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Rocca di Montemassi, wine farm di Maremma

ROCCA DI Montemassi

Il castello di Montemassi sorse intorno all’anno Mille come feudo della nobil famiglia comitale degli Aldobrandeschi, che nel corso dell’Alto Medioevo dominò vasti feudi fra il Monte Amiata e la Maremma.

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andrea cappelli

WINE FARM DI MAREMMA TESTIMONE AUTENTICA DI UNA VITA RURALE CONTEMPORANEA

E se la Repubblica di Siena riuscì a espugnare e conquistare Montemassi nella seconda metà de Duecento, già agli inizi del Trecento il paese riuscì a diventare un centro autonomo sotto il controllo e la protezione di un’altra potente famiglia, quella dei conti Pannocchieschi d’Elci. Successivamente il castello venne nuovamente assediato e conquistato da Giudoriccio da Fogliano, famoso condottiero e capitano di ventura passato alla storia per la sua raffigurazione nel famoso affresco di Simone Maritini nel Palazzo Pubblico di Siena in Piazza del Campo, che lo rappresenta proprio all’assedio di Montemassi: nel luglio del 1328, alla guida delle truppe senesi – 900 cavalieri e 6.000 fanti – prese la cittadina di Montemassi, difesa da Castruccio Castracani, stremata dopo esser stata cinta d’assedio per ben sette mesi. A metà del Cinquecento, a seguito della definitiva caduta della Repubblica di Siena nel 1559, Montemassi entrò a far parte del Granducato di Toscana e, da allora, ne seguì le sorti. Fu infeudato come marchesato ai marchesi Malaspina di Mulazzo fino al 1770, quando fu venduto alla famiglia dogale Cambiaso del patriziato di Genova che lo tennero fino all’abolizione dei feudi nel 1774. Qui, nelle campagne dell’Alta Maremma ai piedi del centro storico di Montemassi – assai pittoresco per aver mantenuto l’aspetto di un compatto borgo a “pigna” pur non rimanendo tracce delle mura, in gran parte inglobate nelle abitazioni, fatta eccezione per una porta, che un tempo lo proteggevano e collegavano al castello – in località Pian del Bichi, dalle parti di Ribolla, si trova la tenuta Rocca di Montemassi. La

fattoria – proprietà della famiglia Zonin dall’ultimo scorcio dello scorso millennio, che in poco più di vent’anni è divenuta protagonista della sua storia moderna – insiste nel comune di Roccastrada, protendendosi verso le colline metallifere da un lato e verso il mare di Castiglione della Pescaia dall’altro, che dista solo 15 chilometri in linea d’aria, racchiudendo le molte anime di quest’angolo di Maremma toscana. Precisamente insiste nella parte finale della valle che da sotto il centro storico di Roccastrada, come una gola, va a sfociare direttamente nel mare, tutta contornata nelle alture di suggestivi paesini medievali. La tenuta si estende per complessivi 430 ettari, di cui 170 dedicati al parco vigneti, disteso su poggi e dolci declivi, che sono stati piantumati tra il 2000 e il 2006, 12 di oliveti con decine d’olivi secolari, per una produzione media di una ventina di ettolitri d’olio extravergine d’oliva e circa 200 ettari di seminativi. I proprietari, fin dall’acquisizione nel lontano 1999, hanno sempre mantenuto un approccio estremamente coerente con la tradizione della selvaggia terra dei butteri e dei briganti. A partire dalla ristrutturazione conservativa degli edifici: un intervento che è stato quanto più rispettoso possibile delle strutture preesistenti e architettonicamente conforme alle costruzioni del contesto rurale maremmano. Così l’imponente casa padronale, circondata da vasti giardini con uno splendido laghetto,

