devono rappresentare più del 40%. La capra, i cui fabbisogni alimentari sono riportati in tabella 1, ha grande capacità di ingestione ed è capace di utilizzare anche alimenti poco pregiati. Riesce a digerire fino al 90% della cellulosa (contro il 70% della pecora) e disperde, rispetto alla pecora, meno azoto per digestione ruminale: 11% contro il 36%. Importante ai fini di una corretta alimentazione è il rapporto nella razione fra calcio (Ca) e fosforo (P); l'utilizzazione migliore si ha quando nella dieta il loro rapporto (Ca/P) è compreso fra 1,2 e 2, anche se tutti i ruminanti tollerano anche rapporti più elevati (fino a 7). Il consumo di calcio e fosforo negli animali da latte è molto forte. Molto ricchi di calcio sono i foraggi di leguminose mentre il fosforo è presente soprattutto nei cereali e nella crusca. Riferimenti bibliografici Reg UE 2092/91 Reg UE 1804/99 Dir. 91/676/CEE. Piano Zootecnico Regionale Toscano, 2000 AAVV. - Atti del convegno Arsia "Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione", 1999.


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Attualità e prospettive della razza suina cinta senese Bozzi R1 In Italia la spesa delle famiglie dagli anni '70 ad oggi ha visto aumentare la quota destinata all'alimentazione e questo aumento è ancora più evidente per la quota della ristorazione. In tale contesto le tendenze del consumo di carne in Italia hanno visto un aumento notevole della quota di carne di maiale passando dai 7-8 kg/anno/pro-capite ai 30 del 2001 (Fig. 1). Questo aumento rilevante ha senza dubbio influenzato in misura preponderante la diffusione, anche sul nostro territorio, di razze cosmopolite inizialmente anche a scapito di genotipi autoctoni in precedenza allevati. Sul finire degli anni '80 però la maggior disponibilità di reddito della popolazione e la maggior consapevolezza nei confronti di un'alimentazione equilibrata ha portato ad una rapida espansione di razze locali. Queste razze sono caratterizzate da performance produttive e riproduttive sicuramente non eccellenti ma al tempo stesso presentano ottime caratteristiche organolettiche delle carni e sono allevate con sistemi più confacenti alle attuali esigenze dei consumatori. La Cinta Senese (Fig. 2), originaria della Montagnola Senese, ha incrementato notevolmente la sua numerosità in questi ultimi dieci anni e viene allevata prevalentemente outdoor sfruttando le risorse del bosco e l'integrazione alimentare nei periodi di ridotte disponibilità alimentari. I prezzi raggiunti dai prodotti di Cinta Senese sono stati in questi anni sicuramente competitivi (il prezzo del suino vivo è stato anche doppio rispetto a quello dei genotipi classici); in questo ultimo periodo si è peraltro rilevata una tendenza sempre più marcata al riallineamento dei prezzi dei prodotti di Cinta Senese con quelli dei suini tradizionali in virtù di un'eccessiva frammentazione dell'offerta a fronte di una domanda concentrata in larga parte nella GDO. La "nicchia di mercato" a disposizione del prodotto è tutto sommato di entità ragguardevole, considerata la

1 Dipartimento di Scienze Zootecniche - Università di Firenze. TF 0553288355 FAX 055321216 email: riccardo.bozzi@unifi.it

diffusione locale del prodotto e la possibilità di occupare spazi di mercato destinati a prodotti con caratteristiche organolettiche peculiari (i.e. lardo stagionato) ed alla luce di tutto ciò un'eventuale conversione delle aziende che coltivano tabacco ad aziende zootecniche è senza dubbio plausibile ed economicamente conveniente. È ovvio che dovranno essere interessate da tale conversione quelle aziende che presentano terre idonee all'allevamento suino outdoor; potranno essere considerate quelle aziende che riescono a far coesistere le produzioni agronomiche (mais, grano, orzo, ecc….) con il successivo pascolo in campo dei suini ed eventualmente sarebbe auspicabile la presenza di una zona di bosco per la fase di finissaggio (castagna e ghianda) dei soggetti da ingrasso. A proposito del bosco non va sottaciuto che, nelle condizioni italiane, questo può fornire alimento solo per un ristretto periodo di tempo e il carico animale ad ettaro deve essere in ogni caso tenuto molto basso per la salute del bosco stesso; carichi superiori ad 1 capo ad ettaro sono sconsigliati. Un allevamento di questo tipo (outdoor) non deve peraltro prescindere dalla caratterizzazione del prodotto e da una sicura filiera di tracciabilità alimentare; difatti senza una forte caratterizzazione produttiva si rischia di incorrere in un'espansione incontrollata e instabile. È inoltre auspicabile un forte associazionismo tra le varie figure che caratterizzano la filiera; in tal senso la filiera che ha caratterizzato in questi anni la produzione dei salumi di Cinta Senese è risultata molto spesso frammentata e lunga, fattore che ha portato a perdere parte dei guadagni realizza-


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Fig. 2. Cinta senese

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Razza suina cinta senese bili con tale razza. Le aziende coltivatrici di tabacco che vorranno quindi inserirsi nel contesto della produzione suinicola di qualitĂ troveranno sicuramente margini di mercato alla condizione che riescano a creare un legame stretto tra territorio e prodotto e dovranno impegnarsi in forme associazionistiche che possano da un lato garantire il consumatore sul prodotto fornito e dall'altro lato permettano di essere competitivi come offerta di mercato. Qualora tali forme di associazionismo riuscissero a imporsi e potessero essere saltate le figure intermedie anche la GDO rivestirebbe un valido sbocco di mercato, cosa attualmente poco proponibile per il grosso squilibrio tra ridotta offerta dei produttori e grossa richiesta dei distributori.


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Il cavallino di Monterufoli Tocci R1 Introduzione Questo lavoro ha lo scopo di far conoscere e favorire lo sviluppo di un importante tipo genetico toscano a rischio di estinzione: il cavallino di Monterufoli. L'allevamento di questa razza potrebbe rappresentare un'alternativa, o in maniera più concreta, un'integrazione zootecnica alla coltura del tabacco. Il cavallino di Monterufoli deriva dall'omonima area in provincia di Pisa e la sua storia cominciò negli anni ‘30 quando, in seguito all'acquisizione della tenuta di Monterufoli da parte del casato dei Della Gherardesca, iniziò il miglioramento dei cavallini presenti nel luogo. In questa popolazione originaria, che secondo alcuni autori deriverebbe da tipi genetici autoctoni estinti (pony di Selvena), venne introdotto materiale genetico derivante da riproduttori Maremmani, Tolfetani, Orientali (Arzilli, 2006). Fino agli anni ‘60 il Monterufolino, adoperato con la sella ma soprattutto con gli attacchi, rappresentava un mezzo di trasporto diffuso. Lo sviluppo tecnologico in agricoltura e l'abbandono delle campagne coincisero con la fine di questo cavallo, che rischiò l'estinzione. Il recupero della razza è storia recente, ed ha avuto inizio negli anni ‘80. Al momento sono presenti circa 200 soggetti di cavallino di Monterufoli (Arzilli, 2006). Le sue attitudini principali sono quelle dell'utilizzo per la sella o per gli attacchi in agriturismo o centri equestri di vario tipo, oltre che per l'ippoterapia. Materiali e metodi I dati biometrici (Tab. 1) sono stati rilevati in 26 equini adulti (21 femmine e 5 maschi), allevati in 4 allevamenti. L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa sono state misurate tramite ippometro, le larghezze con compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze con nastro metrico. È stato calcolato inoltre l' Indice Corporeo (Catalano, 1985; Meregalli, 1980). Su tutte le misure, per femmine e 1 Dipartimento di Scienze Zootecniche, Via delle Cascine 5, 50144 Firenze. Tel +390553288333 E-mail: roberto.tocci@unifi.it

Fig. 1. Femmina di cavallino di Monterufoli

stalloni, sono state calcolate la media e la deviazione standard. È stata calcolata inoltre la frequenza percentuale di: colore e particolarità del mantello, caratteristiche delle regioni zoognostiche e della struttura corporea. Risultati e discussione I dati ottenuti attraverso le ricerche effettuate hanno permesso di individuare le biometrie e le caratteristiche morfologiche della popolazione equina, presenti al momento sul territorio. Il cavallino di Monterufoli presenta altezza al garrese, circonferenza toracica e circonferenza dello stinco (Tab.1) paragonabili ai dati riportati in bibliografia (Arzilli, 2006; Gandini G, Rognoni G., 1997) e negli "standard di razza" (http://www.aia.it/, 2006). Le caratteristiche principali e peculiari di questo cavallo, sono date da: mantello morello, testa conica, profilo montonino, criniera e coda di colore scuro, zoccolo resistente (Tab.2). Questo tipo genetico autoctono ha avuto origine in un ambiente in un ambiente ostico, che lo ha reso idoneo per uno sfruttamento in diverse aree toscane, specie in quelle marginali. Questa è una razza rustica e frugale che può essere utilizzata per varie mansioni, svolte in agriturismo, maneggi, centri ippici. Il cavallino di Monterufoli può essere utilizzato per la sella, in particolare per bambini e cavallerizzi inesperti, ma anche per l'ippoterapia, dove l'animale è sfruttato per la sella o per gli attacchi.


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Il cavallino di Monterufoli

Tab.1. Biometrie di femmine e maschi adulti

Citazioni bibliografiche

Tab.2. Principali caratteri morfologici

Aia, 2007 http://www.aia.it. Arzilli, L.. Cavallino di Monterufoli. In: AA.VV., Risorse genetiche animali autoctone della Toscana, pp. 191. ARSIA, FIRENZE, 2006. Catalano, A.L. Valutazione morfo-funzionale del cavallo, Igiene ed Etnologia. Goliardica Editrice, pp. 143. Noceto, (PR), Italy, 1984 Gandini G., Rognoni G.. Atlante etnografico delle popolazioni equine ed asinine italiane, pp.142. CittĂ StudiEdizioni. Milano, 1997. Meregalli, A.. Conoscenza morfofunzionale degli animali domestici, pp. 300. Liviana Ed., Padova, 1980. Tocci R.. Importanza della tutela della diversitĂ animale. Caratterizzazione di due razze toscane a rischio estinzione: il Cavallo di Monterufoli e l'Asino dell'Amiata. Tesi di Laurea, 2006.


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L’asino dell’Amiata Tocci R1 Introduzione L'asino dell'Amiata è originario dell'area dell'omonimo monte, situata tra le province di Siena e Grosseto. Questo tipo genetico discende direttamente da due sottospecie di asino africano: Equus asinus taeniopus e Equus asinus africanus. Quest'asino venne introdotto in Toscana circa 4000 anni fa da mercanti Fenici o Etruschi (http://www.parcofaunistico.it). Verso la fine del 1800 era presente presso l'area del monte Amiata una popolazione di asini sorcino-crociati, che venivano sfruttati in particolar modo per l'estrazione di cinabro dalle miniere. Nel secondo dopoguerra comincia la selezione dell'asino Amiatino, per iniziativa del "Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste" e l'"Istituto di Incremento Ippico" di Pisa. Agli inizi degli anni '50 appare per la prima volta il nome di Asino dell'Amiata (Arzilli, 2006), ma alla fine dello stesso decennio comincia il declino della razza, sempre a causa dell'avanzare tecnologico in agricoltura e dell'abbandono delle campagne da parte dell'uomo. Attualmente, dopo un'attenta fase di recupero a cui hanno partecipato vari enti ed associazioni, il numero di soggetti di asino dell'Amiata è arrivato a più di mille (Arzilli, 2006). Le principali utilizzazioni per questo asino sono

Fig. 1. Asino dell’Amiata

1 Dipartimento di Scienze Zootecniche, Via delle Cascine 5, 50144 Firenze. Tel +390553288333 E-mail: roberto.tocci@unifi.it

Fig. 2. Asini dell’Amiata

date dallo sfruttamento per il latte, viste le caratteristiche organolettiche che sono molto simili a quelle del latte umano, oppure per il trekking. Un'altra funzione molto importante a cui può essere destinato questo asino è quello per l'utilizzo in onoterapia.. Materiali e metodi Sono stati misurati 11 soggetti di asino dell'Amiata (10 fattrici e 1 stallone) ed i rilievi sono stati effettuati presso 3 aziende. Su ogni asino sono state effettuate 26 misurazioni (Catalano, 1984). L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa sono state misurate tramite ippometro, le larghezze con compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze con nastro metrico. È stato calcolato inoltre l'Indice Corporeo (Catalano, 1985; Meregalli, 1980). Su tutte le misure, per femmine e stalloni, sono state calcolate la media e la deviazione standard; sulle femmine è stata inoltre valutata la frequenza percentuale di alcuni caratteri morfologici. Risultati e discussione L'asino dell'Amiata si caratterizza per delle biometrie (Tab. 1) molto simili a quelle riportate dagli "standard di razza" e dalla bibliografia (Arzilli, 2006; Gandini G., Rognoni G., 1997). Attraverso gli Indici corporei è stato individuato un tipo genetico con una struttura corporea tendenzialmente meso-dolicomorfa. Le principali caratteristiche morfologiche di questo equide (Tab. 2) sono date


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L’asino dell’Amiata

140 Tocci Tab.1. biometrie di femmine e maschi adulti

Tab.2. principali caratteri morfologici

cui caratteristiche organolettiche sono molto simili a quelle del latte umano, ma anche per il trekking, dove gli animali sono utilizzati per la sella oppure per la soma. Per tale funzione possono essere sfruttati anche i muli, la cui produzione è legata in maniera subordinata a quella degli asini. Un'altra pratica molto importante è quella dell'onoterapia, che è mirata in particolar modo al superamento di limiti sensoriali, motori, affettivi e comportamentali in soggetti diversamente abili. (http://www.asinomania.com/corsi/-onoterapia.htm) Citazioni bibliografiche

dal mantello sorcino, dalla croce scapolare, dallo zoccolo resistente e di colore scuro. Questo tipo genetico autoctono si è sviluppato in particolari ambienti, che hanno reso la razza idonea ad un utilizzo nelle diverse aree della Regione, anche in zone più marginali. È una razza rustica e frugale che può andare a valorizzare vari ambiti delle attività dell'uomo, che vanno dall'agriturismo, ai centri ippici, alle aziende agricole. L'asino dell'Amiata può essere sfruttato sia per il latte, le

Aia, 2007 http://www.aia.it/. Arzilli, L. Cavallino di Monterufoli. In: AA.VV., Risorse genetiche animali autoctone della Toscana, pp. 191, ARSIA, FIRENZE, 2006. Catalano, A.L. Valutazione morfo-funzionale del cavallo Igiene ed Etnologia pp. 143. Goliardica Editrice, Noceto, (PR), Italy, 1984. Gandini G., Rognoni G. Atlante etnografico delle popolazioni equine ed asinine italiane pp.142. CittàStudiEdizioni. Milano, Italy, 1997. http://www.asinomania.com/corsi/onoterapia.htm http://www.parcofaunistico.it Meregalli, A. Conoscenza morfofunzionale degli animali domestici. Liviana Ed., Padova, pp. 300. Italy, 1980. Tocci R. Importanza della tutela della diversità animale. Caratterizzazione di due razze toscane a rischio estinzione: il Cavallo di Monterufoli e l'Asino dell'Amiata. Tesi di Laurea, 2006.


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Il suino di razza “macchiaiola maremmana” Ciani F1, Giorgetti A2, Gallai S2 Premessa La popolazione suina denominata tradizionalmente Macchiaiola maremmana è considerata una delle più primitive e rustiche d'Italia (Bonadonna 60). L'area originaria di allevamento comprendeva parte della Toscana meridionale, nelle province di Siena e Grosseto e in particolare il monte Amiata, ma la razza, nei primi due decenni del secolo scorso, si diffuse anche in altre zone della Toscana, nel Lazio (dove era denominata Romana), ed in Umbria (dove era chiamata Perugina o da Macchia) (Mascheroni 1927). Data per scomparsa alcuni anni fa, nel 2005 furono individuati in alcuni allevamenti delle province di Grosseto e Siena, suini fenotipicamente somiglianti al vecchio Macchiaiolo. L'Associazione Genomamiata ha auspicato allora un recupero della razza, affidandone il compito al ConSDABI e al CIRSeMAF, che ha inserito questo programma nel Progetto Co.Al.Ta. 2 E' stato quindi avviato un percorso di ricerca di materiale storico su questo tipo genetico (iconografico e scritto), di verifica della reale sopravvivenza della razza e delle eventuali possibilità di un suo recupero e successiva valorizzazione. Origini La razza Macchiaiola deriva da popolazioni autoctone presenti nell'Italia centrale e meridionale da tempi immemorabili. Nel suo ampio areale di distribuzione, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, queste popolazioni autoctone furono sottoposte a incroci con razze britanniche quali Large White (primitiva), Large Black, Berkshire e Tamworth (Mascheroni 1927), con influenze difficilmente quantificabili ma sicuramente in grado di ingentilire le popolazioni originali, conferendo loro maggiore attitudine alla produzione della carne.

1 ConSDABI (Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal Point FAO - Benevento 2 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel +390553288356, E-mail Alessandro.giorgetti@unifi.it

Tali razze comunque, nel corso della loro formazione, erano state a loro volta fortemente influenzate da germoplasma autoctono italiano, a causa di massicce importazioni di riproduttori suini italiani in Inghilterra nel XVIII secolo; pertanto gli incroci con razze inglesi non hanno fatto che riportare nel nostro Paese parte del genoma indigeno che tre secoli prima era stato esportato (Ballarini 2002). Sempre a cavallo tra il XIX e il XX secolo la Macchiaiola fu infine sottoposta a incroci con la Cinta senese considerata, fino agli anni trenta, più gentile e produttiva nell'allevamento semi-brado o stallino (Mascheroni 1927). Caratteristiche fenotipiche I maiali Macchiaioli, così come descritto nei testi di zootecnia della prima metà del secolo scorso, avevano una statura ridotta, corpo quasi cilindrico, arti di medio sviluppo e ben conformati, reni corte, testa piccola con muso lungo e sottile con orecchie corte portate orizzontalmente o talora erette. Il mantello era completamente nero, tranne che in alcuni soggetti che maggiormente avevano subito l'influenza dell'antico Large White, costituito da grosse e folte setole che sulla linea dorsale e sulla nuca formavano un'irta criniera; l'allevamento esclusivamente brado condizionava fortemente lo sviluppo, molto tardivo, tanto che le femmine completavano la crescita a circa 18 mesi, età ritenuta ottimale per il primo accoppiamento nei primi decenni del secolo scorso (Mascheroni 1927). Le scrofe, allevate con sistema brado o semibrado, partorivano mediamente 8 suinetti per figliata (Bonadonna 1960). Se allevati razionalmente, in aree caratterizzate da buona offerta alimentare e in presenza di integrazioni, i suini maremmani a 12 mesi pesavano circa 120 Kg e a 16 mesi 150 Kg (Mascheroni 1927), valori che si possono considerare alla stregua di un embrione di standard di razza. Oggi appare però necessario procedere a nuove rilevazioni del peso e degli altri parametri biometrici alle diverse età, in modo da descrivere adeguatamente morfologia e sviluppo somatico della razza. In primo luogo infatti i dati reperibili in bibliografia sono limitati al peso vivo e non


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risulta che siano mai stati definiti veri standard secondo le esigenze del miglioramento genetico. In secondo luogo la popolazione residua, numericamente molto ridotta, rappresenta una piccola frazione della razza originaria e ha probabilmente parametri di riferimento diversi. Infine i nuovi sistemi di allevamento adottati sulla popolazione ridotta attuale, che prevedono un'alimentazione più corretta rispetto al passato, influenzano sicuramente la morfologia e le performance produttive di questi animali. Allevamento Per la loro grande rusticità e resistenza i Macchiaioli venivano considerati in grado di vivere allo stato brado nel sottobosco, cibandosi di quanto riuscivano a trovare, anche nella stagione arida (Bonadonna 1960). Questo suino infatti è sempre stato allevato prevalentemente al pascolo in prossimità di boschi o addirittura al loro interno e nella macchia mediterranea (da cui il nome conferito alla razza) della Toscana meridionale. Per questa ragione erano frequenti gli scambi genetici con il cinghiale; ciò contribuì a formare, nel tempo, un ecotipo caratterizzato da limitato accumulo di grasso e in grado di produrre carni considerate eccellenti per sapidità e consistenza (Mascheroni 1927). Nella prima metà del secolo scorso la Macchiaiola veniva però anche allevata in aree più fertili della Toscana centrale, dove le risorse foraggere erano più abbondanti e spesso di

Il suino di razza “macchiaiola maremmana” migliore qualità. I Macchiaioli recentemente identificati vengono allevati con sistema semibrado, in aree recintate per impedire contatti con i cinghiali, fornite di adeguati ricoveri e mangiatoie. Recupero e valorizzazione La razza si può oggi considerare quasi estinta, essendo stati recuperati, nell'area di origine, appena una ventina di riproduttori riferibili alle caratteristiche morfologiche della Macchiaiola. Tale numerosità, estremamente ridotta, non deve comunque essere considerata tale da impedire qualsiasi azione di recupero; in effetti, appena pochi anni fa la Cinta senese contava un simile numero di soggetti. Tra i riproduttori presenti attualmente almeno una decina, tra maschi e femmine, non sono tra loro parenti e una scelta oculata negli accoppiamenti potrebbe ampliare considerevolmente il numero dei capi senza troppi rischi di consanguineità. E' comunque importante avviare subito il percorso di recupero, a partire dalla verifica dei caratteri biometrici, perché anche un ritardo di pochi mesi potrebbe significare la scomparsa definitiva della razza. Riferimenti bibliografici Ballerini G., 2002 "Storia sociale del maiale, il futuro del passato della razza suina parmigiana". Ed CCIAA, Parma, 2002. Bonadonna T. "Il maiale" Ed Reda, Roma, 1960. Borgioli E. "Zootecnica speciale" Barbera Editore, 1940. Mascheroni E. "Zootecnia speciale III° suini" Nuova enciclopedia agraria italiana Ed. UTET Torino, 1927


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la pecora dell’Amiata e delle Crete senesi Gallai S1, Ciani F2, Lorenzini G1, Giorgetti A1 Premessa Nell'ambito delle possibili attività zootecniche alternative o integrative alla coltivazione del tabacco nella Toscana centrale, attraverso l'allevamento di razze-popolazioni in via o a rischio di estinzione, non può essere dimenticata la Pecora dell'Amiata e delle Crete Senesi. Si tratta di un tipo genetico appartenente alla grande famiglia dell'Appenninica, caratterizzata da una maggiore attitudine alla produzione del latte rispetto all'Appenninica propriamente detta, di qualità eccellente per la caseificazione e con il quale prima dell'arrivo della razza Sarda nella Toscana centrale si produceva il famoso formaggio pecorino delle crete senesi. Da quanto è emerso da una prima indagine sembra che la Pecora dell'Amiata e delle Crete Senesi abbia una consistenza di poco superiore ai 400 capi ed è quindi, a tutti gli effetti, una razza in via di estinzione. Purtroppo non è stata ancora inserita nel repertorio regionale delle risorse genetiche autoctone della Toscana per insufficienza della documentazione sulle caratteristiche della razza e sulla sua effettiva consistenza e quindi attualmente

Fig. 1. Pecore dell’Amiata

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE 2 ConSDABI (Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal Point FAO - Benevento

non gode delle sovvenzioni regionali previste per l'allevamento delle razze autoctone a rischio di estinzione. E' così stata avviata, grazie a questo progetto, una serie di indagini e di ricerche finalizzate al censimento e alla caratterizzazione morfologica, genetica e produttiva della razza per un suo auspicabile recupero. Nel presente lavoro viene descritto questo tipo genetico, a partire da una serie di dati reperibili in letteratura e dei risultati di visite presso alcuni allevamenti nei quali era stata segnalata al gruppo di ricerca la presenza della razza. Allevamento La Pecora dell'Amiata è un animale caratterizzato da elevata rusticità e adattamento a diversi ambienti. Un tempo l'allevamento era praticato a livello poderale ed era fortemente condizionato dalle spesso limitate disponibilità foraggere, fattore che ha sempre influenzato negativamente la produttività di questa razza e, indirettamente, l'avvio di un serio processo di miglioramento genetico (Ciani F., 2002). Nei poderi di alta collina e di montagna la consistenza del gregge variava tra i 20 e i 50 capi, in relazione all'ampiezza degli incolti e del bosco utilizzabile (AA.VV., 1982). In inverno, nei casi di neve o pioggia, gli animali rimanevano chiusi nell'ovile dove erano alimentati con fieni di scarto e strami di bosco, tranne le pecore in lattazione alle quali erano riservate generalmente modeste quantità di crusca e di fave macinate; negli altri giorni pascolavano nel bosco o sulle sodaglie. Nella buona stagione erano ampiamente utilizzate le stoppie, i prati a maggese, l'erba dei cigli e i sottoprodotti agricoli disponibili (AA.VV., 1982). Caratteristiche somatiche La Pecora dell'Amiata è di media taglia, con scheletro leggero. La testa, relativamente piccola, ha profilo rettilineo o lievemente convesso. I maschi sono in genere cornuti e le femmine acorni. Le orecchie sono piccole e portate orizzontalmente. Il collo è sottile. Il vello è semichiuso, a bioccoli conici, di colore bianco sporco, raramente con macchie nere o marroni; il ventre e gli arti sono scoperti (Federconsorzi, 1961).