è stata riportata all’antico splendore, lasciandone intatto lo stile originario. Contemporaneamente sono stati realizzati il wine shop, il centro di rappresentanza e, naturalmente, la cantina, progettata per offrire supporti tecnologici d’avanguardia alla produzione di vini di alta qualità, senza trascurare la sostenibilità ecoambientale, tema sempre più centrale per l’azienda. All’interno di questa cornice è diventato essenziale l’incoming enoturistico, coi tour che permettono di descrivere e raccontare le variegate attività della tenuta, consentendo agli ospiti di entrare in contatto sia con la realtà produttiva che con la magia dei sognanti paesaggi maremmani. Così, da qualche anno, è partita anche l’attività di agriturismo, con la realizzazione di tre suite nella struttura adiacente al centro direzionale – il numero limitato delle camere assicura agli ospiti assoluta pace e tranquillità, ma vengono proposti pure percorsi d’esperienza enogastronomica in abbinamento dei vini. La foresteria, una contemporanea enoteca con cucina, è aperta a pranzo e, su prenotazione, anche a cena, con la possibilità di mettere a tavola anche gruppi. Offre piatti di cucina regionale basati sulla stagionalità sapientemente preparati da cuoche del luogo, le cui verdure provengono direttamente dall’orto dell’azienda, il cui simbolo è il famoso carciofo autoctono maremmano. Ma Rocca di Montemassi si presta benissimo anche come spettacolare location per matrimoni ed eventi, avendo questi ampi spazi tipici delle campagne maremmane, oggi quanto mai ambiti, come il prato davanti al lago. Infine vengono organizzate manifestazioni culturali e serata a tema nella bella stagione, come il “CineMaremma”, cinema all’aperto in estate che riscuote un buon successo di pubblico proponendo qualche ora di evasione e spensieratezza: la formula esperenziale vuol legare temi culturali al cibo e al vino, nel segno dello stile di vita italiano. Tornando al vino, pochi sanno che proprio in quest’areale che scende verso il mare già dal IV secolo a.C. gli Etruschi coltivavano la vite e producevano il vino, si tratta perciò di un luogo vocato alla produzione enoica da millenni. Le peculiarità della composizione minerale dei suoli, il clima temperato della costa toscana, una luce vivida e unica fondamentale per portare a completa maturazione le uve, l’escursione termica tra il giorno e la notte, la brezza temperata del mare, tutti grandi valori aggiunti del “Vigneto Maremma”. I vigneti sono stati impiantati in questa coda delle colline metallifere, dove nella parte collinare abbiamo terreni con scheletro ricchi di ferro e d’argilla, mentre nella parte basale della piana si trovano sia argilla che ciottoli marini più ci si avvicina alla costa. Un terroir ideale non solo per i vitigni autoctoni tipici quali Vermentino e Sangiovese, ma anche per uve di respiro internazionale come Syrah, Viognier, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot, che regalano uve d’eccezionale qualità essendo ormai i vigneti di un’età compresa fra i 15 e i 20 anni. Trenta sono gli ettari a bacca bianca, divisi fra 25 di Vermentino e 5 di Viognier, il resto a bacca rossa con il Sangiovese a farla da padrone coi suoi 50 ettari, mentre i rimanenti 80 sono divisi in parti uguali fra Petit Verdot, Syrah. Cabernet Sauvignon e Merlot, infine 7 ettari di Cabernet Franc. I vigneti, allevati a cordone speronato o a Guyot, a seconda della varietà, con densità di 5.000 ceppi/ettaro, hanno una gestione ispirata alla tradizionale manualità contadina, mirante a far captare alle viti la massima energia luminosa possibile, a mantenere in perfetta efficienza il loro apparato fogliare e a ricercare l’equilibrio vegeto-produttivo per garantire sempre un’elevata qualità delle uve. Le 6 etichette, tutte Maremma Toscana Doc, sono in linea con la filosofia aziendale, mix di tradizione e modernità con una proposta sia di vini giovani e freschi che dal tratto territoriale e più strutturati. Così in questo suggestivo angolo di Toscana nascono tre rossi di gran carattere e intensità aromatica: il cru Rocca di Montemassi – 30-35mila bottiglie di un vino elegante e possente – massima espressione di questo terroir, nato da una severa selezione in vigna di uvaggi bordolesi, blend di punta con Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e una piccola percentuale di Syrah; il Sassabruna, 60mila bottiglie di un “little SuperTuscan”, assemblaggio di Merlot, Cabernet e Syrah, per un rosso affinato in legno, robusto e di spalla; il Focaie – 150-200mila bottiglie – composto in maggioranza da Sangiovese (50%), che mostra una bella spina acida, ma anche un’intrigante