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Produzioni La Pecora dell'Amiata era, ed è, una tipica pecora a triplice attitudine: latte, carne e lana. Nonostante le precarie condizioni alimentari le produzioni lattifere erano, ancora alla metà del secolo scorso, più che soddisfacenti, mediamente 70-80 kg in 120 d di lattazione con rese del 20% in formaggio e intorno all'8% in ricotta. Il tasso di gemellarità sembra abbastanza elevato, intorno al 15%; stime più precise potranno essere ottenute al termine dello studio sistematico e prolungato della razza-popolazione. Il peso degli agnelli, di circa 3 kg alla nascita, raggiunge i 10 kg a un mese. Le rese si aggirano intorno al 64% e la carne è sempre stata considerata, da allevatori e consumatori locali, di eccellente qualità sensoriale. Negli anni cinquanta la produzione di lana sucida, di qualità media, era di circa 2,4 kg

La pecora dell’Amiata .... per gli arieti e di 0,9-1,2 kg per le pecore (Federconsorzi, 1961). Particolarmente pregiati erano considerati i prodotti della trasformazione del latte e in particolare il pecorino delle crete senesi, con presame di agnello o di capretto e il cacio fiore, con presame vegetale, generalmente costituito dal liquido di macerazione dei fiori di cardo selvatico, previa breve cottura, chiamato localmente "presura". Citazioni bibliografiche AA.VV "Cultura contadina in Toscana". Vol I. Ed. Bonechi, Firenze, 1982 Ciani F. "Recupero, salvaguardia e valorizzazione della popolazione ovina autoctona delle crete senesi e dell'Amiata". Convegno "La biodiversità agroalimentare delle crete senesi" San Giovanni d'Asso, Siena. 9/11/2002 Federconsorzi "Allevamenti italiani. Ovini" Ed. REDA, Roma, 1961


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La produzione di fauna selvatica come alternativa e integrazione alle produzioni agricole Meriggi A1 Introduzione Uno dei più importanti valori della fauna selvatica è il suo utilizzo a scopo ricreativo, sia mediante osservazione degli animali selvatici nei loro habitat naturali, sia mediante prelievo, vale a dire attraverso l'attività venatoria, che può essere esercitato in varie forme su alcune specie e popolazioni. Questo valore può essere quantificato e monetizzato aggiungendosi ad altri valori del territorio derivanti dalle diverse forme di destinazione e, in particolare, dall'uso per le produzioni agricole. Nonostante il vistoso calo del numero di cacciatori, in atto da circa un ventennio in numerose regioni e province italiane, rimane elevato l'interesse venatorio per la fauna selvatica che si traduce spesso in un indotto economico di notevole interesse, soprattutto quando l'attività è gestita a livello privato. In molte realtà ambientali italiane, svantaggiate da un punto di vista agricolo per la particolare collocazione e per le peculiari caratteristiche dei terreni, la produzione di fauna selvatica di interesse venatorio può diventare un'alternativa o, almeno, un'integrazione al reddito derivante dalla produzione agricola. L'attuale politica agricola comunitaria, con una generale tendenza a ridurre le sovvenzioni alle aziende, ha reso ancor più necessaria l'individuazione di forme alternative di reddito ad integrazione o sostituzione di quello agricolo. Gli istituti di gestione della fauna selvatica La legge nazionale sulla tutela e gestione della fauna selvatica attualmente in vigore è la legge quadro n° 157 del 1992. Questa legge disciplina l'attività venatoria in Italia secondo un sistema misto pubblico e privato. Accanto a istituti di carattere associazionistico (Ambiti Territoriali di Caccia e Comprensori Alpini), sono previste zone protette gestite direttamente dalle province (Zone di Ripopolamento e Cattura, Oasi di Protezione, Oasi di Protezione per l'Avifauna, Centri Pubblici di

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE; Tel. 055 3288356; Fax 055 321216; E-mail: alessandro.giorgetti@unifi.it

Produzione della Fauna Selvatica) e zone a gestione privata: Aziende Faunistico-Venatorie (AFV), Aziende Agro-Turistico-Venatorie (AATV), Centri Privati di Produzione della Fauna Selvatica (CPPFS) e Zone Addestramento Cani (ZAC) permanenti e temporanee. Per la produzione di fauna selvatica come alternativa e integrazione alle produzioni agricole, è necessario focalizzarsi sugli istituti privati di gestione, poiché questi possono essere istituiti su fondi agricoli di proprietà di singoli o consociando più proprietari di terreni, per raggiungere un'estensione sufficiente. Le regioni maggiormente interessate dalla presenza di AFV sono, nell'ordine, la Sardegna, la Toscana, l'Emilia Romagna, il Piemonte, la Lombardia e il Veneto; mentre le AATV sono concentrate soprattutto in Toscana, Veneto e Emilia Romagna . I CPPFS sono presenti solo in alcune province italiane e, in ogni modo, in numero molto limitato. Produttività del territorio per le specie d'interesse venatorio Le specie di selvaggina di maggior interesse per una produzione alternativa a quella agricola appartengono agli ordini dei Galliformi e dei Lagomorfi e al superordine degli Ungulati. In particolare, tra i Galliformi, le specie più importanti sono il Fagiano (Phasianus colchicus), la Starna (Perdix perdix) e la Pernice rossa (Alectoris rufa), tra i Lagomorfi sostanzialmente la Lepre comune (Lepus europaeus) e, tra gli Ungulati, il Capriolo (Capreolus capreolus), il Daino (Dama dama) e il Cinghiale (Sus scrofa). Queste specie, in generale, trovano buone condizioni d'idoneità ambientale sul territorio italiano, con variazioni di densità e produttività delle popolazioni correlate alle caratteristiche ambientali. Rendimento economico Considerando il valore di mercato delle specie di fauna selvatica sopra elencate, come capi prodotti in condizioni naturali e non allevati in cattività, è possibile calcolare il rendimento economico del territorio esprimendolo in euro per km2 (Tab. 1). I valori esposti in tabella sono stati calcolati considerando il costo del singolo capo di selvaggina abbat-


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La produzione di fauna selvatica

Tab. 1. Produzione per km2 e ricavo in euro per alcune specie di selvaggina

Fig. 1. Numero, estensione (x 1000 ha) ed estensione media delle AFV e delle AATV in Italia (1989-1997)

tuto in istituti faunistico-venatori privati. Per quanto riguarda il Fagiano, è stato considerato il costo di fagiani selvatici, nel caso di animali di allevamento, liberati per l'attività venatoria, il valore scenderebbe in modo consistente. Nel caso della Starna e della Pernice rossa, se si tratta di individui prelevati in popolazioni naturali, il valore non è quantificabile poiché esse sono specie molto sensibili sulle quali il prelievo deve essere programmato con molta cautela e la cui caccia può interessare solo un ristretto numero di appassionati. Per quanto riguarda gli ungulati, i valori riportati sono da considerarsi medie tra capi da trofeo, femmine e giovani. Le specie di maggior interesse economico per una produzione abbinata o in alternativa a quella agricola sono senza dubbio la Lepre, il Cinghiale e il Capriolo. Il cinghiale può interessare soprattutto territori ad agricoltura marginale e svantaggiata, mentre il Capriolo e la Lepre anche zone molto produttive dal punto di vista agricolo e la Lepre anche aree ad agricoltura intensiva.

Conclusioni La produzione di fauna selvatica ad integrazione o sostituzione del reddito agricolo può assumere un notevole interesse sia in zone dove l'attività agricola vede diminuire progressivamente la sua sostenibilità economica, sia in zone di produzioni agricole intensive e remunerative. Dal punto di vista dell'utilizzo della fauna selvatica, per i proprietari e i conduttori di fondi agricoli è possibile abbinare l'attività venatoria al prelievo di animali vivi per ripopolamenti e reintroduzioni, oppure ad altre forme di utilizzo. Tra queste una delle più interessanti attualmente è l'addestramento dei cani da ferma su specie come la Starna, la Pernice rossa e il Fagiano o dei cani da seguita sulla Lepre. Queste diverse forme, con una buona gestione degli istituti privati previsti dalla legge, possono coesistere e aumentare ulteriormente il rendimento economico dato da una consistente presenza di fauna selvatica sul territorio.


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Alcune considerazioni di carattere economico riguardo la riconversione della tabacchicoltura Fratini R1, Marone E1 Introduzione Lo scopo di questo contributo è quello di analizzare gli effetti e le correzioni indotte dalla recente riforma della Politica agricola comunitaria sulle aziende tabacchicole, presenti nel territorio dell'Italia Centrale: Toscana ed Umbria in particolare. L'obiettivo di un contributo successivo sarà quello di verificare le alternative alla coltura del tabacco, in ambito zootecnico e faunistico, realizzabili soprattutto quando gli aiuti della PAC andranno ad esaurirsi e molti imprenditori incontreranno difficoltà a fronteggiare un mercato di libera concorrenza che offrirà margini di profitto molto ridotti. Materiali e metodi Si è considerato, ancor prima di esprimere una valutazione sulle alternative colturali realizzabili lo stato dell'attuale riforma della Pac inerente il settore tabacchicolo. Per tale settore la scelta del nostro Paese è stata quella di un disaccoppiamento parziale degli aiuti. Sostanzialmente ciò che avviene è che i produttori tabacchicoli, così come i produttori degli altri settori, dal 2006 (fa eccezione la regione Puglia) vedranno confluire il 40% dell'aiuto finanziario erogato dalla CE nel pagamento unico aziendale e tale quota non sarà più legata all'effettiva produzione di tabacco. Fino al 2009 i produttori continueranno a percepire il 60% degli aiuti accoppiati alla produzione di tabacco. Nel medio periodo la Commissione Europea prevede, oltre al disaccoppiamento totale del sostegno l'abolizione del fondo tabacco che l'attuale OCM destina alla ristrutturazione del settore. Saranno beneficiari del nuovo regime di pagamento soltanto quei produttori che nel periodo 2000-2002 hanno ottenuto il pagamento di un premio per il tabacco o coloro che sono subentrati all'avente diritto durante o dopo il periodo di riferimento. Per la parte

1 Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dell'Università degli Studi di Firenze, piazzale delle Cascine, 18, 50144 Firenze; rfratini@unifi.it; emarone@unifi.it.; tel. 0553288360, 0553288365

disaccoppiata dell'aiuto, il premio viene calcolato in base allo schema di pagamento unico (esempio Tab. 1). Secondo tale impostazione ad ogni agricoltore viene assegnato un numero di ettari ammissibili a cui associare i diritti. Per la parte accoppiata, il premio verrà concesso, come nel precedente regime, in base alla quantità e qualità prodotta, fermo restando il limite di garanzia fissato per Paese membro. Il totale disaccoppiamento dell'aiuto partirà dal periodo 2010-2012 (anno conclusivo delle nuove prospettive finanziarie). I dati forniti dall'INEA sulla tabacchicoltura toscana e umbra e le visite ad alcune rappresentative realtà aziendali hanno evidenziato una grossa disomogeneità delle realtà agricole presenti sul territorio oggetto di indagine. Questo è per noi un dato importante in quanto determina la necessità di costruire non soltanto tante schede della tecnica per ogni alternativa di allevamento proposta dai colleghi ma più schede della tecnica per ogni tipologia di allevamento in relazione alle caratteristiche strutturali delle aziende tabacchicole presenti. L'elaborazione dei dati INEA è finalizzata alla individuazione di classi di aziende omogenee rispetto alle quali sarà possibile individuare le tipologie di allevamenti che saranno in grado di fornire il migliore apporto reddituale all'azienda. Per ognuna delle alternative alla tabacchicoltura prospettate si è provveduto a costruire, in collaborazione con i colleghi zootecnici, una scheda della tecnica che ci permette di rilevare i fabbisogni di risorse umane, meccaniche e materie prime necessarie alla conduzione ordinaria dello specifico allevamento considerato, secondo la struttura di seguito riportata: Risultati e discussione Un'analisi più approfondita dei dati censuari, ci ha consentito di verificare la struttura del territorio, e delle realtà produttive presenti, e le sue potenzialità. La superficie destinata alla tabacchicoltura in Toscana è pari a 2.431,39 ettari (Istat, 2000). La sola provincia di Arezzo, con i suoi 1.703,83 ettari rappresenta il 70% della superficie totale. Il grafico 1 mostra i dati relativi alla distribuzione per


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Grafico 1 – Distribuzione per classi di superficie nelle province di Arezzo, Siena e Perugia

classi di superficie a tabacco delle tre province che presentano la maggiore incidenza di aziende tabacchicole all'interno del comprensorio umbro-toscano (Perugia, Arezzo e Siena). Conclusioni Dalle prime analisi realizzate è risultato che la maggiore diffusione delle aziende agricole produttrici di tabacco, così come anche la più alta percentuale di SAU investita a tabacco, si riscontra nelle province di Arezzo e di Siena, ove si riscontra

Considerazioni economiche .... anche una discreta presenza di allevamenti bovini e suini. Esiste già, quindi, una realtà produttiva zootecnica che va attentamente studiata per capire quali sono gli spazi per l'inserimento di nuove realtà produttive. Una possibile penetrazione del mercato potrebbe essere attuata utilizzando produzioni di qualità, attraverso lo sfruttamento dell'esistente marchio IGP, possibilità che ha trovato molto interesse da parte degli agricoltori. L'altra possibilità è quella di verificare la praticabilità di attività faunistico-venatorie, dell'allevamento della capra da latte e dall'allevamento di equini di razze autoctone, anche se per queste ci sono maggiori difficoltà da parte delle aziende per l'assenza di una specifica preparazione tecnica degli operatori. Bibliografia Consultata COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Regime del Tabacco. Valutazione d'impatto estesa, SEC, Bruxelles. 2003, ISTAT. 5° Censimento generale dell'agricoltura, 2000. Sardone R. (a cura di). Il comparto del tabacco in alcune aree di studio. Inea, Progetto Coalta, Roma, 2005.


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La produzione di carne di qualità con la razza bovina Chianina Sargentini C1, Fabeni P1 Introduzione Le prime reazioni, in Toscana, alla riforma dell'OCM tabacco, in attuazione del Regolamento (CE) n. 864/2004, evidenziano un grande disorientamento dei produttori. Nelle aziende di piccola e media dimensione appare già in atto l'abbandono della coltura. Continuare a produrre sembra conveniente solo per le aziende con superfici ben accorpate, di facile meccanizzazione e destinate per la maggior parte alla produzione di Kentucky (Fire Cured), tabacco scuro di particolare pregio impiegato nella manifattura dei sigari toscani e capace di spuntare i migliori prezzi di mercato (INEA, 2007). Anche in queste realtà più grandi la consapevolezza di un errato investimento è comunque molto forte. Con il presente contributo si è intesa valutare la produzione di carne di qualità con bovini di razza Chianina quale alternativa o integrazione alla coltura del tabacco. Ciò in considerazione del fatto che le aree toscane a maggiore vocazione tabacchicola coincidono con quelle di allevamento di bovini di razza Chianina e che abbastanza frequentemente nelle aziende in cui si coltiva tabacco si pratica anche l'allevamento di questa razza. Secondo il Piano Zootecnico Regionale (Supplemento B.U.R.T. n.26 del 30.06.2004) inoltre, la razza Chianina, la più allevata nella regione, dal 2000 incrementa costantemente la sua numerosità "…contraddicendo in parte l'andamento generale delle consistenze dei bovini da carne che invece hanno mostrato una flessione diffusa. Il dato può essere spiegato da una sostanziale "tenuta" degli allevamenti di qualità meglio organizzati rispetto agli altri…... per Chianina, Marchigiana e Romagnola è attivo inoltre il riconoscimento comunitario IGP Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale". Materiale e Metodi Sono state analizzate le criticità ed i punti di forza delle tipologie produttive della razza Chianina al fine di valutare se l'allevamento bovino per la produzione di carni di qualità possa costituire un'alternati1 Dipartimento di Scienze Zootecniche, Via delle Cascine, n. 5, 50144 Firenze. Tel. 055 3288333, fax 055 321216, e-mail clara.sargentini@unifi.it

va o, comunque, una valida integrazione alla coltura del tabacco, come può essere ipotizzato da un'indagine effettuata nell'ambito del Progetto COALTA 2 presso le aziende tabacchicole delle province di Arezzo e Siena. Risultati e discussione La razza Chianina è allevata prevalentemente in aziende di piccole e medie dimensioni, con una consistenza di stalla inferiore a 15 vacche nel 60 % degli allevamenti ed inferiore a 40 nel 90 %, (IsmeaCRPA, 2006; Sargentini e Acciaioli, 2006). L'87,7 % degli allevamenti è situato in zone collinari e di montagna; il rimanente 12,3% si trova in aziende di pianura, situate prevalentemente in Val di Chiana. Si pratica prevalentemente il ciclo chiuso con allevamento dei riproduttori ed ingrasso dei vitelli da macello, mentre poco diffuso è il ciclo aperto, con la sola fase di ingrasso dei vitelli da ristallo in centri che provvedono al finissaggio, alla macellazione, alla vendita ed alla commercializzazione della carne. Nelle aziende collinari e montane di piccole (n. vacche < 15) e medie (n. vacche < 40) dimensioni, dove comunque siano presenti superfici adeguate per il pascolo stagionale, l'allevamento dei riproduttori prevede generalmente il sistema semibrado, con una stagione di pascolamento della durata di circa 6 mesi (da maggio ad ottobre) (Sargentini e Acciaioli, 2006). Ciò consente lo sfruttamento diretto della produzione foraggera e investimenti contenuti; favorisce inoltre il mantenimento di buone condizioni di salute del bestiame, con favorevoli ripercussioni sui parametri riproduttivi. I ricoveri invernali sono di varie tipologie, riconducibili sia alla stabulazione fissa che a quella libera. In Val di Chiana, dove i terreni sono più fertili, irrigui e destinati a colture diverse (cereali, foraggere, tabacco ecc.) è più diffusa, anche per i riproduttori, la stabulazione permanente, non sempre secondo gli schemi classici della stabulazione libera e talvolta addirittura in stalle chiuse a posta fissa tipiche delle tradizionali aziende mezzadrili. Per l'ingrasso dei vitelli vengono generalmente utilizzate strutture più moderne e razionali con box multipli dotati di lettiera permanente o semipermanente e preferibilmente con paddock esterni. L'alimentazione, basata in gran parte sull'uti-


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lizzazione di fieno e concentrati, viene distribuita meccanicamente come meccanicamente viene rimossa o aggiunta la lettiera. Le razioni alimentari non sempre risultano in grado di coprire i fabbisogni delle fattrici, soprattutto nei periodi critici, mancando una diversificazione nelle diverse fasi fisiologiche (asciutta, prima e seconda fase della lattazione). Per migliorare il quadro alimentare delle fattrici può essere sufficiente l'integrazione con adeguate quantità di concentrati dopo il parto (Cianci, 2003). Le razioni dei soggetti da macello risultano, fino ad un anno di età, mediamente inferiori ai fabbisogni, mentre nella fase di finissaggio esse appaiono sbilanciate per eccesso di energia e/o di proteina (Geri et al., 1984; Cianci, 2003). Questi eccessi potrebbero essere contenuti limitando l'offerta proteica ai soli fieni di medica. E' opportuno ricordare che le carni qualitativamente migliori in questa razza si ottengono da vitelloni di circa 700-750 Kg di peso e con età compresa tra i 16 e i 18 mesi, performance raggiungibili solo con alimentazione energeticamente adeguata (circa 0,85-0,95 UFC/kg ss della dieta) e livelli proteici variabili dal 17-18% nelle prime fasi, al 13-14% nelle fasi finali di finissaggio. Inoltre, in accordo con il disciplinare del marchio IGP, non dovrebbero essere utilizzati insilati e sottoprodotti dell'industria nei 4 mesi che precedono l'alimentazione. L'età di macellazione risulta invero talvolta un po' elevata, ma la qualità delle carni, sia fisica che chimico-nutizionale è comunque eccellente. L'istituzione del marchio IGP "Vitellone bianco dell'Appennino centrale", che certifica le ottime caratteristiche delle carni prodotte con questa razza, ha contribuito in maniera notevolissima all'aumento della domanda, con ripercussioni più che vantaggiose sui prezzi di mercato. Molte aziende, soprattutto quelle di pianura, praticano con successo la vendita diretta (filiera corta). Nelle aziende di alta collina-

La produzione di carne di qualità...

montagna in cui la fase di ingrasso può comportare problemi organizzativi potrebbe essere ipotizzato il ciclo aperto, con creazione, a valle, di centri di ingrasso, gestiti dagli stessi allevatori, in modo da assicurare costanza ed uniformità delle produzioni da destinare eventualmente anche alla GDO. Da quanto fin qui esposto è possibile concludere che l'allevamento per la produzione di carne con bovini di razza Chianina è pratica consolidata in un numero non trascurabile di aziende della Valtiberina e della Val di Chiana che pure coltivano tabacco. Alcuni problemi legati essenzialmente all'alimentazione, non sempre equilibrata, di fattrici e vitelloni possono essere risolti semplicemente ottimizzando le risorse già disponibili. Alcuni aspetti del management sia della fase di allevamento (ciclo chiuso o ciclo aperto) che della fase di commercializzazione (GDO e mercato di nicchia) meritano di essere approfonditi con studi specifici. Si ritiene tuttavia, in virtù della situazione del mercato attuale ed ipotizzabile in futuro, che la produzione di carne di qualità con la razza Chianina debba essere considerata, se non completamente alternativa, almeno come una valida integrazione alla coltivazione del tabacco. Citazioni bibliografiche Cianci D. Atti della Giornata di studio Valorizzazione del germoplasma bovino autoctono toscano. Quaderni. Accademia Economico-Agraria dei Georgofili. III. pp.139, 2003 Geri G., Lucifero M., Zappa A. Atti del Convegno Nazionale "Le razze bovine bianche da carne dell'Italia centrale". Accademia Economico-Agraria dei Georgofili. Firenze 2627 ottobre, 1984. INEA http://www.inea.it/ist/kentucky.htm , 2007 ISMEA Dir. Mercati e risk management - U.O. Analisi economiche e finanziarie, CRPA - Centro ricerche produzioni animali Indagine sull'analisi del costo e della redditività della produzione di carne bovina, 2006. Sargentini C., Acciaioli A.. Risorse genetiche animali autoctone della Toscana. ARSIA-Regione Toscana. 59-69, 2006.


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Alcune considerazioni di carattere economico sull'allevamento della razza Chianina come alternativa alla coltivazione di tabacco nell'Italia centrale Fratini R1 Introduzione La riforma della politica agricola comune (Pac) varata nei primi anni 2000 ha introdotto un regime transitorio di aiuti europei per un periodo di quattro anni, dal 2006 al 2009, in favore dei produttori di tabacco che spesso operano in aree dove ci sono poche alternative di produzione ed economicamente meno sviluppate. La revisione di metà percorso dello scorso novembre, imposta da Fischler Boel mira a d abolire il regime transitorio per passare a un sostegno europeo slegato dalla produzione (disaccoppiamento totale). Lo scopo di questo studio è stato pertanto quello di verificare l'esistenza di alternative colturali, in ambito zootecnico, alla coltivazione del tabacco, in previsione di una sempre più accentuata riduzione del processo produttivo. Questa unità di ricerca ha svolto un'indagine preliminare nell'ambito dell'Italia Centrale, interessando le due regioni in cui è maggiormente diffusa la coltivazione del Tabacco, Umbria e Toscana. In queste aree l'attività zootecnica, già presente nell'ambito delle aziende tabacchicole, è orientata prevalentemente verso l'allevamento di bovini e suini. In base alle interviste realizzate su un campione rappresentativo è risultato che l'alternativa zootecnica ha trovato un favorevole accoglimento da parte degli imprenditori che hanno mostrato un discreto interesse soprattutto nei confronti di allevamenti più tradizionali quali quelli dei bovini e dei suini. Attraverso l'analisi dei dati raccolti con l'ausilio di appositi questionari, si sono analizzate le potenzialità di sviluppo di tale attività. La scelta zootecnica ritenuta più adatta per questo territorio è risultata l'allevamento di bovini di razza Chianina. Materiali e Metodi Per potere concretamente esaminare un'ipotesi colturale alternativa è necessario verificare quali

1 Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dell'Università degli Studi di Firenze, piazzale delle Cascine, 18 tel. 0553288360 - 50144 Firenze; rfratini@unifi.it

opportunità e quale regime di aiuti diretti alla produzione sono previsti dall'attuale riforma della PAC. Inoltre è necessario conoscere, sulla base delle statistiche esistenti (Istat, Ismea, ecc.) la consistenza degli attuali allevamenti e le potenzialità di sviluppo che possono scaturire. Il sistema di aiuti diretti alla produzione in vigore fino ad oggi è stato sostituito dal gennaio 2005 da un pagamento unico per azienda, disaccoppiato dalla produzione . Il pagamento viene calcolato sulla media degli aiuti ottenuti nel triennio 2000-2002, tenendo conto della media degli ettari ammessi (Reg. CE 1782/2003). Tenendo presente questi aspetti legati alla riforma della PAC è importante evidenziare le potenzialità di sviluppo di allevamenti zootecnici di razza Chianina soprattutto in quelle aree vocate (Prov. di Arezzo, Siena, Grosseto), dove tale produzione è stata tradizionalmente praticata. La carne è prodotta da bovini, maschi e femmine, di pura razza Chianina, di età compresa tra i 12 e i 24 mesi. Il bestiame deve essere regolarmente iscritto alla nascita al registro del Giovane Bestiame nonché riportare il contrassegno di identificazione previsto dalle vigenti norme del libro genealogico. Secondo i dati pubblicati dall'Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani da Carne (ANABIC) i capi di Chianina presenti in Italia ammontano a 42.665 di cui circa l'80% concentrato in Toscana (in prevalenza) ed in Umbria. Gli allevamenti con la razza Chianina sono in genere di piccole dimensioni ed interessano proprietà spesso polverizzate all'interno di un territorio che copre parte dell'entroterra della Toscana e l'area pedomontana dell'Umbria e delle Marche. L'attività tipica di ingrasso e finissaggio di vitelloni di questa razza è presente in Val Tiberina ed in Val di Chiana (Sargentini, 2005). I bovini di razza Chianina sono in genere venduti ad un peso notevolmente più elevato rispetto a quello di altre razze, dopo un periodo di ingrasso che per il vitellone maschio può essere superiore ad un anno. La piccola dimensione degli allevamenti di Chianina rappresenta una variabile che incide fortemente sulla produttività del lavoro: dal confronto


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effettuato in varie aree del territorio (ISMEA, 2006) la produttività degli allevamenti toscani risulta più bassa rispetto a quella di allevamenti a ciclo aperto con altre razze così come avviene in Veneto. Risultati e discussione Se osserviamo lo schema di costo di produzione per un allevamento di Chianina a ciclo aperto, nell'Italia Centrale, riportato in tabella 1 e basato su di una struttura ampiamente esperimentata (De Roest et al. 2006), possiamo osservare come alcuni costi diretti possano presentare un'elevata variabilità a seconda della dimensione aziendale e dell'organizzazione conferita. Ad esempio l'approvvigionamento di foraggi è spesso legato anche ad una Tabella 1. Esempio di calcolo di costi di produzione per un allevamento a ciclo aperto.