bevibilità, dai profumi freschi e fruttati, come vuole la tradizione di questa terra. Abbiamo poi il Syrosa, piacevole rosé dal color rosa tenue e toni delicati, dal carattere giovane; prodotto con uve Syrah e Sangiovese con profumi eterei di lavanda e piccoli frutti rossi. Completano la gamma due bianchi: il piacevole Calasole, nome maremmano della brezza marina che si alza al calar del sole. Prodotto col vitigno autoctono bianco per eccellenza della costa toscana: 100mila bottiglie di una bellissima espressione di Vermentino dalla gran bevibilità che affina esclusivamente in acciaio per preservare ed enfatizzare i freschi e leggeri aromi varietali. Dal color giallo paglierino brillante, al naso dona intensi sentori di fiori bianchi e fresche note di mela renetta, agrumi ed erbe aromatiche; al palato è sapido con nuances agrumate, splendide note minerali e ammandorlate. L’ultimo vino è un Viognier vinificato in purezza con passaggio in legno, per un bianco di eccezionale eleganza, gran frutto, suadente e longevo, prodotto in circa 5mila bottiglie. Ma lo spirito indomito di queste antiche terre ha anche evocato l’originale produzione di un particolare Gin, una produzione artigianale un po’ rock che nasce nel 2018 dalla selezione di sei botaniche – ginepro, fiori di sambuco, camomilla, curcuma, bergamotto e rosmarino – che coi loro aromi raccontano i profumi floreali e le aromaticità più autentiche e prorompenti della forte macchia mediterranea maremmana. Ispirato al senso di potenza che il toro evoca nell’immaginario collettivo, si chiama per l’appunto Imperiale, in onore del maschio primogenito dello storico toro della tenuta Fiume e sta avendo un buon successo, ancora a carattere locale, sulla costa Toscana. Sono complessivamente circa 500mila le bottiglie prodotte – destinate sia al mercato estero, Europa e Stati Uniti in primis, che a quello toscano e italiano in generale – perciò vi sono ancora spazi di crescita in termini d’imbottigliato. Ma Rocca di Montemassi, per precisa volontà della proprietà, si configura come una vera e propria fattoria, infatti, accanto alle importanti produzioni vitivinicole, l’attenzione è stata posta sulla cerealicoltura e dal 2017 sull’allevamento della vacca maremmana col toro e circa 20 fattrici e di 60 suini di razza Cinta Senese – pregiate carni che gli ospiti possono degustare presso la foresteria – oltre alla cura e all’ampliamento dell’oliveto, per finire con un orto sperimentale, alberi da frutta e la messa a dimora di centinaia di pini marittimi, oleandri, sughere, ginestre e corbezzoli per esaltare, attraverso le tipiche piante ed essenze mediterranee, il paesaggio e l’identità maremmana. Al fine di valorizzare la grande estensione del seminativo, la metà di esso è impiegato per il prato pascolo, per la fienagione, il foraggio e le granaglie a servizio della zootecnia, che aiuta anche con un pò le vigne con lo stallatico; nonché per la coltivazione di leguminose come favino, orzo, trifoglio e avena, che hanno la funzione in primis di nutrire gli animali, ma anche di apportare sostanze azotate alle vigne: seminate tra i filari, tramite il sovescio il terreno s’arricchisce delle sostanze concimanti in esse contenute, aumentando in modo naturale la fertilità della terra. L’altra metà è utilizzata per la produzione di ceci (sette ettari), farro e varietà di cereali sele-