Considerazioni economiche allevanento Chianina...

produzione foraggera aziendale che, nel caso in cui risulti assente, può fortemente incrementare il costo di produzione. Altro elemento critico è la componente lavoro: la disponibilità qualificata per il lavoro in stalla nell'Italia Centrale è spesso carente e spesso si ricorre a personale che non ha esperienza in ambito zootecnico. Dal campione di aziende interpellato risulta elevata la quantità di ore fornite dai componenti della famiglia, tanto da evidenziare proprio nel lavoro manuale un elemento critico di tale attività. Lo schema di costo evidenzia un'ipotesi che rispecchia un'organizzazione aziendale ed una struttura di vendita legata al conferimento del prodotto sul mercato locale, pertanto con un utile di bilancio positivo. Non sono calcolate nello schema proposto le eventuali spese di riconversione degli edifici oggi adibiti a essiccatoi o laboratori di lavorazione del tabacco a stalle né tanto meno le spese di bonifica dei terreni oggi utilizzati per la coltivazione del tabacco. Tale risultato non riflette pertanto tutte le realtà produttive; in questo caso pesa in positivo il tipo di prodotto conferito, essendo la carne di Chianina particolarmente apprezzata nei mercati nazionali ed internazionali. Un elemento di conferma lo si riscontra osservando l'andamento dei prezzi esaminato in serie storica, periodo 1994-2006, dove il prezzo delle carcasse di razza Chianina è risultato essere quello che spunta i migliori prezzi sul mercato nazionale rispetto ad altre razze. L'aspetto che maggiormente emerge dall'indagine da noi realizzata è che dove vi sono le strutture aziendali sufficienti, con l'ausilio di un investimento iniziale non particolarmente elevato, l'attività zootecnica può rappresentare un'alternativa a quella del tabacco, anche se è necessario tenere presente che al disotto di una minima superficie aziendale la conversione delle superfici tabacchicole in superfici da destinare agli allevamenti non è pensabile. Un'attenzione particolare va chiaramente dedicata al mercato in cui si inserisce il prodotto finale. Bibliografia consultata ISMEA Il mercato della carne bovina, rapporto 2006. ISTAT 5° Censimento generale dell'agricoltura., 2000. De Roest K., Montanari C., Corradini E., Federici C. Analisi del costo di produzione della carne di bovina in Italia, Atti del XLII Convegno di Studi Sidea, Pisa; pp. 272-286, 2007. Sargentini C. La razza Chianina, relazione presentata alla Tavola Rotonda sul tema: La Chianina: valore del passato, patrimonio del futuro, Bettole-Sinalunga, 2005.


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Un approfondimento sul costo di produzione degli allevamenti di razza Chianina Marone E1 Introduzione L'analisi dei costi di produzione è uno strumento imprescindibile sia per la valutazione della convenienza degli investimenti sia per il controllo di gestione dell'azienda. In relazione a questi scopi l'analisi del costo di produzione parte dal presupposto di utilizzare una scheda della tecnica che sia in grado di massimizzare l'obiettivo quali - quantitativo minimizzando il costo. La costruzione della scheda della tecnica si basa, quindi, sulla scelta della dose ottimale di tutti i fattori della produzione impiegati nel processo produttivo. Attualmente, i più recenti lavori disponibili in letteratura indicano, per l'allevamento della razza Chianina, un costo di produzione che consente ancora di avere un margine positivo. Come evidenziato nel contributo "Alcune considerazioni di carattere economico sull'allevamento della razza Chianina come alternativa alla coltivazione di tabacco nell'Italia centrale", lo scopo della ricerca è stato quello di verificare l'esistenza di alternative colturali, in ambito zootecnico, alla coltivazione del tabacco, da sviluppare nell'ambito di realtà aziendali già in essere. Un giudizio sulla convenienza o meno dell'allevamento zootecnico, data una consolidata letteratura sui costi di produzione che non richiede ulteriori approfondimenti, dipenderebbe allora solo dai prezzi che tale carne riesce a spuntare nei diversi mercati. In realtà, visto che l'obiettivo della ricerca era quello di valutare l'esistenza di alternative produttive, rispetto a quella tabacchicola ,delle aziende esistenti sul territorio, non sarebbe stato corretto applicare costi di produzione nati con le finalità prima esposte, ma andava verificato se all'interno di quelle realtà aziendali, con una ben definita organizzazione strutturale, il processo produttivo zootecnico avesse potuto costituire una valida soluzione alernativa alla produzione tabaccicola. Materiali e Metodi La ricerca si è articolata in due distinte fasi. Nella prima, utilizzando le fonti fornite dalle statistiche ufficiali (INEA e ISTAT), un questionario distribuito a 1 Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dell'Università degli Studi di Firenze, Piazzale delle Cascine, 18, 50144 Firenze; tel. 0553288365; enrico.marone@unifi.it

circa 80 aziende e alcune visite a realtà aziendali rappresentative del contesto territoriale oggetto dell’indagine, è stata rilevata la consistenza delle aziende tabacchicole toscane e umbre e la loro peculiarità. Nella seconda fase si è messo a punto un modello di simulazione che fosse in grado di evidenziare quali fossero le principali carenze strutturali delle aziende, che avrebbero dovuto modificare il loro ordinamento colturale abbandonando o riducendo la coltura tabacchicola. Risultati e discussione I dati rilevati hanno evidenziato una grossa disomogeneità delle realtà agricole presenti sul territorio oggetto di indagine. Sia i dati statistici sia quelli campionari, acquisiti attraverso i questionari e le visite dirette, hanno mostrato una ampia differenziazione nelle strutture e nell'organizzazione aziendale. L'indagine preliminare ha evidenziato che gran parte delle aziende tabacchicole sono di dimensioni modeste e che esiste già un orientamento verso alternative di tipo zootecnico, prevalentemente indirizzate verso l'allevamento di bovini e suini. Attraverso l'analisi campionaria si è rilevata una buona dotazione di mezzi tecnici aziendali, che potrebbero agevolmente essere impiegati nell'allevamento. Anche la dotazione di immobili aziendali è tale da consentire, attraverso opportune conversioni, un loro utilizzo a fini zootecnici. In diversi casi, quindi, l'investimento iniziale potrebbe risultare modesto, anche se è necessario tenere presente che al disotto di una minima superficie aziendale la conversione delle superfici tabacchicole in superfici da destinare agli allevamenti non è opportuna. Nel campione di aziende rilevate sono state inserite anche aziende che, oltre alla coltura tabacchicola, svolgono già un'attività di allevamento bovino. Soprattutto in questa fase dei rilievi ci siamo resi conto che tutte le aziende contattate, pur avendo modalità di gestione dell'allevamento molto diversificate (numero di capi, strutture, manodopera, produzione/acquisto foraggi, …), traevano un soddisfacente risultato economico dall'attività zootecnica ed esprimevano una grossa propensione alla sostituzione della tabacchicoltura con l'allevamento. Queste informazioni ci hanno convinto dell'inutilità di cercare di costruire tante differenti schede della tecnica.


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154 Marone Tab. 1. Condizioni di convenienza alla conversione

Infatti sarebbe stato impossibile, o quantomeno molto oneroso, studiare a fondo un campione rappresentativo delle differenti strutture aziendali osservate ,al fine di costruire una specifica scheda della tecnica finalizzata poi alla valutazione della eventuale trasformazione dell'ordinamento colturale. Nella seconda fase del lavoro si è verificata la disponibilità, da parte delle singole aziende, dei fattori della produzione legati alle singole tecniche produttive. Il modello di simulazione che abbiamo costruito consente di stabilire, in funzione del numero dei capi allevati, quale deve essere il rapporto ideale tra una serie di parametri opportunamente individuati per consentire di trarre profitto dall'allevamento. I parametri individuati sono stati: ettari di superficie, UL effettive, ore di avventizi, mq di ricoveri. In questo modo, definendo Tab. 2. Aziende che hanno la possibilità di allevare un numero di capi superiori a 20

Tab. 3. Aziende cha presentano il giusto rapporto tra i fattori della produzione

Costo di produzione Chianina...

l'entità di uno dei parametri descritti, è possibile verificare le carenze dell'azienda rispetto al suo dimensionamento ideale come nell'esempio riportato (Tab. 1); così l'azienda potrà capire quali sono i fattori carenti e quali sono le necessità di investimento per adeguare le proprie strutture a quelle ritenute ottimali per l'organizzazione di un allevamento redditizio. Il secondo elemento informativo che è stato possibile ricavare ha riguardato la stima, a livello territoriale, del numero di aziende tabacchicole che presentano caratteristiche adeguate per accogliere un allevamento dimensionato sulla base della superficie tabacchicola convertibile in coltura foraggera. I risultati ottenuti permettono di osservare sia quante sono le aziende che presentano uno dei fattori sopra individuati in misura adeguata, sia il numero di aziende che presentano in maniera sufficiente tutti i parametri necessari alle necessità dell'allevamento. A titolo esemplificativo si riporta il risultato relativo alle aziende che possono allevare un numero di capi maggiore di 20 (è il limite minimo di capi individuato per ottenere risultati economici positivi) (Tab. 2) e le aziende che hanno già un giusto equilibrio tra tutti i fattori individuati (Tab. 3). Quanto sopra illustrato evidenzia che solo poche aziende presentano un equilibrio tra i fattori produttivi tale da consentire l'immediato avviamento di un'attività di allevamento sicuramente redditizia. Dall'analisi svolta emergono però quali sono i parametri per attivare un processo produttivo economicamente conveniente e consentono di individuare le carenze da colmare per ogni singola azienda. In questo modo, invece di dare una risposta sul risultato che mediamente gli agricoltori del territorio oggetto di studio potrebbero raggiungere, è possibile per ogni singola azienda andare a verificare quali investimenti sono richiesti. Sarà poi la singola azienda a valutare la convenienza dell'investimento, attraverso lo studio della disponibilità di risorse proprie e dell'accesso al credito, che costituiscono caratteri peculiari di ogni singola impresa. Bibliografia consultata ISMEA. Il mercato della carne bovina, rapporto, 2006. ISTAT. 5° Censimento generale dell'agricoltura, 2000. De Roest K., Montanari C., Corradini E., Federici C. Analisi del costo di produzione della carne di bovina in Italia, Atti del XLII Convegno di Studi Sidea, pp. 272-286, Pisa, 2007.


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Marketing dell'offerta di capi di razza Chianina Malevolti I1 Introduzione Le valutazioni tecnico-economiche della validità dell'allevamento di bovini di razza chianina non possono limitarsi a considerare come dati esogeni e neutralmente prefissati da un anonimo mercato il prezzo all'azienda agricola e i volumi e gli sbocchi commerciali. Al mercato, infatti, si deve guardare come ad un insieme di relazioni, norme ed istituzioni, meccanismi attivi di valorizzazione del prodotto. Quest'ultimo aspetto (valorizzazione dell'offerta) vale, da una parte, ai differenti livelli della filiera alimentare autonomamente per i diversi operatori, e vale per l'attività promozionale coordinata tra operatori, ma ancor più - e in maniera speciale per produttori di materie prime agricole e per l'offerta zootecnica in particolare - deve essere una funzione costantemente espressa dagli allevatori non solo al momento della contrattazione con i propri clienti (grossisti, macellai, buyers della grande distribuzione) ma attraverso il mantenimento di un "controllo" dei vari passaggi tra operatori fino all'atto di acquisto del consumatore finale. Materiali e Metodi Il metodo seguito per la rilevazione delle informazioni si è basato su un questionario di intervista semistrutturato adattato ai diversi operatori che sono stati i seguenti: allevatori, buyers della GD, grossisti, macellerie, ristoranti, responsabili di associazioni professionali o consortili, tabacchicoltori senza allevamento o con un integrazione in tal senso. In tutto si sono effettuate 34 interviste approfondite sufficienti a definire una cornice di insieme abbastanza completa degli aspetti mercantili del settore. Risultati Esiste un intreccio virtuoso tra consumo e conoscenze locali del prodotto (Toscana e Umbria e poco più) derivante da ragioni storiche e culturali, ed esteso all'esterno grazie al veicolo del turismo, che trova riscontro in una immagine forte e in un

Professore Ordinario, Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dell'Università degli Studi di Firenze, Piazzale delle Cascine, 18, 50144 Firenze; tel. 0553288226; ivan.malevolti@unifi.it

prezzo relativamente elevato per un segmento di mercato regionale e una nicchia di elite anche se in direzione di una sola referenza merceologica: la "bistecca alla fiorentina" (mentre nessuno riconosce il "bollito di chianina"); una questione di debolezza della gamma d'offerta in quanto solo uno specifico taglio sembra godere di un apprezzamento mercantile degno dell'offerta di qualità e o di origine. La differenza si fa ancora più evidente a livello della ristorazione. L'immagine forte del prodotto è comunque assicurata (la conoscenza della "fiorentina" travalica l'area del suo consumo) e proprio per questo esistono azioni concorrenziali ingannevoli anche se formalmente legali (l'offerta di "tipo genetico chianino", frutto di incroci). Un'azione attenta di salvaguardia è portata avanti dalle organizzazioni ANABIC, CCBI, IGP ma sembrano tutte molto orientate alla fase della produzione, a parte ma parzialmente il consorzio di tutela IGP, secondo una tipica logica interna al settore agricolo (product oriented). La domanda che sorge spontanea è se sia possibile allargare l'area della conoscenza e del consumo relativamente all'offerta attuale e soprattutto a quella potenziale in rapporto alle esigenze di trovare alternative produttive per gli agricoltori già specializzati nella tabacchicoltura. Finora si può parlare di una strategia (implicita) delle aziende che ha privilegiato la "penetrazione del mercato" (mercati acquisiti/vecchi prodotti) senza considerare lo "sviluppo del mercato" (nuovi mercati/vecchi prodotti) o meglio ancora la "via della diversificazione" (nuovi mercati/nuovi prodotti, ossia prodotti rinnovati o rilanciati: bollito, spezzatino e ricette ad essi collegate). Per ora esistono solo alcune esperienze di esportazione per alcune imprese un poco più organizzate che hanno saputo sfruttare alcune occasioni spontanee e i risultati del passaparola innescato dai turisti. L'ottica con la quale si può guardare agli aspetti commerciali e distributivi, quali elementi di una allocazione sicura, è assai articolata partendo dall'esistente: grossisti del resto più interessati alle importazioni, rapporti diretti con la GD specie della cooperazione di consumo, macellai tradizionali quasi sempre di aree rurali, ristoranti di quali-


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tà, anche casi di vendita diretta al consumatore. In generale, il numero di ristoratori che acquistano carne chianina sembra assai ridotto specie in aree urbane a (troppo) forte incidenza turistica. Ma in tutti i casi la valorizzazione dell'offerta e lo sviluppo dell'ampiezza del mercato sono sempre una questione di organizzazione, cooperazione e marketing relazionale delle imprese e tra le imprese che necessita pertanto di un salto di qualità culturale da parte degli allevatori rivolta soprattutto al "controllo" della filiera grazie alla elaborazione di una mission diretta verso i consumatori che sappia sfruttare il bisogno della società dei consumi di riconoscersi in elementi simbolici e autoidentificatori (ad esempio, il consumo di cibi pregiati, di qualità e radicati al territorio e alla sua cultura). Questo continuo riferimento alle capacità organizzative del settore apre ad una discussione finale che rappresenta anche la conclusione all'analisi fin qui esposta (ovviamente assai più articolata nel Rapporto finale della ricerca). Conclusioni Abbiamo, più volte, sostenuto l'importanza di un "controllo" di marketing della filiera sottolineando l'aspetto dell'organizzazione per poterlo sostenere e sempre pensando a quanto difficile risulti un discorso di tale portata culturale che presuppone un'azione svolta in forma integrata i tra produttori per la conoscenza del mercato (in senso assai ampio) e la presenza e il presidio su ciò che avviene durante il flusso di merci ed informazioni fino al consumo finale e di conoscenza dal consumo finale. L'indagine diretta rafforza la pregressa e diffusa conoscenza sulla scarsa propensione all'integrazione tra imprenditori vuoi orizzontale (tra allevatori per agire sui costi di produzione) che verticale (tra allevatori di vitelli da ristallo e ingrassatori e ancora tra allevatori e distribuzione, per agire nella contrattazione e sui prezzi). L'arrivo di una nuova generazione di allevatori (giovani, ma ancora pochi tra le aziende esaminate) sembra possa aprire nuovi orizzonti collaborativi. Di contro, esisterebbe da parte della GD, soprattutto cooperativa, un forte interesse ai rapporti di organizzazione e integrazione tra gli allevatori sia sul piano informativo che logistico: analisi e risposta alla stagionalità dei consumi, comunicazione e condivisione delle informazioni, allargamento della gamma, schemi condivisi di alimentazione bestiame, sviluppo del-

Marketing dell’offerta capi Chianina...

l'offerta e nuovi mercati ecc. In definitiva, si può parlare di un punto di debolezza del sistema dell'offerta ovvero delle aziende nel loro complesso. Il punto di forza delle singole imprese, che mette in ombra anche le esigenze interorganizzative di cui sopra, è dato finora dallo sbocco garantito dal mercato locale per la forza della tradizione nel consumo di carne chianina. In definitiva si tratta di una nicchia di mercato cui si aggiunge la domanda da parte del turismo via ristorazione privata (per la "bistecca alla fiorentina"). Il relativo punto di debolezza sta nella visione ristretta degli allevatori che non percepiscono in maniera chiara la possibilità di estendere la nicchia anche al di fuori del proprio ambiente attraverso strumenti di comunicazione ovvero di conoscenza e apprendimento da parte di quella parte del mondo dei consumatori attento ai prodotti differenziati e disposto a pagare un plus di prezzo per soddisfare questa esigenza. I mezzi a disposizione per questa promozione sono diversi e consistono, in mancanza di una massa critica anche collettiva d'offerta che permetta di avvicinarsi a forme costose di comunicazione e pubblicità, in pubblicità su media specializzati, promozioni localizzate in fiere, meeting ed eventi speciali, testimonial particolari, fino a pensare di potenziare l'autonomo sistema del passaparola attraverso un "passaparola organizzato" (tutto da impostare) o la creazione ad arte di momenti specifici per richiamare l'attenzione della pubblica opinione e dei massmedia sui comportamenti scorretti di alcuni operatori economici e virtuosi dei produttori di carne chianina, con effetto positivo di ricaduta sugli allevatori quasi a costo zero. In ogni caso tutto ciò comporta una consapevolezza della posta in gioco in primo luogo da parte dei produttori che devono cominciare a ragionare in termini più strategici, organizzativi e commerciali che agricolo-produttivi. Questa è la scommessa verso se stessi che proponiamo agli allevatori di razza Chianina attuali o potenziali (come i tabacchicoltori o ex-tabacchicoltori in fieri). Bibliografia Malevolti I., (2003), Prodotti tipici locali tradizionali e turismo rurale, IRPET, Firenze Malevolti I., (2003), "Umbria: i prodotti tipici locali e tradizionali tra turismo culturale e pellegrinaggio religioso", in Canavari M., Malevolti I., Agroalimentare e flussi turistici, Edizioni Avenue Media, Bologna


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L'allevamento della razza suina Cinta Senese come alternativa alla coltivazione del tabacco in Toscana Bozzi R1 La razza suina Cinta Senese a partire dall'inizio degli anni '90 ha avuto un incremento numerico sostanziale. Se infatti fino al 1992 erano registrati meno di 40 soggetti in totale, nel 2006 un'indagine ARSIA contava 155 aziende con 1500 scrofe e 250 verri; il numero di aziende è ancora aumentato tanto che il sito ANAS per la razza riporta alla fine del 2007, 214 aziende che allevano soggetti di razza Cinta Senese. Questo incremento numerico è legato all'interesse che è stato riservato ai prodotti di Cinta Senese dal mercato; i prodotti derivati da questa razza hanno infatti rapidamente conquistato una fetta di mercato, ancorché ridotta, ma formata da consumatori disposti a spendere cifre sostanzialmente più elevate. Questi consumatori oltre a riconoscere alcune caratteristiche organolettiche peculiari nei prodotti derivati dalla razza, identificano la Cinta Senese con un sistema di allevamento più attento alla salute ed al benessere sia del consumatore sia degli animali stessi. Il sistema di conduzione tradizionale prevede infatti l'allevamento outdoor sfruttando le risorse del bosco e l'integrazione alimentare nei periodi di ridotte disponibilità alimentari ma è bene ricordare che il solo bosco nelle condizioni italiane non può permettere l'allevamento di un numero sostanziale di soggetti a meno di non avere a disposizione superfici vastissime su cui far sussistere gli animali. Comunque la conversione di aziende che coltivano tabacco ad aziende zootecniche basate sull'impiego della Cinta Senese è una alternativa plausibile e conveniente a patto che la filiera produttiva si diversifichi da quella del suino classico. Difatti, a fronte di una sostanziale soddisfazione per i prezzi che riescono a spuntare gli allevatori che operano anche la trasformazione, i soli allevatori spuntano prezzi decisamente non competitivi; prezzi che risentono della crisi che ha investito il settore suinicolo in questi ultimi anni. A livello nazionale infatti il prezzo dei suini è calato di un 10% nel 2007 e si è avuta anche una contrazione nel consumo pro capite; al produttore oggi viene Dipartimento di Scienze Zootecniche - Università di Firenze. TF 0553288355 FAX 055321216 email: riccardo.bozzi@unifi.it

corrisposto un prezzo di poco superiore di 1 €/kg senza che peraltro si sia osservata una riduzione dei prezzi al dettaglio. È ovvio che in una situazione così variegata la decisione di allevare Cinta Senese non può prescindere da alcune scelte aziendali e la conversione potrà essere di interesse per quelle aziende che riescono a far coesistere le produzioni agronomiche (mais, grano, orzo, ecc….) con il successivo pascolo in campo dei suini ed una presenza sostanziale di superficie boschiva per la fase di finissaggio (castagna e ghianda) dei soggetti da ingrasso sarebbe preferibile. A tale riguardo dovrà inoltre essere tenuto conto dell'effetto che la permanenza in bosco dei suini provoca all'ambiente forestale; il carico animale dovrà essere ridotto al minimo e costantemente monitorato in modo da evitare rischi di sovrapascolamento. La fase di allevamento è stata comunque largamente indagata in questi anni e le risultanze sperimentali forniscono ai futuri allevatori quelle nozioni fondamentali per l'avviamento dell'attività. Si potrà appunto prevedere un sistema di allevamento outdoor a patto che siano disponibili ampie estensioni e periodi lunghi di allevamento ponendo una particolare attenzione ai boschi, oppure prevedere un allevamento di tipo classico (indoor) che si troverà però ad affrontare gli stessi se non maggiori problemi di quelli che si riscontrano nell'allevamento dei suini "bianchi". Dove invece è necessaria una profonda riflessione è proprio al riguardo della filiera produttiva. Il settore che presenta delle carenze sostanziali per una reale redditività dell'allevamento è proprio questo; in un contesto come quello suinicolo nazionale la redditività di tali produzioni è strettamente legata alla possibilità di creare una filiera corta, trovare il sistema per "reggere il prezzo" (qualità, sicurezza, ….), porre attenzione a non inflazionare il mercato. Il primo aspetto, filiera corta, è imprescindibile, le consistenze degli allevamenti portano infatti ad una eccessiva frammentazione dell'offerta, a fronte di una domanda concentrata in larga parte nella GDO si viene così a creare una filiera che allo stato attuale risulta fortemente frammentata e fonte di instabilità (figura 1). In un contesto


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Fig. 1. Analisi dei momenti di filiera

come quello della Cinta Senese la filiera corta deve giocoforza prevedere delle forme di associazionismo tra allevatori al duplice scopo di garantire il consumatore sul prodotto fornito e di essere competitivi come offerta di mercato. Un sistema in tal senso potrebbe consentire di inglobare il divario tra prezzo a peso vivo e prezzo del prodotto trasformato come reddito dell'allevatore, condizione fondamentale per la sopravvivenza degli allevamenti. Altro aspetto importante è la necessità di "reggere il prezzo" sul mercato e nel lungo periodo questo potrà essere ottenuto solo attraverso una caratterizzazione del prodotto e una sicura filiera di tracciabilità genetica e alimentare. La forte oscillazione dei prezzi è infatti dovuta da un lato, come ricordato prima, alla difficoltà della filiera ma dall'altro alla presenza sul mercato di prodotti di non ben definita origine. La rapida e ampia diffusione dei prodotti di Cinta Senese ha in effetti rappresentato un punto di debolezza del sistema, perché, come è accaduto per altre produzioni, la possibilità di controllo è solo a

L’allevanento della Cinta senese...

livello documentale ed è quindi possibile trovare in commercio prodotti con caratteristiche qualitative inferiori. Tutto questo crea un grosso danno sia per i produttori che per l'immagine della zona di produzione e soprattutto per il consumatore che acquista prodotti che non sempre presentano quelle caratteristiche di tipicità e qualità. Ecco quindi che risulta di particolare importanza creare la possibilità di tracciare a livello genetico ed alimentare il prodotto. Al riguardo è di sicuro interesse la recente presentazione di una DOP per i prodotti di Cinta Senese con la denominazione di "Suino Cinto Toscano DOP" ad opera del Consorzio di Tutela del Suino Cinto Toscano. In sintesi la possibilità di allevare la razza suina Cinta Senese come alternativa alla coltivazione del tabacco si può rivelare fattibile solo per particolari aziende e avendo bene a mente le reali condizioni del mercato suinicolo nazionale. La redditività dell'allevamento sarà infatti garantita se i prodotti potranno essere venduti a prezzi sostanzialmente superiori a quelli del mercato suinicolo tradizionale; per ottenere questo surplus sarà però necessario fornire prodotti con elevate caratteristiche qualitative e di sicura origine. Le aziende che potranno favorevolmente convertirsi a questa produzione saranno quelle di dimensioni medio grandi con ampi appezzamenti boschivi a disposizione e in grado di inserirsi rapidamente in un contesto di filiera corta. Trattandosi poi di una produzione sostanzialmente di nicchia potrebbe essere considerata come valida la possibilità di inserire la produzione di suini di Cinta Senese in scala ridotta in un contesto più ampio di allevamento zootecnico se non addirittura in una realtà agrituristica con il consumo interno dei prodotti derivati dall'allevamento suinicolo.