zionati a basso contenuto di glutine, grani antichi dai quali, con la collaborazione del Mulino Val d’Orcia a Spedaletto di Pienza e del Pastificio Morelli a San Romano di Pisa, è nato il progetto di una pasta a filiera corta col marchio Rocca di Montemassi. Nel 2007 è stato inaugurato il Museo della Civiltà Rurale, piccolo gioiello inatteso che immediatamente incanta e trasporta in un mondo lontano, fatto di piccoli oggetti, utensili e macchinari, attori di storie concrete di lavoro e fatica: “a testimonianza delle più antiche e genuine tradizioni della cultura e della civiltà contadina in Toscana, affinché le giovani generazioni continuino a coltivare nei loro cuori la passione per la terra e il rispetto per i suoi valori”, si legge nella targa all’ingresso. Un unicum in Maremma che, ospitato in un’apposita ala della struttura padronale, racconta gli ultimi secoli di storia dell’agricoltura, catturando l’anima di questa terra, a testimonianza di un mondo ormai scomparso, quello contadino d’una volta, con la sua cultura, le sue usanze, i suoi tempi, i suoi strumenti di lavoro. Il Museo è una ricca collezione, risultato di una grande ricerca di oggetti e strumenti legati al mondo contadino e alle sue tradizioni. Il progetto è stato curato dal professor Mauro Zocchetta, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia ed esperto di scenografia teatrale e allestimento museale. La raccolta si compone di oltre 3.000 pezzi, dal Settecento alla Seconda Guerra Mondiale, che narrano lo stile di vita contadino precedente al processo di moderna industrializzazione che ha caratterizzato l’Italia nel secondo Dopoguerra. Il viaggio si sviluppa in un percorso che descrive i diversi lavori agricoli in differenti ambiti produttivi, durante il quale il visitatore può percepire quanto il lavoro e lo stile di vita fossero uniti e indistinguibili, quanto attraverso il rispetto e la valorizzazione di quel passato familiare e lavorativo si possa mantenere memoria di un intero territorio. La visita ha inizio con la ricostruzione di una cantina con tutte le attrezzature per la produzione del vino, mantenendo così una continuità naturale col contesto della Tenuta. Tra i vari strumenti, di particolare interesse una pressa, un colino per filtrare il vino, una vera e propria macchina per l’imbottigliamento, che attraverso un meccanismo semplice e quasi rudimentale consentiva di velocizzare il lavoro e renderlo più agevole. Procedendo si rivivono le diverse attività: la lavorazione dei campi e le semine, la cui descrizione è fornita non solo dal grande aratro e dai tanti strumenti, ma anche da una grande riproduzione fotografica che, in maniera immediata e diretta, racconta lo strenuo lavoro richiesto nei campi. Altre fasi del lavoro sono illustrate in dettaglio e con una gran varietà di oggetti, quali pompe a spalla, macchine seminatrici, cesoie, forconi e tagliafieno. Segue una sezione dedicata al trasporto con un bell’esemplare di carro toscano, gioghi e corde che portano al centro del racconto la vacca maremmana, animale possente e forte, capace di gestire il lavoro in un ambiente difficile e duro come la Maremma. Si passa alla mietitura, coi falcetti, le pale per battere il grano sull’aia e i vagli per pulire i chicchi dalla lolla come anche alla raccolta delle olive e della frutta con rastrelli, ceste per la raccolta e la conservazione. La parte del Museo dedicata alle attività produttive si chiude con oggetti che raccontano il taglio del bosco, attività anche questa fondamentale anche per la dimensione domestica delle famiglie, perché con la legna si scaldavano le case, si attizzavano i fuochi delle cucine, si costruivano gli utensili da lavoro. Il visitatore arriva così alla parte dedicata all’economia domestica, estremamente ricca e dettagliata, in cui viene valorizzato il lavoro femminile all’interno della famiglia, con compiti che non si esaurivano nei lavori domestici, ma comprendevano anche la tessitura e l’intreccio di tessuti o vimini, la riparazione di utensili e la sostituzione dello stagnino nelle pentole: un contributo attivo alla vita economica familiare. Ampio risalto è dato poi ad attività come il calzolaio, il carpentiere e il fabbro, così come al lavoro degli artigiani e degli ambulanti, il più famoso dei quali è l’arrotino. Il percorso termina con una piccola sezione legata ai giochi: giochi oggi dimenticati come la trottola o il cerchio che lasciano intravedere bambini sorridenti correre all’aperto nell’aia del podere. Quando si esce dal Museo al termine della visita si ha davvero l’impressione di non aver semplicemente osservato oggetti disposti in delle stanze, ma di aver respirato attraverso quegli oggetti una cultura, delle usanze, un intero mondo di esperienze e di vita per una corretta percezione della storia. Aperto al pubblico e inserito dal 2018 nella Rete Museale della Provincia di Grosseto – Musei di Maremma (museidimaremma.it), è davvero bello e merita sicuramente una visita, consigliabile anche a docenti e alunni delle scuole e più in generale alle