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Il cavallino di Monterufoli: dati biometrici Tocci R1 Sargentini C1, Giorgetti A1, Lorenzini G1., Gallai S1 Introduzione Il cavallino di Monterufoli è una razza toscana a rischio estinzione ed è originario dell'omonima area in provincia di Pisa, dove ebbe inizio la selezione ed il miglioramento di questo tipo genetico, anche attraverso l'intervento, su una popolazione originaria, di riproduttori Maremmani, Tolfetani, Orientali (Arzilli, 2006). Il recupero del tipo genetico ha avuto inizio negli anni '80 e al momento sono presenti circa 220 soggetti. Questa Unità di ricerca ha avviato, fin dal 2005, un lavoro di caratterizzazione morfologica e genetica i cui primi risultati sono stati illustrati in precedenti comunicazioni (Tocci R., 2006). In questa sede sono riportati gli ultimi aggiornamenti di tale attività. Materiali e metodi I dati biometrici sono stati rilevati in 32 Monterufolini adulti (26 femmine e 6 maschi) allevati in 6 allevamenti. Su ogni cavallo sono state effettuate 26 misurazioni (Catalano, 1984). L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa sono state misurate tramite ippometro, le larghezze con compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze con nastro metrico. È stato calcolato inoltre l'Indice Corporeo (Catalano, 1985; Meregalli, 1980). Su tutte le misure, per femmine e stalloni, sono state calcolate la media e la deviazione standard; è stata inoltre valutata la frequenza percentuale di alcuni caratteri morfologici. I dati biometrici sono infine stati confrontati con quelli del 1947, data cui risale il primo "standard di razza". Risultati e discussione I dati aggiornati ottenuti attraverso le ricerche effettuate hanno confermato che il cavallino di Monterufoli presenta altezza al garrese, circonferenza toracica e circonferenza dello stinco (tab.1) paragonabili a quelli riportati in bibliografia (Arzilli, 2006; Gandini G, Rognoni G., 1997) e negli "standard di razza" (http://www.aia.it/, 2006).

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel . +390553288333, E-mail roberto.tocci@unifi.it

Fig. 1. Cavallino di Monterufoli Tab.1. Biometrie di femmine e maschi adulti

Dal confronto con i dati storici (Braccini, 1947) emerge invece una morfologia leggermente diversa da quella del Monterufolino del 1947, quando la razza aveva raggiunto probabilmente la sua massima diffusione (tab. 2). Il "vecchio cavallino" era più alto tendenzialmente più dolicomorfo rispetto al "Monterufolino moderno" (Tocci et al., 2007). Le caratteristiche principali e peculiari di questo cavallo, sono date da mantello morello, testa conica, profilo montonino, criniera e coda di colore scuro, zoccolo resistente (tab. 3). Il suo allevamento potrebbe costituire un'alternativa o un'integrazione zootecnica alla tabacchicoltura: rappresenta Tab.2. Confronto tra le biometrie delle femmine adulte del 1947 e quelle attuali


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160 Tocci Tab.3. Principali caratteri morfologici

infatti una forte attrattiva dal punto di vista turistico e culturale che può dare un valore aggiunto a tutte le Aziende che si occupano o che intendono occuparsi di ippicoltura. Recentemente è stata avviata una prova, finanziata dall'ARSIA, per valutare le oggettive idoneità alle due attitudini principali, la sella e gli attacchi. I primi due cavalli hanno già raggiunto il centro ippico di addestramento ed i buoni risultati ottenuti nell'ambito delle prime fasi di pratica lasciano ben sperare sul futuro di questa razza. Citazioni bibliografiche: Aia, 2007 http://www.aia.it/.

Il cavallino di Monterufoli... Arzilli, L.. Cavallino di Monterufoli. In: AA.VV., Risorse genetiche animali autoctone della Toscana, pp. 191. ARSIA, FIRENZE, 2006. Braccini A.. Cavallino di Monterufoli. XLVIII, 1-8, L'Agricoltura italiana, 1947. Catalano, A.L., 1984. Valutazione morfo-funzionale del cavallo Igiene ed Etnologia. Goliardica Editrice, Noceto, (PR), Italy, pp. 143. Gandini G., Rognoni G.. Atlante etnografico delle popolazioni equine ed asinine italiane, pp.142. CittàStudiEdizioni. Milano, Italy, 1997. Meregalli, A.. Conoscenza morfofunzionale degli animali domestici, pp. 300. Liviana Ed., Padova, Italy, 1980. Tocci R.. Il cavallino di Monterufoli. Atti Seminario "Le alternative zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in Toscana e Umbria". Cortona, 13 dicembre. In press. 2006 Importanza della tutela della diversità animale. Caratterizzazione di due razze toscane a rischio estinzione: il Cavallo di Monterufoli e l'Asino dell'Amiata. Tesi di Laurea, 2006. Tocci R., Sargentini C., Giorgetti A., Lorenzini G., Benedettini A.. il Cavallino di Monterufoli: morfologia e biometria. Atti del 9° Conv. Nuove acquisizioni in materia di ippologia. Perugia, 22 giugno 2007. Tocci R., Sargentini C., Lorenzini G., Degl'Innocenti P., Bozzi R., Giorgetti A., Morphological characteristics of "Monterufoli horse". Ital. J. Anim. Sci. 2007 29 May-1 Jun; 6 (1), 657-659. 2007.


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Caratteri biometrici dell'Asino dell'Amiata Tocci R1 Introduzione L'asino dell'Amiata può rappresentare una valida alternativa o integrazione alla tabacchicoltura ove sia presente un interesse imprenditoriale nei confronti di attività innovative quali: produzione di latte non convenzionale, centri agrituristici, centri ippici di vario tipo. Il latte di asina, anche se purtroppo non è ancora riconosciuto come alimento dalla legislazione nazionale, ha caratteristiche organolettiche molto simili a quelle del latte umano. Al pari di questo infatti presenta un ridotto contenuto in proteine ed un elevato contenuto in lattosio e simile è anche il contenuto di sali minerali (Civardi, 2000); risulta pertanto ideale per allattare i bambini allergici al latte vaccino e rappresenta comunque un'alternativa al latte liofilizzato. Il latte di asina ha inoltre un contenuto di acidi grassi polinsaturi del tutto simile a quello di donna ed è molto ricco di lisozima, sieroproteina caratterizzata da elevate proprietà antibatteriche, in grado di proteggere il neonato da possibili patologie e che rende questo prodotto meno deperibile del latte di mucca (Civardi, 2000). Il latte di asina è infine particolarmente ricco, in confronto ad altri di diverse specie animali, di acidi grassi polinsaturi, che svol-

Fig. 1. Asino dell’Amiata

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel . +390553288333, E-mail roberto.tocci@unifi.it

Fig. 2. Puledro dell’Amiata

gono un ruolo importante per la salute umana ed in particolar modo per il sistema immunitario ed hanno capacità antinfiammatorie e di prevenzione di malattie cardiovascolari (Civardi, 2000). Nell'ambito delle azioni di recupero di questa razza in via di estinzione, l'unità di ricerca ha avviato fin dal 2005 un percorso di caratterizzazione morfologica teso anche alla ri-definizione degli standard di razza. In una precedente comunicazione (Tocci R., 2006) erano stati riportati i primi risultati biometrici provenienti da 11 soggetti. In questa sede sono presentati gli aggiornamenti eseguiti con le attività svolte nel periodo 2006/2007. Materiale e metodi Sono stati misurati 56 soggetti adulti (48 fattrici e 8 stalloni) presenti in 9 aziende. Su ogni soggetto sono state effettuate 26 misurazioni (Catalano, 1984). L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa sono state misurate tramite ippometro, le larghezze con compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze con nastro metrico. È stato calcolato inoltre l'Indice Corporeo (Catalano, 1984; Meregalli, 1980). Su tutte le misure, per femmine e stalloni, è stata calcolata la media, ed è stata inoltre valutata la frequenza percentuale di alcuni caratteri morfologici. Risultati e conclusioni Gli aggiornamenti biometrici relativi all'asino dell'Amiata hanno confermato e rafforzato l'andamento già emerso dal precedente studio: le biome-


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162 Tocci Tab. 1. biometrie di femmine e maschi adulti

Dati biometrici Asino dell’Amiata...

mente identica, almeno dal punto di vista morfologico, a quella, ben più numerosa, della prima metà del secolo scorso. Sono state inoltre confermate tutte le principali caratteristiche morfologiche (tab. 2), rappresentate dal mantello sorcino, dalla croce scapolare, dalle zebrature agli arti, dallo zoccolo resistente e di colore scuro. Citazioni bibliografiche

Tab. 2. principali caratteri morfologici

trie (tab. 1) sono molto simili a quelle riportate nei vecchi standard di razza e nella bibliografia relativamente più recente (Gandini G., Rognoni G., 1997). La popolazione-reliquia attuale, di struttura corporea meso-dolicomorfa, risulta quindi pratica-

Catalano, A.L., Valutazione morfo-funzionale del cavallo Igiene ed Etnologia. Goliardica Editrice, Noceto, (PR), Italy, pp. 143, 1984. Civardi G. Studio del latte di equidi in funzione di un suo utilizzo in alimentazione umana. Tesi di Dottorato, 2000. Gandini G., Rognoni G.. Atlante etnografico delle popolazioni equine ed asinine italiane, pp.142. CittàStudiEdizioni. Milano, Italy, 1997. Gianangeli B. Salvaguardia e valorizzazione del germoplasma autoctono toscano: caratterizzazione morfologica dell'asino dell'Amiata. Tesi di Laurea, 2006. Meregalli, A.. Conoscenza morfofunzionale degli animali domestici, pp. 300. Liviana Ed., Padova, Italy, 1980. Tocci R.. L'Asino dell'Amiata. Atti Seminario "Le alternative zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in Toscana e Umbria". Cortona, 13 dicembre. In press. 2006


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Un'antica razza da salvare: il maiale Macchiaiolo maremmano Giorgetti1, Gallai S1, Ciani F2, Sargentini C1, Lorenzini G1, Tocci R1 Premessa L'attribuzione di una popolazione numericamente molto ridotta a un tipo genetico antico, sul quale non sono possibili acquisizioni provenienti dalla genetica molecolare, è sempre molto difficoltosa. Mancando una base genetica di riferimento il percorso di accertamento della sopravvivenza della razza deve necessariamente seguire vie più complesse e orientate in diverse direzioni: analisi storica; testimonianze scritte o orali; rilievi morfologici sui presunti superstiti e loro confronto con il materiale iconografico esistente e con i dati biometrici reperibili in letteratura riguardanti la razza; analisi genetiche dei presunti superstiti confrontate con quelle di razze ancora esistenti, vicine dal punto di vista fenotipico e/o geografico, per escludere l'appartenenza dei superstiti alle stesse, come semplici ecotipi locali. Questo approccio è stato seguito anche per la razza suina Macchiaiola maremmana. L'analisi storica Come tutte le antiche razze suine italiane, ampiamente rappresentate fino alla prima metà del secolo scorso, la Macchiaiola deriva da materiale genetico autoctono, con successiva, parziale introgressione genetica di suini orientali. Informazioni ottenute da reperti osteologici di siti neolitici ubicati nell'alto Lazio e in Toscana sembrano suggerire una domesticazione locale di cinghiali che escluderebbe l'introduzione di maiali coevi già domestici, caratterizzati da parametri somatici diversi (Tagliacozzo, 2002). Con l'affermarsi della civiltà Etrusca, l'allevamento del maiale divenne predominante su quello delle altre specie e anche dopo l'occupazione romana l'allevamento in Toscana continuò a basarsi soprattutto sui suini, con sistemi di allevamento intensivi nelle aree suburbane ed estensivi nelle foreste quercine di pianura o nei boschi misti di collina. Dopo la caduta dell'Impero 1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE . Tel . +390553288356 E-mail alessandro.giorgertti@unifi.it 2 ConSDABI (Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal Point FAO - Benevento

Fig. 1. Maiali di razza Macchiaiola

Romano, la forte contrazione dei coltivi a vantaggio dei boschi offrì spazio abbondante all'allevamento brado, soprattutto suino (Ciani, 2003), retaggio dell'allevamento estensivo dell'epoca romana e prediletto dai Longobardi. I maiali medievali, progenitori delle razze autoctone italiane erano abbastanza diversi da quelli della precedente epoca romana e assomigliavano di più ai cinghiali, a causa del frequente accoppiamento fra scrofe domestiche e verri selvatici che numerosi popolavano ovunque gli habitat toscani. Nella seconda metà del XVII secolo maiali orientali furono importati in Italia per essere incrociati con le popolazioni suine primitive indigene; il successivo esteso meticciamento che si diffuse in tutto il paese dette origine a varietà locali, le vere progenitrici delle attuali razze autoctone. La Macchiaiola maremmana moderna e il suo recupero La Macchiaiola maremmana fino agli inizi del XX secolo era diffusa in tutta la Toscana e Mascheroni ne descrive le caratteristiche morfologiche e i principali parametri biometrici (Mascheroni, 1927). Negli anni '30 la razza fu anche incrociata, a scopo di sostituzione, con la Cinta senese, ma fortunatamente la sostituzione non fu integrale. E' stato così possibile avviare un percorso di studio, indagine e ricerca volto a: 1) verificare la corrispondenza morfologica tra i soggetti recuperati e il materiale iconografico e scritto relativo alla razza; 2) preparare standard fenotipici aggiornati, attraverso rile-


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vazioni periodiche del peso e degli altri parametri biometrici alle diverse età; 3) eseguire una caratterizzazione genetica (in collaborazione con il ConSDABI), finalizzata a: i) verificare la distanza genetica tra questi soggetti e la razza Cinta senese; ii) verificare la distanza genetica tra questi soggetti e le altre razze autoctone italiane; iii) misurare il grado di somiglianza genetica con le altre razze autoctone e stabilire le relazioni filogenetiche. Tutte queste attività sono attualmente in corso di esecuzione. Per quanto riguarda in particolare il punto 1., le caratteristiche morfologiche di oltre 60 soggetti (circa 20 riproduttori tra maschi e femmine) appartenenti a 5 diversi allevamenti di 4 province toscane, hanno soddisfatto i parametri morfologici considerati tipici della razza; a parte alcune affinità con la Cinta senese, le forme del Macchiaiolo rispettano i canoni caratteristici di suini più carnaioli, rotondi e con profili relativamente convessi. Per quanto riguarda il punto 2. sono stati eseguiti rilievi biometrici su 12 soggetti di diverso sesso e differente età; nonostante si tratti di un numero esiguo le misure corrispondono a quelle riportate da Mascheroni nel 1927. Per quan-

Il maiale Macchiaiolo maremmano...

to riguarda infine il punto 3. è iniziata, su 18 soggetti, la raccolta di sangue e di pelo, matrici dalle quali è stato estratto il DNA per le analisi genetiche. I primi risultati sembrano confermare l'appartenenza a un gruppo genetico a sé stante, diverso in particolare dalle altre razze autoctone toscane, e l'esistenza di livelli di eterozigosi sufficienti ad intraprendere un'opera di selezione e miglioramento genetico per il recupero e la valorizzazione di questa antica, nobile razza. Citazioni bibliografiche. Alderson L. "The change to survive. Rare breeds in a changing world". Ed. Cameron & Tayleur. London. 1978. Ciani F. "Evoluzione storica dei tipi genetici autoctoni suini, a rischio di estinzione o in stato di abbandono, dell'Emilia Romagna: strategie di recupero, conservazione e valorizzazione". In Atti del Seminario di Studio "La cultura delle produzioni suine nel territorio della Val d'Enza", 16 settembre. Comune di Bibbiano (RE). 2003. Morton J.R. "Birth of the British pig". In "The ARK", Settember; Ed. Rare Breeds Survival Trust. Kenilworth (GB). 312-314. 1987. Tagliacozzo A. " L' allevamento e l'alimentazione di origine animale tra il Neolitico e l'età dei metalli : i dati archeozoologici". In "Storia dell'Agricoltura Italiana, l'Età Antica", Accademia dei Georgofili. Ed. Polistampa. Firenze. 2002.


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Una razza antica da salvare: la pecora dell'Amiata e delle Crete senesi Giorgetti1, Gallai S1, Ciani F2, Sargentini C1, Lorenzini G1, Tocci R1, Diodato F1 Premessa A partire dai dati riportati in una precedente comunicazione (Gallai S. et al, 2006) è stato effettuato un censimento completo nella provincia di Grosseto. Materiali e metodi Sono stati visitati tutti gli allevamenti ovini della provincia di Grosseto nei quali era stata segnalata la presenza della razza. Tutti i soggetti presenti sono stati esaminati sotto l'aspetto morfologico e sono state raccolte notizie e informazioni sulle aziende e sugli animali in esse presenti attraverso incontri e colloqui con gli allevatori. Risultati e discussione Sono stati individuati 18 allevamenti, con una popolazione complessiva, morfologicamente assegnabile al tipo genetico "Pecora dell'Amiata", di 1282 pecore e 36 montoni. La consistenza della razza, ancorché modesta, risulterebbe quindi di gran lunga superiore rispetto a quanto ipotizzato in una precedente comunicazione (Gallai et al, 2006). In tutti i soggetti la testa appare leggera con profilo rettilineo o appena convesso; le orecchie sono piccole e portate orizzontalmente; il collo è esile. Il vello si presenta semi-chiuso, a bioccoli conici, di colore bianco sporco; solo il ventre e la parte distale degli arti (avambraccio e gamba anatomica) sono scoperti. La lana copre parzialmente le guance e non supera il sincipite. Tutte queste caratteristiche sono perfettamente corrispondenti agli standard dell'antica popolazione. Contrariamente a quanto segnalato in passato (anni '30), non sono invece state riscontrate macchie nere o marroni sul vello, peraltro presenti nella prima metà del secolo scorso su un numero esiguo di soggetti; dal punto

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE . Tel . +390553288356 E-mail alessandro.giorgertti@unifi.it 2 ConSDABI (Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal Point FAO - Benevento

Fig.1. Gregge di pecore dell’Amiata

di vista della pigmentazione la popolazione attuale si presenta quindi più omogenea. Parzialmente diversa è la situazione riguardante le corna. Normalmente le femmine di pecora dell'Amiata erano acorni ed in effetti tutte le 1282 pecore assegnate alla razza sono prive di corna. Dei 36 montoni presenti invece solo poco più della metà (19) sono cornuti, mentre nel secolo scorso la percentuale dei maschi con corna superava il 90%. Si pone quindi il problema di un'accettazione di tali soggetti i quali, pur presentando morfologia tipica della pecora dell'Amiata, sono sprovvisti delle corna, carattere che si potrebbe considerare distintivo della razza. Poiché però anche in passato, sia pure con incidenza minore, erano presenti montoni acorni, sembra opportuno, in questa fase di ridotta numerosità, non scartare a priori questi soggetti ma utilizzarne i migliori, con cautela e parsimonia, al fine di non perdere complessi genici . D'altra parte storicamente è presente nella razza una certa variabilità, anche nell'ambito dello stesso allevamento, retaggio di antichi apporti genetici di diverse razze o razze-popolazioni. Ancora negli anni '30 si osservavano sul Monte Amiata, e in particolare sul Monte Labbro, individui fortemente merinizzati tendenti in modo spiccato al tipo "maremmano", caratterizzati da una taglia ridotta, da una buona produzione di latte e di lana e relativamente omogenei. Nei greggi del versante senese invece la


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La pecora dell’amiata...

popolazione era più eterogenea e spesso molti soggetti presentavano sproporzioni fra altezza degli arti e tronco, copertura lanosa più limitata e produzione lattifera più scarsa; per questo vi furono anche occasionali incroci con la Bergamasca e L'Ile de France. La popolazione moderna di pecora dell'Amiata sembra molto più simile a quella più gentile del monte Labbro.

Fig.2. Pecora dell’Amiata


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L’allevamento biologico della capra da latte: studio di due aziende toscane Lorenzini G1, Martini A1, SargentiniC1, Giorgetti A1 Introduzione Per valutare le potenzialità produttive dell'allevamento biologico caprino per la produzione di latte destinato alla caseificazione aziendale, che può rappresentare, in particolari situazioni, un' alternativa o una fonte integrativa importante alla coltivazione del tabacco in alcune zone della Toscana (Lorenzini et al., 2006), sono state analizzate due aziende che sembrano ottenere positivi risultati economici. Materiali e metodi Le aziende studiate sono L'Azienda S. Margherita (1), in provincia di Siena, e l'Azienda Podere Le Fornaci (2), in provincia di Firenze. La prima, che ha avviato l' attività da oltre 10 anni, ha un gregge più numeroso, la cui età media è più elevata di quella dell'allevamento Le Fornaci. S. Margherita alleva inoltre da diversi anni la razza Girgentana, più rustica ma anche meno produttiva della Camosciata, allevata nel Podere Le Fornaci. Sono stati rilevati: forma di possesso e tipo di conduzione; ubicazione altimetrica e superficie aziendale; consistenza e composizione del gregge; alimentazione; produzioni e canali di vendita. Risultati e discussione Le due aziende differiscono per titolo di possesso e forma giuridica. La 1 è azienda familiare di proprietà dell'allevatore mentre la 2 è una società semplice con terreni in affitto; entrambe sono a conduTab. 1. Produzioni di latte

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze zootecniche dell'Università di Firenze, via delle Cascine, 5. 50144 Firenze. Tel. 055 3288357. Fax 055 321216. e-mail g.lorenzini@unifi.it

zione diretta con salariati. Le due aziende, a fronte di una superficie a pascolo uguale (20 ha) e sufficiente alle esigenze delle greggi, mostrano una notevole differenza di estensione sia della superficie totale (80 ha la 1 e 30 ha la 2) che di quella destinata alle colture foraggere (20 ha vs 6 ha). Ciò influenza notevolmente non solo la composizione delle razioni adottate ma soprattutto i costi di allevamento: mentre la 2 deve ricorrere all'acquisto non solo della quasi totalità dei concentrati ma anche di buona parte del fieno, l'azienda 1 è pressoché autosufficiente. I due allevamenti hanno livelli produttivi unitari diversi, più elevati nella 2 a causa della scelta di una razza ad alta specializzazione, ma la differente consistenza delle greggi fa sì che le produzioni annuali siano abbastanza simili (tab. 1). Entrambe le aziende si sono dotate di un caseificio aziendale nel quale trasformano direttamente il proprio latte. I prezzi effettuati dall'Azienda 1 sono più elevati e uguali per ogni tipo di formaggio, mentre l'Azienda 2 pratica prezzi variabili in base alla stagionatura, come mostrato in tabella 2. Per quanto riguarda i canali di vendita (tab. 3) le differenze sono dovute alla diversa localizzazione delle aziende. Il Podere Le Fornaci, in Chianti e quindi vicino a Firenze, riesce a commercializzare direttamente il prodotto in fiere e/o mercati di prodotti biologici e tipici locali con cadenza per lo più fissa durante l'anno. L'azienda S. Margherita, più lontana da grossi centri abitati, ha attivato invece varie forme di vendita tra le quali la fornitura ai ristoranti occupa la percentuale più importante. La vendita dei capretti, pur essendo secondaria rispetto al formaggio e concentrata in un periodo relativamente breve, rappresenta una voce non trascurabile delle entrate delle due aziende. Nel periodo prossimo alla Pasqua, quando la richiesta è maggiore, il prezzo spuntato per i capretti macellati e preparati per la vendita in ottavi, è intorno ai 14 €/kg.


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168 Lorenzini et al Tab. 2. Prezzi di vendita del latte e dei formaggi a vario grado di stagionatura

Tab. 3. Canali di vendita

L’allevamento biologico della capra da latte...

Citazioni bibliografiche Piano zootecnico regionale (2000) AAVV. Il germoplasma della Toscana tutela e valorizzazione. - Atti del convegno. Arsia,1999 Lorenzini G., Martini A., Sargentini C., Giorgetti A. L'allevamento della capra da latte: struttura dell'allevamento biologico. Seminario "Le alternative zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in Toscana e Umbria", Cortona, 13 dicembre, 2006


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