famiglie. A dirigere la struttura con impegno e determinazione il giovane e dinamico piemontese Alessandro Gallo con una passione viscerale per il mondo del vino: “Dal 2004 sono direttore della Tenuta Castello di Albola in Chianti Classico e dal 2016 ho assunto anche la direzione di Rocca di Montemassi. Credo fortemente che essere oggi winemaker consista nel seguire con estrema cura tutti gli aspetti della filiera produttiva, dalla gestione delle vigne alla ricerca, dalla sostenibilità ambientale alla vendita, dalla promozione all’ospitalità. Il mio lavoro risponde a due precisi criteri: il primo è l’innovazione nel rispetto della tradizione e del territorio, aspetto per il quale il disciplinare della Doc Maremma ha dato nuovo impulso, essendo essa una zona che, a mio avviso, avrà un buon futuro e, seppur la denominazione sia ancora giovane, è in buona crescita; l’altro, forse ancor più importante, è rafforzare l’immagine della Tenuta come azienda agricola radicata nella tradizione rurale della Maremma e non come azienda esclusivamente vitivinicola. Ovviamente il vino è al centro della nostra attenzione, ma riteniamo che acquisti ancor più valore all’interno di una fattoria toscana che diviene motore e propulsore di un’economia rurale a tutto tondo, che stiamo sempre cercando di sviluppare. Sdoganando l’azienda dall’essere prettamente vitivinicola – il che forse non risponde poi alla territorialità – manteniamo fermo l’obiettivo di diventare una farm, intesa come realtà a ciclo chiuso, un’economia circolare con la volontà di lavorare alla creazione di un brand”. All’interno di questo percorso rientra anche la decisione di convertire l’azienda al biologico… “Da quest’anno tutta la superficie produttiva è finalmente certificata biologica, cosa non scontata vista l’enorme estensione territoriale della tenuta. Comunque, da quando abbiamo intrapreso la via del bio – aggiunge Gallo – abbiamo notato un aumento notevole della biodiversità. Sono arrivate nuove specie di insetti utili e altre già presenti sono cresciute: la terra è più viva, più vivace”. All’interno della tenuta vi sono anche i ricordi e le memorie di una miniera dove si estraeva la lignite, che è stata purtroppo teatro di uno dei più gravi incidenti della storia mineraria italiana… “La miniera di Ribolla, che dagli anni Trenta alla metà del Novecento era villaggio minerario dell’azienda Montecatini, fu attiva per più di un secolo, arrivando a un picco produttivo di 270mila tonnellate annue di carbone nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La miniera fu teatro, il 4 maggio 1954, della più grave tragedia mineraria italiana del secondo Dopoguerra. Un’esplosione di gas, il grisù accumulatosi per la scarsa ventilazione in una galleria a 260 metri di profondità, che non permetteva un efficace ricambio dell’aria presente, provocò la morte di 43 persone. A seguito del disastro la direzione della Montecatini decise la chiusura della miniera, la cui smobilitazione richiese ben cinque anni”. La Rocca di Montemassi, che si staglia sulle colline circostanti, non è solo il nome e il simbolo della tenuta che campeggia nelle etichette, ma rappresenta le origini e il collegamento della tenuta con la storia millenaria di questo straordinario angolo nel cuore della Maremma con un forte genius loci. L’azienda, con tutto il suo valido staff di professionisti, è attiva su più fronti, mostrando grande dinamismo, voglia di fare, di esserci, di crescere. Così a distanza di quattro lustri dall’avvio di questo progetto d’ampio respiro, oggi Rocca di Montemassi è pronta a diventare veramente un punto di riferimento per l’intero territorio della Maremma, non solo come nome di prestigio nel panorama agricolo, enologico e per l’ospitalità agrituristica ed enogastronomica, ma anche come culla della cultura e della memoria, nel segno della massima integrazione col territorio sia a livello di contesto ambientale che sociale.

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